La definizione
dell’ufficio ecclesiastico nella formazione del Codice piobeNEdettino
Università di Sassari
Sommario: 1. L'ufficio ecclesiastico
nella dottrina canonistica della seconda metà del XIX secolo: cenni
introduttivi. – 2. L'ufficio
nell'avvio del processo di codificazione. – 3. L'attività della Commissione
"De officiis e de beneficiis". – 3.1. La collocazione dei canoni sull'ufficio. –
3.2. La codificazione della nozione di
ufficio: senso stretto e senso lato. – 3.3. Gli
elementi dell'ufficio. – 3.3.a. Munus sacrum e munus
spirituale. – 3.3.b. La
potestà annessa all'ufficio. – 3.3.c. Stabilità e perpetuità
della costituzione dell'ufficio. – 3.3.d. Il
conferimento da parte dell'autorità ecclesiastica e la questione del
pontificato. – 4. Uffici maggiori e
minori. – 5. Uffici beneficiali.
– 6. Osservazioni conclusive.
– Appendice. – Tavole.
– Abstract.
Nell'ordinamento
canonico l'ufficio ha una particolare rilevanza perché è lo
strumento attraverso cui vengono ripartite le competenze in rapporto all'intera
comunità o ad una sua parte. E', infatti, il mezzo necessario per la
determinazione razionale dei compiti il cui assolvimento è
indispensabile, o talvolta semplicemente utile, perché la Chiesa
raggiunga i suoi fini[1] e principalmente la salvezza delle anime. A questo obiettivo
tendono anche gli uffici che perseguono scopi contingenti, ma pur sempre
collegati funzionalmente alla missione della Chiesa come, ad esempio, quelli
diretti all'amministrazione dei beni temporali ecclesiastici[2]. L'ufficio, in sostanza,
quale modulo organizzativo ed astratto[3], stabilmente costituito,
consente al titolare di svolgere legittimamente le attività specifiche e
compiere validamente gli atti relativi all'ambito prefigurato dall'ufficio
stesso[4].
Va
rilevato che prima della codificazione del 1917 il legislatore canonico non
aveva ritenuto necessario emanare una norma per delineare l'ufficio
ecclesiastico nei suoi elementi essenziali[5] benché le sue
radici siano antichissime, potendo dirsi coeve all'istituzione della Chiesa[6].
A
loro volta i canonisti, fino al codice piobenedettino, di massima si sono
occupati «indirettamente di definire l'ufficio trattando del beneficio,
concetti, come è noto, intimamente connessi, giacché non
può concepirsi come beneficio l'insieme dei beni che non sia connessa
con un ufficio sacro allo scopo di mantenerne il titolare»[7].
Infatti se si prendono in considerazione le opere dedicate alla
illustrazione dello jus decretalium
emerge che in un ampio numero di esse l'attenzione è rivolta,
specificamente, ad enunciare la nozione di beneficio e a delinearne
minuziosamente la problematica relativa alla creazione, fusione ed estinzione
ed ai modi di acquisto e di perdita della titolarità. In questi testi la
nozione di ufficio è prospettata in termini assai concisi, con i quali,
comunque si sottolinea che è l'ufficio a giustificare la concessione del
beneficio evidenziando il principio secondo cui «beneficium datur propter
officium» presente nel Corpus[8] e ribadito nel Concilio di
Trento[9].
Di
questo ordine di esposizione, seguito prevalentemente dagli autori[10], è esempio Ferraris che nella sua Prompta bibliotheca non dedica all'ufficio
ecclesiastico una voce specifica e vi fa riferimento allorché illustra
la nozione di beneficio[11]. A sua volta Oietti nella
prima edizione della Synopsis propone
un brevissimo testo[12] che appare inalterato
anche nella terza edizione, del 1909[13], quando nell'elaborazione
del Codice piobenedettino si è già giunti a definire l'ufficio ed
i suoi caratteri essenziali con l'apporto dello stesso Oietti.
In
considerazione dell'attività svolta nella redazione dei canoni
piobenedettini sull'ufficio e sul beneficio è da ricordare che
Sebastianelli, nelle sue Praelectiones,
sottolinea che la Chiesa «ad fidelium salutem procurandam»
costituisce «officia, ad quae clerici stabiliter deputantur» e che
siccome«qui altari deserviunt, etiam de altari debeant partecipare,
officia ecclesiastica certi reditus adnexi fuerunt, ex quibus duobus elementis
resultat notio benefici»[14].
Allo stesso tempo alcuni canonisti nei loro trattati, cui
è opportuno dare rilievo, fanno un cenno più chiaro all'ufficio
sacro o ecclesiastico precisando che esso «obiective sumptum»
è «certa et determinata mensura functionum ecclesiasticarum, ad
quas clerici a superiore ecclesiastico stabiliter deputantur» mentre
«subiective sumptum officium ecclesiasticum est jus et obligatio ejusmodi
functiones vi stabilis et legitimae deputationis in certo loco aut certas
personas exercendi»[15]. A parere di Aichner, dal
principio che chi presta servizio all'altare
deve trarre il suo sostentamento dai frutti dei beni "regulariter"
annessi all'ufficio, «notio, beneficii resultat. Scilicet officium
eccles., cui certi reditus ex bonis ecclesiae sunt adnexi, dicitur beneficium eccles., quod communiter
definitur: est jus perpetuum percipiendi
fructus ex bonis eccles. provenientes propter officium spirituale, cui jus illud
auctoritate eccles. est annexum»[16].
Dopo questa premessa lo stesso canonista sottolinea che
l'ufficio è «causa et fundamentum beneficii ejusdemque principale,
quia beneficium non datur otiosis, sed propter officium»[17]. E sotto il profilo
sostanziale mette in evidenza che l'ufficio deve essere «sacrum, veluti ministerium altaris,
pensum canonicum, cura animarum aut jurisdictionis exercitium»[18]. Conseguentemente
«ministeria profana in ecclesiis, e. g. aeditui, organoedi, quae etiam
laici possunt obire, non habent rationem beneficii. Nam soli clerici
beneficiorum capces sunt»[19].
Specificamente quanto allo "jus percipiendi reditus ecclesiasticos seu fructus beneficii" Aichner fa notare che di norma «omne
officium habet beneficium et vice versa» e che «propter hanc arctam
rei temporalis cum re spirituali connexionem beneficia merito rebus quasi spiritualibus adnumerantur,
et haec eadem connexio efficit, ut una eademque res, prout illo respectu
consideratur, nunc officii, nunc beneficii nomine compelletur»[20]. Conseguentemente
«si spectetur momentum spirituale, nomem officii quadrat, si vero jus temporalium praecipue ob oculos versetur, vocabulum beneficii adhiberi solet, ac praeterea illud jus temporale in
definitione beneficii nota principalis est, etiamsi proprie si aliquid officio
ecclesiastico»[21].
Da
parte sua Laurentius, sul presupposto che
«officium et beneficium ecclesiasticum eandem rem sub diversa tamen
ratione significant»[22], pone in rilievo che
l'ufficio indica «determinatam partem functionum ecclesiasticarum certo
loco perpetuo perficiendarum»[23]. A suo parere «hae
functiones sive ministerii sive iurisdictionis vel administrationis obiectivam
quandam stabilitatem habent, ita ut clericus officium recipiens eo ipso ius et
obligationem habeat functiones in officio obeundi» e pertanto
«differt ... officium a mera et transitoria deputatione ad quasdam
actiones ecclesiasticas arbitrio deputantis designandas»[24].
Premesso
che anche altri canonisti fanno riferimento all'ufficio ecclesiastico nel suo
complesso e sotto i diversi profili [25], un'attenzione
particolare va riservata al pensiero di Wernz riguardo all'aspetto sostanziale
ed all'ordine sistematico da lui seguito[26]. Egli, infatti, ritiene
che il diritto a percepire i frutti dei beni annessi all'ufficio trova in questo
giustificazione pur costituendone fattore secondario giacché
«elementum ... spirituale et principale beneficii ecclesiastici est ipsum
officium ecclesiasticum»[27]. Precisamente, secondo
Wernz, se nel beneficio ecclesiastico «attendatur imprimis pars spiritualis et causa sive fundamentum iuris recte definitur: Officium sacrum sive spirituale,
cui ab auctoritate adnexum est ius perpetuum
percipiendi reditus ex bonis Ecclesiae;
beneficium enim dicitur dari propter
officium sacrum»[28]. Di seguito egli aggiunge:
«Quodsi beneficium ecclesiasticum magis consideretur secundum partem materialem atque directam et historicam et
formalem sua notionem, melius
definitur: Ius perpetuum percipiendi reditus ex bonis Ecclesiae officio sacro
sive spirituali auctoritate ecclesiastica adnexum»[29].
Su
questa base Wernz, in relazione alla hierarchia
iurisdictionis[30], delinea le nozioni di ufficio e di beneficio ecclesiastico.
Riguardo a quest'ultimo fa notare che l'elemento spirituale «et
principale beneficii ecclesiastici est ipsum officium ecclesiasticum»[31] e quello materiale
«obiective spectatum sunt ipsa bona Ecclesiae frugifera, quae constituunt
dotem propriam et distinctam officio ecclesiastico tanquam subiecto dominii
adnexam, et cuius reditus sive fructus, non in substantiam, existit illud jus
subiectivum et perpetuum beneficiati»[32]. Su quest'ultimo aspetto
Wernz si sofferma in altra parte del suo Jus
decretalium.
In
conseguenza di ciò, riguardo al profilo sistematico, che ha pure
riflessi su quello sostanziale, l'illustre autore apprezza i canonisti
"recentiores" in quanto «optimo iure» riservano «utrique materiae distinctum
locum tractationis»[33] affinché
«omnis species perversae confusionis officiorum spiritualium cum
temporalibus reditibus vitetur et officiis ecclesiasticis in ordine
disputationis scolasticae ex natura rei et ipso ordine legali titulorum libri
primi libri primi commendato principalis videtur dignitas»[34].
La
scelta di procedere ad una trattazione distinta dell'ufficio e del beneficio
consente a Wernz di esporre una definizione autonoma di ufficio nella quale si
tiene conto soltanto degli elementi spirituali dell'istituto con esclusione
degli aspetti materiali e temporali che sono propri del beneficio[35]. In questo contesto egli
prospetta due nozioni di ufficio ecclesiastico, una in senso lato ed un'altra
in senso stretto. Nella prima l'ufficio «designat omnem missionem
canonicam vel omnem potestatem
spiritualem ad aliquem actum exercendum sive sit ordinis sive iurisdictionis
sive administratio ecclesiastica sive
ministerium sacrum, v. g. recitatio canonicarum»[36].
Questa
definizione, così ampia, ha indotto qualche canonista ad affermare che
essa abbraccia praticamente tutta l’attività ecclesiastica,
esercitata in forma stabile od occasionale «ya se trate de actividad de
los órganos eclesiásticos o simplemente de funciones con una
cierta relevancia pública, aunque radicadas en la persona» [37].
A
parere di Wernz l'ufficio inteso in senso stretto ed oggettivo «est
gradus quidam iurisdictionis
ecclesiasticae sive a Christo sive ab Ecclesia in perpetuum ita institutus, ut
iura et onera spiritualia ipsi adnexa
ab eo, cui per competentem auctoritatem ecclesiasticam legitime conferuntur,
nomine proprio et stabili quadam ratione sint
exercenda»[38].
Da ciò emergono gli elementi caratterizzanti siffatta nozione di ufficio
ossia la perpetuità oggettiva e la connessione con la potestà di
giurisdizione conferita ad un titolare da parte dell'autorità
ecclesiastica[39].
All'esercizio delle funzioni proprie dell'ufficio è collegata la nozione
soggettiva di esso così delineata da Wernz: «officium
ecclesiasticum subiective spectatum
est ius nomine proprio et ratione quadam stabili exercendi iura et onera
spiritualia ex legibus Christi vel Ecclesiae alicui gradui iurisdictionis ecclesiasticae
in perpetuum adnexa»[40]. L'autorevole canonista sottolinea inoltre il requisito della
perpetuità oggettiva precisando che la perpetuità soggettiva
«in vero officio ecclesiastico
et ius perpetuum ad reditus ... semper et essentialiter non requiruntur»[41].
Quanto
esposto, benché in sintesi, è utile per cogliere adeguatamente
gli orientamenti manifestati ed i suggerimenti proposti dai consultori nel
processo di formazione del Codice piobenedettino specialmente nelle riunioni
della Commissione «incaricata di studiare la parte riguardante gli offici
e i benefici ecclesiastici» [Consulta "De officiis e de beneficiis"][42] che ha elaborato le
nozioni di ufficio e di beneficio ecclesiastico codificate nel 1917
rispettivamente nel can. 145 [43]. e nel can. 1409 [44].
Soffermarsi
sulla formazione del can. 145 appena citato, che presenta la definizione legale
di ufficio, non significa attardarsi in questioni di rilievo solo sotto il
profilo dottrinale ma contribuire a mettere in luce una categoria giuridica che
investe direttamente la struttura organizzativa della Chiesa.
Prima
di dar conto delle osservazioni dei consultori sugli schemi via via redatti
– senza riproporre una dettagliata rappresentazione dei materiali
archivistici[45]
e del processo di codificazione del 1917 [46] – è da
ricordare che si è fermata l'attenzione sull'ufficio ecclesiastico
durante l'esame del progetto di ripartizione delle materie nel Codice
perché in esso ci si discosta dalla sistematica prevalentemente seguita
e si avvia una trattazione distinta dell'ufficio e del beneficio.
Fin
dall'inizio, infatti, in uno schema organico e dettagliato, relativo alla struttura del Codice, trasmesso ai consultori[47] si fa riferimento
all'ufficio nel Libro II[48] mentre le norme sul
beneficio sono collocate nel Libro III, "Sectio V".
In
questa fase non sorprende che Wernz fautore di un ordine espositivo di tal
genere, esplicitamente affermi che «non è conveniente rimettere la
trattazione degli offici ecclesiastici a quella parte del corpus iuris
canonici, ove si tratta almeno principalmente delle cose temporali»[49] e di conseguenza egli
ritiene che nella sezione quinta [del Libro III] devono trovare posto «il
ius ad reditus, e specialmente i bona beneficialia», che
costituiscono la dotazione
dell'ufficio ecclesiastico[50].
