Kandinsky e il diritto romano(*)
1. – E così, grazie a un articolo di Sebastiano Grasso apparso
sul Corriere della Sera del 31 marzo 2003 sotto il titolo E Kandinsky si ritrovò in Wagner, i tanti lettori dell’autorevole
giornale sono venuti a sapere che il celebre artista russo, iniziatore e
teorico dell’astrattismo espressionista, nel 1896 «insegna diritto romano a
Dorpat, ma rinuncia all’università e si trasferisce in Germania per studiare
pittura».
La notizia pecca però d’imprecisione, almeno a seguire un gruppo
di fonti di elevata affidabilità, costituito da alcuni testi autobiografici di
Kandinsky[1],
un volume sulla sua vita e sulle sue opere di cui è autore Will Grohmann, che
dal 1923 gli fu grande amico[2],
e un libro di ricordi della seconda moglie, Nina von Andreewsky, sposata nel
1917[3].
Per quanto vi si racconta, infatti, Kandinsky, che fino al 1896 aveva
intensamente coltivato – da studente e poi da assistente della Facoltà
moscovita di Legge – discipline varie di carattere economico, giuridico ed
etnografico, proprio in quell’anno ottiene una chiamata, su una cattedra che
rimane oscura, dall’Università di Dorpat (l’estone Tartu, di cui Pietro il
Grande si era impadronito nel 1704, centro di alta cultura fin dal 1632,
quando, sotto il dominio degli Svedesi, aveva visto sorgere un’Academia Gustaviana[4]);
tuttavia egli, malgrado fosse già trentenne, la rifiuta, avendo definitivamente
maturato la decisione di abbandonare la Russia e di emigrare a Monaco, per
frequentarvi la scuola di disegno, allora famosissima, diretta da Anton Azbé[5].
Non
risulta, dunque, un Kandinsky docente di diritto romano, né a Dorpat né
altrove. Risulta invece, e ancora dal novero di fonti poc’anzi indicate, un
Kandinsky che, prima di consacrarsi totalmente all’arte, aveva provato un forte
interesse per questa materia. Ed è di ciò che intendo qui parlare.
2. – È in Rückblicke,
un viaggio nella memoria che a tratti tocca la poesia, pubblicato a Berlino nel
1913[6],
che Kandinsky menziona il diritto romano tra le materie che lo avevano
vigorosamente attratto nel decennio che si apre con il 1886, allorché egli
torna nella natia Mosca dopo i tre lustri trascorsi a Odessa, città nella quale
aveva condotto gli studi liceali, d’impronta classica, e preso lezioni private
di disegno, piano e violoncello[7]. Un
decennio segnato da avvenimenti degni di nota: il conseguimento della laurea
nel 1892; il matrimonio con la cugina Anja ancora nel 1892; la nomina,
all’interno della propria Facoltà, ad «attaché»[8] (che
sopra ho reso con il termine ‘assistente’[9], ma
che più propriamente designava «ein ‘bei der Universität belassener’ Kandidat,
der sich auf die Doktorarbeit oder auch schon auf die Professur vorbereiten
konnte»[10])
nel 1893, preceduta dalla redazione di una dissertazione – ad oggi, per quanto
mi consta, inedita – sulla problematica del salario dei lavoratori.
Ma leggiamo quanto scrive Kandinsky[11].
«Außer der von mir
gewählten Spezialität (Nationalökonomie, an der ich unter Leitung des
hochbegabten Gelehrten und eines der seltensten Menschen, die ich im Leben traf,
Prof. A.J. Tschuproff, arbeitete[12]) wurde ich teils abwechselnd, teils
gleichzeitig von verschiedenen anderen Wissenschaften machtvoll angezogen: das
römische Recht …, das Kriminalrecht (das mich besonders und vielleicht zu
ausschließlich durch die damals neue Theorie Lombrosos berührte), die
Geschichte des russischen Rechtes und das Bauernrecht …, die diese Wissenschaft
berührende Ethnographie (von der ich mir anfänglich die Seele des Volkes
versprach) nahmen mich in Anspruch und verhalfen mir zum abstrakten Denken». E
ancora: «alle diese Wissenschaften habe ich geliebt und denke noch heute mit
Dankbarkeit an die Stunden der Begeisterung und vielleicht Inspirationen, die
sie mir schenkten»[13].
Allo studio del diritto romano, cui si era applicato con autentica
passione – come non mancheranno di sottolineare Grohmann[14]
e Nina[15],
rievocandone l’innata tensione verso un sapere multiforme –, Kandinsky
attribuisce dunque il merito di aver concorso a sviluppare in lui il pensiero
astratto. È un riconoscimento particolarmente importante, tanto più perché
proviene da un uomo che colloca l’‘abstraktes Denken’ tra i valori primi del
suo patrimonio interiore. E che nel medesimo vede una delle radici profonde
della sua evoluzione in campo artistico, che lo porterà a sperimentare e a
teorizzare – in saggi raffinatissimi dall’enorme risonanza, come Über das Geistige in der Kunst[16]
e Punkt und Linie zu Fläche[17],
in cui, per riprendere le parole di Philippe Sers[18],
il metodo e la riflessione rigorosa, ma non i paraocchi, sono quelli del
professore di diritto in spe – una
pittura non più legata alla natura, se non per il tramite della sfera psichica
dell’autore che ne accoglie e ripropone le suggestioni, libera insomma dalla
necessità della rappresentazione dell’oggetto e che, al pari della musica,
possiede un linguaggio peculiare, composto di segni e colori dal significato
definito, grazie al quale far affiorare le vibrazioni dell’animo.
