Università di Sassari
1. Dell’intero progetto di riforma
costituzionale all’esame del Parlamento, quello concernente la modifica
del bicameralismo, con la previsione del Senato federale della Repubblica,
è, paradossalmente, il più auspicato ma allo stesso tempo il più
criticato. Perché si vorrebbe, mi sia concesso dirlo con una battuta, la
botte piena e la moglie ubriaca. Va detto subito, allora, che la modifica del
bicameralismo italiano può non passare necessariamente attraverso la
creazione di una seconda Camera come quella tedesca, cioè il Bundesrat, che è composta da
delegati nominati (e revocati) dai governi dei Laender. Ammesso e non concesso che questa sia la soluzione giusta,
va detto che il Senato italiano ha una sua storia, una sua tradizione costituzionale
che non può essere radicalmente azzerata per farne una sede di esclusiva
rappresentanza di soli (e semplici) delegati regionali. Sarebbe pertanto
opportuno, anche per ragioni di carattere istituzionale, che il Senato, sia
pure “federale”, non diventasse mero usbergo di «invalidi della Costituzione», per
riprendere la bruciante definizione di Luigi Palma (risalente al 1869, e
riferita proprio alla riforma del Senato dell’epoca). Quindi, dal punto
di vista della salvaguardia della tradizione costituzionale del Senato e non
solo, va detto che il progetto di riforma dello stesso, quantomeno nella parte
relativa alla sua composizione, è forse il meno traumatico che si poteva
immaginare, ma allo stesso tempo non tiene conto di alcune esigenze di cambiamento.
Vedremo più avanti nel dettaglio cosa prevede il progetto di riforma,
sia per quanto riguarda composizione e organizzazione del Senato federale sia
per quanto riguarda i procedimenti legislativi che lo chiamano direttamente in
causa. Prima però voglio provare a dare risposta a un interrogativo, che
sta a fondamento stesso del tema oggetto di questa relazione: quali sono,
specialmente oggi, le ragioni che inducono a volere una riforma del
bicameralismo, con l’introduzione di una seconda Camera che sia il
più possibile rappresentativa delle autonomie territoriali ma che non
svilisca del tutto la sua funzione parlamentare? Qui mi limiterò a dare
delle rapide risposte, indicando almeno quattro tra gli argomenti più
significativi.
1.1. Il primo argomento è quello
relativo alla riforma del Titolo Quinto della Costituzione, avvenuta come noto
nel 2001, con la ripartizione delle competenze legislative fra Stato e Regioni
e con la fissazione di un largo catalogo di materie concorrenti; da qui, l’esigenza
di collocare forme di rappresentanza regionale in una delle due Camere
parlamentari, per consentire la partecipazione alla determinazione della
potestà legislativa in favore della periferia, ed evitare il perpetuarsi
di conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni sulla rivendicazione
delle competenze, che costringe
1.2. C’è poi l’argomento
della forma di governo: infatti, solo superando l’attuale bicameralismo
paritario è possibile modificare (come si dice di voler fare) la forma
di governo parlamentare nel senso del cosiddetto premierato, che esclude il
Senato dal circuito fiduciario, di cui rimane unica titolare
1.3. Il terzo argomento è quello che
ha una sua forza costituzionale, per così dire. Infatti,
l’esigenza di trasformare una delle due Camere in una Camera delle
autonomie territoriali la troviamo in una legge costituzionale, la n. 3 del
2001, all’art. 11: laddove, si provvede a riformare
1.4. Infine, il quarto e ultimo argomento
è quello del federalismo, e si riferisce al tipo di Stato che si vuole
costruire. Sul punto, va detto che nonostante vi sia una diffusa incertezza
sulla qualificazione giuridica del federalismo c’è invece una
costante certezza sull’organizzazione dello stesso, e cioè che
tutti gli Stati più o meno federali, ovvero al loro interno
significativamente decentrati, prevedono una seconda Camera rappresentativa
delle autonomie territoriali. A questo dato certo ci si arriva agevolmente per
il tramite della ricerca comparatistica. Infatti, se si esamina la struttura
del bicameralismo negli Stati federali, si giunge alla conclusione che una
delle due Camere del Parlamento è finalizzata a dare la rappresentanza
agli enti territoriali, ovvero quegli enti che hanno potestà
legislativa. Le differenze, semmai, riguardano i criteri di scelta dei
rappresentanti e le competenze a essi assegnate. Anche se, a questo proposito,
occorre puntualizzare un aspetto: una Camera rappresentativa delle autonomie
territoriali diventa tale non tanto e non solo perché è composta
da rappresentanti degli enti decentrati, ma piuttosto per le funzioni che essa
