N° 2 - Marzo 2003 - Memorie

 

Mauro Maria Morfino

Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna

 

 

 

 

CIRILLO DI GERUSALEMME: UN ECCEZIONALE

TESTIMONE CONTEMPORANEO AL FIORIRE

DEGLI EDIFICI DI CULTO COSTANTINIANI

 

 

1. Introduzione. – 2. Stile di vita e metodo catechetico di Cirillo. – 3. I testi. – 4. Conclusione

 

 

 

1. Introduzione

 

Questa relazione si ricollega idealmente a quella tenuta l'anno scorso nel V Seminario Internazionale di Studi, intitolata "Il sito archeologico del Golgota e dell'Anastasis e le costruzioni costantiniane", dove si era cercato di porre in luce l'attività edilizia costantiniana legata ai luoghi sacri della crocifissione e sepoltura del Signore. Cirillo di Gerusalemme, al tempo di questi lavori, aveva circa una decina d'anni. Da adulto, proprio nelle costruzioni sacre dell'Anastasis e del Golgota volute dall'Imperatore, egli terrà le sue famose Catechesi. Risulta quindi essere un eccezionale testimone di quei loca sancta che così a fondo impegnarono Costantino.

Naturalmente, nel costruire gli edifici nuovi - come indicato lo scorso anno nella citata relazione - gli architetti di Costantino dovettero sacrificare in parte anche il sepolcro del Signore. Cirillo ha un'eco elogiativa alla larghezza di Costantino nella Catechesi 14:

Come si è soliti fare davanti alle tombe, ora non c'è più: il vestibolo è stato raso al suolo per dar lungo alla bella disposizione della fabbrica attuale. Infatti, avanti che la munificenza reale avesse abbellito questo sepolcro vi era un riparo davanti alla roccia.

 

 

2. Stile di vita e metodo catechetico di Cirillo

 

Cirillo di Gerusalemme nacque in Palestina verso il 315[1]; non conosciamo con precisione né il luogo e la data di nascita né come abbia passato l'adolescenza e il periodo di formazione, ma visse certo i suoi primi anni mentre la Terra Santa, da sempre luogo privilegiato di evangelizzazione, dopo Nicea diventava anche punto di riferimento per l'approfondimento del messaggio, nonché meta di pellegrinaggi per le sue memorie bibliche stimolanti per la loro valenza storica e mistica[2] Costantino vi faceva demolire le memorie di Aelia pagana, il Capitolium e il tempio di Giove, innalzando al loro posto i sacri edifici del Golgota della Risurrezione e della Pentecoste; e Cirillo dovette lì irrobustire la sua fede, forse in ambiente familiare vivendola da monaco (monázon) fino a rendersi idoneo al ministero sacerdotale[3]. Di fatto fu ordinato diacono da Macario, suo vescovo già padre conciliare a Nicea, e poi presbitero da Massimo, di quello successore conosciamo anche da Egeria pellegrina ai luoghi santi verso la fine del secolo[4].

Da presbitero predicò sul Golgota, dove s'innalzavano sulla cripta della Santa Croce e a custodia del Santo Sepolcro le basiliche del Martyrium e dell'Anastasis con annesso battistero. Da qui poté anche additare la cosiddetta "chiesa superiore degli apostoli", nel luogo dove era disceso lo Spinto Santo. L'approccio catechetico del presbitero di Gerusalemme è così spesso confortato dalla constatazione veritativa e significativa dei luoghi santi. Queste testimonianze della vera morte e della vera risurrezione del Signore dovevano sfatare i docetismi che negando la realtà dell'incarnazione sminuivano la personalità divina e umana del Cristo.

Perciò, preposto ancora forse da presbitero (verso il 345, all'età normalmente richiesta di 30 anni) alla cura della catechesi, se ne servì apologeticamente, senza dividere il popolo di Dio su questioni aperte. Poi ordinato vescovo dal suo metropolita ariano Acacio[5], non ne seguì la teologia opposta al consustanziale niceno, ma pur aderendo alla dottrina della divinità del Figlio si attenne alla biblica espressione "simile al Padre"; e fu quindi sospettato dai niceni di filoarianesimo e dagli arianeggianti di filomarcellianesimo[6]. Di fatto, militò tra gli omeusiani che dicevano il Verbo di natura simile a quella del Padre[7], ma non come in un partito da cui si sarebbe staccato cambiando bandiera. Questa accusa di Rufino[8] pare infondata, perché il mutamento deve essere attribuito a un clima di adattamento pastorale, comune ai campioni più intransigenti del credo niceno. Epifanio credette anche lui di doverlo adattare ai tempi[9], e Cirillo ad esso aderì senza sostanziali ondeggiamenti tra le versioni ariane e sabelliane[10], sia quando sembrò prendere partito per l'omeusiano Silvano al Concilio di Seleucia del 359 sia quando poi aderì ai chiarimenti di Atanasio[11]. Girolamo lo disse filoariano perché prevenuto contro di lui; ma più giustamente Teodoreto ne spiegò il comportamento dicendolo catecheta più che teologo[12].

