Università di Sassari
Qualificazione/riqualificazione religiosa
del tempo nei documenti dei sacerdoti in Roma repubblicana
SOMMARIO: 1. Premessa («Idem nefastos dies fastosque fecit»: tempo e regalità). – 2. Emersione della struttura del sacerdozio pontificale e
della sua tradizione documentaria. – 3. Pontefici
e qualificazione/riqualificazione religiosa del tempo in età repubblicana.
– 4. Determinazione del “tempo degli dèi” nell’interpretatio dei sacerdoti romani. – 5. Evidenze
testuali dai documenti sacerdotali: decreta
pontificum (alcuni esempi). – 6 Continuità della tradizione documentaria sacerdotale: da libri e commentarii arcaici agli archivi tardo-repubblicani. – 7. Considerazioni conclusive. – Abstract.
Nella tradizione documentaria
sacerdotale la misurazione del tempo, o per meglio dire – parafrasando il
sottotitolo («Die Geschichte der Repräsentation und religiösen Qualifikation
von Zeit in Rom») del volume che Jörg Rüpke, quasi vent’anni orsono, ha
dedicato al calendario romano[1] – la qualificazione del
tempo dal punto di vista religioso, si presenta sempre come tipica prerogativa
dei sacerdotes; quindi anzitutto dei reges, a cominciare dallo stesso
fondatore della Urbs Roma, il re Romolo[2]:
Macrobius
Sat. 1.12.3: Non igitur mirum in hac
varietate Romanos quoque olim auctore Romulo annum suum decem habuisse mensibus
ordinatum: qui annus incipiebat a Martio et conficiebatur diebus trecentis
quattuor, ut sex quidem menses, id est Aprilis Iunius Sextilis September
November December, tricenum essent dierum, quattuor vero, Martius Maius Quintilis
October, tricenis et singulis expedirentur, qui hodieque septimanas habent
nonas, ceteri quintanas[3].
Nella narrazione liviana degli
initia urbis[4],
il secondo re di Roma, il sabino Numa Pompilio[5], è rappresentato come colui
che, dopo aver ristrutturato il calendario annuale, per primo diede forma alla
qualificazione dei giorni del mese dal punto di vista religioso (Idem nefastos dies fastosque fecit); la
cui osservanza, obbligatoria da parte dei cittadini romani, ascrisse fra gli “officia” dei sacerdotes pontifices[6].
Livius 1.19.6-7: Atque omnium primum ad cursus lunae in duodecim
menses discribit annum; quem quia tricenos dies singulis mensibus luna non explet,
desuntque *** dies solido anno qui solstitiali circumagitur orbe, intercalariis
mensibus interponendis ita dispensavit, ut vicesimo anno ad metam eandem solis
unde orsi essent, plenis omnium annorum spatiis, dies congruerent. Idem
nefastos dies fastosque fecit, quia aliquando nihil cum populo agi utile
futurum erat[7].
La centralità del tempo (o più
concretamente dei giorni e delle stagioni) nelle pratiche cultuali dell’antica
religione romana[8],
finalizzate sempre alla conservazione della pax
deorum[9], risulta invero assai
evidente da un altro importante testo di Tito Livio, attinente anch’esso alla
riforma religiosa di Numa Pompilio[10]: si tratta del notissimo
capitolo 20 del libro primo, che appare ricalcato, quasi per certo, su un
documento di autentica derivazione sacerdotale, come è stato da altri
autorevolmente dimostrato[11] e come anch’io ho avuto
modo di discutere nel mio libro Documenti
sacerdotali di Roma antica[12].
Livius
1.20.5-7: (Numa) Pontificem deinde Numam Marcium Marci filium ex patribus legit
eique sacra omnia exscripta exsignataque attribuit, quibus hostiis, quibus
diebus, ad quae templa sacra fierent, atque unde in eos sumptus pecunia
erogaretur. Cetera quoque omnia publica privataque sacra pontificis scitis
subiecit, ut esset quo consultum plebes veniret, ne quid divini iuris
neglegendo patrios ritus peregrinosque adsciscendo turbaretur; nec celestes
modo caerimonias, sed iusta quoque funebria placandosque manes ut idem pontifex
edoceret, quaeque prodigia fulminibus aliove, quo visu missa susciperentur
atque curarentur[13].
Tito Livio trascrive, dunque,
l’elenco delle materie di competenza dei pontefici, quale risultava dagli
antichissimi sacra omnia exscripta
exsignataque di Numa Pompilio, istitutivi del sacerdozio pontificale. Dalla
lettura del passo si ricava quest’ordine di materie: hostiae, dies, templa, pecunia, cetera sacra, funebria, prodigia. Quanto al rapporto tra i sacra omnia exscripta
exsignataque di Numa Pompilio e i più antichi libri dei pontefici, non posso che riassumere il convincimento
maturato in un precedente lavoro[14]: nelle fonti antiche la
compilazione dei “primi” libri
sacerdotali si presenta strettamente connessa con l’organizzazione religiosa
voluta dal re Numa Pompilio[15]; anzi, tale compilazione
deve essere considerata, anche materialmente, opera dello stesso re[16].
La
stessa riforma religiosa di Numa Pompilio ha imposto l’esigenza di testi
scritti, senza il cui ausilio doveva essere quasi impossibile osservare la
complessità dei sacra e delle caerimoniae e la minuziosa
regolamentazione dei sacrifici, testimoniate a proposito della religiosità di
quell'epoca. Di alcune delle prescrizioni rituali pompiliane abbiamo notizia
nella ‘vita di Numa’ dello storico di lingua greca Plutarco di Cheronea[17]: esse
riguardavano l’obbligo di sacrificare un numero dispari di vittime agli dèi
celesti ed un numero pari a quelli inferi[18]; il
divieto di libare agli dèi con vino[19]; il divieto
di sacrificare senza farina[20]; la
necessità di pregare e adorare la divinità compiendo un giro su sé stessi[21].
Apprendiamo inoltre, da una testimonianza dello scrittore cristiano Arnobio,
che gli antichi attribuivano a Numa Pompilio anche la composizione degli indigitamenta[22]:
appellativi rituali delle divinità (nomina
deorum et rationes ipsorum nominum)[23],
raccolti in seguito dai sacerdoti in
libris pontificalibus[24].
Alla luce di quanto si è
detto, nel passo di Tito Livio deve considerarsi particolarmente affidabile
l’elenco, o per meglio dire l’ordine-gerarchia, delle materie di competenza dei
pontefici (quibus hostiis, quibus diebus,
ad quae templa sacra fierent, atque unde in eos sumptus pecunia erogaretur),
poiché esso ricalcava l’ordine degli antichissimi sacra omnia exscripta exsignataque istitutivi del sacerdozio
pontificale[25],
ritenuti dalla tradizione annalistica opera dello stesso re Numa Pompilio.
Infine, non va dimenticato che secondo la tradizione antiquaria (Varrone)
questi libri Numae avevano costituito il nucleo primitivo dei libri pontificum[26].
Peraltro, le potenzialità
classificatorie e sistematiche insite nel testo liviano non sono sfuggite alla
parte più avvertita della dottrina contemporanea, al cui interno coesistono
però posizioni assai diversificate. Alcuni studiosi ritengono, infatti,
determinante la tripartizione: quibus
hostiis, quibus diebus, ad quae templa (così, ad esempio, Auguste
Bouché-Leclercq: «La meilleure analyse des livres liturgiques serait donc
l’étude complète du culte romain. Mais
notre plan est plus restreint. Oublions pour un moment la variété des divers
actes religieux, consécrations, voeux, expiations… etc., dont nous aurons
occasion de parler au chapitre suivant, et bornons-nous à remplir avec quelques
rares débris de textes mutilés le cadre indiqué par Tite-Live: quibus hostiis, quibus diebus, ad quae
templa sacra fierent»[27]). Altri invece, come lo storico della religione romana Nicola
Turchi, propongono una divisione della materia in cinque parti[28]. Altri ancora – è il caso
del linguista Emilio Peruzzi –
ritengono di poter individuare anche il contenuto, o almeno l’ordine di
disposizione della materia, dei primitivi libri
pontificum, proprio sulla base di
Tito Livio 1.20.5-7, «da cui traspare che la copia consegnata al pontefice era
divisa in sette capitoli»[29].
La tradizione documentaria
sacerdotale fa risalire, dunque, le competenze dei pontefici nella
qualificazione religiosa (e quindi giuridica e politica) del tempo all’epoca
immemorabile dell’origine delle istituzioni religiose romane, rappresentata
appunto dall’età di Numa Pompilio. Tali competenze si sostanziavano, da un
punto di vista tecnico, nel registrare le lunazioni e nell’ordinare le
intercalazioni; ma in tal modo i pontefici divennero – per usare le parole del
Sabbatucci – «i depositari della sapienza religiosa romana, della normativa
(sacrale e giuridica) che ne derivava e che permetteva loro di dare un ordine
persino al corso degli eventi. In quest'ultima funzione essi registravano gli
avvenimenti e le magistrature di ciascun anno, e compilavano il calendario
festivo»[30].
Nella prospettiva religiosa e
giuridica dei pontefici romani[31], la definizione annuale
del calendario[32]
non aveva come scopo principale quello di far conoscere ai cittadini la
successione delle stagioni o l’epoca dell’annuale ripetersi del loro ciclo. Si
trattava piuttosto – come era stato acutamente osservato dal grande storico francese
Auguste Bouché-Leclercq, nel suo libro Les
pontifes de l’ancienne Rome (Paris 1871) – di “calendarizzare” i doveri
religiosi a cui i cittadini romani dovevano necessariamente attenersi nei
giorni stabiliti: «C’était le tableau des fêtes ordinaires et extraordinaires,
fixes ou mobiles, qui imposaient à l’État et aux particuliers le chômage exigé
par la théologie pontificale. Le
calendrier, ainsi conçu, ne pouvait être réglé que par le collège de Pontifes
et échappait par sa nature à tout autre contrôle»[33].
Per tutta l’età repubblicana,
la qualificazione religiosa e civile del ciclo annuale, attraverso la
formulazione del calendario, restò competenza esclusiva del collegio dei
pontefici[34];
per quanto non siano mancati tentativi di limitare questo potere, a causa delle
conseguenze politiche insite nelle intercalazioni (con le quali si allungava o
si accorciava il corso dell’anno, ma anche la durata in carica dei magistrati).
Così nel 46 a.C., quando
Giulio Cesare, («Conversus hinc ad
ordinandum rei publicae statum, fastos correxit – come si
legge in Svetonio[35] – poiché il calendario
era ormai già da gran tempo talmente scompigliato per colpa dei pontefici col
loro abuso dei giorni intercalari, che né le feste delle messi coincidevano più
con l’estate né quelle della vendemmia con l’autunno») volle procedere alla
fondamentale riforma del calendario romano[36], operò avvalendosi della
sua qualifica di pontifex maximus, piuttosto che del suo potere di
dictator[37].
Uno dei doveri religiosi
osservato maggiormente dal Popolo Romano era il rispetto del tempo degli dèi, i
dies festi o feriae; per lo ius sacrum
(e per lo ius publicum), da tale scrupolosa osservanza dipendeva la conservazione
della pax deorum[38]. I dies festi erano, come
apprendiamo da Macrobio, interamente dedicati agli dèi (Festi dis dicati sunt): si trattava, dunque, di giorni in cui i
cittadini romani dovevano praticare la devozione verso le divinità e celebrare
riti e sacrifici in loro onore[39]; giorni inibiti alle
altre attività umane, per essere dedicati all’esclusivo esercizio della
religione:
Macrobius Sat.
1.16.2-3: Numa ut in menses annum, ita in dies mensem quemque distribuit,
diesque omnes aut festos aut profestos aut intercisos vocavit. Festi
dis dicati sunt, profesti hominibus ob administrandum rem privatam publicamque
concessi, intercisi deorum hominumque communes sunt. Festis insunt sacrificia
epulae ludi feriae.
Questo carattere obbligatorio
del rispetto delle feriae aveva senza
dubbio anche una fortissima valenza giuridica; che troviamo sottesa nel
linguaggio tecnico-giuridico utilizzato dal Servius auctus per definire,
appunto, l’obbligatorietà del rispetto delle feriae, nel commento al verso 268 del primo libro delle Georgiche, in un contesto che sembra
estrapolato, quanto meno, da un trattato di ius
pontificium di eccellente fattura:
Servius auctus in
Verg. Georg. 1.268: Sunt enim aliqua, quae si festis diebus fiant, ferias
polluant: quapropter et pontifices sacrificaturi praemittere calatores suos solent,
ut, sicubi viderint opifices adsidentes opus suum, prohibeant, ne pro negotio
suo et ipsorum oculos et caerimonias deum attaminent: feriae enim operae deorum
creditae sunt. Sane feriis terram ferro tangi nefas est, quia feriae deorum
causa instituuntur, festi dies hominum quoque.
Il commentatore di Virgilio
scrive che le feriae sono da
considerarsi a tutti gli effetti come delle operae
dovute agli dèi (Feriae enim operae
deorum creditae sunt); e spiega il nefas
che inibisce i lavori agricoli durante le feriae
(feriis terram ferro tangi nefas est),
in ragione del fatto che «feriae deorum
causa instituuntur».
Orbene, proprio nel ricorso
alla nozione di opera, mi pare possa
cogliersi il preciso senso giuridico degli obblighi gravanti sugli uomini per il
rispetto del tempo delle feriae.
Tuttavia non credo di poter condividere, al riguardo, la tesi formulata alla
fine degli anni cinquanta del secolo scorso dallo studioso francese Pierre
Braun, in un saggio dedicato ai “Tabous des «feriae»”[40]. Basandosi sul passo
appena discusso, il Braun aveva sostenuto che i divieti imposti nelle feriae determinerebbero l’instaurarsi di
una relazione tra uomini e divinità del tutto simile «à celle de l’affranchi et
de son patron»:
«Ce caractère obligatoire du respect des feriae avait une valeur juridique à
laquelle les romanistes ne se sont guère intéressés; les feriae étaient, en effet, des operae
dues aux dieux: Feriae … operae deorum
creditae sunt, affirme Deutero-Servius. On pourrait évidemment considérer
que operae signifie ici journée de
travail. Mais le texte du commentateur de Virgile est bien plus précis; il
s’agit d’operae au sens juridique.
Nous sommes en présence d’une relation entre les dieux et l’homme semblable à
celle de l’affranchi et de son patron. Le parallélisme du concept d’operae dans les deux cas est frappant;
le devoir de l’homme envers les dieux rappelle la notion de l’obsequium […]
L’homme doit se tenir à la disposition des dieux comme l’affranchi est obligé
d’être au service de son ancien maître. Le pouvoir du patron sur l’affranchi va
jusqu’au droit de vie et de mort; il est évident que les dieux ont un pourvoir
semblable sur les hommes. Cette soumission se matérialise dans l’officium qui signifie étymologiquement
la prestation de services ou l’exécution d’une tâche. Le terme operae désigne ces services; mais, alors
que l’affranchi est tenu à une action positive, le devoir de l’homme envers les
dieux est de s’abstenir des activités interdites»[41].
Per quanto – come lo stesso
autore non manca di riconoscere – nel compiere le operae dovute al patrono, il liberto fosse tenuto ad un operare in
positivo; mentre il dovere dell’uomo verso gli dèi si connotava in senso
essenzialmente negativo: gli era richiesto, infatti, di astenersi da tutte
quelle attività, per le quali la “sapientia”[42] dei sacerdoti romani
prescriveva l’assoluto divieto.
Su questi divieti, i pontefici
avevano elaborato stringenti regole di comportamento[43], di cui tramandavano la
memoria e la dottrina nei libri del collegio;
come attesta ancora una volta Servio Danielino nel suo commento al verso 270
del primo libro delle Georgiche
virgiliane.
Servius auctus in
Verg. Georg. 1.270: Sed qui disciplinas pontificum interius agnoverunt, ea
die festo sine piaculo dicunt posse fieri, quae supra terra sunt, vel quae
omissa nocent, vel quae ad honorem deorum pertinent, et quidquid fieri sine
institutione novi operis potest: ut rivorum inductionem sic accipimus, per
fossam vel pratum purgatum deducere, id est emittere, quoniam cautum in libris
sacris est feriis denucalibus aquam in pratum ducere nisi legitimam non licet,
ceteris feriis omnes aquas licet deducere. Ergo hic, ut aliquibus videtur,
‘deducere’ purgare est, et sordes emittere, quae praecludant aquam, ideo quia a
pontificibus, ut novum fieri non permittitur feriis, ita vetus purgeri
permittitur. Alii hoc secundum augurale ius dictum tradunt, quod etiam in bello
observetur, ne novum negotium incipiatur. Ergo ‘rivos deducere’ non est novum
negotium, et potest hoc ad illud referri quique paludis collectum umorem bibula
deducit harena. Sane quae feriae a quo genere hominum vel quibus diebus
observentur, vel quae festis diebus fieri permissa sint, siquis scire
desiderat, libros pontificales legat[44].
Ma sulla materia permanevano
zone d’ombra e molti erano gli scrupoli religiosi che richiedevano il costante
conforto degli esperti. Vi era, ad esempio, una grande incertezza sulle opere
agricole consentite durante i dies festi: tema, peraltro, molto battuto
dagli scrittori di agricultura. Ne
aveva discusso Catone il Censore
Per
ferias potuisse fossas veteres tergeri, viam publicam muniri, vepres recidi,
hortum fodiri, pratum purgari, virgas vinciri, spinas eruncari, expinsi far,
munditias fieri[45];
poi Virgilio vi aveva dedicato alcuni memorabili versi
Quippe etiam festis quaedam exercere diebus
fas et
iura sinunt: rivos deducere nulla
religio
vetuit, segeti praetendere saepem,
insidias
avibus moliri, incendere vepres
balantumque
gregem fluvio mersere salubri[46];
infine, ne avrebbe trattato ancora Columella[47]. Senza tuttavia pervenire
ad una identità di vedute; per quanto, ormai, le prescrizioni pontificali
dovessero essere improntate ad una pratica assai permissiva, almeno fin
dall’età di Quinto Mucio Scevola[48]. Insegnava, infatti, il
grande giurista e pontefice massimo che durante le ferie poteva essere portato
a compimento tutto ciò quod praetermissum
noceret:
Macrobius Sat.
1.16.9-11: Adfirmabant autem sacerdotes pollui ferias si indictis conceptisque
opus aliquod fieret. Praeterea regem sacrorum flaminesque non licebat videre
feriis opus fiere, et ideo per praeconem denuntiabant ne quid tale ageretur: et
praecepti neglegens multabatur. Praeter multam vero adfirmabatur eum qui
talibus diebus imprudens aliquid egisset porco piaculum dare debere. Prudentem
expiare non posse Scaevola pontifex adseverabat, sed Umbro negat eum pollui qui
opus vel ad deos pentinens sacrorumve causa fecisset, vel aliquid ad urgentem
vitae utilitatem respiciens actitasset. Scaevola denique consultus, quid feriis
agi liceret, respondit: quod praetermissum noceret. Quapropter, si bos in
specum decidisset eumque pater familias adhibitis operis liberasset, non est
visus ferias polluisse; nec ille qui trabem tecti fractam fulciendo ab imminenti
vindicavit ruina[49].
Tuttavia, lo stesso Quinto
Mucio era piuttosto rigoroso nell’escludere la possibilità di espiare le
violazioni volontarie del “tempo degli dèi”:
Varro De ling. Lat. 6.30: Contrarii horum
vocantur dies nefasti, per quos dies nefas fari praetorem ‘do, dico, addico’;
itaque non potest agi: necesse est aliquo <eorum> uti verbo, cum lege
qui<d> peragitur. Quod si tum imprudens id verbum emisit ac quem
manumisit, ille nihilo minus est liber, sed vitio, ut magistratus vitio creatus
nihilo setius magistratus. Praetorqui tum fa[c]tus est, si imprudens fecit,
piaculari hostia facta piatur; si prudens dixit, Quintus Mucius a[b]i[g]ebat
eum expiari ut impium non posse[50].
Riferisce Varrone che il
pontefice massimo Quinto Mucio Scevola, a proposito della violazione da parte
del pretore dei dies nefasti, per quos dies nefas fari praetorem ‘do, dico, addico’, distingueva
nettamente la posizione di chi avesse violato il nefas fari
involontariamente (imprudens), il quale
poteva espiare con un sacrificio, da quella di chi a tale obbligo era venuto
meno volontariamente (prudens): in
questo ultimo caso non vi era, invece, possibilità di espiazione (si prudens dixit, Quintus Mucius aiebat eum
expiari ut impium non posse)[51].
L’interpretatio (dispositiva, precettiva o rispondente) dei
pontefici, e degli altri sacerdoti, risultava massimamente finalizzata a
preservare nel tempo la pax deorum,
che si consolidava soprattutto attraverso il rispetto più rigoroso delle
prescrizioni cultuali previste nei giorni riservati agli dèi. Era altresì
necessaria da parte dei sacerdoti un’intensa attività cautelare, in rapporto al
tempo e alla natura, al fine di evitare, prevenire o rimuovere, ogni
accadimento suscettibile di innescare il verificarsi del nefas[52] (che l'opera della natura
o l'azione degli uomini tendevano sempre a provocare), con la sua dirompente
turbativa dei rapporti tra uomini e divinità. Ma la scienza sacerdotale,
proprio mediante la riqualificazione religiosa a favore degli dèi di quote del
tempo profano, che in tal modo diventavano giorni di ferie e di preghiera per
tutta la comunità, si mostrava quasi sempre in grado di exposcere pacem deum[53] nella maniera più
efficace:
Livius 3.5.14: Caelum visum est ardere plurimo igni. Ut
Romam reditum est, iustitium remissum est; caelum visum est ardere plurimo
igni, portentaque alia aut obversata oculis aut vanas exterritis ostentavere
species. His avertendis terroribus in triduum feriae indictae, per quas omnia
delubra pacem deum exposcentium virorum mulierumque turba implebantur[54].