Nel
testo approvato dalla Commissione plenaria di Cardinali, nel giugno 1904, al
titolo IV De officiis in genere
è apposta la nota 6 in cui è precisato che i capitoli di questo
titolo coincidono con quelli, relativi al beneficio, della parte quinta del
Libro III e che saranno gli stessi consultori ad elaborarli avendo cura di
evitare inutili ripetizioni[51]. Un'indicazione simmetrica si ha nella
Pars V, de beneficiis ecclesiasticis[52], ove si rinvia alla sopracitata nota apposta al titolo "De
officiis ecclesiasticis" del Libro I.
Bisogna rilevare, comunque, che Gasparri considerava opportuna
una riflessione sull'ufficio autonomamente trattato e che tale materia fosse
oggetto di due specifici vota, che risultano
redatti da Ojetti[53] e da Vidal[54], ed un analogo indirizzo
intendeva seguire riguardo al beneficio ecclesiastico affidando a Sebastianelli
e a Wernz[55]
il compito di prospettarne la normativa. Di fatto, in materia di benefici,
risulterà elaborato solo il votum
di Sebastianelli[56].
Dopo
l'approvazione dell'Index materiarum
l'episcopato mondiale viene coinvolto nella formazione del Codice[57] ed avanza proposte, tra
l'altro, sui temi specifici del titolo "de officiis" senza avvertire l'esigenza
di dare indicazioni quanto alla definizione di ufficio ecclesiastico[58]. Dai postulati –
che sono raccolti secondo l'ordine
stabilito nell'Index cioè nel
Libro I, titolo "de officiis" e nei titoli XXIX-XXXI del Libro III,
concernenti i benefici – emerge che essi, talvolta, pur riferendosi a
settori differenti ed essendo collocati in parti diverse riguardano lo stesso
oggetto[59]. Da ciò si
può presumere l'esistenza, anche tra i vescovi, di una diversità
di orientamento sull'attribuire maggiore rilievo all'ufficio o al beneficio.
Di
questi postulati Vidal mostra di tenere conto nel suo votum[60] particolarmente ampio,
nel quale non prospetta una definizione di ufficio stimando più
opportuno delineare immediatamente gli elementi relativi alla sua costituzione[61]. Ojetti, invece, apre il votum stampato nel 1907 presentando la
nozione di ufficio come premessa alle norme
poi suggerite[62].
Proprio
in questo quadro va rivolto lo sguardo alla Consulta “De officiis e de beneficiis”[63] che il 24 ottobre 1907
comincia a volgere l'attenzione ai vota[64] e tra il 31 ottobre ed il
23 gennaio 1908 si sofferma sulle sei redazioni del testo "De
officiis"[65]
prima di giungere a quella inviata ai componenti della "Grande
Commissione"[66] con l'indicazione della
data entro cui far pervenire animadversiones[67]. La nozione di ufficio
ecclesiastico, fissata nei tratti essenziali dalla citata Consulta, ed insieme
alle osservazioni inviate esaminata dalla Commissione parziale dei cardinali e
con le conseguenti modifiche[68] dopo ulteriori stesure[69] risulterà
definitivamente formalizzata nel can. 145 del Codice piobenedettino[70].
In occasione della prima riunione, cioè il 24 ottobre[71], i consultori hanno
discusso brevemente di quella che nel resoconto è indicata come
questione pregiudiziale cioè la collocazione, nel codice, delle norme
"de officiis" e di quelle "de beneficiis"[72]. A tale proposito va
messo in evidenza l'intervento di Sebastianelli secondo cui, in armonia coi
principi sul beneficio esposti in apertura del votum da lui redatto[73], la trattazione "de
beneficiis" dovrebbe "assorbire" quella sugli uffici[74] confermando, quindi, la
sistematica prevalentemente seguita nelle trattazioni generali dello jus decretalium. Questa proposta non
è accolta dagli altri consultori i quali, come emerge dal verbale della
riunione, considerano la parte "de officiis" generica[75], e Giorgi, pur
apprezzando questo orientamento, suggerisce di restringerla molto[76], e di considerare la
parte "de beneficiis" specifica rispetto a quella sugli uffici[77]. Si è cos’
confermato l’impianto dell’Index
materiarum e sottolineato il ruolo primario dell’ufficio
ecclesiastico, orientando in tal senso l’attività della Consulta
alla luce, comunque, del nesso tra ufficio e beneficio.
In questa prima consulta si sono poi presi in considerazione
alcuni canoni del votum Ojetti 1907[78] e del votum Vidal[79]e ci si è convinti
dell'opportunità che la parte sugli uffici ecclesiastici si apra con la
definizione di ufficio di cui si dà una traccia esemplificativa in
questi termini, ossia, «officium ecclesiasticum in genere ... est munus
iure ecclesiastico constitutum»[80]. Dallo stesso verbale
risulta che Giorgi propone che gli estensori dei vota sull’ufficio cioè Ojetti e Vidal , e
Sebastianelli autore del votum
“de beneficiis”[81], «concertino
insieme uno schema de officiis subordinandogli la parte de beneficiis»[82]. Nel resoconto, tuttavia,
non si fa cenno all’approvazione di tale proposta, anche se tutto lascia
supporre che essa abbia incontrato il gradimento dei consultori. E’certo
che, una settimana dopo, nella riunione del 31 ottobre viene messo in
discussione un primo schema “de officiis” [83] in cui vi sono dei punti
interrogativi accanto ad alcuni termini[84], inseriti con ampia
probabilità da Gasparri prima che fosse dato alle stampe ed ai quali
egli stesso fa riferimento[85].
Nella
stessa riunione Gasparri «espone il criterio generale per la divisione
della materia»[86] e, circa la collocazione dei canoni concernenti l'ufficio,
presupponendo che «tutti i benefici sono anche uffici ... prima
parlerebbe degli uffici in genere, e poi esporrebbe a parte le cose che sono
proprie e speciali ai soli benefici»[87]. Di ciò si ha una
tacita approvazione deducibile dall'assenza di obiezioni e dal fatto che i
consultori immediatamente si dedicano all'esame dei canoni[88].
A questo proposito bisogna tenere conto dei principi messi in
evidenza dalla dottrina precodiciale[89] e della nozione di
ufficio esposta da Ojetti[90] perché in essa
sono indicati gli elementi che,
secondo l'estensore, sono propri
della figura giuridica dell'ufficio ossia che l'ufficio ecclesiastico,
«propter quod tantummodo datur ecclesiasticum beneficium», è
il «munus quoddam sacrum», costituito dal diritto divino o umano,
al cui esercizio «clericus deputatur» attraverso la missione
canonica dalla competente autorità ecclesiastica[91].
Sempre dal votunm
Ojetti emerge che per l'esistenza di un ufficio non è necessario
«ut muneri ecclesiastico adnexa sit iurisdictio» e neppure
«ut munus proprio nomine sit exercendus, vel ut iuris dispositione in
perpetuum conferatur»[92].
Nel volgere l'attenzione all'attività della Consulta
"De officiis e de beneficiis" occorre precisare
che su alcune questioni i componenti non mostrano dubbi e di conseguenza non si
registrano di scambi di idee come emerge anche riguardo alla costituzione iure sive divino sive humano
dell'ufficio.
Ciò premesso, va notato che la prima questione posta da
Gasparri all'attenzione dei consultori trae origine dalle sue
perplessità circa il fatto che dallo Schema I emergerebbe che solo i
chierici possono essere titolari di un ufficio ecclesiastico[93]. Proprio Gasparri non
pone in dubbio che il concetto di ufficio da codificare debba abbracciare la
fattispecie in senso stretto e quella in senso lato. Egli, infatti, mette in
evidenza a titolo di esempio che «a suo parere il superiore generale dei
Fate-bene-fratelli o il priore di una confraternita hanno un ufficio ma non
sono chierici»[94]. Da qui prende avvio la
discussione ed in particolare Sebastianelli a questa osservazione risponde
sostenendo «che per avere un vero ufficio ecclesiastico si richiede una
partecipazione della potestà di giurisdizione o di ordine»[95] e conseguentemente nei
casi citati da Gasparri «non possono ravvisarsi veri uffici»[96]. L'orientamento di
Sebastianelli trova concordi Ojetti, Vidal e Many nella convinzione che il
titolo sottoposto alla loro attenzione deve «essere ristretto ai soli
offici ecclesiastici in senso stretto»[97].
Dopo un intervento con cui Giorgi pone in rilievo «che
nelle Curie vi sono anche degli offici dati a laici»[98], Ojetti, per maggior
chiarezza, suggerisce di integrare il canone con un terzo paragrafo in cui si
accenni agli uffici lato sensu[99]. A sua volta Vidal avverte l'importanza
dell'argomento e prospetta una nuova versione della norma in cui si precisa che
in essa «non comprehenditur sub officiis ecclesiasticis ea quae in
Curiis dantur laicis»[100].Tutto ciò conduce
ad una stesura che richiamando l'esercizio della iurisdictio risulta orientata alla nozione di ufficio in senso
stretto[101].
La riflessione su questo argomento viene ripresa in occasione
dell'esame dello Schema III[102] quando Melata chiede di
elidere il riferimento alla iurisdictio[103] mettendo in rilievo che in alcuni uffici, ad esempio in quello dei
canonici e dei cappellani, «non sembra che vi sia partecipazione di
potestà ecclesiastica»[104]. Tale osservazione
è apprezzata da alcuni consultori[105] ed Ojetti ne riconosce
il fondamento ma fa notare che se si omettono le parole indicate da Melata[106], «anche il
sagrestano laico avrebbe un officio ecclesiastico»[107].
Queste incertezze e difficoltà stanno, forse, alla base
della ulteriore redazione del can. 1 in cui, con stile alquanto didattico, ci
si riferisce all'ufficio inteso in senso stretto e lato[108] e le definizioni
prospettate sono nuovamente oggetto di confronto[109]. In particolare
Scapinelli è convinto che si debba delineare soltanto la nozione in
senso stretto considerando non necessario dare quella lato sensu.[110]. Di parere diverso
appaiono altri consultori. Così Pompili «conserverebbe il testo uti iacet» giudicando utile
precisare il concetto di ufficio ecclesiastico in senso lato[111], ed in modo analogo si
esprime Melata a cui, però, la forma del canone appare «un po'
scolastica»[112]. Decisamente convinto
dell'opportunità di riproporre il testo così come è
redatto è Ojetti perché, a suo avviso, è «necessario
dire che vi sono alcuni uffici ecclesiastici in senso stretto dei quali
generalmente, non sempre, si parla» ed «altri in senso largo, ad
es. il sacrista»[113]. Dinanzi a questa
diversità di opinioni altri intervengono nell'intento di giungere ad una
versione condivisa. Tra costoro, Vidal apprezza la proposta di Scapinelli ma
contemporaneamente consiglia, ove si voglia mantenere la norma, di apportare
modifiche per statuire la necessità del mandato dell'autorità
ecclesiastica[114].
In questo ordine di idee Many, suggerisce di aggiungere in chiusura del
paragrafo le parole «speciali missione conferendam», perché
a suo parere «altrimenti non si distingue l'officio ecclesiastico stricto
sensu dall'officio di recitar le ore canoniche annesso al suddiaconato, al
diaconato»[115]. In una successiva
riunione[116],
analizzando lo Schema V[117], una considerazione
analoga è svolta da Vidal secondo cui affermando esplicitamente che
l'ufficio è conferito con una speciale missione si toglie «l'idea
che il sacerdozio sia un officio»[118].
Si può dire che dall'attività della Consulta
appare nitidamente la volontà di codificare una duplice nozione di
ufficio ecclesiastico nella consapevolezza, tuttavia, del ruolo preminente
dell'ufficio in senso stretto. Ciò si può dedurre pure dal fatto
che a partire dalla quarta stesura è
introdotto un canone in base al
quale, di norma, nel codice l'ufficio «sumitur in stricto sensu»[119]. Gasparri, poi, nello
schema inviato ai componenti della "Grande Commissione" inserendo
l'espressione «in iure»[120], in luogo di «in
sequentibus canonibus», estende questo principio e lo pone come criterio
interpretativo del Codice e delle leggi successive.
L'esigenza di una stesura più agile per delineare le due
nozioni è particolarmente sentita da Eschbach che, in una animadversio, invita ad articolare il
testo scrivendo:«Officium eccl. lato sensu ... stricto autem sensu
est»[121].
Questa proposta è favorevolmente accolta e di conseguenza lo Schema del
1909, uniformandosi ad essa, rende più chiara l'indicazione delle due
definizioni[122],
e trova conferma nel testo promulgato[123].
Il dibattito sul munus
quale fondamento dell'ufficio, seguendo in certa misura la dottrina
precodiciale[124],
non si addentra in una dettagliata descrizione. Esso, infatti, è
concentrato sul fatto che il munus
può essere individuato in un incarico o in un complesso di funzioni
qualificato "sacro" o "spirituale" nella convinzione che
quest'ultima caratteristica è ravvisabile anche quando, come si è
sostenuto all'interno della consulta, il munus
può dirsi "spirituale" riguardo alla destinazione, e non
necessariamente alla sua essenza.
Dalla documentazione risulta, tuttavia, che l'espressione
«munus spirituale» è utilizzata nella formazione dei canoni
piobenedettini per definire l'ufficio in senso lato[125]. In relazione, invece,
alla nozione stricto sensu ci si
riferisce al «munus sacrum» cui connessa una potestà che i
consultori, nel corso delle riunioni, sono giunti ad individuare nel modo
più congruo, come emerge dal confronto degli schemi redatti[126].
Specificamente si può rilevare che nel votum Ojetti figura la locuzione "munus sacrum" mentre nel primo
schema è presente l'espressione "munus spirituale"[127]. In ordine a ciò
vi è uno scambio di opinioni già il 31ottobre 1907 allorché
Giorgi suggerisce di espungere dal testo l'aggettivo "spirituale"
ritenendo che esso non si adatti ad alcuni uffici[128]. Di parere opposto sono
gli altri consultori persuasi dell'opportunità di conservare il termine
"spirituale" in quanto tutti gli uffici «sono spirituali, saltem
destinationem»[129]. Conseguentemente, sotto
questo aspetto, non si hanno mutamenti nello Schema II[130].
Nell'ulteriore stesura consultabile, cioè nello Schema IV,
sono prospettate le nozioni di ufficio in senso lato e stretto e relativamente
alla prima non si fa riferimento ad un munus
in sé spirituale ma ad uno che «in spiritualem finem
exerceatur»[131]. Ciò, forse, per
ampliare l'ambito degli incarichi che vi possono rientrare. Ci si richiama,
poi, al munus sacrum quale elemento
che individua l'ufficio stricto sensu[132], giungendo, in tal modo,
alla formalizzazione delle due nozioni di ufficio. Questo orientamento incontra un sostanziale apprezzamento
e quindi è confermato nelle successive redazioni sottoposte alla
Consulta "De officiis e de beneficiis", nonostante una
diversa proposta formulata da Giorgi[133].