Di fatto fu soprattutto un pastore proteso alla formazione cristiana del popolo. Rimase catecheta anche quando contro dualisti e doceti, ebioniti e pagani fece l'apologista: non fu però come Epifanio un cacciatore di eresie, né di lui ebbe gli spiriti battaglieri. Il suo metodo fu esigente e incisivo, ma anche dolce e cordiale; la sua oratoria dovette essere ammirata anche nei luoghi che lo ospitarono lungo gli esili, perché pastoralmente convincente, ricca di opportune e vivaci sollecitazioni, spesso colorite di immagini suadenti e fascinose. Per quanto riguarda la forma letteraria, invero, non possiamo esprimere un giudizio obiettivo, poiché non sappiamo se a lui o ai suoi stenografi sia da attribuire lo stile saltellante che talora ci sconcerta, per troppi incisi e frequenti citazioni bibliche, retorici interrogativi ed esclamativi.

Deposto dal Concilio di Gerusalemme nel 357, si rifugiò ad Antiochia. Qui poté confermarsi nei princìpi ermeneutici già adottati in ambiente palestinese, dove l'influsso di Origene e di Eusebio di Cesarea era temperato dai modelli di Silvano e Diodoro di Tarso fondati su una visione cosmologica e antropologica della storia, esemplare per tipi e antitipi. Quando perciò lasciò Antiochia per andare in esilio a Tarso, gli fu permesso di esercitare anche lì le sue funzioni di vescovo e catecheta, finché non fu restituito alla sua sede nel 359. Qui la sua attività di pastore e di educatore dovette essere particolarmente incisiva se gli procurò un secondo esilio[13] che durò fino al 361 anno della morte di Costanzo che lo aveva perseguitato nonostante la sua devozione, mentre aveva lasciato indisturbato Epifanio campione dei filoniceni[14].

Simile paradosso del resto si verificò con Valente che tenne in esilio Cirillo dal 367 al 378 mentre non osò toccare Epifanio[15]. Dopo la morte di Valente, anche il vescovo di Gerusalemme poté tornare a vivere indisturbato nella sua sede, per undici anni dedito a risanare le ferite inferte alla sua comunità dal malgoverno precedente[16]. Nel 381 prese parte al Concilio II di Costantinopoli. Morì probabilmente il 18 marzo del 387, data che i calendari liturgici dell'Oriente e dell'Occidente hanno mantenuto per la sua memoria.

 

 

3. I testi

 

È soprattutto dalle Catechesi[17] dove Cirillo propone una sintesi della dottrina cristiana come primo nutrimento del credente, che possiamo apprendere le preziose indicazioni riguardo ai luoghi di culto costantiniani che l'eccellente catecheta richiama e illustra ai suoi ascoltatori. Queste Catechesi, come molti manoscritti ricordano, sono state raccolte stenograficamente da qualche uditore[18].

È noto come ai tempi delle Catechesi cirilliane la croce di Cristo, identificata da Elena, era già issata sulla roccia del Calvario-Golgota, assieme al sepolcro unico luogo di culto. Il complesso Golgota-Sepolcro formava un'unità strutturale sacra: sul sepolcro Costantino aveva innalzata la rotonda dell'Anastasis collegata con un atrio al Calvario-Golgota. Tra le due memorie s'innalzava la croce: sull'onphalos mundi, dove sarebbe fluito il sangue di Cristo per purificare il sepolcro di Adamo.

 

Nella decima catechesi battesimale (10.19), sulla signoria del Figlio Unigenito, Cirillo, tra i testimoni qualificati del Cristo ab aeterno indica anche quella croce:

Testimonia il santo legno della croce, per noi ancora visibile, che ha riempito il mondo per via dei frammenti che i devoti ne prendono … questo santo Golgota la cui sommità è sublime testimonianza, il santissimo sepolcro con accanto la pietra ancor oggi lì per terra.

 

Nella tredicesima catechesi battesimale (13.4), spiegando la reale Crocifissione e morte del Cristo, Cirillo insegna:

Fu vera la sua passione; vera infatti fu la sua crocifissione... Se invero qui ora lo negassi, insorgerebbero per confutarmi questo Golgota dove adesso siamo tutti riuniti.

