N° 2 - Marzo 2003 - Memorie

Paolo Ferretti

Università di Trieste

 

 

LE DONAZIONI TRA FIDANZATI NELLA

POLITICA MATRIMONIALE DI COSTANTINO

 

 

La ricerca si articola in tre puntualizzazioni. Nella prima, ritorniamo sulla disciplina delle donazioni tra fidanzati e sugli sponsali, in età preclassica e classica, allo scopo di poter meglio comprendere le innovazioni attuate da Costantino. Nella seconda, approfondiamo, seppur in breve, il tema della disciplina costantiniana delle donazioni tra fidanzati e diamo conto della tesi da noi sostenuta nella monografia pubblicata[1] in argomento. Nella terza, infine, avanziamo una diversa interpretazione, suggeritaci, a distanza di circa due anni, da una differente lettura delle fonti.

 

1. – È noto che per tutta l’età preclassica — fino al 90 a.C., a prestar fede alla testimonianza di Gellio[2] che cita Servio e Nerazio[3] — il fidanzamento consisteva in un atto ad effetti obbligatori, incentrato sulla solenne promessa di matrimonio. Esso, infatti, si caratterizzava per la conclusione di stipulationes e sponsiones, con cui il pater familias della futura sposa e lo sponsus, se sui iuris, si impegnavano, l’uno nei confronti dell’altro, rispettivamente a concedere la propria figlia in matrimonio e a prendere la medesima in moglie; ne seguiva che, una volta concluse le stipulazioni, contro quello dei due che non avesse adempiuto, senza giusta causa, l’obbligo precedentemente assunto, l’altro avrebbe potuto agire ex sponsu per ottenere il risarcimento, stimato dal giudice in una somma di denaro.

Inoltre, sempre con riferimento agli sponsali, Varrone[4] riferisce anche del compimento di due stipulazioni penali, con le quali il padre della nubenda e lo sponsus si obbligavano a pagare una somma di denaro nel caso in cui il primo non avesse concesso la figlia e il secondo non l’avesse presa in moglie.

Bastano questi brevi accenni per capire che gli sponsali di età preclassica erano un atto solenne compiuto dai genitori dei fidanzati[5], o almeno dal padre della sponsa[6], allo scopo di vincolare i nubendi alla celebrazione del futuro matrimonio, intesi come probabile strumento per realizzare alleanze e strategie famigliari, di cui non mancano riferimenti nelle fonti letterarie[7].

 

Nell’ultima età repubblicana si assistette ad un rilevante cambiamento: per costituire gli sponsali era sufficiente il nudo consenso. Il fidanzamento si presentava come la proposta e la correlativa promessa di nozze, scambiate senza alcuna formalità[8]. Ma questa libertà di forme non deve portare a credere che il consenso fosse soltanto quello dei nubendi: Paolo[9], del resto in un passo assai noto, richiede, accanto all’assenso dei fidanzati, anche la necessità dell’assenso dei loro aventi potestà, e Ulpiano informa che la sponsa avrebbe potuto rifiutare lo sponsus scelto dal padre soltanto nel caso in cui questo fosse indignus moribus vel turpis[10].

Tuttavia, questo processo di rinnovamento, all’insegna del consensualismo e della mancata sanzione per la volontà negata — ricordiamo, al riguardo, il divieto a ricorrere alla pena convenzionale o ad altre forme limitative della volontà[11] —, non deve aver prodotto spostamenti di rilievo nel consueto modo di intendere gli sponsali come potente strumento di alleanze politiche e famigliari[12]. Ne è prova l’ampiezza delle testimonianze che si possono addurre al riguardo, in cui continua ad essere documentata una fitta trama di relazioni parentali, sociali e politiche, abilmente intessuta attraverso sponsali e matrimoni[13].

Sennonché, con l’abbandono delle stipulazioni, essendo venuta meno l’obbligatorietà del vincolo sponsalizio, l’autonomia privata, assecondata dalla giurisprudenza, si è trovata nella necessità di dover elaborare un nuovo mezzo di cogenza. Il nuovo mezzo di cogenza è stato, a nostro avviso, un tipo[14] di donazioni tra fidanzati — le donazioni a causa della promessa di matrimonio —, le quali si sarebbero praticate proprio allo scopo di ‘rafforzare’ la promessa nuziale[15].

Al riguardo, le due testimonianze principali sono di Giuliano[16] e di Papiniano[17]. I due giuristi informano dell’esistenza di un particolare tipo di donazioni tra fidanzati, che abbiamo denominato donazioni a causa della promessa di matrimonio. Tali liberalità erano assoggettate alla seguente disciplina: se gli sponsali si fossero sciolti per colpa del donante, questo non avrebbe potuto ripetere quanto dato, mentre se si fossero sciolti per colpa del donatario[18], il donante avrebbe potuto ripetere quanto dato[19].

È sufficiente questa sintetica descrizione per accorgersi che le donazioni a causa della promessa di matrimonio erano lo strumento attraverso cui il donante avrebbe potuto ‘blindare’ il consenso del donatario, dissuadendolo a sciogliere il vincolo sponsalizio per non perdere la liberalità.