Nessun contributo scientifico dedica però Kandinsky al diritto
romano. L’unico suo lavoro di contenuto giuridico, se si prescinde dalla
dissertazione sopra richiamata – che doveva comunque privilegiare l’analisi
degli aspetti economici dell’argomento trattato[19] –,
riguarda infatti il ‘Bauernkriminalrecht’, come rivela già il relativo titolo,
nella versione italiana e tedesca dell’originale russo: Le pene inflitte dai tribunali del volost’ del governatorato di Mosca e
Über die Strafe in den Urteilen der
Bauerngerichte im Bezirk Moskau[20].
Pubblicato a Mosca nel 1889, nell’ambito di una collezione di ricerche
specialistiche, Kandinsky, ancora studente universitario, vi espone una serie
di dati sul funzionamento dei tribunali del volost’ o Bauerngerichte – creati dopo l’abolizione della servitù della gleba
voluta dallo zar Alessandro II nel 1861, in connessione «mit der Verbesserung
der Justizverhältnisse», in essi giudicavano «vorwiegend die Bauern selber über
geringfügige Vergehen»[21] –,
mettendo a frutto quanto aveva raccolto durante una missione compiuta su
incarico della Società imperiale di scienze naturali, antropologia ed
etnografia, che lo aveva prescelto tra moltissimi candidati in considerazione
delle sue evidenti capacità[22], per
affidargli un duplice compito, di cui rimane traccia in Rückblicke[23]:
«bei der russischen Bevölkerung das Bauernkriminalrecht zu studieren (die
Prinzipien des primitiven Rechts herauszufinden) und bei dem Fischer- und
Jägerstamm der langsam verschwindenden Syrienen die Reste ihrer heidnischen
Religion zu sammeln». La qualità di questa indagine e di quella parallela, di
stampo squisitamente etnografico, sui Sirieni[24]–
«ein ostfinnischer, russifizierter Volksstamm», stanziata «im Gouvernement
Vologda, dessen Hauptstadt gleichen Namens knapp 500 km nördlich von Moskau
liegt»[25]
– è tale che la Società committente include tra i propri membri Kandinsky. E
quasi contemporaneamente anche la Società giuridica dell’Università di Mosca lo
accoglie al suo interno[26].
L’attaccamento al diritto romano e alle diverse discipline già
rammentate, per quanto forte, non aveva tuttavia mai distolto completamente
Kandinsky dall’arte. Continua infatti a praticarla, come fruitore; e seguita,
sebbene occasionalmente, quando gode di qualche momento libero, a cimentarsi
con i colori della tavolozza[27].
Crescente si fa anzi in lui il desiderio di cedere totalmente all’incanto della
pittura. Ma vi resiste, sia perché gli sembra che l’arte «für einen Russen …
ein unerlaubter Luxus ist»[28], sia
perché reputa le sue forze troppo deboli per sentirsi giustificato «auf die
anderen Pflichten zu verzichten»[29]. Il
tempo in cui la sua vocazione più autentica avrebbe assunto il predominio
sarebbe però arrivato, assecondato anche da un sopravvenuto sentimento di
sfiducia sul valore salvifico delle scienze sociali e sulla «absolute
Richtigkeit der positiven Methode»[30]. E
non poteva essere altrimenti. Com’egli stesso dichiarerà, le ore profuse nello studio del diritto romano
e delle solite altre materie, benché entusiasmanti, «verblaßten … bei der
ersten Berührung mit der Kunst, die allein die Macht hatte, mich außer Zeit und
Raum zu versetzen»; e anche «die wissenschaftlichen Arbeiten», che pur erano
circondate da un vasto apprezzamento, mai «hatten mir … solche Erlebnisse,
innere Spannungen, schöpferische Augenblicke geschenkt»[31].
3. – Ma torniamo al nostro tema specifico, sospinti da alcune
digressioni riguardanti il diritto romano che Kandinsky si concede in Rückblicke. Confinate in parentesi che
per due volte si aprono e si chiudono all’interno del testo e in un paio delle
poche note che lo accompagnano, esse restituiscono, almeno in parte, l’immagine
che di quel diritto l’ormai affermato pittore aveva ritratto nel corso degli
anni dedicati al suo approfondimento e conservato a non breve distanza di tempo
da quando si era deciso a troncare la carriera accademica. Per coglierla nitidamente,
è bene però ricreare, ovviamente nei tratti essenziali, lo scenario nel quale
si muoveva un moscovita interessato al dato giuridico sul declinare del XIX
secolo.
