Università di Sassari
di papa Simmaco a Gregorio
di Tours
Nel terzo libro del De sanctis Sardiniae Giovanni Arca
afferma che papa Simmaco costruì a Roma, nei pressi delle terme di Traiano, una
basilica dedicata ai santi Silvestro e Martino[1].
La costruzione della basilica rientra nelle numerose attività edilizie che
hanno caratterizzato il tormentato pontificato di Simmaco[2],
ma si segnala per la particolare rilevanza attribuita a Silvestro, vescovo di
Roma dal 314 al 335, anni importanti per la svolta cristiana dell’impero ad
opera di Costantino[3].
Non mi soffermo sulla figura storica di questo papa, ricordo soltanto che la
sua sbiadita immagine è stata rimodellata nel corso del V secolo dagli Actus Beati Sylvestri[4].
L’uso antico e ampiamente diffuso di questa anonima composizione agiografica,
che ha creato la leggenda del battesimo romano di Costantino ad opera proprio
di papa Silvestro[5],
veniva riconosciuto “pur senza entusiasmo”[6]
dal Decretum
Gelasianum de libris recipiendis et non recipiendis[7].
Gli Actus Beati Sylvestri, infatti, si
raccomandavano sia perché raccontavano il trionfo del cristianesimo e l’inizio
di una nuova fase dell’impero, sia perché venivano attribuiti ad Eusebio di
Cesarea[8].
Durante le travagliate fasi
dello scisma Laurenziano[9]
questo testo agiografico, in cui vengono ribaltati i rapporti storici tra
l’imperatore Costantino e papa Silvestro[10],
risultò funzionale alla difesa di Simmaco e costituì la base di alcuni dei
cosiddetti “falsi Simmachiani”, il Constitutum
Sylvestri e i Gesta Liberii[11],
documenti propagandistici con cui Simmaco ed i suoi sostenitori cercavano di
opporsi agli interventi di Teoderico nelle questioni religiose. L’utilità di
questi testi così come degli Actus
Sylvestri era fondamentale nei rapporti con i sovrani dei regni
romano-barbarici.
Proprio negli anni in cui
Simmaco stava sulla cattedra di Pietro si colloca la conversione e il battesimo
del re dei Franchi Clodoveo, la cui prima testimonianza è fornita dalla lettera
di felicitazioni inviata dal vescovo Avito di Vienne[12];
questi, discendente da un’antica famiglia di origine senatoria gallo-romana
imparentata con l’imperatore Avito, aveva anche appoggiato Simmaco durante lo
scisma, mantenendo rapporti epistolari sia con il papa sia con i senatori
romani a lui vicini[13]. Nell’epistola a Clodoveo Avito loda il re
franco per la sua decisione, che viene intesa come la vittoria dell’episcopato
gallo cattolico fedele al papa[14].
Egli propone Clodoveo come modello agli altri re romano-barbarici e, seppure
non lo dica esplicitamente, soprattutto a Gundebaudo, il re Burgundo nel cui
regno si trovava la diocesi di Vienne[15].
Ma la sua fedeltà al re burgundo fa pronunciare ad Avito parole misurate, come
l’invito rivolto a Clodoveo di diventare apostolo del cristianesimo tra i
pagani[16];
egli vuole assolutamente evitare che Clodoveo si senta investito del compito di
“convertire” con la forza delle armi i popoli ariani della Gallia. Spiega
perciò le caratteristiche della regalità cristiana, che consiste in una
rigenerazione della regalità stessa; le sue parole:
cum adunatorum numerosa pontificum manus sancti
ambitione servitii membra regia undis vitalibus confoveret[17],
indicano, secondo Marc
Reydellet, che Clodoveo è stato
rigenerato nel battesimo non solo come uomo ma anche come re[18]:
pertanto deve governare secondo la volontà di Dio. Secondo Avito, dunque, per
l’adozione del cristianesimo la regalità diviene, almeno per quel che concerne
la religione, una forma di governo conforme all’ideale romano e Clodoveo può
esserne definito l’auctor perché
rompe con il modello germanico[19].
Nella lettera di Avito non viene proposto nessun paragone esplicito tra
Costantino e Clodoveo[20],
ma dall’exemplum appaiono “in
filigrana” i modelli di Costantino e Teodosio, come venivano proposti dalla
tradizione panegiristica cristiana[21].
La tipologia costantiniana doveva essere presente allo stesso Clodoveo che vi
si adeguava convocando ad Orleans un Concilio per tutti i vescovi delle Gallie[22].
Il re franco, che si considerava – ed amava essere considerato – il campione
della Chiesa cattolica e romana; probabilmente, come suggerisce Luce Pietri[23],
desiderava anche rivaleggiare con Costantino quando, dopo la vittoriosa
battaglia di Vouillé contro i Visigoti ariani, faceva costruire a Parigi la
basilica dei Santi Appostoli Pietro e Paolo, dove sarebbe stato sepolto con la
sua famiglia.
Ed aveva ugualmente presente
il modello del primo imperatore cristiano allorché inviava a Roma, come dono
per la tomba di san Pietro, una corona di pietre preziose[24].
