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CIRILLO DI GERUSALEMME: UN ECCEZIONALE
TESTIMONE CONTEMPORANEO AL FIORIRE
DEGLI EDIFICI DI CULTO COSTANTINIANI
1. Introduzione. – 2. Stile di vita e metodo catechetico di Cirillo. – 3. I testi. – 4. Conclusione
Questa relazione si
ricollega idealmente a quella tenuta l'anno scorso nel V Seminario
Internazionale di Studi, intitolata "Il sito archeologico del Golgota e
dell'Anastasis e le costruzioni costantiniane", dove si era
cercato di porre in luce l'attività edilizia costantiniana legata ai luoghi
sacri della crocifissione e sepoltura del Signore. Cirillo di Gerusalemme, al
tempo di questi lavori, aveva circa una decina d'anni. Da adulto, proprio nelle
costruzioni sacre dell'Anastasis e del Golgota volute
dall'Imperatore, egli terrà le sue famose Catechesi. Risulta quindi
essere un eccezionale testimone di quei loca sancta che così a fondo
impegnarono Costantino.
Naturalmente, nel
costruire gli edifici nuovi - come indicato lo scorso anno nella citata
relazione - gli architetti di Costantino dovettero sacrificare in parte anche
il sepolcro del Signore. Cirillo ha un'eco elogiativa alla larghezza di
Costantino nella Catechesi 14:
Come si è soliti
fare davanti alle tombe, ora non c'è più: il vestibolo è stato raso al suolo
per dar lungo alla bella disposizione della fabbrica attuale. Infatti, avanti
che la munificenza reale avesse abbellito questo sepolcro vi era un riparo
davanti alla roccia.
Cirillo di Gerusalemme
nacque in Palestina verso il 315[1];
non conosciamo con precisione né il luogo e la data di nascita né come abbia
passato l'adolescenza e il periodo di formazione, ma visse certo i suoi primi
anni mentre
Da
presbitero predicò sul Golgota, dove s'innalzavano sulla cripta della Santa
Croce e a custodia del Santo Sepolcro le basiliche del Martyrium e dell'Anastasis
con annesso battistero. Da qui poté anche additare la cosiddetta
"chiesa superiore degli apostoli", nel luogo dove era disceso lo
Spinto Santo. L'approccio catechetico del presbitero di Gerusalemme è così
spesso confortato dalla constatazione veritativa e significativa dei luoghi
santi. Queste testimonianze della vera morte e della vera risurrezione del
Signore dovevano sfatare i docetismi che negando la realtà dell'incarnazione
sminuivano la personalità divina e umana del Cristo.
Perciò,
preposto ancora forse da presbitero (verso il 345, all'età normalmente
richiesta di 30 anni) alla cura della catechesi, se ne servì apologeticamente,
senza dividere il popolo di Dio su questioni aperte. Poi ordinato vescovo dal
suo metropolita ariano Acacio[5],
non ne seguì la teologia opposta al consustanziale niceno, ma pur aderendo alla
dottrina della divinità del Figlio si attenne alla biblica espressione
"simile al Padre"; e fu quindi sospettato dai niceni di
filoarianesimo e dagli arianeggianti di filomarcellianesimo[6].
Di fatto, militò tra gli omeusiani che dicevano il Verbo di natura simile a
quella del Padre[7],
ma non come in un partito da cui si sarebbe staccato cambiando bandiera. Questa
accusa di Rufino[8]
pare infondata, perché il mutamento deve essere attribuito a un clima di
adattamento pastorale, comune ai campioni più intransigenti del credo niceno.
Epifanio credette anche lui di doverlo adattare ai tempi[9],
e Cirillo ad esso aderì senza sostanziali ondeggiamenti tra le versioni ariane
e sabelliane[10],
sia quando sembrò prendere partito per l'omeusiano Silvano al Concilio di
Seleucia del 359 sia quando poi aderì ai chiarimenti di Atanasio[11].
Girolamo lo disse filoariano perché prevenuto contro di lui; ma più giustamente
Teodoreto ne spiegò il comportamento dicendolo catecheta più che teologo[12].