In linea generale i componenti della Grande Commissione non
manifestano particolari perplessità sul concetto di munus sacrum[134] e neppure la Commissione
parziale cardinalizia. Conseguentemente l'espressione munus sacrum figura nello schema del 1909[135] ed ancora contenuta
nella redazione del 1916[136].
Inaspettatamente, però, nel testo promulgato non vi
è più l'aggettivo sacrum
a qualificare il munus[137], e ciò desta sorpresa e qualche incertezza sulle ragioni di
tale omissione anche se esse sono, forse, più comprensibili di quanto a prima vista può sembrare[138].
Dal fatto che vi sono uffici in senso lato e stricto sensu deriva che sotto il
profilo generale per l'esistenza di un ufficio, come si afferma nello Schema I,
«non est necesse ut muneri spirituali adnexa sit iurisdictio» ossia
una potestà di giurisdizione e neppure che il «munus proprio
nomine sit exercendum aut iuris dispositione in perpetuum sit
constitutum»[139].
La proposta di codificare esplicitamente questi due principi
è oggetto di immediata discussione ed i consultori mostrano idee
divergenti: così Giorgi, alla cui opinione aderiscono Many e Melata, non
ritiene essenziale il testo e perciò lo ometterebbe[140]; altri, però,
sono di diverso parere e tra costoro vi sono Vidal, che aggiungerebbe
«qualche restrizione alla parola "iurisdictio" dicendo,
ad es., "stricte iurisdictio"»[141], Sebastianelli[142], Ojetti[143] e Bastien[144].
Questo
scambio di vedute è di fatto l'unico che, in argomento, risulta
verbalizzato in quanto successivamente, riguardo a questa norma ci si limita a
registrare che molti consultori aderiscono alla nota apposta al testo nella
quale si dà conto della proposta di ometterla[145], o a indicare soltanto i
nomi dei consultori favorevoli e dei contrari[146].
Nella struttura del canone la conferma della non necessaria
presenza della "iurisdictio" mantiene in certa misura indeterminata la
natura della potestà di cui deve essere dotato l'ufficio, e questa forma
di 'equilibrio' redazionale del canone
permane fino alla quinta stesura[147]. Va rilevato, tuttavia,
che col riferimento, presente nello Schema II, allo svolgimento di una funzione
che comporta «aliquam ... participationem ecclesiasticae potestatis in
foro externo»[148] appare chiaro che si
tende a delineare l'ufficio in senso stretto e l'attenzione è diretta ad
individuare tale potestà e la sua rilevanza in foro esterno[149].
Anche su quest'ultimo aspetto la Consulta appare divisa. Vi
è, infatti, chi mostra il proprio apprezzamento[150] diversamente da altri
che evidenziano perplessità giungendo a proporne la soppressione[151]. Di fatto l'accenno al
foro esterno non compare nella quarta redazione[152], mentre si conserva il
richiamo generico all'esercizio della potestà[153] che era stato
considerato opportuno da qualche consultore[154].
Lo
schema desta qualche dubbio in Wernz a cui la definizione di ufficio
ecclesiastico «sensu stricto videtur minus accurata»[155] sotto vari profili ed in
particolare riguardo alla natura della potestà. A suo giudizio una
soluzione può essere trovata con una integrazione del testo dato che la
«participatio potestatis ecclesiasticae» è «accuratim definienda
per additionem verborum “sive ordinis sive iurisdictionis”»[156]. Questa proposta
presumibilmente trova concorde la Commissione parziale cardinalizia, e con lo
Schema del 1909 si introduce il riferimento esplicito alla potestà
d'ordine ed a quella di giurisdizione[157] che figura anche nel Codice[158].
Questo elemento, in realtà, non è oggetto di approfondita analisi da parte della
Consulta. Si era dinanzi, infatti, ad una materia esposta adeguatamente dalla dottrina
precodicale, della quale parzialmente si è dato conto[159], ed in modo specifico da
Wernz affermando che «non minus essentiale» è per l'ufficio
ecclesiastico «illa obiectiva
perpetuitas institutionis» cui aggiunge: «subiectiva autem perpetuitas
in vero officio ecclesiastico ...
semper et essentialiter non requiritur»[160].
Quanto al processo di codificazione, nella definizione di
ufficio prospettata da Ojetti e nel complesso del suo votum non si fa cenno a tali elementi che, invece, figurano nello
Schema I[161].
In questo, infatti, prima si afferma che l'ufficio deve essere
«stabiliter constitutum» e poi si vuole precisare che non è
richiesto che sia «in perpetuum costitutum»[162]. In sostanza la
struttura del canone appare diretta a chiarire la dimensione della stabilitas richiesta e cioè che
essa non coincide con la perpetuitas.
In questo testo esaminato dai consultori accanto al termine stabiliter è collocato un punto
interrogativo, posto presumibilmente da Gasparri su cui egli stesso, nella
riunione del 31 ottobre, richiama l'attenzione perché gli sembra che lo stabiliter «riferito alla
costituzione dell'ufficio sia in opposizione con la perpetuità
menzionata nello stesso canone»[163]. Tale osservazione non
dà origine ad un dibattito ma nello schema successivo è omesso l'avverbio stabiliter[164]. Questa scelta vede non
concorde la Consulta ed infatti alcuni reintrodurrebbero «l'idea della
stabilità»[165].
L'impossibilità di consultare la terza redazione dello
schema e l'assenza di riferimenti nel resoconto della riunione del 5 dicembre
impediscono di sapere se in essa si fosse reinserito il requisito della
stabilità dell'ufficio[166]. Una sua presenza,
comunque, è assai probabile dato che, senza alcuna espressa
sollecitazione, esso compare nello Schema IV[167].
In realtà con l'esplicita formalizzazione delle due
nozioni di ufficio, evidenziata dalla struttura letterale del canone, la stabilitas della sua costituzione appare
specificamente collegata all'ufficio in senso stretto[168]. Essa è
codificata nel testo piobenedettino[169]. Nel Codice vigente,
delineata un'unica nozione di ufficio, la stabilitas
è uno degli elementi essenziali[170].
Che l’ufficio sia conferito dall'autorità
ecclesiastica è un principio su cui i consultori non hanno dubbi come
pure sull'opportunità della sua espressa codificazione. In questo senso,
nel primo schema vi è uno specifico cenno alla missione canonica[171] che, però,
successivamente viene omesso[172], e ciò induce
Ojetti a chiedere di reinserire «l'idea della missione canonica»
che, a suo parere, «completa la nozione di ufficio»[173]. Anche altri consultori sono convinti della necessità che
il Codice faccia un richiamo specifico ad un formale intervento ecclesiastico[174] allo scopo di rendere
chiaro che le funzioni e i doveri intrinsecamente connessi all'essere chierico
non costituiscono un ufficio.
Nell'elaborazione della nozione di ufficio l'atto di
conferimento viene identificato, senza incertezze, con la missione canonica
come traspare dai suggerimenti di Many e di Vidal[175]. Va sottolineato,
comunque, che in questa occasione nella Consulta non si approfondisce il
discorso sull'atto con cui se ne acquista la titolarità.
Nella stesura inviata ai componenti della Grande Commissione
resta, nel can. 1, il riferimento alla missione canonica e contemporaneamente,
all'inizio del Capo I "De provisione officiorum ecclesiasticorum",
viene introdotta una norma specifica che individua nell'institutio e nella provisio
canonica lo strumento per il conferimento dell'ufficio[176]. Sarà poi
quest'ultima ad essere prevista come provvedimento di concessione dell'ufficio [177], anche nel testo
definitivo[178].
L'esplicita indicazione di un atto dell'autorità
ecclesiastica induce Ojetti a richiamare l'attenzione sull'ufficio di pontefice
e di conseguenza egli ritiene opportuno che sia precisato che il pontificato
prescinde dalla missione canonica. A questo fine lo stesso Ojetti propone di
inserire nel can. 1, § 1, dopo le parole «ad quod exercendum»,
la frase «uno excepto Romano Pontificatu»[179]. Gli altri consultori
non credono necessaria questa integrazione e sotto tale profilo Many afferma
che il Papato è assolutamente extra
ordinem, e quindi non vi è bisogno che sia contemplato nella
definizione[180].
Di idea parzialmente diversa appare Melata che vorrebbe codificata una nozione
che comprendesse anche il Pontificato Romano, «il quale è pure un
officio»[181].
Di fatto nello Schema II
viene inserito un canone che recepisce sostanzialmente la proposta di Ojetti in quanto, nel disporre il
conferimento attraverso la missione canonica, prevede un'eccezione per il
pontificato[182].
I resoconti assai concisi non permettono di sapere se la stesura successiva,
cioè lo Schema III, contenesse una norma analoga[183].
Quanto
all'ulteriore elaborazione si può notare che in seguito non si fa cenno
esplicitamente al pontificato[184] anche perché, con
le parole «aliquam saltem
secumferens participationem ecclesiasticae potestatis»[185], Gasparri pensa di aver
trovato una soddisfacente soluzione. A Giorgi, cui questa espressione non
«sembra buona» [186], Ojetti fa notare che
essa «è stata posta per comprendere il Papa»[187], e su ciò si
richiama l'attenzione in una nota dello schema successivo[188]. Non è da
escludere che in seguito sia sorto in Gasparri qualche dubbio[189].
In
merito alla questione discussa si può ritenere, tuttavia, al superamento
delle perplessità inizialmente emerse contribuisce lo Schema del 1909
dove l'espressione «ex commissione auctoritatis ecclesiasticae» appare più strettamente collegata all’ufficio
in senso lato. In esso, inoltre, riguardo all’ufficio stricto sensu non si parla più di speciale
missione canonica essendosi inserita la locuzione generica «ad normam
sacrorum canonum conferendum»[190].
Connessa
con la nozione di ufficio è la distinzione tra uffici maggiori e minori
su cui va fermata brevemente l'attenzione ricordando che la dottrina
precodiciale, con lo sguardo rivolto ai benefici, afferma che sono maggiori
quelli ai quali è annessa la giurisdizione ecclesiastica «propria
et pro foro externo»[191] e ne fornisce un elenco
esemplificativo[192].
Da
parte sua Ojetti, nel votum propone
un testo che individua l'elemento caratterizzante gli uffici maggiori, senza
enumerarli, precisando che i restanti sono uffici minori. Egli, infatti,
prospetta un canone così enunciato: «Officia, quibus adnexa est
plena et perfecta iurisdictio in foro externo, dicuntur maiora; cetera
minora»[193].
Anche Sebastianelli trattando dei benefici indica i principi qualificanti gli
uni e gli altri[194].
Nel
primo schema esaminato dalla Consulta "De
officiis e de beneficiis" la
distinzione è presentata, quasi come una semplice constatazione di un
dato di fatto, in questi termini: «Maiora officia in Ecclesia sunt,
praeter supremum pontificatum, episcopatus residentialis, Vicariatus
apostolicus, Praefectura apostolica, Missio, Praelatura nullius au
quasi-nullius; cetera sunt minora»[195].
Riguardo
a questa stesura i consultori formulano brevi considerazioni - che di fatto,
per quanto si ha notizia, costituiscono tutto il dibattito svolto
sull'argomento. Precisamente Sebastianelli, forse anche con qualche riserva sul
contenuto, chiede che l'elenco proposto sia integrato[196] mentre altri consultori,
in particolare Ojetti e Melata, convinti dell'opportunità di indicare il
critrio distintivo propongono una norma in questi termini: «Officia,
quibus adnexa est iurisdictio ordinaria in foro externo, dicuntur maiora,
etc.»[197].
Melata, inoltre, invita a prendere in considerazione la definizione proposta da
Sebastianelli riguardo ai benefici.[198]
Un
orientamento critico più determinato è manifestato da Vidal che
«sopprimerebbe il canone, lasciando ai canonisti»[199] ogni questione di
carattere dottrinale. Così nello schema successivo, con espressioni
parzialmente diverse da quelle usate nella discussione, ma tenendo conto dei vota di Ojetti e di Sebastianelli,
è presentata la distinzione tra gli uffici, indicando un criterio
sostanziale. Il canone proposto, infatti, afferma che sono maggiori gli
«offici ... quae secumferunt iurisdictionem saltem
quasi-episcopalem»[200]. In merito a questo
testo sembra che non sia stata alcuna osservazione come risulta da verbale in
cui si da atto soltanto che i consultori lo approvano «uti iacet»[201].
Allo
stesso tempo è da notare che il riferimento alla "iurisdictio"
incontra, probabilmente all'interno di una questione più vasta, qualche
difficoltà nella Grande Commissione e forse anche nella Commissione
parziale cardinalizia. Di conseguenza nella redazione stampata nel 1909 appare
l'esplicita indicazione della potestà episcopale o quasi episcopale
quale criterio essenziale[202]. In seguito questo
canone è oggetto di ulteriore riflessione[203] ed è ancora
presente nella redazione del 1916[204] ed anche in una bozza
del 1917[205].
Esso, però, risulta omesso nel Codice[206], e così si giunge
ad una conclusione coincidente con la proposto avanzata da Vidal.
Prima
di chiudere questa esposizione merita un cenno la qualificazione degli uffici,
cui è annesso lo ius obiectivum
percipiendi certos redditus, perché nel primo schema "de
officiis", con un linguaggio conforme alla dottrina precodiciale[207], è scritto che
essi sono detti benefici ecclesiastici[208]. Si tratta di
un'asserzione, in linea con le parole usate da Gasparri all'inizio
dell'attività della Consulta[209], che contenuta in uno
specifico canone, suscita una vivace discussione, sia pure breve,
caratterizzata da una diversità di opinioni .
Vi è, infatti, un orientamento decisamente contrario alla
sua codificazione, manifestato da Ojetti che adduce due motivi specifici.
Innanzi tutto egli dichiara senza riserve «che è inesatto dire,
come nel canone, che gli officia sunt
beneficia, mentre son due cose distinte»[210], ed aggiunge che esso,
in ogni caso, «non è necessario»[211].