Negli Actus Sylvestri, infatti,
leggiamo che Costantino, l’ottavo giorno successivo al suo battesimo, deposte
le vesti bianche e completamente mondo e salvo si recò alla tomba di Pietro e,
levatosi dal capo il diadema, ve lo depose, effondendo tante lacrime da bagnare
la sua veste di porpora[25].
La notizia della corona votiva inviata da Clodoveo è contenuta nel Liber pontificalis all’interno della
vita di papa Ormisda; ma il dono è stato di certo inviato dal re franco al papa
precedente, giacché Clodoveo è morto nel 511, tre anni prima dunque di papa Simmaco,
che ha dedicato a Roma una chiesa al patrono dei Franchi, san Martino. In
questa prospettiva simbolica il dono di Clodoveo acquista quindi, come sostiene
Michel Rouche, notevole importanza perché rafforza la romanità di Clodoveo in
senso politico e religioso e crea la tripla connessione Pietro, Costantino,
Clodoveo[26].
Il
parallelismo tra Costantino e Clodoveo, che pure era accolto nella Gallia
merovingia, viene esplicitato per la prima volta da Gregorio di Tours, che
negli Historiarum libri definisce
Clodoveo novos Constantinus[27].
La figura del re dei Franchi delineata da Gregorio desta particolare interesse
per la ricca presenza intertestuale delle diverse tradizioni tardoantiche
relative al primo imperatore cristiano.
Nel racconto
del vescovo di Tours il processo di conversione inizia durante la battaglia di
Tolbiac[28]:
infatti, per evitare il massacro del suo esercito che sta per essere sconfitto
dagli Alamanni, Clodoveo invoca il Signore promettendo di convertirsi alla fede
cristiana professata da sua moglie Clotilde[29].
È evidente il riferimento ai testi in cui Lattanzio, Eusebio e Rufino
presentano la conversione di Costantino prima della battaglia di ponte Milvio[30].
Nelle Historiae di Gregorio alla miracolosa
conversione dettata dalla necessità[31]
segue la completa adesione di Clodoveo alla fede cattolica per opera del
vescovo di Reims Remigio, che viene chiamato a corte di nascosto dalla regina ut regi verbum salutis insinuaret[32].
Il re prima di farsi battezzare ritiene però opportuno rivolgersi al suo popolo
per vedere se questi è disposto ad abbandonare i propri dei e abbracciare la
fede cristiana[33].
La potenza di Dio (praecurrente potentia
Dei) va in aiuto di Clodoveo: egli non ha neppure bisogno di parlare
all’assemblea dei Franchi, che acclama all’unisono[34]:
Mortalis dives abigimus,
pie rex, et Deum quem Remigius praedicat inmortalem sequi parati sumus) [35].
Ricevuta la
notizia il santo vescovo Remigio, ordina che venga preparato il lavacro
battesimale, al quale Clodoveo si accosta come un “nuovo Costantino”, per
essere mondato dall’antica lebbra ed essere purificato con l’acqua del
battesimo dalle macchie sordide dei peccati compiuti in precedenza”:
Procedit novos Constantinus ad lavacrum, deleturus
leprae veteris morbum sordentesque maculas gestas antiquitus recenti latice
deleturus[36].
La tipologia
costantiniana proposta è ora quella degli Actus
Silvestri, cui Gregorio si rifà anche per delineare la figura del vescovo
Remigio, lodato non soltanto per la sua cultura e la grande preparazione negli
studi di retorica, ma anche per il suo elevato grado di santità, pari a quello
di Silvestro:
Erat autem sanctus Remigius episcopus egregiae
scientiae et rethoricis adprimum inbutus studiis, sed et sanctitate ita
praelatus, ut Silvestri virtutebus equaretur[37].
Il quadro
teorico istituito dallo storico di Tours appare articolato, frutto di una
profonda riflessione politica e teologica[38],
come indica la formula della benedizione battesimale pronunziata da Remigio: “Mitis depone colla, Sigamber; adora quod
incendisti, incende quod adorasti”[39]. L’espressione mitis depone colla, che riprende quella usata da papa Gelasio
nell’epistola all’imperatore Anastasio (devotus
colla submittis), indica l’accettazione da parte di Clodoveo di un nuovo
tipo di regalità, quella romana e cristiana[40].
Clodoveo infatti deve essere disposto ad accettare l’autorità dei vescovi in
campo religioso[41]
e a diventare mitis, perché la
mitezza unita alla fede aveva permesso ai principes
christiani di riconoscere i limiti della loro potestas e di rispettare la libertas
dicendi dei vescovi[42].
Caratterizzando in tal modo il comportamento di Clodoveo, Gregorio lo
assimilava a quello di Teodosio[43],
così come lo aveva descritto Ambrogio di Milano nell’elogio funebre composto
per la morte dell’imperatore[44].
