COSTANTINO VESCOVO DEI NON CRISTIANI
E VESCOVO UNIVERSALE
Varie espressioni, attribuite a Costantino, suppongono in lui un carattere
episcopale, semmai analogico. La più nota di tali espressioni è la sua
affermazione di essere ™p…skopoj tîn ektÕj.[1]
“Una volta, ricevendo a convito dei vescovi, Costantino affermò di
essere anch'egli un vescovo, esprimendosi in nostra presenza all'incirca con le
seguenti parole: 'Voi soprintendete a quanti fanno parte dell'organizzazione
della Chiesa; io, invece, è come se fossi stato costituito da Dio vescovo di
quei di fuori'. Conformemente a questa sua affermazione, esercitava su tutti i
sudditi un premuroso episcopato, esortandoli con tutta la forza del suo animo a
seguire la via della fede”[2].
Per ritrovarne il senso inteso da Costantino con l'espressione di ™p…skopoj
tîn ektÕj, mi
sono giovato di Daniel De Decker et Ginette Dupuis-Masay, L’Épiscopat de
l'empereur Constantin[3]. Sentirsi vescovo di quelli
di fuori, significa per Costantino avere coscienza della propria responsabilità
nei confronti dei sudditi dell'impero che non appartengono alla Chiesa. Come
imperatore, nonostante l'abolizione delle persecuzioni anticristiane e la sua
propensione al Cristianesimo, Costantino non può dimenticare i sudditi non
cristiani dell'impero, cui è a capo.
2. – Vescovo universale
Diverso è l'episcopato universale che si attribuisce Costantino, come
attesta
“Ma le cure più premurose Costantino le dedica alla Chiesa di Dio.
Sicché quando sorgevano dei contrasti reciproci tra le Chiese dei diversi paesi
egli, come se per volere divino fosse stato designato vescovo universale ko…noj
™p…skopoj ™k qeou kaqestamšnoj, convocava in concilio i ministri di Dio. Non disdegnava di
presenziare e di assidersi in mezzo alle loro riunioni, ma anzi partecipava
attivamente alla discussione dei temi in esame, garantendo a tutti la pace di
Dio” VC I, 44.
“In segno di benevolenza inviò un'ambasceria agli antiocheni e fra
tutti gli uomini illustri della sua corte ne affidò l'incarico a un personaggio
che più di ogni altro gli era fidato” VC III 59,3. Tartaglia
3. – Universale protettore
N. H.
Baynes comprende sotto l'espressione ™p…skopoj tîn ektÕj anche i Cristiani al di
fuori dell'impero romano. Lo avevo pensato anch'io, in un primo tempo,
occupandomi di Costantino e i Cristiani di Persia. Ma ho poi constatato che
Costantino ha un rapporto diverso con i Cristiani fuori dell'impero romano. Non
si definisce nei loro confronti né ™p…skopoj tîn ektÕj (vescovo di quelli di
fuori), né ko…noj ™p…skopoj (vescovo universale). La sua sollecitudine
universale per il progresso della Chiesa al di là dei territori dell'impero
romano si concreta nel sentirsi universale protettore, ko…noj
khdemîn, come
Costantino chiama se stesso nei confronti dei Cristiani di Persia. Tanto è vero
che Costantino invia una lettera allo scià di Persia Sapore II,
raccomandandogli quei Cristiani.
“Quando
Costantino apprese che presso i Persiani numerose erano le Chiese di Dio,
assumendosi il compito di comune protettore ko…noj khdemîn dei Cristiani di ogni parte
della terra, volle prodigare anche in Persia ogni sua premura per il bene di
tutti” VC IV 8-9.
3. – Vescovi e senatori
“Costantino
con la propria autorità convalidò anche le sentenze emanate dai vescovi nel
corso dei concili, sicché ai governatori delle province non era consentito
trasgredire le decisioni dei presuli: diceva infatti che i sacerdoti di Dio
meritano più stima di qualsiasi altro giudice” VC IV, 27. Tartaglia 180.
Secondo Drake, Costantino rivela in ciò, come nella sua terminologia
"episcopale", il progetto di valorizzare i vescovi, con i quali vuole
intendersi e accordarsi.
“Qualunque sia la funzione che Costantino si sarebbe attribuita .. in
quanto vescovo di quelli di fuori, tali parole dimostrano, senza possibilità di
dubbio, che l'imperatore vuole stabilire con i vescovi, guide del popolo
cristiano, lo stesso legame che gli imperatori suoi predecessori avevano
stabilito con la classe senatoriale”[5].