Di fatto fu soprattutto
un pastore proteso alla formazione cristiana del popolo. Rimase catecheta anche
quando contro dualisti e doceti, ebioniti e pagani fece l'apologista: non fu
però come Epifanio un cacciatore di eresie, né di lui ebbe gli spiriti
battaglieri. Il suo metodo fu esigente e incisivo, ma anche dolce e cordiale;
la sua oratoria dovette essere ammirata anche nei luoghi che lo ospitarono
lungo gli esili, perché pastoralmente convincente, ricca di opportune e vivaci
sollecitazioni, spesso colorite di immagini suadenti e fascinose. Per quanto
riguarda la forma letteraria, invero, non possiamo esprimere un giudizio
obiettivo, poiché non sappiamo se a lui o ai suoi stenografi sia da attribuire
lo stile saltellante che talora ci sconcerta, per troppi incisi e frequenti
citazioni bibliche, retorici interrogativi ed esclamativi.
Deposto dal
Concilio di Gerusalemme nel 357, si rifugiò ad Antiochia. Qui poté confermarsi
nei princìpi ermeneutici già adottati in ambiente palestinese, dove l'influsso
di Origene e di Eusebio di Cesarea era temperato dai modelli di Silvano e
Diodoro di Tarso fondati su una visione cosmologica e antropologica della
storia, esemplare per tipi e antitipi. Quando perciò lasciò Antiochia per
andare in esilio a Tarso, gli fu permesso di esercitare anche lì le sue
funzioni di vescovo e catecheta, finché non fu restituito alla sua sede nel
359. Qui la sua attività di pastore e di educatore dovette essere
particolarmente incisiva se gli procurò un secondo esilio[13]
che durò fino al 361 anno della morte di Costanzo che lo aveva perseguitato
nonostante la sua devozione, mentre aveva lasciato indisturbato Epifanio
campione dei filoniceni[14].
Simile
paradosso del resto si verificò con Valente che tenne in esilio Cirillo dal 367
al 378 mentre non osò toccare Epifanio[15].
Dopo la morte di Valente, anche il vescovo di Gerusalemme poté tornare a vivere
indisturbato nella sua sede, per undici anni dedito a risanare le ferite
inferte alla sua comunità dal malgoverno precedente[16].
Nel 381 prese parte al Concilio II di Costantinopoli. Morì probabilmente il 18
marzo del 387, data che i calendari liturgici dell'Oriente e dell'Occidente
hanno mantenuto per la sua memoria.
È soprattutto dalle
Catechesi[17]
dove Cirillo propone una sintesi della dottrina cristiana come primo
nutrimento del credente, che possiamo apprendere le preziose indicazioni
riguardo ai luoghi di culto costantiniani che l'eccellente catecheta richiama e
illustra ai suoi ascoltatori. Queste Catechesi, come molti manoscritti
ricordano, sono state raccolte stenograficamente da qualche uditore[18].
È noto come ai
tempi delle Catechesi cirilliane la croce di Cristo, identificata
da Elena, era già issata sulla roccia del Calvario-Golgota, assieme al sepolcro
unico luogo di culto. Il complesso Golgota-Sepolcro formava un'unità
strutturale sacra: sul sepolcro Costantino aveva innalzata la rotonda dell'Anastasis
collegata con un atrio al Calvario-Golgota. Tra le due memorie s'innalzava la
croce: sull'onphalos mundi, dove sarebbe fluito il sangue di
Cristo per purificare il sepolcro di Adamo.
Nella decima catechesi battesimale
(10.19), sulla signoria del Figlio Unigenito, Cirillo, tra i testimoni
qualificati del Cristo ab aeterno indica anche quella croce:
Testimonia
il santo legno della croce, per noi ancora visibile, che ha riempito il mondo
per via dei frammenti che i devoti ne prendono … questo santo Golgota la cui
sommità è sublime testimonianza, il santissimo sepolcro con accanto la pietra
ancor oggi lì per terra.
Nella tredicesima catechesi
battesimale (13.4), spiegando la reale Crocifissione e morte del Cristo,
Cirillo insegna:
Fu vera la sua passione; vera
infatti fu la sua crocifissione... Se invero qui ora lo negassi, insorgerebbero
per confutarmi questo Golgota dove adesso siamo tutti riuniti.
Cirillo, dal basso, presso l'Anastasis
esorta i catechizzandi a spingere lo sguardo in alto, a circa quaranta
metri di distanza, verso lo sperone di roccia del Golgota, verso la croce
visibile e inglobata, appunto, nell'unica costruzione costantiniana.