Nel De obitu Theodosii il grande
Padre della Chiesa, esaltato da papa Gelasio[45]
come esempio di parrhesia,[46]
aveva teso a dare alla fede dell’imperatore uno “statuto pubblico, facendone un
criterio di governo”[47]:
secondo questa nuova “teologia” dell’impero la fede salvava gli imperatori
“dalla tentazione tirannica dell’arbitrio del potere”[48]
e li rendeva eredi per fede di Costantino,
che primus imperatorum credidit et
post se hereditatem fidei principibus dereliquit[49].
È ricollegandosi alla tradizione ambrosiana[50]
che Gregorio di Tours legittimava
Clodoveo quale erede per fede di Costantino e chiariva i presupposti di tale
legittimazione. Quindi pienamente cosciente della nuova realtà che
caratterizzava l’Occidente, egli attribuiva al re dei Franchi l’appellativo di novus Constantinus, con cui erano stati
acclamati gli imperatori d’Oriente a partire dal V secolo[51].
Importante
per capire in qual modo ha operato lo storico di Tours per adeguare la figura
costantiniana alla realtà del suo tempo è il passo relativo alla vittoria di
Clodoveo sui Visigoti ariani[52]. Nel racconto di Gregorio il sovrano
merovingio dimostra grande reverentia nei confronti dei santi,
pertanto prima di attaccare battaglia decide di recarsi a Tours, alla basilica
di san Martino[53].
Il suo impegno nella lotta contro l’arianesimo gli fa meritare, inoltre, la
protezione di Ilario, lo strenuo difensore della fede trinitaria nella Gallia
del IV secolo: la notte mentre l’esercito franco è accampato alle porte di
Poitiers appare a Clodoveo “un faro di fuoco”, che proviene dalla basilica di
sant’Ilario e si dirige verso di lui; con l’aiuto di questa luce il re franco
debellare più facilmente le schiere degli eretici, contro i quali il vescovo
Ilario aveva spesso combattuto in difesa della fede:
Veniente autem rege apud Pictavius, dum eminus in
tenturiis commemoraret, pharus ignea, de basilica sancti Helari egressa, visa
est ei tamquam super se advenire, scilicet ut, lumine beati confessoris adiutus
Helarii, liberius hereticas acies, contra quas saepe idem sacerdos pro fide
conflixerat, debellaret[54].
Il brano ha
il suo ipotesto nel Liber de virtutibus
sancti Hilarii dove Venanzio Fortunato, servendosi dell’esegesi tipologica,
interpreta il faro di luce come “figura” della colonna di nubi che aveva
guidato il popolo ebraico in fuga dall’Egitto (Ex 13, 20-22) e fa apparire Clodoveo come un nuovo Mosè:
Denique Chlodoveus dum contra haereticam gentem
puganturus armatas acies commovisset, media nocte meruit de basilica beati viri
lumen super se venientem adspicere, admonitus, ut festinaret sed non sine
venerabilis loci oratione adversum hostes conflictaturus descenderet… (22) Similis quedam contigit Israhelitici temporis huius causa virtutis. Nam
ibi columna ignis praecesserat, hic figura lampadis admonebat[55].
L’autore ha
di certo presente
Aiello
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[1] Ioannis Arca Sardi De Sanctis
Sardiniae, Calari, Typis haeredum Ioanis Mariae Galcerini, 1598, t. 3, p.
5. La notizia, che risale al Liber
pontificalis (ed. L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. 262: Intra civitatem Romanam, sanctorum Silvestri et Martini a fundamento
construxit iuxta Traianas) è tratta dal Platina, Sabellico, Graziano e dal
Martirologio romano del Baronio. Il cardinale Cesare Baronio aveva difeso papa
Simmaco degli attacchi dei Centuriatori di Magdeburgo facendone “per la prima
volta nella storia un campione dell’ortodossia” ( T. Sardella, “Simmaco e lo
scisma laurenziano: dalle fonti antiche alla storiografia moderna” in Il papato di San Simmaco, Atti del
Convegno Internazionale di studi (Oristano 19-21 novembre 1998), cur. G. Mele -
N. Spaccapelo, Cagliari 2000, p. 34). La notizia era stata già riportata dallo
storico sassarese Giovanni Francesco Fara, nel primo libro del De rebus Sardois, pubblicato a Cagliari
nel 1580 presso la tipografia di Nicolò Canyelles, (I. F. Farae De rebus
Sardois I, Introduzione E. Cadoni, ed. e note A. M. Pintus, trad. it. G.
Lupinu, Sassari 1992, p. 176). Sulle due biografie di Simmaco, quella del Liber pontificalis e quella del Fragmentum Laurentianum si veda T. Sardella, Società Chiesa e Stato nell’età di Teoderico. Papa Simmaco e lo scisma
laurenziano, Soveria Mannelli 1996, pp. 12-15.
[2] Le notizie sull’edilizia
religiosa fornite dal Liber pontificalis fanno di Simmaco “uno dei papi in tal
senso politicamente più operosi” (Sardella,
Società, p. 165). In un recente
contributo M. Cecchelli
(“Interventi edilizi di papa Simmaco”, in Il
papato di San Simmaco, p. 120) ritiene che si debba prestar fede al Frammento Laurenziano ed attribuire a
Simmaco la dedica della basilica solo “a un santo dei poveri: san Martino”.