è chiamata a svolgere. La partecipazione al procedimento di formazione
di alcune leggi, infatti, è da ritenersi l’attività
costituzionalmente più rilevante delle Camere delle autonomie
territoriali; poi vengono le attività esecutive, di controllo e di
nomina. La partecipazione al procedimento legislativo è il dato comune a
tutte le Camere rappresentative delle autonomie territoriali; non
c’è invece comunanza per quanto riguarda le forme della
rappresentanza. Infatti, attraverso un rapido sguardo comparatistico, possiamo
rilevare la presenza di almeno tre modi di rappresentare. Quella in cui i
rappresentanti degli stati coincidono con i loro esecutivi, in quanto da questi
nominati e revocati e scelti tra i membri degli stessi esecutivi, secondo il modello
del Bundesrat tedesco; quella in cui
rappresentanti degli stati sono eletti a suffragio universale da parte della
popolazione del singolo stato, secondo il modello del Senato statunitense (dopo
l’emendamento del 1913); e quella in cui i rappresentanti degli stati
sono eletti dai Parlamenti degli Stati membri, ma non necessariamente
appartenenti ai Parlamenti stessi, secondo il modello del Bundesrat austriaco. C’è anche un quarto modo di
rappresentare del tipo misto, elezione e nomina, che troviamo in Spagna e in
Belgio.
1.5. Dal modo in cui vengono a essere
componenti della Camera rappresentativa delle autonomie territoriali ne
discendono, poi, una serie di problemi, che qui mi limito solo ad accennare.
C’è il problema del mandato imperativo: è chiaro che i
componenti nominati dai governi territoriali hanno il vincolo di mandato, sono
chiamati cioè a svolgere la loro attività secondo un mandato ben
preciso che li vincola all’organo che li ha nominati; essi non
rappresentano il territorio ma piuttosto il governo dello Stato membro, e non
è certo la stessa cosa. Ben diversa è la situazione di coloro i
quali sono eletti dal corpo elettorale, e in parte anche coloro che sono eletti
dai Parlamenti degli Stati membri: qui il vincolo di mandato si affievolisce,
perché l’elezione postula una certa forma di libertà
dell’agire politico (al limite si può prevedere il recall); essi sono chiamati semmai a
rispondere del loro operato presso l’elettorato, ovvero presso i
Parlamenti che li hanno eletti. Il legame col territorio c’è ma
non è diretto, perché viene ad essere filtrato attraverso
l’elezione. Nel caso del sistema austriaco poi, l’elezione da parte
dei Parlamenti dei singoli Stati fa emergere chiaramente i rapporti di forza
partitica presenti all’interno dell’Assemblea legislativa del
singolo Land.
Infine, un cenno relativo all’organizzazione delle seconde
Camere negli Stati federali, è quello sul numero dei rappresentanti
assicurati a ciascuna entità. Qui, la dottrina, soprattutto quella
tedesca, ha elaborato una concezione fondata su due criteri: quello aritmetico, secondo cui ciascun ente
statale ha un uguale numero di rappresentanti, e quello geometrico, secondo cui il numero dei rappresentanti varia in
ragione della popolazione e/o del territorio dello Stato membro. La questione
non è di poco conto, ed investe un profilo del rapporto fra federalismo
e democrazia. E’ chiaro, infatti, che laddove si privilegia il criterio
aritmetico, si calca maggiormente su una maggiore espansione del principio
federale; viceversa, il criterio geometrico si fonda sul principio democratico,
dove ognuno conta per quello che vale come popolazione e come grandezza del
territorio.
2. Sono questi, sia pure a grandissime linee,
alcuni dei problemi relativi a una seconda Camera rappresentativa delle
autonomie territoriali. E sono altresì gli argomenti che spingono nel
senso di una significativa modifica dell’attuale sistema bicamerale
italiano. Ma sono anche gli argomenti che riscontriamo nel progetto di riforma
costituzionale che sta nascendo in Parlamento? Prima di elencarli ed
esaminarli, voglio però dire una cosa. Il processo di riforma ha
già prodotto un primo risultato non trascurabile, che è quello di
aver diffuso e fatto acquisire la consapevolezza della necessità ed
inderogabilità della riforma del Senato. Dal punto di vista della
cultura parlamentare, si è entrati nell’ordine delle idee che il
Senato così come è non ci sarà più, perché
cambierà le sue competenze e (forse) la sua rappresentanza. Ho
l’impressione che questo aspetto cominci concretamente ad essere
avvertito soprattutto dai senatori, cioè coloro che sarebbero
“naturalmente” restii a cambiare il Senato e cedere così le
loro prerogative. E questo mi sembra un passo avanti, che in qualche modo
stempera il noto paradosso delle riforme costituzionali.
