N. 3 – Maggio 2004 – In Memoriam – Bussi
Università di Modena
LO STUDIO DEL SACRO
ROMANO IMPERO DELLA NAZIONE TEDESCA COME ESIGENZA DELLA SCIENZA STORICA (*)
(*) Tolte le parole di circostanza, questo è il testo della
lezione di commiato dall’insegnamento in conseguenza del collocamento fuori
ruolo, tenuta da me a Modena il 1 luglio 1974 [= E. BUSSI, Esperienze e
prospettive. Saggi di storia politica e giuridica, Pubblicazioni della Facoltà
di Giurisprudenza della Università di Modena, Num.136, N.S. - Num. 71,
S.T.E.M. Mucchi, Modena 1976, pagg. 399-423. Ne esiste una
traduzione tedesca, comparsa come: Das Recht des Heiligen Römischen Reiches
Deutscher Nation als Forschungsvorhaben der modernen Geschichtswissenschaft,
in Der Staat, Zeitschrift fuer
Staatslehre oeffentliches Recht und Verfassungsgeschichte, 16 band 1977,
Heft 4.
SOMMARIO: I. La fine del S.R.I. ed il pensiero dei contemporanei.
— II. Importanza
del Reichsrecht. — III. Necessità dello studio
del Reichsrecht. — IV. Altre ragioni che consigliano detto studio. — V. Il Reìchstag come
Parlamento d’Europa. — VI. Lo studio del S.R.I. della Nazione Tedesca è una Europäissche
Forschungsaufgabe.
Oltre un secolo
addietro, e cioè nel 1853, Karl August Klüpfel, uno storico tedesco che è stato
primo bibliotecario della università di Tübingen — ha scritto un interessante
volume: «Le aspirazioni tedesche alla unità nella loro evoluzione storica»[1]
nel quale, tra l’altro, dice: « Dopo che l’ultimo barlume di speranza per una
rianimazione dell’organismo del Deutsches Reich scese nella tomba
coll’Imperatore Giuseppe II, la rivoluzione francese cominciò a manifestare
sull’Impero la sua influenza disintegratrice. Noi abbiamo già visto in quale
decadenza era andata la costituzione del Reich. La dignità imperiale
appariva avanti agli occhi del popolo solo nelle cerimonie della incoronazione.
La potenza politica del Reich erasi tramutata in favola e se ne parlava
come di una antica tradizione alla quale pensavasi di essere debitori solo di
una qualche manifestazione di riguardo: nessuno, però, pensava di trarre sul
serio da ciò una pure modesta conseguenza pratica, e di sollecitare in
particolare la obbedienza dei Reichsstände nei confronti
dell’Imperatore. Un vero e proprio patrimonio dell’Impero non esisteva più e
tutte le entrate del Capo dello Stato erano ridotte a 13.884 fiorini e 32 Kreutzer,
che derivavano dalle imposte delle Città imperiali e dagli ebrei. Tutti gli
altri proventi erano nelle mani Principi. Alcuni anni prima della morte di
Giuseppe II in uno scritto anonimo (1787) venne seriamente discussa la
questione Warum soll Deutschland einen Kaiser haben? Al quesito postosi
l’autore risponde negativamente, poiché, se il Kaiser dove essere solo un Oberhaupt
cui altri sovrani sono uguali, allora egli è del tutto superfluo ed
intollerabile; ché, se invece nulla più deve essere di una semplice dignità, a
che gioverebbe avere un nulla? Di fatto, al Kaiser, non rimane
nessun’altra politica funzione che giustifichi la sua esistenza. Gli Stati
Tedeschi Sovrani sarebbero tanto meglio corrispondenti al loro scopo, se il
vincolo imperiale si estinguesse: codesto, il vincolo imperiale, non sarebbe
più adeguato ai tempi, come antiquati sono gli abiti dei magistrati
cittadini delle Città imperiali»[2].
Questa, commenta
il Klüpfel era per lo più la opinione generale, perché il sentimento della
unità dell’Impero era scomparso dalla coscienza delle persone colte. Il Klüpfel
non sembra tenere conto del fatto – ben noto già ai suoi tempi – che proprio le
riforme di Giuseppe II avevano contribuito a mettere in grave pericolo il Reich
e che se questo fu salvo, almeno per il momento, questo fu merito della
intelligente opera del suo successore, l’Imperatore Leopoldo II: il Klüpfel non
sembra neanche pensare alla circostanza che, se Leopoldo II — come ben ha messo
or non è molto in rilievo Adam Wandruszka nel suo fondamentale lavoro[3]
— non fosse prematuramente stato rapito ai vivi, la storia, forse, avrebbe
avuto un altro corso. Tuttavia il pensiero del primo bibliotecario della
Università di Tübingen è importante non solo perchè corrisponde al punto di
vista di molti altri storici del 19° e 20° secolo, ma anche perché spiega come
siasi potuto affermare da taluno, per esempio da S.H. Steinberg che «Das
Reich verschwand unbeweint, sang und klanglos»[4]
Che questa
opinione non sia esatta, ho dimostrato nella relazione che ebbi a fare nel 1971
a Freiburg in occasione delle Journées Internationales d’histoire du droit ricordando
anche — ma non esclusivamente! — i fatti addotti da J. Bühler nella sua Deutsche
Geschichte: il Re di Svezia come Duca di Vorpommern si ritira il 13 gennaio
dal Reichstag di Regensburg in segno di protesta contro Napoleone;
l’ambasciatore di Prussia e quello di Baviera protestano contro l’atto di
scioglimento dell’Impero operato da Francesco II; il dolore dei Viennesi e
delle Città Anseatiche, le quali vedono nella scomparsa del Reich tedesco
una grave minaccia per le loro libertà[5].
Soprattutto,
però, le commosse espressioni che Heinrich Luden — il quale, vissuto a
cavaliere tra il 18° ed il 19° secolo, fu spettatore di tutta la vicenda dedica
alla scomparsa del Sacro Romano Impero nella sua opera «Sopra lo studio
della storia patria»[6],
dimostrano come, contrariamente ad una molto diffusa ma erronea opinione, lo
scioglimento del primo Reich fu avvenimento che percosse la coscienza e
la immaginazione di tutti coloro che erano pensosi dei destini di Germania e
d’Europa. Si capiva, da tutti costoro, che una lunga età si chiudeva ed altra
si apriva gravida di paurose incognite, di grandi preoccupazioni, di mortali
pericoli. Si intuiva, in altre parole, anche se confusamente, quanto ai nostri
giorni H. Hantsch con concisione ma con chiarezza scrive: «Mit dem Reich
versank auch die gesammte europäiscbe staatspolitische Ordnung der alten Zeit. Der Staatsbegriff hatte den Reichsbegriff überwunden,
Europa mußte sich eine andere Form geben»[7].