Integrato da regole consuetudinarie e da norme espresse da fonti
bizantine (in particolare, i Nomocanoni), raccolte in separate compilazioni
pubblicate, in versioni sempre più ampie, a partire dall’XI secolo, il diritto
russo, accresciuto dai precetti introdotti dagli zar tra il 1497 e il 1649 (con
editti che, tra l’altro, vincolavano «il contadino al padrone della terra,
facendone un servo della gleba»[32]),
era stato per buona parte riversato in un unico testo proprio nel 1649[33].
La consolidazione, approvata dall’assemblea imperiale, avrebbe conosciuto ben
quindici edizioni e sarebbe rimasta in vita per quasi due secoli[34].
È nel 1835 che entra infatti in vigore lo Svod
Zakonov rossijskoj imperii, un corpo legislativo che comprende, distribuiti
in quindici volumi, quarantaduemila articoli (due terzi dei quali concernenti
materie giuspubblicistiche[35]),
realizzato nel 1832 dal conte Speranskij, al quale Nicola I aveva affidato il
compito di esporre in forma sistematica il diritto russo, dopo che era fallito
il tentativo del suo predecessore, Alessandro I, di elaborare, con l’ausilio
dello stesso Speranskij, allora consigliere e ministro dello zar, una
codificazione sulla falsariga di quella francese[36]. Di
impianto accentuatamente casistico[37],
l’opera, che accoglie soluzioni tipiche della tradizione nazionale, ma anche di
conio occidentale, prese soprattutto dal Code
Napoléon, dagli scritti di cui questo è figlio (specialmente di Pothier) e
dall’Allgemeines Landrecht für die
preussischen Staaten[38]
– e che, a motivo di ciò, non può dirsi completamente autonoma dal diritto romano,
nonostante la contraria dichiarazione del suo autore[39],
che del resto nutriva simpatie per tale diritto[40] –,
era stata poi rivista e aumentata (fino a superare i centomila articoli[41])
nel 1842, 1857 e 1885[42].
Iniziative della seconda metà del XIX secolo erano inoltre sfociate nella già
segnalata affrancazione dei contadini (del 1861), nella riforma
dell’organizzazione giudiziaria, che aveva assicurato l’indipendenza della
magistratura (del 1864), nell’adozione del codice penale, di ispirazione
occidentale (del 1855, seguita da un aggiornamento dello stesso nel 1903)[43],
e di procedura civile, informato al modello francese (del 1864), nonché nella
redazione di un progetto di codice civile, somigliante al Bürgerliches Gesetzbuch, «se pur con rilevanti innesti di elementi
del diritto consuetudinario rurale»[44]
(avviata nel 1882 e conclusa in poco più di un ventennio), che sarebbe stata
però trascurata a causa di eventi vari, tra i quali lo scoppio della prima
guerra mondiale[45].
Calati in una realtà complessa e parzialmente ignorati dalle
masse popolari, in particolare contadine, legate a regole osservate da tempo
immemorabile e a istituti, come quello della proprietà collettiva della
famiglia agricola, ancestrali, lo Svod
Zakonov e gli altri testi con valore legislativo dei quali si è fatto cenno
erano consegnati alla rilettura di una dottrina troppo recente per essere
matura, formatasi infatti solo dopo che era stata fondata a Mosca, nel 1755, la
prima università russa[46].
Naturale, quindi, che essa, non disponendo di schemi ricostruttivi originali,
tendesse ad aprirsi all’esterno nell’intento di mutuare adeguate categorie
concettuali: ed è perciò che, vincendo le resistenze di quei suoi appartenenti
i quali, valorizzate le peculiarità del diritto consuetudinario russo,
invitavano a ricercare in questo gli strumenti per una rimeditazione
dell’apparato normativo nazionale[47],
ricorre dapprima alla scienza giuridica di tradizione romanistica sviluppatasi
nell’area francese, poi a quella attiva nel mondo tedesco[48].
Successivamente al 1850 circa, dunque, il cumulo dei materiali legislativi
russi risulta ordinato e analizzato secondo l’impostazione pandettistica: il
che spiega la notevole importanza assunta in pari tempo dal diritto romano[49].
Questo, invero – ammoniva il civilista russo Moroskin all’epoca della riforma
delle terre e dello statuto dei contadini –, «che non trovò accoglienza nel
nostro Paese attraverso l’intermediario greco-bizantino[50],
ci si ripresenta oggi seguendo altre vie: giunte da occidente e sta a noi
cogliere l’occasione»[51].
Dopo che un certo numero di giovani russi erano andati a studiare a Berlino con
Savigny e a Lipsia con Puchta, altri continuavano ad affidarsi alla sapienza
dei maestri tedeschi, eleggendo quale luogo privilegiato per la loro
preparazione, a iniziare dal 1887, il Russisches
Seminar für römisches Recht, sorto in quell’anno a Berlino grazie a un
accordo tra il Ministero per l’educazione russo, il Dicastero per l’istruzione
e il culto prussiano e la locale Facoltà giuridica. E i migliori licenziavano
traduzioni della grande produzione germanica, utilizzandole all’interno dei
corsi universitari di diritto romano, concepiti come introduttivi al diritto
civile, che essi stessi tenevano al ritorno in patria[52].
