N° 2 - Marzo 2003 – Tradizione Romana
Il favor debitoris
nel diritto e nella giurisprudenza della Polonia*
La regola interpretativa
favor debitoris non si trova nelle fonti del diritto romano, nelle quali
appaiono abbastanza spesso le locuzioni in cui il sostantivo favor viene accompagnato alle
descrizioni libertatis oppure testamenti[1].
Nonostante l’assenza di una locuzione favor debitoris nelle fonti del diritto romano ci sono diversi
passi in cui la situazione del reo nel processo e descritta come più favorevole
dell’attore. Si possono notare alcune regole processuali come:
Favorabiliores
rei potius quam actores habentur (D. 50.17.125);
Ei incumbit probatio qui dicit, non qui negat (D. 22.3.2);
Reus in exceptione actor est (D. 44.1.1)[2].
Le regole citate illustrano in modo chiaro che nel processo
(tanto privato che penale) il reo (cioè il debitore nel processo in personam) dovrebbe essere trattato
più favorevolmente dell’attore, dal punto di vista dell’onere della prova. Tale
soluzione si basa sulla presunzione che nel processo il reo è la parte più
debole e perciò dovrebbe essere protetta in modo più efficace. Questo modo di
pensare era già sostenuto da Aristotele[3].
Il brocardo medioevale in dubio pro reo mostra
l’idea chiamata favor debitoris.
Simili problemi sono anche trattati negli odierni sistemi del
diritto e della procedura civile. L’articolo 6 del Codice civile polacco del
1964 (che stabilisce la regola sull’onere della prova) e l’articolo 5 (che si
occupa dell’abuso del diritto) possono essere interpretati come l’esposizione odierna
della regola favor debitoris[4].
L’unificazione del diritto civile in Polonia si effettuò solo
dopo la seconda guerra mondiale, negli anni 1945-1946. Le basi di quest’opera
furono i lavori della Commissione per la codificazione creata in Polonia nel 1919,
i cui lavori non vennero effettuati in modo integrale prima della seconda
guerra mondiale. Negli anni della Seconda Repubblica, nel campo del diritto
privato, furono unificati il codice delle obbligazioni (1933), il codice
commerciale (1934) ed alcune altre leggi (ad es. sulle lettere di cambio e
sulla procedura civile). L’unificazione del diritto civile in Polonia si
effettuò negli anni 1945-1946, sulle basi dei lavori della Commissione per
I successivi lavori di codificazione vennero effettuati negli
anni ‘50 (nuova versione della parte generale del diritto civile e del diritto
di famiglia, i quali unirono i vari decreti in materia di matrimonio, famiglia
e tutela). L’ultima tappa della codificazione del diritto civile in Polonia fu
la promulgazione nel 1964 dei due codici: il Codice civile e quello relativo
alla famiglia ed alla tutela, che entrarono in vigore dal 1 gennaio 1965. Il codice
del 1964 abolì anche in gran parte il Codice commerciale del 1934.
Il periodo in cui fu effettuata la codificazione del 1964 non era
tanto favorevole per gli studi di diritto romano e per i concetti provenienti
da questo diritto[6]. Ma
il Codice civile polacco del 1964 fu abbastanza tradizionale tanto dal punto di
vista delle sue strutture che dei singoli istituti. Molti istituti giuridici
accolti nel Codice civile polacco del 1964 si sono basati su soluzioni
formatesi sulla base della dottrina romanistica, anche se molti istituti
presentavano i segni particolari di un regime totalitario, basato sull’economia
pianificata del socialismo reale[7].
La caduta del socialismo reale (avvenuta in Polonia nel 1989)
provocò dei nuovi problemi sociali, etici ed anche giuridici. In questo
processo concorrono le idee dell’economia di mercato, trattata dal punto di
vista puramente liberale, le reminiscenze dello Stato protettivo di tipo
socialista, l’ideologia giusnaturalistica, nonché la dottrina sociale della
Chiesa. Emersero nuovi problemi sociali e giuridici, dovuti anche alle
aspirazioni d’appartenenza alle strutture europee.
Il processo della caduta e trasferimento del regime politico,
spinto nel 1980 dal movimento “Solidarność”, ed interrotto nel dicembre
1981 per l’introduzione della legge marziale, condusse in fine, all’inizio del
1989, ad una specie di contratto sociale: la così detta “Tavola rotonda”. Le
prime elezioni libere nel giugno 1989 abolirono il regime politico del
socialismo reale. Il processo dei cambiamenti strutturali e costituzionali fu
iniziato dal primo parlamento della III Repubblica, la così detta “Dieta
contrattuale” e dal governo di Tadeusz Mazowiecki.