In azioni rituali, simili a
questa descritta da Tito Livio nel passo appena citato, si concretizzava la più
antica “teologia” sacerdotale, la quale, già in epoca risalente, aveva fissato
un legame indissolubile tra la vita
del popolo romano e la sua religio[55], al punto da finalizzarne
tutta l'attività al conseguimento (e conservazione) della "pace con gli
dèi": cioè al permanere di una situazione di amicizia nei rapporti tra
uomini e divinità:
«La conception – d’ordre philosophique – du monde romain
est celle d’un ensemble de rapports ou de forces en équilibre: toute action
humaine affecte par définition cette harmonie naturelle et trouble l’ordre
voulu par les dieux. D’où la nécessité, avant (ou, au pire, après) toute
action, de se concilier l’accord des dieux témoignant leur adhésion. La paix
universelle est alors sauvegardée. La religion consiste ainsi à rester en bons
rapports avec les dieux, pour les avoir avec soi»[56].
In tale prospettiva si spiega,
tra l’altro, la valenza religiosa dell'attività "storiografica" del
collegio dei pontefici[57]; ciò era infatti dovuto
alla necessità di documentare fenomeni naturali e avvenimenti umani
suscettibili, per il loro carattere inusuale (o potremo anche dire innaturali),
di turbare la pax deorum[58]. Si trattava, quindi, di
conoscere e memorizzare i rimedi rituali posti in essere per espiare e da
riproporre tutte le volte che fenomeni simili si fossero manifestati; per
evitare il protrarsi nel tempo delle gravissime conseguenze negative per la
vita comunitaria.
Si possono ben comprendere le
ragioni profonde dell’interpretatio
sacerdotale, che teorizzava la conservazione della pax deorum, in quanto fondamento teologico di tutti i riti,
l’elemento basilare del sistema giuridico-religioso romano. Nella comunità
romana arcaica e repubblicana, dunque, la sapientia
(teologica e giuridica) dei sacerdoti rivolgeva le sue prime e maggiori cautele
alla definizione del ne-fas; con lo
scopo di preservare appunto la pax deorum,
che riposava sulla perfetta conoscenza di tutto ciò che potesse turbarla; degli
atti che mai dovevano essere compiuti; delle parole che mai dovevano essere
pronunciate. Insomma, proprio nell'antitesi fas
/ nefas, fondata in particolar
modo sul sentimento che spazio e tempo appartenessero agli dèi, si manifestava
compiutamente la peculiarità dei rapporti tra uomini e divinità nel sistema
giuridico-religioso romano: in un sistema, cioè, in cui la distinzione tra
"divino" e "umano" rappresentava – per dirla con l’Orestano
– «la più antica concezione romana del mondo»[59]. Nel dinamismo dei
rapporti spazio / tempo / dèi / uomini, si fondavano – e continuamente si
rigeneravano – sia la cautela definitoria degli spazi terrestri propria della
scienza sacerdotale romana (vedi gli agrorum
genera della disciplina augurale)[60]; sia la propensione
universalistica verso tutti gli dèi della “teologia” pontificale[61].
Conviene a questo punto
calarci nel concreto dei documenti sacerdotali, per cercare ulteriori evidenze
testuali sulla base di frammenti provenienti da tali documenti (o ad essi a
vario titolo riconducibili). Mi limiterò, quindi, a saggiare le potenzialità di
una ricerca su questo tipo di materiali: segnalando soltanto alcuni, fra i più
significativi, di quelli che potremmo definire fragmenta ad ferias universas spectantia; con
esplicito riferimento alla terminologia suggestivamente varroniana proposta
alla fine degli anni settanta dell’Ottocento da Paul Preibisch[62].
Tra i frammenti, che attengono
a qualificazioni temporali di prescrizioni del culto o di cerimonie religiose
operate dal collegio dei pontefici, ho privilegiato gli interventi autoritativi
(decreta e responsa)[63] resi dall’intero collegio
o da singoli sacerdoti, anche perché in questi casi di citazioni testuali
appare meno controversa l’attribuzione agli archivi sacerdotali[64].
1
[Gellius
Noct. Att. 2.28.2-3]
Propterea
veteres Romani cum in omnibus aliis vitae officiis tum in consuetudinis
religionibus atque in dis immortalibus animadvertendis castissimi cautissimique,
ubi terram movisse senserant nuntiatumve erat, ferias eius rei causa edicto
imperabant, sed dei nomen, ita uti solet, cui servari ferias oporteret,
statuere et edicere quiescebant, ne alium pro alio nominando falsa religione
populum alligarent. Eas ferias si quis
polluisset piaculoque ob hanc rem opus esset, hostiam «si deo, si deae»
immolabant, idque ita ex decreto pontificum observatum esse M. Varro dicit, quoniam et qua vi et per quem deorum dearumve terra tremaret incertum
esset[65].
Nel testo, Aulo Gellio
trascrive un passo delle Antiquitates
rerum divinarum di Varrone [Cardauns, fr. 78], in cui in grande antiquario
citava un decreto dei pontefici: nel testo varroniano si affrontava, con
riguardo al terremoto, il complesso rapporto tra il verificarsi dell’evento
naturale inusitato e la necessaria riqualificazione del tempo operata dai sacerdotes mediante ricorso alle feriae. Il grande antiquario spiegava
che i sacerdoti romani, quando avevano notizia di terremoti, ordinavano le
ferie in rapporto a tale fenomeno, evitando tuttavia di «statuere et edicere», come il costume religioso avrebbe richiesto,
il nome della divinità a cui le feriae
erano dedicate: affinché il popolo non rischiasse di vincolarsi «alium pro alio nominando falsa religione»,
cioè rivolgendosi ad un dio in luogo di un altro[66].
Poiché era dunque impossibile
accertare «per quale impulso la terra tremasse e per opera di quale dio o dea»,
nel caso qualcuno avesse profanato quelle ferie e per questo motivo occorresse
un'espiazione, i pontefici, con la cautela propria della loro sapienza, avevano
decretato che si immolasse la vittima sacrificale con la formula
onnicomprensiva «si deo si dea» («al
dio se è un dio, alla dea se è una dea»)[67].
2
[Gellius Noct. Att.
4.6.9-10]
Sed
porcam et hostias quasdam ‘praecidaneas’, sicuti dixi, appellari volgo notum
est, ferias ‘praecidaneas’ dici id, opinor, a volgo remotum est. Propterea
verba Atei Capitonis ex quinto librorum, quos de pontificio iure composuit,
scripsi: ‘Tib. Coruncanio pontifici maximo feriae praecidaneae in atrum diem
inauguratae sunt. Collegium decrevit non
habendum religioni, quin eo die feriae praecidaneae essent’[68].
Anche il secondo frammento, di
cui mi pare indiscutibile la buona qualità del testo, riferisce di un decreto
dei sacerdotes pontifices. Dopo aver esposto il significato delle praecidaneae hostiae e della porca praecidanea, Aulo Gellio, per spiegare
che cosa siano le feriae praecidaneae, ha trascritto un brano del
libro V de iure pontificio di Ateio
Capitone[69].
Il giurista augusteo discuteva un caso assai curioso di feriae praecidaneae, che
risaliva all’attività pontificale di Tiberio Coruncanio[70]; annotando testualmente
un decreto del collegio dei pontefici che aveva sancito la validità rituale di
certe feriae praecidaneae in atrum diem
inauguratae dal pontefice massimo Tiberio Coruncanio[71].
Le
fonti non consentono certezze circa la natura di queste feriae, per cui la dottrina mostra di avere posizioni
abbastanza diversificate[72]. Non risulta invero
facile individuare la ratio di un
simile decreto, poiché è noto che la scienza pontificale, di norma, considerava
i dies atri «neque proeliares neque puri neque comitiales»[73]. Si potrebbe ipotizzare
che l’interpretatio pontificum, al
fine di salvaguardare l’operato di Coruncanio, abbia assimilato questa sua
azione agli atti di culto compiuti irritualmente dall’insciens o dall’imprudens,
di cui il diritto pontificale considerava validi gli effetti anche in presenza
di vizi[74].
3
[Gellius
Noct. Att. 5.17.2]
‘Urbe’
inquit ‘a Gallis Senonibus recuperata L. Atilius in senatu verba fecit Q.
Sulpicium tribunum militum ad Alliam adversus Gallos pugnaturum rem divinam
dimicandi gratia postridie Idus fecisse; tum exercitum populi Romani occidione
occisum et post diem tertium eius diei urbem praeter Capitolium captam esse;
compluresque alii senatores recordari sese dixerunt, quotiens belli gerendi
gratia res divina postridie Kalendas, Nonas, Idus a magistratu populi Romani
facta esset, eius belli proximo deinceps proelio rem publicam male gestam esse.
Tum senatus eam rem ad pontificem
reiecit, ut ipsi, quod videretur, statuerent. Pontifices decreverunt
‘nullum his diebus sacrificium recte futurum’[75].
4
[Macrobius Sat.
1.16.24]
Tunc patres iussisse ut ad collegium pontificum
de his religionibus referretur; pontificesque statuisse postridie omnes
Kalendas, Nonas, Idus atros dies habendos, ut hi dies neque proeliares neque
puri neque comitialis essent[76].
Il terzo e il quarto frammento
trattano dello stesso decreto dei pontefici, il cui contenuto è riferito
testualmente sia da Aulo Gellio, sia da Macrobio. Aulo Gellio [Noct. Att. 5.17.1-2] questa volta trascrive un lungo brano del de verborum
significatu di Verrio Flacco: nel
quarto libro di quella sua opera il grande esperto di fasti spiegava che i giorni successivi alle calende, alle none,
alle idi (erroneamente chiamati «nefasti»
nel linguaggio corrente), erano invece più correttamente qualificati come «atri»; tali erano stati dichiarati dal
collegio dei pontefici, per neutralizzare il ripetersi di eventi sfavorevoli
alla vita del popolo romano: «tutte le volte che un magistrato del popolo
romano, in funzione di eventi bellici, aveva fatto il sacrificio all'indomani
delle calende, delle none, delle idi, il combattimento svoltosi subito dopo in
quella guerra s'era risolto in un danno per la res publica». Investiti
dal Senato perché provvedessero a sanare una simile anomalia nel rapporto con
gli dèi, i pontefici decretarono che in tali giorni non sarebbe stato più
corretto fare sacrifici «nullum his
diebus sacrificium recte futurum»[77].
5
[Plinius Nat. hist. 18.14]
Equidem ipsa etiam verba priscae significationis admiror; ita
enim est in commentariis pontificum:
Augurio canario agendo dies constituantur, priusquam frumenta vaginis exeant et[78] antequam in vaginas perveniant[79].
Più problematico si presenta,
invece, il passo di Plinio[80]. Intanto, è di non poco
interesse la constatazione che il testo pliniano costituisce l’unica fonte in
cui si parla di augurium canarium, laddove
le altre fonti riferiscono tutte di un sacrificio[81].
A prima vista può sembrare
strano che nei commentarii pontificum si
trovassero delle disposizioni che riguardavano il tempo dell’augurio canario[82]. Questa perplessità può
superarsi in considerazione del fatto che al collegio dei pontefici era
demandata la sorveglianza e la direzione complessiva del culto patrio, e che
inoltre, nel caso dell’augurio canario, essi stessi presiedevano la cerimonia[83]. Si spiega così che
questo decreto (o responso) fosse contenuto nei commentarii dei pontefici[84].
Infine, non mi pare che in questo caso – di fronte ad una
citazione così precisa – sia rilevante discutere l’eventualità che l’autore non
abbia attinto il passo direttamente dai commentarii,
ma si sia servito dell’opera di qualche scrittore contemporaneo o di poco
anteriore[85];
poiché, qualsiasi ipotesi si preferisca, non viene inficiato il valore della
testimonianza di Plinio.
A parere del linguista Emilio Peruzzi, «la scoperta dei libri di Numa (181 a.C.) fornisce la prova
documentale che almeno nella seconda metà del sec. VIII la lingua greca,
assieme alla civiltà che con essa si esprime, era ormai diventata elemento
importante della cultura sabina e romana»[86]. L'opinione dello studioso (il quale non tralascia però di
avvertire che i
grecismi della più antica terminologia latina non permettono di stabilire «in
quale misura e in che modo la cultura ellenica fosse giunta nel Lazio romuleo
assieme con l'alfabeto»[87]) risulta in certo modo rafforzata dai più recenti studi sulla
civiltà micenea nell'occidente mediterraneo; sulla base dei quali appare ormai
certo che popolazioni micenee intrattenessero rapporti commerciali con gli
abitanti delle coste italiche
e che quindi, per quanto riguarda l'influenza greca sulla penisola, si debba
risalire ad età più antica di quella romulea[88]. Una simile prospettiva rivaluta oggettivamente le fonti, la cui
credibilità acquista forte consistenza anche laddove esse segnalano fra gli
accadimenti dell'età di Numa perfino la composizione scritta dei sacra omnia; ma, a questo proposito, non bisogna
neppure sottovalutare la coerenza della tradizione annalistica, la quale
attribuiva all'opera di Numa, oltre l'organizzazione religiosa della città,
alcune fondamentali istituzioni economiche e giuridiche della arcaica comunità
romana[89].
Il discorso non può comunque addentrarsi
in problemi del genere, poiché lo scopo del lavoro non è tanto quello di
individuare l'origine della tradizione documentaria dei collegi sacerdotali
romani, quanto piuttosto quello di precisarne i generi di documenti e le
articolazioni sistematiche: non si tratta
quindi di risolvere il quesito del “quando” (per la prima volta) i sacerdoti
abbiano iniziato a redigere i loro documenti; bensì di precisare, per quanto
possibile, in "quale" fase dell'esperienza giuridico-religiosa
dei più antichi romani l'attività speculativa dei sacerdoti (qualificabile,
insieme, come pensiero politico e giuridico e come
ideologia) abbia acquisito quella struttura (cioè, forma e contenuto) con la
quale si caratterizzò poi in età storica.
G. Dumézil ha affrontato la questione nelle
«Remarques préliminaires» del suo libro Idées romaines: «Peut-on déterminer – si domandava
l'illustre studioso – à quelle époque la pensée romaine, par la combinaison de
l'héritage indo-européen et des produits de son génie propre, a pris la forme
originale que nous lui connaissons dès les premiers textes littéraires et qui,
jusqu’au temps d’Auguste, n'a guère varié? En particulier à quelle époque le
droit romain – droit religieux et droit civil et aussi, par les fétiaux, droit
international – qui paraît bien être l’ouvrage le plus caractéristique de Rome
quand on la compare aux autres sociétés indo-européennes, s'est-il constitué,
avec sa casuistique déliée, ses règles raisonnées, colorant de proche en proche
toute activité publique et privée?»[90]. La risposta
del Dumézil è – detta in sintesi – che tale epoca vada collocata nella tarda
età regia o anche in età precedente: a questo convincimento egli perviene sulla
base di un’originale interpretazione di due fra le più antiche iscrizioni
latine (quella del cippo arcaico del Foro[91] e la cosiddetta
iscrizione di Duenos[92]), nelle quali crede di poter
identificare testi attinenti a precetti di ius augurale e a pratiche di ius
civile ancora esistenti in età tardo-repubblicana[93]. Queste pagine del
Dumézil, proprio nella misura in cui evidenziano come dato ormai acquisito
dalla ricerca «la constatation que des techniques aussi complexes que l'augurale ius et le ius
ciuile étaient constituées dès la fin des temps royaux, avec la
réglementation rigoureuse que nous leur connaissons au seuil de l'Empire»[94], sono di notevolissimo
interesse per i nostri problemi di datazione della tradizione documentaria dei
collegi sacerdotali romani.
Non bisogna tuttavia dimenticare che perfino fra la sospettosa
dottrina ottocentesca v'erano già alcuni studiosi che ritenevano le prime compilazioni sacerdotali databili in
età regia: così, ad esempio, il Bouché-Leclercq, pur rifiutando la tradizione
annalistica a proposito della legislazione di Numa e dei suoi “libri sacri”, pensava che la composizione scritta della “loi religieuse” si dovesse attribuire all'epoca caratterizzata dalla
figura di Anco Marcio, o all'età immediatamente successiva, ma in
ogni caso «longtemps avant que les XII Tables
eussent fixé de la même manière la loi civile»[95].
Significative conferme a queste ipotesi si ricavano dalla
controversa tradizione sulla raccolta di leges regiae compilata dal pontefice Papirio nei
primi anni della libera res publica[96]: raccolta che sarà detta in seguito
dal nome dell'autore ius Papirianum[97].
Anzi, sulla base della ricostruzione qui prospettata – senza
naturalmente approfondire il problema della storicità o meno del personaggio
menzionato[98]
– quella stessa tradizione acquista un pregnante significato intrinseco; poiché
se si
rammenta quello che secondo alcuni autori antichi pare essere stato il vero
titolo della raccolta (o almeno, la definizione del suo contenuto), cioè De
ritu sacrorum[99], si possono perfino prospettare le
probabili ragioni che indussero i pontefici a quella compilazione. Si trattava,
come lo stesso titolo sembra suggerire, di dar risposta ad esigenze di
carattere cultuale (ma non per questo esclusivamente “religiose”) legate forse
ad una duplice motivazione: da una parte vi era la necessità di attribuire
diverso fondamento a ciò che si riteneva opportuno conservare dell'attività
normativa dei reges; dall'altra
stava invece la preoccupazione, certo impellente in quegli anni cruciali, di
ridefinire il ruolo del rex (probabilmente
in rapporto a ius augurale e ius civile), il quale restava pur sempre il più eminente personaggio dell'ordo sacerdotum, nonostante ormai i mutamenti
politici della città lo avessero relegato esclusivamente ad sacra[100].
Alla
stessa raccolta di tali leges sembra alludere anche il noto passo di
Livio relativo alla riorganizzazione degli archivi sacerdotali operata dopo
l'incendio gallico: in quella occasione furono reperiti ed esposti in pubblico
i foedera, le XII Tavole e quaedam regiae leges; mentre i documenti che più strettamente ad sacra pertinebant
furono sì raccolti, ma tenuti segreti negli archivi dei pontefici[101].
In entrambi gli episodi, insomma, il
racconto annalistico mostra chiaramente di conoscere la precedente esistenza di
materiale documentario riferibile agli archivi sacerdotali. Tuttavia,
l'individuazione/ricostruzione di questi materiali raccolti in libri e commentarii
richiede una riflessione
ulteriore in merito ai possibili modi di trasmissione dei testi da parte dei
sacerdoti. Ciò implica la necessità di
muoversi almeno su due piani: il primo attiene all'aspetto esteriore dei
documenti (alla materia scrittoria ed alla sua conservazione); mentre il
secondo verte su questioni più sostanziali, come contenuti e forma linguistica.
Sulla prima questione rinvio al mio libro Documenti sacerdotali di Roma antica, dove ho descritto quali fossero i
materiali scrittorii utilizzabili in età arcaica e quali le difficoltà nel
conservarli, almeno fino alla diffusione della charta[102].
Nella tradizione documentaria dei collegi sacerdotali, possono individuarsi due linee di tendenza, in qualche misura complementari. Da una parte, si riscontra un formalismo rigoroso (cioè conservazione del testo originario, o di quello ritenuto tale) per quanto riguarda gli antichissimi carmina[103], recitati ancora in età imperiale avanzata in una forma linguistica molto antica, ormai mal compresi dagli stessi sacerdoti.
Quintilianus
Inst. orat. 1.6.39-41: Verba a vetustate repetita non solum
magnos adsertores habent, sed etiam adferunt orationi maiestatem aliquam non
sine delectatione: nam et auctoritatem antiquitatis habent, et, quia intermissa
sunt, gratiam novitati similem parant. Sed opus est modo, ut neque crebra sint
haec nec manifesta, quia nihil est odiosius adfectatione; nec utique ab ultimis
et iam oblitteratis repetita temporibus, qualia sunt «topper» et «antegerio» et
«exanclare» et «prosapia» et Saliorum carmina vix sacerdotibus suis satis
intellecta. Sed illa mutari vetat religio et consecratis utendum est.
La testimonianza di Quintiliano
chiarisce le ragioni di un simile comportamento da parte dei sacerdoti romani: illa mutari vetat religio et consecratis
utendum est. Mi pare di poter condividere, a questo proposito,
l’interpretazione del tradizionalismo rituale della “città antica” prospettata
da Numa Denis Fustel de Coulanges nella seconda metà del XIX secolo:
«Toutes ces formules et ces pratiques avaient été léguées
par les ancêtres qui en avaient éprouvé l’efficacité. Il n’y avait pas à
innover. On devait se reposer sur ce que ces ancêtres avaient fait, et la
suprême piété consistait à faire comme eux. Il importait assez peu que la
croyance changeât: elle pouvait se modifier librement à travers les âges et
prendre mille formes diverses, au gré de la réflexion des sages ou de
l’imagination populaire. Mais il était de la plus grande importance que les
formules ne tombassent pas en oubli et que les rites ne fussent pas modifiés»[104].
D'altra parte i sacerdoti,
mentre con prassi documentaria persistente memorizzavano per iscritto atti
significativi del loro operare quotidiano, procedevano nel contempo
all'aggiornamento linguistico dei testi riguardanti regole rituali e forme di
culto. In tal modo si accumularono negli archivi sacerdotali numerosi documenti
– per la maggior parte costituiti da interventi
autoritativi o pareri interpretativi dei sacerdoti: decreta e responsa[105] – che attraverso
revisioni e sistemazioni periodiche, pervennero sostanzialmente integri ai
sacerdoti-giuristi e agli antiquari degli ultimi due secoli dell'età repubblicana[106].
Sulla questione, mi pare utile
riferire quanto ho già trattato in un precedente lavoro[107], dove credo di aver
dimostrato la sostanziale continuità della tradizione documentaria sacerdotale;
individuando, anche, alcune probabili revisioni o sistemazioni dei materiali
degli archivi nel corso della storia di Roma. Le fonti attestano, infatti,
almeno quattro interventi ordinatori, susseguitisi con sorprendente
periodicità: il primo, raffigurato nella forma di compilazione originaria, è
attribuito a Numa Pompilio[108], del quale la tradizione
conosceva gli antichissimi sacra omnia
exscripta exsignataque istitutivi del sacerdozio pontificale; il secondo è
presentato come opera di Anco Marcio[109]; il terzo, datato nei
primissimi anni della repubblica, è costituito dalla raccolta di leges regiae[110] del pontefice Papirio
(su questa mia interpretazione dello ius
Papirianum, vedi anche l’adesione di Dieter Nörr)[111]; l’ultimo intervento
ordinatorio si deve collocare nel periodo immediatamente successivo all’incendio
gallico[112].
