N. 3 – Maggio 2004 – Lavori in corso – Contributi

 

 

LE LEGGI PENALI NAPOLETANE E IL PRIMO PROGETTO

DI CODICE PENALE MALTESE: (1836)

 

 

MARIO DA PASSANO

Università di Sassari

 

 

Sommario: 1. La genesi del progetto. – 2. Il progetto e il suo modello: A) la parte generale. – 3. segue: B) la parte speciale. – 4. Conclusioni.

 

 

 

1. – La genesi del progetto

 

Il contrastato percorso che, fra il 1824 e il 1836, ha portato alla formazione del primo progetto di codice penale maltese è stato già ricostruito in maniera esaurientemente dettagliata([1]), per cui mi limito qui a ricordarne qualche aspetto come (necessaria) premessa all’analisi di quel testo.

Il problema di fondo, attorno a cui si sviluppano contrasti e discussioni, è se si debba procedere a integrare con norme della tradizione locale un corpus strutturato sul modello inglese – di difficile esportazione – o su quello francese recepito in molti Stati dell’Europa continentale; e anche l’altra questione, sollevata più tardi e su cui si verifica una netta divisione, se cioè il codice vada promulgato in italiano con allegata la traduzione inglese o viceversa, è in realtà sollevata per cercare di riaprire surrettiziamente quella del tipo di codice da realizzare.

Ancora va sottolineato che la vicenda dei lavori preparatori non può essere descritta soltanto come una contrapposizione fra inglesi e maltesi: se è innegabile la diversità di vedute dei commissari inglesi (John Stoddart e Robert Langsolw) e di quelli maltesi (Gavino Ignazio Bonavita e Vincenzo Bonnici), con il governatore Ponsonby in una posizione intermedia, è anche vero che i maltesi trovano un appoggio nel giudice supremo delle Ionie, John Kirkpatrick, almeno finché rimane a Malta, e che le questioni vengono risolte in favore delle loro tesi dall’intervento di due segretari di stato per le colonie, Goderich e Stanley.

Inoltre, dalla documentazione rimasta, emerge sicuramente la figura di uno di commissari, Gavino Ignazio Bonavita: oltre ad essere una presenza costante, anche negli sviluppi successivi, egli svolge un ruolo decisivo, riuscendo spesso ad imporre le sue scelte compiute sulla base delle sue elaborazione teoriche.

Infine va ricordato che, se in un primo momento si pensa di usare come base di partenza il progetto di codice penale per le Isole Ionie([2]), utilizzando anche i giudici supremi di Malta, Stoddart, di Gibilterra, Barron Field, e delle Ionie, Kirkpatrick, in modo da avere l’ausilio dei più alti magistrati che operano nei diversi contesti dei possedimenti britannici nel Mediterraneo, il piano viene poi abbandonato, poiché quel progetto è ancora in una fase preparatoria, e si preferisce invece sostituirlo direttamente con il codice napoletano([3]), a cui si ispirava, lavorando per emendare quel testo eliminando ciò che non è adatto e inserendovi solo le parti del progetto Richardson e le previgenti norme maltesi ritenute particolarmente utili.

Comunque, superate tutte le difficoltà, nel 1834 la commissione viene sciolta e poco dopo ne viene nominata una nuova (Bonnici, Bonavita, Torrigiani, Falzon, Chapelle), alla quale viene trasmesso il progetto elaborato nel frattempo per un’ulteriore revisione e che, alla fine del lavoro, provvede a stendere una relazione su entrambe le parti, quella relativa al diritto penale sostanziale e quella relativa all’ordinamento giudiziario e alla procedura penale([4]).

 

 

2. – Il progetto e il suo modello. A) La parte generale

 

Dato l’intento dichiarato di operare sulla base del codice napoletano, avendo in vista soprattutto il miglioramento del diritto maltese anche a scapito di qualsiasi pretesa di originalità, come scrive Bonavita già nella sua relazione a Ponsonby del 1833([5]), è opportuno esaminare che cosa nel testo definitivo([6]) sia stato modificato rispetto a quello assunto esplicitamente come modello.

Il primo elemento che appare subito evidente, rispetto al codice borbonico, è che, coerentemente con tali premesse, non solo lo schema complessivo è quasi identico, anche se meno articolato([7]), e che anche il testo stesso di molti articoli è integralmente copiato alla lettera; ma, al di là di questo, le differenze, talvolta anche rilevanti, non mancano e comunque la relazione della commissione, soprattutto per la parte generale, interviene non soltanto a spiegare le ragioni delle modifiche introdotte, ma anche quelle delle norme lasciate inalterate.

Una seconda osservazione di carattere generale è che, dal confronto, emerge una marcata tendenza del progetto maltese alla semplificazione, eliminando le disposizioni che appaiono superflue([8]) o eccessivamente dettagliate e complesse, e usando un linguaggio più sintetico e meno discorsivo, quasi con un ritorno alla laconica chiarezza dell’originale modello napoleonico, del resto esplicitamente lodato da Goderich e Bonavita([9]).

Se poi si passa ad un confronto analitico, le differenze sui singoli punti sono abbastanza numerose sin dai primi articoli. Il progetto infatti accetta completamente la tripartizione dei comportamenti sanzionati penalmente, da cui deriva l’affermazione implicita del principio di legalità([10]), ma, oltre ad usare il termine crimine anziché misfatto, l’art. 1 è formulato in modo tale da attenuare in qualche misura il criterio della definizione in base alla pena comminata, che è uno dei punti maggiormente criticati dalla dottrina: non «Ogni reato sarà punito, secondo la sua qualità, con pene criminali, o correzionali, o di polizia», ma «Ogni reato è o crimine, o delitto, o contravvenzione».

Le modifiche più consistenti riguardano i gradini più alti della scala penale, che, pur conservando il sistema dei gradi([11]), vengono sottoposti ad una marcata riduzione qualitativa e ad un consistente abbassamento dei massimi e dei minimi, in evidente connessione con le considerazioni svolte a suo tempo da Bonavita, ma anche da Richardson, sulla mitezza dei Maltesi e quindi sull’opportunità di usare pene moderate([12]). E particolarmente interessanti sono le considerazioni svolte in proposito nel Rapporto.

La più grave delle pene criminali (tit. I, cap. I) è la pena di morte, che «non poteva non essere conservata», ma la sua comminazione è limitata

 

«a que’ casi che sono veramente estremi, e ne’ quali è nostra opinione, che qualunque altra pena inferiore non potrebbe sortire il necessario effetto propostosi in generale da ogni legislazione di paese incivilito nel fissare le pene pei reati (…), casi di reati, che fortunatamente non sogliono quasi mai venire qui commessi»([13]).

 

Inoltre sono cancellate tutte le esemplarità accessorie e le diversificazioni nel modo di esecuzione previste nel codice napoletano([14]):

 

«Qualunque differenza nella esecuzione della pena di morte, qualunque maniera colla quale la sua applicazione potesse venire esasperata, o altrimenti qualificata, sono state rigettate dal progetto. In così fare, si è riflettuto, che la pena di morte, essendo per se stessa una pena terribilmente solenne, non abbisognava di altri mezzi per aumentare l’effetto dell’esempio, e che qualunque siffatta differenza e maniera, dividendo negli spettatori la meditazione, che sarebbe desiderabile doversi tutta concentrare sulla privazione della vita goduta da un loro simile talvolta nel pieno vigore della sua età, e della salute, divide, e diminuisce la giovevole impressione sugli animi di quelli. L’esasperazione poi della pena di morte, che non crediamo in verun conto giustificabile, lungi dall’eccitare orrore pel commesso reato, avrebbe per risultamento il rendere odiosa la giustizia, che mentre da un canto deve da tutti essere temuta, dovrebbe dall’altro dai più essere amata, siccome quella, che sola nello stato sociale valga a proteggere la vita, la proprietà, e l’onore di ogni individuo, senza distinzione di sorta alcuna»([15]).