Dopo la caduta del socialismo reale, nella nuova situazione
politico economica dello Stato democratico liberale, c’erano due possibilità di
eseguire il processo di adattamento codice civile proveniente dall’altra realtà
politico sociale ed economica:
1° la formazione di un nuovo codice civile (cosa necessaria in
alcuni paesi ex socialisti, in cui il legislatore socialista si era distaccato
in modo totale dalla tradizione civilistica europea, basata sui concetti
provenienti dal diritto romano (ad esempio l’ex DDR e l’ex Cecoslovacchia).
2° attraverso gli emendamenti del codice esistente, eliminare
alcuni regolamenti non adatti al nuovo sistema economico, politico e giuridico.
1º Una particolarità del
diritto dei Paesi socialisti furono le clausole generali, volte a proteggere
l’economia e il sistema socialista. Le clausole tradizionali, conosciute nel
diritto romano, e poi recepite nel diritto civile moderno, come bona fides, aequitas, boni mores,
erano presenti nel diritto polacco, codificato prima della seconda guerra.
Il codice delle obbligazioni del 1933 stabilì all’articolo 135 (a proposito
dell’abuso di diritto):
«Chi deliberatamente, o per negligenza,
ha arrecato un danno ad altri, nell’esercizio di un suo diritto, è obbligato a
risarcirlo se ha superato i limiti riconosciuti dalla buona fede o dallo scopo
per il quale gli è stato attribuito il diritto».
Nella parte generale del diritto civile del 1950, l’art. 3 fu
formulato così:
«Non si può fare di un proprio diritto un uso che
danneggia i principi della convivenza sociale nello Stato popolare».
Nel Codice civile del 1964, nell’articolo 5, fu utilizzata invece
(a proposito dell’abuso di diritto) una formula diversa:
«Non si può fare, di un proprio
diritto, un uso che sia in contrasto con la sua funzione socioeconomica o con i
principi della convivenza sociale nella Repubblica Popolare Polacca. Una simile
azione (od omissione) del titolare non è da considerarsi esercizio del diritto
e non è meritevole di tutela».
Il codice del 1964 conservò però la nozione
della buona fede nell’articolo 7, che introduce la presunzione di buona fede.
La nozione di buona fede appare anche nei diversi articoli dei singoli istituti
giuridici, in cui si evoca la “buona fede” in modo diretto, oppure come divieto
di “mala fede”. La cancellazione nel 1990 delle parole «propri della Repubblica Popolare Polacca»,
equiparò i “principi della convivenza sociale” ai principi generali dei moderni
sistemi di diritto civile. Si discute, però, se non bisognerebbe tornare ad una
formula tradizionale della “buona fede”. L’idea di tornare alla formula di bona fides, espressa tanto spesso nel
diritto romano, potrebbe significare un segnale di ritorno alla tradizione
romanistica. Ma in questa tradizione si potrebbe anche mettere la formulazione
“principi della convivenza sociale”, dopo la cancellazione delle parole «propri della Repubblica Popolare Polacca». Nella
giurisprudenza della Corte Suprema di Polonia, art. 5 del Codice civile serviva
per proteggere il reo che in conformità a quest’articolo poteva opporre l’exceptio (anche ex officio da parte
della corte) e non servire per costruire una azione da parte dell’attore.
2º Il Codice civile polacco del 1964
definisce l’obligatio in modo
tradizionale, basandosi sulla tradizione romanistica. L’articolo 353 § 1 e 2
nota i seguenti elementi dell’obligatio:
Art. 353: «[§1] Nell’obbligazione
il creditore può chiedere al debitore la prestazione, cui il debitore deve
adempiere. [§2] La prestazione può consistere nel fare, oppure nel non fare».
Questo codice, seguendo le moderne tendenze della legislazione,
non precisava le fonti delle obbligazioni in un articolo separato, come ad
esempio aveva fatto il codice polacco delle obbligazioni del 1933[9].