Il Sacro Romano
Impero viene da Heinrich Luden paragonato ad un albero maestoso, ricco di rami
e di fronde, nonché vasto di chioma: venivano di tanto in tanto degli
stranieri, dice il Luden proseguendo la similitudine, a rompere dei rami ed a
strappare delle fronde e pur tuttavia non ce ne siamo mai preoccupati. L’albero
era sempre così poderoso ed offriva tanta ombra e riparo, che noi ci sentivamo
ugualmente sicuri. Solamente pochi, che stavano più vicini al tronco e che per
questo erano fatti accorti della putrescenza dei rami e della debolezza delle
radici, ci avevano ammoniti, ma la loro voce, come quella dei profeti, è
rimasta inascoltata. Poi venne la tempesta, e noi, abituati alla inattività,
nulla abbiamo fatto per sostenerlo: ora esso è caduto e nessuno di noi ne è
rimasto indenne. In questo tempo, inaudito per un animo tedesco — così finisce
il Luden — nel quale l’antico è rovinato a terra, ed il nuovo, per quante belle
speranze possa suscitare, non ha ancora abbastanza solidità per tranquillizzare
gli afflitti, cosa, da un lato, potrebbe meglio rianimarci e consolarci, che il
ritorno col pensiero ai bei migliori tempi passati, quando il maestoso albero
lietamente si innalzava al Cielo, quando lo spirito della vita tedesca si
mostrava nella sua originaria purezza, ovvero si manifestava in azioni diverse
ed in caratteristica bellezza? E dall’altra parte, cosa potrebbe dare alla
nostra vita un migliore significato per il futuro se non il puro spirito
tedesco richiamato da noi entro noi stessi, cioè l’originario carattere della
nostra Nazione, l’antico amore di Patria nella sua forza e nella sua purezza?
Cosa potrebbe meglio incitarci al valore ed alla azione, dell’esempio dei
Padri? Nessuno può seriamente studiare la storia di un popolo senza ricapitolare
la vita dello stesso: «Die Geschichte eines Volkes aber kann niemand
ernstlich studieren, ohne das Leben desselben zu wiederholen»[8].
II
Che la storia del
popolo tedesco non possa venire appieno intesa senza conoscere la vita del
primo Reich è cosa quindi che si comprende da sè per via anche solo del
fatto che esso era das Heilige Römische Reich Deutscher Nation. ed a
parte tutte le altre interpretazioni che si sono volute dare alle espressione Deutscher
Nation, per noi è sufficiente accennare alle due più diffuse ed accettate
nei secoli 17 e 18: che cioè il Sacro Romano Impero era detto della Nazione
Tedesca, vuoi perché la Germania era il cuore dell’Impero, vuoi perché codesto
era ridotto ormai solo al territorio abitato dai Tedeschi. Ma se la storia del
popolo tedesco è inseparabile da quella del Deutsches Reich, si può dire
altrettanto per quella di Europa?
Il problema si
pone perchè il Deutsches Reich per via della teoria della traslatio
Imperii non solo ha creduto di essere, ma ha voluto essere la continuazione
di quello romano, la cui dominazione si è esercitata su tutta la Europa
occidentale.
Che i Germani con
a capo i Carolingi, prima, gli Ottoni e gli Svevi, poi, abbiano messo le loro
fresche e potenti energie al servigio di quella idea universale che è
rappresentata dalla romanità perpetuandone così il ricordo e l’ideale sino ai
nostri giorni, è, a mio avviso, un merito talmente grande ed indiscutibile, da
fare apparire quasi marginale la pur dotta ed interessantissima polemica tra
Heinrich v. Sybel ed Julius v. Ficker sulle ragioni ed il movente della
politica italiana degli Imperatori Tedeschi.
Certamente,
poiché colla parola romanità ci si riferisce a tutta la civiltà di Roma,
mentre colla espressione Deutsches Reich ci si riferisce alla
organizzazione politica del Sacro Romano Impero, l’argomento del problema si
restringe all’ambito più modesto del diritto pubblico che dà norma al vivere
politico: ma proprio per questo, la connessione tra il Deutsches Reich e
la romanità riesce, direi, più evidente, perché sia questa sia quello hanno trovato
nel diritto la loro caratteristica e più alta espressione.
Il problema da me
pertanto accennato presuppone a sua volta la soluzione di un quesito
preliminare: perché noi dobbiamo studiare il diritto pubblico del primo Reich.
Basterebbe a
questo proposito ricordare quanto io ho sempre accennato ai miei studenti, che
vi sono certi istituti del diritto romano o certe situazioni costituzionali del
nostro ordinamento le quali offrono straordinarie analogie con quelle del primo
Reich, per dare già per questo ragionevole fondamento alla da me qui
accennata necessità.
Così è a dirsi
del procedimento per ingiunzione in materia civile che sembra volersi ispirare
all’istituto del Mandatprozess regolato dalla K.G.O. del 1555; così è a
dirsi, per esempio, della giustapposizione tra Reichskammergericht e Reichshofrath
che riproduce, mutatis rnutandis il rapporto esistente tra Corte di
Cassazione e Consiglio di Stato.
Ma qui, più che
su questi aspetti deL problema, vorrei soffermarmi su diverse riflessioni, le
quali, non a caso, ma per una significativa somiglianza di storiche situazioni
vengono già fatte per il diritto romano.
Anche col diritto
romano, infatti, vi è tale somiglianza di svolgimento riguardo a certi
istituti, da concludere che veramente quella continuità dell’Impero, che la translatio
voleva assicurare, non è una creazione letteraria, ma una evidenza dei
fatti storici.