 

Cirillo, dal basso, presso l'Anastasis esorta i catechizzandi a spingere lo sguardo in alto, a circa quaranta metri di distanza, verso lo sperone di roccia del Golgota, verso la croce visibile e inglobata, appunto, nell'unica costruzione costantiniana.

 

Nella quattordicesima catechesi battesimale, a spiegazione dell'articolo di fede “È risuscitato dai morti il terzo giorno, è risalito al cielo e siede alla destra di Dio Padre”, tra i tanti testi qualificati che depongono per questa verità di fede, il vescovo indica anche la costruzione sacra e colui che la volle (14.22):

Sono testimoni il posto ancora visibile dove si compì l'evento e il sacro edificio di questa nostra chiesa, che l'imperatore Costantino di santa memoria ha voluto qui spontaneamente innalzare e adornare come tu vedi, mosso dall'amore del Cristo.

 

Nella diciannovesima catechesi - o prima catechesi mistagogica ai neofiti - sul battesimo, abbiamo un altro dato interessante per il nostro discorso. La catechesi, pronunziata nella Chiesa dell'Anastasis dopo l'Eucarestia del lunedì di Pasqua, spiega i principali riti precedentemente svoltisi nel vestibolo del battistero. Ci descrive l'ordine seguito dalla Chiesa gerosolimitana: rinunzia a satana, alle sue opere e alle sue seduzioni e la stipula del patto battesimale con le promesse di fedeltà a Cristo:

Appena entrati nel vestibolo dell'edificio dove si amministra il battesimo, standovene rivolti in piedi verso Occidente, avete ascoltato l'ordine di stendere la mano e di rinunziare a satana come se fosse presente (19.2).

 

Nella ventesima catechesi - o seconda catechesi mistagogica ai neofiti - sul battesimo (20.4) abbiamo la preziosa testimonianza del rito battesimale della Chiesa madre di Gerusalemme, nella Basilica costantiniana:

Presi per mano siete stati accompagnati alla santa piscina del divino lavacro, come Cristo deposto dalla croce nella tomba qui di fronte[19]. Qui foste interrogati uno ad uno se credevate nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo e voi avete fatto la salutare confessione di fede. Per tre volte siete stati immersi nell'acqua e per ciascuna delle tre ne siete riemersi, per simboleggiare i tre giorni della sepoltura di Cristo[20].

 

I tre giorni e le tre notti hanno per i Padri un significato, tipologico e tropologico insieme: Gregorio di Nissa, ne La grande catechesi 35, lo stato di sepoltura di Cristo ha il suo antitipo nel battesimo, “mettendo al posto della terra l'acqua”, elemento che da vita; ma è anche tipo o tropo: della morte ai germi del male e della risurrezione dei germi di bene, secondo una continuità che il Battesimo non ha interrotta.

 

Di grande interesse risulta essere la ventitreesima ed ultima delle Catechesi - o quinta catechesi mistagogica - sul Sacrificio eucaristico. Dopo aver parlato dell'Eucarestia come mistero del corpo e sangue del Signore, il nostro catecheta spiega come se ne rinnovi la memoria con la celebrazione liturgica. Procedono due riti preparatori, bacio di pace e purificazione delle mani. Segue la parte centrale - o anafora - preceduta da invito e prefazio e culminante nei tre momenti della preghiera di lode - dossologia - dell'implorazione sulle offerte - epiclesi - delle preghiere di intercessione. La parte finale, preceduto dalla preghiera del Pater, è la comunione. La catechesi omette, certamente sottointendendole, due parti che dovrebbero seguire l'anafora completando la liturgia consacratoria, e che invece trovano rilievo in testi antichi: in primo luogo il ricordo-racconto dell'istituzione dell'Eucarestia e in secondo luogo la memoria storica - anamnesis - dei segni della salvezza. Cirillo insiste molto sulla epiclesi come implorazione dello Spirito Santo perché consacri con la sua potenza i doni offerti trasformandoli nel corpo e sangue del Signore e santifichi l'assemblea che li offre con tutto ciò che essa toccherà.

Si tratta di un documento teologico-liturgico di inestimabile valore e, per quanto ci riguarda, una testimonianza diretta di come la sacra Sinassi venisse celebrata proprio nel cuore della costruzione sacra costantiniana.

 

Non potendo evidentemente riportare integralmente i 23 paragrafi di questa catechesi, sottolineo qualche passo particolarmente significativo per la ricostruzione della liturgia eucaristica nella basilica voluta dall'Imperatore. Alcuni gesti liturgici, come per esempio il ricevere l'Eucarestia nella mano e bere del calice, ultimamente sono state reintrodotte nella liturgia. Da questa ultima Catechesi di Cirillo ne apprendiamo l'origine gerosolimitana.