Certo, al cambiamento deve
poter corrispondere la riuscita di un nuovo assetto bicamerale che soddisfi le
esigenze del sistema federale italiano. E qui veniamo ad esaminare cosa prevede
il progetto di Senato federale della Repubblica.
* * *
3. Inizio con la composizione: i senatori
eletti sarebbero 252, e quindi un numero ridotto rispetto agli attuali (art.
57, comma 2, Cost.-Cam. [sigla che uso
per indicare il d.d.l. approvato dalla Camera il 15.10.2004]), ai quali però
andrebbero aggiunti 2 rappresentanti per ogni Regione e 2 per ciascuna
Provincia autonoma del Trentino Alto-Adige per un totale di 42, eletti,
rispettivamente, dal Consiglio regionale e dal Consiglio delle autonomie locali
(art. 57, comma 6, Cost.-Cam.). Certo, i 42 rappresentanti di provenienza
territoriale, come afferma il disegno di legge, «partecipano
all’attività del Senato federale senza diritto di voto, secondo le
modalità previste dal suo regolamento», ma nella composizione
complessiva del Senato si vanno a sommare ai 252, e quindi avremo 294 senatori
in tutto (quindi soltanto
Ci sono poi altri aspetti che riguardano la futura
composizione del Senato federale: come la eliminazione dei senatori a vita
trasferiti, per così dire, alla Camera dei deputati (art. 59, comma 1,
Cost.-Cam.), così pure l’abolizione dei senatori eletti dalla
circoscrizione estero. E’ stato poi leggermente aumentato il numero
minimo di senatori per ogni Regione, da
4. Vengo ora a esaminare le competenze del
Senato federale, con particolare riguardo ai procedimenti legislativi.
C’è da dire subito, che il nuovo art. 70 Cost.-Cam., così
come delineato nel progetto di riforma, mette in moto un procedimento
legislativo assai complesso, il cui unico pregio è quello che di
prevedere un inizio e una fine e quindi superare in tal modo la tradizionale
difficoltà dell’attuale procedimento legislativo che, nella navette tra Camera e Senato, può
non finire mai. Certo, si fa fatica a leggere l’articolo per intero,
anche perché è scritto male ed è eccessivamente lungo e
macchinoso nel suo sviluppo normativo. Si tratta di un procedimento legislativo
“tripartito”, per così dire, in quanto si prevedono tre
categorie di leggi con tre diversi iter
legislativi: a) le leggi a prevalenza
Camera; b) le leggi a prevalenza
Senato; c) le leggi bicamerali.
La tripartizione del procedimento legislativo è determinata, in maniera
fondamentale, dal contenuto del disegno di legge, che è il parametro per
la scelta del tipo di procedimento da adottare (nonché per la prevalenza
o meno di una Camera).
Provo a sintetizzare.
4.1. Le prime, cioè le leggi a
prevalenza Camera, sono quelle che
4.2. Le seconde, cioè le leggi a
prevalenza Senato, sono del tutto speculari a quelle prevalenza Camera anche
come iter legislativo, salvo che per
esse si prevede un eventuale procedimento di speciale “fiducia
indiretta”: ovvero, il Governo ha la possibilità di intervenire
per far prevalere il proprio convincimento con uno speciale procedimento, su un
disegno di legge che sarebbe altrimenti a prevalenza Senato. Si tratta di un
procedimento complesso, che può addirittura chiamare in causa il
Presidente della Repubblica obbligandolo a prendere una decisione politica, che
sarebbe in contrasto con il ruolo di garanzia che proprio il progetto di
riforma costituzionale gli assegna. L’intervento governativo che prevale
sul Senato, comunque, può essere esercitato “in positivo”,
cioè al fine di imporre al Senato, che non lo vuole, un testo che
realizza il programma di governo, e “in negativo”, per così
dire, cioè per contrastare il Senato che vuole un testo ritenuto lesivo
di interessi unitari vitali. Va altresì detto, che le leggi a prevalenza
Senato riguardano tutte le materie di competenza concorrente (ex art. 117 Cost.), quelle che recano i
principi fondamentali nelle materie, per il resto, di competenza regionale.
