N. 8 – 2009 – Memorie//Africa-Romana
Università
di Siena
Scambi
culturali e persistenze: il paganesimo nell’Africa Proconsolare cristiana
(pubblicato in L’Africa romana. Mobilità delle persone e dei popoli,
dinamiche migratorie, emigrazioni ed immigrazioni nelle province occidentali
dell’Impero romano. Atti del XVI convegno di studio. Rabat, 15-19
dicembre
Sommario: 1.
Il paganesimo africano tra IV e V secolo d.C.
– 2. Culti, templi e sacerdozi pagani nella
Proconsularis tardo-antica.
– 3. L’incontro-scontro
tra pagani e cristiani nelle province africane.
Nel 399 sant’Agostino rivolse un
appello per distruggere i simulacri pagani ancora presenti in Africa: Si ergo dii Romani Romae defecerunt, hic
quare remanserunt?[1].
Trascurando deliberatamente l’ancora forte paganesimo urbano, le
preoccupazioni del vescovo di Ippona volevano riflettere una realtà
provinciale, dove le persistenze dei culti tradizionali sembravano proseguire
oltre la loro pratica nella città che li aveva generati.
Questo stato di fatto non poteva che
suscitare indignazione e la convinzione che bisognasse eliminare in ogni modo
le tracce dell’antica superstitio.
I cristiani dell’Africa cercarono pertanto di estendere quanto più
possibile l’applicazione delle disposizioni emanate dal potere centrale,
che prescrivevano pene sempre più severe per chi ricorreva a sacrifici,
pratiche magiche o auspicali.
La volontà di cancellare le false
divinità fu però ostacolata da resistenze non facilmente
debellabili: i vari centri erano spesso ancora [p. 884] in mano ad un
élite municipale profondamente romanizzata, persuasa che solo il
perpetuarsi dei culti per gli dei potesse garantire la sopravvivenza delle
città. Del resto il sacco di Alarico del 410 aveva fatto dubitare molti
della capacità del Dio dei cristiani di difendere i suoi fedeli e aveva
portato a sostenere la necessità di tornare ad invocare la protezione
delle divinità romane. Le costituzioni emesse dai vari imperatori non
sempre trovavano dunque l’appoggio del senato locale e frequenti sono i
casi in cui rimasero inevase[2].
La frequentazione di santuari e i sacrifici
ivi praticati per tutto il iv
secolo dimostrano come non solo i pagani non si preoccupassero delle reiterate
disposizioni contro l’idolatria, ma anche che gli stessi magistrati
municipali, addetti a far rispettare tali leggi, erano spesso a favore dei riti
tradizionali. Si aggiunga che, nonostante le pene previste per i funzionari
imperiali scoperti ad osservare pratiche pagane, per tutto il iv secolo e gli inizi del successivo
si susseguirono al proconsolato della provincia noti esponenti pagani. Non a
caso Salviano, ribadendo una sorta di sincretismo pagano-cristiano in Africa
(vedi infra), sostiene che erano
soprattutto i nobili e i potenti quelli più legati agli idoli pagani[3].
Il presente studio intende quindi
individuare, a partire da Costantino in poi, l’esistenza di funzionari
provinciali e municipali pagani, nonché la loro attività edilizia
a favore dei vari templi.
Sulla base delle testimonianze letterarie,
epigrafiche ed archeologiche, è in effetti possibile rintracciare la
persistenza del culto [p. 885] tradizionale in Africa; analisi che, in questa
sede, si è preferito circoscrivere alla Proconsolare.
Al regno di Costantino risalgono almeno due
interventi locali a favore di santuari: tra 324 e 326 fu dedicato un tempio
nella città di Belalis Maior[4];
mentre, tra 331 e 333, restauri al portico del tempio cartaginese di Cibele e
Attis furono fatti eseguire da L. Aradius
Valerius Proculus, proconsole provinciale che assunse numerosi sacerdozi
romani[5].
Pagano era anche il vicario della diocesi
d’Africa dal 338 al 339 Aco
Catullinus (signo Philomatius), in seguito destinatario di una legge sulla
salvaguardia dei templi[6].
Sotto la reggenza sua e del proconsole Aurelius
Celsinus (337-338 o 338-339), ad Avitta
Bibba fu restaurato, ad opera di Imbrius
Geminius Faustin[us?], il fanum
di Mercurio[7].
Per tutto il restante regno di Costanzo non
sono attestate iniziative in tal senso nella provincia, nonostante vari pagani
si fossero alternati al governo, tra cui L.
Crepereius Madalianus e M. Aurelius Consius Quartus, che
ricoprirono alcuni sacerdozi, Saturninius
Secundus Salutius, poi consigliere di Giuliano, e Memmius Vitrasius Orfitus, noto per avere costruito un tempio ad
Apollo a Roma[8].
Per una ripresa dei culti nella Proconsularis sembra si debba [p. 886]
attendere la riforma dell’imperatore Giuliano, che ridiede vigore al
paganesimo e che fu verosimilmente ben accolta in tutta l’Africa.
Sembrano dimostrarlo le numerose iscrizioni
a lui dedicate nella diocesi, tra cui due lo indicano come colui che aveva
ripristinato i riti sacri e la religio
romana ed anche le attività edilizie promosse sotto il suo regno[9].
Il proconsolato d’Africa era allora in mano a Clodius Octavianus, che era anche pontifex maior; mentre sacerdote provinciale era Basilius Cirrenianus Restitutus, parente
di due sacerdoti di Calama:
l’augure Basilius Flaccianus ed
il flamen Basilius Cirrenianus[10].
Fu suo successore Claudius Hermogenianus Caesarius (365/366), di cui si ricordano i
vari sacerdozi e il restauro del tempio urbano del Bonus Eventus[12].
A Calama è celebrata
l’attività edilizia di Q.
Basilius Flaccianus, flamen perpetuus, curator rei [p. 887] publicae e augur municipale: i due testi che vi fanno riferimento sono
databili al governo di Publius Ampelius[13].