Come non si può
rimanere colpiti, per esempio, dal fatto che il Progetto di una Capitolazione
perpetua (Entwurf einer immerwährenden Wahlkapitulation) del 1712 venne
formulato per le stesse ragioni che fecero procedere alla compilazione dell’Editto
di Salvio Giuliano? E come negare quella somiglianza formale tra le stesse
Capitolazioni Elettorali Imperiali e la Lex Curiata de Imperio sulla
quale si sono affaticati i giuspubblicisti tedeschi del 17 e 18 secolo? Nel suo
recente scritto: «Le Capitolazioni Elettorali Imperiali. Storia, natura e
funzioni»[9]
Gerd Kleinheyer — un valoroso allievo di Hermann Conrad ed oggi docente alla
Università di Regensburg — ha osservato esattamente che non sfuggì ai giuristi
di allora la differenza degli scopi cui tendevano le due leggi, perché quelle
miravano a restringere il potere e ad assicurare la libertà dei Reichsstände,
questa tendeva al trasferimento, cioè alla attribuzione del potere. Se ogni
somiglianza di contenuto tra le due leggi sembra doversi respingere, rimane ciò
non pertanto una analogia formale che meriterebbe un ulteriore approfondimento.
Ma veniamo alle
ragioni che sospingono allo studio del Deutsches Reichsrecht o, più in
genere, del Deutsches Staatsrecht.
A) Vi è anzitutto
un motivo scientifico, che mi pare di importanza fondamentale, il quale è
costituito dal fatto che il diritto pubblico del primo Reich è l’unico
ordinamento giuridico pubblico del quale sia possibile seguire la ininterrotta
linea evolutiva dal suo sorgere alla sua fine.
Questa coincide
collo scioglimento dell’Impero effettuato nel 1806 da Francesco II Deutscher
Kaiser: quello è segnato dalla incoronazione di Ottone II il Grande fatta a
Roma da Papa Giovanni XIII nel 962, che collegò la rinnovata dignità imperiale
alla tradizione romana, di cui volle essere la continuazione.
Nessun’altro ordinamento di diritto pubblico si svolge per un arco
di tempo così vasto, in via quasi sempre pacifica, per direi quasi naturale
maturazione dei suoi principi, senza quelle cesure brusche ed improvvise che
sono le rivoluzioni, le quali rappresentano altrettante cicatrici che deturpano
il tessuto della storia dei popoli.
Uno
fra i tanti esempi di quella continuità storica, che è uno dei vanti del
diritto pubblico del primo Reich, è la Bolla d’Oro, che fu emanata da
Carlo IV per i primi 23 Capitoli al Reichstag di Nürnberg il 10 gennaio
1356 e per i successivi otto capitoli (24-31) al Reichstag di Metz il 25
dicembre dello stesso anno.
Con
questo monumento legislativo — alla cui storia quella del nostro diritto è
collegata per via della presunta collaborazione di Bartolo alla sua
formulazione — comincia come è noto la lunga serie delle Leggi Fondamentali
dell’impero ed il fatto che essa sia il primo dei Reichsfundamentalgesetze
fa si che istintivamente si pensi allo stesso come ad una costituzione
emanata di getto dal legislatore, cioè come ad una costituzione del tutto nuova
ed originale.
In
realtà la Bolla d’Oro è un atto legislativo originale solo rispetto alla forma,
perché, come ben hanno messo in luce gli studi di H. Friedjung e di K. Zeumer,
essa va considerata come una codificazione in vasta misura di diritto
consuetudinario e di norme già riconosciute, come compilazione, voglio dire, di
una lunga serie di statuti originariamente indipendenti l’uno dall’altro.
In sè
considerata, come ha osservato E. L. Petersen, la maggior parte delle norme
della Bolla d’Oro non costituisce una novità costituzionale, ma piuttosto la
conclusione di un lungo processo evolutivo di idee le quali si fanno seguire
senza interruzione dal Sachsenspiegel attraverso lo Schwabenspiegel e
la situazione caotica del Grande Interregno sino alla loro graduale
decantazione nei primi decenni del 14 secolo.
La fondamentale
tendenza conservatrice, cioè non innovativa, dell’opera è confermata dalla
scarsa attenzione che vi dedicarono i contemporanei, il cui disinteresse può
venire spiegato anche con ciò, che solo un numero limitato di Stände —
cioè i Kurfürsten o Principi Elettori — prese parte alle consultazioni
per la sua redazione[10]
Il fenomeno
quindi della formazione e della evoluzione di un ordinamento di diritto
pubblico non si può studiare sopra nessun’altro diritto positivo, meglio che
sopra quello del Deutsches Reich, ond’è che, sotto questo profilo, si
può dire senza tema di smentita che, nel campo del diritto pubblico, il diritto
del Deutsches Reich occupa il posto che il diritto romano occupa nel
campo del diritto privato.
Ma non è tanto,
forse, la durata e la ininterrotta continuità della evoluzione di questo
diritto che più importa, quanto il suo carattere.
B) Con ciò
veniamo a parlare del secondo motivo che rende indispensabile per il cultore di
diritto pubblico la conoscenza del diritto del Sacro Romano Impero della
Nazione Tedesca.
Il
diritto pubblico di qualsiasi Stato moderno, vuoi che codesto appartenga
all’ambito delle democrazie occidentali, vuoi che, invece, si annoveri tra le
così dette democrazie socialiste, è un insieme di norme organizzate in sistema,
il quale si ispira a teorie filosofiche od a concezioni politiche che, attraverso
di esso, cercano di tradursi in realtà.
Il diritto
pubblico degli Stati moderni cioè, è, se così posso esprimermi, un diritto vom
grünem Tisch aus, vale a dire un diritto concepito teoricamente a tavolino
da uno o più uomini politici che si ispirano nel migliore dei casi ad una idea,
ma che generalmente sono posseduti da una ideologia; ovvero deriva dalle
meditazioni di un filosofo politico, che aspira alla effettuazione delle sue
teoriche elucubrazioni.
Il diritto
moderno non tiene quindi molto spesso conto della realtà della vita, o, meglio,
dell’Uomo colle sue virtù e coi suoi difetti: esso è pertanto ,come si
esprimevano i giuristi tedeschi del 18 secolo, un erdichtetes Recht cioè
un jus cerebrinum, vale a dire un prodotto della fantasia di un legislatore,
non sempre, purtroppo, all’altezza dei suoi compiti. Non così è per il diritto
del Deutsches Reich il quale è esclusivamente un prodotto storico, voglio
dire un diritto, che ha preso vita dalle necessità via via venutesi a creare a
cagione delle situazioni storiche, che si sono presentate al Kaiser ed
al Reich.