 

Seguono i lavori forzati a vita (in luogo dell’ergastolo) e quelli a tempo (in luogo dei ferri nei bagni e nei presidi) – divisi questi ultimi in quattro gradi, da 5 a 25 anni con intervalli di 5, anziché da 7 a 30 con intervalli di 6 –; i condannati a tale pena saranno impiegati, dentro e fuori della prigione, «nei lavori più faticosi (…) ed a profitto del governo» con al piede una catena di ferro o due nei casi espressamente previsti dalla legge. La conservazione dei lavori forzati a vita è motivata come una conseguenza necessaria dell’«economia usata nello stabilire la pena di morte» e con argomentazioni che riecheggiando le affermazioni di Target in proposito([16]):

 

Più tosto dunque che riporre in questa pena la durezza, che i sostenitori dell’opinione contraria alle pene di perpetua durata vi trovano, fondandosi sopra una ragione da loro tenuta per una quasi morale certezza, che ogni malfattore subisca una felice metamorfosi mediante la pena, ed al terminare di questa si rinvenga emendato, noi la riguardiamo come un mezzo di mitigazione, che correggendola raddolcirà la presente nostra legislazione. Senza questo mezzo sarebbe forza che più sovente si ricorresse all’estremo rimedio dell’estinzione del malfattore, non bastando le pene temporanee, qualora vi si volessero sostituire, a reprimere i reati nel progetto sottoposti ai lavori forzati perpetui, ed offerire alla società uno scudo che la difenda dai nuovi attentati del colpevole. Opinando in questa maniera, noi non abbiamo considerato gli uomini come sarebbe a desiderare che eglino fossero, ma come effettivamente sono, ed abbiamo giudicato non doversi sacrificare la generale sicurezza alla speranza di una riforma e perfezione, che sfortunatamente quasi mai si realizza([17]).

 

La reclusione napoletana, senza mutamenti di sostanza, cambia nome in carcerazione (da 3 a 6 anni anziché da 6 a 10)([18]), scompaiono la relegazione e l’esilio dal regno ([19]), mentre viene aggiunta l’ammenda criminale, un «aumento di rigore» accessorio alle pene criminali a tempo.

Al contrario, il numero delle pene correzionali (tit. I, cap. II) viene ampliato: dopo la prigionia in una casa di correzione([20]) – divisa in tre gradi, da 2 mesi a 5 anni, quindi solo con un aumento del minimo di un mese –, compaiono infatti anche la reclusione (cioè un aggravamento della prigionia con l’isolamento, per un periodo graduato da 2 a 18 giorni)([21]) e la relegazione (cioè il trasporto da Malta a Gozo o viceversa, che sostituisce l’esilio correzionale) e, dopo il confino (cioè l’obbligo di stare a una certa distanza dal proprio domicilio)([22]), il ritiro (cioè la reclusione non in carcere della donna adultera)([23]) e l’ammenda correzionale([24]).

Pene comuni alla giustizia criminale e correzionale (tit. I cap. III) sono poi l’interdizione (prevista invece separatamente per crimini e delitti nel codice napoletano) e la malleveria, mentre manca l’ammenda, essendo già stata inclusa in ognuna delle due categorie.

Quanto alle pene di polizia (tit. I, cap. IV), le uniche differenze sono date dal fatto che il mandato in casa del testo borbonico viene denominato arresto e che, in caso di insulti, ingiurie e minacce, il giudice può consentire al condannato «di disdirsi, o di domandare scusa all’offeso, in pubblica corte» in sostituzione di tutta la pena o di parte di essa.

I commissari si soffermano anche a spiegare le ragioni dell’esclusione della fustigazione, dell’esilio, delle battiture e della berlina, previste dalle norme maltesi vigenti. In generale,

     

Non sono incluse nel progetto, se non se quelle pene solamente, che per la varia gradazione della malizia, la quale accompagna ogni reato, doveano stabilire una diversa e proporzionata misura nella punizione de’ reati. Qualunque pena, a quell’oggetto, o agli altri fini della giustizia, non assolutamente necessaria, è stata esclusa, per la ragione, che la soverchia prodigalità di pene degenera in crudeltà vituperevole e raffinata([25]).

     

In particolare la frusta «è stata rigettata, perché veramente pena rivoltante»; se aggiunta ad una pena temporanea, «è meglio atta a vieppiù irritare, e indurire» il cuore del condannato e se lo è ad una pena perpetua, «è eccessivamente rigorosa»; «poco o nulla opera» nei confronti degli individui «della classe, tra la quale ordinariamente è confinata la commissione de’ reati», mentre «per una persona di superiore educazione, (…) la stessa estrema pena di morte, sarebbe le mille volte preferibile all’infamia della frusta»; non è comminata in nessun codice moderno; sarà inutile con l’introduzione e una adeguata regolamentazione dei lavori forzati([26]). L’eliminazione dell’esilio è derivata più «da necessità, che da pura volontà», perché questa pena è «più dannosa che utile, assai severa in molti casi, e troppo mite in altri di eguale reità, a seconda della differenza dei mezzi, delle relazioni, e delle abilità del condannato», senza contare che si è già dimostrata inapplicabile([27]). Le battiture, comminate per i giovani delinquenti, producono solo avvilimento, fanno perdere al condannato «ogni riguardo all’opinione pubblica», non hanno alcun «benefico effetto d’esempio», poiché vanno applicate all’interno del carcere, e sono ineguali a seconda della classe sociale di appartenenza del giovane([28]). Le stesse ragioni che hanno portato all’eliminazione della frusta e delle battiture (ulteriore avvilimento del condannato e ineguaglianza della pena) valgono per l’esposizione alla berlina, peraltro prevista in pochi casi([29]).

Rispetto al modello borbonico, viene poi aggiunta una Disposizione comune alle Pene della Giustizia Criminale e Correzionale (tit. I, cap. V), per precisare che, salvo espresso rinvio all’«arbitrio della corte», la decisione di non applicare la pena maggiore fra quelle comminate va sempre motivata([30]), e nelle Disposizioni comuni alle Pene della Giustizia Correzionale e di Polizia (tit. I, cap. VI) e in quelle comuni ai tre Ordini della Giustizia Penale (tit. I, cap. VII) molti articoli vengono emendati, riscritti o cancellati ed altri vengono aggiunti, anche riprendendo norme tratte da leggi da poco promulgate a Malta([31]); va notata la disposizione che destina i fondi della cassa speciale, derivanti da ammende, malleverie, cauzioni, obblighi, vendite di oggetti confiscati, vadano destinati «in parte al ristoro dei danni, delle spese e degl’interessi sofferti dalle persone offese, purché i colpevoli, che debbono per legge soddisfarli, non ne abbiano il modo, ed in parte a compensare le spese incontrate dal governo nell’amministrazione della giustizia penale» (art. 51). Le norme sull’Esecuzione delle Pene (tit. I, cap. VIII), con qualche rimaneggiamento, sono simili a quelle del modello, ma manca l’indicazione del termine da cui inizia a decorrere l’espiazione della pena, mentre sono in parte necessariamente corrette quelle relative alle Regole generali per l’Applicazione delle Pene (tit. II, cap. I), poiché stabiliscono come si passa da una pena all’altra e va considerata «la parsimonia del numero delle pene introdotte nel progetto, a differenza di quelle riconosciute dal codice penale delle Due Sicilie, le quali sono soverchiamente numerose, od almeno lo sarebbero in queste isole, volendole adottare tutte»([32]); al contrario di quanto avviene nel codice napoletano, è possibile passare dalle pene di polizia a quelle correzionali, ma soprattutto è stabilito che

 

«Dal numero 2 [lavori forzati perpetui] però, l’ascenso non potrà farsi al numero 1 [morte], quantevolte la legge nei casi particolari non indicasse espressamente doversi nell’ascenso includere la morte; ed in difetto di tale espressa indicazione, l’ascenso dal numero 2 seguirà nella stessa pena, aggravata da doppia catena, e dalle più severe restrizioni e pene disciplinari secondo i regolamenti (art. 58)»([33]).