[3] Sull’ambiguità del termine
“conversione” in sede storiografica si è soffermato S. Calderone, “Letteratura costantiniana e ‘conversione’ di
Costantino”, in Costantino il Grande
dall’antichità all’umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico
(Macerata 18-20 Dicembre 1990), cur. G.
Bonamente – F. Fusco, Macerata
1992 pp. 231-252. Si veda ora la riflessione di Nicola Baglivi, “Costantino «segno di contraddizione»: il tempo e le
maschere di Costantino”, in “Augustinianum” 41,2 (2001), pp. 393-407.
[4] Per quanto concerne la
figura di papa Silvestro rimando agli studi di V. Aiello, in particolare: “Costantino, la lebbra e il
battesimo di Silvestro”, in Costantino il
Grande, pp. 16- 58; “Cronaca di una eclisse. Osservazioni sulla vicenda di
Silvestro I vescovo di Roma”, in Il
Tardoantico alle soglie del Duemila. Diritto Religione Società, Atti del
Quinto Convegno Nazionale dell’Associazione di Studi Tardoantichi, cur. G. Lanata, pp. 229-248.
[5] Sulla problematica relativa
al battesimo di Costantino, discussione ancora aperta, non è mia intenzione
soffermarmi in questa sede.
[6] S. Boesch, “Le metamorfosi del racconto”, in Lo spazio letterario di Roma antica,
dir. G. Cavallo – P. Fedeli – A. Giardina, Roma 1990, t. 3, p. 219
[7] Decret. Gelas. (ed. E. von Dobschütz, T.U. 38, 4, Leipzig, p.
42): ...a multis ... in urbe Roma
catholicis legi cognovimus et pro antiquo usu multae hoc imitantur ecclesiae.
Il testo risalirebbe nella sua forma definitiva al principio del VI sec. (P. Siniscalco in Patrologia IV. Dal Concilio di
Calcedonia (451) a Beda. I Padri latini, cur. A. Di Berardino, Institutum Patristicum Augustinianum, Genova
1996, p. 129).
[8] Boesch, “Le metamorfosi”, pp. 219 s. Cf. inoltre Aiello,
“Costantino”, p. 56. Per gli Actus Beati Sylvestri: B. Mombritius, Sanctuarium seu Viate Sanctorum, rist. an.
[10] In questo modo Silvestro,
personaggio storico di esiguo rilievo si avviava a diventare “figura
emblematica di vescovo, dotata ... di forte carisma e di efficace autorità
mondana” (Aiello, “Costantino”,
p. 56); cf. Pohlkamp, “Privilegium ecclesiae Romanae”, pp. 425
ss.
[11] Cf. E. Wirbelauer, Zwei
Päpste in Rom: der Konflikt zwischen Laurentius und Symmachus (418-514),
München 1993, pp. 228-341; Sardella, Società,
pp. 35 ss.; V. Aiello,
“Cassiodoro e la tradizione su Costantino”, in Cassiodoro. Dalla corte di Ravenna al Vivarium di Squillace, Atti
del Convegno Internazionale di Studi (Squillace, 25/27 ottobre 1990), cur. S.
Leanza, Soveria Mannelli 1994, pp. 141 s.; P.
V. Aimone, “Gli autori delle falsificazioni simmachiane”, in Il papato di Simmaco, pp. 53-78; S. Vacca, “Il principio “Prima Sedes a
Nemine Iudicatur”. Genesi e sviluppo fino a papa Simmaco (498-514)”, in Il papato di san Simmaco, pp. 183-188.
[12] Sulla lettera di Avito a Clodoveo: M.
Reydellet, La royauté dans la
littérature latine de Sidoine Apollinaire à Isidore de Séville, Rome 1981,
pp. 94 – 113; M. Rouche, Clovis, Paris 1996, pp. 400 – 410; F. Monfrin, “La conversion du roi et des
siens”, in Clovis, histoire et mémoire,
dir. M. Rouche,
Paris 1997, t. I, pp. 305 ss.
[13] Sui rapporti tra Avito e
Simmaco: Sardella, Società, pp. 153-157; Vacca, Il principio, pp. 180-
[14] Avit. epist.
46 (41) (ed. R. Peiper, MGH AA, t. VI, 2, Berlin 1883, pp. 75-76); Rouche,
Clovis, p. 403.
[16] Alc. Avit. epist. 46 (41) (p. 76, 8-11): ...ut, quia Deus gentem vestram per vos ex
toto suam faciet, ulterioribus quoque gentibus, quas in naturali adhuc ignorantia
constitutas nulla pravorum dogmatum germina corruperunt, de bono thesauro
vestri cordis fidei semina porrigatis. Cf. Reydellet, La royauté,
p. 103; Rouche, Clovis, p. 410. Per quanto concerne
l’aspetto del sovrano barbaro che diviene l’apostolo del suo popolo: Monfrin, “La conversion”, pp. 303 ss. La figura dell’imperatore come “maestro
di verità” è presente nella Vita e
nella Laudatio di Costantino composte
da Eusebio di Cesarea, come ha recentemente sottolineato Brunella Moroni, “L’imperatore come allievo e
come maestro, in alcuni autori tardoantichi. Fra tradizione pedagogica classica
e ‘prospettiva carismatica’ “, in Tra IV
e V secolo. Studi sulla cultura latina tardoantica, cur. I. Gualandri, Quaderni di Acme 50, Milano 2002, pp.