E’ interessante
notare a questo proposito, come già le stesse intitolazioni ufficiali che
l’Impero ebbe ad assumere nel corso della storia contengano in sè il ricordo
delle successive pretese politiche che l’Impero voleva affermare. La
espressione infatti Romanum Imperium è venuta in uso un poco alla volta
e solo nel 1034 viene accolta nei documenti di Corrado II. Come Sacrum
Imperium il Reich viene chiamato dal 1157 nei documenti
dell’Imperatore Federico I al fine di accertarne, in concordanza col diritto
imperiale giustinianeo, la sacra dignità di fronte alla Sancta Ecclesia. Solo
dal 1254 diventa usuale nei documenti reali la espressione Sacrum Rornanum
Imperium: la aggiunta Deutscher Nation — comparsa la prima volta
nella Landfriedensordnung emanata dall’Imperatore Federico III al Reichstag
di Francoforte del 1442 — diventa di uso comune nel 15 secolo ad indicare
anzi tutto - come ho già accennato — le parti tedesche dell’Impero, e, di poi,
la pretesa nazionale dei Tedeschi all’Impero[11].
Lo stesso si può
osservare per l’Imperatore la cui intitolazione negli atti ufficiali: «Wir…
von Gottes Gnaden erwählter Römischer Kaiser» etc. è il prodotto di
tutto un succedersi di circostanze storiche, che hanno trovato la loro
espressione nella formula testè indicata.
Questo hanno ben
compreso i giuspubblicisti tedeschi del 17 e del 18 secolo quando hanno
formulato la massima: «quod in coeteris disciplinis ratio praestat, id in
jure pubblico Germaniae historia »: «das will sagen — così essi
commentano — es handelt sich um ganz verschiedene Rechtsquellen, hier der
Vernunftschluss dort die Geschichte».
Questo ha fatto
fra gli altri, per esempio, Johann Friedrich Rhez, latinamente Rhetius,
l’immediato predecessore di Heinrich Coccej alla Università di Frankfurt an der
Oder, il quale ha trattato il diritto civile completamente astraendo dalla
storia, ed il diritto pubblico solamente ispirandosi alla stessa.
Anche a questo
riguardo è concesso perciò registrare la posizione omologa che il diritto del Deutsches
Reich possiede nel campo del diritto pubblico rispetto a quella che
il diritto romano ha nel campo del diritto privato: è solamente nella sua
storia, infatti, che noi non solo possiamo vedere in azione tutte le forze che
possono concorrere alla evoluzione di un diritto, ma anche il modo col quale
esse si compongono nel risultato dopo l’incontro — o lo scontro! — colle forze
conservatrici della tradizione. Mai il pensiero centrale della filosofia
hegeliana: tesi, antitesi, sintesi, può meglio ricevere illuminazione, che
dallo studio della storia giuridica del primo Reich. Da quest’ultimo
punto di vista il diritto del Deutsches Reich si presenta quindi alla
nostra contemplazione come il più grande patrimonio di esperienze legislative
alle quali possa ispirarsi il legislatore moderno. E tutta la sua storia è
tale, che la filosofia del diritto, la storia delle dottrine politiche e la
sociologia possono considerarlo come una inesauribile Fundgrube di dati
positivi, utili alla determinazione induttiva delle loro leggi.
Il fatto che
proprio la costituzione del Deutsches Reich abbia ispirato la Staatsphilosophie
di Johannes Althaus (Althusius), e che questa, a sua volta — come ancor di
recente ha messo in rilievo Friedrich Berber della Università di Monaco — sia
stata plagiata da J. J. Rousseau[12] è,
al riguardo, così mi pare, del più grande significato.
C) E veniamo ad una ulteriore ragione.
Proprio perché è
un prodotto storico e non una Träumerei di ideologi politici, il Deutsches
Reichsrecht sembra avere avuto come primum fundamentum quel
frammento del De Regulis Juris (fr. 1, D. 50, 17) che insegna: « regula
est, quae rem quae est breviter enarrat… Per regulam igitur brevis rerum
narratio traditur». Il diritto pubblico del Sacro Romano Impero è per vero
un diritto che scaturisce dalla attenta osservazione dei fatti, che regola le
naturali relazioni dell’uomo nella società politica e fissa le sue regole non
con semplice artificio di logica, ma con accorta valutazione anche dei
sentimenti e dei sotterfugi dell’uomo.
Quando, per
esempio, le Capitolazioni Elettorali dispongono che per quanto riguarda i
Trattati di alleanza, l’Imperatore nei casi urgenti nei quali non può convocare
la Dieta, debba munirsi del consenso dei Principi Elettori, consenso da
conseguirsì tuttavia dopo discussione collegiale e non mediante
successivi isolati benestare; quando si vuole, come leggiamo in un Ausschreiben
di Leopoldo I del 1662 che il Lünig ci ha conservato nel suo Reichsarchiv[13] che la patente di convocazione del Reichstag
debba avvenire in forma di lettera uguale per tutti gli Stände; quando
l’IPO all’Art. V, § 52 dispone che nelle questioni religiose «sola amicabili
compositio lites dirimat, non attenta votorum pluralitate», detta norme
ognuna delle quali non solo è esempio di prudenza politica, ma è veramente anche
una brevis enarratio rerurn per chi conosca la realtà della vita. Per
questa via si può dire che la Germania ha costruito non per sé soltanto, ma per
tutti i popoli una scienza del diritto pubblico alla quale si può riferire
quanto Ulpiano nel primo frammento col quale si apre il Digesto dice della
romana giurisprudenza: essere, cioè, vera e non simulata filosofia.
Di questo diritto
i giuristi tedeschi sono stati nello stesso tempo i sacerdotes, come
dice Ulpiano, e gli interpreti.
Sacerdotes, perché come il
ministro del culto non può modificare la credenza, così gli studiosi del Reichsrecht
nulla potevano mutare della norma che era oggetto delle loro meditazioni.
Questa infatti scaturiva solo dalle leggi e dalle altre fonti stabilite
dalle leggi.
Mi sembra
importante mettere in risalto questo aspetto del problema, perché, mentre in
tutta Europa sino alla fine del 18 secolo ogni ordinamento pubblico basavasi su
più o meno certe consuetudini e sulla volontà del principe non di rado
influenzata da quella del suo potentissimo Ministro, in Germania la
costituzione del Reich si fondava solamente sulla legge, cioè sui
provvedimenti votati dalla Dieta ed approvati dal Kaiser. Di questo
diritto, tuttavia, i giuristi sono anche gli interpreti, perché, muovendo dalle
leggi esistenti, che essi spiegano colla conoscenza dei fatti storici che le
hanno fatte promulgare, riescono a costruire tutto il sistema del Deutsche
Reichsrecht, il quale, anche quando nel corso del 18 secolo la Allgemeine
Staatslehre verrà formandosi sotto la influenza del diritto naturale,
procederà incontaminato per la sua via, coi suoi metodi, coi suoi principi e
coi suoi criteri ermeneutici. E’ alla folta schiera dei Reichsrechtslehrer e
degli Staatsrechtslehrer del 17 e 18 secolo — la quale nell’ambito del
diritto pubblico rappresenta ciò che la famosa scuola del Pandettisti tedeschi
del 19 secolo rappresenta nell’ambito del diritto privato — che la moderna
dottrina pubblicistica è debitrice di molte delle sue più organiche
costruzioni, nonchè del suo affinamento concettuale.