L’arretratezza della cultura giuridica russa veniva ad attenuarsi, ora che
tutto il diritto era sottoposto al filtro del metodo sistematico, applicato dai
‘pandektisty’. La sua alterità rispetto alla cultura giuridica occidentale,
imperniata sul «freddo rigore formale» del diritto[53],
però permaneva, preservata dagli incancellabili tratti caratteristici
dell’ordinamento di cui costituiva emanazione. E il suo scollamento rispetto
alla pratica che aveva a protagonista il ceto popolare, e in specie contadino,
era sempre più evidente[54].
4. – Se è su questo sfondo che dobbiamo proiettare i dieci anni
che tra il 1886 e il 1896 Kandinsky trascorre a stretto contatto con il mondo
giuridico, immergendosi pure nello studio del diritto romano, ben si capisce
perché questo, verosimilmente mostratogli all’interno della splendida cornice
sistematica elaborata dalla pandettistica, apparisse ai suoi occhi seducente
per la «feine, bewußte, hochraffinierte ‘Konstruktion’»[55].
Ma si capisce anche, credo, perché esso si rivelasse a Kandinsky permeato da
una «viel zu kalte, viel zu vernünftige, unbiegsame Logik», così da lasciare un
senso di insoddisfazione in lui, slavo – come orgogliosamente precisa –[56]
e per di più – verrebbe da aggiungere – pervaso da una rara emotività, al punto
che in Über das Geistige in der Kunst
raffigurerà nel «Prinzip der inneren Notwendigkeit» la chiave di accesso alla
creazione artistica[57], con
un’inclinazione per il recondito e l’occulto[58] e
inoltre un vivido senso del fantastico, che l’ascolto delle leggende
germaniche, narrategli in lingua tedesca da un’amatissima zia materna –
Elisabeth Ticheeva, di origine baltica – durante l’infanzia, aveva per sempre
radicato nel suo animo[59]. La
percezione del diritto romano come elegante edificio concettuale connotato da
una fredda logica, propria di Kandinsky e tuttavia nelle corde di ogni suo
connazionale colto di fine ottocento, tanto più se, al pari di lui, con
ascendenze tra i Mongoli[60] – le
quali rafforzavano la propensione per quel «carattere arcano della norma»[61]
dominante nello spirito di questo popolo e non estraneo alla mentalità delle
genti russe, in cui si era infiltrato tra il XIII e il XV secolo, all’epoca
cioè della sottomissione all’Orda d’oro – si perpetuerà a lungo, non
tramontando neppure in pieno regime sovietico. A tacer d’altro, lo testimonia
questo passo[62],
tratto da un’opera di Pereterskij sulla storia dell’economia e del diritto,
dotata di valore ufficiale, in quanto pubblicata, quale sussidio didattico, nel
1945 a Mosca dall’Istituto federale per la scienza giuridica - Commissariato
del popolo per la giustizia: «evidentemente noi non possiamo considerare il
diritto romano quale ratio scripta,
come esso è stato altre volte qualificato. … Questo diritto non ha importanza
puramente e semplicemente come il diritto di uno stato schiavistico, ma
rappresenta un’altissima conquista storica nel campo della tecnica giuridica.
La precisione e la chiarezza delle decisioni, la fredda logica e la
conseguenzialità del pensiero giuridico, insieme con la vivacità delle
argomentazioni, attestano la grande maestria dei giuristi romani e l’importanza
che essi ebbero nella evoluzione del pensiero giuridico».
Alla rigidità delle regole del diritto romano, e in particolare
del ius strictum, Kandinsky accenna
anche allorché traccia l’elogio del «Bauernrecht». Dopo aver affermato che
questo aveva suscitato in lui una «große Bewunderung» e si era guadagnato la
sua «tiefe Liebe», in quanto, «als Gegensatz zum römischen Recht», intessuto di
norme che, oltre a sancire la «Befreiung» dei contadini (l’allusione è
chiaramente alle norme del 1861, nelle quali ci siamo imbattuti in due
occasioni), offrivano una felice soluzione ai problemi concernenti il loro
trattamento giuridico[63],
spiega[64]:
«nach der ‘Emanzipation’ der Bauern in Rußland gab ihnen die Regierung eine
wirtschaftliche Selbstverwaltung, die die Bauern für viele unerwartet politisch
reif machte, und das eigene Gericht, wo bis zu gewissen Grenzen die von den
Bauern unter sich gewählten Richter Streite lösen und auch kriminelle
‘Vergehen’ bestrafen dürfen. Und gerade hier hat das Volk das menschlichste Prinzip gefunden, um
geringere Schuld schwer zu strafen und schwerere gering oder gar nicht. Der
Bauernausdruck dafür ist: ‘Je nach dem Menschen’. Es wurde also kein steifes
Gesetz gebildet (wie z.B. im römischen Recht – besonders ius strictum!), sondern eine äußerst biegsame und freiheitliche
Form, die ‘nicht durch das Äußere’, jedoch ‘ausschließlich durch das Innere’
bestimmt wird». Dunque, sottolinea tra l’altro Kandinsky, i
tribunali propri dei contadini – quegli stessi dei quali si era occupato nel
saggio riguardante il ‘Bauernkriminalrecht’ sul quale ci siamo sopra soffermati
–, che, come già sappiamo, avevano iniziato a funzionare all’indomani della
cancellazione della servitù della gleba, risultando costituiti, seppure non per
l’intero, da membri scelti dai contadini medesimi al loro interno, godono del
potere di sanzionare illeciti di natura penale. E quando lo esercitano, si
attengono a un canone fondamentale, che suona così: ‘a seconda dell’uomo’. Non
operano quindi, evidenzia ancora Kandinsky, regole rigide, che si rinvengono
invece, per esempio, nel diritto romano, e specialmente nel ius strictum. Al contrario, si è in
presenza di un modello normativo estremamente flessibile e liberale, per il
quale è determinante non già ciò che è esteriore, bensì esclusivamente
l’interiorità.