Alcuni
consultori, invece, sono sostanzialmente favorevoli alla conservazione del
testo pur sentendo l'esigenza di apportare qualche modifica. In questo senso
Sebastianelli chiede di rimuovere l'aggettivo "obiectivum" collegato
al diritto di percepire i frutti dei beni annessi all'ufficio[212] e Melata trova
insufficiente la definizione proposta e invita a precisare che si tratta del
diritto di percepire redditi ecclesiastici o «ex bonis
ecclesiasticis»[213]. Orientato verso una
integrazione del testo è anche Many secondo cui, in esso, si dovrebbe
indicare la norma che regola lo ius
percipiendi, rinviando alla parte de
beneficiis «che ne darà la definizione senza entrare qui in
maggiori dettagli»[214].
Perplessità,
mostra anche Vidal. Egli, infatti, mette in evidenza che non vi sono
difficoltà a sopprimere il canone aggiungendo, comunque, che se lo si
vuole conservare è opportuno qualificare perpetuum oltre che obiectivum
lo ius percipiendi[215].
Decisamente
favorevole alla conferma di questa norma è Gasparri perché, a suo
giudizio, quasi in risposta ad Ojetti, «nel concetto del beneficio
è incluso sia il ius percipiendi
reditus sia l'officium»[216].
Dal
complesso delle opinioni espresse appare che la maggioranza dei consultori
è favorevole alla presenza di un canone di tale contenuto e ciò
trova riscontro nella seconda redazione[217]. In occasione dell'esame
di questo schema vengono avanzate ulteriori proposte e Sebastianelli prospetta
una nuova versione in cui si precisa che sono detti benefici gli uffici
ecclesiastici «quibus adnexa est praebenda»[218] e Many propone, per
chiarezza, che si faccia esplicito rinvio al canone «dei benefici ove si
definirà la prebenda»[219]. Nel resoconto della
riunione si dà atto, inoltre, che parecchi consultori approvano la
stesura sottoposta alla loro attenzione[220] e ciò conduce ad
una sua conferma nello Schema III. Allorché si procede all'analisi di
questa redazione non sembra esservi stato un dibattito e nel verbale non si fa
cenno ad uno scambio di opinioni tra i consultori. Restano, quindi, ignoti i
ragionamenti che hanno condotto alla decisione di sopprime questo canone
«perché non esatto»[221]. In tal modo sembra
essere stata recepita l'opinione in precedenza manifestata da Ojetti[222] e ciò
contraddistingue tutto l'ulteriore cammino del processo di codificazione.
Nella
fase conclusiva invece, e precisamente nello schema del 1914, risulta inserito
un nuovo canone che con termini
parzialmente diversi da quelli presenti nelle prime redazioni[223] -riprendendo una nota
inserita in un precedente schema[224]- dispone che per gli uffici
beneficiali devono osservarsi le norme "de officiis" e quelle
"de beneficiis"[225].
Dalla
veste formale del canone sembra di essere dinanzi più che
un'affermazione di principio alla constatazione di una realtà per la
quale si applicano anche le norme in materia di benefici. Non bisogna
dimenticare, inoltre, che dopo la nozione legale di ufficio era stata
formalizzata quella di beneficio ecclesiastico[226] e questo, nello stesso
schema del 1916 è definito come «ens iuridicum ... constans
officio sacro et iure percipiendi reditus ex dote officio adnexos»[227] e ciò trova poi
conferma nel testo promulgato[228].
Dalla
rappresentazione, nei tratti essenziali, della formazione del canone
piobenedettino in cui si è data una veste legale alla nozione di ufficio
ecclesiastico[229],
l'attività della Commissione "De
officiis e de beneficiis",
è apparsa nella sua reale portata in quanto i materiali archivistici, nonostante
le lacune segnalate, hanno permesso di dare conto delle opinioni dei singoli
consultori. Esse, infatti, sono emerse senza difficoltà nonostante la
sintetica verbalizzazione, considerando che le concise espressioni utilizzate
rispecchiano aspetti delineati dalla dottrina precodiciale.
Una
notazione in parte analoga può farsi riguardo a quello che è da
considerare il secondo momento di studio e di redazione, ossia l'arco di tempo
tra il 1908 ed il 1909, in si collocano le osservazioni dei componenti della
"Grande Commissione" e le riunioni della Commissione parziale
cardinalizia delle quali, però, su questa materia, si può
conoscere qualcosa solo da appunti di Gasparri[230]. Allo stesso tempo
questi limiti della documentazione sono temperati dalla presenza di animadersiones che contengono elementi
utili a chiarire il progressivo sviluppo[231]. In chiusura di questa
fase lo schema stampato nel 1909 mostra alcuni significativi mutamenti[232], poi, oggetto di analisi
nel suo complesso da parte dei revisori che collaboravano con Gasparri.
Per quanto attiene all'iter
ulteriore, i passi conclusivi, sotto i diversi profili, sono rilevabili dal
testo inserito nella Tavola sinottica indicato come schema IX, bozza 1912 [233] e dallo Schema del 1912 inviato all'episcopato
mondiale[234],
– che quanto ai canoni qui considerati conferma il contenuto della bozza
– ed infine dagli schemi del 1914 e 1916.
Ciò
premesso una speciale attenzione è da rivolgere all'aspetto sostanziale
e sotto questo profilo va messa in primo piano, per la sua intrinseca
rilevanza, l'introduzione nel codice piobenedettino della definizione legale di
ufficio, autonoma da quella di beneficio, che mette in evidenza questo
strumento di ripartizione delle competenze destinato ad avere in seguito un
più marcato sviluppo e rilievo.
Alla
redazione del canone in cui essa è contenuta si è giunti
attraverso un paziente e meticoloso lavoro collegiale, tra consultori di
culture giuridiche e scuole canonistiche diverse[235], con suggerimenti
sinteticamente verbalizzati o, forse, già in origine schematici che
presupponevano e si innestavano su quanto la dottrina aveva già
illustrato.
All'attività
della Consulta "De officiis e de beneficiis" è da
ricondurre la struttura essenziale della definizione di ufficio, né
poteva essere altrimenti visto che si trattava dell'organismo specificamente
chiamato a studiare la materia e di conseguenza quello che ha avuto più
occasioni per soffermarsi sull'argomento.
In
particolare, lasciata da parte la concezione soggettiva che identifica
l’ufficio col diritto all’esercizio della potestà[236], è stato
codificato senza incertezze l'ufficio nel suo profilo oggettivo ossia nel
essere un complesso di funzioni stabilmente costituito. A ciò si unisce
l'aver reso chiaro, col riferimento alla missione canonica, che i doveri
derivanti dalla ricezione dell'ordine sacro non costituiscono di per sé
un ufficio.
In
questa cornice è da ricordare che
un'ampia parte della Consulta era orientata verso la codificazione di una
nozione di ufficio in senso stretto caratterizzata dalla sua stabile
costituzione, da una funzione implicante l'esercizio di una potestà
ecclesiastica da parte di un chierico. Lo status
clericale, infatti, era considerato essenziale per la titolarità di un
ufficio stricto sensu. e non a caso
la normativa in materia di ufficio era stata sistemata nella Pars "De clericis".
A
tale orientamento si è contrapposta, in certa misura, l'idea di Gasparri
diretta a codificare anche la nozione in senso lato che non esclude i laici
dall'esserne titolari. Proprio il presidente della Consulta, fin dall'inizio,
ha richiamato l'attenzione su questo aspetto ed ha tenuto vivo l'argomento
riproponendolo sostanzialmente nelle stesure che egli stesso curava[237].
Queste
due tendenze hanno caratterizzato l'attività svolta collegialmente
giungendo, forse proprio per il deciso sostegno di Gasparri, alla codificazione
di entrambe le nozioni. Vi è da aggiungere che ai consultori era ben
chiaro il ruolo dell'ufficio in senso stretto -talvolta indicato come vero
ufficio- ma a loro non sfuggiva la rilevanza e l'utilità, per le chiese
locali e per le curie diocesane, delle mansioni generalmente affidate ai laici
ed ascrivibili all'ambito dell'ufficio in senso lato.
La
Consulta, certamente, ha svolto un ruolo di particolare rilievo ma non va
trascurato il contributo che si è avuto nel periodo 1908-1909 per una
più appropriata individuazione della potestà, chiarendo che si
tratta di quella d'ordine e di giurisdizione. Infine non sono da sottovalutare
alcune innovazioni, riferibili al periodo conclusivo del processo di
codificazione, sebbene riguardo a queste bisogna sottolineare che non hanno
tutte la stessa rilevanza. Così da una parte vi sono l'esclusione
dell'esplicita distinzione degli uffici in maggiori e minori[238] e l'inserimento, nei termini
in precedenza indicati, del canone sugli uffici beneficiali [239]. Scelte queste,
probabilmente dettate dall'esigenza di armonizzare il Codice alla luce di tutto
il suo complesso.
Un
discorso diverso è da fare sull'esclusione della qualificazione sacrum riferita al munus. Invero non si conoscono
le ragioni che hanno indotto Gasparri ad apportare questa modifica,
certamente non legata ad una decisione occasionale essendo rilevabile
all'interno di un'analisi del testo del 1916. E', infatti, nel can. 144 di una
copia di questo schema, utilizzato come bozza, che a penna è cancellato
l'aggettivo sacrum[240]. Ciò può
far pensare che essa abbia tratto origine
dalla rilettura di varie parti del codice, e quindi da una specifica
riflessione, oppure che Gasparri abbia tenuto conto di suggerimenti ricevuti
che al momento non è possibile individuare e documentare.
Maroto,
da parte sua, lascia intendere che può esserci stata la preoccupazione
di una possibile difficoltà nell'interpretare il termine sacro[241] e che perciò esso
sia stato tolto «in editione promulgata ne forsan ansam erroribus
dederit»[242].
Questa
opinione può trovare fondamento sul fatto che su munus sacrum e munus
spirituale e sulla differenza tra le due espressioni gli interventi dei
consultori non hanno offerto indicazioni d'ordine contenutistico e neppure
hanno sufficientemente chiarito il significato della frase «in finem
spiritualem».
Comunque,
qualunque sia il motivo, per effetto di questa innovazione, pur tenendo nel
debito conto il nesso con la potestà ecclesiastica cui il testo si
richiama, l'ambito di funzioni rientranti nella nozione di ufficio in senso
stretto risulta in qualche misura ampliato.
Infine
merita una considerazione specifica l'aver dato veste legale alla nozione in
senso lato, con la quale si è formalmente avviata un'apertura verso il
riconoscimento della capacità del laico ad essere titolare di tali
uffici anche se questi, da una parte dei canonisti, durante il processo di
codificazione non erano considerati veri uffici.
Essa,
spesso, è stata un po’ sottovalutata e solo qualche canonista ne
ha delineato con attenzione il profilo teorico e l'ambito della sua concreta
rilevanza[243].
E' da
ricordare, però, che il Vaticano II, già nella fase preparatoria,
sia pure con lo sguardo rivolto alla questione del sostentamento del clero, ha
valorizzato la nozione in senso lato[244] confermando questo
orientamento fino alla promulgazione del decreto "Presbyterorum
ordinis"[245].
Successivamente
nel corso della revisione delle norme piobenedettine si è giunti, come è
noto, ad un'unica definizione di ufficio. Ciò, ovviamente, ha suscitato
particolare interesse e riflessioni per delinearne meglio la natura, i vari
profili e lo spazio di applicazione,
anche alla luce degli sviluppi della scienza giuridica e degli ulteriori
approfondimenti teologici e della ecclesiologia conciliare[246].
Doc. 1
(Sub secreto pontificio).
CODEX IURIS
CANONICI
------------------
LIBER SECONDUS
DE PERSONIS
PARS I
DE CLERICIS
-------------
SECTIO i
DE CLERICIS IN GENERE
-----------
Titulus IV
DE OFFICIIS ECCLESIASTICIS
VOTUM
R. P. BENEDICTI OJETTI, S.I.
CONSULTORIS
ROMAE
TYPIS VATICANIS
1907.
Can. 1.
§
1: Officium ecclesiasticum, propter quod tantummodo datur ecclesiasticum
beneficium, est munus quoddam sacrum iure sive divino sive humano constitutum,
ad quod exercendum missione canonica a competente auctoritate ecclesiastica
clericus deputatur.
§
2. Ad habendum officium ecclesiasticum non est necesse ut muneri ecclesiastico
adnexa sit iurisdictio, nec requiritur, ut munus proprio nomine sit exercendus, vel ut iuris dispostio in perpetuum conferatur.
§
3. Officia, quibus adnexa est plena et perfecta iurisdictio in foro externo,
dicuntur maiora; cetera minora.
§
4. Officia maiora praelaturae quoque seu dignitates vocantur, etsi hoc nomine
vocentur etiam quaedam praeminentiae honoris, sive hae cohaereant cum officio
quodam minori, sive sine illo conferantur.
Can. 2
Nobilissimum
officium est munus Primatis in Ecclesia, quod immediater a Christo Domino
institutum et in omnibus determinatum est".
Can. 5
§
1. Nulli laicae potestati aut personae ulla competit erectio ecclesiastici
officii.
§
2. Fundatoribus tamen dotationem quae ad sustentationem illorum destinantur,
quibus aliquod certum officium ecclesiasticum tribuendum erit, concessum sit in
ipso fundationis limine suae donationi apponere conditiones, quae sint etiam
praeter vel contra ius commune, dummodo officio ipsi aut ecclesiasticae
disciplinae non repugnet vel in iure expresse non fuerint reprobatae.
§ 3. Conditiones a fundatoribus
appositae et ab Ordinario acceptatae sancte et religiose serventur.
Can. 6
§
1. Episcopi officia ecclesiastica
ne erigant nisi propter necessitatem vel utilitatem ecclesiae; curent etiam ut
cuilibet ecclesiastico officio sua respondeat congrua dotatio.
§
2. Officia, quando fieri potest et quum eis non desit dotatio congrua, ab
episcopo in titulum erigantur, ex quo constituantur persona iuridica, quae
proinde dominii in ecclesia sit capax. Ad hoc episcopi sine consensu sui
capituli non procedant.
Doc. 2
(Sub secreto pontificio).
CODEX IURIS CANONICI
------------------
LIBER SECONDUS
DE PERSONIS
PARS I
DE CLERICIS
-------------
SECTIO i
DE CLERICIS IN GENERE
-----------
Titulus IV
DE OFFICIIS ECCLESIASTICIS
VOTUM
R. P. PETRUS VIDAL S.I.
CONSULTOR.
ROMAE
TYPIS VATICANIS
1907.