Nella
quattordicesima catechesi battesimale, a spiegazione dell'articolo di fede “È
risuscitato dai morti il terzo giorno, è risalito al cielo e siede alla destra
di Dio Padre”, tra i tanti testi qualificati che depongono per questa verità di
fede, il vescovo indica anche la costruzione sacra e colui che la volle
(14.22):
Sono testimoni
il posto ancora visibile dove si compì l'evento e il sacro edificio di questa
nostra chiesa, che l'imperatore Costantino di santa memoria ha voluto qui
spontaneamente innalzare e adornare come tu vedi, mosso dall'amore del Cristo.
Nella diciannovesima catechesi - o
prima catechesi mistagogica ai neofiti - sul battesimo, abbiamo un altro dato
interessante per il nostro discorso. La catechesi, pronunziata nella Chiesa
dell'Anastasis dopo l'Eucarestia del lunedì di Pasqua, spiega i
principali riti precedentemente svoltisi nel vestibolo del battistero. Ci
descrive l'ordine seguito dalla Chiesa gerosolimitana: rinunzia a satana, alle
sue opere e alle sue seduzioni e la stipula del patto battesimale con le
promesse di fedeltà a Cristo:
Appena entrati
nel vestibolo dell'edificio dove si amministra il battesimo, standovene rivolti
in piedi verso Occidente, avete ascoltato l'ordine di stendere la mano e di
rinunziare a satana come se fosse presente (19.2).
Nella ventesima catechesi - o
seconda catechesi mistagogica ai neofiti - sul battesimo (20.4) abbiamo la
preziosa testimonianza del rito battesimale della Chiesa madre di Gerusalemme,
nella Basilica costantiniana:
Presi per
mano siete stati accompagnati alla santa piscina del divino lavacro, come
Cristo deposto dalla croce nella tomba qui di fronte[19]. Qui foste interrogati uno ad uno se credevate nel
nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo e voi avete fatto la salutare
confessione di fede. Per tre volte siete stati immersi nell'acqua e per
ciascuna delle tre ne siete riemersi, per simboleggiare i tre giorni della
sepoltura di Cristo[20].
I tre giorni e le tre notti hanno
per i Padri un significato, tipologico e tropologico insieme: Gregorio di
Nissa, ne La grande catechesi 35, lo stato di sepoltura di Cristo ha il
suo antitipo nel battesimo, “mettendo al posto della terra l'acqua”, elemento
che da vita; ma è anche tipo o tropo: della morte ai germi del male e della
risurrezione dei germi di bene, secondo una continuità che il Battesimo non ha
interrotta.
Di grande interesse risulta essere
la ventitreesima ed ultima delle Catechesi - o quinta catechesi mistagogica
- sul Sacrificio eucaristico. Dopo aver parlato dell'Eucarestia come mistero
del corpo e sangue del Signore, il nostro catecheta spiega come se ne rinnovi
la memoria con la celebrazione liturgica. Procedono due riti preparatori, bacio
di pace e purificazione delle mani. Segue la parte centrale - o anafora - preceduta
da invito e prefazio e culminante nei tre momenti della preghiera di lode -
dossologia - dell'implorazione sulle offerte - epiclesi - delle
preghiere di intercessione. La parte finale, preceduto dalla preghiera del Pater,
è la comunione. La catechesi omette, certamente sottointendendole, due
parti che dovrebbero seguire l'anafora completando la liturgia
consacratoria, e che invece trovano rilievo in testi antichi: in primo luogo il
ricordo-racconto dell'istituzione dell'Eucarestia e in secondo luogo la memoria
storica - anamnesis - dei segni della salvezza. Cirillo insiste molto
sulla epiclesi come implorazione dello Spirito Santo perché consacri
con la sua potenza i doni offerti trasformandoli nel corpo e sangue del Signore
e santifichi l'assemblea che li offre con tutto ciò che essa toccherà.
Si tratta di
un documento teologico-liturgico di inestimabile valore e, per quanto ci
riguarda, una testimonianza diretta di come la sacra Sinassi venisse celebrata
proprio nel cuore della costruzione sacra costantiniana.
Non potendo
evidentemente riportare integralmente i 23 paragrafi di questa catechesi,
sottolineo qualche passo particolarmente significativo per la ricostruzione
della liturgia eucaristica nella basilica voluta dall'Imperatore. Alcuni gesti
liturgici, come per esempio il ricevere l'Eucarestia nella mano e bere del
calice, ultimamente sono state reintrodotte nella liturgia. Da questa ultima Catechesi
di Cirillo ne apprendiamo l'origine gerosolimitana.