Spiegando il rito preparatorio del lavabo dei celebranti all'inizio della celebrazione, Cirillo ricorda:

L'abluzione delle mani è un rito simbolico... le mani infatti simboleggiano l'attività umana e il lavarle significa la volontà dì purificazione che deve rendere irreprensibili le nostre azioni (23.2).

 

Spiegando il secondo rito preparatorio, il bacio di pace, Cirillo insegna:

Non pensate a un bacio quale è quello che di solito amici comuni si scambiano incontrandosi in piazza: nulla del genere. Il nostro è un gesto che esprime la volontà di conciliare le anime con il proposito di dimenticare le vicendevoli offese: un segno di unione dei cuori e della estinzione di ogni inimicizia (23.3).

 

Nel memento dei vivi (23.8), l'epiclesi si fonde con la terza parte dell'anafora riguardante le intercessioni e dove Cirillo fa esplicita menzione agli imperatori, per i quali è doveroso pregare:

Invochiamo Dio perché conceda pace a ogni comunità ecclesiale e la stabilità dell'ordine di tutto il mondo. Preghiamo insieme e offriamo il sacrificio per gli imperatori, per le forze armate e per i loro alleati, per gli ammalati e per gli afflitti, insomma per tutti i bisognosi di aiuto.

 

Nel memento dei defunti (23.9), Cirillo dice:

Facciamo ricordo di tutti coloro che si sono addormentati... Crediamo di sommo giovamento per le anime la preghiera che per esse innalziamo mentre si offre sull'altare il santo e tremendo Sacrificio.

 

Il termine sacrificio - thysía - significa in senso proprio il tremendum-fascinosum del mistero sacrificale e, per sineddoche, in senso tropologico, la parte più preziosa di esso, la vittima sacrificale.

 

Ampia spiegazione il catecheta gerosolimitano offre per la preghiera dominicale, il Padre nostro (23.11-18). Si tratta della prima testimonianza esplicita dell'inserzione della preghiera del Pater nella liturgia eucaristica.

 

Nell'introdurre i neofiti a vivere intensamente il gesto processionale di accostarsi all'altare per comunicarsi[21], Cirillo dice:

Quanto ti accosti, non stendere le palme delle mani con dita disgiunte; ma con la sinistra facendo un trono alla destra che deve accogliere il Re, ricevi il Corpo di Cristo sul cavo della destra, dicendo "Amen".

Le dita congiunte strettamente dovevano significare la compattezza della comunione della carità, della quale la comunione eucaristica è il segno. E continua:

Quando la tua mano viene a contatto del corpo santo, santifica gli occhi, attento a non lasciarne cadere qualche frammento, perché sarebbe per te come perdere un membro del tuo corpo.

 

Assai interessante l'indicazione ai neofiti della Chiesa madre di Gerusalemme fatta da Cirillo per accedere alla comunione sotto le specie del vino:

Dopo la comunione col corpo di Cristo, accostati al calice del suo sangue senza stendere le mani, ma prendine inchinandoti con gesto della massima adorazione e dicendo: "Amen" santificati tutto. Finché hai il sangue di Cristo sulle labbra, toccalo con le mani e con esso santifica gli occhi, la fronte e gli altri sensi.

 

 

4. Conclusione

 

Pur nella sua inevitabile stringatezza, la lectio textuum fin qui svolta ci pone davanti a dati preziosi riportati da un testimone oculare della liturgia gerosolimitana celebrata nel più importante dei luoghi di culto che l'Imperatore Costantino volle erigere su quello che era stato il Tempio di Giove che doveva definitivamente cancellare la memoria della crocifissione, sepoltura e risurrezione di Gesù Cristo. Il vescovo Cirillo ha proprio in quella basilica, la sua Chiesa cattedrale e lì riunisce la sua gente per introdurla in una vita cristiana matura. Dal dato archeologico-architettonico, il nostro trova agganci e conferme costanti - irrefutabili perché sotto gli occhi di tutti - per l'iniziazione cristiana del popolo a lui affidato. La menzione anche dell'Eleona, del Getzemani, della basilica della Natività, oltre che del Golgola e dell'Anastasis, fa di queste pagine una testimonianza di prima mano e di innegabile valore storico, teologico, liturgico e architettonico.

A tutti il più cordiale grazie per la gentile attenzione.