Helmut Coing ha
di recente scritto un lavoro: «Die ursprüngliche Einheit der europäischen
Reichtswissenschaft»[14] nel quale con molta eleganza sostiene che la
scienza del diritto comparato ha la possibilità di riportare di nuovo l’Europa
a quella unità del diritto, che essa già conobbe in altre epoche, in quanto la
moderna giurisprudenza avrebbe la tendenza a considerare il diritto non più come
una norma autoritativa posta dallo Stato perché valga entro il suo territorio,
ma come la soluzione razionale di un problema dell’ordinamento sociale ed a
considerare questa soluzione nazionale positiva entro la cornice delle altre
possibili soluzioni oggettive. Ad una maggiore consapevolezza di questa unità,
ricordata dal Coing, si potrà arrivare secondo me tenendo conto anche della
scienza del diritto pubblico, che in Germania vien coltivata ininterrottamente
dal 17 secolo, nonché della influenza che essa ha avuto sul pensiero
scientifico degli altri paesi.
Per vero a me
sembra che il fenomeno di un Hans Kelsen, il quale colla sua reine
Rechtslehre e colla sua scuola — la Wiener staatsrechtliche Schule —
ha profondamente innovato nella scienza del diritto pubblico esercitando una
decisiva influenza su tutta la dottrina pubblicistica degli Stati civili, lungi
dall’essere un caso isolato nella storia giuridica, è, direi, la norma nel
campo della speculazione sul diritto dello Stato in ordine al quale si può ripetere
quanto affermavasi di Bologna e dire: Germania docet.
Altre riflessioni
di ordine diverso ci portano tuttavia alla stessa conclusione cui siamo
arrivati coi tre motivi testè addotti.
Per la verità, e
tanto per tenerci fermi ai secoli che qui ci interessano, bisogna aggiungere
che un gran numero di problemi oggi dibattuti dalla dottrina e discussi nella
pratica, sono già stati affrontati e risolti dalla scienza giuridica tedesca
del 18 secolo. Per controllare questa affermazione non è neanche necessario
ricorrere ai grandi trattati dei due Moser, o del Puetter, o dello Pfeffinger o
degli altri Maestri di questa epoca, ma basta consultare quelle operette, nelle
quali, ad uso dei Principi e dei loro Ministri vengono raccolti una quantità di
casi concreti che più di frequente ricorrono nella pratica, noi diremmo
costituzionale o di governo.
Forse l’esempio
più illustrativo di questa letteratura è lo scritto composto da Anton Wilhelm
Ertel, stampato a Nürnberg nel 1702 il cui titolo ne lascia ben intendere il
contenuto: «Nuova esposizione del diritto principesco nella quale con cento
scelte questioni politiche e giuridiche, le importanti materie del potere,
della autorità e delle prerogative del Principe vengono esposte, confortate con
veraci annotazioni storiche, e risolte secondo la norma imparziale della equità
e della verità cara a Dio. La quale interessante opera è stata composta non
solamente per tutti i Principi regnanti e Potentati, ma anche per tutti i
Ministri di Stato, Ufficiali di Corte, Consiglieri principeschi, Cavalieri,
Granproprietari, Autorità, Governatori, Patroni, Giuristi anzi per tutti i
preminenti Signori e Nobili, così come pei Funzionari dei Tribunali superiori
ed inferiori di qualsiasi ceto e condizione siano, per il loro quotidiano e
particolarmente grande uso ed utilità»[15]. In
questa opera sono raccolte cento questioni pratiche come esempio delle quali
possono valere le seguenti:
Se il Principe
sia sciolto dalle proprie leggi; Se un Principe sia tenuto ad adempiere le
obbligazioni sue e quelle del suo predecessore; Se un Principe possa nominare
ad un ufficio persona valente, ma rimuovendo dallo stesso altra ancor più
valente; Se possa valere il principio che possa appellarsi a Principe male
informato ad Principem melius informandum;
Se il Fisco del
Principe possa fare revocare una vendita a lui dannosa, in caso di malizia del
venditore; Se il Principe sia tenuto a mantenere la promessa estortagli con
violenza o timore; Se un Principe possa avocare a sè la giustizia penale e
civile amministrandola personalmente, e così via.
La importanza di
questi casi pratici apparirà di colpo se noi alla parola Fürst sostituiamo
la parola Stato, perché noi vedremo allora che non pochi problemi che ne
costituiscono il contenuto rimangono quelli stessi del giorno d’oggi: identico
rimane il problema e molto spesso identica la soluzione. Là dove questa è
diversa ciò accade non di rado perché al buon senso (die gesunde Vernunft) di
allora, si è voluto sostituire un secco precetto di legge, non sempre idoneo a
raggiungere lo scopo. Talvolta il ragionamento di questi giuristi potrà
apparire un poco lineare e sin’anco un poco semplice, ma noi non dobbiamo
perciò sottovalutarlo. A parte che noi ci avvantaggiamo di una ulteriore
elaborazione concettuale di tre secoli, c’è da domandarsi anche quale
importanza abbiamo certe moderne astrazioni giuridiche le quali null’altro
sembrano essere che esercitazioni letterarie senza aderenza alla realtà.
Noi
rimaniamo stupiti a questo proposito di fronte alla rigogliosa fiorita dei
costituzionalisti e degli arnministrativisti tedeschi del secolo passato, al
cui pensiero non poco ha attinto la moderna pubblicistica europea.
I
nomi di Paul Laband, di Georg Meyer, di Hermann Schulze e di Rudolfvon Gneist,
anche per citare solo qualche nome, sono affidati alle tavole di bronzo della
storia del diritto pubblico e di certo non saranno facilmente dimenticati anche
in futuro; ma io credo di essere nel vero dicendo che la fecondità dei loro
risultati non è spiegabile, se non tenendo conto del fatto che essi hanno
lavorato sul terreno, prima, dissodato dalla pubblicistica tedesca del 17 e del
18 secolo, e, poi, coltivato dai giuristi della prima metà del 19 come Karl
Friedrich Häberlin, K. L, Klüber, Johann Cbristoph Anton Maria Freyherr von
Aretin, e così via.