Spiegando il
rito preparatorio del lavabo dei celebranti all'inizio della celebrazione,
Cirillo ricorda:
L'abluzione
delle mani è un rito simbolico... le mani infatti simboleggiano l'attività
umana e il lavarle significa la volontà dì purificazione che deve rendere
irreprensibili le nostre azioni (23.2).
Spiegando
il secondo rito preparatorio, il bacio di pace, Cirillo insegna:
Non pensate a un
bacio quale è quello che di solito amici comuni si scambiano incontrandosi in
piazza: nulla del genere. Il nostro è un gesto che esprime la volontà di
conciliare le anime con il proposito di dimenticare le vicendevoli offese: un
segno di unione dei cuori e della estinzione di ogni inimicizia (23.3).
Nel memento
dei vivi (23.8), l'epiclesi si fonde con la terza parte dell'anafora
riguardante le intercessioni e dove Cirillo fa esplicita menzione agli
imperatori, per i quali è doveroso pregare:
Invochiamo Dio
perché conceda pace a ogni comunità ecclesiale e la stabilità dell'ordine di
tutto il mondo. Preghiamo insieme e offriamo il sacrificio per gli imperatori,
per le forze armate e per i loro alleati, per gli ammalati e per gli afflitti,
insomma per tutti i bisognosi di aiuto.
Nel memento dei defunti
(23.9), Cirillo dice:
Facciamo ricordo
di tutti coloro che si sono addormentati... Crediamo di sommo giovamento per le
anime la preghiera che per esse innalziamo mentre si offre sull'altare il santo
e tremendo Sacrificio.
Il termine sacrificio - thysía -
significa in senso proprio il tremendum-fascinosum del mistero
sacrificale e, per sineddoche, in senso tropologico, la parte più preziosa di
esso, la vittima sacrificale.
Ampia
spiegazione il catecheta gerosolimitano offre per la preghiera dominicale,
il Padre nostro (23.11-18). Si tratta della prima testimonianza
esplicita dell'inserzione della preghiera del Pater nella liturgia
eucaristica.
Nell'introdurre
i neofiti a vivere intensamente il gesto processionale di accostarsi all'altare
per comunicarsi[21],
Cirillo dice:
Quanto ti
accosti, non stendere le palme delle mani con dita disgiunte; ma con la
sinistra facendo un trono alla destra che deve accogliere il Re, ricevi il
Corpo di Cristo sul cavo della destra, dicendo "Amen".
Le dita
congiunte strettamente dovevano significare la compattezza della comunione
della carità, della quale la comunione eucaristica è il segno. E continua:
Quando la tua
mano viene a contatto del corpo santo, santifica gli occhi, attento a non
lasciarne cadere qualche frammento, perché sarebbe per te come perdere un
membro del tuo corpo.
Assai interessante l'indicazione
ai neofiti della Chiesa madre di Gerusalemme fatta da Cirillo per accedere alla
comunione sotto le specie del vino:
Dopo la
comunione col corpo di Cristo, accostati al calice del suo sangue senza
stendere le mani, ma prendine inchinandoti con gesto della massima adorazione e
dicendo: "Amen" santificati tutto. Finché hai il sangue di Cristo
sulle labbra, toccalo con le mani e con esso santifica gli occhi, la fronte e
gli altri sensi.
Pur nella sua
inevitabile stringatezza, la lectio textuum fin qui svolta ci pone
davanti a dati preziosi riportati da un testimone oculare della liturgia
gerosolimitana celebrata nel più importante dei luoghi di culto che
l'Imperatore Costantino volle erigere su quello che era stato il Tempio di
Giove che doveva definitivamente cancellare la memoria della crocifissione,
sepoltura e risurrezione di Gesù Cristo. Il vescovo Cirillo ha proprio in
quella basilica, la sua Chiesa cattedrale e lì riunisce la sua gente per
introdurla in una vita cristiana matura. Dal dato archeologico-architettonico,
il nostro trova agganci e conferme costanti - irrefutabili perché sotto gli
occhi di tutti - per l'iniziazione cristiana del popolo a lui affidato. La
menzione anche dell'Eleona, del Getzemani, della basilica della
Natività, oltre che del Golgola e dell'Anastasis, fa di
queste pagine una testimonianza di prima mano e di innegabile valore storico,
teologico, liturgico e architettonico.
A tutti il
più cordiale grazie per la gentile attenzione.