Certo, il problema poi è la definizione, assai controversa, di cosa
siano i “principi fondamentali”: non c’è, infatti, nell’ordinamento
e nella giurisprudenza costituzionale, una definizione certa e univoca.
4.3. Infine, le terze categorie di leggi,
cioè quelle bicamerali, sono quelle che richiedono il concorso paritario
della Camera e del Senato. Si tratta di 25 tipologie di leggi bicamerali, che
vi risparmio l’elencazione e vi rimando alla non facile lettura
dell’art. 70, comma 3, Cost.-Cam., che non è affatto chiaro anche
perché obbliga a un continuo rinvio ad altri articoli della
Costituzione, dove vi è un’espressa riserva di legge dello Stato o
della Repubblica. Questo procedimento delle leggi bicamerali consente, in
taluni casi, al Senato di svolgere una significativa funzione di garanzia, come
per esempio per le leggi elettorali o per le funzioni fondamentali dei Comuni,
ovvero di coordinamento, nel caso per esempio delle reti di comunicazione o
della ricerca scientifica. C’è da dire però, che in altri
casi il procedimento bicamerale si interferisce – come per la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali – nell’esercizio di una delicata funzione di
Governo, che non può essere sottratta al circuito corpo
elettorale-Camera dei deputati-Governo.
Non è finita. C’è una sorta di
ulteriore procedimento legislativo, sia pure eccezionale. E’ quello che
prevede, qualora un disegno di legge non fosse approvato dalle due Camere nel
medesimo testo, l’intervento del Presidente della Camera e del Senato, i
quali, d’intesa tra loro, possono convocare una commissione di 30
deputati e 30 senatori incaricata di proporre un testo unificato da sottoporre
al voto finale delle due Assemblee. C’è da dire, inoltre, che la
decisione dei presidenti o della commissione non è sindacabile in
nessuna sede. Questo è un punto giuridicamente delicato, per le
conseguenze che l’esatta definizione del suo ambito ha con il rapporto
tra decisione sulla questione di competenza ed eventuale sollevazione di un
giudizio di costituzionalità per vizi di procedura.
Vi è inoltre da riferire come sulla funzione
legislativa del Senato federale incombe la figura e il ruolo della Conferenza
Stato-Regioni, che è stata costituzionalizzata assegnando a essa il
compito di «realizzare la leale collaborazione e promuovere accordi e
intese» (art. 118, comma 3, Cost-Cam.). C’è la possibilità
concreta, allora, che sia questo organo, e non il Senato federale, a svolgere
la funzione di mediazione, determinando il contenuto di iniziative legislative
e conseguentemente svuotando di significato la sede parlamentare. Il rischio che
si venga a creare una sorta di tricameralismo, per giunta conflittuale, non
appare poi così lontano…
5. Intendo ora far cenno, sia pure
rapidamente, ad alcune questioni concernenti i rapporti tra Senato federale e
gli altri organi costituzionali.
5.1. Senato
federale e Presidente della Repubblica: a parte l’elezione di questo
ultimo per il tramite di una Assemblea della Repubblica della quale fanno parte
i 252 senatori eletti ma non, a mio avviso, i 42 senatori di provenienza
territoriale, c’è da rilevare come il Presidente del Senato, che
continua a essere il Presidente della Repubblica supplente, potrebbe decadere
dalla carica di senatore, in relazione alle vicende del Consiglio della Regione
di riferimento, anche durante l’esercizio delle funzioni vicarie del
Presidente della Repubblica, e queste dovranno essere assunte dal vice
Presidente vicario del Senato. Sarà pure un’ipotesi di scuola, ma
merita di essere evidenziata anche per la sua stravaganza.
5.2. Senato
federale e Governo: ho già detto con riferimento al procedimento
legislativo e alla forma di “fiducia indiretta”, e va ribadito il
fatto che non vi è nessun collegamento fiduciario tra Governo e Senato
federale, e correlativamente la possibilità di scioglimento di questo ultimo.