Potrebbe apparire in qualche punto oscuro il discorso di
Kandinsky: esso riacquista comunque limpidezza non appena si legga quanto egli
aveva scritto nel richiamato saggio sul ‘Bauernkriminalrecht’. Qui, illustrando
le caratteristiche delle pene irrogate dai tribunali del volost’, nota:
«sopravvive ancora a livello profondo lo spirito dell’antico diritto
consuetudinario, il concetto del delitto come oltraggio personale. Perciò la
stessa pena non porta in sé il carattere di conseguenza necessaria di ogni
delitto. Questa … caratteristica differenzia nettamente la condanna del
tribunale del volost’ dalla condanna ‘secondo la legge’ e secondo la scienza
del diritto penale»[65]. E
poco oltre, a proposito della pena corporale delle verghe, ammessa nei limiti
di venti colpi dal Regolamento generale sui contadini emancipati, precisa che
«questa pena è inflitta principalmente per i seguenti reati: mancato pagamento
dei tributi e accumulo degli arretrati, ubriachezza e dissipazione, negligenza
economica, furto, insubordinazione o villania verso l’autorità e i genitori»;
ma «ognuno di questi reati non sempre implica la medesima quantità di colpi, al
contrario le sentenze relative sono così varie che non è possibile cogliere un
criterio generale di assegnazione della pena. Qui soprattutto è vivo il
principio dell’imposizione della pena ‘a seconda della persona’»[66].
Proprio questo principio, che – come visto – si risolve nella preminenza
dell’interiorità, marcando per Kandinsky la distanza del ‘Bauernkriminalrecht’
dal diritto romano, sembra raccordabile a quel «Prinzip der inneren
Notwendigkeit» sul quale già è caduta la nostra attenzione, elaborato dallo
stesso Kandinsky in veste di teorico del fenomeno artistico. E infatti, in uno dei manoscritti di Rückblicke[67] si trova, depennato, questo periodo[68]: «es macht mir eine unendliche Freude, wenn
ich daran denke, daß ich das Prinzip der Kunst auf der ‘inneren Notwendigkeit’
basierte: nachdem mein ‘Geistiges’ schon als Buch erschien, erinnerte ich mich
an dieses juristische Prinzip und bemerkte, daß meine ganze Kunstidee aus dem
Boden der Volksseele herausgewachsen war». Inoltre, nella versione russa del
componimento, edita a Mosca nel 1918[69], compare, collocato in un’autonoma nota, il
seguente brano, altrettanto se non anche più significativo[70]: «in herzlicher Dankbarkeit erinnere ich
mich der wahrhaft freundlichen und warmherzigen Hilfe durch Prof. A.N. Filippov
(damals noch Privatdozent)[71], durch den ich zum ersten Mal von dem
humanen Prinzip des ‘Je nach dem Menschen’ hörte, das vom russischen Volk bei
der Verurteilung krimineller Vergehen zu Grunde gelegt und von den
Bezirksrichtern angewandt wird. Dieses Prinzip stützt sich beim Urteil weniger
auf die ‘äußere’ Tatsache des Vergehens, als auf seine ‘innere’ Quelle – die
Seele des Täters. Welche Nähe zur Grundlage der Kunst!». E ancora, in un articolo del 1925, intitolato Abstrakte Kunst[72],
Kandinsky osserva: «la valutazione interna, il valore relativo dell’esteriorità
che trova la sua valutazione solo nell’interiorità, è alla base dei ‘tribunali
di contadini’ russi, i quali si sono sviluppati liberamente, senza influenze
dell’Occidente europeo (diritto romano), e, nonostante l’influenza europea
occidentale quale si è esercitata anche nelle corti d’assise degli strati russi
colti, si sono affermati e hanno continuato a svilupparsi fino alla
Rivoluzione. … È da vedersi qui l’inizio dell’arte astratta, per la cui
legittimazione è assolutamente necessaria, oltre alla questione formale esterna
(qual è vista soprattutto nel ‘costruttivismo’), la ‘valutazione interna degli
elementi artistici’»[73].