Certamente Rudolf
Gneist è stato un profondo conoscitore del diritto costituzionale ed
amministrativo inglese tanto che, proprio per questo, ebbe ad esercitare una
grande influenza sulla nuova legislazione prussiana, ma è lecito domandarsi
quanto il suo pensiero sia debitore delle conoscenze che egli aveva della
amministrazione inglese, e di quanto sia debitore delle esperienze che in
materia già avevansi in Germania per la rigogliosa vita giuridica del primo Reich.
Non togliamo
niente ai meriti di questi valentuomini, se diciamo che la costituzione stessa
del primo Reich li ha aiutati notevolissimamente nello studio e nella
elaborazione delle teorie di diritto pubblico. Il curioso infatti,a questo
proposito,è che proprio la costituzione feudale dell’Impero ha contribuito
notevolmente al sorgere del diritto pubblico tedesco, perchè, essendosi
mantenuta sin entro i tempi moderni, essa dovette venire giustificata al lume
della teoria del contratto sociale, già prima di Rousseau e di Kant resa
famigliare al mondo dei dotti, sia pure sotto diverse sfumature, dal pensiero
di Grozio, di Puffendorf, di Althusius, di Hobbes e di Locke. Per questa via i
giuspubblicisti tedeschi, nel mentre che dovettero ammettere non due ma tre
contratti sociali, furono costretti, come per esempio J. H. G. von Justi, C.
Gottlieb Svarez ed Aug. Henning a discutere dei pregi e dei difetti delle
diverse forme di governo sia per respingerle sia per modificarle.
Nello stesso
tempo, però, la teoria della sovranità formulata da Bodin, che dava al
rapporto tra individuo e potere un tutt’altro fondamento ed un tutt’altro
contenuto che non quello esistente tra il Signore feudale ed il vassallo,
faceva sorgere in Germania una quantità di problemi giuridici e politici sia
nel campo del diritto imperiale, sia in quello del diritto delle genti.
In ordine al
primo i problemi più importanti erano due: si può parlare di una sovranità in
rapporto all’Imperatore? e quali sono i doveri del Kaiser e dei Landesherren
nei confronti dei loro sudditi?
Bodin negava al Kaiser
il possesso di una sovranità vera e propria per via delle Capitolazioni
Elettorali, che lo avrebbero legato alla osservanza di certe condizioni; ma i
giuristi tedeschi rispondevano che ciò avveniva «non civili ratione, et lege
civili, sed conventione quaedam» e cioè «non per modum subiectionis sed
initae cum Electoribus obligationis». Con ciò, molto abilmente, essi
ritorcevano contro Bodin la sua osservazione che « . . . le Prince
souverain est tenu aux contracts par luy faicts soit auec son subiect, soit
auec l’estranger»[16]
Il secondo
problema avendo portato ad analizzare la natura dei rapporti che l’Imperatore
ed i Signori Territoriali avevano coi loro sudditi, ne è saltata fuori una
teoria dei doveri e dei diritti dei sudditi fondata sui privilegi, sulle
Freiheiten e sugli jura quaesita da costoro goduti, che fa da
contrapposto ad una teoria dei doveri e dei diritti dei principi, i quali si
richiamano al bene pubblico, allo jus politiae, ed alla ragion
di Stato.
Può darsi che per
qualche parte queste teoriche siano rimaste sulla carta, ma che molte di esse
abbiano contribuito a dare contenuto alle numerose cause che i sudditi hanno
svolto avanti al Reichskammegericht contro i loro legittimi principi e
sovrani, questo è fuori dubbio per quanto mi risulta dalle ricerche da me fatte
negli Archivi di Germania.
In ordine al
diritto delle genti basta ricordare che la esigenza di spiegare la concorrenza
della sovranità imperiale e delle singole sovranità territoriali ha portato i
giuspubblicisti ad allargare le loro indagini al diritto internazionale per tal
modo pervenendo non solo a quel complesso sistema del diritto internazionale
tedesco su cui io mi sono per incidente altrove soffermato[17],
ma altresì a quella intersecazione tra Vòlkerrecht e Reichsrecht posta
in risalto poco tempo addietro da A. Randelzhofer[18];la
esistenza dei due Sommi Tribunali dell’Impero li ha portati non solo a
studiare, come hanno messo in luce gli studi di W. Sellert[19]
e di Chr. Hafke[20],
i conflitti di competenza e di giudicati tra di essi, ma anche a tratteggiare
i lineamenti di quello che oggi è chiamato il Prüfungsrecht, cioè del
diritto cli controllo sulla legittimità sostanziale e formale delle leggi sia
dell’Impero sia degli Stati (sovrani) territoriali da parte del Reichskammergericht.
La esistenza del Reichstag
cioè della Dieta dell’Impero — sulla quale noi oggi abbiamo la importante
opera di Hermann Schubart[21] — ha
fatto sì che nella problematica del Deutsches Reichsrecht si cominciasse
a parlare ben presto di quelle questioni, che noi oggi chiamiamo di diritto
parlamentare, le quali sono caratteristiche delle costituzioni avutesi in
Europa dopo il 1848.
Così, per
esempio, se il Kaiser non approva il Reichsgutachten od il Conclusum
duorum, egli può rimandare ai Collegi la questione perché la esaminiamo
un’altra volta: questo dettato non è simile dopo tutto all’art. 74 della nostra
costituzione secondo cui il presidente della repubblica prima della promulgazione
della legge può chiedere alle camere con fondato messaggio una nuova
consultazione?
D’altra parte la
possibilità che aveva il Reichstag di nominare ordentliche und
ausserordentliche Ausschüße cioè commissioni ordinarie e straordinarie
parlamentari ai fini di indagini, sopraluoghi, studio di problemi e così via
dimostra, se non vado errato, che, lungi dall’essere un organismo non al passo
coi tempi, la Dieta, anzi, li precorreva.
Qui tuttavia il
nostro discorso deve estendersi ad ambito più vasto, perché, il Reichstag non
solo può venire considerato il Parlamento dell’Impero, ma anche l’Areopago di
tutta Europa[22].
Tanto a mio
avviso si può sicuramente affermare sia perché sotto diversi titoli le principali
Corone di Europa ne fanno parte, sia perché anche quei regnanti che ne sono
fuori possono mandare dei loro rappresentanti ad assistere ai lavori della
Assemblea.