1. Officia ecclesiastica nonnisi a competente auctoritate
ecclesiastica erigi sive constitui possunt.
[......]
4. Ut officium ecclesiasticum canonice erigatur, requiritur:
1.° Causa iuxta necessitatis vel utilitatis ecclesiae, locus congruus, dos
sufficiens; 2. Ut inquisitio fiat de iustis causis erectionem suadentibus,
audiantur interesse habentes et Superior publico instrumento fundationem
acceptet atque erigat in titulum.
5. Locus congruus pro Ecclesia et Capitulo cathedrali sunt
maiores civitates; pro Ecclesia Collegiata locus dignus ubi clerus populusque
est numerosus; pro parochiis solum est attendenda necessitas vel utilitas
fidelium.
6. Dos sufficiens ea est, quae ad sustentationem beneficiati, ad
fabricae ecclesiae ad cultus divini onera sustinenda suppleat: quod ad haec
fundatio oblata non sufficiat, non est admittenda, nisi sub conditione, quod
eius possessio sit compatibilis cum possessione alterius officii, unde congrua
beneficialis compleatur".
7. Si clericus vel laicus fundationem Ecclesiae offerat, potest
honestas et a iure non reprobatas conditiones praeter vel contra ius commune in
clausulis fundationis apponere; quae per Superiorem ecclesiasticum admissae religiose
sunt servandae, et a solo R. P. possunt immutari aut in eis dispensatio fieri,
nisi aliter in lege fundationis cautum fuerit.
Tavola sinottica
Avvertenza:
La tavola si
propone di mettere in luce le variazioni di ogni schema rispetto a quello
immediatamente precedente.
Sono collocate
tra parentesi le parole che risultano omesse in un contesto rimasto invariato.
Sono scritte in
corsivo le parole che costituiscono innovazione quando sostituiscono altre parole o integrano il testo.
Nella Tavola
sinottica non è contenuto lo Schema III in quanto il testo non risulta
conservato.
Di questo
schema, per quanto qui interessa, sulla base di quanto scritto nel Verbale
della riunione del 5 dicembre 1907 della Consulta "De officiis e de beneficiis"
(v., ASV, CCDC, scat. 58) o da esso desumibile, si può dire che:
-nel can. 1.
§ 1 vi erano le parole "aliquam secumferens participationem ecclesiasticae potestatis in foro
externo";
-nel can.
1 vi fosse un § 2 conforme a quello dello schema precedente;
-nel can. 1 non
vi fossero i §§ 3 e 4 di
cui in precedenza si era chiesta la soppressione;
- vi fosse
un can. 3 avente un testo simile a
quello precedente che "si sopprime perché non esatto";
- non è
da escludere che il can. 4 presentasse un testo simile a quello dello schema
precedente.
Schema I (1907) Can. 1. § 1. Officium ec-clesiasticum
est munus spirituale iure divino sive ecclesiastico cum certis iuribus et
oneribus stabili-ter (?) constitu-tum, ad quod exercendum mis-sione canonica a competenti eccle-siatica auctoritate
clericus deputa-tur. § 2. Ad haben-dum officium
ec-clesiasticum non est necesse
ut muneri spirituali adnexa sit iuris-dictio, vel ut munus proprio nomine sit
exer-cendum aut iuris dispositione in perpetuum (?) sit consitutum. Can. 2. Maiora officia in Ecclesia sunt,
praeter supre-mum pontifica-tum, episcopatus residentialis, Vi-cariatus aposto-licus, Praefectura apostolica,
Mis-sio, Praelatura nullius aut quasi-nullius; cetera sunt minora (?). Can. 3. § 1. Ecclesiasti-ca officia quae adnexum
habent ius obiectivum (?) percipiendi certos redditus, dicuntur benefi-cia
ecclesiastica. § 2. Quae eccle-siasticis
benefi-ciis propria sunt, exponit can.
sequ. Cap. I De officiis eccle-siasticis in
gene-re. Art. I, De provisione of-ficiorum
eccle-siasticorum Can. 4. Nemo, absque a-postolico indulto,
potest sibi valide successorem in officio designare. Schema VIII (1909) Can. 54.§ 1. Officium
ec-clesiasticum lato, sensu (etsi
dici recte possit) est quodcumque mu-nus quod in
spi-ritualem finem ex commissione legitimae aucto-ritatis ecclesia-sticae
exercea-tur; in stricto autem sensu est munus sacrum, ordinatione sive divina sive eccle-siastica stabiliter
constitutum, ad normam sacro-rum canonum conferendum, aliquam saltem secumferens par-ticipationem
ec-clesiasticae pote-statis. sive ordi-nis sive iuri-sdictionis. § 2. IMMUTATUS In iure officium ecclesiasticum sumitur in stricto sensu, nisi aliud ex contextu ser-monis appareat. Can. 55 Maiora officia in Ecclesia sunt quae secumferunt potestatem epi-scopalem vel quasi-episcopa-lem; cetera sunt minora. Cap. I De provisione officiorum
eccle-siaticorum. Can. 56 § 1.
Officium ec-clesiasticum ne-quit
sine provi-sione canonica obtineri. §
2. Nomine canonicae provi-sionis (seu eccle-siasticae
institu-tionis) venit pro-visio seu collatio officii ecclesia-stici a
competenti auctoritate eccle-siastica facta ad normam sacro-rum canonum. |
Schema II (1907) Can. 1. § 1. Officium ec-clesiasticum
est munus spirituale iure divino sive ecclesiastico cum certis iuribus et
oneribus (stabili-ter) constitutum, aliquam
secum-ferens participa-tionem ecclesia-sticae potestatis in foro externo. § 2. Ad haben-dum officium
ec-clesiasticum non est necesse
ut muneri spirituali adnexa sit iuris-dictio, vel ut munus proprio nomine sit
exer-cendum aut iuris dispositione in perpetuum con-feratur. § 3. NOVUS Episcopus, si
id opportunum pro bono dioecesis
iudicaverit, po-test quoque alia officia
iure non praevisa consti-tuere. § 4. NOVUS
Praeter personas morales laicales
in Ecclesia sunt munera quae of-ficiis ecclesiasti-cis accedunt; qui-bus
canones qui infra ponuntur, applicantur, nisi aliud ex contex-tu aut ex rei na-tura appareat. Can. 2. Maiora officia in Ecclesia sunt (praeter supre-mum pontifica-tum,
episcopatus residentialis, Vi-cariatus
aposto-licus, Praefectura apostolica, Mis-sio, Praelatura nullius aut
quasi-nullius; cetera suntminora quae
secumfe-runt iurisdictio-nem saltem
qua-si-episcopalem; cetera
sunt mino-ra. Can. 3. § 1. Ecclesiasti-ca officia quae adnexum
habent ius perpetuum percipiendi
cer-tos redditus, di-cuntur
beneficia ecclesiastica. § 2. IMMUTATUS Cap. I. De (officiis ec-clesiasticis in
ge-nere). provisione officiorum
eccle-siasticorum OMISSUS Can. 4. § 1. NOVUS Officium eccle-siasticum
nonnisi a clericis obtineri potest,
mediante missione canoni-ca, uno excepto supremo pontifi-catu. §2. Nemo, ab-sque apostolico
indulto, potest sibi valide dare in officio succes-sorem. Schema IX Bozze (1912) Can. 51.§ 1. Officium
ec-clesiasticum lato, sensu est quod-libet
munus quod in spiritualem finem ex
com-missione legiti-mae auctoritatis ecclesiasticae
exercetur; (in) stricto
autem sensu est munus sacrum, ordina-tione sive divina sive ecclesiastica stabiliter
consti-tutum, ad
nor-mam sacrorum
canonum confe-rendum, aliquam saltem secumfe-rens participatio-nem
ecclesiasti-cae potestatis. sive
ordinis sive iurisdictionis. §. 2 In
iure officium ecclesiasticum accipitur (in) stricto sensu, nisi aliud ex contex-tu sermonis ap-pareat. Can. 52 IMMUTATUS Cap. I IMMUTATUS Can. 53 § 1. IMMUTATUS §
2. Nomine canonicae
provi-sionis venit col-latio officii ec-clesiastici a
com-petenti auctorita-te ecclesiastica facta ad normam sacrorum cano-num. |
Schema IV (1907) Can. 1. § 1. Officium ec-clesiasticum, etsi dici recte possit quodcumque mu-nus
quod in spi-ritualem finem exerceatur, stricto tamen sensu non est nisi munus
sa-crum, ordinatione sive divina
sive ecclesiastica cum certis iuribus et oneribus stabiliter constitutum, ali-
quam saltem se-cumferens
partici-pationem ecclesia-sticae potestatis (in foro ex-terno). § 2. IMMUTATUS OMISSUS OMISSUS § 3. NOVUS In sequentibus canonibus
offi-cium ecclesiasti-cum sumitur
in stricto sensu, nisi aliud
ex sermo-nis contextu
ap-pareat. Can. 2. IMMUTATUS Can. 3. OMISSUS Cap. I. De provisione of-ficiorum
eccle-siasticorum in genere. . OMISSUS Schema X (1912) Can. 52 IMMUTATUS §. 2. IMMUATUS Can. 53 IMMUTATUS Cap. I IMMUTATUS . Can. 54 § 1 IMMUTATUS §. 2. IMMUTATUS |
Schema
V (1908) Can.
1. § 1. Officium ec-clesiasticum,
etsi dici recte possit quodcumque mu-nus quod in spi-ritualem finem ex
commissione auctoritatis eccle-siasticae exercea-tur, stricto tamen
sensu non est nisi munus sacrum, or-dinatione sive divi-na sive ecclesiasti-ca (cum
certis iuri-bus et oneribus) stabiliter constitu-um, missione cano-nica conferendum, aliquam saltem se-cumferens
partici-pationem ecclesia-sticae potestatis. § 2. Ad (haben-dum) officium
ecclesiasticum non est necesse ut
muneri spiri-tuali adnexa sit iurisdic-tio, vel ut munus proprio nomine sit
exercendum aut iu-ris dispositione in perpetuum confe-ratur § 3. IMMUTATUS Can. 2. IMMUTATUS Cap. I. IMMUTATUS Schema XI (1914) Can. 144 § 1. Officium ec-clesiasticum lato, sensu est quod-libet munus
quod in spiritualem
finem (ex- commissione legitimae auctorita-tis ecclesiasticae) legitime
exercetur; stricto autem sensu est munus sacrum, ordinatione sive divina sive eccle-siastica stabiliter
constitutum, ad normam sacrorum canonum confe-rendum, aliquam saltem secumfe-rens participatio-nem
ecclesiasticae potestatis. sive
or-dinis sive iurisdic-tionis. §. 2. IMMUTATUS Can. 145 IMMUTATUS Can. 146 NOVUS De praebendis be-neficialibus officiis in specie, praeter canones qui se-quuntur, custodian- tur
insuper prae-scripta can. 685 sequ. De rebus. Cap. I IMMUTATUS Can. 147 § 1 IMMUTATUS § 2. Nomine canonicae provi-sionis
venit con- cessio officii ec-clesiastici a
com-petenti auctoritate ecclesiastica facta ad normam sacro-rum canonum. |
Schema VI (1908) Can. 1. § 1. Officium ec-clesiasticum,
etsi dici recte possit quodcumque mu-nus quod in spi-ritualem finem ex commissione auctoritatis ec-clesiasticae exer-ceatur, stricto
ta-men sensu (non) est (nisi) munus sacrum, ordina-tione sive divina sive ecclesiastica stabiliter
consti-tutum, speciali missione
canoni-ca conferendum, aliquam
saltem secumferens par-ticipationem ec-clesiasticae pote-statis. § 2. OMISSUS § 2. IMMUTATUS Can. 2. IMMUTATUS Cap. I IMMUTATUS Schema XII 1916 Can. 144 IMMUTATUS §. 2. IMMUTATUS Can. 145 IMMUTATUS Can. 146 De praebendis
beneficialibus officiis in
specie, praeter canones qui
sequuntur, custodiantur in-super praecripta can. 1409 sequ. Cap. I IMMUTATUS Can. 147 § 1 IMMUTATUS § 2. IMMUTATUS |
Schema VII (1908) Can. 1. §
1. 1IMMUTATUS § 2. In iure
of-ficium ecclesia-sticum sumitur in stricto sensu, nisi aliud ex sermo-nis contextu ap-pareat. Can.
2. IMMUTATUS Cap. I De
provisione officiorum
eccle-siasticorum.(in genere) Can. 3 § 1.
Officium ec-clesiasticum ne-quit
sine institu-tione
canonica obtineri. §
2. Nomine canonicae seu
ecclesiasticae in-stitutionis venit provisio seu col-latio officii
eccle-siastici a compe-tenti auctoritate ecclesiastica facta ad normam sacro-rum
canonum. Codice (1917) Can. 145 § 1. Officium ec-clesiasticum
lato, sensu est quod-libet munus quod in spiritualem finem legitime exercetur; stricto autem sensu
est munus (sacrum), ordinatione
sive divina sive eccle-siastica
stabiliter constitutum, ad normam sacro-rum canonum conferendum, ali-qam saltem se-cumferens par-ticipationem
ec-clesiasticae pote-statis.sive
ordinis sive iurisdictio-nis. §. 2. IMMUTATUS OMISSUS Can. 146 De (praebendis) beneficialibus
of-ficiis in specie, praeter
canones qui sequuntur, custodiantur in-super praecripta can. 1409
seqq. Cap. I IMMUTATUS Can. 147 § 1. IMMUTATUS § 2.
Nomine canonicae
provi-sionis venit con-cessio officii ec-clesiastici a com-petenti
auctoritate ecclesiastica (fa-cta) ad normam sacrorum cano-num facta. |
L’enquête menée sur les documents des
Archives Secrètes du Vatican (animadversiones,
vota et schemata) montre comment la
Commission "de officiis et de beneficiis” est pervenu,
progressivement, à la première définition
législative d'office ecclésiastique etablie dans le Code de droit
canonique de 1917. Definition d'office ecclésiastique de sens objectiv:
notion d'office de sens strict et de sens large. Cette note montre, aussi, l'échange de vues des
consulteurs concernant les éléments fondamentaux de l'office
ecclesiastique.
À partir de 1917 toute l'analyse, sur l'office et
sur le rapport office et benefice et aussi sur la notion de sens large,
s'inscrit dans un cadre radicalment nouveau.
[Per la pubblicazione degli articoli della
sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il
procedimento di peer review. Ogni articolo è stato
valutato positivamente da due referees,
che hanno operato con il sistema del double-blind]
[1] In tal senso v., F.