 

Il capitolo II, Delle Pene stabilite posteriormente al Reato, che fissa il principio della retroattività benigna della legge penale, è identico alla lettera a quello borbonico, mentre alcune modifiche sono introdotte nel III, Della Volontà, dell’Età, e dello Stato dell’Imputato: i reati compiuti in stato di demenza o di furore o per costrizione di una forza irresistibile sono dichiarati non inesistenti, ma non punibili (artt. 60 e 61); oltre a stabilire che scusanti e mitigazioni di pena possono essere solo quelle indicate dalla legge, si aggiunge però un’eccezione per i casi più gravi, esplicitamente ripresa dalla riforma francese del 1831:

 

«Nondimeno, la pena di morte, e quella dei lavori forzati perpetui, discenderanno di un grado ogni qualvolta concorresse nel crimine una valevole circostanza attenuante il dolo, benché non dichiarata come scusa espressamente dalla legge: discenderanno poi di più gradi, quando la legge nei casi particolari stabilisce tale maggior discenso. In ogni caso si esprimerà nella decisione, che qualche circostanza attenuante il dolo sia concorsa nel reato (art. 62)»([34]);

 

quasi del tutto eguali sono le disposizioni relative all’età: per i minori fra i 9 e i 14 anni che hanno agito senza discernimento, oltre alla consegna ai parenti, sono previste opportune «misure economiche» in luogo della casa di correzione (che a Malta non c’è) e per quelli fra i 16 e i 18 le diminuzioni di pena sono escluse non solo per il parricidio ma per l’«omicidio volontario in persona di un ascendente o del conjuge» (artt. 63 e 65).

Anche il capitolo IV non presenta differenze di particolare rilievo rispetto al modello: l’intitolazione è più precisa (Del Reato Mancato, e del Reato Tentato, anziché Del tentativo), ci sono alcune variazioni puramente formali e vengono eliminati, evidentemente perché ritenuti pleonastici, gli articoli che stabiliscono la punibilità degli atti di esecuzione compiuti che costituiscano già di per sé dei reati([35]).

Qualche modifica di maggior rilievo viene introdotta nelle norme relative alla complicità (tit. II, ca. VI); si stabilisce infatti che i complici senza alcuna differenziazione «saranno puniti colla pena stabilita per gli autori, quando la legge nei casi particolari non disponesse diversamente» (art. 72), che le circostanze materiali aggravanti vanno a carico anche di chi, essendone a conoscenza e potendolo fare, non ha impedito il reato (art. 72) e che, «constando dell’esistenza materiale di un reato, il complice dovrà essere punito indipendentemente dalla condanna od assoluzione dell’autore, e da qualunque procedimento contro questo, quando anche non constasse di alcun autore» (art. 75)([36]).

La parte generale si chiude con le norme sulla Recidiva (tit. II, cap. VI), che semplificano e mitigano in misura considerevole quelle del codice napoletano: da questo vengono infatti riprese quasi alla lettera la nozione di recidiva (senza specificare però che cosa si debba intendere per condannato), l’aumento di un grado per il condannato per crimine che ne commetta un altro e la disposizione sulla recidiva di contravvenzione (artt. 76, 77 e 81), ma il testo maltese si limita poi a stabilire che

 

78. «Chiunque, mentre è sottoposto alla condanna dei lavori forzati perpetui, commettesse un reato che porta a pena minore, soggiacerà ad una più rigorosa restrizione, ed alle altre pene disciplinari secondo i regolamenti».

79. «Il condannato per delitto, se commettesse un crimine, la pena per questo non sarà mai applicata nel minimum del grado».

80. «Il condannato per crimine o per delitto, se commettesse delitto, sarà per questo punito col maximum della pena stabilita».

 

Inoltre, poiché «la sola reiterazione di un reato, innanzi d’essere il colpevole convinto legalmente del primo, non può con giustizia farlo considerare recidivo,né deve operare l’aggravio della sua pena»([37]), le norme relative vengono cancellate, così come quelle finali di cui rimane solo l’articolo secondo cui, agli effetti della recidiva, il graziato rimane un condannato.

 

 

3. – segue: B) La parte speciale

 

Va rilevato anzitutto che, pur nel quadro di una sostanziale ripresa delle norme usate come riferimento, la tendenza, già segnalata, a semplificare e ad accorpare, evitando il più possibile un eccesso di suddivisioni interne e di distinzioni, opera soprattutto nella parte speciale, caratterizzata anche dal fatto che, oltre alle modifiche rese necessarie dalla diversità della scala penale adottata, in alcuni casi viene ritoccata, in un senso o nell’altro e peraltro in maniera contenuta, la misura delle pene comminate.

Senza entrare nei dettagli, mi limiterò a dare qualche esempio particolarmente significativo. In materia di Reati contro il Rispetto dovuto alla Religione (l. II, tit. I), le norme – che riguardano (ovviamente) sia la religione cattolica sia quella anglicana, ma anche gli altri culti tollerati, pur se tutelati con sanzioni minori – prevedono un numero di casi molto minore rispetto al codice napoletano (disturbo delle funzioni, insulti ai ministri di culto, bestemmie e oltraggi ad oggetti di culto, furto sacro, aggravante per altri reati commessi contro ministri di culto o in luoghi di culto), e ciò in quanto «si ha per oggetto unicamente di disporre in quanto solamente si conviene alla umana giustizia, ed in quanto i reati relativi possano interessare il pubblico buon ordine, e la pubblica tranquillità»([38]); inoltre le pene, per quanto talora gravi, non arrivano mai alla morte.

Il titolo Dei Reati contro la Sicurezza del Governo (l. II, tit. II) viene egualmente sfrondato in misura consistente, con la cancellazione di numerose ipotesi o l’unificazione di casi differenziati previsti nel codice borbonico, anche se poi ne viene aggiunto qualche altro per ragioni legate alle caratteristiche dell’isola, e inoltre la commissione precisa anche di aver inserito il titolo soltanto per ragioni di completezza, poiché

 

«La maggior parte dei reati contro la sicurezza del Governo, contemplati nel progetto vi sono meno inclusi, perché da necessità, o dalla frequenza dei medesimi s’invochino le sanzioni penali, che per la compiuta formazione di un codice penale; giacché tutti tali reati in queste isole si conoscono unicamente per ciò che li costituisce, e non già perché vi si commettono»([39]).

 

Alcune modifiche di rilievo vanno segnalate per i reati contro la persona. Infatti la commissione ha ritenuto che in questo caso fosse opportuno deviare dai modelli e ne spiega quindi le ragioni (e per la parte speciale è uno dei pochi casi in cui lo fa):

 

«Quanto si contiene nel progetto riguardo gli omicidj, e le offese sulla persona, merita una particolare menzione per le varietà che vi si incontrano da quello che si dispone nei codici moderni continentali. Limitano questi una tale materia ad omicidj, ferimenti, percosse, e veneficj. Ma oltre il danno corporale che si può recare altrui coll’omicidio, colle ferite, colle percosse, e colle venefiche sostanze, non mancano altre sorte di danni, che per la raffinata malizia de’ malfattori potrebbero cagionarsi alle persone, e che gli annali delle corti di penale giurisdizione e l’esperienza ci dimostrano essere stati più volte commessi, e che intanto accuratamente parlando non verrebbero sotto alcuna delle enumerate classi. Quindi alle ferite, ed alle percosse, si è sostituita la classe più generica delle offese sulla persona.