Nuovamente il diritto romano chiama in causa Kandinsky
nell’ambito di una lunga divagazione[74],
alla quale dà inizio dopo un’articolata riflessione – che giova conoscere nei
punti cruciali –, in cui accosta l’arte alla religione, approdando gradatamente
alla conclusione che la sua concezione della prima è cristiana[75].
L’arte, dice Kandinsky, non conduce a nuove scoperte che
cancellano le errate verità antiche, come è tipico della scienza. Essa,
sviluppandosi, non annulla la sapienza anteriore, ma la fa crescere. Anche
Cristo, del resto, non abbatte la legge risalente, ma la dilata, mostrandone,
accanto all’aspetto materiale, quello spirituale: gli uomini del suo tempo,
pertanto, sanno che il divieto di uccidere ha una valenza che invade anche la
sfera astratta, potendosi trasgredire pure a livello di pensiero, commettendosi
così il peccato mentale. A ben vedere, «der Wert der Tatsache wird auf die Waage Christi nicht als
äußere harte Handlung gelegt, sondern als eine innere und biegsame». Ma pure nell’arte, prosegue Kandinsky, la spinta verso
l’interiorizzazione è in atto: e la pittura senza oggetto che egli pratica, che
non è una negazione di tutta l’arte precedente, ma una sua evoluzione, ne è la
conferma. All’arte, d’altro canto, Kandinsky asserisce di aver formulato una
sola richiesta: quella «des ‘inneren’ Lebens im Werke». Una richiesta che «auf der Basis gewachsen
ist, die Christus als eine moralische Qualifizierungsbasis aufstellte». E che,
a detta dell’autore, testimonia che la sua «Kunstanschauung christlich ist»,
recando in sé «die nötigen Elemente zum Empfang … der Offenbarung des Geistes».
Sollecitato proprio da questa affermazione, Kandinsky propone una
serie di pregnanti osservazioni, che toccano anche il diritto romano. Al
medesimo, egli esordisce, che è pagano, deve contrapporsi «das … russische
Bauernrecht», da considerarsi cristiano in quanto dà valore alla dimensione
spirituale. E aggiunge una delucidazione. «Die innere Qualifizierung kann bei kühner
Logik so erklärt werden: diese Handlung ist bei diesem Meschen kein Verbrechen,
wenn sie bei anderen Menschen im allgemeinen für ein Verbrechen angesehen wird.
Also: in diesem Falle ist ein Verbrechen kein Verbrechen. Und weiter: absolutes
Verbrechen existiert nicht (welcher Gegensatz zu nulla poena sine lege!). Noch weiter: nicht die Tat (Reales),
sondern ihre Wurzel (Abstraktes) bildet Böses (und Gutes)». Dunque, continua Kandinsky, ogni azione è indifferente: anzi, sta
in bilico. Ed è la volontà che le dà una spinta, per cui essa cade verso destra
o verso sinistra. Il che è ben chiaro al popolo russo, che ha in sé una grande
capacità di affinamento della sua tendenza alla «Biegsamkeit» esteriore e alla
«Präzisität» interiore.
Torna poi Kandinsky al diritto (letteralmente al «Geist») romano,
che egli qualifica come «formell» e «äußerlich sehr präzis», tanto più se si ha
riferimento al «ius strictum der
früheren Periode», per sottolineare che le genti, le quali sono progredite
avendo come guida i principi, «oft wertvoll», di quel diritto, non guardano con
favore alla vita russa. Ciò che, a parere di Kandinsky, dipende da un eccesso
di superficialità, che consente di vedere, in tale vita, strana all’occhio
estraneo, solo «die Weichheit und die äußere Biegsamkeit», scambiate per
«Haltlosigkeit», mentre lascia nell’ombra «die innere Präzisität».
5. – Non so perché, ma regala – e credo non soltanto a me – un
senso di appagamento spirituale sapere che in Kandinsky sono vissuti, separati
nel tempo da una linea che non ha impedito all’uno di arricchire l’altro, il
giurista che ha amato il diritto romano e l’uomo rapito dall’arte, capace di
celebrarla con gli scritti e le tele.
E poco importa che i limiti che in quel diritto egli ravvisava
non vi siano o comunque non siano visibili a un’anima occidentale, propensa
piuttosto a glorificare la fredda, razionale e inflessibile logica che
sprigiona dall’opera della giurisprudenza classica. Ciò che importa, e molto, è
invece che anch’essi abbiano contribuito a fecondare il genio di un gigante
della nostra epoca.
* Riservata com’era, nelle nostre
conversazioni – più frequenti tra il 1993 e il 1996, periodo in cui tenevo uno
dei corsi di Istituzioni di diritto romano impartiti nella Facoltà di
Giurisprudenza della Statale di Milano, giovandomi della Sua preziosa e
generosa collaborazione – ben raramente Barbara Bonfiglio si spingeva a parlare
di argomenti che non attenessero strettamente alla quotidianità professionale.