Infine, per completare il
quadro delle possibili modalità di trasmissione dei documenti sacerdotali fino
alla seconda metà del II secolo a.C., occorre menzionare altri due avvenimenti,
che ebbero senza dubbio rilevanti riflessi sugli archivi dei sacerdoti romani.
Certo, un serio problema di sistemazione degli archivi dovette porsi già
all’inizio del III secolo, dopo che la lex
Ogulnia aveva sancito l’ammissione
dei plebei nei principali collegi sacerdotali[113]. Allo stesso modo,
dobbiamo considerare una ulteriore sistemazione degli archivi (almeno di quello
dei pontefici) la compilazione in forma definitiva degli annales pontificum ad
opera del pontefice massimo P. Mucio Scevola[114], il quale intorno al 130
a.C. rielaborò quei materiali e compose gli Annales
Maximi[115].
Questi episodi avvalorano la tesi che
vuole risalenti all'età regia i primi nuclei degli archivi dei sacerdoti
romani: i sacerdoti-giuristi e gli
antiquari degli ultimi secoli della repubblica avrebbero attinto a materiali
d'archivio di prim'ordine, proprio perché ancora in quel tempo si potevano
leggere copie fedeli di documenti più antichi. I frammenti delle loro opere
sono da ritenere, dunque, di rilevante interesse per la soluzione dei problemi
relativi a contenuti e terminologie dei libri e dei commentarii sacerdotali.
Mi preme, a questo punto,
formulare alcune considerazioni conclusive più generali sulla opportunità e
l’urgenza di procedere alla raccolta sistematica di tutte le evidenze testuali,
documenti e formule solenni, riferibili agli archivi dei grandi collegi
sacerdotali romani. Questa urgenza risulta particolarmente pressante per
quanti, tra storici dell’antichità, storici della religione romana e giuristi,
sono più interessati alla ricostruzione delle istituzioni giuridiche, politiche
e religiose di Roma arcaica.
I materiali religiosi e
giuridici degli archivi sacerdotali[116] (e quindi il lessico e i
concetti elaborati dai sacerdoti)[117] rappresentano le evidenze
più autentiche e le prime riflessioni sistematiche della più antica
giurisprudenza romana; documenti di straordinaria importanza non solo perché
contengono gli elementi basilari per individuare le caratteristiche originarie
e la dialettica dello sviluppo delle istituzioni, pubbliche e private; ma
soprattutto, perché costituiscono il nucleo più risalente e affidabile della
storiografica romana.
Vi è però anche un'altra
ragione che rende preziosi tali materiali. A fronte della constatata
inadeguatezza delle moderne categorie giuridiche, per comprendere quel
peculiare rapporto tra religione e diritto, che stava alla base
dell'organizzazione 'politica' romana; i documenti sacerdotali sono da
considerare strumenti indispensabili per la ridefinizione del «diritto pubblico
romano» in chiave non "statualista"[118].
Peraltro, gli archivi
sacerdotali dovevano presentarsi riordinati in maniera organica già alla fine
del III secolo a.C., quando il materiale in essi raccolto divenne oggetto di
studio e di sistematizzazione da parte di sacerdoti-giuristi e antiquari, i
quali negli ultimi due secoli della repubblica ricavarono dai documenti
sacerdotali più antichi, o da copie fedeli di essi, gli elementi indispensabili
alla composizione delle opere sulla religio
(id est cultu deorum), sugli iura (divinum, publicum, privatum) e sulle antiquitates del Populus Romanus Quirites[119].
La qualificazione religiosa del tempo è descritta nei documenti
sacerdotali come prerogativa esclusiva dei sacerdotes.
Numa Pompilio, nel riformare la religione tradizionale, ristrutturò il
calendario, divise il tempo tra dèi e uomini, e ascrisse l’osservanza della
qualificazione religiosa (e quindi giuridica e politica) del tempo tra gli
“officia” dei sacerdotes pontifices
(Livius 1.20.5-7). La competenza pontificale di definizione annuale del
calendario scandiva i doveri religiosi a cui i cives dovevano attenersi, poiché da tale osservanza dipendeva la
conservazione della pax deorum. Tra
prescrizioni cultuali, il rispetto delle feriae,
i giorni riservati agli dèi, fu oggetto di costante e accurata interpretatio
dei pontefici (Gellius Noct. Att. 2.28.2-3, 4.6.9-10, 5.17.2;
Macrobius Sat. 1.16.24; Plinius Nat.
hist. 18.14); come emerge dall’analisi di alcuni frammenti di decreta pontificum, attinenti a
qualificazioni temporali di prescrizioni del culto o di cerimonie
religiose. Si tratta di documenti di
straordinaria importanza, poiché costituiscono il nucleo risalente e affidabile
della storiografica romana e le evidenze autentiche delle prime riflessioni
sistematiche dei più antichi giuristi (i sacerdoti).
The religious
qualification of the time is described in the sacerdotal documents as a
prerogative of the sacerdotes. Numa
Pompilius, reformed the traditional religion, improving the calendar, parting
the time both of gods and of men and ascribing the observance of religious
qualification (and therefore legal and political) of the time in the office of
the sacerdotes pontifices (Livius
1.20.5-7). The College of Pontiffs had the power to manage the calendar
defining the cives’ religious duties
to preserve the pax deorum. In
religious regulations the respect of the feriae,
the days reserved of the gods, was interpreted and supervised by the College of
Pontiffs (Gellius Noct. Att. 2.28.2-3, 4.6.9-10, 5.17.2;
Macrobius Sat. 1.16.24; Plinius Nat.
hist. 18.14); this is showed in the fragments of decreta pontificum, regarding temporal qualifications of cult prescription
or religious practices. These documents are extremely important, because they
are the original and reliable nucleus of Roman historiography and the authentic
evidence of the first systematic reflections of the oldest jurists (the
priests).
[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione
Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review.
Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]
[1] J. RÜPKE, Kalender und öffentlichkeit. Die Geschichte der Repräsentation und
religiösen Qualifikation von Zeit in
Rom [Religionsgeschichtliche Versuche und Vorarbeiten, 40] (Berlin-New York
1995); su cui vedi la recensione di J.-Cl.
RICHARD, Du nouveau sur le
calendrier romain, in Revue des Études Latines 74 (1996) 33 ss.; ma anche la breve nota di R. CHEVALLIER, in Revue belge de Philologie et d’Histoire 75 (1997) 224-225.
[2] ED. LIENARD, Calendrier de Romulus. Les débuts du
calendrier romain, in L’Antiquité
Classique 50 (1981) 469 ss. Più in generale, sulle fonti
vedi A. ROSENBERG, v. Romulus, in Real-Encyclopädie der classischen
Altertumswissenschaft I.A (Stuttgart 1914) 1080 ss.; riguardo alla tradizione
antica e al dibattito storiografico più recente sul “primo” re di Roma, vedi la
sintesi di C. AMPOLO, Introduzione, in Plutarco, Le vite di Teseo e di Romolo, a cura di
C. A. e M. Manfredini (Milano 1988) XXXII ss. (con ampia bibliografia, LXVIII
ss.).
Indispensabile il lavoro di A. MASTROCINQUE, Romolo (la fondazione di Roma tra storia e leggenda) (Este 1993);
da vedere anche A. CARANDINI, La nascita di Roma. Dèi, Lari, eroi e uomini
all’alba di una civiltà (Torino 1997) 491 ss.; A. FRASCHETTI, Romolo il fondatore
(Roma 2000); J. POUCET, Romulus: fondateur et premier roi de
Rome. Autopsie d’une légende, in Folia Electronica Classica 2 (2001) <http://bcs.fltr.ucl.ac.be/FE/02/Romul.html>;
A. CARANDINI (a cura di), La
leggenda di Roma I-II (Milano 2006-2010).
[3] Cfr. Macrobius Sat.
1.12.5-38; Plutarchus Numa 18.2. L.
MAGINI, The astronomical foundations of
the Romulean calendar and its relationship with the Numan calendar: an
hypothesis, in Automata. Rivista di natura, scienza, e tecnica del mondo
antico III-IV (2008-2009) 37 ss. [reperibile anche on line, nel sito: http://www.leonardomagini.it/PDF/19%20-%20AUTOMATA%20III-IV.pdf].
[4] Cfr. F. Sini, Initia Urbis
e sistema giuridico-religioso romano (Ius sacrum e ius publicum tra terminologia
e sistematica), in Diritto @ Storia.
Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana 3 (2004) <http://www.dirittoestoria.it/3/TradizioneRomana/Sini-Initia-Urbis-2.htm>.
[5] Livius 1.19.6-7; Macrobius Sat. 1.13; Dionysius Hal. 2.64-73; Plutarchus Numa 18-19. Quanto alla dottrina basterà citare le opere, ormai classiche, di
Ph.E. HUSCHKE, Das alte römische Jahr und seine Tage. Eine
chronologisch-rechtsgeschichtliche Untersuchung in zwei Büchern (Breslau 1869, rist. an. Vaduz 1986) 26 ss. («Das Jahr des Numa Pompilius»); e
di W. WARDE FOWLER, The Religious Experience of the Roman
People. From the earliest times to the age of Augustus (London 1911) 92 ss.
(«The Calendar of Numa») [reperibile on line, nel sito: http://www.gutenberg.org/files/23349/23349-h/23349-h.htm]; nonché il lavoro di M. YORK, The Roman Festival Calendar of Numa Pompilius (New York-Frankfurt
1986); J. RÜPKE, The Roman Calendar from Numa
to Constantine. Time, History and the Fasti (Oxford 2011).
Più in generale sulla figura del sovrano sabino di
Roma, cfr. K. GLASER, v. Numa Pompilius,
in Real-Encyclopädie der classischen
Altertumswissenschaft XVII.1 (Stuttgart 1936) 1242 ss.; J. GAGÉ, Apollon romain. Essai
sur le culte d’Apollon et le développement du ritus
Graecus à Rome des origines à Auguste (Paris
1955) 297 ss.; L. FERRERO, Storia del
Pitagorismo nel mondo romano (Torino 1955) 142 ss.; S. ACCAME, I re di Roma
nella leggenda e nella storia (Napoli s.d., ma 1959) 206 ss.; R.M. OGILVIE, A Commentary on Livy. Books 1-5 (Oxford 1965, Reprinted 1998) 90
ss.; J. POUCET, Recherches sur la légende sabine des
origines de Rome (Louvain-Kinshasa 1967) 138 ss.; L. PICCIRILLI, Introduzione,
in Plutarco, Le vite di Licurgo e di Numa,
a cura di M. Manfredini e L. P. (Milano 1980) XXVII ss.; C. CORBELLINI, v. Numa Pompilio,
in Enciclopedia Virgiliana III
[IO-PA] (Roma 1987) 776 ss.; A. STORCHI
MARINO, C. Marcio Censorino, la lotta politica intorno al pontificato e la
tradizione liviana su Numa, in Annali
dell’Istituto Orientale di Napoli (AION)
14 (1992) 103 ss.; EAD., Numa e Pitagora. Sapientia constituendae civitatis
(Napoli 1999); V.
BUCHHEIT, Numa-Pythagoras in der Deutung Ovids, in Hermes 121 (1993) 77 ss.;
A. DEREMETZ, La sagesse de Numa: entre l’oralité et
l’écriture, in Uranie 5 (1995) 33 ss.; T.
LABEYE, Les degrés de cohésion de
la tradition construite autour du règne de Numa Pompilius, in Folia Electronica Classica 5 (janvier-juin 2003) <http://bcs.fltr.ucl.ac.be/FE/05/labeye.html>;
G.
ARICÒ ANSELMO, Numa
Pompilio e la propaganda augustea, in Annali del Seminario
Giuridico dell’Università di Palermo LVII (2014) 27-62.
[6] Più in generale, sulle
funzioni del collegio pontificale: A. Bouché-Leclercq,
Les pontifes de l’ancienne Rome. Étude
historique sur les institutions religieuses de Rome (Paris 1871, rist. an. New York 1975); ID., v. Pontifices, in Dictionnaire des
antiquités grecques et romaines IV.1 (N-Q) (Paris s.d., ma 1900) 567 ss.;
J. Marquardt, Römische Staatsverwaltung III. Das
Sacralwesen, zweite Auflage, besorgt von G. Wissowa
(Leipzig 1885, rist. an. New York
1975) 7 ss. [= Id., Le culte chez les Romains, traduit de
l’allemand par M. Brissaud, Tome I (Paris 1889) 281 ss.]; G. Wissowa, Religion und Kultus der
Römer, 2a ed. (München
1912, unver. Nachdr. München 1971) 501 ss.; N.
Turchi, La religione di Roma antica [Istituto di Studi Romani.
Storia di Roma XVIII] (Bologna 1939) 40 ss.; K.
Latte, Römische Religionsgeschichte (München 1960) 400 ss.; M. Le Glay, La religion romaine (Paris 1971) 142 ss.; G. Dumézil, La religion
romaine archaïque, 2a ed. (Paris 1974) [ID., La religione romana arcaica, trad. it. di F. Jesi (Milano 1977) 492
ss.]; G.J. Szemler, v. Pontifex, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft
Supplementband XV (München 1978) 331 ss.;
R. SEGUIN, Remarques sur les origines des pontifes
romains: Pontifex Maximus et Rex
Sacrorum, in Hommages à H. Le Bonniec. Res
Sacrae, publ. par D. Porte et J.-P. Néraudau
(Bruxelles 1988) 405 ss.; M.T. Beard,
Priesthood in the Roman Republic
(Ithaca-New York 1990) 19 ss.; J.
Rüpke, Innovationsmechanismen
kultischer Religionen. Sakralrecht im Rom der Republik, in Festschrift für Martin Hengel zum 70. Geburtstag: Geschichte - Tradition -
Reflexion. Band II: Griechische
und Römische Religion, hrsg. von H. Cancik (Tübingen 1996) 265 ss.; F. Van Haeperen, Le collège pontifical (3ème s. a.C.-4ème s. p.C.). Contribution
à l’étude de la religion publique romaine [Institute Historique Belge de Rome. Études de
Philologie, d’Archéologie et d’Histoire Anciennes, XXXIX] (Bruxelles-Rome
2002).
Indiscutibile il rilievo di questi sacerdoti nel campo
del diritto: già
P. Jörs, Römische Rechtswissenschaft zur Zeit der Republik, I. Bis auf die
Catonen (Berlin 1888) 15 ss., dedicava ampio spazio all’analisi della
«pontificale Jurisprudenz»; F. Schulz, History of Roman Legal Science, 2ª ed. (Oxford
1953) cit. in trad. it. ID., Storia della
giurisprudenza romana, a cura di G. Nocera (Firenze 1968) 19 ss.; G. Nocera, Iurisprudentia. Per una
storia del pensiero giuridico romano (Roma 1973) 11 ss.; F. Wieacker,
Pontifex iurisconsultus.
Zur Hinterlassenschaft der römischen
Pontifikaljurisprudenz, in Hommage à René Dekkers (Bruxelles 1982) 213 ss.; Id., Altrömische
Priesterjurisprudenz, in Iuris professio. Festgabe für Max Kaser zum 80. Geburtstag
(Wien-Graz-Köln 1986) 347 ss., in particolare 353: «Die pontifices
sind die ersten greifbaren Fachjuristen der antikokzidentalen Welt, und
spezifische Züge ihrer Expertentechnik haben sich den späteren römischen
Juristen und ihren europäischen Erben bis unsere Zeit aufgeprägt. Eben hierin
ist ein auf den ersten Blick ein unerwartetes unmittelbares Interesse noch der
heutigen Juristen an der Pontifikaljurisprudenz der Römer begründet»; Id.,
Römische Rechtsgeschichte. Quellenkunde,
Rechtsbildung, Jurisprudenz und Rechtsliteratur I (München 1988) 310 ss.; A.
Schiavone, Linee di storia del
pensiero giuridico romano (Torino 1994) 4 s.; F. Cancelli,
La giurisprudenza unica dei pontefici e
Gneo Flavio tra fantasie e favole romane e romanistiche (Roma 1996); S. Tondo, Appunti sulla giurisprudenza pontificale, in Per la storia del pensiero giuridico romano. Dall’età dei pontefici
alla scuola di Servio. Atti del seminario di S. Marino, 7-9 gennaio 1993, a
cura di D. Mantovani (Torino 1996) 1 ss.; C.A.
Cannata, Per una storia della
scienza giuridica europea. I. Dalle origini all’opera di Labeone
(Torino 1997); L. Franchini, Aspetti giuridici del pontificato romano.
L’età di Publio Licinio Crasso (212-183 a.C.) (Napoli 2008).
[7] Divisione del tempo tra
dèi e uomini (nefas e fas), insita nel calendario numano, era
stata ben evidenziata già da W. Warde
Fowler, The Religious Exsperience of the Roman People. From the earliest times to the age of
Augustus cit. 97-98: «The legal and political significance of the calendar consists
in the division of the days of the year into two great groups,
dies fasti and nefasti: the former are those on which it is fas,
i.e. religiously permissible, to transact civil business, the latter
those on which it would be nefas to do so, i.e. sacrilege,
because they are given over to the gods» [reperibile on line, nel
sito: http://www.gutenberg.org/files/23349/23349-h/23349-h.htm].
Sull’importante testo
liviano, con osservazioni sulle funzioni religiose, politiche e giuridiche del
calendario, vedi B. Liou-Gille, Le calendrier romain: histoire et fonctions
(Tite-Live, 1 19, 6-7), in Euphrosyne
20 (1992) 311 ss. Peraltro, a proposito del passo in questione, la studiosa
francese ritiene che il testo di Tito Livio ingeneri una qualche confusione
sull’essenza dei dies fasti e nefasti,
proprio nella parte conclusiva dell’excursus
sul calendario: Idem nefastos dies
fastosque fecit, qui aliquando nihil cum populo agi futurum erat; poiché
l’espressione utilizzata dall’annalista «nihil
cum populo agi» è un’espressione tecnica che si utilizzava sempre a
proposito delle assemblee del popolo, convocate in comizi centuriati o in
comizi tributi, sia per l’elezione dei magistrati, sia per votare delle leggi,
mentre i giorni fasti e nefasti non avevano riguardo che all’attività
giudiziaria (320).
[8] Riguardo al calendario
festivo della religione romana resta ancora valido, per molti versi, il lavoro
di W. Warde Fowler, The Roman Festivals of the Period of the
Republic. An Introduction to the Study of the Religion of the Romans (1899,
qui citato nella ristampa London 1925); ma sono da vedere anche P. de Francisci, Primordia civitatis (Roma 1959) 322 ss.; E. Vetter, Zum
altrömischen Festkalender, in Rheinisches
Museum für Philologie 103 (1960) 90 ss.; M.
Le Glay, La religion romaine (Paris
1971) 13 ss.; A. Pastorino, La religione romana (Milano 1973) 22
ss.; A.J. Pfiffig, Religio etrusca (Graz 1975) 91 ss.; G. Dumézil, Fêtes romaines d’été et d’automne, suivi de dix questions romaines
(Paris 1975) ora anche in trad. it.: ID., Feste
romane, a cura di M. Del Ninno (Genova 1989); D.P. Harmon, The Public Festival of Rome, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt
II.16.2 (Berlin-New York 1978) 1440 ss.; H.H.
Scullard, Festivals and Ceremonies
of the Roman Republic (London 1981) 51 ss.; anche in traduzione tedesca: Id., Römische
Feste. Kalender und Kult, übers. M. Buchholz (Mainz am Rhein 1985) 75 ss.
[9] Sul punto, vedi A.
Kirsopp Michels, The Calendar of the Roman Republic
(Princeton 1967) 5: «The pax deorum, the absence of divine anger, is
sought by all the great religious ceremonies of the state on behalf of the populus Romanus Quiritium, the
body of Roman citizens. All the activities of the state, those which to us seem
secular as well as those which are clearly religious, must be carried out at
times which meet with the approval of the gods, as it is interpreted by the
priests, because the orderly conduct of public affairs is to the Roman both
necessary for the maintenance of the pax
deorum, and also evidence that it has
been maintained. Disorder in the state is evidence that the gods are angry».
[10] Per le fonti vedi
Livius 1.19-20; Dionysius Hal. 2.64-73; Plutarchus Numa 9-14. Fra gli studiosi che si sono occupati delle riforme
religiose attribuite a Numa Pompilio, vedi soprattutto: J.B. Carter, The
Religion of Numa, and other Essays on the Religion of Ancient Rome (London
1906) 1 ss.; F. Ribezzo, Numa Pompilio e la riforma etrusca della
religione primitiva di Roma, in Rendiconti
dell'Accademia dei Lincei Ser. VIII 5
(1950) 553 ss.; P. BOYANCÉ, Fides et le serment, in Hommages à A. Grenier I, édités par M. Renard (Bruxelles 1962) 329
ss. [= Id., Etudes sur la Religion Romaine (Roma 1972)
91 ss.]; E.M. Hooker, The Significance of Numa's Religious Reforms,
in Numen 10 (1963) 87 ss.; F. Della Corte, Numa e le streghe, in Maia
26 (1974) 3 ss.; M.A. Levi, Il re Numa e i «penetralia pontificum»,
in Rendiconti dell'Istituto Lombardo
115 (1981, ma pubbl. 1984) 161 ss.; Id.,
«Fides», «Terminus», «familia» e le
origini della città, in Aa.Vv., Religione e città nel mondo antico (Roma 1984) 361 ss.; J. MARTÍNEZ
PINNA, La reforma de Numa y la
formación de Roma, in Gerión 3
(1985) 97 ss.; J. Poucet, Les origines de Rome. Tradition
et histoire (Bruxelles 1985) in part. 194 ss., 219 ss.;
L. Fascione, Il mondo nuovo. La
costituzione romana nella 'Storia di Roma arcaica' di Dionigi d'Alicarnasso I
parte (Napoli 1988) 128 ss.; G.
Capdeville, Les institutions
religieuses de la Rome primitive d’après Denys d’Halicarnasse, in Pallas 39 (1993) 153 ss.