Distinguono i codici moderni e l’attuale nostra giurisprudenza tra l’omicidio premeditato ed il semplice volontario. In teoria è chiarissimo ciò che costituisce il premeditato, ma per quanto facilmente possa la distinzione verificarsi in alcuni casi, altrettanto è difficile in atto pratico riconoscere in altri la linea di demarcazione, che separa l’una dall’altra specie di omicidio; e benché rari sieno gli omicidj che qui si commettono, e che appartengano veramente alla prima, non così possono dirsi quelli, che sono della seconda specie: anzi qualche frequenza di questi impone, che sia promulgato in caratteri abbastanza chiari, che il cedere facilmente ad ogni impeto, e sacrificare a questo la vita del suo simile, assoggetta alla pena di morte»([40]).

 

E su queste basi vengono riscritti i capitoli relativi a questa materia (l. II, tit. VIII, capp. I e II) – anche se poi la sostanza non cambia di molto – stabilendo che in linea di massima «l’omicidio volontario sia punito con la morte. Quando non è così colpito, il caso è di eccezione»([41]). Qualche variazione subiscono anche gli articoli relativi alle attenuanti (l. II, tit. VIII, cap. VI): vengono infatti differenziate quelle per l’omicidio volontario (offese gravi e altri crimini contro la persona, scalata o frattura senza necessità attuale di legittima difesa, ma non offese lievi e rissa non provocata dall’autore) e quelle per le offese (oltre a tutte quelle previste per l’omicidio, offese lievi ed altri delitti contro la persona, ma anche provocazione da «giusto motivo d’iracondia») e viene espressamente richiamata la possibilità per il giudice di applicare l’art. 62, riducendo la pena in ragione di altre circostanze attenuanti non previste dalla legge. Inoltre, sempre in tema di Reati contro gl’Individui, per quanto riguarda le ingiurie (l. II, tit. VIII, cap. III), la scelta del tipo e della quantità di pena fra quelle comminate viene affidata genericamente all’«arbitrio della corte», anziché indicare i criteri che il giudice deve seguire («secondo la qualità della medesima [ingiuria], secondo le persone, secondo il tempo, il luogo e le conseguenze cha ha prodotte»), viene introdotta un’aggravante per le ingiurie contro gli ascendenti e viene cancellato l’articolo relativo a quelle «contenute nelle arringhe o negli scritti relativi alle difese giudiziarie».

Infine, in materia di furto (l. II, tit. IX, cap. I), oltre a vari altri ritocchi, alcune modifiche si segnalano perché sono evidentemente frutto di una particolare attenzione alla vita economica delle isole maltesi; infatti, fra i luoghi del commesso reato che lo aggravano, scompaiono i teatri e sono invece aggiunti i «magazzini od arsenali del governo, od altri luoghi di deposito o di pegno destinati per comodo pubblico» e le «barche o bastimenti ormeggiati» e viene poi aggiunta la categoria delle circostanze aggravanti relative all’«indole della cosa furata»: il furto è qualificato anche quando è commesso su cose messe in pericolo da incendi etc. (previsione che nel codice napoletano è considerata aggravante per il mezzo usato) e

 

2° Quando è commesso sopra alveari;

3° Quando è commesso sopra qualunque siasi specie di bestiame, grosso o minuto, da pascoli, ricetti, o stalle, purché il valore non sia minore di una lira sterlina;

4° Quando è commesso sopra funi od altri effetti strettamente occorrenti per la navigazione o la sicurezza di bastimenti o naviglj;

5° Quando è commesso sopra reti calate in mare per ragione di pesca.

 

 

4. – Conclusioni

 

Da quanto abbiamo sin qui esposto appare chiaro che il lavoro portato avanti nel corso degli anni e concluso dall’ultima commissione è stato estremamente accurato, frutto anche di una conoscenza approfondita degli sviluppi della codificazione penale e delle discussioni dottrinali nell’Europa continentale, oltre che ovviamente del diritto maltese, e si può anche supporre che un ruolo determinante sia stato giocato da Bonavita, viste le posizioni da lui più volte assunte sia privatamente sia in veste ufficiale e confluite nel testo definitivo. E’ vero che il progetto nel complesso, rispettando in ciò il mandato iniziale di lord Goderich, assume dichiaratamente come modello i «codici moderni continentali» ispirati a quello francese e più in particolare quello delle Due Sicilie, che, particolare non secondario, è scritto in italiano([42]), ma non mancano certo interventi anche di rilievo; e del resto la stessa commissione è ben consapevole di questi limiti del progetto:

 

«Dovendo spiegare quale sia la base su cui il progetto è fondato, la sorgente che ha somministrato la materia, quali i principj, le regole, lo spirito, ed il sistema dietro cui è condotto, e quale l’intelligenza che deve essergli data, basterà dire, che il progetto ha per base e modello i codici moderni continentali, è condotto dietro ai principj, alle regole, allo spirito, ed al sistema di questi, e dev’essere inteso, ed interpretato nel modo come s’intendono, e s’interpretano tali codici. Lungi dunque dall’avere qualunque carattere di originalità, o merito d’invenzione, esso non è altro nella sua generale sostanza che il codice penale per lo regno delle Due Sicilie, il quale codice sì per essere redatto nella lingua italiana (linguaggio scritto in queste isole) come per molte altre valevoli considerazioni, è quello che meglio di ogni altro, giudichiamo, poteva esservi adattato. Essendo poi lo stesso codice Siciliano non altro, che il codice penale Francese, adattato alle circostanze ed ai bisogni di queste isole»([43]).

 

A motivare tale scelta la commissione adduce, come ragione principale, un argomento – che è quanto meno una forzatura – ripreso evidentemente dalle tesi sostenute a suo tempo da Bonavita per opporsi alla elaborazione di un codice modellato sul diritto inglese([44]): l’archetipo francese e quindi anche il suo derivato napoletano, sarebbero basati «sulle leggi, e sulla giurisprudenza Romana, riconosciute in tutta la Francia, e prevalenti in gran parte della medesima, e nelle Due Sicilie, prima dei codici promulgati in queste, ed in quella»; perciò anche il progetto maltese, modellato su di essi, conserva «le massime di naturale equità relative alle contenutevi materie, e che sono state investigate, sviluppate, e trasmesseci da’ giureconsulti Romani» ed essendo il diritto romano una delle fonti del diritto maltese, «tale progetto perciò costituisce meno un cangiamento dell’essenza, se così si può dire, della attuale legislazione di queste isole, che una riduzione della stessa ad un metodo, e sistema meglio ordinato, e tale da assicurare alla sua amministrazione un effetto più certo»([45]).

La scelta di adottare come base di partenza il codice borbonico (e quindi indirettamente quello napoleonico) induce però la commissione a precisare che, se «la sua [del progetto] intelligenza debba essere quella che si dà a quel codice»,

 

«mentre da un canto le opere dei commentatori sul codice penale Siciliano od altri analoghi, possono somministrare rischiarimenti utilissimi al progetto, e mezzi assai proprj per facilitarne l’intelligenza, dall’altro canto è necessario essere molto guardinghi, quando per l’interpretazione del medesimo si volesse fondarsi sulle dottrine e teorie insegnate da quegli scrittori, e quando si volesse citarli a quell’effetto. Poiché essendo uno dei caratteri principali de’ codici moderni la perfetta concatenazione di tutte le parti tra se stesse, l’omissione di una minima sanzione del codice Siciliano operata nel progetto, o un cangiamento qualunque introdottovi, può distruggere tutta la sicurezza dell’intelligenza da tali commenti somministrata: e siccome di tali diversità tra il progetto ed il suo modello, per ragione di omissioni, di cangiamenti, e di addizioni, ve ne sono non poche, è uopo di somma circospezione nel giudicare del senso del progetto, dietro ai mezzi offerti dai commentatori degli altri codici moderni, specialmente se non si sia prima in pieno possesso di tutto ciò, che in quello si contiene»([46]).