Da ultimo, è opportuno precisare che la disciplina ora esposta dipendeva dalla espressa conclusione, nel momento in cui la donazione veniva posta in essere, di un apposito patto[20]. Questo patto tra nubendi, e solo questo patto, avrebbe impresso alla liberalità il carattere di donazione a causa della promessa di matrimonio. Di conseguenza, in mancanza del suddetto patto, la donazione compiuta tra fidanzati sarebbe stata sempre irrevocabile, indipendentemente dal verificarsi o meno delle nozze.

 

2. – Veniamo alla disciplina di Costantino:

 

C.Th. 3.5.2[21]. Imp. Constantinus A. ad Maximum P(raefectum) u(rbi). Cum veterum sententia displiceat, quae donationes in sponsam nubtiis quoque non secutis decrevit valere, ea, quae largiendi animo inter sponsos et sponsas iure celebrantur, redigi ad huiusmodi condiciones iubemus, ut, sive in potestate patris degere sive ullo modo proprii videantur esse iuris et tamquam futuri causa matrimonii aliquid sibi ipsi vel consensu parentum mutuo largiantur, si quidem sponte vir sortiri noluerit uxorem, id quod ab eo donatum fuerit nec repetatur traditum et, si quid apud donatorem resedit, ad sponsam submotis ambagibus transferatur.  1  Quod si matrimonii non contrahendi causa ab sponsa, vel in cuius agit potestate, detegatur extitisse, tunc sponso eiusque heredibus sine aliqua deminutione redhibeantur.  2  Quae similiter observari oportet et si ex parte sponsae in sponsum donatio facta sit; nullis causis ulterius requirendis, ne forte mores aut origo dicatur, vel quidquam aliud opponatur, quod sibi quisquam non convenire existimat, cum longe ante, quam sponsalia contrahantur, haec cuncta prospici debuerint. Sola igitur indagetur voluntas et mutata animi sententia ad restitutionem seu repetitionem rerum donatarum sufficiat, cum universis causationibus pulsis nihil amplius constare debeat, nisi ut appareat, qui sibi contrahendum matrimonium dixerit displicere.  3  Et quoniam fieri potest, ut moriatur alter adhuc incolumi voluntate, priusquam nubtiae contrahantur, congruum duximus, eo, in quem fuerat facta donatio, ante matrimonium diem functo, quae sponsaliorum titulo vel data vel ullo genere donata sunt, ad eum qui donaverat revocari: eo etiam qui donaverat ante nubtias mortuo mox infirmari donationem et ad eius heredes sine aliqua difficultate retrahi res donatas.  4  Quod beneficium usque ad personam patris ac matris, filiorum etiam, si qui de priore matrimonio fuerint, stare decernimus, si quocumque modo ex his persona aliqua defuncto successerit. Quod si ex his nulla persona defuncti heres erit, sed ex reliquis gradibus quisquam succedat, donationes convenit etiam non insecutis ex causa mortis nubtiis convalescere, quoniam illis tantum personis credimus consulendum.  Dat. XVII kal. novemb. p(ro)p(osita) VI kal. s(upra)s(crip)tas Rom. Constantino A. V et Licinio Caes. Conss. (a. 319).

 

Costantino esordisce richiamando la disciplina dei giuristi classici, che egli dichiara subito di non gradire. La disciplina richiamata è quella ora vista, secondo cui il mancato consenso alle nozze produceva, sì, la perdita della donazione, ma solo se ciò era stato espressamente pattuito. A Costantino questo non bastava.

Su questa critica si innesta la riforma dell’imperatore, il quale ha disposto che tutte le donazioni tra fidanzati, e non soltanto quelle accompagnate da un patto di restituzione, fossero regolate nel seguente modo: se il donante, fidanzato o fidanzata, rifiutava l’assenso alle nozze, non avrebbe potuto ripetere quanto dato; se, invece, fosse stato il donatario a rifiutare l’assenso alle nozze, allora il donante avrebbe potuto ripetere, integralmente, quanto conferito[22].

Particolarmente significativa è poi l’esclusione di giuste cause di ripudio[23]; vale a dire che, ai fini della revocabilità o meno della donazione, si sarebbe fatto unicamente riferimento alla volontà contraria al matrimonio. Una normativa, pertanto, particolarmente severa nei confronti del ripudiante. Su questo aspetto torneremo in seguito.

 

Confrontando la disciplina dettata da Costantino con quella vigente in età classica, si nota la profonda innovazione attuata dall’imperatore: la revocabilità o meno della donazione — in caso di mancato consenso alle nozze — non sarebbe più dipesa dalla volontà dei privati, che si attuava in epoca classica con la presenza o meno di un patto di restituzione. Con Costantino era la legge, e non i nubendi, a stabilire che si sarebbe persa la donazione se si fosse negato il consenso alle nozze.

Inoltre, a differenza della disciplina classica, non erano riconosciute giuste cause di scioglimento degli sponsali ai fini della revoca delle donazioni.