Iulius
Festus Hymetius,
proconsole tra 366 e 368, cercò di ravvivare i sacerdozi provinciali;
non a caso gli africani eressero in suo onore statue a Cartagine e a Roma. Il
suo tentativo ebbe però vita breve: nel 368 Hymetius fu esiliato, in quanto accusato di essere ricorso
all’aruspice Amanzio e alle sue pratiche magiche per conquistare il
favore di Valentiniano[14].
Al regno di questo imperatore si
riferiscono le ultime attestazioni dei sacerdozi tradizionali in Africa:
proprio a Valentiniano, tra 364 e 375, è dedicata una base a Sicca Veneria dal pontefice Aemilius [---] Cassius Donatus[15].
Mentre nell’album di Thamugadi (CIL viii, 2403 = ILS,
6122), databile tra 364 e 367, sono attestati i pontefici Plotius Romulus, Ulpius Purpurius, Horatius
Maximus, Aelius Bibianus, e gli
auguri Iulius Victorinianus, Flavius Pullentius, Plotius Paulinianus, Sessius Cresconius; sono inoltre presenti vari flamines perpetui e sacerdoti provinciali. In merito a questi
ultimi, va sottolineata la lunga permanenza delle cariche legate al culto
imperiale: esse avevano ormai perso il loro valore religioso per diventare un
semplice omaggio all’imperatore. Nel
v e vi secolo il flaminato
perpetuo ed il sacerdozio provinciale non avevano più la funzione
originaria, sopravvissuta ancora sotto Giuliano, e si erano ridotti a semplici
titoli onorifici per l’aristocrazia municipale, tanto che anche cristiani
ricoprirono queste cariche[16].
[p. 888] Tornando al regno di Valentiniano,
non va tralasciato che sotto il proconsolato di Sextius Rusticus Iulianus (tra 371 e 373), un tempio per una
divinità ignota venne dedicato a Teboursouk[17].
Non sono attestate iniziative simili ad
opera del suo successore Simmaco (proconsole nel 373-374), di cui ben note sono
le convinzioni religiose. Una base di Cartagine innalzata dal famoso autore
potrebbe essere messa in connessione con una statua della dea Vittoria,
rinvenuta nello stesso luogo (l’anfiteatro)[18]:
si tratta solo di un’ipotesi, che risulta comunque particolarmente
interessante vista la polemica sull’altare urbano della Vittoria e la
strenua difesa di esso da parte di Simmaco[19].
Si aggiunga che Ulpius Egnatius Faventinus, governatore della Numidia
tra 364 e 367, aveva posto nella basilica di Cuicul proprio una statua della Vittoria, come sorta di risposta
locale alla polemica infuriata a Roma[20].
Comunque sia all’epoca di Simmaco a
Cartagine erano ancora frequenti le processioni e gli spettacoli, che lo stesso
Agostino ammette di aver visto in gioventù (forse tra 370 e 383): in
particolare quelli legati al culto della dea Caelestis e di Cibele, divinità verosimilmente assimilate[21].
L’importanza di Caelestis in
Africa ancora nel iv secolo
è sottolineata da Salviano, secondo cui non solo i pagani, ma anche
alcuni cristiani erano devoti a tale divinità[22].
Il culto del Genio di Cartagine è invece attestato da
sant’Agostino ancora nel 399 (o nel 407-408): egli ribadisce
l’esistenza di un altare, di una statua e di riti tributati dagli
abitanti a tale divinità[23].
Inoltre il famoso santuario di Saturno nei pressi della città (sul mons Balcaranensis) fu frequentato sino
alla fine del iv secolo, quando
venne distrutto evidentemente ad opera di cristiani[24].
Sempre a Cartagine erano poi presenti
aruspici: Agostino ricorda di aver rifiutato la proposta di uno di loro, che si
era offerto di sacrificare animali e ricorrere a riti segreti per fargli
ottenere la vittoria in una gara poetica[25].
[p. 890] La persistenza pagana nella
capitale provinciale non si limitava alla celebrazione di antichi culti o alle
pratiche magiche di sacerdoti e ciarlatani (come sembra essere l’aruspice
citato): negli ultimi due decenni del iv
secolo e nel primo del v vari
furono ancora i senatori pagani inviati a governare la Proconsolare. Tra 383 e
388 fu proconsole V[---]adius,
dedicante di un’aedes restaurata
a Hr. Morabba (nei pressi di Djebel Morabba); tra 389 e 390 ebbe
l’incarico Latinius Pacatus
Drepanius, che compose nel 389 un panegirico a Teodosio, da cui traspare la
“fede ellenica” dell’autore[26].
Dovevano ugualmente seguire gli ideali religiosi dell’ellenismo
tardo-antico: Marcianus (proconsole
nel 394), forse poi convertitosi (vedi infra),
Seranus (397), Gabinius Barbarus Pompeianus (400/401, in base all’onomastica
di probabile origine africana) ed infine Helpidius
(che si suppone sia stato proconsole nel 402)[27].
Ovviamente non bastava che il governatore fosse pagano perché nella
provincia si praticassero i culti; di certo ciò consentiva una maggiore
libertà d’azione ai credenti negli antichi dei.
Così un’iscrizione ricorda
lavori edilizi curati dal flamine perpetuo Geminius
Aurelius Victor, insieme al senato e alla città tutta, ad un tempio, forse dedicato a Venere,
a Bisica Lucana[28].
Sicuramente per questa divinità erano poi il tempio e la statua di Sicca Veneria: danneggiati a latronibus, furono restaurati nel
corso del iv [p. 891] secolo ad
opera di Valerius Romanus, patrono e curatore municipale[29].
Anche a Madauros,
centro dove sant’Agostino aveva studiato (forse tra 365 e 369), molti
erano i pagani[30]:
nella seconda metà del iv
secolo era stata innalzata una statua ad un anonimo patrono della colonia, consularis della provincia di Cipro, che
rivestiva a Roma i sacerdozi di pontifex
dei Solis e augur[31].