3º Il Codice civile del 1964 – diversamente
dal codice delle obbligazioni del 1933 – non ha introdotto il principio della
libertà contrattuale. Questo era dovuto al fatto che gli enti dell’economia socialista
furono costretti a stipulare i contratti in conformità alla pianificazione
economica centrale[10]. Le parti furono anche costrette ad
accettare il contenuto del contratto secondo le prescrizioni stabilite dagli
organi dell’amministrazione statale[11]. Però la dottrina civilistica polacca
evocava questo principio, in modo limitato[12]. Nel Codice civile del 1964, che
proteggeva il sistema economico basato sulla regolamentazione dettagliata della
vita economica, introdurre il principio della libertà contrattuale sarebbe
stato contrario ai dogmi politici ed economici del socialismo reale.
Gli emendamenti al Codice civile del 1990
introdussero il principio della libertà contrattuale:
Art. 353: «Le parti concludendo il
contratto possono regolare il loro rapporto giuridico secondo la propria
volontà, finché il contenuto e lo scopo di questo rapporto non siano contrari
alla natura del rapporto, alla legge ed ai principi della convivenza sociale».
Si potrebbe discutere se questa soluzione costituisca un ritorno
al diritto romano. Le obbligazioni da contratto nel diritto romano classico si
basavano proprio sul concetto del nominalismo contrattuale. Ma la formazione
del moderno principio della libertà contrattuale si basa proprio
sull’enunciazione dell’editto di pretore: pacta
conventa servabo.
4° Nel sistema
dell’economia pianificata della Polonia Popolare, fondamentalmente nel campo
delle obbligazioni pecuniarie, era obbligatorio il principio nominalistico,
inteso quale ius cogens (art. 358 §2
del Codice civile). Questo principio permetteva di contenere, nonostante la
perdita di valore che la moneta nazionale subiva in continuazione, lo scontento
sociale dei cittadini oberati da debiti (anzitutto edili). D’altronde era
favorevole anche allo Stato, creditore per quanto riguarda le numerose forme di
risparmio a fine predeterminato, anch’esse soggette a svalutazione. Pertanto il
Codice civile del 1964 non si richiamò alla clausola
rebus sic stantibus, conclamata
prima dall’art. 269 del codice delle obbligazioni.
La trasformazione del sistema politico ed economico produsse
varie modifiche del diritto civile polacco, avviate sin dall’inizio del 1989.
Però una svolta radicale arrivò soltanto con l’emanazione della legge 28 luglio
1990, che rivoluzionò la struttura e i principi del diritto civile vigente in
Polonia. Alcune fra le varie modifiche, allora varate, si riferivano alle
obbligazioni pecuniarie. Particolarmente importante è stata l’introduzione
della rivalutazione, che limitò in sostanza l’impatto del principio nominalistico
nell’esecuzione delle obbligazioni pecuniarie. Il principio fino ad allora in
vigore, era espresso nell’articolo 358 § 2 del Codice civile che statuiva: «la
prestazione pecuniaria viene eseguito per il tramite del pagamento della somma
nominale». Questa soluzione si ricollegava al principio nominalistico,
radicatosi nel codice delle obbligazioni del 1933.
Il nuovo articolo 358 del Codice civile (novella del 1990)[13]
introdusse i principi seguenti:
«[§1.] Se oggetto dell’obbligazione nel momento del suo costituirsi
è una somma di denaro, la prestazione viene eseguita a seguito del pagamento
della somma nominale, a meno che le norme non statuiscano diversamente. [§2.]
Le parti possono stipulare nel contratto che l’ammontare della prestazione in
denaro verrà definita secondo un metro di valore diverso dal denaro. [§3.] In
caso di un importante modifica del potere d’acquisto dopo il costituirsi
dell’obbligazione, la corte può, ponderati gli interessi di ambo le parti,
rispettando i principi della convivenza sociale, modificare l’ammontare o il
modo di eseguire la prestazione in denaro, anche se questi fossero state
definiti per sentenza o contratto. [§4.] L’esigenza di modificare l’ammontare o
il modo di eseguire una prestazione pecuniaria non può essere avanzata dalla
parte che gestisce un’impresa, se tale prestazione è legata alla gestione di
tale impresa. [§5.] Le norme di cui al §§ 1, 2 e 3 non contrastano con le norme
che regolamentano l’ammontare di prezzi e altre prestazioni pecuniarie».