COCCOPALMERIO, Note sul concetto di
ufficio ecclesiastico, in Sc. catt.,
1988, 64.
[2] V., F. FALCHI, Uffici ecclesiastici (provvisione e perdita),
in Dig. disc. pubbl., Agg., Torino 2000, 589.
[5] V., L. Spinelli, Considerazioni sul potere ecclesiastico di giurisdizione, in Studi
in onore di V. Del Giudice, II, Milano 1953, 362-3. In nota Spinelli richiama
le Decretali di Gregorio IX e precisamente i titoli XXIII-XXXI del Libro I che
trattano delle competenze di singoli uffici ossia de officio: Archidiaconi, primicerii, sacristae, custodis, vicariis,
iudicis delegati, legati, iudicis ordinarii, iudicis (v., ivi, 362, nota. 20). Spinelli ricorda
inoltre che nel Corpus iuris canonici,
specialmente riguardo alla sospensione emerge la distinzione tra officium e beneficium (v., ibidem).
[6] In proposito, v., P.G. Caron, La rinuncia all’ufficio ecclesiastico, Milano 1946, 3 ss.
Sull'uso del termine ufficio nel corso dei secoli e sull'origine dell'ufficio
ecclesiastico, oltre il citato testo di Caron, v., B. BASDEVANT-GAUDEMET, Office ecclésiastique points de
repères pour une histoire d'un concept, in Année can., 39,1997, 7 ss.; ID., Recherches sur l’évolution historique d’une
terminologie: l’office ecclésiastique, ivi, 49, 2007, 11 ss.; A.
Souto, Presupuestos doctrinales de
la definicion de oficio en el codigo de derecho canonico, in Jus Canonicum, IX, 1969, 339, v. pure, Id., La noción canónica de oficio, Pamplona, 1971, 50 ss.
[10] V., tra gli altri, M. De Luca, Praelectiones iuris canonici. Liber De rebus ecclesiasticis, Romae, 1898, 293 e ss; F. Santi, Praelectiones iuris canonici, Liber III, Ratisbonae, 1886, 75; G. Sebastianelli, Praelctiones juris canonici, II, 2a ed., Romae, 1905, 191.
[11] V., L. Ferraris, Prompta bibliotheca canonica juridica moralis theologica, t. I, editio novissima, Romae, 1885, 548.
Infatti nell'Articolo I, riguardo al beneficio, Ferraris scrive:
«Officium vero est administratio rerum ecclesiasticarum sine alia
speciali praecedentia et iurisdictione, ut sunt thesaurarius, custos, sacrista,
et huiusmodi [...] Unde patet quod rigorosae loquendo ista non sunt proprie
beneficia simplicia»(ivi, nn.
28-29).
[12] V., B. Ojetti, Officium, in Synopsis rerum
moralium et iuris pontificii alphabetico ordine digesta et novissimis SS. RR.
Congregationis decreta aucta, Romae
1899. Scrive Oietti: «In capitulis praeter dignitates, personatus et
canonicatus simplices, numerantur etiam officia [...] Officium autem est
titulus beneficialis, annexam habens aliquam administrationem absque
iurisditione et absque praecedentia. Huiusmodi esset oeconomus, sacrista
etc.». Stesso testo in Synopsis,
vol. II, 2a ed., Romae 1905, 263.
[25] Così, essendo
l'ufficio caratterizzato da un complesso oggettivo di funzioni viene posta in
evidenza la situazione soggettiva di chi ne è titolare. In tal senso v.,
Phillips, che prospetta la nozione di beneficio aprendo il discorso con queste
parole: «officium ecclesiasticum ius tribuit clerico, in campo a
magistratu ecclesiastico sibi determinato potestatem ecclesiasticam
exercendi» (G. Phillips, Compendium iuris ecclesiastici, 3a ed.,
Ratisbonae 1875, 135). Di seguito egli ricorda che ad un ufficio di tal genere
«regulariter ius adnexum est, ex certis bonis ecclesiasticis vel -quod
hac in re nullam parit distinctionem- ex aerario publico quosdam reditus annuos
quoad vixerit percipiendi», e conclude così: «significatio
boni ecclesiastici ad hunc finem determinati termino beneficii paullatim etiam
ad officium ipsum translata est» (ibidem).
V., pure, Walter secondo cui «sotto il nome di ufficio ecclesiastico
s'intende il diritto e il dovere di applicare ed esercitare effettivamente il
potere ecclesiastico in certi determinati rapporti, in virtù di una
carica permanentemente conferita a quest'uopo» (F. Walter, Manuale del
diritto ecclesiastico - Di tutte le confessioni cristiane -, trad. dal
tedesco dell'avv. Benelli, Pisa 1848, t. II, 29). Egli sottolinea, poi, che
l'ufficio «ordinariamente si riferisce ad una tra le divisioni
geografiche del territorio ecclesiastico, e designa allora l'esercizio della
potestà ecclesiastica in un certo luogo e sopra certe persone»(ibidem), ed aggiunge che «la somma
delle facoltà inerenti a siffatta carica si chiama potestà
d'uffizio (majoritas), alla quale
corrisponde la obbedienza dei sottoposti» (ibidem).
In
merito a quanto scritto da Walter, v., A. Souto
(Presupuestos doctrinales, cit.,
338-340) che inoltre propone all'attenzione alcuni passi del Compendium Iuris Canonici (4a ed., 1890,
90-91) di S. B. Smith nei quali, relativamente alle funzioni attribuite
«a los oficios», si distingue tra quelli in cui vi è una
partecipazione alla potestà di giurisdizione (Smith cita: el munus episcopale, parochiale, y el munus
audiendi confesiones) e gli altri nei quali non si partecipa alla
potestà di giurisdizione (praedicatio
verbi, celebratio missae, administratio eucharistiae), v., A. Souto, Presupuestos doctrinales, cit., 340-341. Souto aggiunge che
«aun cuando Smith pretende ofrecer una visión del oficio
desvinculada del beneficio, sin embargo, pronto trae a colación este
tema al referirse a los oficios jurisdicionales»(ivi, 341).
Quanto
alla nozione di ufficio prospettata da Rivet – «munus stabile ab
ecclesiastica auctoritate erectum ad exercendam aliquam potestatem Ordinis aut
iurisdictionis ecclesiasticae» (L. RIVET, Insitutiones iuris
ecclesiastici privati, t. I, Romae 1914, 179) - cui Souto riserva particolare apprezzamento come anticipatrice
del Codice (v., A. Souto, La noción, cit., 67-68) -, va tenuto presente che Rivet
scrive nel 1914 e con ogni probabilità era a conoscenza del processo di
codificazione e specificamente della nozione delineata nel can. 1 dello Schema
del 1912 e, forse, anche della stesura del 1914 che qui sono rilevabili in
Tavola sinottica.
[26] In proposito, v., J. A. Souto, Presupuestos doctrinales, cit., 342, e ID., La noción canónica, cit., 64 ss.
[27] F.X. WERNZ, Jus
decretalium, II, Romae 1899, 343; ID, Jus
decretalium, II, 2a ed., Romae 1906, 5. Di
queste due edizioni – che in questo argomento sostanzialmente non differiscono
e quasi sempre coincidono anche nella forma – si citerà, poi, di
preferenza, la seconda.
[30] Dell'ufficio si tratta
nel tomo sulla gerarchia di giurisdizione, v., F.X. Wernz, Jus decretalium,
II, cit., 2 ss.
[32] Ibidem. Lo stesso concetto -"bona ecclesiastica officio
ecclesiastico tanquam personae morali ut subiecto dominii directi sunt
adscripta"- è espresso da Wernz in altra parte, v., F.X. Wernz, Jus decretalium, III, Ius
administrationis Eccles, Catholicae, P. I, 2a ed., Romae 1908, nn. 176 ss.
[33] F.X.
Wernz, Jus
decretalium, II, cit., 5. In proposito v., J. A. Souto, Presupuestos doctrinales, cit., 342.
[42] In
relazione all’attività questa consulta v., F. Falchi, L'ufficio ecclesiastico nel processo di
formazione del codice del 1917: prime note sulla documentazione conservata
presso l'Archivio Segreto Vaticano, in Archivio storico e giuridico
sardo di Sassari [ASGSS], 1998, 26-40, e in Studi in onore di Francesco
Finocchiaro [Studi Finocchiaro], Padova 2000, 842-856. V. pure J. Miñambres, La presentazione canonica: collaborazione
nella provvista degli uffici ecclesiastici, Milano 2000, 50-70. Per quanto
attiene al beneficio ecclesiastico,
v., F. Falchi, Benefici ecclesiastici e beni temporali della
Chiesa nel processo di formazione del Codice del 1917. Brevi considerazioni sui
materiali conservati nell’Archivio Segreto Vaticano, in Archivio Storico e giuridico sardo di [ASGSS],
Nuova serie, n. 7, 2000, 38-39 e 42-43. (in veste on-line (http://www.archiviogiuridico.it/Archivio_7/Francesco%20Falchi.pdf ), 29
e ss.
[44] Codice 1917, can.
1409: «Beneficium ecclesiasticum est ens iuridicum a competente
ecclesiastica auctoritate in perpetuum constitutum seu erectum, constans
officio sacro et iure percipiendi reditus ex dote officio adnexos»
[45] In ordine a questi
documenti, conservati presso l'Archivio Segreto Vaticano [ASV], Fondo Commissione Cod. Diritto Canonico,
Indice 1164 [CCDC], v., F. Falchi,
L'ufficio ecclesiastico, cit.,
[ASGSS], 17 ss., e in Studi Finocchiaro, cit., 833 ss. Va messo in
evidenza che in relazione all'ufficio ecclesiastico non si ha copia di uno degli
schemi discussi (v., infra, nota 65) e neppure dei resoconti delle riunioni
della Commissione parziale dei cardinali
che ha esaminato la redazione definitiva della Consulta "De officiis e de beneficiis".
[46] V., F. Falchi, L'ufficio ecclesiastico, cit., [ASGSS], 17 ss., e in Studi
Finocchiaro , cit., 833 ss.
[47] V. (Con Segreto Pontificio) Commissione
pontificia per la Codificazione del diritto canonico, Divisione delle materie
nel futuro lavoro di codificazione, s. d.. Si tratta di un complesso di 38
fogli a stampa, non rilegati. Nella prima pagina, in alto, vi è
l’indicazione “IIa” scritta a mano (v., ASV, Commissione cod. Diritto Canonico,
scat. 1, b. VI, n. 62b). Questo documento è consultabile anche in J. Llobell, E. De Leon, J. Navarrete, Il
libro "de processibus" nella codificazione del 1917. Studi e
documenti, I, Milano 1999, [J.
Llobell, Il libro "de
processibus"], 297 ss.
[49] Consulta parziale, Verbale del 15 maggio 1904, in ASV,
CCDC, scat. 2, e in J. Llobell, Il
libro "de processibus",
cit., 321. E' da tenere presente che Wernz usa l'espressione “corpus
iuris canonici” perché, a suo parere, questa deve essere la
denominazione da dare alla nuova raccolta legislativa. In proposito, v., C. Fantappiè, Chiesa romana e modernità giuridica,
II, Milano, 2008, 859 ss.
[50] V., Verbale del 15
maggio 1904, in ASV, CCDC, scat. 2, e in J.
Llobell, Il libro "de
processibus", cit., 321.
[51] V.,
Verbale del 15 maggio 1904, in ASV, CCDC, scat. 2, e in J. Llobell, Il libro
"de processibus", cit., 342. In base a questa nota i consultori
potranno anche «singulis materiis proprium locum assignare» ed inoltre «videbunt num
magis expediat materiam nunnullorum capitum huius tituli separatim, prout in
hoc schemate indicatur, exponere, an potius pluracapita simul unire».
[52]
Ciò si realizzata con la nota 21, v., in ASV, CCDC, scat. 2, e in J. Llobell, Il libro "de processibus", cit., 346.
[53] Ojetti, in
realtà, ha redatto due vota che
investono la materia "de officiis". Nel primo “De
clericis", nei cap. IX-XI del titolo IV relativo agli uffici, si tratta
rispettivamente "De officio Ordinarii", “De officio
delegati" e "de maioritate et obedientia", v., (Sub secreto pontificio) Codex iuris canonici. Liber
secundus, De personis, Pars I, De clericis, Sectio I, De clericis in genere,
Tit. I-III, Tit. IV, De officiis ecclesisticis. Votum Rmi. P. Benedicti Ojetti, Romae, Typis Vaticanis, 1906 [B. Ojetti, Votum,
1906], in ASV, CCDC, scat. 7 e scat. 58. Nel secondo, che non segue l'articolazione
dell'Index materiarum e non presenta
una formale suddivisione del testo, sono contenuti 20 canoni in tema di
costituzione, di conferimento e di perdita dell'ufficio, v., (Sub secreto pontificio) Codex iuris canonici. Liber secundus, De
personis, Pars I, De clericis; Sectio I, De clericis in genere, Titulus IV, De
officiis ecclesisticis, votum R. P. Benedicti Ojetti, Romae, Typis
Vaticanis, 1907 [B. Ojetti, Votum, 1907], in ASV, CCDC, scat. 7 e
scat. 15. Riguardo alla struttura ed al contenuto di questi due vota, v., F. Falchi, L'ufficio ecclesiastico, cit., in ASGSS, 29-31 ed in Studi
Finocchiaro, cit., 845-846. Per il testo dei cann. 1, 2, 5 e 6 del votum
del 1907, v. Appendice, doc . 1.
[54] V. (Sub secreto pontificio) Codex iuris canonici. Liber secundus, De
personis, Pars I, De clericis; Sectio I, De clericis in genere, Titulus IV, De
officiis ecclesisticis, votum R. P. Petrus Vidal S. I, Romae, Typis
Vaticanis, 1907 [P. Vidal, Votum -1907], in ASV, CCDC, scat. 7 e
scat. 58. Le 158 norme proposte, distinte da numeri, sono accorpate in
capitoli. Riguardo alla struttura ed al contenuto di questo votum, v., F. Falchi, L'ufficio ecclesiastico, cit., in ASGSS, 31-32 e in Studi
Finocchiaro, cit., 846-848. Per il testo delle norme 1, 4, 6 e 7, v., Appendice,
doc. 2.
[55] V., Indice delle materie col nome dei consultori
ed il termine per la consegna del lavoro, in ASV, CCDC, scat. 1.