La cosa, —
ricordata dal Lünig nel suo Teutsches Reichsarchiv e nel suo Codex
Germaniae Diplomaticus appariva tanto straordinaria anche allora, che
Gottlieb Samuel Treuer ritenne necessario scrivere una «Dissertatio de jure
Stayuum Imperii circa legatos exteros in comitiis»[23]:
nonostante le perplessità ed i dubbi che avevansi al riguardo della legittimità
della cosa, la bonomia tedesca aveva tollerato questa partecipazione, tanto che
Johann Jakob Schmauss può ricordare nelle sue «Akademische Reden und
Vorlesungen»[24]
che «Fremde Potenzen schicken auch fast beständig Gesandte zu den
Reichstagen».
Questa è la
ragione di tre fatti singolari: perché da Nikolaus von Kues ad Enea Silvio
Piccolomini, dagli Umanisti che si trovano alla Corte di Massimiliano I ai Reichserolde
— cioè quegli Ufficiali imperiali ai quali tra l’altro era commesso l’incarico
di tenere l’ordine nella Dieta — dai teologi della Riforma Tedesca e della
Controriforma agli scrittori in genere della aetas maximilianea, tutti
si siano occupati del Reichstag; perché tutti i piani politici allora
escogitati per arrivare ad una organizzazione unitaria di tutta l’Europa
prendessero a modello il Deutsches Reich ed in particolare il Reichstag
come suo organo centrale: dal Duca Massimiliano di Sully, il ministro di
Enrico IV di Francia, al Cardinale Alberoni, da Leibniz a Bentbam; e perché infine,
ciò che Machiavelli, Bodin e gli Ugonotti francesi insegnavano, abbia avuto di
riflesso influenza in Germania.
Storia della
costituzione, storia delle idee, e storia della scienza sì intersecano qui,
come altrove è molto difficile rinvenire.
VI
Le vicende del Sacro
Romano Impero della Nazione Tedesca sono quindi vicende anche di tutta Europa,
e la storia di esso si tramuta in storia che abbraccia tutto l’Occidente europeo.
Questa riflessione è, a mio
avviso, fruttuosa di due conseguenze: anzi tutto dovrebbe sospingere a
ricercare negli archivi dei diversi Stati d’Europa le relazioni, i rapporti, le
lettere, i documenti cifrati degli ambasciatori stranieri al Reichstag ed
a questo proposito è da dirsi che qualcosa, forse, si potrebbe trovare anche
nell’Archivio di Stato di Modena, nel quale la sezione Potenze Estere contenente
i rapporti degli ambasciatori estensi lungo tre secoli è una delle più ricche
dell’Archivio ed è sin qui rimasta inesplorata; in secondo luogo dovrebbe
indurre a rintracciare con apposite indagini il modo col quale nel Deutsches
Reichsrecht vengono risolti molti dei problemi che ancor oggi cosutuiscono die
Grundfragen dei moderni Stati civili.
Vogliamo fare
qualche esempio? Assai prima che Charles de Secondat Baron de la Brède et de
Montesquieu teorizzasse sulla divisione dei poteri ,l’Impero conosceva già un
potere esecutivo — il Kaiser — separato da quello legislativo — il Reichstag
— ed ambedue distinti da quello giurisdizionale, cioè il Reichskammergericht,
al quale potremmo anche aggiungere il Reichshofrath; l’equilibrio
politico delle forze che ha costituito il Leitmotiv della politica
europea sino alla prima guerra mondiale e di quella planetaria dopo la seconda,
non è altro che il riverbero in campo internazionale dell’analogo principio che
ha dato norma entro l’Impero al giuoco delle diverse forze politiche che si
intrecciavano tra di loro: cattolici e protestanti, Impero e Stati
Territoriali, Impero e Chiesa; la coesistenza di entità politiche a carattere
repubblicano (Città dell’Impero, ed i Reichskreise) entro una superiore
entità monarchica (Impero); la concordia discordantium rerum come la
autonomia ed il centralismo, che si riscontra non solo nella esistenza degli
Stati Territoriali entro l’Impero, ma soprattutto nella autonoma organizzazione
dei Reichskreise, i quali pure sono da considerarsi organi periferici
della amministrazione centrale del Reich.
Questi
sono taluni dei numerosi problemi sia costituzionali sia amministrativi, che il
diritto pubblico del primo Reich ha saputo risolvere in via originale,
con immediata aderenza alla necessità pratica senza partite da funesti schemi
preconcetti.
Il Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca diventa quindi veramente a mio
avviso eine europäische Forschungsaufgabe sotto almeno due profili:
anzitutto perché le sue vicende politiche sono le vicende politiche che
l’Europa come Einheitsorganismus ha attraversato lungo i secoli, e, poi,
perché il Deutsches Reichsrecht ha posto le basi della scienza
del diritto pubblico europeo.
In un suo famoso studio «Das Naturrecht und die europäische
Privatrechtsgeschichte[25] l’illustre amico e collega Prof. Hans
Thierne, della Università di Friburgo, ha sostenuto con convincenti ragioni che
«l’Occidente ha preso tre volte arditamente lo slancio per superare
l’isolamento dei popoli: nel diritto romano, in quello canonico, e nel diritto
naturale ». A questi tre ordinamenti giuridici che Hans Thieme chiama a
ragione universali io mi permetterei di aggiungerne un quarto, e cioè il
diritto pubblico del Deutsches Reich.
La universalità di questo non va tanto, secondo me, dedotta dal fatto che
esso è il diritto dell’Impero, il quale di per sé aspira nella sua concezione medioevale
alla cattolicità politica dell’Occidente, sibbene dalla circostanza che esso,
come mi sono permesso di dire ripetutamente, ha dato vita ad una serie di
principi, di teorie, di costruzioni dottrinali, le quali hanno contenuto
universale ed hanno potecntemente contribuito a dare vita alla teoria generale
dello Stato, ed al sistema del diritto pubblico generale.
Rintracciare con pazienti, meticolose e spassionate indagini i principi, le
teorie e le dottrine del Deutsches Reichsrecht, quale si venne
componendo in sistema nelle opere dei giuspubblicisti tedeschi del 17 e 18
secolo; accertare se e fino a qual punto esse sono trapassate nel nostro
diritto pubblico, o, più generalmente, stanno al fondo dei moderni ordinamenti
pubblici d’Europa; stabilire attraverso quali passaggi ciò sia o possa essere
avvenuto, tutto ciò costituirà ne sono certo l’affascinante contenuto di quella
che io, più che una disciplina, con il nostro Vico, chiamerei addirittura, una Scienza
Nuova[26]
[1] K.