14 ss.
[19] Ibid.,
pp. 112 s.; con questo sovrano merovingio “c’est la royauté qui se soumet à
l’Église” (ibid., p. 109). L’analisi condotta dalla
Monfrin sui termini arbiter, eligere e iudicare, utilizzati da Avito in riferimento a Clodoveo ha
evidenziato che con il battesimo il re franco ha acquisito la funzione di
giudice e legislatore e che pertanto con la sua conversione “Clovis transforme ipso facto la nation barbare en corps
politique légalement institué” (“La conversion”, p. 311).
[20] Come precisa il Reydellet, ad Avito “plus pénetré que Grégoire de l’idée
de l’Empire, il ne lui vient pas à l’esprit de comparer Clovis à Constantin” (La royautè, p. 108, n. 84).
[22] A differenza dei concili di
Agde e di Yenne, autorizzati dai re visigoti e burgundi, ma convocati
rispettivamente da Cesario di Arles e Avito di Vienne, il Concilio di Orleans
fu convocato e riunito da Clodoveo “à la manière des empereurs romains
chrétiens” (J. Heuclin, “Le
concile d’Orléans de 511, un premier concordat?”, in Clovis I, p. 436).
[23] L. Pietri, “Culte
des saints et religiosité politique dans
[24] Liber pont. (p. 271): Eodem tempore venit
regnus cum geminis praetiosis a rege Francorum Cloduveum christianum, donum
beato Petro apostolo. Sul significato del termine regnus = corona, diadema cf. Rouche,
Clovis, pp. 494 s.; lo studioso fa
notare che la grafia del nome di Clodoveo presente nel testo è garanzia
dell’autenticità della notizia (ibid.,
p. 495).
[25] Actus Sylv. (Mombritius, p. 513): octava die processit albis depositis totus mundus et salvus: et veniens
ad confessionem apostoli Petri ablato diademate capitis totum se planum
proiicens in faciem tantam illic lachrymarum effudit multitudinem: ut omnia
illa insignia vestimenta purpurea infunderentur. Il dono del diadema
offerto alla tomba di Pietro appare come topos
letterario: è presente nel Sermo sancti
Augustini cum pagani ingrederentur, in cui leggiamo che in occasione di un adventus a Roma l’imperatore ha deposto
il diadema sulla tomba di Pietro: Ibi est
sepulcrum piscatoris, ibi templum est imperatoris... Venit imperator. Videamus
quo currerit, ubi genua figere voluit: in templo imperatoris, an in memoria piscatoris?
Posito
diademate, pectus tundit ubi est piscatoris corpus (Sermo n°
[28] Greg. Tur. hist. II
30. Nel recente studio dedicato a Clodoveo, M. Rouche sostiene che il processo
di conversione di Clodoveo è durato sette anni (Clovis, pp. 253 ss.); su alcune tesi proposte dallo storico
francese ha espresso alcune perplessità S.
Pricoco nella recensione a questa monografia, apparsa in RSI 109 (1997),
pp. 1075 – 1092. Si veda inoltre Monfrin,
“La conversion”, pp. 298 ss.
[29] Greg. Tur. hist. II
30. Sull’influenza esercitata da Clotilde (la cui santità reale è stata
consacrata dalla Vita Chrotildis,
scritta intorno al 956-960, sotto il regno di Lotario): Rouche, Clovis,
pp. 244 ss.; G. Scheibelreiter,
“Clovis, le païen, Clotilde, la pieuse. À propos de la mentalité
barbare”, in Clovis I, pp. 348 – 367; C. Thiellet, “La sainteté royale de Clotilde”, in Clovis II, pp. 147 – 154. Il riferimento alla fede
della sposa è presente anche nella preghiera del re degli Iberi, riportata da
Rufino in Hist. Eccl. I 10 (Monfrin, “La conversion”, p. 301). Il
ruolo di Clotilde e, più in generale, dell’elemento femminile nella
cristianizzazione dell’aristocrazia franca è stato segnalato da M. Cristiani, “La sainteté féminine du
haut Moyen Âge. Biographie et valeurs”, in Les fonctions des saints, pp. 391 ss.
[30] Lact. mort. persecut. 44, 5; Eus. Caes. Vita C. 1 28ss (si veda il commento in Eusebio di Cesarea, Sulla Vita di Costantino, Introduzione,
traduzione e note a cura di L. Tartaglia, Napoli 1984, p. 59 n. 80); Rufin. hist. eccl. IX 9.
[31] Greg. Tur. hist. II 30 (p.76, 14-15): ... conpulsus
est confiteri necessitate... Secondo
Marc Reydellet, Gregorio “avait ses raisons pour insister sur l’aspect
«miraculeux» de la conversion du roi (La
royauté, p. 102).