     

E, sempre in tema di interpretazione, i commissari precisano anche che

     

«dubbj e difficoltà, per la loro massima parte, senza alcuno stento, si potranno superare, qualora nell’amministrazione delle nuove leggi si volesse seguire la massima riconosciuta dovunque esistono codici modellati sul Francese, che per interpretare la legge che offra qualche oscurità, od altro mancamento, non bisogna isolatamente circoscriversi a considerare la disposizione particolare, ma considerarla ne’ suoi rapporti coll’intero insieme del codice, e con tutte le parti colle quali essa ha, o può avere connessione»([47]).

     

La commissione non si limita però a riconoscere la scarsa originalità del progetto, ma rivendica in qualche misura pure quelli che ne ritiene i pregi, frutto anche del suo lavoro: nonostante i possibili difetti, questi saranno «senza paragone assai minori degli inconvenienti e delle anomalie che offre l’attuale legislazione penale in Malta»([48]); per riformare il diritto penale maltese non è possibile trovare «un mezzo più efficace, più proprio, e più praticabile (…), anzi (…) che non fosse pure anche più dannoso degli inconvenienti esistenti»; alcuni difetti erano ineliminabili in mancanza di un codice civile e per altre eventuali imperfezioni «si ha sul luogo nel potere legislativo il facile mezzo, onde rimediarvi colle apposite necessarie sanzioni»; i progetti sono scritti in italiano, cioè nella lingua comprensibile da tutti i maltesi([49]).

Un’ultima questione è quella del rapporto fra il progetto e il diritto previgente, per la quale il progetto prevede una soluzione che ricorda quella adottata a suo tempo nella Leopoldina (secondo cui erano abrogate le norme previgenti espressamente incompatibili e le altre andavano interpretate secondo lo spirito della riforma). La Disposizione preliminare stabilisce che qualsiasi norma esistente cessa «di avere forza di legge nelle materie che formano oggetto delle disposizioni contenute in queste leggi penali», e la prima delle Disposizioni Generali che chiudono il progetto ribadisce sostanzialmente il concetto, stabilendo che all’inverso «in tutte le materie non regolate dalle presenti leggi, e che formano il soggetto di leggi e regolamenti particolari, queste leggi e questi regolamenti particolari saranno osservati» (art. 401)([50]). Infatti nel progetto non sono volutamente comprese le norme relative ad alcune materie, «come sarebbero le leggi di lazzaretto, e quarantina, degli orefici ed argentieri, dei medici e chirurghi, ecc.», che dovranno essere riviste e «promulgate di mano in mano susseguentemente alla promulgazione dei due progetti; nel frattempo, «le attuali devono continuare in vigore, ma le trasgressioni delle medesime devono essere giudicate dalle nuove corti» e perché ciò sia possibile,

     

«tutte le trasgressioni delle leggi penali non comprese nel progetto, e che le leggi locali di queste isole puniscono (purché non in via civile), e che dovranno continuare ad essere così punite, assumeranno il nome generico di reato, riconosciuto nel progetto penale, saranno assoggettate alle regole ed ai principj nello stesso progetto stabiliti pei reati in generale, e le attuali loro pene verranno convertite in pene corrispondenti ma ammesse dal progetto penale. La sostituzione delle pene nuove alle antiche sarà facile a seguire, perché è distintamente indicata dalla legge per ogni caso, e tale sostituzione sarà trovata fatta di una pena nuova, eguale o più mite, non mai più severa dell’attuale. A tutto ciò si provvede colla espressa disposizione generale contenuta nell’articolo 401 del progetto penale»([51]).

     

E in forza del principio della retroattività benigna (art. 59), tali equivalenze si applicheranno anche ai reati previsti nel progetto ma commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, «le pene sostituite alle attuali, essendo state giudicate di queste od eguali o più miti».

Alla fine di tanto impegno, pare per un momento che la vicenda sia ormai giunta ad una conclusione positiva, ma così non sarà: con una notificazione del 21 luglio 1836 il testo definitivo, dopo qualche ultimo ritocco([52]), viene pubblicato per entrare in vigore, anche se solo provvisoriamente, seguendo un suggerimento della commissione stessa([53]); ma, a seguito di alcuni ricorsi, con un’altra notificazione del 29 ottobre il termine stabilito inizialmente viene prorogato e poi con una terza del 1° febbraio 1837 ulteriormente rinviato sino a che i Regi commissari d’inchiesta non abbiano steso una relazione in proposito. E tale sospensione si rivelerà fatale, poiché le Leggi non entrano più in vigore, i lavori per il codice penale subiscono una lunga interruzione ed esso vedrà la luce solo nel 1854, dopo la presentazione di due altri progetti nel 1842 e nel 1848([54]): se il progetto del 1836 rimane pur sempre la base di partenza, il testo definitivo risulta ampiamente rimaneggiato rispetto ad esso, a cominciare dalla classificazione stessa dei comportamenti sanzionati penalmente, per la quale si passa dalla tripartizione di origine francese alla bipartizione in delitti e contravvenzioni([55]).

 

 

 

 

 



 

(*) VII Forum storico-penalistico “Adriano Cavanna”. Alla confluenza di common law e civil law: il codice penale di Malta (1854), Venezia 27 settembre 2003.

 

([1]) Cfr. A. Cadoppi, S. Vinciguerra, Alla confluenza fra la tradizione italiana e la common law: l’esperienza ancora attuale del codice penale di Malta (1854), in A. Cadoppi, Materiali per un’introduzione allo studio del diritto penale comparato, Padova, 2001, 365 ss. e soprattutto A. Ganado, The historical development of the criminal code, in «Law Journal», nn. 4-6, 1949-50 ed ora anche la relazione sempre di Albert Ganado in questo stesso volume. Brevi notizie anche in G. Delicata, Osservazioni sulle Leggi Criminali per l’Isola di Malta e sue Dipendenze pubblicate in abbozzo nella notificazione dell’8 settembre 1848. Con un Prospetto Generale di tutte le precedenti disposizioni criminali, Malta, 1850, 8 s. e qualche cenno in P. De Bono, Sommario della storia della legislazione in Malta, Malta, 1897, 313 ss.

 

([2]) Il codice verrà poi pubblicato ed entrerà in vigore soltanto una decina d’anni più tardi: Codice penale degli Stati Uniti delle Isole Ionie, Corfù, 1841.

 

([3]) Codice per lo Regno delle Due Sicilie, Napoli, 1819, Parte seconda. Leggi penali, ora anche in rist. anast. Padova, 1996, con saggi introduttivi di M. Da Passano, A. Mazzacane, V. Patalano, S. Vinciguerra.

 

([4]) Rapporto sui progetti di leggi penali e di leggi di organizzazione e procedura penale, per l’isola di Malta e sue dipendenze, [Malta] 1835.

 

([5]) Ganado, cit., 48.

 

([6]) Leggi penali per l’isola di Malta e sue dipendenze, Malta 1836; contemporaneamente vengono pubblicate anche le Leggi di organizzazione e procedura penale per l’isola di Malta e sue dipendenze, Malta 1836.

 

([7]) In più casi vengono eliminate o ridotte le suddivisioni interne ai singoli titoli e capitoli: v. ad es. l. II, tit. II, cap. I, Dei Reati contro la Sicurezza Interna (che è anche spostato prima di quello sulla sicurezza esterna); l. II, tit. III, Delle Violenze Pubbliche, e degli Attruppamenti; l. II, tit. IV, cap. I, Della Usurpazione della pubblica Autorità, e dei Mezzi dei quali essa si serve e IV, Degli Abusi della Autorità Pubblica.

 

([8]) Così, ad es., vengono cancellate le disposizioni sull’abolizione dell’infamia e della confisca, che non compaiono nella scala penale e devono quindi intendersi eliminate; nel Rapporto la questione non viene neppure affrontata, ma si dice espressamente che «Non sono incluse nel progetto, se non se quelle pene solamente, che per la varia gradazione della malizia, la quale accompagna ogni reato, doveano stabilire una diversa e proporzionata misura nella punizione de’ reati. Qualunque pena a quell’oggetto, o agli altri fini della giustizia, non assolutamente necessaria, è stata esclusa, per la ragione, che la soverchia prodigalità delle pene degenera in crudeltà vituperevole e raffinata» (xii).