Lo scrittore cristiano ricorda poi che nella città, oltre ai misteri di
Libero, si svolgevano riti di stampo dionisiaco, che coinvolgevano i decurioni
ed i notabili locali: forse dovevano essere celebrazioni per la dea Virtus
oppure per Bellona/Mâ[32].
Inoltre solo tra 375 e 383 si riuscì
a destinare a scopi mercantili il locale tempio della Fortuna[33],
mentre ancora nel 390 nella piazza principale vi erano statue pagane, tra cui
due di Marte. Ricaviamo questa notizia dalla scambio epistolare tra lo stesso
sant’Agostino e il grammatico Maximus,
forse suo maestro a Madauros:
quest’ultimo attaccava ironicamente i martiri ed il culto loro tributato,
difendendo altresì un paganesimo monoteista (sosteneva che le
divinità erano solo vari aspetti riconducibili ad un unico dio)[34];
la risposta del [p. 892] vescovo di Ippona confutava ovviamente le asserzioni
di stampo neoplatonico dell’anziano grammatico (Aug., epist., 17).
Nonostante le tesi sostenute da
sant’Agostino e da Maximus
fossero agli antipodi, il loro scambio epistolare dimostra i toni pacati che
assunse a volte il confronto tra intellettuali pagani e cristiani. In effetti,
se a livello popolare l’antipatia reciproca tra le due fazioni era pronta
a sfociare in rivolta o repressione, negli strati più elevati il
confronto tra concezioni religiose diverse favorì, a tratti, lo scambio
culturale.
Altro esempio celebre è quello che
vede coinvolto, oltre a sant’Agostino, Rufio Volusiano, esponente di una
nota gens urbana: egli, insieme ad
altri aristocratici della capitale, si era rifugiato a Cartagine verosimilmente
dopo il sacco di Alarico del 410, e, forse, in quell’occasione aveva
rivestito la carica di proconsole dell’Africa[35].
Egli scrisse una lettera al celebre vescovo con obiezioni ai dogmi del
cristianesimo (incarnazione, verginità di Maria, deviazione dal
giudaismo, ecc.), frutto delle discussioni sviluppate nel circolo pagano
creatosi nella capitale provinciale, e di cui facevano parte non solo senatori
provenienti da Roma, ma anche notabili locali[36].
Agostino non mancò di rispondere ampiamente ai dubbi sollevati
dall’eminente senatore, con toni spesso assimilabili al sermone; inoltre,
anche in seguito alle esortazioni del tribunus
et notarius Flavius Marcellinus a controbattere ulteriori obiezioni
sollevate da Volusiano, il vescovo si accinse a comporre un’opera
fruibile dagli intellettuali pagani: il De
civitate Dei [37].
[p. 893] Questo e gli altri testi composti
all’epoca e, più in generale, lo scambio di opinioni tra circoli
pagani radunatesi nelle principali città africane e le autorità
religiose lì stanziate, portò ad alcune celebri conversioni: lo
stesso Volusiano sembra accogliere, ma solo in punto di morte (nel 437: Vita Mel. 53-55), la religione che
già alcuni membri della sua famiglia avevano abbracciato (in particolare
la nipote santa Melania
A Cartagine Agostino registra nel 401 la
conversione di Faustinus,
sottolineando che appariva dovuta più alla volontà di facilitare
la sua carriera municipale che ad un’intima convinzione[40].
Doveva trattarsi di un esempio di conversione per opportunismo tra i tanti noti
all’epoca: si pensi in particolare agli schiavi e ai sottoposti ad un
nobile o a un proprietario terriero che, se il loro padrone passava al
cristianesimo, abbracciavano in massa la sua fede. Anche qui illuminante
è un passo di Agostino: Ille
nobilis si christianus esset, nemo remaneret paganus[41].
Conversioni poco convinte sono ricordate anche da Salviano, secondo cui vi
erano africani che [p. 894] continuavano a consacrare i nascituri a Caelestis e ad adorare tale
divinità insieme a quella cristiana[42].
Non sempre però si passò da
una religione all’altra in maniera pacifica e il confronto non rimase
circoscritto al dibattito intellettuale, ma degenerò in aperta lotta. In
particolare originarono aspre contese e furono terreno di scontro i santuari
ancora esistenti e frequentati[43].
Nel 399 i comites di Onorio Gaudentius e Iovius devastarono vari templi e statue
nella zona di Cartagine[44].
A questo episodio seguirono distruzioni, non sempre autorizzate, di edifici
cultuali da parte di gruppi estremisti cristiani[45].
Per far fronte a queste eversiones,
nello stesso 399 Onorio inviò ad Apollodoro, proconsole d’Africa,
una costituzione[46],
che comminava pene a chi praticava i sacrifici; allo stesso [p. 895] tempo
vietava le demolizioni di templi, riservandole eventualmente alla decisione
dell’imperatore e all’azione di suoi funzionari. Il decreto fu nel
401 parzialmente modificato, affidando alle curie municipali la salvaguardia di
tali edifici, nonché la loro trasformazione a scopi pubblici profani o
l’eventuale alienazione[47].
In alcuni casi i templi vennero venduti alle autorità ecclesiastiche e
trasformati in chiese; più spesso, per non porsi in aperto contrasto con
i gruppi pagani influenti a livello locale, furono diversamente utilizzati.
Già nel corso del iv secolo vari santuari erano in realtà
stati trasformati: oltre al citato caso del tempio di Madauros[48],
sotto Costanzo a Cuicul in Numidia il santuario di Saturno veniva
adoperato per il commercio delle stoffe[49],
mentre a Mactaris (Byzacena) il tempio di Liber Pater,
divinità tutelare cittadina, era stato adattato a basilica, e i
frammenti architettonici dell’edificio riusati per la costruzione di un ciborium per il culto imperiale[50].