[32] Greg. Tur. hist. II 31 (p. 76, 7). Come ha ben
sottolineato Michel Rouche, Clodoveo “doit choisir entre le baptême et le
diadème, entre la nouveauté et la conservation
des coutumes ancestrales” (Clovis,
cit., p. 257).
[33] Greg. Tur. hist. II 31 (p. 76, 9-11): At ille ait: «Libenter te, sanctissime
pater, audiebam; sed restat unum, quod populus, qui me sequitur, non patitur
relinquere deus suos; sed vado et loquor eis iuxta verbum tuum». Gregorio vuole sottolineare che l’atteggiamento di
Clodoveo è quello di un vero capo e lo contrappone implicitamente a quello del
burgundo Gundebaudo, che aveva chiesto al vescovo di Vienne, Avito, di essere
battezzato di nascosto. Lo storico fa pronunciare ad Avito un discorso ricco di
citazioni bibliche nel quale afferma che Gundobaudo teme il suo popolo e non sa
che questo lo seguirebbe nella professione di fede, perché egli è il capo del
popolo e non il contrario: Metuens enim
populum, o rex, ignorans, quia satius est, ut populus sequatur fidem tuam, quam
tu infirmitate faveas populari. Tu enim es capud populi, non populus capud tuum
(hist. II 34, p. 82, 10-12). Nel
riportare la vicenda Gregorio di Tours si avvale del principio espresso dallo
stesso Avito di Vienne nella lettera scritta a Clodoveo per la conversione,
secondo cui il re ha la possibilità di convincere il popolo ad abbracciare la
sua stessa fede.
[34] Per
[35] Greg. Tur. hist. II 31 (p. 77, 1-2). Secondo la
tradizione il battesimo di Clodoveo è avvenuto il giorno di Natale; sul suo
significato simbolico: B. Favarque,
“Le baptême de Clovis, ouverture du millénaire des saints”, in Clovis I, pp. 271- 285.
[36] Greg. Tur. hist. II 31 (p. 77, 8-9). Per il
problema relativo alla facies
ortografica e morfosintattica di quest’opera di Gregorio di Tours: G. Orlandi, “Un dilemma editoriale:
ortografia e morfologia nelle historiae
di Gregorio di Tours”, in “Filologia mediolatina” 3 (1996), pp. 35-71
[37] Greg. Tur. Hist. II 31 (p. 77, 11-13). Sidonio
Apollinare in una lettera del 474 (ep.
IX 7) loda i declamatiorum volumina
di Remigio di Reims. Sull’importanza della cultura nell’agiografia merovingia: M. Heinzellmann, “Studia Sanctorum. Éducation, milieux
d’instruction et valeurs éducatives dans l’hagiographie en Gaule jusqu’à la fin
de l’époque mérovingienne”, in Haut Moyen
Âge: culture, éducation et société, Études offertes à P. Riché, 1990, pp.
105-138.
[38] Secondo il Reydellet, anche
se non è “habituel” considerare Gregorio come un pensatore politico, è tuttavia certo che nelle Historiae si possono rintracciare
“certains attitudes mentales” (La royauté, p. 363).
[40] Gelas. epist. 8. Cf. Actus Sylv.: illi soli opportet nos colla submittere (Mombritius, p. 530). L’espressione
è stata intesa anche come un invito a deporre il collare, simbolo del potere
politico e religioso dei re germanici, da E.
Demougeot, “Grégoire le Grand et la conversion du roi germain au VIe
siècle”, in Grégoire le Grand,
Colloques Internationaux du C.N.R.S., Chantilly 15 – 19 septembre 1982, Actes
publiés par J. Fontaine – R. Gillet –S. Pellistrandi, Paris 1986, p. 195; cf. Rouche, Clovis, pp. 280ss.
[41] I vescovi riuniti al
Concilio di Orleans avevano scritto una lettera a Clodoveo, definendolo “figlio
della Chiesa”: Domno suo catholicae
ecclesiae filio Chlothouecho gloriosissimo regi omnes sacerdotes, quos ad
concilium uenire iussistis (Concilia
Galliae, CCh 148, B, p. 4); cf. Rouche,
Clovis, cit., pp. 336 ss. e 448 ss. Su questa espressione, risalente ad Ambrogio di Milano, si veda A. Dubreucq, “Fils de l’Église: genèse
et développement d’une conception chrétienne du pouvoir royal”, in Clovis I, cit., pp. 85 – 101.
[42] Già nelle opere di Ambrogio
di Milano la clementia, virtus imperatoria nella concezione
classica, unita alla fides
caratterizza gli imperatori cristiani; cf. F.
E. Consolino, “L’optimus princeps
secondo s. Ambrogio: virtù imperatorie e virtù cristiane nelle orazioni funebri
per Valentiniano e Teodosio”, in “Rivista Storica Italiana” 96,3 (1984), pp.