[56] (Sub secreto
pontificio) Codex Iuris Canonici, Liber Tertius De Rebus, Pars V De beneficiis
ecclesiasticis, tit. XXIX-XXXVI. Votum R.
P. Guilelmi Sebastianelli consultoris, Romae, Typis Vaticanis, 1907 [G. Sebastianelli, Votum], in ASV, CCDC, scat. 58, n. 75. Si tratta di un fascicolo a
stampa di 26 pagine. Il votum riguarda la materia benificiale e si
articola in otto titoli numerati secondo l'ordine sistematico prestabilito
all'inizio dei lavori per la codificazione. A sua volta ciascun titolo contiene
la proposta di testi normativi distinti in numeri. Il tit.XXIX "De
beneficiis in genere" (nn. 1-7); il tit. XXX "De beneficiorum
erectione" (nn. 8-12); il tit. XXXI "De beneficiorum
collatione", dopo il n. 13 presenta il cap. I "De libera
collatione" (nn. 14-33) e il cap. II "De necessaria beneficiorum
collatione" (nn. 34-75); il tit. XXXII
"De reservationibus pontificiis" (nn. 76-79); il tit. XXXIII "De
iuribus et officiis beneficiatorum" (nn. 80-91); il tit. XXXIV
"De renunciatione, permutatione ac translatione beneficiorum" (nn.
92-110); il tit. XXXV "De unione, divisione, dismembratione et
suppressione beneficiorum" (nn. 111-124) e il tit. XXXVI "De
amissione beneficiorum" n. 125 e n. 129. Per qualche nota su questo
schema, v., F. Falchi, Benefici ecclesiastici, cit., 38 e ss.
[58] V. Codex Iuris Canonici, Postulata Episcoporum
in ordinem digesta a R.mo P. Bernardino Klumper O.P.M., consultore, Romae,
Typis Vaticanis, 1905, [B. KLUMPER, Postulata]
36 e ss, in ASV, CCDC, scat. 4, e Codex
Iuris Canonici, Appendix ad Postulata Episcoporum, votum a R.mo P. Bernardino
Klumper O.P.M., consultore, Romae, Typis Vaticanis, 1908, [B. KLUMPER, Postulata, Appendice] ivi, scat. 6 .
[59] Ad esempio riguardo
alla cause di divisione delle parrocchie si fa riferimento in tema di ufficio
(v., B. KLUMPER, Postulata, cit,, 36)
e di beneficio (ivi, 228).
[62] V., B. Ojetti, Votum, 1907, can. 1, § 1. Il testo di questo canone è riportato
integralmente in Appendice, doc. 1.
[63] In relazione a questa
Commissione, v., F. Falchi, L'ufficio
ecclesiastico, cit., in ASGSS, 17 ss., e in Studi Finocchiaro, 833
ss.
[65] Quanto a queste ci si
riferisce ai seguenti documenti (schemi) - di cui nella Tavola sinottica. sono
riportati alcuni canoni iniziali oggetto qui di attenzione o riferimento: il
primo -(Sub secreto pontificio) Codex iuris canonici. Liber secundus. Pars I.
De clericis. Titulus V. De officiis ecclesiasticis [Schema I, De officiis], in ASV, CCDC, scat.58-
è preso in considerazione il 31 ottobre; il secondo, (Sub secreto pontificio) Codex iuris
canonici. Liber secundus. Pars I. De clericis. Titulus V. De officiis
ecclesiasticis [Schema II, De
officiis], ivi, esaminato nelle
riunioni del 7 e del 14 novembre Della terza redazione [Schema III, De officiis], oggetto di attenzione il 5
dicembre 1907 non risulta conservato nell'ASV. Qualcosa del suo contenuto
può desumersi dagli interventi dei consultori in cui si suggeriscono
modifiche al testo di cui si riporta qualche parte, v., Avvertenza, in Tavola
sinottica. Il quarto documento -(Sub
secreto pontificio) Codex iuris canonici. Liber secundus. Pars I. De clericis.
Titulus V. De officiis ecclesiasticis [Schema IV, De officiis], in ASV, CCDC, scat.58 - è analizzato nelle
riunioni del 26 dicembre 1907 e del 2 gennaio 1908. Sulla quinta stesura - (Sub secreto pontificio) Codex iuris
canonici. Liber secundus. Pars I. De clericis. Titulus V. De officiis
ecclesiasticis [Schema V, De officiis],
ivi- i consultori si sono soffernati nelle riunioni del 9 e 16 gennaio
1908. La sesta redazione - (Sub secreto
pontificio) Codex iuris canonici. Liber secundus. Pars I. De clericis. Titulus
V. De officiis ecclesiasticis [Schema VI, De officiis], ivi,
è esaminata il 23 gennaio 1908. In merito a tutti questi schemi, v., F. Falchi, L'ufficio ecclesiastico, cit., in ASGSS, .35-38, e in Studi
Finocchiaro, cit., 850-855.
[66] Così indicata
da Gasparri (v., P. GASPARRI, Storia
della codificazione del diritto canonico per la Chiesa latina, in Acta Congressus iuridici internationalis VII
saeculo a Decretalibus Gregorii IX et XIV a Codice Iustiniano promulgatis,
Romae 12-17 novembris 1934, IV, Romae 1937, 7.
[67] V., (Sub secreto pontificio) Codex iuris
canonici. Liber secundus. Pars I. De clericis. Titulus V. De
officiis ecclesiasticis [Schema
VII, De officiis], in ASV, CCDC,
scat. 58. Questo documento reca scritto a mano l'invito a far
pervenire le osservazioni non oltre il 31 maggio. In proposito, v., F.
Falchi, L'ufficio ecclesiastico, cit., in ASGSS, 39, e in Studi
Finocchiaro, 855.
[68] Per queste modifiche,
la cui origine non è distintamente individuabile per l'assenza di
documentazione archivistica, V. (Sub
secreto pontificio), Codex Iuris
Canonici, Pars specialis, L. I, De personis, Romae, Typis Polyglottis
Vaticanis, [Schema VIII, De personis,
1909], can. 55, in Tavola sinottica.
[71] In realtà prima
riunione ufficiale deve considerarsi quella del 31 ottobre. Infatti in una
minuta manoscritta datata 29 ottobre 1907, non firmata ma riconducibile per grafia
a Pacelli, sono indicati i componenti della Consulta cioè i monsignori
Sebastianelli, Scapinelli, Pompili, Melata, Giorgi e i padri Bastien, Vidal,
Ojetti, Many e Klumper. Accanto all'elenco è scritto: «Mi pregio
significare alla S. V. Ill.ma e Pr.ma che il S. Padre si è degnato di
chiamarLa a far parte della speciale Commissione di Consultori, incaricata di
studiare la parte riguardante gli offici e i benefici ecclesiastici. La
suddetta Commissione si riunirà tutti i Giovedì alle ore 9 antim.
nella sala della Segreteria degli AA. EE.SS.. La prima seduta avrà luogo
Giovedì 31 corr.. Le accludo i relativi Voti, profitto ecc.» (in
ASV, CCDC, scat. 59).
[72] V., Verbale 24 ottobre
1907, in ASV, CCDC, scat. 58. Prendono parte a questa riunione il presidente
Gasparri e i consultori Sebastianelli, Pompili, Bastien, Vidal, Many e Giorgi,
e l'assistente Marmaggi.
[73] V., G. Sebastianelli, Votum, n. 1. «Beneficia ecclesiastica, legitima interveniente
auctoritate, “pia fidelium devotione constituta fuerunt, certis
assignanda personis, ut per ipsas personas in Ecclesiis devotum servitium
iugiter impendatur”». 2. «Vera ac propria beneficia
secumferunt in Ecclesia aliquod potestatis ordinis aut iurisdictionis,
exercitium; ad minus adenexam habere debent missae celebrationem, aut horarum
canonicarum recitationem» (in ASV, CCDC, scat. 58).
[78] V., ibidem. Va
ricordato che un votum dell'Ojetti avente ad oggetto il tit. IV (cap.
IX-XI) sull'ufficio ecclesiastico è stato stampato nel 1906 insieme ad
un votum "De clericis in genere". La parte "De officio
Ordinarii" e "De officio delegati" viene discussa nella consulta
parziale del 21 novembre 1907, cui partecipano il presidente Gasparri e i consultori Sebastianelli,
Scapinelli, Melata, Pompili, Giorgi, Bastien, Ojetti, Vidal, Many e
l'assistente Pacelli.
Nella consulta parziale del 28 novembre 1907, sempre in
relazione a questo votum dell'Ojetti, si discute ancora la parte
"De officio delegati" e si affronta quella "De maioritate et
obedientia". Sono presenti in tale occasione il presidente Gasparri e i
consultori Sebastianelli, Scapinelli, Melata, Pompili, Giorgi, Klumper, Ojetti,
Vidal, Many e l'assistente Pacelli.
[83] A questa riunione
partecipano il presidente Gasparri e i consultori Melata, Giorgi, Bastien,
Ojetti, Vidal, Many e Giorgi, e l'assistente Pacelli (v., Verbale 31 ottobre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58).
[85] V., Verbale 31 ottobre
1907, in ASV, CCDC, scat. 58. In proposito v., F. Falchi, L'ufficio ecclesiastico, cit., in ASGSS, 35, e in Studi
Finocchiaro, cit., 850-851.
[93] Sono le parole
"clericus deputatur", contenute nel testo a suscitare
perplessità in Gasparri (v., Verbale 31 ottobre 1907, in ASV, CCDC,
scat. 58).
[103] V.,
Verbale 5 dicembre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58. A questa riunione partecipano
il presidente Gasparri e i consultori Melata, Pompili, Bastien, Klumper,
Ojetti, Vidal e Many, e l'assistente Pacelli. Melata, precisamente, dal testo
sopprimerebbe le ultime parole «aliquam secumferens ...».
[109] V.,
Verbale 26 dicembre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58. A questa riunione
partercipano il presidente Gasparri, e i consultori Sebastianelli, Scapinelli,
Pompili, Melata, Giorgi, Bastien, Ojetti, Vidal, Klumper e Many, e l'assistente
Pacelli.
[110] V.,
Verbale 26 dicembre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58. Precisamente Scapinelli
introdurrebbe il canone con queste parole: «Officium ecclesiasticum
stricto sensu est munus sacrum».
[114] V., ivi. In modo specifico Vidal, vorrebbe
che nel testo comparissero le parole «quod in spiritualem Ecclesiae finem
ex commissione ecclesiasticae auctoritatis exercetur». Questa opinione
è condivisa da Klumper (v., ibidem).
[116] V.,
Verbale 9 gennaio 1908, ASV, CCDC, scat. 58. Partecipano alla riunione il
presidente Gasparri e i consultori Sebastianelli, Giorgi, Bastien, Klumper,
Oietti, Vidal e Many, assistente Pacelli.
[120]
Parole che figurano anche nel testo promulgato, v., Codice 1917, can.
145,§ 2, in Tavola sinottica.
[124] Per
cenno sintetico, v. supra, par. 1,
Bisogna, comunque, tenere conto che i canonisti mirano ad individuare l'ufficio
che può giustificare il diritto a percepire i frutti dei beni annessi
all'ufficio stesso.
[128] V., Verbale
31 ottobre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58, in cui Giorgi fa un richiamo specifico
all'ufficio di Arcidiacono.
[133]
Giorgi, infatti, propone una diversa stesura in cui non è il munus ad essere definito sacro ma sacra
la potestà ad esso collegata. Egli esattamente direbbe:«... est
munus, sacram potestatem secumferens, ordinatione sive divina sive
ecclesiastica stabiliter constitutum et missione canonica conferendum»
(Verbale 9 gennaio 1908, in ASV. CCDC, scat. 58).
[134] Vi
è da notare, tuttavia, che Bucceroni, su una copia dello Schema VII,
inviato per la consultazione generale, annota: «Verumne est quod omne officium ecclesiasticum sit in
spiritualem finem» (n. 39, copia Schema VII, De officiis, in ASV, CCDC, scat. 58). In un momento successivo, in
un'animadversio non sottoscritta ma
riconducibile, sulla base della grafia al revisore Geremia Rossi, si fa qualche
osservazione sul munus sacrum, v.,
Lib. II. Pars I De Clericis. Tit. V. De
Oficiis ecclesiasticis in genere, in ASV, CCDC, scat. 58, Cartella
"Osservazioni sul titolo «De officiis ecclesiasticis»"[G.
ROSSI, Lib. II, De officiis
ecclesiasticis].
[136] V., Schema
Codicis Iuris Canonici) (Sub secreto pontificio), Codex iuris canonici, cum
notis Petri card. Gasparri, Romae, Typis Vaticanis 1916 [Schema XII, 1916], can.
144, § 1, in ASV, CCDC, scat. 88.
[139]
Schema I, De officiis, can. 1, in Tavola
sinottica. Testo che in ampia parte corrisponde al can. 1, § 2, del votum Ojetti, v., Appendice, doc. 1.,
[140]
Verbale 31 ottobre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58. Giorgi, infatti, pensa che
può essere soppresso il § 2, sottolineato che il suo contenuto non
è parte della definizione e ciò «è segno che non
sono essenziali».
[142] Che
ritiene comunque «che per avere un vero ufficio ecclesiastico si richiede
una partecipazione della potestà di giurisdizione o di ordine» (ibidem).
[143] Che
considera il testo non essenziale ma utile (v. ibidem). Non è da dimenticare che egli stesso, nel votum, can. 1, § 2, propone un
testo analogo, v., Appendice, doc. 1.
[146] V.,
Verbale 5 dicembre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58, da cui risulta che Melata,
Pompili e Klumper chiedono la soppressione e che di parere opposto sono
Bastien, Ojetti, Vidal e Many.
[149] V.,
Verbale 7 novembre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58. Sono presenti alla riunione il
presidente Gasparri, e i consultori Sebastianelli, Scapinelli Melata, Pompili,
Giorgi, Bastien, Oietti, Vidal e Many, e l'assistente Pacelli.
[150] Si
esprimono favorevolmente Bastien, Giorgi, Melata e Pompili (v., Verbale 5
dicembre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58).
[151] In
tal senso interviene Sebastianelli (v., Verbale 5 dicembre 1907, in ASV,
CCDC,scat. 58) e specialmente Vidal adducendo come esempio che
«nell'ufficio di canonico Penitenziere non si ha giurisdizione in foro
esterno» (v., ibidem).