Esemplare invece della persistente opposizione pagana è il caso del
famoso tempio cartaginese per la dea Tanit/Caelestis:
nel 399 il vescovo Aurelius
riuscì ad impossessarsene, dando però origine a diffusi scontenti[51];
nel 421 il tribuno Ursus fu pertanto
costretto a far sparire completamente i resti di quel [p. 896] santuario,
nonostante fosse ormai divenuto cattedrale cristiana[52].
Verosimilmente la fazione pagana era così forte, e non limitata ai soli
ambienti colti, da poter pretendere di ricondurre al culto tradizionale
l’edificio e quindi la demolizione dello stesso era l’unico mezzo
per sedare una rivolta ancor prima che si originasse.
Rari sono comunque i casi di reazione
pagana alle violenze cristiane.
Già nel
Nel frattempo comunque il quadro era
mutato: l’editto di Onorio del 407 permetteva, oltre che ai funzionari
imperiali e municipali, anche ai vescovi di sopprimere le celebrazioni pagane[55].
Lo scambio epistolare di sant’Agostino con Nectarius, attesta una sommossa popolare a Calama, proprio in seguito a tale costituzione[56]:
[p. 897] il nobile pagano invita il celebre teologo a perdonare i suoi
concittadini ed ad intercedere presso i funzionari imperiali per condonare loro
le pene (fisiche e pecuniarie) previste per aver trasgredito le disposizioni
imperiali. Agostino, sostenendo che le violenze dei pagani andavano punite per
la loro stessa salvezza eterna e per prevenire altri episodi, narra gli
avvenimenti intercorsi nel giugno del 408. I pagani di Calama non solo avevano svolto una processione danzante (forse un
rito dionisiaco), ma avevano tirato pietre sulla chiesa locale; alle proteste
del vescovo Possidius, lamentatosi
presso la curia municipale della mancata osservazione della recente legge,
seguì un’ulteriore sassaiola ed una sommossa, che portò
all’incendio della chiesa, alla morte di un chierico e alla fuga dei
restanti prelati[57].
Agostino sottolinea che la rivolta non avrebbe avuto successo se la fazione
pagana non avesse trovato l’acquiescenza delle autorità cittadine
(epist. 91, 8, 7), che non avevano
messo in atto le disposizioni antipagane né fermato i rivoltosi[58].
Pochi anni dopo, le ultime resistenze pagane vennero sostanzialmente messe a
tacere da un nuovo editto: si riferiva in particolare all’Africa la
costituzione del 415 con cui Onorio e Teodosio
ii imposero la chiusura dei templi, la confisca delle loro
proprietà o la destinazione di esse alla chiesa; si ordinava inoltre ai
sacerdoti pagani di abbandonare Cartagine e gli altri centri principali e di
fare ritorno alle loro città[59].
Nonostante in alcune zone, rurali ed interne, siano rintracciabili pagani
ancora per tutto il v secolo, la
frequentazione di santuari e la pratica dei culti sembra allora definitivamente
terminare.
[1] Aug., serm. 24,6; cfr. F. van der Meer, Augustine
the Bishop. The life and work of a father of the Church, engl. trans. by B. Battershaw e G. R. Lamb
(dall’ediz. Augustinus de
zielzorger, Utrecht 1957), London 1961, p. 39; H. Chadwick, Augustine on
pagans and Christians: reflections on religious and social change, in History, Society and the Churches. Essays
in Honour of O. Chadwick,
Cambridge 1985, p. 12. Come Brown rileva in una sua raccolta di studi proprio
su S. Agostino (P. Brown, Religione e società
nell’età di sant’Agostino, Torino 1975, p. 249; trad.
it., a cura di G. Fragnito, di Religion
and Society in the Age of Saint Augustine, London 1972): «Lo storico
della Chiesa tardoromana corre costantemente il rischio di dare per scontata la
fine del paganesimo. Eppure il destino del paganesimo alimentava
l’immaginazione delle comunità cristiane; ed il posto di un
vescovo nella società romana – anzi, tutto il significato del
governo della sua chiesa – era intimamente connesso con la fortuna dei
suoi nemici tradizionali, gli dei pagani».
[2] Cfr. infra e più in generale C. Lepelley, Les Cités de l’Afrique romaine au Bas-Empire, i-ii, Paris 1979-81.
[3] Salv.,
gub. viii, 2, 12; 3, 14. Nei mosaici africani di fine iv secolo, che abbellivano le ville
dei senatori e dei notabili locali, si ritrovano spesso riferimenti a
divinità e miti pagani: si pensi ad es. ai mosaici di Cartagine che
raffigurano un sacrificio a Diana e ad Apollo o che celebrano Attis, Cerere e
Dioniso. Per una lista dei mosaici di iv
secolo con soggetti pagani cfr. A. Merlin,
L. Poinssot, Amours
vendangeurs au gecko (Mosaïque de Thugga), «RevAfr», 100,
1956, pp. 283-300; cfr. G. C. Picard,
[5] Su Proculus,
poi prefetto urbano, cfr. CIL VI,
1690-1691 (= ILS, 1240); Symm., epist. xii,4 ; PLRE
i, Proculus 11, pp. 747-9; A. Chastagnol, Les fastes de la préfecture de Rome au Bas-Empire, Paris
1962, pp. 96-102. Sull’intervento al tempio cartaginese: CIL viii,
24521; Lepelley, Les Cités, cit., ii, p. 14; Z. Benzina Ben Abdallah, Catalogue
des inscriptions latines païennes du Musée du Bardo, Roma 1986,
p. 251. Sul locale culto di Cybele: H. Pavis
d’Escurac, La religion de la
Magna Mater en Afrique, «Bull. Univ. Haute Alsace» 11 (1980),
pp. 55-71.
[6] CTh
xvi,10,3. Su Catullinus, che dedicò in Callaecia un’iscrizione a Giove (CIL ii, 2635), PLRE
i, Catullinus 3, pp. 187-8.
Sua figlia era Fabia Aconia Paulina,
moglie del famoso senatore pagano Pretestato.
[7] CIL viii, 12272 (= EE v, 303); Lepelley, Les
Cités, cit., ii, p.