[1] Per la bibliografia rimandiamo a J. Quasten, Patrologia (tr. it.), Casale Monferrato 1973, 365-380. Tra le traduzioni è da segnalare, per la fedeltà e l'eleganza, quella di J. Bouvet (Namur 1962) e, in italiano quella curata da C. Riggi (Collana di testi patristici 103, Roma 1993). È da ritenere ancora valido, anche se datato, il profilo su Cirillo e la sua dottrina tracciato da X. de Bachelet, in DTC 3 (1908) 2527-2577.
[2] Sono congetture convalidate da testimonianze
indirette, interne alle sue Catechesi: la conoscenza personale
che egli dimostra dello stato in cui i luoghi santi si trovavano prima che
Costantino li restaurasse (Cat. 12.20; 14.5.9): la formazione biblica ed esegetica
letteraria e teologica, che si rivela nei suoi scritti. Cf. C. Riggi, "Antropologia del
pellegrinaggio religioso nei primi secoli", in AA.VV., L'epoca
patristica e la pastorale della mobilità umana, Padova 1999, 125-126,
128-133, 137-140.
[3] Cf. Cat. 12.33; Egeria, Pellegrinaggio in
Terra Santa, tr. Introd. e note di Siniscalco e Scarampi, Roma 1985.
[4] Cf. ibid., 131-132. La basilica dell'Anàstasis
(Risurrezione) fu eretta come rotonda con cupola, distinta ma non separata
dal complesso costantiniano costituito dai luoghi della morte e della
risurrezione di Cristo. Il Martyrium costruito accanto al Golgota in
faccia all'Anàstasis fu detto Ecclesia maior (= basilica a cinque
navate con un portico davanti l'ingresso).
[5] Acacio, successore di Eusebio sul seggio episcopale
di Cesarea, era rimasto a capo della sua chiesa metropolitana nonostante la
condanna di Sardica (343). Favorì l'elezione di Cirillo forse suo condiscepolo,
ma in seguito gli fu ostile.
[6] Cirillo fu per una lirica di mediazione, e fors'anche
per ciò inviso ad Acacio, oppositore intransigente al consustanziale niceno.
[7] Sul fatto che Cirillo fosse vescovo quando tiene le
sue Catechesi ci J. Quasten,
Patrologia II, 367.
[8] Cf. H.E. 1.23, PL
21.49.5. Stimiamo piuttosto sostenibile il giudizio di A. Paulin, Saint Cyrille de Jérusalem
catéchète, Paris 1950, 30: “Il a eu cette sagesse du bon pasteur qui évite
de traiter de discussions théologiques devant ses fidèles”.
[9] Cf. C. Riggi, "La catéchèse adaptée aux
temps chez Epiphane", Studia Patristica 18 (1982) 160-168.
[10] I Padri del IV secolo presentavano come eredità di
Sabellio (III secolo) ogni forma monarchiana. Ma non tutti i sabelliani si
opposero alla fede trinitaria. Marcello di Ancira, sospettato non solo dagli
ariani di sabellianesimo, al Concilio di Nicea era stato dalla parte di
Atanasio. Cf. C. Riggi, "La
dialogé des Marcelliens dans le Panario", Studia Patristica 20
(1984) 368-373.
[11] Non può far meraviglia il fatto che Cirillo sia stato
d'accordo con Silvano e quindi con omeusiani di prima fila quali Basilio di
Ancira, Giorgio di Laodicea ed Eustazio di Sebaste. Non tutti erano fautori
degli ariani, anzi Silvano era certamente ad essi contrario e infine nel
365/366 li condannò sottoscrivendo il consustanziale niceno.
[12] Cf. i documenti riportati dal Touttée, PG
33.95.304-305.
[13] Del secondo esilio di Cirillo, che durò fino alla
morte di Costanzo (362), non abbiamo notizie dirette; alcuni credono che egli
sia stato accolto ad Antiochia almeno per qualche tempo dall'amico Melezio.
[14] Cf. C. Riggi,
"La figura di Epifanio nel IV secolo", Studia Patristica 2
(1966) 86-87.
[15] Cf. ibidem.
[16] Di tale malgoverno Girolamo ne accenna in varie
lettere; Ep. 54.13; 58.2-5; 75.2 e Gregorio di Nissa, Ep. 2 e 3.
[17] Sullo schema e sulla questione dell'autenticità cf.
CIRILLO DI GERUSALEMME, Le Catechesi. Collana di testi patristici
[18] Sull'autenticità di queste rimando a J. Quasten, Patrologia II, 366-7.
[19] Cf. Catechesi 18.33.
[20] Cf. Mt 12.40 e Catechesi 3.12.
[21] Cf. Costituzione Apostoliche 8.13.