[11] E. Peruzzi, Le origini di Roma I. La famiglia (Firenze 1970) 144 s.:
«L’importanza di questo argomento e
silentio è indubbia: la principale fonte scritta degli storici di Roma sono
gli annales maximi, e, come è verosimile che dedicassero particolare attenzione
a fatti di significato religioso, così è assolutamente certo che essi erano il
documento più preciso e minuzioso della tradizione pontificale. Ora, il passo
di Liu. 1.20.5 è una scarna notizia, espressa non meno ieiune di quelle degli annales,
che reca un elemento davvero singolare. Trattando della più antica età regia,
non di rado lo storico patavino indica la parentela dei personaggi, sia pure
concisamente, però questo è l’unico caso in cui egli menziona un individuo con
la sua formula onomastica, quale doveva apparire in registrazioni burocratiche:
Numa Marcius Marci Filius; formula,
si noti, dell’età di Numa Pompilio, poiché questo sovrano, come diceva il
sarcofago riportato alla luce nel 181 a.C., si chiamava ufficialmente Numa Pompilius Pomponi filius rex Romanorum.
Ritengo probabile che la notizia di Livio risalga in ultima analisi agli annales». Cfr. Id., Le origini di Roma
II. Le lettere (Bologna 1973) 156:«Già la formula onomastica Numa Marcius Marci filius dà
l’impressione che questa notizia risalga agli annales maximi»;
162:«Tutti i precisi particolari di Liu. 1.20.5-7 sul pontefice, che, ripeto, è
l’ultimo dei sacerdoti elencati e tuttavia, unico fra tutti, è perfino
rammentato con piena formula onomastica, denotano che la fonte prima da cui
deriva la notizia dello storico patavino è un testo redatto dai pontefici:
verosimilmente (poiché si tratta di una notizia storica, non di norme religiose
o giuridiche), gli annales maximi».
[12] F. Sini, Documenti
sacerdotali di Roma Antica 1. Libri e
commentarii (Sassari 1983) 160 s. [il libro, ora, è consultabile anche on
line; per il capitolo che qui interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Documenti-sacerdotali-Cap-IV.htm].
Cfr., inoltre, F. Sini, Sua
cuique civitati religio. Religione e
diritto pubblico in Roma antica (Torino 2001) 132 s.; 177 ss.; Id., Люди
и боги в
римской
религиозно-юридической
системе: pax deorum,
время богов,
жертвоприношения = Uomini e Dèi nel sistema
giuridico-religioso romano: Pax deorum, tempo degli Dèi,
sacrifici (trad. in lingua russa), in
Ius Antiquum-Древнее право 8 ([Moskva] 2001) 8 ss.: in particolare § 4; Id., Human Being and Gods in
the Roman Juridical-religious System: Pax Deorum, Times of Gods and Sacrifice,
translated by Xu Guodong, pubbl. in cinese nella rivista Roman Law and Modern
Civil Law (Università di Xiamen) 3 (2002) 1 ss. [articolo reperibile on
line anche in lingua italiana nel sito: http://eprints.uniss.it/126/];
Id., Aspetti giuridici e
rituali della religione romana: sacrifici, vittime e interpretazioni dei
sacerdoti, in Aa.Vv., Poteri
religiosi e istituzioni: il culto di San Costantino Imperatore tra Oriente e
Occidente, a cura di F. Sini e P.P. Onida [Collezione «Sistemi Giuridici
del Mediterraneo». Studi e testi, 3]
(Torino 2003) 24 ss.; Id., Dai peregrina sacra alle pravae et externae religiones dei Baccanali: alcune riflessioni su
‘alieni’ e sistema giuridico-religioso romano, in La condition des “autres” dans les systèmes juridiques de la
Méditerranée [Collection Systèmes Juridiques de la Méditerranée. Études et
documents, 1], sous la direction de Francesco Castro et Pierangelo Catalano
(Paris 2001, pubbl. 2004) 70 s.; Id., Diritto
e pax deorum in Roma antica, in Diritto @ Storia. Rivista internazionale di
Scienze Giuridiche e Tradizione Romana 5 (2006) § 4
<http://www.dirittoestoria.it/5/Memorie/Sini-Diritto-pax-deorum.htm>
(vedine traduzione russa: Ф.
СИНИ, Право
и pax deorum в древнем
Риме, in Ius Antiquum-Древнее
право 19
([Moskva] 2007) 22 ss. [reperibile anche on line nel sito: http://eprints.uniss.it/8856/1/Sini_F_Diritto_e_pax_deorum.pdf]); Id., Pax deorum e sistema giuridico-religioso romano, in Fides Humanitas Ius. Studii in onore di Luigi Labruna VII, a
cura di C. Cascione-C. Masi Doria (Napoli 2007) 5178 ss.
[13] Per la critica al testo
liviano rinvio al commento di R.M.
Ogilvie, Commentary on Livy. Books
1-5 cit. 101. Le potenzialità ordinatorie e sistematiche del passo per
l’interpretazione dello ius sacrum e
dello ius publicum sono state studiate (ed esposte magistralmente) da C.M.A. Rinolfi, Livio 1.20.5-7: pontefici, sacra, ius
sacrum, in Diritto @ Storia. Rivista internazionale di Scienze
Giuridiche e Tradizione Romana 4 (2005) <http://www.dirittoestoria.it/4/Tradizione-Romana/Rinolfi-Pontefici-sacra-ius-sacrum.htm>
.
[14] F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica cit. 160-161 [reperibile anche
on line nel sito http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Documenti-sacerdotali-Cap-IV.htm].
[16] Conforme alla tradizione liviana Plutarchus Numa 22.2:
πυρὶ μὲν οὖν οὐκ ἔδοσαν τὸν νεκρὸν αὐτοῦ κωλύσαντος, ὡς λέγεται, δύο δὲ ποιησάμενοι λιθίνας σοροὺς ὑπὸ τὸ Ἰάνοκλον ἔθηκαν, τὴν μὲν ἑτέραν ἔχουσαν τὸ σῶμα, τὴν δὲ ἑτέραν τὰς ἱερὰς βίβλους ἃς ἐγράψατο μὲν αὐτός, ὥσπερ οἱ τῶν Ἑλλήνων νομοθέται τοὺς κύρβεις.
[17] Plutarchus Numa
14.6-7. Sulle fonti della ‘vita di Numa’, vedi L. Piccirilli, Introduzione,
in Plutarco, Le vite di
Licurgo e di Numa, a cura di M. Manfredini e L. Piccirilli cit. XLII ss.
[18] Servius in Verg. Ecl. 5.66: Sane
quaeritur, cur duo altaria Apollini se positurum dicat, cum constet supernos
deos impari gaudere numero, infernos vero pari, ut numero deus impare gaudet,
quod etiam pontificales indicant libri (cfr. anche Servius auctus in Verg. Ecl. 8.75; Macrobius
Sat. 1.13.5).
P. Preibisch,
Fragmenta librorum pontificiorum
(Tilsit 1878) 13 fr. 56. Commenti al testo: A.
BOUCHÉ-LECLERCQ, Les pontifes de
l’ancienne Rome cit. 113; G. Rohde,
Die Kultsatzungen der römischen
Pontifices (Berlin 1936) 37 s.; F. Sini,
Documenti sacerdotali di Roma antica
cit. 109 [il libro, ora, è consultabile anche on line; per il capitolo che qui
interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Documenti-sacerdotali-Cap-III.htm].
[19] Plinius Nat. hist.
14.88: Romulum lacte, non vino libasse
indicio sunt sacra ab eo instituta, quae hodie custodiunt morem. Numae regis
proxumi lex est: "Vino rogum ne respargito". Quod sanxisse illum
propter inopiam rei nemo dubitet. Eadem lege ex imputata vite libari vina diis
nefas statuit, ratione excogitata ut putare cogerentur alias aratores et pigri
circa, pericula arbusti. M. Varro auctor est Mezentium Etruriae regem auxilium
Rutulis contra Latinos tulisse vini mercede quod tum in Latino agro fuisset.
Sul divieto, vedi G. Piccaluga, Numa e il
vino, in Studi e Materiali di Storia
delle Religioni 33 (1962) 99 ss.; Ead.,
Bona Dea. Due contributi all’interpretazione del suo culto, Ibidem 35 (1964) 195 ss.; G. Dumézil, Vin et souveraineté, in Id., Fêtes romaines d'été et d'automne, suivi de
Dix questions romaines cit. 87 ss. [= Id., Feste romane
cit. 91 ss.]; più in generale, sul vino in età
arcaica, vedi L. Minieri, Vini
usus feminis ignotus, in Labeo 28
(1982) 150 ss.; M. Gras, Vin et société à Rome et dans le Latium à
l’époque archaïque, in Forme di
contatto e processi di trasformazione nelle società antiche. Atti del convegno di Cortona (24-30 Maggio
1981) (Pisa-Roma 1983) 1067 ss.; G. Pucci,
I consumi alimentari, in A. Schiavone (direz.) Storia di Roma IV. Caratteri e morfologie (Torino 1989) 372 ss.
[20] Plinius Nat. hist. 18.7: Numa instituit deos fruge colere et mola salsa supplicare atque, ut
auctor est Hemina, far torrere, quoniam tostum cibo salubrius esset, id uno
modo consecutus, statuendo non esse purum ad rem divinam nisi tostum. Cfr.
Servius auctus in Verg. Ecl. 8.82.
D. Sabbatucci, La religione di Roma antica, dal calendario festivo all'ordine cosmico
(Milano 1988) 61: «All’importanza politico-sociale della riunione faceva
riscontro l’importanza economico-religiosa del farro. Importanza economica: il
farro è il più antico cereale coltivato dai Romani, e forse il solo cereale
fino al 5° secolo a.C. Importanza religiosa: la farina di farro mista a sale,
la cosiddetta mola salsa, era indispensabile per
l’esecuzione di ogni sacrificio, tanto che immolare
(cospargere di mola salsa la vittima) era diventato sinonimo
di sacrificare; il matrimonio
solenne, quello che non ammetteva divorzio ed era prescritto per alcuni
sacerdozi, quello che veniva celebrato dal pontefice massimo alla presenza di
sei testimoni, era chiamato confarreatio
da una focaccia di farro offerta dalla sposa». Sul farro nella religione
romana, cfr. anche A. Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle origini,
2ª ed. (Roma 1976) 126 ss.
[21] Livius 5.21.16: Convertentem se inter hanc venerationem traditur memoriae prolapsum
cecidisse; idque omen pertinuisse postea eventu rem coniectantibus visum ad
damnationem ipsius Camilli, captae deinde urbis Romanae, quod post paucos
accidit annos, cladem. Svetonius Vitell.
2: Idem miri in adulando genii, prius C.
Caesarem adorare ut deum instituit, cum reversus ex Syria non aliter adire
ausus esset quam capite velato circumvertensque se, deinde procumbens.
[22] Arnobius Adv. Nat. 2.73.18: Non
doctorum in litteris continetur, Apollinis nomen Pompiliana indigitamenta
nescire? Sui nomina deorum che
si invocavano negli indigitamenta,
risulta ancora di qualche profitto il vecchio lavoro di I.A. Ambrosch, Über die Religionsbücher der Römer (Bonn 1843); indispensabili,
invece, sia il libro di A. Bouché-Leclercq, Les pontifes de l'ancienne Rome cit. 24 ss.; sia il manuale di J. Marquardt, Römische Staatsverwaltung III. Das Sacralwesen cit. 7 ss. [= Id.,
Le culte chez les Romains Tome I cit.
10 ss.]; J. Bayet, Les feriae sementivae et les indigitations dans le culte de Cérès
et de Tellus, in Revue d'Histoire des
Religions 137 (1950) 172 ss. [ora in Id.,
Croyances et rites dans la Rome antique
(Paris 1971) 175 ss.]; G.B. Pighi,
La religione romana (Torino 1967) 45
ss.; A. Pastorino, La religione romana cit. 199 ss.; G. DumÉzil, La religion romaine archaïque cit. 50 ss. [= ID.,
La religione romana arcaica cit. 46
ss.]; R. Del Ponte, La religione dei Romani (Milano 1992) 78 ss.; ID., Aspetti
del lessico pontificale: gli indigitamenta, in Ius Antiquum-Древнее право 5 ([Moskva] 1999) 154 ss.
[pubblicato anche in Diritto @ Storia 1 (2002) <http://www.dirittoestoria.it/tradizione/R.%20Del%20Ponte%20-%20Aspetti%20del%20lessico%20pontificale.htm>.
[23] Servius in Verg. Georg. 1.21: Quod autem dicit ‘studium quibus arva
tueri’, nomina haec numinum in indigitamentis inveniuntur, id est in libris
pontificalibus, qui et nomina deorum et rationes ipsorum nominum continent,
quae etiam Varro dicit. Nam, ut supra diximus, nomina numinum ex officiis
constant imposita, verbi causa ut ab occatione deus Occator dicatur, a
sarratione Sarritor, a stercoratione Sterculinus, a satione Sator. Ho
seguito la lezione del testo serviano offerta da B. Cardauns: M. Terentius
Varro, Antiquitates rerum divinarum. Teil I. Die Fragmente (Wiesbaden 1976)
64 fr. 87, il quale ha ritenuto il passo di Servio un frammento varroniano,
tratto dal XIV libro delle Antiquitates
rerum divinarum: «Man darf also Serv. georg. 1, 21 (fr. 87) mit guter Wahrscheinlichkeit auf RD XIV
zurückführen und der Einleitung des Buches zuweisen, in der Varro auf Indigitamenta als wichtige – doch sicher
nicht einzige – Quelle hinweis. Dass auch die bei Servius folgenden
Ausführungen und vor allem die Zwölfgötterreihe den RD entstammen, ist möglich,
aber ungewiss» [Op. cit. II. Kommentar 184].
Vedi anche F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica
cit. 108 s. [consultabile anche on line, nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Documenti-sacerdotali-Cap-III.htm].
[24] Sull’archivio dei
pontefici, ma senza pretesa di completezza bibliografica, si vedano: J.-V. Le Clercq,
Des journaux chez les Romains, recherches
précédées d’un mémoire sur les annales des pontifes, et suivies de fragments
des journaux de l’ancienne Rome (Paris 1838) 127 ss.; I.A. Ambrosch, Studien und Andeutungen im Gebiet des altrömischen Bodens und Cultus
(Breslau 1839) 159 ss.; Id., Observationum de sacris Romanorum libris
particula prima (Vratislaviae 1840); Id.,
Quaestionum pontificalium caput primum
(Vratislaviae 1848); Id., Quaestionum pontificalium caput alterum
(Vratislaviae 1850); E. Luebbertus,
Commentationes pontificales (Berolini
1859); A. BOUCHÉ-Leclercq, Les pontifes de l’ancienne Rome cit. 19 ss.; P. Preibisch, Quaestiones de libris pontificiis (Vratislaviae 1874); Id.,
Fragmenta librorum pontificiorum cit.; J. Marquardt,
Römische Staatsverwaltung III. Das Sacralwesen cit. 299 ss. [= Id., Le culte chez les Romains II cit. 358 ss.]; R. Peter, De Romanorum precationum carminibus, in Commentationes Philologae in honorem Augusti Reifferscheidii
(Vratislaviae 1884) 67 ss.; Id., Quaestionum pontificalium specimen
(Argentorati 1886); W. Rowoldt, Librorum pontificiorum Romanorum de
caeremoniis sacrificiorum reliquiae (Halis Saxonum 1906); C.W. Westrup, On the Antiquarian-Historiographical Activities of the Roman Pontifical College
(København 1929); lo stesso tema viene poi ripreso dal Westrup nel quarto
volume della sua opera di maggiore impegno: Introduction
to early Roman Law. Comparative
sociological studies IV. Sources and Methods
(London-Copenhagen 1950); G. Rohde,
Die Kultsatzungen der römischen
Pontifices cit. 14 ss.; R. Besnier,
Les archives privées, publiques et
religieuses à Rome au temps des rois, in Studi in memoria di Emilio Albertario II (Milano 1953) 1 ss.; G.B. Pighi, La religione romana cit. 41 ss.; F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma
antica cit. 17 ss. [il libro, ora, è
consultabile anche on line; per il capitolo che qui interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Documenti-sacerdotali-Cap-I.htm];
J.A. North, The books of the pontifices,
in La mémoire perdue. Recherches sur l’administration romaine, Avant-propos de C. Moatti (Rome 1998) 45 ss.
[25] E. Peruzzi, Origini di Roma II cit. 155
ss.: «E quindi si dovrà attribuire a exscripta
exsignataque un preciso valore
tecnico; e ciò a tanto maggior ragione in quanto lo stile arido e minuzioso
della notizia liviana esclude che si possa vedere in tale binomio
un’espressione ridondante, come invece presuppongono certe versioni […] è impossibile dire cosa significhi
propriamente exsignatus nel passo
liviano (munito di sigillo impresso con un anello, accompagnato da una formula
di approvazione, da un explicit,
ecc.), ma l’espressione exscripta
exsignataque non lascia dubbio che il testo affidato al pontefice era una
copia, integrale o parziale, autenticata dal rex, degli stessi libri
latini “iuris pontificii” che si ritroveranno nel 181 a.C., cioè un esemplare
che Numa aveva debitamente dichiarato conforme all’originale o comunque
pienamente valido» (162-163). Sul rapporto tra i sacra omnia exscripta
exsignataque di Numa Pompilio e i più antichi libri dei pontefici, vedi F.
SINI, Documenti sacerdotali di
Roma antica cit. 160 s. [consultabile, ora, anche on line; per il capitolo
che qui interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Documenti-sacerdotali-Cap-IV.htm].
[26] Cfr. Varro in Festus De verb. sign. v. opima spolia, p. 204 L. Quanto al rapporto
tra i sacra omnia exscripta exsignataque di
Numa Pompilio e i più antichi libri
dei pontefici, vedi anche F. Sini,
Documenti sacerdotali di Roma antica cit.
160 s.: «è noto che nelle fonti
la compilazione dei ‘primi’ libri
sacerdotali si presenta strettamente connessa con l’organizzazione voluta dal
re Numa Pompilio; anzi, … tale compilazione deve essere considerata, anche
materialmente, opera dello stesso re. Del resto appare ben comprensibile
l’esigenza di testi scritti che la riforma religiosa di Numa dovette imporre,
se solo si consideri la complessità dei sacra
e delle caerimoniae e la minuziosa
regolamentazione dei sacrifici, testimoniati a proposito della religiosità di
quell’epoca. Che poi questi libri Numae abbiano costituito il nucleo
primitivo dei libri pontificum è sostenuto anche dalla
tradizione antiquaria» [il libro, ora, è consultabile anche on line; per il
capitolo che qui interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Documenti-sacerdotali-Cap-IV.htm].
Recentissima messa a
punto sulla questione: R. LAURENDI, Leges regiae e ius papirianum. Tradizione
e storicità di un corpus normativo
[Studia Juridica, LXXXVIII] (Roma 2013) in particolare 123 ss., anche per
ulteriore bibliografia.
[28] N. Turchi, La religione di Roma antica cit. 41: controllo rituale, responsi
sull'attività circa le cose sacre e pubbliche, controllo sul culto degli dèi
patri e sull'accettazione dei culti stranieri, controllo sul diritto funerario,
espiazione e neutralizzazione di fulmini e prodigi funesti.
[29] E. Peruzzi, Origini di
Roma II. Le lettere cit. 165 s. La divisione delle materie prospettata dal
Peruzzi è la seguente: A) caelestes caerimoniae, comprendente i sacra dei collegi sacerdotali maggiori e
gli altri sacra pubblici e privati,
divise in cinque capitoli: 1 quibus hostiis, 2 quibus diebus, 3 ad quae
templa, 4 unde in eos sumptus pecunia, 5 cetera
publica privataque sacra; B) 6 iusta
funebria et ad placandos manes; C) 7 prodigia
fulminibus aliove quo visu missa.
[30] D. Sabbatucci, La religione di Roma antica, dal
calendario festivo all'ordine cosmico cit. 5.
[31] Riguardo alle
prerogative giuridiche e religiose di questi sacerdoti abbiamo – com’è noto –
una vastissima bibliografia; mi limito pertanto a segnalare, senza alcuna
pretesa di completezza, qualche titolo “recente”: J. Vernacchia, I
pontefici nella storia del processo romano arcaico, in Ciceroniana 1.2 (1959) 124 ss.; Ead.,
Il pontificato nell'ambito della res publica romana, in Studi in onore di
Emilio Betti IV (Milano 1962) 425 ss.; Ead.,
Cogitabant Pontifices, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio
Guarino I (Napoli 1984) 315 ss.; G.J. Szemler,
The Priests of the Roman Republic. A
Study of Interactions between Priesthoods and Magistracies (Bruxelles 1972); Id., The Dual Priests of the Republic, in Rheinisches Museum für Philologie 117 (1975) 72 ss.; Id., v. Pontifex, in Real-Encyclopädie
der classischen Altertumswissenschaft Suppl. XV cit. 331 ss.; H.
Le Bourdelles, Nature profonde du
pontificat romain. Tentative d'une étymologie, in Revue d'Histoire des Religions 189 (1976) 53 ss.; A. Pariente, Sobre pontifex, in Durios
6 (1978) 7 ss.; F. Wieacker, Altrömische Priesterjurisprudenz cit.
347 ss.
[32] Per un rapido elenco
dei calendari superstiti, vedi N.
Turchi, La religione di Roma
antica cit. 320 s.; D. Sabbatucci,
La religione di Roma antica, dal
calendario festivo all'ordine cosmico cit. 8; frammenti epigrafici in A. Degrassi, Inscriptiones Italiae vol. 13: Fasti
et elogia (Roma 1963).
Sull’antico calendario
romano: V.L. Johnson, The Prehistoric Roman Calendar, in American Journal of Philology 84 (1963)
28 ss.; A. Kirsopp Michels, The Calendar
of the Roman Republic cit., da vedere con la recensione di J.-CL. Richard, Le calendrier
préiulien, in Revue des études latines 46 (1968) 54 ss.; Ch. Guittard, Le
calendrier romaine des origines au milieu du Ve siècle avant J.C., in Bulletin de l'Association G. Budé 2
(juin 1973) 203 ss.; H. Hauben, Some Observations on the Early Roman
Calendar, in Ancient Society 11-12 (1980-1981) 241 ss.; A.J. Holleman, Zur
Schaltung im vorjulianischen römischen Kalender, in Rheinisches Museum für Philologie 124 (1981) 55 ss.; P. Brind'amour, Le calendrier romain. Recherches chronologiques (Ottawa 1983); W.