 

([9]) Ganado, cit., 36 e 48.

 

([10]) Rapporto cit., iii ss.: «Tali disposizioni quanto laconiche nelle parole, altrettanto feconde sono di conseguenze; giacché ne derivano necessariamente le seguenti, le quali poi danno luogo ad infinite altre subalterne. Ne sono necessarie conseguenze, 1° Che nissuna azione, nissuna omissione dall’umana giustizia si consideri come reato soggetto all’animavversione delle leggi penali, se tale azione od omissione non costituisca un crimine, un delitto, od una contravvenzione. 2° Che nissuna azione, nissuna omissione sia crimine, delitto, o contravvenzione se dal legislatore non sia stata assoggettata a pena, che fosse criminale, correzionale o di polizia. 3° Che nissuna pena sia criminale, correzionale, o di polizia, se la medesima non si trovi enumerata espressamente nell’elenco delle pene fissate colle nuove leggi penali. 4° Finalmente che nissuna azione, nissuna omissione possa dirsi crimine, delitto, o contravvenzione, e quindi essere punita con pene criminali, correzionali, o di polizia, se essa non sia reato».

 

([11]) «Questa latitudine della durata della pena forma uno de’ caratteri principali del progetto; essa è protratta a tutti casi ne’ quali la pena ammette una durata temporanea, ed è fondata sulla incontrastabile verità, che di molti casi che cadano sotto la denominazione di uno stesso reato, è quasi impossibile che ve ne siano due così somiglievoli tra loro, che nissuno di essi presenti qualche cosa di più aggravante, o più attenuante di quello che faccia l’altro»: Rapporto cit., vi.

 

([12]) Ganado, cit., 15 e 21.

 

([13]) Rapporto cit., iv; viene cioè sostanzialmente adottata la soluzione proposta da Bonavita a partire dalla sua Memoria del 1823: cfr. Ganado, cit., 15 e 31.

 

([14]) Gli artt. 4, 5 e 6 di quest’ultimo sono infatti sostituiti nel progetto maltese dall’art. 4: «La pena di morte si esegue in pubblico, col laccio sulle forche».

 

([15]) Rapporto cit., iv s.

 

([16]) Cfr. M. Da Passano, Emendare o intimidire? La codificazione del diritto penale in Francia e in Italia durante la Rivoluzione e l’Impero, Torino 2000, 107 e 284 s.

 

([17]) Rapporto cit., v s.

 

([18]) «La carcerazione costituisce una pena di descenso di rigore, ne’ casi ne’ quali si è giudicato potersi evitare di ricorrere alla pena maggiore dei lavori forzati: un tale descenso consiste meno nella durata del tempo, che nel trattamento del condannato, il quale trattamento, per ogni riguardo, suppone dover essere considerevolmente più moderato di quello del condannato ai lavori forzati»: Rapporto cit., vi s.

 

([19]) V. infra n. 27.

 

([20]) «Tra le pene correzionali la più severa si è la prigionia, benché pena, non tanto destinata a punire, quanto a correggere e riformare il colpevole, o per meglio dire per l’uno e per l’altro di questi due salutari effetti, ma principalmente per l’ultimo. Questa pena si propone un tale oggetto principalmente sul riflesso, che il grado di malvagità che induce a semplici delitti, è diverso assai da quello che spinge a maggiori reati, aventi la denominazione di crimini; cosicché nel colpevole di quelli è probabile l’emenda, che abbiamo già osservato essere per lo più inutilmente sperabile nel colpevole di questi. La pena della prigionia suppone in Malta un ben regolato stabilimento di una casa di correzione, che non vi è mai stato, e che con così felice successo trovasi in varj altri paesi attivato. Il consorzio dell’assassino, del falsario, del ladro famoso, dell’incendiario, e di altri siffatti malfattori, con condannati per delitti, commessi meno per una profondamente radicata malizia, che per una fragilità inerente alla specie umana, meno per una determinata perversità di animo, che per un obblio di se stessi, e qualche volta per una di quelle per così dirle fatali combinazioni di circostanze, in cui il giro di parte delle venti quattro ore d’un giorno può inaspettatamente ravvolgere un uomo, di una vita per lo innanzi irreprensibile ed onorata, non può altrimenti operare che compiendo per sempre, e senza speranza, la totale perdizione di chi per un momento avea deviato dal sentiere della rettitudine, ma non avea perciò estinta ogni speranza di potervi rientrare. Il confondere insieme colpevoli di reati così tra loro disparati, sarebbe aumentare senza necessità la pena dei minori, e quindi una pura crudeltà, sarebbe un annientare ogni distinzione di maggiore e minore gravezza nei reati, e quindi un pervertimento del fine della giustizia nell’adoperarsi a stabilire la misura delle pene corrispondentemente alle colpe»: Rapporto cit., vii s.

 

([21]) «La reclusione, importante ciò che chiamasi comunemente carcere solitaria, (…) mentre da un canto può somministrare al condannato quella concentrazione in se stesso, che valga a farlo meditare sul suo traviamento, e sull’abisso che gli si aprirebbe sotto un altro suo passo nella via dei reati; a destargli i sensi di pentimento, e di orrore all’infamia, ed alle conseguenze del delitto, ed indurlo a risolvere di riformarsi, se pure la sua indole è di riforma suscettiva, è dall’altro canto scevra da quei pericoli, che una lunga carcere solitaria è riconosciuta poter facilmente produrre. In fatti la soppressione di ogni umana affezione, l’indurimento del cuore, lo spirito di vendetta, la disperazione, la ragione smarrita, ed il fisico permanentemente viziato, sono mali, che leggiamo nei filantropici travagli di coloro, che si sono occupati della disciplina delle prigioni, essere stati più volte i funesti effetti di una protratta carcere solitaria; mali certamente non controbilanciati dal bene che potrebbe ripromettersi da questa pena»: Rapporto cit., viii s. Da queste righe, in cui è palese l’eco delle discussioni europee sui modelli carcerari e in particolare sull’isolamento, appare evidente che i commissari, pur vivendo in un paese “marginale”, sono ben informati su un dibattito che pure è ancora nella sua fase iniziale: cfr. in proposito A. Capelli, La buona compagnia. Utopia e realtà carceraria nell’Italia del Risorgimento, Milano 1988.

 

([22]) «Queste due pene sono ancora più miti della prigionia; e perché in qualche caso particolare non degenerassero in un non voluto maggiore aggravio di pena, a danno di persone condannate, e non aventi mezzi di sussistenza ne’ luoghi dove, attese queste pene, loro rimanesse la libertà di risedere, si lascia al condannato la facoltà di domandare e di ottenere, in qualunque tempo, che la durata che ancora gli rimanesse da espiare, si riducesse ad una sola metà, convertendosi però la relegazione, o il confino, in prigionia»: Rapporto cit., viii. Relegazione e confino sono divisi in due gradi, da 2 mesi a 2 anni (anziché in tre, da 1 mese a 5 anni, come esilio e confino nel codice napoletano).

 

([23]) «Col ritiro, (…) mentre si procura di offerire qualche soddisfazione all’offeso, si provvede, perché il convivere con altre delinquenti, e la troppa pubblicità de’ luoghi di ordinaria prigione, non frappongano un ostacolo insormontabile alla remissione della colpa, all’emenda della colpevole, ed alla ristorazione della pace delle famiglie; oggetti tutti assai desiderabili per impedire che si perpetui una separazione, gli effetti della quale gravitano necessariamente sopra i figli innocenti, e spesso finiscono per immergere senza ritorno nel vizio la colpevole, e con essa spesso anche l’offeso, ed i figli abbandonati pel disordine della conjugale disunione»: Rapporto cit., ix.