A. Klüpfel, Die deutschen
Einheitsbestrebungen in ihrern geschichtlichen Zusammenhang, Leipzig 1853.
[4] S.
H. Steinberg, Deutsche
Geschichte, Baden-Baden, 1954, 228. Sulla fine dell’Impero cfr. recentemente S. Ed. Walder, Das Ende des alten Reiches.
(Quellen zur neueren Geschichte hg. von Histor. Seminar d. Univ. Bern, H.
10, Bern 1962).
[5] La mia relazione dal titolo: Verschwand das Heilige
Römische Reich wirklich unbeweint, sang-und klanglos? vedrà la luce nelle
onoranze all’illustre Collega Prof. Dumont di Parigi.
[6] H. Luden, Ueber
das Studium der vaterländischen Geschichte. Vier Vorlesungen aus dem Jahre 1808,
Gotha 1828, 38-42.
[10] Vedasi gli ultimi risultati degli
studi sulla Bolla d’Oro, in Handwörterbuch zur deutsche Rechtsgeschichte, 7 Lief.
col. 1739 e segg.
[11] Cfr. Handwörterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte, voce
Heiliges Römisches Reich, 9 Lief. col. 46. Cfr. di recente G. Koch, Auf dem Wege zum Sacrurn
Imperiurn. Studien zur ideologischen Herrschaftsbegründung der deutschen
Zentralgewalt im 11 und 12 Jahrhundert, Böhlaus NF, Wien-Köln-Graz
1972 (Lizensausgabe des Akademie-Verlages, Berlin 1972. Sulla opera di
questo storico, appartenente alla Ostzone, cfr. la recensione di A.
Erler in Zeitschrift der Savigny-Stiftung, GA, 1973, 300 e segg.
[13] E. Bussi, Il diritto pubblico
del Sacro Romano Impero alla fine del XVIII secolo, Ed. Giuffrè,
vol. II, Milano, 1959, 7.
[14] H. Coing, Die
ursprünglicke Einheit der europäischen Wissenschaft. Ed. Steiner,Wiesbaden,
1968.
[15] A. W. Ertel,
Neu eröffnete Schau-Bühne von denz Fürsten-Recht/auf welcherdurch hundert
auserlesene Politische und Juridische Quaestiones, die vortrefflichste Materien
von dem Gewalt/Authorität und Praerogativen derer Fürsten untersucht mit
wahrhafften historischen Anmerkungen bestärcket / und nach der unpartheyischen
Richtschnurir der Gott-liebenden
Wahrheit und aequität resolviret ret werden. Welches curiose Werk nicht nur
allen regierenden Fürsten und Potentaten / sondern auch allen
Staats-Minister Hof-Leuten lFürstlichen Räthen/ Rittern/ Adelichen Landsassen/
Obrigkeiten/ Pflegern/ Vögten/ Beamten/ Reichts-Gelehrten/ ja allen vornehmen
Herren und Edelleuten/ nicht weniger allen hoch und niedern Gerichts-und
Staats-Bedienten/ was Stands und Condition sie sind/ zu deren täglichen grossen
sonderbaren Nutzen und Dienst/ vertiget worden/ auch mit hierzu dienlichen
Register versehen», Nürnberg, 1702. La traduzione italiana da me fatta del
titolo, non corrisponde, nè può corrispondere esattamente al testo tedesco,
perché molte espressioni si riferiscono a concetti ignoti alla nostra storia
giuridica.
[18] A. Randelzhofer, Völkerrechtliche Aspekte deés Heiligen Römischen Reiches nach 1648,
Berlin, 1967.
[19] W. Sellert, Üeber die
Zuständigkeitsabgrenzung vcon Reichshofrat und Reichskammergericht (Untersuchungen
zur deutschen Staats-und Rechtsgeschichte, N.F. Band. 4, Aalen 1965.
[20] H. Chr. Hafke, Zuständigkeit in
geistlichen Streitigkeiten und konfessionelle Besetzung der höchsten
Reichsgerichte nach dern Westfälischen Friedensschluss
(Inaugural-Dissertation zur Erlangung der Doktorgrades), Frankfurt am Main,
1972.
[21] F. H. Schubart, Die deutschen Reichstagen in der Staatslehre der
fruhen Neuzeit, Göttingen, 1966.
[24] J. J. Schmauss, Akademische Reden und
Vorlesungen, Lemgo, 1766, 211.
[25] H.
THIEME, Das Naturrecht und die europäische Privatrechtsgeschichte
(Institut für Internationales Recht und internationale Beziehungen.
Schriftenreihe 6. Basel 1954), 10-11.
[26] Bisogna dire che
in Germania ed in Austria l’interesse scientifico per il Sacro Romano Impero si
è andato in questi ultimi anni risvegliando dando vita, oltre ai ben noti e
fondamentali studi del compianto Hermann Conrad nonché a quelli citati nel
corso della mia lezione, a tutta una serie di notevoli scritti. Tanto per citare solo quelli che ho qui sotto mano vedasi
per esempio: D. Landes, Achtverfahren
vor dern Reichshofrat (Doktordissertation - Rechtswissenschaftliche
Fakultät) Frankfurt am Main, 1964; U. Knolle,
Studien zum Ursprung und zur Geschichte der Reichsfiskalats im 15.
Jabrhundert, Freiburg i. Br., 1965; K. O. Frhr. v. Aretin, Heiliges Römisches Reich 1776-1806, (Reichsverfassung
und Staatssouverenität), in 2 volumi, Wiesbaden, 1967; H. O. Meissner, Das Regierungs-und
Behördensystem Maria Theresias und der preussische Staat (in Die
Entstehung des modernen souveränen States, hrsg. von H. H. Hofmann, Köln
und Berlin 1967 209-227; W. Hermkes
Das Reichsvikariat in Deutschland. Reichsvikare nach dem Tode des Kaisers
von der Goldenen Bulle bis zum Ende des Reiches, Karlsruhe 1968; U. Eisenhardt, Die kaiserliche Aufsicht
über Buchdruck und Presse im Heiligen Römischen Reich Deutscher Nation (1496-1806),
Karlsruhe, 1970; I. Latzke, Hofamt,
Erzamt und Erbamt im mittelalterlichen deutschen Reich (Doktordissertation -
Philosophische Fakultät) Frankfurt ain Main 1970; R. Hoke, La religione
dell’imperatore, in Archivio Giuridico, 1974.