74; V. Brouquier-Reddè, Temples et Cultes de Tripolitaine, Paris
1992, p. 305. Faustinus, verosimilmente curator
rei publicae, non è altrimenti noto; su Celsinus cfr. PLRE i, Celsinus
4, p. 192.
[8] Su Madalianus cfr. PLRE i, Madalianus, p. 530; T. D. Barnes, Proconsuls of Africa, 337-392, «Phoenix», 39, 1985, p.
146. Su Quartus cfr. CIL VI, 1700 (= ILS, 1249); A. Chastagnol, La carrière du proconsul
d’Afrique M. Aurelius Consius Quartus, «Lybica», 7, 1959,
pp. 191-203; Barnes, Proconsuls, cit., p. 146. Su Salutius
Barnes, Proconsuls, cit., p. 147. Su Orfitus,
CIL VI, 45 (= ILS, 3222); PLRE
i, Orfitus 3, pp. 651-3; Barnes, Proconsuls, cit., p. 147.
[9] S. Conti, Die Inschriften Kaiser Julians, Stuttgart 2004, pp. 170-1 nr. 167; Ibid., p. 177 nr. 176. Al regno di Giuliano è poi databile
una lucerna nord-africana con le raffigurazioni di Giuliano/Helios-Serapide ed
Elena/Iside: cfr. L. Budde, Julian-Helios Sarapis und Helena-Isis,
«AA», 87, 1972, pp. 630-42. Sulle costruzioni giulianee cfr. S. Conti, Attività edilizia e restauri nei centri africani durante il
regno dell’imperatore Giuliano, in L’Africa romana xv,
pp. 1681-91.
[10] Il sacerdozio di Octavianus è attestato in un’iscrizione da Bovianum (CIL ix, 2566 = ILS, 1253); come
governatore provinciale ricorre nel 363 anche in Proconsularis a Thagora (CIL viii,
4647 = ILS, 756 = ILAlg i, 1035); cfr. Amm. xxiii,1,4.
Su
di lui PLRE i, Octavianus 2,
p. 637; R. von Haehling, Die Religionszugehörigkeit der hohen Amtsträger des
Römischen Reiches seit Constantins i.
Alleinherrschaft bis zum Ende der Theodosianischen Dynastie (324-450 bzw. 455
n. Chr.), Bonn 1978, p. 424. Sempre nel 363 era governatore della Byzacena Aginatius, messo poi a morte sotto Valentiniano (375/376)
con l’accusa di magia nera (Amm.
xxviii,1,50-56): PLRE i, Aginatius,
pp. 29-30; A. Chastagnol, Les gouverneurs de Byzacène et de
Tripolitaine, «AntAfr» 1, 1967, pp. 123, 125. Su Restitutus cfr. invece ILAlg
i, 253 (= CIL viii, 5338 = 17488); Lepelley, Les Cités, cit., i,
p. 176.
[11] ILTun 1538 b; Lepelley, Les Cités, cit., ii,
pp. 148-9. Su Publius Ampelius
cfr. PLRE i, Ampelius 3, pp.
56-7.
[12] Su di lui CIL vi, 499 (= ILS,
4147); Amm. xxix,6,19; PLRE i, Caesarius
7, pp. 171-2; Barnes, Proconsuls, cit., pp. 149-50.
[13] CIL viii, 5337 (= ILAlg
i, 254); CIL viii, 5335 (= ILS, 5730 = ILAlg
i, 256). Su Flaccianus cfr. M. S. Bassignano, Il flaminato nelle province romane dell’Africa, Roma 1974,
pp. 301, 303, 305; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 166 nt. 195, 177.
[14] Amm.
xxviii, 1, 19-23. Su Hymetius cfr. CIL VI, 1736 (= ILS,
1256); PLRE i, Hymetius, 447; von Haehling, Religionszugehörigkeit, cit., p. 425; Barnes, Proconsuls,
cit., p. 150; G. Marasco, Agostino e l’aruspice di Cartagine,
in L’Africa romana xii, p. 1557. Sulla politica
religiosa di Valentiniano cfr. J. Rougé,
Valentinian et la religion: 364-365,
«Ktema» 12, 1987, pp. 285-97.
[15] CIL viii, 1636; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 166 nt. 195, 178. Donatus
non è altrimenti
noto. Di un altro pontifex della
stessa città, [---]ius
Faustinianus, non è invece databile l’iscrizione che lo
menziona, comunque tarda: CIL viii, 15878 (= EE v, 627); Lepelley, Les Cités, cit., i,
p. 182.
[16] Sulla funzione dei flamines tardi cfr. G. B. De
Rossi, Come si possa conciliare il
titolo di flamen perpetuus con quello di Christianus,
«BArchCr», iii, 3,
1878, pp. 31-6; T. Kotula, Les
curies municipales en Afrique romaine, Wroclaw 1968, pp. 86-9, 132; Bassignano, Flaminato, cit., p. 63; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 166-7. Sui sacerdotales ancora nel v secolo
cfr. invece A. Chastagnol, N. Duval, Les survivances du culte impérial dans l’Afrique du Nord
à l’époque vandale, in Mélanges d’histoire ancienne
offerts a William Seston,
Paris 1974, pp. 87-118; S. Mazzarino,
Antico, tardoantico ed era costantiniana, i, Bari 1974, pp. 434-9; Lepelley, Les Cités, cit., i,
pp. 367-8; ii, pp. 66-8; A. Chastagnol, Sur les sacerdotales africains à la veille de l'invasion vandale, in
L’Africa romana v, pp.
101-10.
[18] CIL
viii, 24584. Vedi Picard, Carthage, cit., p. 105; Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 349 nt. 68; ii, p. 15. Su di lui PLRE
i, Symmachus 4, pp. 865-71.
[19] Della sterminata bibliografia sulla
controversia per l’ara della Vittoria, mi limito a citare alcuni
contributi più recenti e significativi (e a cui rimando per i
riferimenti bibliografici precedenti): F.