 

([24]) «L’ammenda correzionale, a differenza della criminale, può ancora applicarsi sola, e come pena principale, e ciò per la ragione, che benché sia assurdo punire con multe un crimine, ve n’hanno dei delitti che non potrebbero venire condegnamente colpiti che con pene pecuniarie»: Rapporto cit., ix s.

 

([25]) Rapporto cit., xii.

 

([26]) Rapporto cit., xii ss. La fustigazione era già stata oggetto di discussione e di scontro all’interno della commissione fra Kirkpatrick, Bonavita e Bonnici, favorevoli all’abolizione, e Stoddart, contrario: cfr. Ganado, cit., 39 s.

 

([27]) «Considerata la correlazione di queste isole cogli altri paesi, i quali non permetterebbero che in essi si ricevessero i nostri condannati, senza almeno stipolare l’accoglimento qui dei loro, talvolta più facinorosi dei nostri; considerata la difficoltà di una permanenza altrove di un esiliato Maltese, permanenza che egli non potrebbe ottenere senza darle incominciamento con commettere un reato, quello cioè d’introdurvisi senza passaporto, e per contrabando; considerata finalmente la disperazione in cui una pena simile mette l’uomo dell’infima classe nativo di quest’isola, portandolo in un paese estero, di cui non capisce la lingua, dove non è capito, essendo di più egli sfornito di mezzi, senza amici, senza raccomandazioni, ed attirandosi addosso i ben fondati sospetti della polizia …»: Rapporto cit., xiv.

 

([28]) Rapporto cit., xv.

 

([29]) Rapporto cit., xv.

 

([30]) «41. Nei crimini e nei delitti, ove la legge lascia la latitudine sia di due o più gradi di una pena, sia di due pene di diversa indole, non applicandosi il grado o la pena maggiore, si dovrà espressamente specificare nella sentenza la ragione che avrà consigliato a prescegliere il grado o la pena minore. Si eccettuano da questa regola i casi nei quali la legge espressamente lascia la scelta del grado o della pena ad arbitrio della corte». Nel Rapporto cit., xv ss., si dice in proposito: «non tenendosi la medesima [disposizione] presente, s’incorrerebbe pericolo di male interpretare quasi l’intero progetto … In altri termini stabilisce questa disposizione, che (…) la pena ordinaria applicabile al caso sia la maggiore, e solo si possa dare la minore, quando nella mente della corte concorre nel caso qualche valevole causa, per cui il colpevole meriti una mitigazione della pena ordinaria: è conseguibile tale mitigazione col descenso alla pena minore, che offre l’alternativa; e la causa che avesse consigliato la mitigazione deve espressamente specificarsi nella sentenza. La difficoltà, o diremo più tosto l’impossibilità, che la legge provveda espressamente a ciò che potrebbe in ogni caso costituire le varie scuse per cui i reati debbano ottenere una minorazione della pena ordinaria; l’effetto che tale regola non possa mai operare, se non se a favore dell’imputato; il mezzo onde opporre un ostacolo all’abuso, con l’esprimere l’espressa specificazione nella sentenza del motivo inducente alla mitigazione della pena; la prudenza presunta nel magistrato, cui spetterà di amministrare la legge, e che è credibile doversene valere con economia, e solo quando la giustizia lo imponga; sono parte delle ragioni, che possono allegarsi in sostegno di sì fatta sanzione».

 

([31]) Rapporto cit., xv ss.

 

([32]) Rapporto cit., xvii s.

 

([33]) «La somma cautela che si deve osservare riguardo la pena di morte, perché questa non possa mai venire applicata oltre la mente del progetto, ha dettato la sanzione espressa, che alla pena di morte non si possa mai ascendere in forza di alcuna generica espressione, ma solo quando la legge, espressamente prevedendo il caso, avesse ordinato l’inclusione nell’ascenso della pena di morte. In difetto di tale espressa sanzione, dai lavori forzati perpetui non si ascende, ma questi vengono oltre l’ordinario renduti più gravi, descrivendone il modo»: Rapporto cit., p. xviii.

 

([34]) «La teoria delle circostanze attenuanti è stata adottata dietro l’esempio di quanto si è fatto in Francia nel 1831, alla riforma di quel codice penale. Essa si è avuta costantemente in vista nel progetto, ogni qualvolta ricorreva di dover considerare reati soggetti alla pena di morte e dei lavori forzati perpetui … La pena di morte però, e quella dei lavori forzati a vita, non hanno né maximum minimum; ciò non ostante la stessa ragione che milita per gli altri reati, prevale riguardo a quelli per cui sono fulminate le pene di morte, o dei lavori forzati perpetui. Ora sarebbe assurdo che la legislazione usasse meno cautela, e che essa fosse meno accurata e filantropica, in fatti di maggiore che in fatti di minore importanza. La legge non può prevedere tutte le scuse che possa ammettere ciascun reato in concreto, anzi si è già osservato, che ciò che costituirebbe una scusa in un caso potrebbe non esserlo in un altro. Il difetto della teoria delle circostanze attenuanti farebbe sì, che molti, in difetto di una scusa espressamente dichiarata dalla legge, che intanto non fosse perciò meno una scusa, perderebbero la vita sopra un patibolo, o la libertà per sempre in una prigione, non perché lo meritassero, ma per difetto della previdenza della legge. Così dall’altro canto, sarebbe qualcuno liberato dalla meritata pena di morte, per una scusa espressa dalla legge, mentre che questa contemplava tutt’altri casi fuori di quello di cui si trattasse … Sopra il particolare della teoria delle circostanze attenuanti, non possiamo meglio fare che rimetterci agli eloquenti discorsi degli oratori Francesi, ed ai rapporti della commissione istituita in Francia per la riforma di quel codice penale, nella quale occasione è riuscito di svolgere colla maggiore evidenza le ragioni che formano la giustificazione del principio allora adottato»: Rapporto cit., xviii e xl ss.

 

[35] « Nell’uno e nell’altro di questi due casi, si ordina l’applicazione di una pena minore dell’ordinaria, eccettuati i casi particolari, in cui la legge diversamente disponesse. I principj relativi al reato mancato sono meno fondati su ciò che per la sua malizia merita il colpevole, che sulla filantropia della legge, e sulla ritrosità della stessa a ricorrere a tutta la severità, ne’ casi che non fossero estremi, e quando il reato non fosse compiuto, sì nell’affetto, che nell’effetto. Si fondano però sulla stretta giustizia, e sul bene dello stesso offeso, il di cui maggior danno tendono ad impedire, i principj che regolano il discenso di pena, ne’ casi di reato semplicemente tentato: Rapporto cit., xix s.

 

([36]) «Le teorie sulla complicità sono del tutto diverse dalle attuali … Il progetto non riconosce che due specie di persone colpevoli in un reato, l’una de’ suoi autori, e l’altra dei complici … La complicità è ristretta a quelle due specie, che in giurisprudenza diconsi ante factum, vel in facto, giacché la complicità ex post facto non può correttamente dirsi complicità … Quando però gli atti che inducessero ciò, che in oggi si dice complicità ex post facto, costituiscono per se stessi un reato, essi sono distintamente preveduti e puniti nel progetto; se poi non costituiscono reità per se stessi, sarebbe assurdo il classificarli tra i reati. I complici nel progetto sono puniti colla pena medesima stabilita per gli autori principali; Egli è vero che viene raccomandato dagli scrittori, ed è sanzionato in più codici, che i complici debbano essere puniti, in certi casi, con una pena inferiore a quella dell’autore; e ciò principalmente eglino sostengono come tendente all’oggetto salutare, che difficilmente tra i molti concorrenti nel reato si trovi chi voglia assumere la maggiore responsabilità di commettere l’atto, e così sperano dovere in qualche caso svanire il criminoso concerto. Però, prescindendo della difficoltà di eseguire le sanzioni sul particolare, che in alcuni codici moderni si leggono assai semplici e belli in teoria, ma che in atto pratico offrono dubbj e difficoltà insormontabili, per distinguere tra’ casi in cui il complice debba punirsi colla pena dell’autore, e quelli in cui egli debba con minore pena essere colpito, lo stesso progetto somministra il mezzo di ottenere il fine, senza incontrare tali dubbj e tali difficoltà; poiché ne’ casi punibili con pene temporanee, il grado stesso offre una latitudine di pena … Nei reati poi soggetti alla pena di morte, o dei lavori forzati perpetui, la teoria delle circostanze attenuanti fa sì, che concorrendo queste a favore del complice, e non concorrendo a favore dell’autore, questi può subire la morte, o i lavori forzati perpetui, secondo che fosse stabilito come pena pel commesso reato, ed il complice avere il beneficio del discenso di un grado; cosicché viene sempre conservato il gran fine di rendere difficile, che tra molti si trovi uno che voglia commettere l’atto»: Rapporto cit., xx ss.