Non posso pertanto dire se, al pari mio, amasse Kandinsky. Mi piace però
pensarlo. E dedico a Lei questo insolito scritto perché nei Suoi anni giovanili
– che sono purtroppo i soli che ha vissuto – come Kandinsky ha percepito il
fascino del diritto romano.
[1] Leggibili in Kandinsky. Die Gesammelten
Schriften, 1, Autobiographische,
ethnographische und juristische Schriften, a cura di H.K. Roethel e J. Hahl-Koch, Bern 1980, 21 ss.
[3] Kandinsky und ich,
München 1976 (nelle note successive citerò dall’edizione tascabile stampata a
Monaco nel 1999).
[4] Per un cenno, v. G. Kleine, Gabriele
Münter und Wassily Kandinsky, Frankfurt am Main-Leipzig 1994, 127.
[5] Cfr., in particolare, W. Grohmann, Wassili Kandinsky, cit., 31 e 33; N.
Kandinsky, Kandinsky und ich,
cit., 30 s. e 39 s.
[7] Per questi dati e per quelli sui quali mi soffermerò
immediatamente nel testo, cfr. anche W.
Grohmann, Wassili Kandinsky,
cit., 13 ss.; N. Kandinsky, Kandinsky und ich, cit., 22 ss.
[8] Cfr. Vorwort
zum Katalog der Kandinsky-Kollektiv-Ausstellung 1902-1912, in Kandinsky. Die Gesammelten Schriften, cit., 22; Selbstcharakteristik, ivi, 60; Biographische
Notizen, ivi, 63.
[10] Attingo a una nota critica che si legge a p. 138 di Kandinsky. Die Gesammelten Schriften, cit., in corrispondenza di S. 22,16.
[11] In Kandinsky.
Die Gesammelten Schriften, cit., i brani di Rückblicke qui riportati figurano a 31
s.
[12] «Auf ihn geht vermutlich die Anregung für
Kandinskys Dissertation zurück» (la precisazione è in un’‘Anmerkung’ a p. 150
di Kandinsky. Die Gesammelten Schriften, cit., sub S. 31,11).
[13] V. anche Vorwort zum Katalog der Kandinsky-Kollektiv-Ausstellung 1902-1912,
in Kandinsky. Die Gesammelten Schriften, cit., 22. Qui Kandinsky
ripensa al momento in cui aveva deciso di interrompere la sua vita di studioso
e alla sensazione allora provata di aver sprecato tanti anni, per poi
aggiungere: «heute weiß ich, was sich in diesen Jahren in mir gesammelt hat,
und ich bin dankbar dafür».
[18] In Wassily Kandinsky.
Tutti gli scritti4, 2, Dello
spirituale nell’arte. Scritti critici e autobiografici. Teatro. Poesie, a cura
di P. Sers, Milano 1989, VIII.
[19] Lo si desume anche da
questo appunto di Kandinsky (tratto da Rückblicke,
in Kandinsky. Die Gesammelten Schriften, cit., 32): «in der von mir gewählten Nationalökonomie liebte ich … außer
der Lohnfrage nur das rein abstrakte Denken. Das Bankwesen, die praktische
Seite des Geldwesens, war für mich unüberwindlich abstoßend. Es blieb mir aber
nichts übrig, als auch diese Teile mit in den Kauf zu nehmen».
[20] Interamente tradotto nell’una e, rispettivamente, nell’altra
lingua, l’articolo è riprodotto in Wassily
Kandinsky. Tutti gli scritti, 2, cit., 3 ss., e in Kandinsky. Die Gesammelten Schriften, cit., 75 ss.
[21] Così nell’apparato di commento a p. 198 di Kandinsky. Die Gesammelten Schriften, cit., sub
S. 75,2.
[24] Nella traduzione tedesca che compare in Kandinsky. Die Gesammelten Schriften, cit., 68 ss., essa porta il seguente
titolo: Beitrag zur Ethnographie der
Sysol- und Vecegda-Syrjänen. Die nationalen Gottheiten (nach heutigen
Glaubensvorstellungen).
[28] V. Vorwort
zum Katalog der Kandinsky-Kollektiv-Ausstellung 1902-1912, in Kandinsky. Die Gesammelten Schriften, cit., 22.
[30] V. Vorwort
zum Katalog der Kandinsky-Kollektiv-Ausstellung 1902-1912, in Kandinsky. Die Gesammelten Schriften, cit., 22
[32] Così R. Sacco, in A. Gambaro-R. Sacco, Sistemi giuridici comparati, in Trattato di diritto comparato diretto da
R. Sacco, Torino 1996, 420.
[33] Cfr. R. David-C.
Jauffret-Spinosi, I grandi sistemi
giuridici contemporanei4, a cura di R. Sacco, Padova 1994, 135 ss. V. pure W.E. Butler, voce Diritto sovietico e dei paesi socialisti, II, Fonti e sistema, in Enc.
giur. Treccani, 11, Roma 1989, 3 s.