“Se
avessi ottenuto - afferma Costantino - secondo i miei stessi voti, una generale
concordia fra tutti i servitori di Dio, anche l'intero apparato dell'impero ne
avrebbe guadagnato” VC II, 65,2. Tartaglia 114-115.
4. – Vostro
conservo
In questa collaborazione con i servitori di Dio che sono i vescovi,
Costantino dice loro più volte “sono il vostro conservo”, sunqšpatwn
Ømîn VC II,
69,2. E fa appello alla saggia tattica dei pensatori di scuole filosofiche. “Gli
stessi filosofi ... se dissentono circa qualche punto dei loro sistemi, tornano
ad essere concordi quando è in gioco l'unità della scuola. Tanto più noi che
siamo servitori del sommo Dio dovremmo trovarci concordi sulla scelta della
nostra fede” VC II 70,2. Tartaglia 117.
A proposito della sua partecipazione al concilio di Nicea, che aveva
convocato e presenziato, Costantino non nasconde ai vescovi la gioia di quella
sua condivisione con loro: “Infatti non potrei negare ciò di cui sommamente
gioisco, l'essere cioè vostro conservo” VC III 17,2. Tartaglia 132.
Costantino cerca l'intesa ecumenica. “Lasciate che io, servitore
dell'Onnipotente, porti a compimento codesta mia iniziativa: potrò cosi
ricondurre all'unità e alla concordia le genti con la mia parola, il mio
ministero e la costante premura dei miei consigli” VC II, 70,2. Tartaglia 118.
L'imperatore raccomanda di cessare le diatribe polemiche “Concedetemi
giorni sereni e notti tranquille. Come potrei rimanere impassibile nel vedere
che i sudditi del Signore, i miei conservi dico, sono divisi tra loro a
causa di una così ingiusta e rovinosa contesa?” VC II, 72,1. Tartaglia 118.
La
concordia invece è sempre profittevole e utile. “Carissimi ministri di Dio
e servitori fedeli del comune Signore e salvatore di tutti, vi esorto a
risolvere, secondo le leggi della pace, tutti i nodi della disputa. In questo
modo potrete, non solo far cosa gradita a Dio onnipotente, ma renderete anche a
me, vostro conservo, un immenso servigio kamoi tó šmetšrw
sunqep£tonti Øperb£llousan dèsete t”n c£rin” VC III, 12,5. Tartaglia 130.
5. – Sacralità
Avevo già affrontato in parte il tema dell'episcopato di Costantino al
Simposio Dalla prima alla Terza Roma di quest'anno. Era presente il prof.
Konstantinos Pitsakis, storico del diritto bizantino. Dopo il mio intervento mi
ha gentilmente inviato un suo lavoro in francese apparso nel 1999, L’empereur
romani d’Orient: un laïc[6].
Il prof. Pitsakis, da buon canonista, non ha dubbi. Costantino, quale sia il
suo preteso episcopato, rimane un laico. E’ vero che una certa sacralità del
basileus, appare nel canone 69 del concilio in Trullo, “Nessuno dei laici è
ammesso all'interno del santuario. Tuttavia l'autorità e la potenza imperiale
non sarà impedita d'entrarvi quando vorrà offrire doni al Creatore, secondo
un'antichissima tradizione”. Più tardi la sacralità del basileus si insinuerà
nel rituale della sua incoronazione e conseguentemente si trasferirà nel
rituale dell'incoronazione dello zar. Ma tutto ciò, con buona pace di
Bessarione, rileva Pitsakis, non può applicasi in alcun modo a Costantino che
fino a poco prima della morte è rimasto catecumeno. Pitsakis chiude il suo
articolo con le parole di Zonaras che afferma essere l'imperatore romano d'Oriente
soltanto un laico.
Ma qual'è allora l'episcopato di Costantino?
6. – Assillo di pace
Leggo in Drake, Constantine and the Bishops: “In epoca
susseguente alle persecuzioni, con un governo favorevole alla Chiesa, sarebbe
strano non vedere la possibilità che i Cristiani siano tentati di una sorta di
rivincita o reclamino riparazioni ... Strano anche pensare che qualcuno non si
scandalizzi del fatto che l'errore (pagano) resti impunito. Costantino avrebbe
avuto davanti agli occhi, da una parte simili rigoristi cristiani e dall'altra
un discredito sempre maggiore dei paganesimo” p. 302.