La possibilità di rivalutare le prestazioni pecuniarie,
introdotta con il nuovo art. 358 <1> del Codice civile, fece largamente
breccia nel principio nominalistico. Tale possibilità può interpretarsi, a
seconda delle circostanze, come manifestazione del favor debitoris ovvero del favor
creditoris. In presenza di un’inflazione altissima nella prima metà degli
anni 80, la rivalutazione imponeva per forza di aumentare le prestazioni che
gravavano sul debitore. Fu quindi un esempio inequivocabile del favor creditoris. Per quanto attiene
alla rivalutazione delle prestazioni, le competenze della magistratura sono
tanto estese da permetterle di sottoporre a modifica ogni tipo delle
obbligazioni, non soltanto quelle contrattuali. La giurisprudenza della Corte
Suprema dal 1992 (peraltro diffusamente criticata nella dottrina) è favorevole
a rivalutare persino le prestazioni già eseguite[14].
Alla luce di un’interpretazione del genere, il principio nominalistico, non
cancellato dal codice, è lettera morta. Contraria a una interpretazione così
estensiva della clausola che istituisce il principio di rivalutazione è
tuttavia l’art. 12 c. 2 della legge del 28 luglio 1990 sulla modifica del
codice civile. Si esprimeva, inoltre, il timore che la prassi liberale e
antinominalistica della magistratura, tendente a rivalutare le prestazioni
pecuniarie, contribuisse a mantenere alta l’inflazione e portasse a conseguenze
sfavorevoli anzitutto per i debitori.
Il principio della rivalutazione nell’interesse del creditore
venne attenuato dall’art. 358 § 4 del Codice civile, che vietò di rivalutare le
obbligazioni pecuniarie a chi svolgeva un’attività economica in relazione alle
prestazioni legate allo svolgimento di tale attività. All’origine di questa
soluzione v’era un ragionamento prettamente politico: l’enorme indebitamento
degli enti economici socializzati (nella maggioranza di proprietà statale)
doveva portare, attraverso un peggioramento delle loro condizioni economiche,
alla privatizzazione forzata degli enti in parola, impossibiliti a ricorrere alla
rivalutazione.
5° La trasformazione delle obbligazioni contrattuali già
esistenti può effettuarsi inoltre in virtù della clausola rebus sic stantibus, introdotta nel Codice civile con la novella
del 1990. L’articolo 357 recita:
«[§ 1] Se a seguito di una straordinaria modifica di
rapporti, l’esecuzione della prestazione fosse eccessivamente complicata ovvero
gravida di perdite esorbitanti per una delle parti, senza che le parti
l’avessero prevista nel momento della stipulazione del contratto, la corte può,
considerati gli interessi delle parti, in conformità con i principi della
convivenza sociale, determinare il modo in cui l’obbligazione debba essere
eseguita, l’ammontare della prestazione ed anche dichiarare sciolto il
contratto. Sciogliendo un contratto, la corte può, se necessario, pronunciarsi
sulle prestazioni reciproche, in conformità ai principi suddetti. [§ 2] La
richiesta di determinare il modo in cui la prestazione debba eseguirsi ovvero
l’ammontare della stessa, non può essere avanzata dalla parte che dirige
un’impresa, se la prestazione in parola è connessa con la gestione di tale
impresa».
Il § 2 dell’articolo 357 è stato abolito in 1996[15].
Nella dottrina polacca l’introduzione della clausola rebus sic stantibus indusse a formulare dubbi se la possibilità di
ricorrere a tale clausola non costituisse una violazione del principio
fondamentale del diritto delle obbligazioni: pacta sunt servanda. Si invoca oggi questa regola come proveniente
dal diritto romano. Le basi di questa regola provengono dall’editto di pretore
che annunciava la protezione dei pacta
conventa. Nel diritto romano classico la tutela dei patti (attraverso exceptio pacti) era diretta a proteggere
i patti giusti dalla severità dello ius
civile[16].
6° L’ultimo esempio in cui si può osservare la concorrenza fra favor debitoris e favor creditoris rispetto alle obbligazioni pecuniarie, è
l’articolo 359 del Codice civile. Questo articolo contempla la possibilità di
fissare gli interessi su base contrattuale. Il compito di fissare gli interessi
legali e gli interessi massimi viene affidato al Consiglio dei Ministri,
chiamato a varare norme esecutive in materia.
Fino al marzo 1989 si osservava una prassi, risalente ancora al
periodo prebellico, che fissava gli interessi legali all’ 8% e quelli massimi
al 12%. La liberalizzazione dell’economia, accompagnata da una fortissima
inflazione e aumento degli interessi legali, portò nella prima metà degli anni
90 ad uno spettacolare aumento dei tassi. Nella seconda metà degli anni 90 e
all’inizio del nostro secolo i tassi d’interesse legali sono stati abbassati[17].