 

 

 

 



 

[1] Per la bibliografia rimandiamo a J. Quasten, Patrologia (tr. it.), Casale Monferrato 1973, 365-380. Tra le traduzioni è da segnalare, per la fedeltà e l'eleganza, quella di J. Bouvet (Namur 1962) e, in italiano quella curata da C. Riggi (Collana di testi patristici 103, Roma 1993). È da ritenere ancora valido, anche se datato, il profilo su Cirillo e la sua dottrina tracciato da X. de Bachelet, in DTC 3 (1908) 2527-2577.

 

[2] Sono congetture convalidate da testimonianze indirette, interne alle sue Catechesi: la conoscenza personale che egli dimostra dello stato in cui i luoghi santi si trovavano prima che Costantino li restaurasse (Cat. 12.20; 14.5.9): la formazione biblica ed esegetica letteraria e teologica, che si rivela nei suoi scritti. Cf. C. Riggi, "Antropologia del pellegrinaggio religioso nei primi secoli", in AA.VV., L'epoca patristica e la pastorale della mobilità umana, Padova 1999, 125-126, 128-133, 137-140.

 

[3] Cf. Cat. 12.33; Egeria, Pellegrinaggio in Terra Santa, tr. Introd. e note di Siniscalco e Scarampi, Roma 1985.

 

[4] Cf. ibid., 131-132. La basilica dell'Anàstasis (Risurrezione) fu eretta come rotonda con cupola, distinta ma non separata dal complesso costantiniano costituito dai luoghi della morte e della risurrezione di Cristo. Il Martyrium costruito accanto al Golgota in faccia all'Anàstasis fu detto Ecclesia maior (= basilica a cinque navate con un portico davanti l'ingresso).

 

[5] Acacio, successore di Eusebio sul seggio episcopale di Cesarea, era rimasto a capo della sua chiesa metropolitana nonostante la condanna di Sardica (343). Favorì l'elezione di Cirillo forse suo condiscepolo, ma in seguito gli fu ostile.

 

[6] Cirillo fu per una lirica di mediazione, e fors'anche per ciò inviso ad Acacio, oppositore intransigente al consustanziale niceno.

 

[7] Sul fatto che Cirillo fosse vescovo quando tiene le sue Catechesi ci J. Quasten, Patrologia II, 367.

 

[8] Cf. H.E. 1.23, PL 21.49.5. Stimiamo piuttosto sostenibile il giudizio di A. Paulin, Saint Cyrille de Jérusalem catéchète, Paris 1950, 30: “Il a eu cette sagesse du bon pasteur qui évite de traiter de discussions théologiques devant ses fidèles”.

 

[9] Cf. C. Riggi, "La catéchèse adaptée aux temps chez Epiphane", Studia Patristica 18 (1982) 160-168.

 

[10] I Padri del IV secolo presentavano come eredità di Sabellio (III secolo) ogni forma monarchiana. Ma non tutti i sabelliani si opposero alla fede trinitaria. Marcello di Ancira, sospettato non solo dagli ariani di sabellianesimo, al Concilio di Nicea era stato dalla parte di Atanasio. Cf. C. Riggi, "La dialogé des Marcelliens dans le Panario", Studia Patristica 20 (1984) 368-373.

 

[11] Non può far meraviglia il fatto che Cirillo sia stato d'accordo con Silvano e quindi con omeusiani di prima fila quali Basilio di Ancira, Giorgio di Laodicea ed Eustazio di Sebaste. Non tutti erano fautori degli ariani, anzi Silvano era certamente ad essi contrario e infine nel 365/366 li condannò sottoscrivendo il consustanziale niceno.

 

[12] Cf. i documenti riportati dal Touttée, PG 33.95.304-305.

 

[13] Del secondo esilio di Cirillo, che durò fino alla morte di Costanzo (362), non abbiamo notizie dirette; alcuni credono che egli sia stato accolto ad Antiochia almeno per qualche tempo dall'amico Melezio.

 

[14] Cf. C. Riggi, "La figura di Epifanio nel IV secolo", Studia Patristica 2 (1966) 86-87.

 

[15] Cf. ibidem.

 

[16] Di tale malgoverno Girolamo ne accenna in varie lettere; Ep. 54.13; 58.2-5; 75.2 e Gregorio di Nissa, Ep. 2 e 3.

 

[17] Sullo schema e sulla questione dell'autenticità cf. CIRILLO DI GERUSALEMME, Le Catechesi. Collana di testi patristici 103, a cura di C. Riggi, Roma 1993, 13-19.

 

[18] Sull'autenticità di queste rimando a J. Quasten, Patrologia II, 366-7.

 

[19] Cf. Catechesi 18.33.

 

[20] Cf. Mt 12.40 e Catechesi 3.12.

 

[21] Cf. Costituzione Apostoliche 8.13.