Bergmann, Der römische Kalender:
zur sozialen Konstruktion der Zeitrechnung. Ein Beitrag zur Soziologie der Zeit,
in Saeculum 35 (1984) 1 ss.; G. Radke, Fasti Romani. Betrachtungen zur Frühgeschichte des
römischen Kalenders (Münster 1990); J.
Rüpke, The Roman
Calendar from Numa to Constantine. Time, History and the Fasti cit.
[34]
A. BOUCHÉ-LECLERCQ, Les pontifes de l’ancienne
Rome cit. 228 ss.; J. Marquardt,
Römische Staatsverwaltung III. Das
Sacralwesen cit. 281 ss. [= ID., Le
culte chez les Romains I cit. 337 ss.]; G.
Wissowa, Religion und Kultus der
Römer cit. 432 ss.; N. Turchi, La religione di Roma antica cit. 77 ss.;
K. Latte, Römische Religionsgeschichte cit. 205 s.; G. Dumézil, La
religione romana arcaica cit. 478 ss.; F.
Van Haeperen, Le collège
pontifical (3ème s. a.C.-4ème s. p.C.). Contribution à l’étude de la religion
publique romaine cit. 216 ss.
[35] Svetonius Div.
Iul. 40: Conversus hinc ad ordinandum rei publicae statum, fastos correxit, iam
pridem vitio pontificum per intercalandi licentiam adeo turbatos, ut neque
messium feriae aestate neque vindemiarum autumno conpeterent; annumque ad
cursum solis accommodavit, ut trecentorum sexaginta quinque dierum esset, et,
intercalario mense sublato, unus dies quarto quoque anno intercalaretur. Quo
autem magis in posterum ex Kalendis Ianuariis novis temporum ratio congrueret,
inter Novembrem et Decembrem mensem interiecit duos alios: fuitque is annus,
quo haec constituebantur, quindecim mensium cum intercalario, qui ex
consuetudine in eum annum inciderat.
[36] La riforma cesariana del calendario romano è ben descritta da Macrobio (Sat. 1.14), il quale riferisce anche la sua pubblicazione per mezzo di un editto: Sic annum civilem Caesar habitis ad lunam dimensionibus constitutum edicto palam posito publicavit (Sat. 1.14.13). Quanto alla bibliografia, mi limiterò solo ad alcune segnalazioni fra gli studi recenti: G. Radke, Fasti Romani. Betrachtungen zur Frühgeschichte des römischen Kalenders cit. 62 ss.; J. Malitz, Die Kalenderreform Caesars. Ein Beitrag zur Geschichte seiner Spätzeit, in Ancient Society 18 (1987) 103 ss. [reperibile anche on line: http://www.gnomon.ku-eichstaett.de/LAG/kalender.html]; T. Tarver, Varro, Caesar, and the Roman calendar: a study in late Republican religion, in A.H. Sommerstein (ed.), Religion and Superstition in Latin Literature [Nottingham Classical Literature Studies, 3] (Bari 1994) 39 ss.; K. Bayer, Caesars Kalenderreform, in Dialog Schule und Wissenschaft. Klassische Sprachen und Literaturen Bd. 31: Vermächtnis und Herausforderung, hrsg. von P. Neukam (1997) 32 ss.
[37] In tal senso, cfr. B.
Liou-Gille, Le calendrier romain:
histoire et fonctions (Tite-Live, 1 19, 6-7) cit. 321.
[38] Per la definizione del
concetto di pax deorum, vedi H. Fuchs, Augustinus und der antike Friedengedanke. Untersuchungen zum
neunzehnten Buch der Civitas Dei
(Berlin 1926) 186 ss.; ampi riferimenti alle fonti attestati i comportamenti
umani suscettibili di violarla, in P. Voci,
Diritto sacro romano in età arcaica,
in Studia et Documenta Historiae et Iuris
19 (1953) 49 ss. [= Id., Scritti di diritto romano I (Padova
1985) 226 ss.]; a cui sono da aggiungere, M.
Sordi, Pax deorum e libertà religiosa nella storia di Roma,
in Aa.Vv., La pace nel mondo antico (Milano 1985) 146 ss.; E. Montanari, Il concetto originario di pax
e pax deorum, in Concezioni della pace. Seminario 21 aprile 1988 [Da Roma alla Terza Roma,
Studi – VI], a cura di P. Catalano e P. Siniscalco (Roma 2006) 39 ss.; Id., Mito e storia nell'annalistica romana delle origini (Roma 1990) 85
ss. (Appendice I: «Tempo della città e pax
deorum: l'infissione del clavus
annalis»). Vedi, anche F. Santangelo, Pax deorum and Pontiffs, in J.H. Richardson-F. Santangelo (eds.), Priests and State in the Roman World (Stuttgart 2011) 161
ss.
Ho
trattato di pax deorum in alcuni dei miei studi, che cito qui di seguito, anche per
i costanti aggiornamenti bibliografici: F.
Sini, Bellum nefandum. Virgilio e
il problema del "diritto internazionale antico" (Sassari 1991)
256 ss. (ivi fonti e letteratura precedente) [il libro, ora, è consultabile
anche on line; per il capitolo che qui interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Bellum-Nefandum-Cap-V.htm];
Id., La negazione nel linguaggio precettivo dei sacerdoti romani, in Il Linguaggio dei Giuristi Romani. Atti del
Convegno Internazionale di Studi, Lecce, 5-6 dicembre 1994, a cura di O.
Bianco e S. Tafaro (Galatina 2000) 176 ss.;
Id., Sua cuique civitati religio. Religione
e diritto pubblico in Roma antica cit. 167 ss., 262 ss.; Id., Люди
и боги в
римской
религиозно-юридической
системе: pax deorum,
время богов,
жертвоприношения = Uomini e Dèi nel sistema
giuridico-religioso romano: Pax deorum, tempo degli Dèi, sacrifici
(trad. in lingua russa), in Ius Antiquum-Древнее право 8 cit. 8 ss.; Id., «Fetiales, quod fidei publicae inter
populos praeerant»: riflessioni su fides e “diritto internazionale”
romano (a proposito di bellum, hostis, pax), in Il
ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e
contemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di A.
Burdese. (Padova - Venezia - Treviso, 14-15-16 giugno 2001), a cura di L.
Garofalo, III (Padova 2003) 535 ss.; Id.,
Aspetti giuridici e rituali della religione romana: sacrifici, vittime e
interpretazioni dei sacerdoti, in Aa.Vv.,
Poteri religiosi e istituzioni: il culto di San Costantino Imperatore tra
Oriente e Occidente cit. 19 ss.; Id.,
Ut iustum conciperetur bellum: guerra “giusta” e sistema
giuridico-religioso romano, in Seminari
di storia e di diritto, III. «Guerra
giusta»? La metamorfosi di un concetto antico, a cura di A. Calore (Milano
2003) 71 ss.; Id., Bellum, fas, nefas: aspetti religiosi e giuridici della guerra
(e della pace) in Roma antica, in Diritto @ Storia 4
(2005) § 9 <http://www.dirittoestoria.it/4/Memorie/Sini-Guerra-pace-Roma-antica.htm>;
Id., Diritto e pax deorum in Roma
antica, in Diritto @ Storia 5
cit. § 2 <http://www.dirittoestoria.it/5/Memorie/Sini-Diritto-pax-deorum.htm>
(vedine traduzione russa: Ф.
СИНИ, Право
и pax deorum в древнем
Риме, in Ius Antiquum-Древнее
право 19
cit. 9 ss. [reperibile anche on line nel sito: http://eprints.uniss.it/8856/1/Sini_F_Diritto_e_pax_deorum.pdf]); Id.,
Pax deorum e sistema giuridico-religioso romano, in Fides Humanitas Ius. Studii in onore di Luigi Labruna VII
cit. 5165 ss.; Id., Religione
e poteri del popolo in Roma repubblicana, in Diritto @ Storia 6
(2007, ma on line febbraio 2008) § 4 <http://www.dirittoestoria.it/6/Tradizione-romana/Sini-Religione-poteri-Popolo-Roma-repubblicana.htm>
; Id., La règle «iniussu populi voveri non
posse»: le peuple et la
religion dans la Rome républicaine, in Diritto @ Storia 9
(2010, ma on line febbraio 2011) § 3 <http://www.dirittoestoria.it/9/Tradizione-Romana/Sini-Iniussu-populi-voveri-non-posse.htm>.
[39] Quanto alla valenza
della ritualità ripetuta, vedi ora le puntuali osservazioni di L. Franchini, Il diritto casistico: esperienza romana arcaica e ‘common law’, in Diritto @ Storia 10 (2011-2012) <http://dirittoestoria.it/10/Tradizione-Romana/Franchini-Esperienza-romana-arcaica-common-law.htm>:
«Sulla intangibilità dei riti formalizzati da parte della mera prassi,
attestata in Gai 4.11, torneremo fra breve: si rifletta fin d’ora, comunque,
sul fatto che, nella concezione giuridico-religiosa arcaica, gesti ed
espressioni che si fossero già rivelati di per sé efficaci, socialmente e
sacralmente rassicuranti, in quanto si fossero sempre dimostrati idonei a
mantenere la pax deorum e a
preservare l’ordine della comunità, dovevano, proprio per questo, essere
costantemente ripetuti come tali, e che ogni modifica o correzione sarebbe
potuta avvenire, ove quei comportamenti sembrassero aver perduto le loro
intrinseche valenze satisfattive, soltanto ad opera dei sacerdoti» (ivi nt.
30). Nello stesso senso, Id., La desuetudine
delle XII tavole nell'età arcaica
(Milano 2005) 15-16, nt. 35.
[40] P. Braun, Les tabous des «feriae», in L’Année Sociologique 3e ser. 10 (1959,
ma pubbl. 1960) 49 ss.
[42] L'utilizzazione del termine “sapienza”,
seppure non usuale per i sacerdoti, trova la sua giustificazione nel
significato più risalente del vocabolo latino sapientia, il quale, similmente al verbo sapere, veniva riferito in origine quasi
esclusivamente alla sfera dell'attività pratica ed era comunque con essa più o
meno direttamente collegato; così ancora per Plauto «sapiens è colui che sa vivere e la sapientia è intesa
essenzialmente come ars vivendi»:
G. GARBARINO, Evoluzione semantica dei termini “sapiens” e
“sapientia” nei secoli III e II a.C.,
in Atti dell'Accademia delle Scienze di Torino (II. Classe di Scienze
Morali, Storiche e Filologiche) vol.
100 (1965-1966) 254. Una significativa conferma di questa pregnante accezione
originaria, riferita tuttavia a diverso contesto culturale, nelle pagine
introduttive di G. COLLI, La sapienza greca I (Milano 1977) 15 ss.
Non bisogna del resto dimenticare che a Roma la
"sapienza" sacerdotale aveva anche funzioni tecnico-pratiche,
soprattutto per quanto riguarda le antichissime attività produttive: cfr. E.
PAIS, I pontefici, l'agricoltura e l’“annona”. “Leges regiae” e “leges
sumptuariae”, in Ricerche
sulla storia e sul diritto pubblico di Roma I (Roma 1915) 423 ss. Più in
generale sul rapporto (strettissimo nella religione romana arcaica) tra feste,
stagioni e ciclo produttivo, si veda G. DUMÉZIL, Fêtes romaines d'été et
d'automne, suivie de dix questions romaines cit. [= ID., Feste romane
cit.].
[43] Cfr. F. Van
Haeperen, Le collège pontifical
(3ème s. a.C.-4ème s. p.C.). Contribution à l’étude de la religion publique
romaine cit. 226 ss.
[44] Sulle implicazioni di
questo passo del Servio Danielino nella prospettiva di una ricostruzione delle
materie raccolte ed elaborate nei libri
pontificum, si vedano, pur nella
diversità di valutazioni, G. Rohde,
Die Kultsatzungen der römischen
Pontifices cit. 40 s.; F. Sini,
Documenti sacerdotali di Roma antica
cit. 109 s. [il libro, ora, è consultabile anche on line; per il capitolo che
qui interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Documenti-sacerdotali-Cap-III.htm].
[46] Vergilius Georg. 1.268-272. Su questi versi, risultano
ancora valide le riflessioni di W. Warde
Fowler, Roman Essays and
Interpretations (Oxford 1920) 79 ss.
[47] Columella De re
rust. 2.21: (Quae per ferias liceat agricolis et quae non liceat facere) Sed cum tam otuii quam negotii rationem reddere
maiores nostri censuerunt, nos quoque monendos esse agricolas existimamus, quae
feriis facere quaeque non facere debeant. Sunt enim, ut ait poeta, quae «festis
exercere diebus / fas et iura sinunt: rivos deducere nulla / religio vetuit,
segeti praetendere saepem, / insidias avibus moliri, incendere vepres /
balantumque grege fluvio mersere salubri». Quamquam pontifices negant segetem
feriis saepiri debere; vetant quoque lanarum causa lavari oves nisi propter
medicinam. Vergilius, quos liceat feriis flumine abluere gregem, praecipit et
idcirco adicit «fluvio mersere salubri», id est salutari; sunt enim vitia,
quorum causa pecus utile sit lavare. Feriis autem ritus maiorum etiam illa
permittit: far pinsare, faces incidere, cadelas sebare, vinea conductam colere,
piscinas, lacus, fossas veteres tergere et purgare, prata sicilire, stercora
aequare, foenum in tabulata componere, fructus oliveti conductos cogere, mala,
pira, ficos pandere, caseum facere, arbores serendi causa collo vel mulo
clitellario adferre; sed iuncto advehere non permittitur nec adportanda serere
neque terram aperire neque arborem conlucare, sed ne sementem quidem
administrare, nisi prius catulo feceris, nec faenum secare aut vincire aut
vehere. Ac ne vindemiam quidem cogi per religiones pontificum feriis licet nec
ovis tondere, nisi si catulo feceris. Defructum quoque facere et vinum
defrutare licet. Uvas itemque olivas conditu legare licet. Pellibus oves
vestiri non licet. In horto quicquid holerum causa facias, omne licet. Feriis
publicis hominem mortuum sepeliri non licet. M. Porcius Cato mulis, equis,
asinis nullas esse farias ait, idemque boves permittit coniungere lignorum
frumentorum advehendorum causa. Nos apud pontifices legimus fereis tantum
denicalibus mulos iungere non licere, ceteris licere.
[48] Intorno
all’elaborazione teologica e giuridica di questo sommo giurista dell’età
repubblicana, vedi fra gli altri: G.
Lepointe, Quintus Mucius Scaevola
I. Sa vie et son oeuvre juridique. Ses doctrines sur le droit pontifical
(Paris 1926), a cui rimando per la bibliografia precedente; F. Schulz, Storia della giurisprudenza romana cit. 81 ss.; O. Behrends, Die Wissenschaftslehre im Zivilrecht des Q. Mucius Scaevola, in Nachrichten der Akademie der Wissenschaften
in Göttingen. Philologisch-Historische Klasse (Göttingen 1976) 265 ss.; A.
Schiavone, Nascita della
giurisprudenza. Cultura aristocratica e pensiero
giuridico nella Roma tardo-repubblicana (Roma-Bari 1976); Id., Giuristi e nobili nella Roma repubblicana. Il secolo della rivoluzione scientifica nel pensiero antico
(Roma-Bari 1987) 25 ss.; Id., Linee di storia del pensiero giuridico
romano cit. 47 ss.; M. Talamanca, Costruzione giuridica e strutture sociali
fino a Quinto Mucio, in Società
romana e produzione schiavistica. 3. Modelli etici, diritto e trasformazioni
sociali, a cura di A. Giardina e A. Schiavone (Roma-Bari 1981) 15 ss.; R.A. Bauman, Lawyers in Roman republican politics. A study of Roman jurists in their
political setting, 316-82 BC (München 1984) 340 ss.; F. Bona, Cicerone e i “libri iuris civilis” di Quinto Mucio Scevola, in Aa.Vv., Questioni di giurisprudenza tardo-repubblicana. Atti di un Seminario
(Firenze, 27-28 maggio 1983), a cura di G.G. Archi (Milano 1985) 205 ss.
Per
quanto riguarda la teologia muciana, theologia
tripertita, che notoriamente sta alla
base del pensiero teologico varroniano, vedi il saggio di G. Lieberg, Die Theologia tripertita in
Forschung und Bezeugung, in Aufstieg
und Niedergang der römischen Welt I.4 (Berlin-New York 1973) 63 ss. (107
ss. raccolta delle fonti fondamentali sulla theologia
tripertita), a cui rimando per la
discussione della bibliografia anteriore al 1970. Da vedere anche A. Schiavone, Quinto Mucio teologo, in Labeo
20 (1974) 315 ss. [= Id., Nascita della giurisprudenza. Cultura
aristocratica e pensiero giuridico nella Roma repubblicana cit. 5 ss.]; J. Pépin, Remarques sur les sources de la ‘theologia tripertita’ de Varron,
in Varron. Grammaire antique et
stylistique latine. Recueil offert à Jean Collart pour son soixante-dixième
anniversaire par ses collègues, ses élèves, ses amis (Paris 1978) 127 ss.; G. Lieberg, Die theologia tripertita als Formprinzip antiken Denkens, in Rheinisches Museum für Philologie 125
(1982) 25 ss.; A. Dihle, Die Theologia tripertita bei Augustin,
in Festschrift für Martin Hengel zum 70. Geburtstag: Geschichte -
Tradition - Reflexion. Band II: Griechische
und Römische Religion, hrsg. von H. Cancik cit. 183 ss.
[49] Ph.E. Huschke, Iurisprudentiae Antejustinianae quae supersunt,
editio quinta (Lipsiae 1886) 15 fr. 12; F.P.
Bremer, Iurisprudentiae
Antehadrianae quae supersunt. Pars prior: Liberae Reipublicae iuris
consulti (Lipsiae 1896, rist. an. Roma 1964), 57
fr. 2. Sul testo muciano G. Lepointe,
Quintus Mucius Scaevola cit. 93 s.;
G. Rohde, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices cit. 41; più di recente,
vedi J. Scheid, Oral tradition and written tradition in the
formation of sacred law in Rome, in Religion and
Law in Classical and Christian Rome [Potsdamer Altertumswissenschaftliche
Beiträge – 15] Clifford Ando, Jörg Rüpke (Eds.)
(Stuttgart 2006) 21 e nt. 32.
[50] Ovidius Fast.
1.47-48: Ille nefastus erit per quem tria
verba silentur; / Fastus erit, per quem lege licebit agi. Gai. Inst. 4.29: praeterea quod nefasto quoque die, id est quod non licebat lege agere,
pignus capi poterat. Cfr. inoltre Festus De verb. sign. 162 L.; Macrobius Sat. 1.16.14; Isidorus Orig.
6.18.1.
[51] Sui termini prudentia / prudens, sulla relativa concettualizzazione religiosa e giuridica,
vedi ora F. SANTANGELO, Divination, Prediction and the End of the
Roman Republic (Cambridge 2013) 56 ss., 65 ss. Più in generale, A. SCHIAVONE, Linee di storia del pensiero giuridico romano cit. 75, sottolinea
giustamente che «L’esercizio del pontificato non fu un’occasione senza
conseguenze (come non lo era stato per Publio, editore degli Annales), ma si accompagnò in Mucio a
una riflessione sul senso e il valore dell’esperienza religiosa in quegli anni
difficili di grandi cambiamenti».
[52] Per un rapido approccio
alla nozione di nefas, J. Paoli, Le monde juridique du paganisme romain. Introduction à l’étude du domaine interdit
des dieux dans le temps (nefas), in Revue Historique de Droit Français et
Étranger 23 (1945) 1 ss.; H. Fugier,
Recherches sur l’expression du sacré dans
la langue latine (Paris 1963) 127 ss.; P. Cipriano,
Fas e nefas (Roma 1978); F. Sini, Bellum nefandum. Virgilio e il problema del “diritto
internazionale antico” cit. 102 ss. [il libro, ora, è consultabile anche on line; per
il capitolo che qui interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Bellum-Nefandum-Cap-II.htm].
[53]
R.G. Austin, P. Vergili Maronis Aeneidos liber tertius
(Oxford 1962) 109: «votis ... exposcere
pacem: this is a religious formula». Cfr. F. SINI, Bellum nefandum.
Virgilio e il problema del "diritto internazionale antico" cit.
261 s. [il libro, ora, è consultabile anche on line; per il capitolo che qui
interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Bellum-Nefandum-Cap-V.htm].
[54] Vedi anche Livius
3.7.6-8: Haud minor Romae fit morbo
strages quam quanta ferro sociorum facta erat. Consul qui unus supererat moritur; mortui et
alii clari viri, M'. Valerius, T. Verginius Rutulus augures, Ser. Sulpicius
curio maximus. Et per ignota capita late vagata est vis morbi, inopsque senatus
auxilii humani ad deos populum ac vota vertit: iussi cum coniugibus ac liberis
supplicatum ire pacemque exposcere deum. Ad id quod sua quemque mala cogebant auctoritate pubblica evocati
omnia delubra implent. Stratae passim matres, crinibus templa verrentes, veniam
irarum caelestium finemque pesti exposcunt. 42.2.3-7: Cum bellum Macedonicum in expectatione
esset, priusquam id susciperetur, prodigia expiari pacemque deum peti
precationibus, qui editi ex fatalibus libris essent, placuit. Lanuvi classis
magnae species in caelo visa dicebatur, et Priverni lana pulla terra enata, et
in Veienti apud Rementem lapidatum; Pomptinum omne velut nubibus lucustarum
coopertum esse; in Gallico agro, qua induceretur aratrum, sub existentibus
glebis pisces emersisse. Ob haec prodigia libri fatales inspecti, editumque ab
decemviris est, et [ex] quibus diis quibusque hostiis sacrificaretur, et ut
supplicatio prodigiis expiandis fieret. Alteraque, quae priore anno valetudinis
populi causa vota esset, ea uti fieret feriaeque essent. Ita
sacrificatum supplicatumque est, ut decemviri scriptum ediderant.