Canfora, Sulla controversia per
l’altare della Vittoria tra pagani e cristiani nel iv secolo, in Studi storici in onore di G. Pepe, Bari 1969, pp. 103-26; R. Klein, Der Streit um den Viktoriaaltar. Die
Dritte Relatio des Symmachus und die Briefe 17, 18 und 57 des Mailänder
Bischofs Ambrosius,
Darmstadt 1972; S. Mazzarino, Tolleranza e intolleranza: la polemica
sull’ara della Vittoria, in Id.,
Antico, tardoantico ed era costantiniana, i, Bari 1974, pp. 339-77; J. Wytzes, Der letzte Kampf des Heidentums in Rom, Leiden 1977; F. Paschoud,
Le rôle du providentialisme dans
le conflit de 384 sur l’autel de
[20] E. Albertini, Une nouvelle basilique
civile à Cuicul (Djemila), «CRAI» 1943, pp. 376-86 (= AE, 1946, 108-109); Lepelley, Les Cités, cit., i,
p. 349; ii, pp. 406-7. Su Faventinus, che ricoprì vari
sacerdozi pagani, cfr. CIL vi, 504 (= ILS, 4153); PLRE
i, Faventinus 1, p. 325; A. Chastagnol, Les consulaires de Numidie, in Mélanges
offerts à Jérome Carcopino, Paris 1966, p. 227.
[21] Aug., Civ. Dei, ii, 4; ii, 26,
2; cfr. van der Meer, Augustine, cit., pp. 37-8; Picard, Carthage, cit., p. 104; Lepelley, Les Cités, cit., i,
p. 350.
[23] Aug., serm. 62, 6, 10; C. Lepelley, Aspects de l'Afrique Romaine. Les cités, la vie
rurale, le christianisme,
Bari 2001, pp. 49-50. Il genio municipale è celebrato nel iv secolo anche in altri centri
africani, quali Lepcis Magna (IRTrip., 282; J. Robert – L. Robert, Bulletin Epigraphique, «REG», 1953, p. 203; cfr. Brouquier-Reddè, Temples, cit., pp. 198-9, 297, 305) e Thamugadi (Lepelley, Les
Cités, cit., i, p.
313; Id., Aspects, cit., p. 43).
[24] Vedi M. Le Glay, Saturne African, Histoire, Paris 1966, p. 101; Lepelley, Les Cités, cit., i,
p. 350. Il culto di tale
divinità africana fra le più diffuse, è ricordato in epoca
costantiniana: un sacerdos Saturni
è attestato a Zama Regia in Byzacena nel 322 (CIL vi, 1686 = ILS,
6111), mentre l’anno successivo un sacerdote di Saturno, M. Gargilius Zabo, pose una dedica al
dio a El Ayaida (nella regione di Béjà); cfr. A. Beschaouch, Une stèle
consacrée à Saturne le 8 novembre 323, «BCTH», 4, 1968, pp. 253-68 (AE, 1969-1970, 657).
[25] Aug.,
Conf. iv, 2, 3; l’incontro con l’aruspice deve essere
avvenuto durante il suo insegnamento di retorica nella città (tra il 379
e il 381). Vedi D. Briquel, Chrétiens et haruspices. La religion
étrusque, dernier rempart du paganisme romain, Paris 1997, pp. 188-9; Marasco, Aruspice, cit., pp. 1555-62; Id.,
I vescovi e il problema della magia in
epoca teodosiana, in Vescovi e
pastori in epoca teodosiana. xxv
Incontro di studiosi dell’antichità cristiana (Roma, 8-11 maggio 1996),
Roma 1997, pp. 225-47.
[26] Su V[---]adius
cfr. i due testi identici frammentari: CIL
viii, 23968-23969; Lepelley, Les Cités, cit., i,
pp. 347, 349. Per i passi e la bibliografia su Pacatus cfr. PLRE i, Drepanius,
p. 272; A. Lippold, Herrscherideal und Traditionsverbundenheit im
Panegyricus des Pacatum,
«Historia», 17, 1968, pp. 228-50; von
Haehling, Religionszugehörigkeit,
cit., pp. 431-3.
[27] Su Marcianus cfr. Carmen contra paganos 78 ss.; Symm.,
epist. viii, 23; PLRE i, Marcianus 14,
pp. 555-6; von Haehling, Religionszugehörigkeit, cit., pp.
404-5. Il paganesimo di Pompeianus si palesa nella proposta di
sacrifici per scongiurare un nuovo attacco di Alarico (Soz., ix,6; Zos., v, 41, 1-3) e nella disputa, in
qualità di prefetto urbano, sui beni di Melania (Vita Mel. 19; S. Conti,
Tra integrazione ed emarginazione: le
ultime Vestali, «SHHA», 21, 2003, pp. 209-22); su di lui PLRE
ii, Pompeianus 2, pp. 897-8; von Haehling, Religionszugehörigkeit, cit., pp. 402-3. Su Helpidius Symm., epist. 5,85
e 94; PLRE ii, Helpidius 1,
pp. 535-6; von Haehling, Religionszugehörigkeit, cit., pp.
441-3.
[29] CIL viii, 15881 (= ILS,
5505); sul tempio cfr. G. C. Picard,
Les religions de l’Afrique antique,
Paris 1954, p. 116.
[30] In una lettera Agostino esorta proprio i
cittadini di Madauros a convertirsi (epist. 232), anche minacciando le
punizioni del giudizio universale. A proposito di questa epistola Lepelley nota:
«Augustin évoque les temples utilisés à des usages
non religieux, mais il ne parle pas de temples transformés en
église: c’eût été probablement impossible dans
une cité dominée par un ordo presque exclusivement
païen» (Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 355 nt. 104; cfr. ii, pp. 136-7; van der Meer, Augustine,
cit., p. 34).
[32] Aug.,
epist. 17, 4. Cfr. ILAlg
i, 2071; Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 350; ii, pp. 99, 136. Riti simili si svolgevano a Calama ancora nel 408: cfr. infra.