Dall’anno 1989 il Governo cessò di stabilire il limite massimo degli interessi
contrattuali. La piena libertà di fissare gli interessi massimi aveva lo scopo,
fra altro, di indurre gli enti dell’economia socializzata a trasformare il
proprio assetto organizzativo. Tali enti, essendo obbligati a contrarre
prestiti ad alti tassi d’interesse, per le spese correnti e le retribuzioni dei
dipendenti, andavano incontro ad un indebitamento sempre più insostenibile. Il
fenomeno si rivelò tuttavia pericoloso anche per i singoli che intraprendevano
in proprio un’attività economica. Ne è scaturito uno sviluppo, al di fuori di
ogni controllo, di casse di prestito private e di agenzie di pegno, a volte legate
a strutture mafiose e malavitose. Anche il diritto penale si rivela per ora
incapace di affrontare il fenomeno in parola. La responsabilità penale degli
usurai è praticamente nulla, indipendentemente dalla difficoltà di raccogliere
prove convincenti[18].
È difficile dare una risposta univoca alo
fine di stabilire se le regole interpretative del diritto civile polacco siano
più favorevoli al debitore oppure al creditore. D’altronde il debitore non può
essere ritenuto sempre la parte più debole rispetto al creditore. Lo schema di
ragionamento che nel vincolo obbligatorio il debitore è più debole, è vero su
scala macroeconomica. Questo si riferisce soprattutto ai debiti dei paesi
poveri nei confronti dei paesi ricchi. La realizzazione della clausola favor debitoris nel trattamento dei
paesi debitori da parte dei creditori potenti (Stati o corporazioni
finanziarie) è condizionata però non dalle normative interne, bensì dai
trattati internazionali e dagli accordi bilaterali. Diversamente su scala
microeconomica. La tesi che la clausola favor
debitoris sia più giusta del favor
creditoris non sarà qui sempre vera.
Per supportare questa tesi ci possiamo servire degli esempi di
sentenze delle corti e dei tribunali polacchi in riferimento ai regolamenti
pecuniari tra creditori e debitori (nelle motivazioni di queste sentenze
vengono citate talvolta le regole interpretative latine: pacta sunt servanda, favor debitoris, rebus sic stantibus).
Nella motivazione della sentenza della Corte Suprema (di
Cassazione) del 1994[19],
In un’altra sentenza del 1991[20]
In un’altra sentenza la Corte Suprema[21]
dichiara che l’assicurante corre il rischio di assicurazione, e quindi la quota
deve essere condizionata dalla sua valutazione del rischio.
Nella sentenza della Corte Costituzionale del 1996[22]
viene espresso il pensiero che «nelle situazioni dubbie – conformemente alla
tradizione del pensiero giuridico europeo – occorre applicare l’interpretazione
più favorevole al debitore (favor
debitoris). Solo una tale interpretazione può, nel periodo di transizione,
giovare alla costruzione della società civile, basata sulla solidarietà dei
cittadini».
* Relazione presentata al “Colloquio dei
romanisti dell’Europa Centro-Orientale e dell’Asia: La persona nel sistema
del diritto romano. La difesa dei debitori. Lo studio e l’insegnamento del
diritto romano”, tenutosi a Novi Sad (24-26 ottobre 2002) per iniziativa
dei professori Antun Malenica (Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università di Novi Sad) e Pierangelo
Catalano (Centro per gli studi su
Diritto romano e Sistemi giuridici del CNR, Università di Roma “
[2] Queste regole sono presenti fra le iscrizioni sulle colonne
della Corte Suprema di Varsavia (colonne nr. 86, 80, 72).
[4] Art. 6 c.c. polacco del 1964: «L’onere di provare
il fatto è a carico della persona che da questo fatto deduce gli effetti
giuridici». Art. 5 c.c. polacco (con modifiche del 1990): «Non si può fare di
un proprio diritto un uso che sia in contrasto con la sua funzione
socio-economica o con i princìpi della convivenza sociale. Una simile azione
(od omissione) del titolare non è da considerarsi esercizio del diritto e non è
meritevole di tutela».