Per una rassegna più esaustiva
della casistica, vedi Y. Berthelet, Le rôle des
pontifes dans l’expiation des prodiges à Rome, sous la République: le cas des
"procurations" anonymes, in Cahiers «Mondes anciens» 2
(2011) [on line 15 juillet 2011. URL: http://mondesanciens.revues.org/348].
[55] Questo significato di religio è attestato da Cicero De nat. deor. 2.8: C. Flaminium Coelius religione neglecta cecidisse apud Transumenum
scribit cum magno rei publicae vulnere. Quorum exitio intellegi potest eorum
imperiis rem publicam amplificatam qui religionibus paruissent. Et si conferre
volumus nostra cum externis, ceteris rebus aut pares aut etiam inferiores
reperiemur, religione, id est cultu deorum, multo superiores.
Sul
passo, vedi fra gli altri C. Bailey,
Phases in the religion of ancient Rome
(Berkeley 1932, rist. Westport, Conn. 1972)
274 s.; R. Turcan, Religion romaine. 2. Le culte
(Leiden-New York-København-Köln 1988) 5 s.: «C'est à la piété collective et
institutionnelle, aux religiones de
la cité que les Romains attribuaient le succès de leur politique et leur
hégémonie universelle. [...] A cet égard, les Romains pouvaient à bon droit se
targuer de l'emporter sur tous peuples religione,
id est cultu deorum».
Nello
stesso senso, anche altri testi ciceroniani. Cicero De nat. deor. 1.117: religionem,
quae deorum cultu pio continetur. De leg. 1.60: cum [animus]
suis omnisque natura coniunctos suos duxerit cultumque deorum et puram
religionem susceperit. De leg.
2.30: Quod sequitur vero, non solum ad
religionem pertinet, sed etiam ad civitatis statum, ut sine iis, qui sacris
publice praesint, religioni privatae satis facere non possint; continet enim
rem publicam consilio et auctoritate optimatium semper populum indigere.
Discriptioque sacerdotum nullum iustae religionis genus praetermittit. Nam sunt
ad placandos deos alii constituti, qui sacris praesint sollemnibus, ad
interpretanda alii praedicta vatium neque multorum, ne esset infinitum, neque
ut ea ipsa, quae suscepta publice essent, quisquam extra collegium nosset. De har. resp. 18: Ego vero primum habeo auctores ac magistros religionum colendarum
maiores nostros, quorum mihi tanta fuisse sapientia videtur ut satis superque
prudentes sint qui illorum prudentiam non dicam adsequi, sed quanta fuerit
perspicere possint; qui statas sollemnisque caerimonias pontificatu, rerum bene
gerendarum auctoritates augurio, fatorum veteres praedictiones Apollinis vatum
libris, portentorum expiationes Etruscorum disciplina contineri putaverunt.
Una
diversa definizione di religio è data
da Servius in Verg. Aen. 8.349: religio
id est metus, ab eo quod mentem religet dicta religio. Sull’uso del termine
nelle opere di Virgilio, vedi E.
Montanari, v. Religio, in Enciclopedia Virgiliana IV (Roma 1988)
423 ss.
Più in
generale, sul significato di religio
vedi M. Kobbert, v. Religio, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft I.A.1
(Stuttgart 1914) 565 ss.; C. Koch,
Religio. Studien zu Kult und Religion der Römer (Nürnberg 1960); H.
Fugier, Recherches sur
l'expression du sacré dans la langue latine cit. 172 ss.; é. Benveniste, Le vocabulaire des institutions indo-européennes 2. Pouvoir, droit, religion (Paris 1969) 265 ss.; H.
Wagenvoort, Wesenszüge
altrömischer Religion, in Aufstieg
und Niedergang der römischen Welt I.2 (Berlin-New York 1972) 348 ss. [ripubblicato
col titolo Characteristic Traits of
Ancient Roman Religion, in Id.,
Pietas. Selected studies in Roman
Religion (Leiden 1980) 223 ss.]; G.
Lieberg, Considerazioni
sull'etimologia e sul significato di Religio, in Rivista di Filologia e di Istruzione Classica 102 (1974) 34 ss.; R. Muth, Von Wesen römischer religio, in Aufstieg
und Niedergang der römischen Welt II.16.1 (Berlin-New York 1978) 290 ss.; R. Schilling, L'originalité du vocabulaire religieux latin, in Id., Rites, cultes, dieux de Rome (Paris 1979) 30 ss.; B. Linke, Religio und res publica. Religiöser
Glaube und gesellschaftliches Handeln im republikanischer Rom, in Mos
maiorum. Untersuchungen zu den Formen des
Identitätsstiftung und Stabilisierung in der römischer Republik, B. Linke-M. Stemmler (hrsg.) (Stuttgart 2000) 269 ss.; J.E. Vaahntera, Roman Religion and the Polybian politeia, in The Roman Middle Republic. Politics, Religion und Historiography c.
400-133 B.C., Chr. Bruun
(ed.) (Rome 2000) 251 ss.; S. Randazzo,
Collegium pontificum decrevit. Note in
margine a CIL. X.8259, in Labeo
50 (2004) 135 ss.
Per
l’antitesi religio/superstitio, vedi
il lavoro ormai classico di W.F. Otto,
Religio und Superstitio, in Archiv für Religionswissenschaft 14
(1911) 406 ss.; e il più recente saggio di M.
Sachot, Religio/superstitio. Histoire d’une subversion et d’un
retournement, in Revue de l’Histoire
des Religions 208 (1991) 355 ss.; cfr. anche S. Calderone, Superstitio, in
Aufstieg und Niedergang der römischen
Welt I.2 (Berlin-New York 1972) 377 ss.; D. Grodzynski, Superstitio, in Revue des Études Anciennes 76 (1974) 36 ss.; L.F. Janssen, Die Bedeutungsentwicklung von superstitio/superstes, in Mnemosyne 28
(1975) 135 ss.; W. Belardi, Superstitio
(Roma 1976); più di recente vi ha dedicato alcune belle pagine F. SANTANGELO, Divination, Prediction and the End of the Roman Republic cit. 38
ss.
[56] M.
Humbert, Droit et
religion dans la Rome antique, in Mélanges Felix Wubbe: offerts par ses collègues et ses amis
à l'occasion de son soixante-dixième anniversaire (Fribourg 1993) 195.
[57] Su tale attività e
sull'influenza di essa per il formarsi della tradizione annalistica, vedi B.W. Frier, ‘Libri Annales pontificum Maximorum’: the origins of the Annalistic
Tradition [Papers and Monographs of the American Academy in Rome, vol. XXVII] (Rome 1979; reprinted, with a new introduction, Ann
Arbor, Mich. 1999).
[58] Cfr.,
giusto a titolo d'esempio: Livius 2.36.1; 3.5.14; 3.10.6; 4.9.3; 4.12.6;
4.21.5; 4.30.7; 5.13.4; 6.20.16; 7.2.2; 7.3.3; 7.27.1; 7.28.7; 8.6.9; 8.9.6-12;
8.25.1; 10.47.6; 21.46.1-3; 21.63.13; 22.3.11; 22.9.7; 22.36.6; 23.31.15;
23.36.10; 23.39.5; 24.10.6; 24.44.8-9; 25.7.7-9; 25.16.1; 25.17.3; 26.23.3-6;
26.45.9; 27.4.11; 27.11.1; 28.27.16; 30.2.9-13; 30.38.8. Sul nutrito elenco di
prodigi presenti nell'opera liviana, certo improntati - direttamente o
indirettamente - agli Annales Maximi,
v. E. De Saint-Denis, Les énumerations de prodiges dans l'oeuvre
de Tite-Live, in Revue de Philologie
16 (1942) 126 ss.; J.Ph. Packard,
Official notices in Livy's fourth decade:
style and treatment (Ann Arbor 1970) 125 ss.; E. Rawson, Prodigy list
and the use of Annales Maximi, in The
Classical Quarterly 21 (1971) 158 ss.; B.
MacBain, Prodigy and expiation: a study
in religion and politics in Republican Rome (Bruxelles 1982) 82 ss. [Appendix A: index
of prodigies]; da ultimo Y. Berthelet, Le rôle des pontifes dans l’expiation des prodiges à Rome, sous la
République: le cas des "procurations" anonymes cit. [on line
15 juillet 2011. URL: http://mondesanciens.revues.org/348].
[59] R. Orestano, Dal ius al fas. Rapporto tra diritto divino e umano in
Roma dall'età primitiva all'età classica, in Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano 46 (1939) 201.
[60] Varro De ling. Lat.
5.33: Ut nostri augures pubblici
dixerunt, agrorum sunt genera quinque: Romanus, Gabinus, peregrinus, hosticus,
incertus. Romanus dictus unde Roma ab Rom<ul>o; Gabinus ab oppido Gabis;
peregrinus ager pacatus, qui extra Romanum et Gabinum, quod uno modo in his
servantur auspicia; dictus peregrinus a pergendo, id est a progrediendo: eo
[quod] enim ex agro Romano primum progrediebantur. Quocirca Gabinus quoque
peregrinus, sed quod auspicia habet singularia, ab reliquo discretus; hosticus
dictus ab hostibus; incertus is, qui de his quattuor qui sit ignoratur.
A. Brause, Librorum de disciplina augurali ante Augusti mortem scriptorum
reliquiae (Pars I) (Lipsiae 1875) 42 fr. XXVII; P. Regell,
Fragmenta auguralia (Hirschberg 1882)
19; J. Rüpke, Domi Militiae. Die religiöse Konstruktion des Krieges in
Rom (Stuttgart 1990) 31 s.
La
divisione dello spazio in cinque agrorum genera rappresenta un mirabile
esempio della semplicità, dell’efficacia interpretativa e delle potenzialità
universalistiche della disciplina augurale: in merito a questa divisione
elaborata dal collegio degli auguri e, più in generale, sul valore giuridico
dell’ager, vedi P. Catalano, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano. Mundus, templum, urbs, ager, Latium, Italia, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II.16.1 (Berlin-New York
1978) 492 ss.
Pur
salvaguardando la centralità dell’ager romanus (anche verso gli
dèi), la classificazione dei genera agrorum mostra una fortissima
propensione teologica e giuridica ad instaurare rapporti – tanto reali quanto
potenziali – con la molteplicità degli spazi terrestri; con gli homines
che hanno relazioni a vario titolo con questi spazi; con gli innumerevoli dèi
che quegli spazi (e quanti li abitano) presiedono e tutelano: cfr. F. Sini, Diritto
e pax Deorum in Roma antica, in Diritto @ Storia 5 cit., in particolare § 5 <http://www.dirittoestoria.it/5/Memorie/Sini-Diritto-pax-deorum.htm>
.
[61] F. Sini, Impero Romano e religioni
straniere: riflessioni in tema di universalismo e “tolleranza” nella religione
politeista romana, in Sandalion.
Quaderni di cultura classica, cristiana e medievale 21-22 (1998-1999, ma
pubbl. 2001) 57 ss.; Id., Sua
cuique civitati religio. Religione e
diritto pubblico in Roma antica cit. 44 ss.; Id., Dai documenti dei sacerdoti romani: dinamiche
dell’universalismo nella religione e del diritto pubblico di Roma, in Diritto @ Storia 2 (Marzo 2003), in
particolare §§ 3-4 <http://www.dirittoestoria.it/tradizione2/Sini-Dai-Documenti.htm>; Id.,
Dai peregrina sacra alle pravae et externae religiones dei Baccanali: alcune riflessioni su
‘alieni’ e sistema giuridico-religioso romano, in La Condition des “autres” dans les systèmes juridiques de la
Méditerranée, sous la direction de F.
Castro et P. Catalano cit.
59 ss.
[62] P. Preibisch, Quaestiones
de libris pontificiis cit., affrontò nella sua dissertazione dottorale la
questione relativa ai documenti contenuti negli archivi dei pontefici,
assumendo una posizione di netto rifiuto della distinzione, per così dire
tradizionale, che si era soliti fare tra libri
e commentarii: «Omnes isti tituli
– scriveva il Preibisch – ut libri pontificii vel pontificales vel pontificum,
ius pontificium, commentarii pontificum, commentarii sacrorum, similes
promiscue usurpari videntur, nempe ita ut quae sub eis nominibus traduntur,
excerpta sint ex pontificum decretis, quae et ipsa passim nominantur. Imprimis
moneo, discrimen inter libros et commentarios non eo modo statuendum esse, ut
adhuc mos erat» (op. cit. 5).
Coerente
con il suo convincimento negativo sulla possibilità di distinzione tra libri e commentarii sacerdotali, il giovane studioso tedesco, nei Fragmenta librorum pontificiorum cit. 1, aveva preferito attenersi ad un
criterio di sistemazione basato sull’accorpamento per materia dei singoli passi
raccolti. Il criterio seguito dal Preibisch nell’ordinare i frammenti dei libri pontificii viene così descritto:
«... in disponendis fragmentis librorum pontificiorum, quatenus non verba
singularia sunt, secutum me esse eum ordinem, qui antiquitatibus divinis a M.
Terentio Varrone conscriptis suberat secundum Augustinum de civ. dei VI, 3. Varro in illis libris secundum testem, quem modo dixi,
primum egit de hominibus, tum de locis, deinde de temporibus, denique de
sacrorum ratione». Quindi sulla base di questa quadripartizione, il Preibisch ordina
i frammenti raccolti come segue: in primo luogo compaiono quei frammenti che
riguardano de sacerdotibus (fr.
1-25), ripartiti a loro volta in: de
flamine Diali deque flaminica (fr. 1-14B); de
pontificibus deque virginibus Vestae (fr. 15-19); de fetialibus (fr. 20A-24); de augure (fr. 25). Vengono poi trattati i fragmenta ad loca sacra spectantia (fr. 26-30). La terza parte
raccoglie i frammenti de temporibus (fr.
31-37B) ed è a sua volta suddivisa in:
fragmenta ad ferias universas spectantia (fr. 31-31A);
fragmenta ad ferias privatas spectantia (fr. 32A-35); fragmenta ad ferias publicas pertinentia (fr. 36-37B). Infine
i frammenti riguardanti de sacrorum
ratione (fr. 36-38). Lo stesso schema viene riproposto dal Preibisch per la
sistemazione dei singularia verba
pontificalia (op. cit. 15 ss.).
[63] La distinzione tra i decreta e i responsa sacerdotali non risulta sufficientemente chiara in
dottrina: vedi, per tutti, P. Jörs, Römische Rechtswissenschaft zur Zeit der Republik cit. 29 ss.; E. De Ruggiero, v. Decretum, in Dizionario Epigrafico di Antichità Romane II.2 (Roma 1910) 1497
ss.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer cit. 541
s., 527 ss., 551; F. Schulz, Storia della giurisprudenza romana cit.
37 ss.; G.J. Szemler, Religio, Priesthoods and Magistracies in the Roman
Republic, in Numen 18.2 (Aug.,
1971) 103 ss.; G. Mancuso, Studi sul decretum nell’esperienza giuridica romana, in Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo 40 (1988)
78 ss.; vedi anche L.L. Cohee, Responsa and decreta of Roman priesthoods
during the Republic, Dissertation University of Colorado (Boulder 1994).
Per
quanto riguarda i responsa, non è
neppure certo se, e in che misura, essi vincolassero il magistrato, il senato o
il privato che li avevano richiesti; tuttavia il prestigio dei sacerdoti era
tale da far sì che raramente venissero disattesi. Cfr. Cic. De har. res. 6.12: Quae tanta religio est qua non in nostris dubitationibus atque in
maximis superstitionibus unius P. Servili ac M. Luculli responso ac verbo
liberemur? De sacris publicis, de ludis maximis, de deorum penatium Vestaeque
matris caerimoniis, de illo ipso sacrificio quod fit pro salute populi Romani,
quod post Romam conditam huius unius casti tutoris religionum scelere violatum
est quod tres pontifices statuissent, id semper populo Romano, semper senatui,
semper ipsis dis immortalibus satis sanctum, satis augustum, satis religiosum
esse visum est.
[64] Una visione generale di
sintesi, con spunti assai interessanti, si legge nel lavoro di M. Albana, I luoghi della memoria a Roma in età repubblicana: templi e archivi,
in Annali della Facoltà di Scienze della
Formazione 3 (2004) 9 ss. [consultabile anche on line, in formato pdf, nel
sito: http://ojs.unict.it/ojs/index.php/annali-sdf/article/view/78].
[65] G. Rohde, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices
cit. 47; B. Cardauns, M. Terentius Varro. Antiquitates Rerum Divinarum I cit. 53 fr. 78.
[66] J. Champeaux, "Alium pro alio
nominando", ou quand les Romains ne nommaient pas leurs dieux, in Revue des Études Latines LXXXVIII (2010) 72 ss. L’importanza
del nome della divinità nei riti della religione politeista romana, con
riferimento anche a questo frammento, è ben compresa da C.M.A. Rinolfi, Livio
1.20.5-7: pontefici, sacra, ius sacrum cit. 110 nt. 256 [dell’estratto
a stampa]; reperibile on line <http://www.dirittoestoria.it/4/Tradizione-Romana/Rinolfi-Pontefici-sacra-ius-sacrum.htm>.
[67] Cfr. F. Van
Haeperen, Le collège pontifical
(3ème s. a.C.-4ème s. p.C.). Contribution à l’étude de la religion publique
romaine cit. 240.
[68] P. Preibisch,
Fragmenta librorum pontificiorum cit.
8 fr. 33; F.P. Bremer, Iurisprudentiae Antehadrianae quae supersunt
II cit. 272 fr. 1; Ph.E. Huschke-E.
Seckel-B. Kübler, Iurisprudentiae
Anteiustinianae reliquias, Editione
sexta aucta et emendata, Volumen
prius, Reprint der Originalausgabe (6. Aufl.) von 1908 (Leipzig 1988) I 64
fr. 8; W. Strzelecki, C. Atei Capitonis fragmenta (Lipsiae 1967) 8 fr. 10; F.
Sini, A quibus iura civibus praescribebantur. Ricerche
sui giuristi del III secolo a.C. (Torino 1995) 88 fr. 2 [il
libro, ora, è consultabile anche on line; per il cap. che qui interessa nel
sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Ricerche-giuristi-III-secolo-II-Cap-2.htm].
[69] Sulla
figura e sull’opera del giurista C. Ateio Capitone, da vedere P. Jörs, v. C. Ateius Capito, in
Real-Encyclopädie der classischen
Altertumswissenschaft II (Stuttgart 1896) 1904 ss.; M. Schanz-C. Hosius, Geschichte der römischen Literatur II,
4ª ed. (München 1935, rist. 1967) 384 s.; W.
Kunkel, Herkunft und soziale
Stellung der römischen Juristen, 2a ed. (Graz-Wien-Köln 1967) 114 s.; R.A. Bauman, Lawyers
and politics in the early Roman Empire. A study of relations between the Roman
jurists and the emperors from Augustus to Hadrian (München 1989) 25 ss.
Per la
ricostruzione completa dei frammenti del grande giureconsulto augusteo, vedi
ora il fondamentale lavoro di W.
Strzelecki, C. Atei Capitonis
fragmenta cit. VII ss., 3 ss. O.
Lenel, Palingenesia iuris civilis I (Lipsiae 1889) coll. 105 s.,
attribuisce a Capitone cinque frammenti, nel seguente ordine: D. 8.2.13.1 (=
Proculus, Libro secundo epistularum);
D. 23.2.29 (= Ulpianus, Libro tertio ad
legem Iuliam et Papiam); D. 24.3.44 pr. (= Paulus, Libro quinto quaestionum), dove legge Capito in luogo del Cato
dei mss.; Festus De verb. sign., v. Reus, p. 336 L.; Gell. Noct. Att. 10.20.2. La ragione del
criterio restrittivo è spiegata dallo studioso in una breve nota (col. 105 n.
1).
[70] Pomponius D. 1.2.2.38: Post hos fuit Tíberius Coruncanius, ut dixi,
qui primus profiteri coepit: cuius tamen scriptum nullum exstat, sed responsa
complura et memorabilia eius fuerunt.
Sulla
figura del grande giurista plebeo, e sui frammenti a lui attribuiti, mi
permetto di rinviare a F. SINI, A
quibus iura civibus praescribebantur.
Ricerche sui giuristi del III secolo a.C. cit. 81 ss. (ivi bibliografia
precedente) [il libro, ora, è consultabile anche on line; per il cap. che qui
interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Ricerche-giuristi-III-secolo-II-Cap-2.htm].
[71] Più di recente, la
questione, e le relative fonti, sono state riesaminate nel bel lavoro di F. Van Haeperen, Le collège pontifical (3ème s. a.C.-4ème s. p.C.). Contribution à
l’étude de la religion publique romaine cit. 232 ss., alla quale rinvio
anche per l’aggiornamento bibliografico.
[72] Così G. WISSOWA, Religion
und Kultus der Römer cit.
438 s., pensava a delle «Vorfeiern» che precedevano le feriae publicae («es dürfte nicht allzu gewagt sein,
diese Vorfeiern unter den überlieferten Terminus feriae praecidaneae zu
stellen»); nello stesso senso M. KRETZER, De Romanorum vocabulis
pontificalibus cit. 64 («Quo fit, ut dies pridie ferias publicas,
qui partim feriati erant, feriae praecidaneae appellarentur»). Invece,
per A. BOUCHÉ-LECLERCQ, Les pontifes de l’ancienne Rome
cit. 127; ID., v. Inauguratio, in Dictionnaire des Antiquités
Grecque et Romaines III (Paris 1898) 440 e nt. 1, tali feriae sarebbero
da considerare piuttosto atti di culto privati; allo stesso modo,
implicitamente, si orientava già P. PREIBISCH, Fragmenta librorum
pontificiorum cit. 8. In
altro senso vedi però P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto
augurale (Torino 1960) 57
s., 332 s., 352 s., il quale, accettando l'opinione espressa dal Valeton, ha
sostenuto che «le feriae praecidaneae erano un sacrificio annuo a
Cerere, compiuto ante fruges novas captas, piaculi gratia; si identificherebbero cioè con la praecidanea
porca, che è uno dei sacra
popularia» (352).