[34] Aug.,
epist., 16. Sullo scambio epistolare
tra Agostino e Massimo cfr. P. Mastandrea,
Massimo di Madauros (Agostino, Epistulae
16 e 17), Padova 1985; cfr. van der
Meer, Augustine, cit., pp. 32-3;
Lepelley, Les Cités, cit., i,
pp. 357-8, ii, pp. 135-6; L. Storoni Mazzolani, Le lettere di S. Agostino ai pagani, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, iv, Perugia 1981, pp. 51-3; Ead., Sant’Agostino e i pagani, Palermo 1987, pp. 55-62; G. Rinaldi, La Bibbia dei pagani. i:
Quadro storico, Bologna 1997, pp. 361-2. Più in
generale cfr. M. Edwards, Pagan and Christian Monotheism in the Age of
Constantine, in S. Swain, M. Edwards
(eds.), Approaching Late
Antiquity. The Transformation from Early to Late Empire, Oxford 2004, pp.
211-34.
[35] Rut.
Nam. i, 173-174. Su Volusiano PLRE,
ii, Volusianus 6, pp. 1184-5;
A. Chastagnol, Le sénateur Volusien et la conversion d’une famille de
l’aristocratie romaine au
Bas-Empire, «REA», 58, 1956, pp. 241-53; P. Martain, Une conversion au v siècle: Volusien, «REAug», 59, 1907, pp.
145-72; A. Fo, Crittografie
per amici e nemici in Rutilio Namaziano: la questione del ‘quinto
Lepido’ e il cognomen di Rufio Volusiano,
«Paideia», 59, 2004, pp. 169-95.
[36] Aug.,
epist., 135. Vedi van der Meer, Augustine, cit., pp. 35-6; Lepelley, Les Cités, cit., ii, pp. 40-1; cfr. Storoni Mazzolani, Le lettere, cit., pp. 57-63; Ead.,
Sant’Agostino, cit., pp.
96-109; C. Gnilka, La conversione della cultura antica vista
dai padri della chiesa, in P. F. Beatrice
(a cura di), L’intolleranza
cristiana nei confronti dei pagani, Bologna 1990, pp. 147-50.
[37] Aug.,
epist., 132, 136-137. I primi due libri del De civitate Dei sono dedicati proprio a Marcellino; anche se, in
realtà, la vastità e complessità dell’opera non
permette di limitarne il progetto e la realizzazione solo al suggerimento del
funzionario imperiale (Storoni Mazzolani,
Sant’Agostino, cit., p. 99). Su
Marcellinus PLRE ii, Marcellinus 10, pp. 711-2.
[38] Secondo Agostino il battesimo del vecchio
decurione fu dovuto all’intercessione della figlia presso S. Stefano,
martire a cui era dedicata una cappella nel centro africano (Aug., Civ. Dei xxii, 8,
14); cfr. Lepelley, Les Cités, cit., ii, p. 101.
[39] Cfr. Bas., epist., 74 con Greg. Naz.,
epist., 43, 50. Su di lui cfr. PLRE i, Martinianus 5, p. 564.
[40] Aug., serm. Morin 1, 2 e 3 (=PLS
ii, 656-660); van der Meer,
Augustine, cit., pp. 30-1; Lepelley, Les Cités, cit., ii,
pp. 41-2.
[41] Aug., En. in ps. 54,13; cfr. van der Meer, Augustine, cit., pp. 29-30; Chadwick,
Augustine, cit., p. 19. Al contrario Salviano sostiene che se il
padrone rimane legato a riti pagani, ancora di più lo sarà tutto
il personale a suo servizio: Salv.,
gub. viii, 3, 14.
[42] Salv., gub. viii,2,10-3;
cfr. Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 360 e 361 nt. 135. Anche Marcianus,
proconsul Africae del 394, sembra
essere passato dal paganesimo al cristianesimo: Aug., epist., 258;
su di lui cfr. nota 27. Fausto il Manicheo aveva sostenuto che i cristiani non
avevano fatto altro che sostituire gli dei pagani con i martiri cristiani;
mentre sempre Agostino ricorda che alcuni battezzati continuavano a praticare
riti sacrileghi e a ricorrere ad astrologi (De
Catechizandis Rudibus).
[43] Sul tema cfr.
N. Duval, Église et temple en Afrique du Nord. Notes sur les installations
chrétiennes dans les temples à cour, à propos de
l’église dite de Servus à Sbeitla, «BCTH»,
n.s. 7, 1971, pp. 254-96; R. Klein,
Distruzione di templi nella tarda
antichità. Un problema politico, culturale e sociale, in Atti
dell’Accademia Romanistica Costantiniana, x, Napoli 1995, pp. 127-52; Rinaldi,
Bibbia dei pagani, cit., pp. 365-92;
F. Grelle, Il titolo “de paganis sacrificiis et templis” nel Codice di
Giustiniano, «VetChr», 39, 2002, pp. 61-7. Più in
generale J. Gaudemet, Politique ecclésiastique et
législation religieuse après l’édit de Theodose i de 380, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, vi, Perugia 1986, pp. 1-22.
[44] Aug.,
Civ. Dei, xviii, 54, 1; Quodv., Prom. iii, 38; cfr.
più in generale sempre Aug.,
serm. 24, 6; contra Parm., 1, 9, 15. Vedi van
der Meer, Augustine, cit., p.
38; O. Perler, Les voyages de Saint Augustin, Paris
1969, pp. 391-5; Brown, Religione e società, cit., p.
303; Chadwick, Augustine, cit., p. 11; K. L. Noethlichs, Heidenverfolgung, in RAC 13,
Stuttgart 1986, col. 1172; C. Lepelley,
Le musée des statues divines. La
volonté de sauvegarder le patrimoine artistique paien à
l’époque théodosienne, «CArch»,
42, 1994, pp. 5-6; Rinaldi, Bibbia dei pagani, cit., p. 387.