Credo personalmente che l'editto agli eparchi di Oriente, riferito da
VC II, 48-60, confermi questa interpretazione del Drake. Costantino è
preoccupato della possibile reazione cristiana, che costituirebbe un grave
pericolo per la pace dell'impero. Perciò si dice vescovo o soprintendente di
quelli di fuori della Chiesa. Lungi dal condannarli, vuole tutelarli. Le ultime
parole dell'editto suggeriscono simile prospettiva: “Questo ho detto ed esposto
con più parole di quante richiedeva lo scopo che si prefigge la mia clemenza,
perché non volevo che la vera fede rimanesse nell'ombra, soprattutto
riflettendo che alcuni, come sento dire, affermano che le antiche cerimonie dei
templi e le potenze delle tenebre sono state cancellate” VC II 60. Tartaglia
111. Costantino non vuole che i perseguitati di ieri, cioè i cristiani,
diventino a loro volta persecutori. Il fatto che Costantino eserciti su tutti i
sudditi un premuroso episcopato toÝj ¢rcoumšnoj ¢pantaj ™peskÒpeiVC IV, 24. Tartaglia
177-178, riguarda soprattutto la salvaguardia della pace. In questo consiste
L’"episcopato"di Costantino: nella tutela della pace. L'editto
diventa allora preghiera a Dio. “Io desidero che il tuo popolo viva in pace e
rimanga nella tranquillità per il bene comune di tutto l'impero e di tutti gli
uomini”. VC II, 56,l. Tartaglia 110.
Costantino è contrario alle discriminazioni a motivo di religione:
“Anche quanti si trovano nell'errore [i pagani] allo stesso modo di coloro che
hanno fede [i cristiani] godano dei benefici della pace e della serenità.
Infatti questa soave calma che regna nella vita sociale varrà a correggere
anche loro e a condurli sulla retta strada”. VC II, 56,1. Tartaglia 110.
7. – Pace e libertà
Nel contesto della pace Costantino ha pure un'idea attualissima della
libertà religiosa, e del rispetto dell'altro. “Nessuno procuri molestia
all'altro; ognuno abbia ciò che il suo cuore desidera e di questo faccia l’uso
che crede” VC II 56,1. Tartaglia 110. “Coloro che si traggono in disparte,
abbiano pure i santuari della menzogna, se è questo che vogliono” VC II, 56,2.
Tartaglia 110. “Godiamo dunque e partecipiamo tutti insieme al beneficio che ci
è stato concesso, al bene della pace cioè e manteniamo la nostra coscienza
lontana da tutto quello che alla pace si oppone” VC II, 59. Tartaglia 111.
“Nondimeno la fede di cui ciascuno è profondamente persuaso non offra il
pretesto per recare offesa agli altri; se è possibile si faccia in modo che
l'opinione e il pensiero che uno ha maturato in se stesso riesca di giovamento
per il prossimo: ma se ciò non fosse possibile, si abbandoni tale proposito” VC
II, 60, 1. Tartaglia 111.
Da queste parole di Costantino mi pare di poter dedurre che la sua
funzione episcopale non comporti sacralità liturgica, come la esclude il prof.
Pitsakis, ma una funzione di pace: pace fra i sudditi dell'impero, cristiani e
non cristiani, pace fra i membri delle varie Chiese, pace fra gli uomini di
tutta la terra. Del resto, neppure Melchisedec re di Salem, secondo la lettera
agli Ebrei re di pace, era cristiano. Però è detto dalla stessa Lettera agli
Ebrei “prete per sempre e figura del Figlio di Dio”, proprio come il basileus,
secondo Eusebio di Cesarea, è figura del Logos.
[1] Eusebius Werke, Erster Band, Erster Teil, Über
das Leben des Kaisers Konstatin, Herausgegeben von F. Winkelmann,
Berlin, Akademie Verlag 1991, 128. D'ora in poi: VC, libro e paragrafo. Eusebio di
Cesarea, Sulla Vita di Costantino, a c. di L. Tartaglia, Napoli,
D'Auria 2001, d'ora in poi: Tartaglia e pagina.
[2] VC IV, 24. Tartaglia, 177-178.
[3] Byzantion 50 (1980) 118-157.
[4] L-M. SANSTERRE, Eusèbe de Césarée et la naissance de la théorie du
'césaropapisme, Byzantion 42 (1972) 131-195, 532-611.
[5] H. A. DRAKE, Constantine and the Bishops. The Politics of
Intolerance, Baltimore-London, Johns Hopkins Univ. Press 2000, 227.
[6] Kanon XV, Kirchenrecht und Ökumene, Festgabe
für den Metropoliten von Tyroloi u. Serention, Panteleimon Rodopoulos, Verlag
Roman Kovar, Eichenau 1999, 196-221.