Cfr. K. Latte, Römische Religionsgeschichte cit. 69 ss., 102; F. D’Ippolito, Sul pontificato massimo di Tiberio Coruncanio, in Labeo 23 (1977) 129; Id., I giuristi e la città. Ricerche sulla giurisprudenza romana della repubblica (Napoli 1978, ma pubbl. 1979) 42 ss.; J. Linderski, The Augural Law, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II. Principat XVI.3 (Berlin-New York 1986) 2222 [l’articolo, ora, può essere consultato anche on line, in formato pdf, nel sito: http://www.academia.edu/6696039/J._Linderski_The_Augural_Law._ANRW_II_16._3._1986_OCR]; F. Sini, A quibus iura civibus praescribebantur. Ricerche sui giuristi del III secolo a.C. cit. 92 ss. [libro consultabile anche on line; per il cap. che qui interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Ricerche-giuristi-III-secolo-II-Cap-2.htm].
[74] Cfr. la formula solenne del ver
sacrum in Liv. 22.10.6: si atro die
faxit inscens, probe factum esto; ma anche Varro De ling. Lat. 6.30: Quod si
tum imprudens id verbum emisit ac quem manumisit, ille nihilo minus est liber,
sed vitio, ut magistratus vitio creatus nihilo setius magistratus. Praetor qui
tum fatus est, si imprudens fecit, piaculari hostia facta piatur; si prudens
dixit, Quintus Mucius a[b]i[g]ebat eum expiari ut impius non posse.
Sul punto, vedi brevi considerazioni in G. Rohde, Die
Kultsatzungen der römischen Pontifices cit. 128 s. e in F. Sini, A quibus iura civibus
praescribebantur. Ricerche sui giuristi
del III secolo a.C. cit. 93 s. [il libro, ora, è
consultabile anche on line; per il cap. che qui interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Ricerche-giuristi-III-secolo-II-Cap-2.htm].
[75] P. Preibisch,
Fragmenta librorum pontificiorum cit.
8 fr. 37.A; G. Rohde, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices
cit. 128.
[77] Sui due testi, cfr. il
commento di F. Van Haeperen, Le collège pontifical (3ème s. a.C.-4ème s.
p.C.). Contribution à l’étude de la religion publique romaine cit. 234 ss.
[78] Correggeva et
in nec già K.L. URLICHS, Chrestomantia Pliniana (Berlin 1857):
cfr. H. LE BONNIEC, Pline l’Ancien,
Histoire naturelle, livre XVIII (Paris 1972) 63. Peraltro
la correzione di Urlichs appare generalmente seguita dagli studiosi: L.
DELATTE, Recherches sur quelques fêtes
mobiles du calendrier romain. IV. Augurium canarium, in L’antiquité classique
6 (1937) 93; P. CATALANO, Contributi allo
studio del diritto augurale cit. 346; ma su questo punto mi pare esauriente
l’argomentazione svolta da J. BAYET, Les
“Feriae sementivae” et les indigitations dans le culte de Cérès et de Tellus
cit. 186 nt. 2.
[79] Il testo è quello
dell’edizione curata da H. LE BONNIEC, Pline l’Ancien, Histoire naturelle, livre XVIII cit.
P. Preibisch, Fragmenta librorum pontificiorum cit. 8 fr. 34; G. Rohde, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices cit. 26; F. SINI, Documenti sacerdotali di Roma antica cit. 104 e ntt. 78-79 [il
libro, ora, è consultabile anche on line; per il capitolo che qui interessa nel
sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Documenti-sacerdotali-Cap-III.htm].
[80] Su
Plinio e sulle sue fonti resta ancora fondamentale l’opera di F. MÜNZER, Beiträge zur Quellenkritik der
Naturgeschichte des Plinius (Berlin 1897),
la quale rende pressoché superfluo il ricorso agli studiosi anteriori; utile
risulta anche la consultazione dell’articolo di W. KROLL, v. Plinius der Ältere, in Real-Encyclopädie der classischen
Altertumswissenschaft XXI.1 (Stuttgart 1951) 425 ss. Linguaggio, stile e
grammatica sono analizzati da A. ÖNNERFORS, Pliniana.
In Plinii maioris Naturalem historiam studia grammatica semantica critica (Upsaliae
1956); per quanto riguarda la religione, si veda TH. KÖVES-ZULAUF, Reden
und Schweigen. Römische Religion bei Plinius Maior (München 1972). Per
maggiori approfondimenti è da consultare la rassegna di KL. SALLMANN, Plinius der Ältere 1938-1970, in Lustrum. Internationale Forschungsberichte
der klassischen Altertums 18 (1975) 5-300: esposizione della letteratura
sul XVIII libro della Naturalis Historia,
214 ss.; ma anche il volumetto di H. LE BONNIEC, Bibliographie de l’histoire naturelle de Pline l’Ancien (Paris
1946).
[81] Così, Festus De verb. sign., p. 358 L.: Rutilae canes, id est non procul a rubro
colore, immolantur, ut ait Ateius Capito, canario sacrificio pro frugibus
deprecandae saevitiae causa sideris caniculae; Paulus Fest. epit., p. 39 L.: Catularia porta Romae dicta est, quia non
longe ab ea ad placandum caniculae sidus frugibus inimicum rufae canes
immolabantur, ut fruges flavescentes ad maturitatem perducerentur; Servius auctus in Verg. Georg. 4.424: Sirius
stella in ore canis. Hac oriente maximi calores et ex his graves morbi: ideoque
Romae omnibus annis sacrum canarium fit per publicos sacerdotes. Cfr. P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale cit. 346.
Per
quanto riguarda invece l’utilizzazione rituale del cane, vedi M.A. MARCOS
CASQUERO, El perro y la religión romana,
in Durios 5 (1977) 25 ss.; F. BLAIVE,
Le rituel romain des Robigalia et le sacrifice du chien dans le monde
indoeuropéen, in Latomus 54 (1995) 279 ss.; A. GIANFERRARI, Robigalia: un appuntamento per la
salvezza del raccolto, in Agricoltura e commerci nell’Italia
antica, a cura di L.
Quilici, S. Quilici Gigli (Roma 1995) 127 ss.; J. DE GROSSI MAZZARIN, L’uso dei cani nel mondo antico nei riti di
fondazione, purificazione e passaggio, in Uomini, piante e animali nella
dimensione del sacro. Seminario di Studi di Bioarcheologia (28-29 giugno
2002), a cura di F. D’Andria, J. De Grossi Mazzorin e G.
Fiorentino (Bari 2008) 71 ss.
[articolo consultabile anche on line, in formato pdf, nel sito: https://www.unisalento.it/c/document_library/get_file?folderId=958293&name=DLFE-15208.pdf].
[82] Sull’augurio canario, da vedere G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer cit. 196;
L. DELATTE, Recherches sur quelques fêtes
mobiles du calendrier romain. IV. Augurium canarium cit. 93 ss.; K. LATTE, Römische Religionsgeschichte cit. 68; P. Catalano, Contributi allo studio del diritto augurale cit. 346 ss.; G. Dumézil, La religion romaine archaïque cit. 585 [= Id., La religione
romana arcaica cit. 508]; ID., Idées
romaines cit. 98; J. Linderski, The Augural Law cit. 2222 [on line, in formato pdf: http://www.academia.edu/6696039/J._Linderski_The_Augural_Law._ANRW_II_16._3._1986_OCR]; infine, F. Van Haeperen, Le collège pontifical (3ème s. a.C.-4ème s. p.C.). Contribution à
l’étude de la religion publique romaine cit. 270 ss.
[83] P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale
cit. 350, ha sostenuto che, a proposito dell’augurio canario, si possa
parlare di «una festa mobile che durava più giorni: il tempo degli atti che la
costituivano era determinato dai pontefici e dalla inaugurazione degli auguri»;
quanto poi al sacrificio, cioè alla determinazione di chi fosse competente a
compierlo, egli rifiuta la tesi che esso fosse compiuto dagli auguri, poiché è
da ritenere, piuttosto, «che si trattasse di una cerimonia complessa, cui
partecipavano diversi sacerdoti» (351).
[84] Il fatto che in Plinio
l’augurium canarium sia messo in
relazione con i commentarii pontificum ha
indotto qualche studioso a ritenere che il sacrificio delle cagne rosse fosse
compiuto dai pontefici: questa soluzione è proposta, ad esempio, dal WISSOWA, Religion und Kultus der Römer cit. 524
nt. 3; ma, contro, vedi le argomentazioni di P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale cit. 351.
[85] In tal senso si pronuncia G. ROHDE, Die Kultsatzungen der Römischen Pontifices cit. 26: «Dass Plinius
die priesterlichen Aufzeichnungen selbst eingesehen habe, ist nicht anzunehmen.
Doch lässt sich nicht mit Sicherheit sagen, welchem der im Quellenverzeichnis
zu Buch XVIII genannten Schriftsteller er diese wörtliche Anführung aus den Commentarii pontificum verdankt, ob dem
Masurius Sabinus, dem Verrius Flaccus, dem Varro oder dem Ateius Capito». H. LE BONNIEC, Pline l’Ancien, Histoire naturelle, livre XVIII cit. Introduction, 17, ritiene probabile che in questo caso si tratti di
Verrio Flacco: «Sans doute faut-il attribuer à Verrius l’étymologie de adoria qui concorde avec celle donnée
par l’abrégé de Paulus; c’est probablement à lui qu’est empruntée la citation
des commentarii pontificum (§ 14) relative à l’Augurium canarium»; tale
opinione è peraltro ampiamente condivisa nella dottrina: cfr. op. loc. cit. nt. 3.
[88] In occasione del bimillenario
virgiliano, fu organizzata a Roma una grande mostra dedicata a “Enea e il
Lazio” (Campidoglio, 22 settembre - 31 dicembre 1981); in una sezione della
mostra furono raccolte le evidenze archeologiche relative ai rapporti tra il
Lazio arcaico e popolazioni micenee: cfr. il catalogo Enea nel Lazio.
Archeologia e mito: bimillenario Virgiliano (Roma 1981) 85 ss. Risultano invero probanti anche le caute
conclusioni di R. P[ERONI], Contatti tra il Lazio e il mondo miceneo, in Enea nel Lazio cit. 88:
«Con tutto questo però, pur progredendo sensibilmente verso un più approfondito
inquadramento storico degli eventi che ci interessano, non si è fatto un solo
passo avanti verso una loro specifica interpretazione: il sorgere di una
aristocrazia gentilizia, i suoi rapporti col mondo egeo, l'intervenire di un
momento critico seguito da una ristrutturazione delle comunità, la comparsa di
nuove concezioni religiose e rituali introdotte dall'importazione di arredi di
culto di fabbricazione orientale, questa sequenza, di fatti (o piuttosto di
ipotesi di fatti) può, certo, leggersi come la risultante dell'arrivo di genti
forestiere sulle coste del Lazio verso il XII secolo, ma non costituisce
affatto la prova archeologica, potendosi altrettanto legittimamente scorgere in
essa il riflesso di semplici contatti, di traffici più o meno diretti, di
influenze culturali più o meno mediate». Riguardo ai materiali micenei
d'importazione, vedi inoltre F. BIANCOFIORE-O. TOTI, Monte Rovello.
Testimonianze dei Micenei nel Lazio
(Roma 1973); L. VAGNETTI, Mycenaean Imports in Central Italy, appendice a E. PERUZZI, Mycenaeans
in Early Latium (Roma 1980)
151 ss.
In diversa prospettiva si muove E. Peruzzi nel lavoro appena
citato, che ha costituito sintesi e rielaborazione di ricerche parziali
dedicate in precedenza agli stessi argomenti. Analizzando gli aspetti relativi
all'influenza linguistica e religiosa, lo studioso riteneva che la presenza dei
Micenei nel Lazio risultasse attestata «più che da modeste tracce
archeologiche, da sicuri grecismi di età micenea nella lingua di Roma, che
danno conferma a ciò che le fonti ricordano degli arcadi insediati nel
Palatino»: E. Peruzzi, Aspetti culturali del Lazio primitivo (Firenze 1978) 7 (ivi a pag. 5 altra
bibliografia dell'autore). Cfr., per interesse a questa prospettiva di ricerca,
S. TONDO, Profilo di storia costituzionale romana I (Milano 1981) 39 ss.
[89] Per Dionigi d'Alicarnasso
(2.74.2-4) Numa Pompilio intraprese, fra l'altro, un'opera di vasto
riordinamento amministrativo al fine di stabilire i limiti della proprietà
fondiaria; la sua azione avrebbe interessato sia gli agri privati sia l'ager publicus
(cfr. Plutarchus Numa 16.3 ss.). Questa limitatio, accompagnata ad una ripartizione del territorio romano in
distretti chiamati pagi ed amministrati da sovrintendenti ed ispettori (Dionysius Hal.
2.76.1-2; Plutarchus Numa 16.6), si presentava significativamente connessa con
l'istituzione del culto del dio Terminus:
sul quale vedi, soprattutto,
G. PICCALUGA, Terminus. I segni di confine nella
religione romana (Roma 1974); cfr. G. DUMÉZIL, La religion romaine
archaïque cit. 210 ss. [= ID., La
religione romana arcaica cit. 185 ss.]. Quindi, saldamente tutelata
nell'arcaico sistema giuridico-religioso: v'era, infatti, una lex, non a caso attribuita anch'essa a Numa dalla tradizione, che
comminava la sacertà a chiunque violasse i segni dei confini (Paulus Fest. epit.,
p. 505 L.: Termino sacra faciebant,
quod in eius tutela fines agrorum esse putabant. Denique
Numa Pompilius statuit, eum, qui terminum exarasset, et ipsum et boves sacros
esse).
L'insieme dei provvedimenti legati alla citata limitatio sono parsi a taluni studiosi un anacronismo mirante a retrodatare
all'età regia quei problemi agrari tipici della società romana a partire dalla
metà del II secolo a.C.: così, ad esempio, F. DELLA CORTE, Numa e le streghe
cit. 16 ss.; altri invece
parlano addirittura di “catasto pompiliano”, la cui compilazione sarebbe
pienamente credibile, soprattutto per analogia con il catasto della Pilo
micenea: E. PERUZZI, Origini di Roma
II. Le lettere cit.
152 s.
Sull'istituzione ed organizzazione dei collegia artificum, attribuita sempre dalla tradizione alla legislazione numana (Plinius Nat. hist. 34.1; Plutarchus Numa 17.3), si riscontra nella dottrina un orientamento negativo pressoché uniforme: vedi, per tutti, L. CLERICI, Economia e finanza dei Romani (Bologna 1943) 101 ss.; F.M. DE ROBERTIS, Storia delle corporazioni e dei regimi associativi nel mondo romano I (Bari s. d., ma 1972) 35 ss.; A. STORCHI MARINO, La tradizione plutarchea sui collegia opificum di Numa (Plut. Numa 17), in Annali dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici III (1971/1972, ma pubbl. 1975) 1 ss.; J.-CL. RICHARD, Sur les prétendues corporations numaïques: à propos de Plutarque, Num. 17, 3, in Klio 60 (1978) 422 ss.; F. DE MARTINO, Storia economica di Roma antica I (Firenze 1979) 7; E. GABBA, The collegia of Numa: problems of method and political ideas, in The Journal of Roman Studies 74 (1984) 81 ss. [ora in ID., Roma arcaica: storia e storiografia (Roma 2000) 217 ss.].
[91] L'illustre studioso francese
riconferma, ancora una volta, la sua nota interpretazione dell'arcaico testo
epigrafico nel lavoro dedicato all'analisi comparativa del matrimonio nell'area
culturale indoeuropea: G.
DUMÉZIL, Mariages indo-européens, suivi de quinze questions romaines (Paris 1979) 259 ss.
[92] Quanto alla data
dell'iscrizione, gli studiosi paiono in generale concordi nell'attribuirla al
VII secolo a.C. o all'inizio del VI: cfr. G. COLONNA, Duenos, in Studi etruschi 47 (1979)
163 ss. (ivi 164 nt. 7 ampia rassegna della bibliografia essenziale sulle
diverse ipotesi interpretative).
Revisioni critiche: A.E. GORDON, Notes on the Duenos Vase Inscription in Berlin, in California Studies in Classical Antiquities 8 (1975) 53 ss.; A.L. PROSDOCIMI, Studi sul latino arcaico. Note epigrafiche sull'iscrizione di Dueno, in Studi etruschi 47 (1979) 173 ss.
[93] I frammenti dell’iscrizione
del Lapis Niger conterrebbero, secondo il DUMÉZIL, una prescrizione
della disciplina augurale (cfr. anche Cicero De div. 2.77: Huic simile
est, quod nos augures praecipimus, ne iuge(s) auspicium obveniat, ut iumenta
iubeant diiungere) in base
alla quale gli auguri, mentre si recavano all’auguraculum posto sul Campidoglio, davano disposizione ai calatores
di precederli ordinando che si staccassero i buoi aggiogati, affinché non
si verificasse appunto un iuge(s) auspicium (sul quale vedi la
definizione di Paulus Fest. epit.,
p. 92 L.: Iuges auspicium est, cum iunctum iumentum stercus fecit): cfr. Idées romaines
cit. 11 ss.; La religione romana arcaica cit. 88 ss. Per quanto riguarda invece l’iscrizione di Duenos, lo studioso francese sostiene che
«Le vase du Quirinal est donc un objet que remet au mari le tuteur, ou le
porte-parole des tuteurs de la jeune fine, soit lors du mariage, soit dès les
fiançailles, et l'inscription qu'il porte ne fait que noter un engagement
verbal accompagnant le "don" de la jeune fille»: Idées romaines cit. 20; cfr. per ulteriore conferma
della tesi in questione, Mariages indo-européens cit. 95 ss.
[97] Così Pomponius D. 1.2.2.2: Et ita leges quasdam et ipse curiatas ad populum tulit: tulerunt et
sequentes reges. Quae omnes conscriptae exstant in libro Sexti Papirii, qui
fuit illis temporibus, quibus Superbus Demarati Corinthii filius, ex
principalibus viris. Is liber, ut diximus, appellatur ius civile Papirianum,
non quia Papirius de suo quicquam ibi adiecit, sed quod leges sine ordine latas
in unum composuit; cfr. Macrobius Sat. 3.11.5; Paulus D. 50.16.144.
Sullo ius Papirianum la mole della bibliografia è
veramente notevole, conviene pertanto limitare le citazioni ai lavori di questi
ultimi decenni (per la dottrina più risalente, vedi M. SCHANZ-C. HOSIUS, Geschichte
der römischen Literatur I
cit. 35 s.), quasi tutti invero assai critici nei confronti della tradizione
tramandataci dallo storico d'Alicarnasso: S. DI PAOLA, Dalla "lex
Papiria" al "ius Papirianum", in Studi in onore di Siro Solazzi (Napoli 1948) 631 ss.; C.W. WESTRUP,
Introduction to Early Roman Law IV.1 cit. 57 ss.; L. WENGER, Die
Quellen des römischen Rechts cit.
356 ss.; E. GABBA, Studi su Dionigi d'Alicarnasso, I. La costituzione di
Romolo, in Athenaeum 38
n. s. (1960) 201 ss.; ID., Considerazioni sulla tradizione letteraria sulle
origini della Repubblica, in
Les origines de la République romaine [Entretiens sur l'antiquité class., XIII] (Vandoeuvres-Genève
1966) 161; M. BRETONE, v. Ius Papirianum, in Novissimo Digesto Italiano IX (Torino 1963) 386 ss. Fra i pochissimi studiosi favorevoli
alla tradizione: R. PARIBENI, Storia di Roma. Le origini e il periodo regio (Bologna 1954) 13 s.; E.M. HOOKER, The
Significante of Numa's Religious Reforms cit. supra in nt. 10; ma soprattutto S. TONDO, Leges
regiae e paricidas (Firenze
1973) 35 ss., il quale, superate dopo attento riesame dell'intera tradizione
sullo ius Papirianum sia le apparenti contraddizioni delle fonti, sia le
contrarie obiezioni della dottrina, ritiene «d’avere a sufficienza dimostrato
che le fonti convergono tutte a rinsaldare la tradizione del ius Papirianum, quale esposta da Dion. Hal. 3, 36,
4» (55); cfr. anche ID., Profilo di storia costituzionale romana cit. 272 ss. Da ultima, R. LAURENDI,
Leges regiae e ius papirianum. Tradizione e storicità di un corpus normativo cit. 171 ss., con rinvio
anche alla ulteriore bibliografia ivi discussa dalla studiosa.
[98] Le stesse fonti sono discordi
sul prenome di questo Papirio (Gaius
per Dionysius Hal. 3.36.4; Sextus in un passo del giurista
Pomponio, D. 1.2.2.2; Publius in altro passo del medesimo giurista, D. 1.2.2.36):
sul problema vedi A. STEINWENTER, v. Papirius, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft XVIII
(Stuttgart 1949) 1006. Una diversa soluzione è proposta da S. TONDO, Leges
regiae e paricidas cit. 52
ss., il quale tenta di conciliare Dionigi e Pomponio ipotizzando che si
trattasse di due casi distinti, cioè di due Papirii (Sesto e Gaio) autori
entrambi, in tempi diversi, di una raccolta di leges regiae.
[99] Sul significato di ritus vedi
Festus De verb. sign., p. 364 L.: Ritus
est nos comprobatus in administrandis sacrificiis (in questo senso si
orienta, anche parte della dottrina: cfr. M. PIANTELLI, Una ricerca su
"ritus" in epoca arcaica,
in Studi in onore di Giuseppe Grosso VI (Torino 1974) 234 ss., in part. 289 ss., per il quale il
termine ritus «appare specialmente connesso con l'esecuzione dei sacra
e delle cerimonie cultuali in genere»). Si precisa così assai meglio quale
dovesse essere la materia della raccolta, il cui titolo è indicato
espressamente come De ritu sacrorum da Macrobius Sat. 3.11.5, e
da Servius auctus in Verg. Aen. 12.836 (Quod ait “morem ritusque sacrorum
adiciam” ipso titulo legis Papiriae usus est, quam sciebat de ritu sacrorum
publicatam): materia che si accorda perfettamente con il contenuto
attribuito alle leges Numae da Dionysius Hal. 3.36.4. Sulla
identificazione della lex Papiria citata da Servio danielino con lo ius
Papirianum si era già espresso a suo tempo P. KRÜGER, Geschichte der
Quellen und Literatur des römischen Rechts 2a ediz. (Leipzig 1912) 4 nt. 8; ma vedi soprattutto le
argomentazioni del TONDO, Leges regiae e paricidas cit. 47 s. Recentissima messa a
punto della questione in R. LAURENDI, Leges regiae e ius papirianum. Tradizione e storicità di un corpus normativo cit. 181 ss.