1042 ss.; M. Sordi, “La
concezione politica di Ambrogio”, in I
Cristiani e l’Impero nel IV secolo, Colloquio su Cristianesimo nel mondo
antico, a cura di G. Bonamente - A. Nestori, Macerata 1988, pp. 149 s. La mansuetudo di Teodorico è lodata nel
panegirico composto da Ennodio di Pavia (F. Delle
Donne, “Teoderico rex genitus.
Il concetto della nobiltà di stirpe nel panegirico di Ennodio” in “Invigilata
Lucernis” 20, 1998, p. 76).
[43] In quest’opera Ambrogio,
secondo L. Cracco Ruggini, “appare più che altro proteso a catturare alla sua Chiesa, definitivamente, un’immagine
stilizzata di Principe cristiano ideale, modello e monito per i successori”
(“Il 397: l’anno della morte di Ambrogio”, in Nec timeo mori, Atti del Congresso internazionale di studi
ambrosiani nel XVI centenario della morte di sant’Ambrogio (Milano, 4-11 aprile
1997), a cura di L. F. Pizzolato- M. Rizzi, Milano 1998, p.12). Secondo Marc
Van Uytfanghe, sebbene la figura dell’imperatore tratteggiata nel De obitu Theodosii non generi il tipo
del santo re, “il en prépare l’avenir médiéval” (“La typologie de la sainteté
en Occident vers la fin de l’Antiquité (avec une attention spéciale aux modèles
bibliques)”, in Scrivere di di santi,
Atti del II Convegno di Studio dell’AISSCA (Napoli 22 – 25 ottobre 1997), a
cura di G. Luongo, Roma 1998, p. 25. Peraltro anche nella biografia
costantiniana composta da Eusebio il “sovraccarico morale, ideologico,
agiografico ... intendeva rapportare il Costantino reale al modello di
imperatore cristiano da proporre” (N.
Baglivi, “Da Diocleziano a Costantino: un punto di riferimento
‘storiografico’ in alcune interpretazioni tardoantiche”, in Costantino il Grande, p. 65. Le
differenze che intercorrono tra Ambrogio ed Eusebio nella delineazione dei due
imperatori corrispondono alla “diversa ideologia politica dei due scrittori”
(V. Aiello, “Il tempo del potere
negli auspici di Ambrogio vescovo di Milano”, in Tempo sacro e tempo profano. Visione laica e visione cristiana del
tempo e della storia, a cura di L. De Salvo – A. Sindoni, Soveria Mannelli
2002, p. 127).
[44] Il De obitu Theodosii di Ambrogio “ci conserva il primo bilancio della
svolta religiosa di Costantino e della storia dell’impero romano cristiano” (M. Sordi, “I rapporti di Ambrogio con
gli imperatori del suo tempo”, in Nec
timeo mori, p. 116). Cf. N. B. McLynn,
Ambrose of Milan. Church and Court in a
Christian Capital, Berkeley-Los Angeles-London 1994, pp. 355 ss.; F. E. Consolino, “Teodosio e il ruolo del
principe cristiano dal de obitu di
Ambrogio alle storie ecclesiastiche” , in “Cristianesimo nella storia 15
(1994), pp. 257-277).
[46] Peter Brown sostiene che
Ambrogio, conoscendo le norme che regolavano l'uso della parrhesia, nello scontro conTeodosio per il massacro di Tessalonica
si sia atteggiato "volutamente a filosofo" (Potere e Cristianesimo nella Tarda Antichità, Roma – Bari 1995
(trad. it.), p. 161.
[48] M. Sordi, “La tradizione dell’inventio crucis in Ambrogio e in Rufino”, in RSI 44,1 (1990), p. 1.
Ambr. obit. Theod. 48 (SAEMO 18, p.
246): …ut potestas regat sitque iusta moderatio, non iniusta praeceptio)
e 49 (p. 248): …Prona enim potestas in
uitium ferebatur et more pecudum uaga sese libidine polluebant, ignorabant
deum. Restrinxit eos crux domini et reuocauit a lapsu impietatis, leuauit
oculos eorum, ut Christum in caelo quaererent. Nel De obitu Theodosii Ambrogio esalta Teodosio perché ha saputo
conciliare il potere con la moderazione, permettendo al suo regnum di rimanere res publica (M. Sordi,
“La morte di Teodosio e il ‘De obitu Theodosii’ di Ambrogio”, in ACD 36, 2000,
pp. 131-136).
[49] Ambr. obit. Theod. 40 (SAEMO
18, p. 240). Sul
concetto dell’hereditas fidei come
momento centrale della difesa della continuità dinastica nel De obitu Theodosii cf. G. Bonamente, “Potere politico e
autorità religiosa nel “De obitu Theodosii” di Ambrogio”, in Chiesa e Società dal secolo IV ai nostri
giorni: Studi storici in onore del P. Ilarino da Milano, Roma 1979, t. I,
pp. 83ss.