[45] Agostino esortava i Cartaginesi, sempre
nel 399, a non distruggere i templi pagani che non erano in terreni di
proprietari cristiani (serm. 62,
7-8); cfr. Chadwick, Augustine, cit., p. 11. Si noti che
già Costanzo e Costante avevano emesso una costituzione per preservare i
santuari, pur abolendo i culti in essi praticati (CTh xvi, 10, 3); cfr.
CTh xvi,
10, 8 del 382.
[46] CTh xvi, 10, 18 del 20 agosto 399: Aedes inlicitis rebus vacuas nostrarum beneficio sanctionum ne quis
conetur evertere. Decernimus enim, ut aedificiorum quidem sit
integer status, si quis vero in sacrificio fuerit deprehensus, in eum legibus
vindicetur, depositis sub officio idolis disceptatione habita, quibus etiam
nunc patuerit cultum vanae superstitionis inpendi. Cfr. CTh
xvi, 10, 15 e 17 sempre del 399;
C. Castello, L’umanesimo cristiano di Stilicone, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, iv, Perugia 1981, pp. 65-96; Storoni Mazzolani, Sant’Agostino, cit., pp. 30 e 130-3; J. Gaudemet, La legislazione antipagana da Costantino a Giustiniano, in Beatrice, Intolleranza cristiana, cit., p. 29; Lepelley, Statues
divines, cit., p. 8; A. Barzanò,
Il cristianesimo nelle leggi di Roma
imperiale, Milano 1996, p. 265.
[47] CTh
xv, 1, 41 del 401 e xvi, 10, 19 del 407; cfr. L. De Giovanni, Il libro xvi del Codice Teodosiano. Alle origini della
codificazione in tema di rapporti chiesa-stato, Napoli 1985, p. 134; Lepelley, Les Cités, cit., i,
pp. 353-5; Id., Statues divines, cit., p. 6; Id., Aspects, cit., pp. 50-1. In effetti nel 401 un concilio radunatosi
a Cartagine aveva chiesto leggi più dure contro i “residui
dell’idolatria”(Conc. Carth. v, 15 = Reg. Carth. lviii, 60, 84); cfr. Chadwick,
Augustine, cit., p. 12; Rinaldi, Bibbia dei pagani, cit., p. 387.
[50] Lepelley, Les Cités, cit., ii, pp. 292-3; cfr. Picard, Les religions, cit., p. 195. Per l’iscrizione dedicatoria del ciborium a Costanzo e Giuliano: Conti,
Die Inschriften, cit., pp. 164-5 nr.
154.
[51] Della presenza di un tempio e di una
statua della dea riferisce lo stesso Agostino (Civ. Dei, ii, 26, 2);
per la sua utilizzazione cristiana dal 399 cfr. Quodv., Prom. iii, 38; Perler, Les voyages,
cit., p. 394.
[52] Quodv., Prom.
iii, 38; Picard, Les religions, cit., pp. 106-7, 117,
254; Id., Carthage, cit., p. 105; Lepelley, Les Cités, cit., i, pp. 354 e 356-7; ii, pp. 42-4, 53.
[53] Aug., epist., 50; van der Meer, Augustine,
cit., pp. 39-40; T. Kotula, Deux pages relatives à
l’histoire de la réaction païenne. Les troubles à
Sufes et à Calama, «Act. Univer. Wratislaviensis», 205,
1974, pp. 69-95 (in polacco, con riassunto in francese di M. Michalak alle pp.
95-7); Brown, Religione e società, cit., pp.
249, 291; Lepelley, Les Cités, cit., i, p. 355; ii, pp. 305-7; Chadwick,
Augustine, cit., p. 12; Storoni Mazzolani, Sant’Agostino, cit., pp. 62-4; M. Maas, Readings in Late
Antiquity. A
Sourcebook, London-New York 2000, pp. 186-7; Lepelley, Aspects, cit., p. 47 nt. 43. Sulla locale venerazione per Ercole, forse assimilato al dio punico
Melqart, cfr. una base di iii
secolo dove è definito genius
patriae: CIL viii, 11430 (= 262 = ILS, 6835).
[54] Lepelley, Les Cités, cit., ii, p. 544. La vicenda è conservata nella Passio Salsae, composta nella prima
metà del v secolo da un
cittadino di Tipasa.
[55] CTh
xvi, 10, 19; Brown, Religione e società, cit., p. 304; Gaudemet, Legislazione
antipagana, cit., p. 30; Lepelley,
Statues divines, cit., p. 8. La
demolizione dei templi era comunque demandata alle autorità civili: cfr.
anche CTh xvi, 10, 25 del 435.
[56] La costituzione fu promulgata il 15
novembre del 407 (CTh xvi, 5, 43 e xvi, 10, 19), fu attuata in Proconsolare dal governatore
Porfirio solo dopo la sua affissione a Cartagine il 5 giugno del 408 (Sirmond. 12); si può però
supporre che in Numidia fosse giunta alcuni giorni prima e fosse già
nota il 1 giugno, quando si originarono i primi scontri. Le lettere di Nectarius sono conservate in Aug., epist., 90 e 103; le risposte del vescovo d’Ippona sono le epist., 91 e 104.
[57] Aug.,
epist., 91, 8, 5-6; cfr. van der Meer, Augustine, cit., pp. 40-1; Kotula,
Deux pages, cit., pp. 69-97; Lepelley, Les Cités, cit., i,
pp. 356, 358; ii, pp. 97-101 e
136 nt. 31; Storoni Mazzolani, Le lettere, cit., pp. 54-7; Ead., Sant’Agostino, cit., pp. 64-80. Cfr. supra per cerimonie danzanti simili a Madauros.
[58] «Les
événements de Calama n’étaient pas seulement le fait
d’une populace déchaînée, des membres de
l’aristocratie municipale étaient compromis, la réaction
païenne avait son origine dans la curie. [...] Cette attitude et ces
événements sont aussi fort révélateurs de la
désinvolture avec laquelle les autorités d’une cité
pouvaient traiter la législation impériale» (Lepelley, Les Cités, cit., ii,
pp. 99-100).