[35] Cfr. R. David-C.
Jauffret-Spinosi, I grandi sistemi
giuridici contemporanei, cit., 137; F. De Simone, Appunti antologici sui sistemi giuridici2, Napoli 2000, 112.
[36] Cfr. G. Ajani, Diritto dell’Europa orientale, in Trattato di diritto comparato diretto da
R. Sacco, Torino 1996, 66 s.; R. Sacco,
in A. Gambaro-R. Sacco, Sistemi giuridici comparati, cit., 421.
[39] Nota infatti Speranskij, ma falsamente – come evidenzia G. Ajani, Diritto dell’Europa orientale,
cit., 67, nel presentare il brano –: «noi non abbiamo attinto alcunché dal
patrimonio del diritto romano; la nostra legislazione ha trovato in se stessa
le sue fonti. Le imitazioni, che peraltro sono da noi rare oltre il XVIII
secolo, non costituiscono eccezioni a quella regola: esse si riferiscono ad una
sola branca del diritto, quella delle istituzioni dello Stato, e non sono
derivate dal diritto romano, ma dalle istituzioni interne della Germania».
[46] Cfr. R. David-C.
Jauffret-Spinosi, I grandi sistemi
giuridici contemporanei, cit., 138 s.; R.
Sacco, in A. Gambaro-R. Sacco,
Sistemi giuridici comparati, cit.,
421 s.; P. Gallo, Grandi sistemi giuridici, Torino 1997,
378.
[47] Tocca, sebbene di sfuggita, il punto G. Ajani, Diritto dell’Europa orientale, cit., 68, nt. 14.
[48] Cfr. R. Sacco, in A. Gambaro-R. Sacco, Sistemi giuridici comparati, cit., 422
s. V. anche F. Wieacker, Storia del diritto privato moderno, 2, Milano
1980, 231.
[49] Quanto alle province baltiche, è di P. Koschaker, L’Europa
e il diritto romano, cit., 229, un’informazione interessante, perché fa
riferimento a quell’Università che nel 1896 aveva inutilmente offerto una
cattedra a Kandinsky: scrive infatti l’autore che in esse «l’opera Baltisches Privatrecht redatta dal von
Bunge, professore a Dorpat (1862-1897), provocò in larga misura una recezione …
della dottrina pandettistica tedesca del XIX secolo».
[50] L’assunto è però eccessivo: cfr. P.
Koschaker, L’Europa e il diritto
romano, cit., 229, il quale opportunamente aggiunge che «la Russia non è
certo terra di recezione».
[52] Cfr. P. Koschaker, L’Europa e il diritto romano, cit., 230;
G. Ajani, Diritto dell’Europa orientale,
cit., 69 s.
[53] Come afferma A. Solzenicyn, ripreso da G. Ajani, Diritto dell’Europa orientale, cit., 64, nt. 1.
[60] Come ricorda N. Kandinsky,
Kandinsky und ich, cit., 23,
Kandinsky parlava spesso, e con orgoglio, di una sua bisnonna per linea
paterna, «die eine mongolische Prinzessin gewesen war».
[62] Ne riporta la traduzione, fornendo i ragguagli bibliografici che
richiamerò nel testo, P. Koschaker,
L’Europa e il diritto romano, cit.,
230 s.
[64] Nella nota contrassegnata da un doppio asterisco in calce alla
p. 31 di Rückblicke, in Kandinsky. Die Gesammelten
Schriften, cit.
[65] V. Le pene inflitte dai
tribunali del volost’ del governatorato di Mosca, in Wassily Kandinsky. Tutti gli scritti, 2, cit., 4.
[66] V. ancora Le pene inflitte
dai tribunali del volost’ del governatorato di Mosca, in Wassily Kandinsky. Tutti gli scritti, 2,
cit., 4.
[67] Precisamente in chiusura dell’‘Anmerkung’ segnalata nella mia
precedente nt. 64, secondo un’indicazione dei curatori di Kandinsky. Die Gesammelten Schriften, cit., data a 150, sub S. 31,43.
[70] In Kandinsky. Die Gesammelten Schriften, cit., esso è
riprodotto, ovviamente nella traduzione tedesca, a p. 151, sub S. 31,43.
[71] Come annotano i curatori di Kandinsky.
Die Gesammelten Schriften, cit., 151, sub S. 31,43, A.N.
Filippov, vissuto dal 1853 al 1927, «war Jurist und Fachmann für Strafrecht.
Von 1885 bis 1892 lehrte er als Privatdozent an der Universität Moskau,
anschließend wurde er Professor in Dorpat».
[73] La traduzione è quella che si legge in Wassily Kandinsky. Tutti gli scritti4, 1, Punto e linea nel piano. Articoli teorici. I corsi inediti al Bauhaus,
a cura di P. Sers, Milano 1989, 164.
[74] Racchiusa nella nota contraddistinta da un asterisco in calce
alla p. 48 di Rückblicke, in Kandinsky. Die Gesammelten
Schriften, cit.