[5] Il primo atto dell’unificazione dopo la seconda guerra mondiale
fu il decreto-legge del 29 agosto 1945, sulle persone. Poi sono state emanate
le leggi sul matrimonio, sulla famiglia, sulla tutela, sui rapporti
patrimoniali tra coniugi, sulle successioni, sui diritti reali e sui registri
fondiari. Ultimo atto dell’unificazione fu il decreto-legge del 12 novembre
1946 sulle disposizioni generali del diritto civile.
[6] In Polonia le critiche all’insegnamento di diritto romano, prese
dal punto di vista ideologico, non furono mai trattate in modo troppo serio
(diversamente da quanto accade nell’ex DDR e nell’ex Cecoslovacchia). I
civilisti polacchi (con qualche eccezione) hanno sentito la necessità della
conoscenza delle radici romanistiche del moderno diritto civile. L’insegnamento
del diritto romano si svolgeva nelle Università polacche in tutti gli anni del
socialismo reale. Però in alcuni anni (1975-1981) quest’insegnamento fu molto
ristretto. Questa limitazione ha suscitato le critiche, in particolare dei
giuristi pratici. Cfr W. Wolodkiewicz,
Il diritto romano nella cultura giuridica
polacca, in Sodalitas.
Scritti in onore di Antonio Guarino, vol 7, Napoli 1984, pp. 3389 ss.
[7] Cfr. W
Wolodkiewicz, Il diritto romano
quale fattore d’integrazione dei diversi sistemi europei (osservazioni sulla
classificazione delle famiglie del diritto proposta da Réné David), in L’Europa e le sue regioni, a cura di
Enzo Sciacca, Palermo 1993, pp. 305 ss.
[9] Codice delle obbligazioni del 1933, art. 1: «Le obbligazioni
derivano da una dichiarazione di volontà, di fatti o da altri avvenimenti dai
quali la legge fa derivare le obbligazioni». I legislatori polacchi del Codice
civile polacco del 1964 furono contrari alla presentazione della
classificazione delle fonti delle obbligazioni in un articolo a parte, mentre
nel progetto del Codice civile del 1960, art. 308, optava per tale
sistemazione. Ciò non significa, tuttavia, che il codice del 1964 non
s’interessi di questo problema: il legislatore si era dovuto occupare del
problema delle fonti delle obbligazioni nel trattare dei singoli gruppi di
fatti giuridici da cui derivano le obbligazioni (libro III, titoli 3, 4, 5 e
6).
[10] Da vedere gli articoli 397-404 del c.c.
(nella versione del 1964). Questi articoli sono aboliti nel 1990
[11] L’articolo 384 del Codice civile statuì che
il Consiglio dei Ministri o altro organo dell’amministrazione centrale poteva
eliminare i contratti tipici per gli enti dell’economia socializzata e nei
rapporti fra questi enti e le altre persone (versione del 1964). Questo articolo
fu abolito nel 1990.
[13] Novella al Codice civile del 28 luglio 1990
- Dziennik Ustaw (Gazzetta Ufficiale) 1990, N° 55, posizione 321.
Le altre novelle, negli anni successivi, hanno cambiato profondamente il Codice
civile del 1964.
[14] Cfr ad esempio la sentenza della Corte
Suprema della Polonia del 20 marzo 1992, con una glossa di A. Szpunar, in OSP, 1992, posizione
118.
[17] I tassi degli interessi legali e limite massimo degli
interessi in Polonia
[Dal giorno] [Interessi legali all’anno] [Limite massimo degli interessi all’anno]
prima del 65
8% 12%
1.01.65
8% 12%
22.03.89
55% 66%
15.07.89
99% 120%
1.11.89 120% -
1.01.90
720% -
1.02.90 480% -
1.03.90 216% -
1.05.90 144% -
1.07.90
60% -
1.12.90 90% -
1.03.91 140% -
15.09.91
80%
-
15.08.92
60% -
15.05.93 54% -
15.12.95 46% -
1.01.97 33% -
1.02.99 24% -
15.05.99 21% -
1.11.01 30% -
15.12.01 20% -
15.07.02 16% -
[18] Art. 268 del Codice penale polacco del
1969: «Chi, approfittando dello stato di coazione di un’altra persona, stipula
con essa un contratto che l’obbliga a una prestazione palesemente impari alla
prestazione reciproca, e soggetta alla pena di privazione della libertà per un
periodo di 6 mesi a 5 anni». Cfr. art. 304 del Codice penale del 1997. La
privazione della libertà – fino a 3 anni.