 

([37]) Rapporto cit., xxii.

 

([38]) Rapporto cit., xxiv.

 

([39]) Rapporto cit., xxiv s.

 

([40]) Rapporto cit., xxvi s.

 

([41]) «Ell’è una verità stabilita, che se vi è reato che meglio giustifichi l’applicazione della pena di morte, esso è certamente l’omicidio. Ora parrebbe che la legge non si adoperasse abbastanza a proteggere la vita del cittadino, se non istabilisse per principio generale, che ogni omicidio volontariamente commesso sia soggetto alla pena di morte»: Rapporto cit., xxvii. 

 

([42]) Sul tema della lingua la commissione torna poi per sottolineare fra i loro pregi che «i due progetti sono scritti in lingua italiana generalmente intelligibile a tutti i Maltesi, mentre le sorgenti delle cognizioni, anche le più semplici, della nostra attuale legislazione si rendono inaccessibili a chiunque non sia della professione legale»: Rapporto cit., p. liv. Sulle precedenti polemiche sull’uso della lingua italiana, ma nei confronti dell’inglese, v. Ganado, cit., 45 ss.; Cadoppi, Vinciguerra, cit., 369 s.

 

([43]) Rapporto cit., xxviii.

 

([44]) Cfr. in proposito Ganado, cit., 46 s.

 

([45]) Rapporto cit., xxviii.

 

([46]) Rapporto cit., xxix s.

 

([47]) Rapporto cit., liii.

 

([48]) «… in paragone di ciò, che attualmente è la legislazione ed il sistema penale dell’isola (…), sarà evidente la superiorità della legislazione proposta nei progetti, e del sistema che essa dovrà introdurre, quando senz’anche fare uno scrupoloso confronto si voglia solamente attenersi ad alcuni caratteri principali, e troppo prominenti, offerti dai due progetti, e controposti alla legislazione, ed al sistema attuale … i due progetti (…) rinchiudono in due brevi volumi una sostanza, che in oggi per rintracciare e conoscere bisogna consultare biblioteche intere; dirimono infinite quistioni, e rischiarano infiniti dubbj in oggi esistenti nelle nostre leggi penali, e di procedura penale; stabiliscono pene più proporzionate ai reati, abolendo quelle barbare ed indegne dei tempi in cui viviamo; stabiliscono pene che, lungi dal corrompere sempre più la morale dei delinquenti, come succede sotto l’attuale sistema, possano richiamarli al retto sentiero, quand’eglino fossero di emenda suscettivi; rendono percettibile ciò che possa come reato venire sottoposto all’animavversione della legge, e ciò che non è reato, in vece di qualche incertezza che su quest’oggetto attualmente abbiamo; stabiliscono sanzioni sopra un’infinità di reati, e di punti di procedura , su cui veruna disposizione ci somministrano le presenti leggi locali; e stabiliscono pene, e regole fisse e positive, in vece dell’arbitrio assai esteso accordato dalle attuali leggi … Le leggi penali, e quelle di procedura, sono in armonia tra se stesse, essendo queste ultime compilate colla vista di renderle a quelle corrispondenti, mentre le attuali leggi di procedura, se pure non sono in parte incompatibili colle attuali leggi penali, sono state compilate senza grande relazione alle medesime; e le leggi di procedura pubblicate fin ora dal 1814, si vedono in più casi redatte in poca concordanza tra loro stesse. Col nuovo sistema, la nostra legislazione progredirà colla analoga giurisprudenza che fisseranno le decisioni delle nuove corti, e col trascorrere del tempo si avvicinerà sempre più alla perfezione; mentre in oggi dessa è stazionaria, e qualunque nuovo miglioramento parziale che nel suo stato presente vi si volesse introdurre, è raro che non vi si apportasse disordine, perché eterogeneo al suo generale carattere e sistema»: Rapporto cit., liv s.

 

([49]) Rapporto cit., lii ss.

 

([50]) «Delle antiche leggi, e penali, e di organizzazione e procedura penale, tutto ciò che si oppone a quanto si contiene nei due progetti, dovrà da per se cessare, per la naturalissima ragione che la legge posteriore deroga l’anteriore. Tutto ciò poi, la cui materia viene compiutamente regolata nei due progetti, cessa parimenti per espresse sanzioni contenute nella disposizione preliminare, e nella disposizione generale che si legge nell’articolo 401 del progetto penale, e nell’articolo primo del progetto di organizzazione e procedura penale, le quali tanto espressamente prescrivono … Tutti i casi appartenenti alla giustizia penale (…) dovranno portarsi innanzi le nuove corti, ed essere da queste giudicati secondo le leggi penali, e di organizzazione e procedura penale»: Rapporto cit., xlvi ss.

 

([51]) Rapporto cit., xlvii s.

 

([52]) Nel testo pubblicato, infatti, di alcuni articoli rimane solo il numero, con accanto la dicitura «Soppresso»: artt. 96 a 98 (reati contro la sicurezza interna), 249 a 251 (della stampa, degli scritti, e delle immagini).

 

([53]) «I due progetti dovrebbero essere promulgati in forza di una legge, che esprimesse la provvida cura di Sua Maestà, nell’istituire una commissione per la compilazione e redazione di cinque codici: l’esservi di questi già pronti i due progetti, l’uno penale, e l’altro di procedura penale: che tali due progetti non possano essere perfetti sintanto che manchino gli altri codici, specialmente il civile, che disponga dei diritti; ma che lo stato della legislazione criminale di Malta sia tale da non permettere per la necessaria riforma, che si aspetti la promulgazione del codice civile, e tanto meno degli altri due, commerciale cioè, e di procedura civile: quindi la risoluzione di Sua Maestà di promulgare provvisoriamente i succennati due progetti: il bene che da un canto essi faranno colla riforma, e il nissun male che dall’altro possano produrre, giacché i difetti che operassero in favore dell’imputato non costituirebbero un gran male, quelli che operassero contro, sarebbero facilmente e con certezza rimediati, e indi riformati gl’interi progetti alla finale promulgazione dei cinque codici. La stessa promulgazione dei due progetti dovendo essere provvisoria, suggerisce, che in vece del pomposo titolo di codici, debbano essi venire sotto il nome di Leggi Penali, e Leggi di Organizzazione e Procedura Penale per l’Isola di Malta e sue Dipendenze»: Rapporto cit., l.

 

([54]) Cfr. in proposito Delicata, cit., 8 s.; Cadoppi, Vinciguerra, cit., 370 s.

 

([55]) Per le variazioni successive relativamente ad ogni disposizione del codice, sino all’art. 150, v. G. Falzon, Annotazioni alle leggi criminali per l’isola di Malta e sue dipendenze, per servire di guida al giurato, Malta 1870-72, 2 voll., il primo dei quali pubblicato anonimo.