Certo, il Primo Ministro illustra il programma di legislatura e la composizione
del Governo a entrambe le Camere, e quindi anche in Senato, ma solo
5.3. Consiglio
Superiore della Magistratura, Corte costituzionale e Senato federale:
questo ultimo interviene nel momento della elezione di una parte dei componenti
dei due organi. In particolare, per quanto riguarda il CSM, il Senato elegge un
sesto dei componenti (altrettanti li elegge
6. Vengo ora a svolgere alcune
considerazioni finali. Prima però voglio sottolineare un aspetto che non
è affatto da sottovalutare, ed è quello riferito alle
disposizioni transitorie al disegno di legge di riforma costituzionale. Si
tratta, infatti, di 5 articoli, alcuni con diversi commi, di non facile
comprensione. Pensate solo alle variabili dell’entrata in vigore della
riforma costituzionale, che può essere stratificata temporalmente in
più stadi. E poi, con particolare riguardo all’elezione dei
senatori federali, che dovranno calibrarsi con le elezioni dei rispettivi
Consigli regionali. Uno scenario che si potrebbe avere è il seguente:
nel 2011 si svolgeranno le elezioni per la prima legislatura del Senato
federale composto ancora da 315 membri, e i consigli regionali, eletti nel
Debbo dire che proprio questa data di entrata in vigore del Senato
federale così distante, finisce con l’attutire e smorzare le
critiche che si potrebbero muovere al progetto. Pare difficilissimo, infatti,
immaginare che tutto si possa fermare e nulla venga a essere modificato fino al
2016, anno di inizio del nuovo Senato federale. Come dire, è molto
più facile prevedere, piuttosto, ulteriori cambiamenti o sostanziali
ripensamenti (o bocciature nel caso di un referendum
confermativo) tali da stravolgere il progetto oggi in discussione.
* * *
Detto questo, mi limito a svolgere una considerazione di massima,
che è la seguente. Per la sua composizione e per le sue funzioni il
Senato federale sembra configurarsi come un organo politico specializzato nel
trattare le questioni regionali. Il bicameralismo che si vorrebbe far nascere,
pertanto, sarebbe in realtà un bicameralismo per specializzazione o
funzionale più che un bicameralismo a rappresentanza differenziata. Il
che potrebbe non essere un problema. Ma qui occorre segnalare le
incongruità che si annidano nella parte relativa alle competenze del
Senato federale; specialmente perché queste riguarderebbero tutta la legislazione
statale concorrente ex art. 117
Cost.. Tenuto conto che il Senato non dovrebbe essere più una Camera
politica, assegnandogli questa estesa competenza si corre il concreto rischio
di far nascere un doppio monocameralismo, in luogo dell’attuale
bicameralismo paritario. Infatti: con una mano si sottrae il Senato dal
rapporto fiduciario con il Governo mentre con l’altra gli si affida
l’ultima e decisiva parola sulle leggi relative alla determinazione dei
principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente. Una competenza
questa, che sarebbe più opportuno se venisse assegnata alla Camera, dal
momento che si tratta di materie relative alle politiche di settore assai
significative per l’indirizzo politico di Governo. Immaginare un Senato
federale quale organo di contrappeso istituzionale alla maggioranza –
ispirandosi così alla recente tesi di Bruce Ackerman sulla nuova separazione dei poteri –
vorrebbe dire auspicare continue e ripetute forma di conflittualità che
ferirebbero gravemente il parlamentarismo e la governabilità.
Certo, il concreto atteggiarsi del Senato federale
nell’assetto costituzionale sarà anche, e forse soprattutto,
affidato al principio di effettività, al suo dispiegarsi nella
Costituzione in senso materiale. Solo così il Senato e i senatori si
potranno conquistare un preciso ruolo nell’ordinamento, e scacciare
l’incubo di diventare gli «invalidi della Costituzione».
NOTA BIBLIOGRAFICA
ACKERMAN B., La nuova separazione dei poteri, tr.it.,
ed.Carocci, Roma, 2003 (su cui v. la mia recensione critica in Diritto pubblico comparato, n.2, 2003);
FROSINI T.E., Federalismo e bicameralismo, in I percorsi del federalismo
LIPPOLIS V., Bicameralismo e Senato federale, in Nuovi studi politici, n.3/4, 2004;
NICOTRA I., Il
Senato federale nel Testo di riforma della seconda parte della Costituzione, in
Forumcostituzionale.it , 2004;
SALERNO G., Brevi
note sulla composizione e sull'organizzazione del Senato federale nel ddl Cost.
approvato, con modificazioni, dalla Camera dei Deputati, in federalismi.it , n.21, 2004.