A sua volta Many «trova giusta questa difficoltà
del P. Vidal contro le parole in foro
externo», e così pure Ojetti che «riconosce anch'egli
che il Penitenziere non partecipa in niun modo della potestà
ecclesiastica in foro externo»
(v., ibidem).
[153] V.,
Schema IV, De officiis,can. 1, in
Tavola sinottica. Su tale elemento dell'ufficio Bucceroni, con un'annotazione
manoscritta a margine del can. 1, pone la questione se «omne officium
ecclesiasticum contineat aliquam ecclesiasticam potestatem» e
richiama specialmente l'attenzione «de magisterio in seminario clericorum
e. g. sacrae theologiae, sacrorum canonm, quod est ut in proprium finem
instructionem mentis in sacra theologia, in sacris canonibus, quae instructio
quid spirituale non est, sed temporale»(Copia, n. 39, Schema VII, De officiis, in ASV, CCDC, scat. 58).
[155] F. X.
WERNZ, Animadversiones. De clericis. Tit.
V, in ASV, CCDC, scat. 58, Cartella "Osservazioni sul titolo De officiis ecclesiasticis".
[165]
Così Scapinelli e nello stesso senso Sebastianelli e Vidal, mentre
Melata, Pompili, Giorgi e Bastien approvano il testo "uti iacet"
(Verbale 7 novembre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58).
[170] V.,
Codice 1983, can. 145 § 1: «Officium ecclesiasticum est quodlibet
munus ordinatione sive divina sive ecclesiastica stabiliter constitutum in
finem spiritualem exercendum».
[173]
Verbale 7 novembre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58. Su tale questione Ojetti
ritorna in altra circostanza ribadendo «l'idea della missione canonica,
che entra, a suo parere, come elemento essenziale nell'officio
ecclesiastico» (Verbale 5 dicembre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58).
[174] V.,
Verbale 7 novembre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58, in cui si legge: «i
consultori convengono di porre: ... ecclesiasticae
potestatis per missionem canonicam conferendae».
[175] V.,
Verbale 5 dicembre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58. Vidal porrebbe nel testo le
parole «speciali missione canonica conferendum».
[176] V.,
Schema VII, De officiis, can. 3, in
Tavola sinottica. La riflessione su questo argomento, che non investe
direttamente la nozione di ufficio, trae origine dalla discussione all'interno
della Commissione cardinalizia della quale si ha conoscenza da una minuta,
scritta da Gasparri, contenente la sintesi delle opinioni espresse (v., in ASV,
CCDC, scat. 58, cartella "Osservazioni sul titolo De officiis"). In proposito lo stesso Gasparri ritiene
opportuno rivolgersi, per un parere, al consultore Vidal che propone di fare
riferimento alla provisio canonica,
v., P. VIDAL, Nota, ivi. In merito a tale questione e
specificamente sul can. 3, § 2, dello Schema VII, De officiis, v., Ioac. a S. Simone Stock, Animadversiones
in schema canonum De officiis ecclesiasticiis, ivi; F. X. WERNZ, Animadversiones
in can. 3 et 4 de officiis ecclesiasticiis, ivi
[177] V., Schema XI, 1914, can. 147, in Tavola sinottica. E’ da
notare che Wernz nelle osservazioni sullo Schema del 1912 aveva suggerito di
utilizzare il termine concessio piuttosto che collatio. A suo
parere “nam verbum collatio denotat nunc speciem, sed verbum concessio
jam ex antiquo iure Decretalium (De concessione praebendae) denotat genus”
(Animadversiones F. X. Wernz in primam
partem transmissam novi Codicis juris canonici, in Archivio Pontificia
Università Gregoriana [APUG], Fondo B. Ojetti [FO], scat. 2034, II, 1).
[179]
Verbale 7 novembre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58. Va notato che Ojetti, nel can.
1 del suo votum, non fa cenno
all'ufficio di pontefice e che nel can. 2 vi fa riferimento sotto un profilo
diverso, cioè delineandone il fondamento, v., Appendice. doc. 1.
[182] V.,
Schema II, De officiis, can. 4, in Tavola
sinottica. La discussione che si apre su questa norma vede Giorgi proporre una
stesura alternativa - «Provisio cuiuslibet officii ecclesiastici [Romano
Pontifice inferioris] nonnisi per missionem canonicam perficitur» -
precisando che essa è in armonia col primo canone dello schema, ma dal
resoconto non emerge la dimostrazione che egli ne ha dato (v., Verbale 7
novembre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58). A sua volta Ojetti «Ojetti
accetta questa redazione, e osserva che al can. 1 non è compreso il
Romano Pontificato, perché vi si parla di missione canonica e di
partecipazione di potestà ecclesiastica. Ma non ha difficoltà che
il Romano Pontificato non sia compreso come un officio»(ibidem).
[188] V.,
Schema V, De officiis, can. 1, §
1, nota 1, come pure la stesura successiva e quella conclusiva, in ASV, CCDC, scat.
58. In essa Gasparri fa rilevare che alcuni consultori «sopprimerebbero
il saltem il quale è posto per
comprendere, indirettamente, anche il Papa». Al contenuto di questa nota
si richiama il revisore Rossi auspicando l'omissione dell'avverbio saltem da lui considerato non necessario
«per comprendere anche il Papa» ed inoltre perché lo stesso
termine «rende non perfetta l'espressione munus sacrum ... » (G.
ROSSI, Lib. II, De officiis
ecclesiasticis, cf. nota 134). Saltem
appare superfluo «ideoque tollendum» anche a A. Valenzuela, Animadersiones super Codice iuris Canonici. Liber II
de Personis. Pars I de clericis - Tit. V De officiis, in ASV, CCDC, scat. 58, Cartella
"Osservazioni sul titolo «De officiis ecclesiasticis»".
[189] Egli,
infatti, relativamente all'espressione «aliquam saltem secumferens participationem ecclesiasticae potestatis»
su una copia dello schema del 1912 cancella "saltem"
"participationem" (Schema 1912, can. 52, in ASV, CCDC, scat. 86).
[191] S.
AICHNER, Compemdium, cit., 266. V., pure, F. X. Wernz, Jus
decretalium, II, (1906), cit., 7.
[192] V.,
S. AICHNER, Compemdium, cit., 266, in
cui si precisa che sono maggiori quelli di cui sono titolari «patriarchae, metropolitae,
episcopi et praelati seu abbates cum jurisdictione quasi episcopali».
[194] V.,
G. SEBASTIANELLI, Votum, n. 5:
«Post pontificatum maximum, primum locum obtinent beneficia maiora, quae
ordini coharent episcopali, vel adnexam habent iurisdictionem quasi
-episcopalem. His subiciuntur beneficia minora, seu dignitates cum
praeeminentia, officia cum administratione aut deputatione, canonicatus,
parochiae ac beneficia simplicia».
[196]
Sebastianelli fa notare, infatti, che fra gli uffici maggiori si deve
aggiungere il Cardinalato, il Vicario generale, il Vicario Capitolare, ecc.(v.,
Verbale 31 ottobre 1907, in ASV, CCDC, scat. 58).
[203] Nella
cartella "Animadversiones in lib. II
Codicis. De Personis" (in ASV, CCDC, scat. 27) vi è un
documento in cui si prospetta una stesura dei canoni in materia beneficiale con
una parte riguardante gli uffici. Questo testo non è sottoscritto, ma
dalla grafia è da attribuire ad Hollweck. Esso è conservato (in
ASV, CCDC, scat. 27) separatamente dalla lettera che lo accompagnava (v., ivi, scat. 74) nella quale il canonista
scrive a Gasparri: « ... oso mandare gli ultimi canoni sulli benefici.
Forse possono piacere a Vostra Eminenza. Credo chi i Vescovi sarebbero grati
per questi completamenti. Avrei anche per la parte dei beni ecclesiastichi
alcuni completamenti, ma non oso sempre incommodare Vostra Eminenza a fare
tanti lavori». Hollweck, che quasi sicuramente ha dinanzi lo Schema del
1912, presenta la distinzione tra uffici maggiori e minori così: «Can.
54, § 1 Officia majora pro meris officiis habentur etsi interdum conjuncta
fuerint cum beneficio i. e. cum jure perpetuo percipiendi reditus officio
adnexos. § 2. Officia minora sunt aut beneficialia
seu conjuncta cum beneficio, aut simpliciora,
quae salaria quidem habere possunt at non conferuntur cum jure perpetuo
percipiendi fructus et reditus officio annexos».
[205] V., Codex Iuris Canonici. Pii X Pontifici maximi
iussu digestus Benedicti Papae XV auctoritate promulgatus, Romae, Typis
Polyglottis Vaticanis, 1917, can. 145. In questa bozza il can. 145 viene
cancellato con un tratto di penna.
[209] In
tale circostanza Gasparri, infatti, aveva dichiarato che i benefici «sono
anche uffici» (Verbale 31 ottobre.1907, in ASV, CCDC, scat. 58).
[224] Nella
“Redazione definitiva” dello schema inviato alla Grande Commissione
ed anche alla Commissione Cardinalizia, al titolo “De officiis
ecclesiasticis in genere”, è apposta la seguente nota:
«Sotto questo titolo è esposto tutto ciò che si riferisce
agli uffici ecclesiastici in genere; tutto ciò che si riferisce o alla
prebenda o agli officii beneficiali in specie sarà esposto nella parte De beneficiis ecclesiasticis»
(Schema VII, 1907, cf. nota 67).
[226] V., (Schema Codicis Iuris Canonici) (Sub secreto
pontificio) Sanctissimi Domini nostri. Pii PP X. COdex Iuris canonici. Cum
notis Petri Card. Gasparri, Romae, Typis Polyglottis Vaticanis, 1913, can.
685.
[231] V.
quelle redatte da Bucceroni, Eschbach, Lepicier, Rossi, Stock e Wernz., in ASV,
CCDC, scat. 58, Cartella "Osservazioni sul titolo De officiis".
[233] Si
tratta di un documento senza frontespizio e non datato, contenente il Libro II
del Codice (cann. 1-553, cui segue un'Appendice comprendente i cann. 554-564).
Nella prima pagina è scritto a mano, tra parentesi, prime bozze 1912
[Schema IX, Bozza 1912], in APUG, FO, scat. 1964.
[234]
E’ da notare che i vescovi come nella prima consultazione (v., B.
KLUMPER, Postulata, cit., e ID., Postulata, Appendice, cit.) anche in
questa circostanza non hanno inviato suggerimenti in merito alla definizione di
ufficio (v., Riassunto delle osservazioni
dei vescovi e dei superiori regolari al lib. I e II del Codice, s. d., in
APUG, FO, scat. 2033, II).
[236] Per
un cenno, v., supra, par. 1.
[237]
Infatti dopo ogni riunione Gasparri, a modo suo, procedeva ad una nuova
redazione tenendo con conto della discussione (v., P. GASPARRI, Storia della codificazione, cit., 7). Su
questa eminente figura, v. G. FELICIANI, Gasparri
et le droit de la codification, in Annèe
can., 38, 1996, 25 ss.
[239] V., supra, par. 5. Va notato che
inizialmente Gasparri ha valutato l'opportunità di introdurre questa
norma facendola precedere da un disposizione concernente il pontificato. Il canone
manoscritto, su una copia dello Schema del 1912, era così formulato:
«Can. 146, § 1 De supremo pontificatu serventur
praescripta can. 211 sequ. .§ 2. De praebendis beneficialibus
officiis in specie, custodiantur praescripta can. 685 sequ. De rebus.»
(v., Schema 1912, in ASV, CCDC, scat. 86).
[241] Ad
esempio i vescovi della provincia di Utrecht, riferendosi al beneficio,
osservano criticamente che nella nozione non vi è l'espressione
«officium spirituale, sed tantum sacrum i. e. ministerium qualecumque
quod non sit profanum, et aliquo modo in ecclesia vel circa ecclesiam
exereceatur, e .gr. sacristae, campanatoris, aeditui etc. vel passim per laicam
personam adimpleatur, e. gr. cantoris organoardi etc.» (Riassunto delle osservazioni dei vescovi e
dei superiori regolari al libro III del Codice, s. d., in ASV, CCDC,. scat. 60.
[244]
«Officium ecclesiasticum lato sensu acceptum, sed stabiliter collatum, ad
omnes effectus quod attinet officio stricto sensu accepto accensetur, nisi
aliud expresse statuatur» ( v., Schema
de officiis et beneficiis ecclesiasticis deque bonorum ecclesiasticorum
administratione, I, De officiis et
beneficiis ecclesiasticis, proposto dalla Commissione "De disciplina
cleri et populi cristiani”, e discusso dalla Commissione Centrale del
Concilio il 16 novembre 1961, in Acta et
documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando, series II, vol. II,
pars I, 685-689).
[245] Tale
decreto, infatti, definisce l'ufficio «quodlibet munus stabiliter
collatum in finem spiritualem exercendum». Riguardo a questa affermazione
ed ai lavori conciliari, v., O. ROBLEDA, Notio
officii ecclesiastici in Concilio Vaticano II, in Quaestiones disputatae iuridico-caninicae, Romae, 1969, 132 ss.; J.
A. Souto, La noción canónica, cit., 72 ss.
[246] V.,
J. I. ARRIETA, Funzione pubblica e
ufficio ecclesiastico, in Ius Eccl.,
7, 1995, 99 ss.; ID, Oficio
ecclesiástico, in Diccionario
general de derecho canónico, V, Pamplona 2012, 686 e ss.; B.
BASDEVANT-GAUDEMET, Recherches sur
l’évolution, cit., 11 ss.; S. Berlingò, Ufficio
ecclesiastico, in Enc. giur.,
XXXII, Roma 1994, 1 ss.; ID., Funzione
amministrativa ed uffici ecclesiastici, in ID., Nel silenzio del diritto. Risonanze canonistiche, Bologna 2015, 383
ss; G. BRUGNOTTO, L’ufficio
ecclesiastico: nozione, costituzione, ambiti di competenza e soppressione,
in Quad. dir. eccl., XXIV, 2011, 51 ss.; F. COCCOPALMERIO, Note sul concetto, cit., 60 ss.; P. ERDö, Uffici e funzioni pubbliche nella Chiesa, in An. arg. der. can., 3, 1996, 47 ss.; M. MIELE, Dal vecchio al nuovo canone 145, in AA.VV., Studi sul primo libro del Codex Iuris Canonici, a cura di S.
Gherro, Padova 1993, 186 ss; P. VALDRINI, Note
sur la notion d’office ecclésiastique dans le code de droit
canonique, in Année can., 49, 2007, 47 ss.