[50] Tale tradizione è filtrata
dalle elaborazioni degli autori delle generazioni successive il cui
atteggiamento nei confronti dei barbari era mutato rispetto a quello di
Ambrogio (cf. S. Pricoco,
“Romanità e teologia politica nel De
contemptu mundi di Eucherio di Lione”, in Monaci, Filosofi e Santi. Saggi di storia della cultura tardoantica,
Soveria Mannelli 1992, pp. 117 – 130. Il Teodosio ‘ambrosiano’ è stato
consegnato alla tradizione anche dal Panegirico composto da Paolino di Nola,
ora perduto, ma circolante in età tardoantica. In quest’opera, che può considerarsi
“indubbiamente un novum nella
letteratura panegiristica tardoantica” (S. Pricoco,
“Ancora sul Panegirico di Paolino di Nola per Teodosio e il nuovo concetto
cristiano del potere imperiale”, in “Cassiodorus” 4 (1998), p. 245), la figura
del sovrano è modellata “secondo quella nuova dottrina politica che Ambrogio
aveva espresso in tanti scritti e messo concretamente in opera in clamorose
iniziative" (ibid. p. 244). Per
la persistenza del modello imperiale secondo la concezione ambrosiana in Avito
di Vienne, Monfrin, “La
conversion”, pp. 311 s.
[52] Cf. Ph. Bernard, “Fides vestra nostra victoria est. Avit
de Vienne, le baptême de Clovis et la théologie de la victoire tardo-antique”,
in Clovis chez les historiens, Études
réunies par O. Guyotjeannin, BEC 154 (1996), pp. 47-51; J.-P Martin, “La mystique de
[53] L. Pietri, La ville de Tours du IVe au VIe siècle:
naissance d’une cité chrétienne, Collection de l’École Française de Rome
69, Roma 1983, pp. 197s.
[55] Ven. Fort. virt. Hil. 20; 22 (MGH, AA IV, 2, Berlin
1885, rist. 1961, p. 9, 26-30; 35-36). S.
Pricoco ha sottolineato l’importanza dei testi agiografici di Venanzio
Fortunato “per le indicazioni che offrono sul pubblico al quale sono destinati,
sulle sue idee, sul suo grado di cultura e per i modelli di santità che vi si
elaborano e per altri aspetti della storia della mentalità connessi con quei
modelli” (“Gli scritti agiografici in prosa di Venanzio Fortunato”, in Venanzio
Fortunato tra Italia e Francia, Atti del Convegno internazionale di studi
(Valdobbiadene – Treviso, 17-19 maggio 1990), Dosson (Treviso) 1993, p. 176).
[56] Eus. Caes. Vita C..
I 38, 2-5. Eusebio ha condotto la narrazione dello scontro decisivo tra
Costantino e Massenzio basandosi sull’exemplum
di Mosè, “un vero e proprio Leitmotiv
del I e II libro della VC” (Eusebio
di Cesarea, Sulla Vita di Costantino,
Introduzione, traduzione e note a cura di L. Tartaglia, Napoli 1984, p. 48, n.
37). Eusebio afferma che al suo ingresso nella capitale tutti avevano acclamato
Costantino “liberatore” (λυτρωτής):
l’impiego di tale termine neotestamentario, adoperato in Act
[57] La presenza intertestuale classica, biblica e
patristica nella poesia di Venanzio Fortunato è stata indagata da A. V. Nazzaro, “Intertestualità
biblico-patristica e classica in testi poetici di Venanzio Fortunato”, in Venanzio Fortunato tra Italia e Francia,
pp. 99-135.
[58] L. Pietri,. “Culte des saints”, pp. 364 – 368; Ead., “Venance Fortunat et ses
commanditaires: un poète italien dans la société gallo-franque”, in Committenti e produzione
artistico-letteraria nell’Alto Medioevo, XXX Settimane di Studio del Centro
Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (4-10 aprile 1991), Spoleto 1992, p. 751
s.
[59] L. Pietri, “Venance Fortunat et ses commanditaires”, cit., pp.
749 s. Venanzio Fortunato, che si era proposto di acculturare i sovrani
merovingi, aveva loro attribuito i modelli comportamentali della nobilitas romana, cf. B. Brennan, “The image of the Frankish
kings in the poetry of Venantius Fortunatus” in “Journal of Medieval History”
10 (1984), pp. 1-11. Secondo M. Rouche, dedicare le opere letterarie ai re
germanici è stato da parte di Venanzio Fortunato un atto di propaganda romana,
un tentativo politico di assimilazione nella civilizzazione cristiana
rappresentato dalla Res publica, il
solo Stato degno di questo nome (“Miroirs des princes au miroir du clergé?”, in
Committenti e produzione artistico
letteraria, p. 351).
[60] Nell’indagine sui rapporti
tra Venanzio Fortunato e Gregorio di Tours il Reydellet è giunto alla
conclusione che tra i due scrittori vi fosse una totale comunione di pensiero,
anche se rileva che questa sincera amicizia “resta toujours marquée par la
distance que le rôle social des deux mettait entre eux” (“Tours e Poitiers: les
relations entre Grégoire et Fortunat”, in Grégoire
de Tours et l’espace gaulois, Actes du Congrès International (Tours, 3 – 5
novembre 1994), a cura di N. Gauthier – H. Galinié, Tours 1997, p. 167).
[61] Elemento importante per la
“constantinisation” di Clodoveo da parte di Gregorio è, secondo