[100] Sulle implicazioni storiche e
giuridiche del passaggio dal regnum alla res publica, vedi per tutti: A. MOMIGLIANO, Le
origini della Repubblica romana, in
Rivista storica italiana 81 (1969) 5 ss.; F. DE MARTINO, Storia della
costituzione romana I,
seconda edizione (Napoli 1972) 215 ss. (ivi ampio esame della tradizione e
delle diverse ipotesi moderne); ID., Intorno all'origine della repubblica
romana e delle magistrature, in
Aufstieg und Niedergang der römischen Welt I.1 (Berlin-New York 1972) 217 ss. Per una visione d'insieme
risultano molto utili sia il lavoro di G. POMA, Gli studi recenti
sull'origine della repubblica romana. Tendenze e prospettive della ricerca
1963-1973 (Bologna 1974),
sia quello di J.-CL. RICHARD, Les origines de la plèbe romaine. Essai sur la
formation du dualisme patricio-plébéien [Bibliothèque des Écoles Françaises
d'Athènes et de Rome, CCXXXII] (Rome 1978) 433 ss. Da ultima, fra gli altri, vedi A. MURONI, Sull’origine della libertas
in Roma antica: storiografia annalistica ed elaborazioni giurisprudenziali,
in Diritto @ Storia. Rivista
internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana 11 (2013) <http://www.dirittoestoria.it/11/tradizione/Muroni-Origine-libertas-Roma-antica.htm>.
[101] Livius 6.1.9-10: Hi ex interregno cum
extemplo magistratum inissent, nulla de re prius quam de religionibus senatum
consuluere. In primis foedera ac leges – erant autem eae duodecim tabulae et
quaedam regiae leges – conquiri, quae comparerent, iusserunt; alia ex eis edita
etiam in volgus: quae autem ad sacra pertinebant a pontificibus maxime ut
religione obstrinctos haberent multitudinis animos suppressa.
[102] F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica cit. 156 ss. [il libro, ora, è
consultabile anche on line; per il capitolo che qui interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Documenti-sacerdotali-Cap-IV.htm].
[103]
Significato del termine e antichità del genere letterario, per tutti, vedi A. Rostagni, Storia della letteratura latina I, 3a ed. (Torino 1964) 41.
Provengono da archivi di sacerdoti romani sia il carmen saliare: per i frammenti C.M.
Zander, Carminis saliaris
reliquiae (Lundae 1888); B.
Maurenbrecher, Carminum Saliarium
reliquiae, in Jahrbücher für
classische Philologie Suppl. XXI (1894) 315 ss.; W. Morel, Fragmenta
poetarum latinorum epicorum et liricorum praeter Ennium et Lucilium 2a ed.
(Stutgardiae 1927, rist. 1963) 1 ss.; sia il carmen arvale: M.
Nacinovich, Carmen arvale 2
voll. (Roma 1933-1934); E. Norden, Aus
altrömischen Priesterbüchern (Lund-Leipzig 1939) 99 ss.; G. Radke, Archaisches Latein (Darmstadt 1981) 100 ss.; I. Paladino, Fratres Arvales. Storia
di un collegio sacerdotale romano (Roma 1988) 195 ss.; J. Scheid, Romulus et ses frères. Le collège des frères arvales, modèle du culte public
dans la Rome des Empereurs (Rome
1990) 644 ss.
Le fonti attestano antiche formule di preghiera documentate
negli archivi sacerdotali: ad esempio, il Tevere era invocato con epiteti
divini già in età molto risalente, sia nelle preghiere degli auguri (Cicero De nat. deor. 3.52: in augurum precatione Tiberinum, Spinonem, Anemonem, Nodinum, alia
propinquorum fluminum nomina videmus; Servius auctus in Verg. Aen. 8.95: quia Tiberim libri augurum colubrum loquuntur, tamquam flexuosum; cfr.
Servius auctus in Verg. Aen. 8.330); sia negli indigitamenta
dei pontefici: Servius in Verg. Aen. 8.72: sic enim invocatur
in precibus “adesto, Tiberine, cum tuis undis”.
Stessa
provenienza anche degli altri carmina
di cui le fonti hanno conservato i testi: Inauguratio
(Livius 1.18.6 ss.); foedus (Livius
1.24.3 ss.); indictio belli (Livius
1.32.11-13); deditio (Livius 1.38.2);
devotio (Livius 8.9.16); evocatio (Macrobius Sat. 3.9.7). F.A. Brause,
Librorum de disciplina augurali ante
Augusti mortem scriptorum reliquiae cit. 17 ss.; R. Peter, De Romanorum
precationum carminibus, in Commentationes
Philologae in honorem Augusti Reifferscheidii cit. 67 ss.; C.M. Zander, Versus Italici antiqui (Lundae 1890); C. Thulin, Italische
sakrale Poesia und Prosa. Eine metrische Untersuchung (Berlin 1906); G.
Appel, De Romanorum precationibus
[Religionsgeschichte Versuche und Vorarbeiten, 7.1] (Gissae 1909, rist. an. New
York 1975); G.B. Pighi, La
poesia religiosa romana, testi e frammenti per la prima volta raccolti e
tradotti da G.B. P. (Bologna 1958).
[104] N.D.
Fustel de Coulanges, La
cité antique. Étude
sur le culte, le droit, les institutions de la Grèce et de Rome, 1864,
per la citazione ho seguito il testo della riedizione a cura di F. Hartog
(Paris 1984) 197 = ID., La città antica,
trad. it. di G. Perrotta (1924): rist. con nota introduttiva di G. Pugliese
Carratelli (Firenze 1972) 202.
Nell’opera
del grande storico e comparatista «si percepisce oggi il caratteristico inizio
di quella che è la caratteristica storiografia francese del mondo antico nei
suoi elementi distintivi dalla storiografia tedesca del mondo antico»: A. Momigliano, La città antica di Fustel de Coulanges, in Rivista Storica Italiana 82 (1970) 81 [= Id., Quinto contributo alla storia degli studi
classici e del mondo antico I
(Roma 1975) 159]. Per la sua influenza sulla scienza
romanistica francese, vedi J. Gaudemet,
Tendances et méthodes en droit romain,
in Revue Philosophique 145 (1955)
151: «On sait les excès de la thèse de Fustel. Mais ce n’est pas ici en cause.
C’est l’esprit qui l’anime, le refus d’isoler le droit des autres
manifestations d’une civilisation. Par de voies différentes, l’historien Fustel
rejoignait le juriste Jhering. Pour l’un
comme pour l’autre, le droit romain n’était pas un amas de règles désuètes,
mais le témoin d’une civilisation»; ma anche A.
Fernández-Barreiro, Los estudios
de derecho romano en Francia después del código de Napoleón (Roma-Madrid
1970) 54, il quale ha sottolineato che la «Cité
antique estaba destinada a influir poderosamente en la concepción
sociológica de la Historia del Derecho». Per gli studi sulla religione romana,
si veda invece ciò che scriveva, alla fine degli anni Ottanta del XIX secolo, M. Brissaud, Préface in J. Marquardt, Le culte chez les Romains I cit. xxxiv:
«M. Fustel de Coulanges, dans son bel ouvrage sur la Cité antique, publié en
1864, montra avec une réelle supériorité l’extrême importance qu’avait eu le
culte domestique dans l’antiquité. Il eut le
rare mérite de mettre en relief, mieux qu’on ne l’avait fait jusque-là,
certaines idées d’un intérêt capital sur les religions anciennes. Cette
pénétrante étude sur la place qu’occupait la religion dans le monde antique ne
pouvait manquer de susciter des travaux d’une nature plus spéciale sur la
mythologie romaine».
Ma non mancarono riserve e critiche: H. D’arbois de Jubainville, Réponse à M. Fustel de Coulanges, in Id., Recherches sur l’origine de la propriété foncière, et des Noms de lieux habités en France (Paris 1890) xxiii-xxxi, in part. xxviii: «La cité antique n’est pas exclusivement
une institution religieuse: c’est la conquête à main armée et ce n’est pas la
religion qui est l’origine de la propriété foncière indo-européenne. Si le
père, le mari, le frère ont une situation si exclusivement dominante dans la
famille antique, ils ne le doivent pas seulement à une conception religieuse;
leur rôle sacerdotal n’est que l’accessoire de leur supériorité guerrière sur
l’enfant, la femme et la soeur. […] M. Fustel de Coulanges, en écrivant la Cité antique, a cru faire toujours oeuvre d’historien; il a fait oeuvre de
philosophe quand il s’est lancé dans des hypothèses préhistoriques qu’aucun
texte ne justifie. Aucun document historique par exemple n’établit qu’il ait
existé dans le monde indo-européen un temps où la famille ne vivait pas dans la
société politique; il n’y a pas de preuve que le mot indo-européen “père” soit
plus ancien que le mot indo-européen “roi”».
In altra prospettiva, vedi C. Ampolo, Le origini
di Roma e la «Cité antique», in Mélanges
de l'École Française de Rome 92 (1980) 567 ss.; C. Warnke, Antike Religion und antike Gesellschaft: wissenschaftshistorische
Bemerkungen zu Fustel de Coulanges “La cité antique”, in Klio 68 (1986) 287 ss.
[105] Esempi
di decreta e responsa sacerdotali: Cicero De div. 2.35; in Vat. 20;
De domo 39-40; Festus De verb.
sign., p. 152 L.; ma soprattutto Tito Livio, il quale riporta decreta e responsa, sia degli auguri: Livius 4.31.4;
8.15.6; 23.31.13; 41.18.8; sia dei pontefici: Livius 5.23.8-10; 5.25.7;
27.37.4; 27.37.7; 31.9.8; 32.1.9; 34.45.8; 39.22.4; 40.45.2; sia dei decemviri sacris faciundis: Livius
22.1.16-19; 38.44.7; 41.21.10-11; sia infine dei feziali: Livius 31.8.2-3;
36.3.7-12.
[106] Per conferma della permanenza
negli archivi di documenti redatti in forma linguistica molto antica, cfr.
Cicero De re publ. 1.63; Varro De ling. Lat. 5.21; 7.51;
Festus De verb. sign. v. Paludati, p. 298 L.; Quintilianus Inst.
orat. 8.2.12; Servius auctus in Verg. Aen. 8.95.
[107] F. SINI, Documenti sacerdotali di Roma antica cit. 163 ss. [il libro, ora, è
consultabile anche on line; per il capitolo che qui interessa nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Documenti-sacerdotali-Cap-IV.htm].
[108] Livius
1.20.1-7: Tum sacerdotibus creandis
animum adiecit, quamquam ipse plurima sacra obibat, ea maxime quae nunc ad
Dialem flaminem pertinent. […] Pontificem deinde Numam Marcium, Marci filium,
ex patribus legit eique sacra omnia exscripta exsignataque attribuit, quibus
hostiis, quibus diebus, ad quae templa sacra fierent atque unde in eos sumptus
pecunia erogaretur. Cetera quoque omnia publica privataque sacra pontificis
scitis subiecit, ut esset, quo consultum plebes veniret, ne quid divini iuris
neglegendo patrios ritus peregrinosque adsciscendo turbaretur; nec caelestes
modo caerimonias, sed iusta quoque funebria placandosque manes ut idem pontifex
edoceret, quaeque prodigia fulminibus aliove quo visu missa susciperentur atque
curarentur.
[109] Livius
1.32.1-2: Mortuo Tullo res, ut institutum
iam inde ab initio erat, ad patres redierat, hique interregem nominaverant. Quo
comitia habente Ancum Marcium regem populus creavit; patres fuere auctores.
Numae Pompili regis nepos, filia ortus, Ancus Marcius erat. Qui ut regnare
coepit et avitae gloriae memor et quia proximum regnum, cetera egregium, ab una
parte haud satis prosperum fuerat, aut neglectis religionibus aut prave cultis,
longe antiquissimum ratus sacra publica ut ab Numa instituta erant, facere,
omnia ea ex commentariis regis pontificem in album relata proponere in publico
iubet. Inde et civibus otii cupidis et finitimis civitatibus
facta spes in avi mores atque instituta regem abiturum. Per la critica al testo liviano, rinvio al commento di R.M. Ogilvie, Commentary on Livy. Books 1-5 cit. 126
s.
[110] Pomponius D. 1.2.2.2: Et ita leges quasdam et ipse curiatas ad populum tulit: tulerunt et
sequentes reges. Quae omnes conscriptae exstant in libro Sexti Papirii, qui
fuit illis temporibus, quibus Superbus Demarati Corinthii filius, ex
principalibus viris. Is liber, ut diximus, appellatur ius civile Papirianum,
non quia Papirius de suo quicquam ibi adiecit, sed quod leges sine ordine latas
in unum composuit. Cfr. Macrobius Sat. 3.11.5; Paulus D. 50.16.144.
[111] D. Nörr, Aspekte des römischen
Völkerrecht. Die Bronzetafel von Alcántara (München
1989) 28 nt. 5.
[112] Livius
6.1.9-10: Hi ex interregno cum extemplo
magistratum inissent, nulla de re prius quam de religionibus senatum consuluere.
In primis foedera ac leges erant autem
eae duodecim tabulae et quaedam regiae leges conquiri, quae comparerent,
iusserunt. Alia ex eis edita etiam in volgus; quae autem ad sacra pertinebant,
a pontificibus maxime, ut religione obstrictos haberent multitudinis animos
suppressa. Per critica e commento del testo liviano, vedi S. Oakley, A commentary on Liv. Books vi-x,
1. Introduction and Book vi (Oxford 1997) 393 ss.
[113] Livius 10.6.3-6: Tamen,
ne undique tranquillae res essent, certamen iniectum inter primores civitatis,
patricios plebeiosque, ab tribunis plebis Q. et Cn. Ogulniis, qui undique
criminandorum patrum apud plebem occasionibus quaesitis, postquam alia frustra
temptata erant, eam actionem susceperunt qua non infimam plebem accederent, sed
ipsa capita plebis, consulares triumphalesque plebeios, quorum honoribus nihil
praeter sacerdotia, quae nondum promisqua erant, deesset. Rogationem ergo
promulgarunt, ut, cum quattuor augures, quattuor pontifices ea tempestate
essent placeretque augeri sacerdotum numerum, quattuor pontifices, quinque
augures de plebe omnes adlegerentur. 10.9.1-2: Vocare tribus extemplo populus iubebat, apparebatque accipi legem; ille
tamen dies intercessione est sublatus; postero die deterritis tribunis ingenti
consensu accepta est. Pontifices creantur suasor legis P. Decius Mus, P.
Sempronius Sophus, C. Marcius Rutilus, M. Livius Denter; quinque augures item
de plebe: C. Genucius, P. Aelius Paetus, M. Minucius Faesus, C. Marcius, T.
Publilius. Ita
octo pontificum, novem augurum numerus factus.
Su
questo plebiscito cfr., fra gli altri, G.
Rotondi, Leges publicae populi
Romani (Milano 1912, rist. Hildeshem-Zürich-New York 1990) 236; G. Niccolini, I fasti dei tribuni della plebe (Milano 1934) 77; K.J. Hökelkamp, Die Plebiscitum Ogulnium de sacerdotibus. Überlegungen
zu Authentizität und Interpretation der livianischen Überlieferung, in Rheinisches
Museum 131 (1988) 51 ss.
[114] Il
riferimento a P. Mucio Scevola si legge in Cicero De orat. 2.52: Erat enim
historia nihil aliud nisi annalium confectio; cuius rei memoriaeque publicae
retinendae causa ab initio rerum Romanarum usque ad P. Mucium pontificem
maximum res omnis singulorum annorum mandabat litteris pontifex maximus
efferebatque in album et proponebat tabulam domi, potestas ut esset populo
cognoscendi: ei qui etiam nunc annales maximi nominantur. Cfr. Servius
auctus in Verg. Aen. 1.373: Ita autem annales
conficiebantur: tabulam dealbatam quotannis pontifex maximus habuit, in qua
praescriptis consulum nominibus et aliorum magistratuum digna memoratu notare
consueverat domi militiaeque terra marique gesta per singulos dies. Cuius
diligentiae annuos commentarios in octaginta libros veteres retulerunt, eosque
a pontificibus maximis a quibus fiebant annales maximos appellarunt.
Sull’attività
di giurista e di uomo politico del grande pontefice, vedi fra gli altri: E.S. Gruen, The Political Allegiance of the P. Mucius Scaevola, in Athenaeum 43 (1965) 321 ss.; G. Grosso, P. Mucio Scevola tra politica e diritto, in Archivio Giuridico 175 (1968) 204 ss.; R. Seguin, Sacerdoces
et magistratures chez les Mucii Scaevolae, in Revue des études
Anciennes 72 (1970) 90 ss.; F.
Wieacker, Die römischen Juristen
in der politischen Gesellschaft des zweiten vorchristlichen Jahrhunderts, in
Sein und Werden im Recht. Festg.
von Lübtow (Berlin 1970) 183 ss., 204 ss.; Id., Römische Rechtsgeschichte.
Quellenkunde, Rechtsbildung, Jurisprudenz und Rechtsliteratur cit. 547 ss.;
O. Behrends, Tiberius Gracchus und die Juristen seiner Zeit - die römische
Iurisprudenz gegenüber der Staatskrise des Jahres 133 v. Chr., in Das Profil des Juristen in der europäischen
Tradition. Symposion
Wieacker, hrsg. von K. Luig und D. Liebs (Ebelsbach am Main 1980) 25 ss.,
51 ss.; A. Guarino, La coerenza di Publio Mucio (Napoli
1981); M. Bretone, Tecniche e ideologie dei giuristi romani,
2a ed. (Napoli 1982) 255 ss.; R.A.
Bauman, Lawyers in Roman
republican politics: a study of the Roman jurists in their political setting,
316-82 BC cit. 230 ss.; A. Schiavone,
Giuristi e nobili nella repubblica romana
cit. 3 ss.; Id., Linee di storia del pensiero giuridico
romano cit. 41 ss.
[115] Per i
frammenti superstiti, J.-V. Le Clercq, Des journaux chez les Romains cit. 344
ss.; H. Peter, Historicorum Romanorum reliquiae, 2a
ed., 1 (Stutgardiae 1914, editio stereotypa 1967) 3 s. Le più recenti raccolte
di frammenti sono opera di B.W. Frier, Libri Annales pontificum Maximorum. The Origins of the Annalistic Tradition cit. e di M.
Chassignet, L’annalistique romaine, 1. Les annales des pontifes et l’annalistique
ancienne (fragments). Texte établi et traduit par M. Ch. (Paris 1996).
Vedi, ora, le interessanti
riflessioni di C. BELTRÃO DA ROSA, Religion,
writing and systematization: reflections on the Annales Maximi, in Tempo vol. 19 no. 35 (July/Dec. 2013)
<http://www.scielo.br/scielo.php?pid=S1413-77042013000200013&script=sci_arttext&tlng=en>.
[116] Sulle
altre principali compilazioni sacerdotali (auguri, feziali) e sul valore
storico-giuridico dei dati provenienti da tali documenti, vedi M. VOIGT, De fetialibus populi
Romani quaestionis specimen (Lipsiae 1852); F.A. Brause, Librorum de disciplina augurali ante Augusti mortem scriptorum
reliquiae cit.; P. Regell, De augurum publicorum libris
(Vratislaviae 1878); Id., Fragmenta auguralia cit.; Id., Commentarii in librorum auguralium fragmenta specimen (Hirschberg
1893); E. Norden, Aus altrömischen Priesterbüchern cit.;
F. Sini, Documenti sacerdotali di Roma antica cit. 17 ss. [libro
consultabile on line nel sito: http://www.dirittoestoria.it/dirittoromano/Sini-Documenti-sacerdotali-Cap-I.htm];
J. Linderski, The Augural Law cit. 2241 ss. [articolo
consultabile anche on line, in formato pdf, nel sito: http://www.academia.edu/6696039/J._Linderski_The_Augural_Law._ANRW_II_16._3._1986_OCR];
L. Dal Ri, Ius Fetiale. As origens do direito internacional no
universalismo romano (Ijuí 2011).
[117] F. Sini, Documenti sacerdotali e lessico politico-religioso di Roma arcaica,
in Atti del Convegno sulla lessicografia
politica e giuridica nel campo delle scienze dell'antichità (Torino, 28-29
aprile 1978), a cura di I. Lana - N. Marinone (Torino 1980) 127 ss.; ma più
in generale cfr. C. Nicolet, Lexicographie politique et histoire romaine:
problèmes de méthode et directions de recherches ibid. 19 ss.
[118] Per
una penetrante critica all'interpretazione "statualista'' del sistema
giuridico-religioso romano, vedi P. Catalano,
Populus Romanus Quirites (Torino
[1970] 1974) 41 ss. (con ampia analisi [52 ss.] dei motivi di opposizione nei
confronti della «Staatslehre» mommseniana, presenti nella coeva cultura
giuspubblicistica italiana); Id.,
La divisione del potere in Roma (a
proposito di Polibio e di Catone), in Studi
in onore di Giuseppe Grosso VI cit. 673 ss.; J. Bleicken, Lex publica. Gesetze
und Recht in der römischen Republik
(Berlin-New York 1975) 16 ss. («Kritik der Staatsrechtslehre von Th.
Mommsen»). Tutta questa problematica è stata riaffrontata, con importanti
contributi critici e metodologici, da G. Lobrano,
Note su «diritto romano» e «scienze di
diritto pubblico» nel XIX secolo, in Index
7 (1977, ma pubbl. 1979) 66; Id.,
Il potere dei tribuni della plebe
(Milano 1982) 6 ss.; Id., Diritto pubblico romano e costituzionalismi
moderni [Pubblicazioni del Seminario di Diritto Romano dell’Università di
Sassari, 5] (Sassari 1990) 81 ss.; Id.,
Res publica res populi. La legge e le
limitazioni del potere [Pubblicazioni del Seminario di Diritto Romano dell’Università
di Sassari, 10] (Torino [1994] 1996) 42 ss.