Nella valutazione di questa disciplina all’interno della politica matrimoniale di Costantino, abbiamo scritto[24] che il tentativo dell’imperatore era quello di riaffermare, con maggior vigore, l’intendimento già presente in età classica: fare di tutte le donazioni tra fidanzati, e non soltanto di quelle a cui le parti avevano aggiunto il patto di restituzione, una misura deterrente, uno strumento di dissuasione per chi volesse recedere dal fidanzamento. Non riconoscere, infatti, ipotesi di scioglimento giustificato e sanzionare in ogni caso, con la perdita di quanto dato o con l’obbligo a restituire quanto ricevuto, il fidanzato che avesse negato il consenso, altro non ci appariva se non una forma di coazione alla conclusione delle nozze.

 

Nel 336, Costantino ritornava a legiferare sulle donazioni a causa della promessa di matrimonio, correggendo la disciplina dettata nel 319:

 

C.Th. 3.5.6[25].  Imp. Constantinus A. ad Tiberianum Vicarium Hispaniarum. Si a(b spons)o rebus sp(on)sae donatis interveniente osculo ante nubtias hunc vel illam mori contigerit, dimidiam partem rerum donatarum ad superstitem pertinere praecipimus, dimidiam ad defuncti vel defunctae heredes, cuiuslibet gradus sint et quocumque iure successerint, ut donatio stare pro parte media et solvi pro parte media videatur: osculo vero non interveniente, sive sponsus sive sponsa obierit, totam infirmari donationem et donatori sponso sive heredibus eius restitui.  1  Quod si sponsa interveniente vel non interveniente osculo sponsaliorum titulo, quod raro accidit, fuerit aliquid sponso largita et ante nubtias hunc vel illam mori contingerit, omni donatione infirmata ad donatricem sponsam sive eius successores donatarum rerum dominium transferatur.  Dat. id. Iul. Constant(ino)p(oli). Accepta XIIII k. Mai. Hispali Nepotiano et Facundo conss. (a. 336).

 

Si tratta della celebre legge dell’osculum[26], legge con cui Costantino dettava norma per il caso in cui le nozze non si fossero concluse per la morte di uno dei fidanzati[27]. A noi qui preme sottolineare che Costantino dava conto, in questo testo, di una particolare forma di conclusione del fidanzamento: interveniente osculo diceva l’imperatore, facendo riferimento ad un rito caratterizzato dallo scambio del bacio tra i nubendi.

 

3. Siamo così giunti alla terza puntualizzazione, in cui desideriamo proporre una nuova e diversa interpretazione dell’intervento costantiniano. Da una rilettura dei testi, saremmo ora più inclini a ritenere che, nella politica matrimoniale di Costantino, la perdita delle donazioni, nel caso in cui il donante avesse rotto il fidanzamento, non fosse stata pensata come misura indiretta, inibitoria, volta cioè a spingere i fidanzati a sposarsi[28], pur di evitare di perdere ciò che avevano donato o ciò che era stato loro donato.

Nella nostra attuale riflessione, saremmo orientati a vedere nella perdita delle donazioni una vera e propria sanzione a carico di quei nubendi che, sciogliendo il vincolo sponsalizio, dimostravano di non aver vissuto il fidanzamento così come avrebbero dovuto, secondo i nuovi intendimenti imperiali.

Una nuova idea di fidanzamento, dunque.

Anzitutto, nella legge del 336[29] si affaccia un fidanzamento concluso con lo scambio, tra i due nubendi, di un bacio[30]: interveniente osculo, afferma Costantino.

Da una breve ricerca condotta sulle fonti letterarie, cristiane[31] e non cristiane[32], anteriori a Costantino, l’osculum è risultato intrinsecamente legato al matrimonio, alla vita coniugale o al suo inizio, quale elemento del rito nuziale.

Orbene, il fatto che in questa legge Costantino parli di un fidanzamento, e non di un matrimonio, concluso interveniente osculo[33], potrebbe significare che egli facesse riferimento ad una particolare forma di cerimonia sponsalizia la quale condivideva, almeno in parte, alcuni aspetti del matrimonio[34], quasi una ‘prova generale’, un’anticipazione del matrimonio[35].

L’osculum, pertanto, non rimanderebbe ad una bacio ‘casto’, ad un bacio tra infantes, tra fanciulli non ancora in grado di discernere il senso del gesto, bensì ad un bacio tra individui adulti, puberi, consapevoli di ciò che stavano per compiere e consapevoli in quanto tra essi si era già instaurata una relazione interpersonale, frutto di un precedente periodo di conoscenza e di frequentazione.

Il legislatore avrebbe voluto proporre un nuovo modo di intendere gli sponsali, non più come l’‘inizio’ di un cammino a due (come sappiamo, spesso molto lungo: non dimentichiamo i fidanzati bambini), sulla strada della conoscenza in vista del matrimonio — quanto poi non ci si conoscesse lo dice, ad esempio, Gregorio di Nissa quando narra che fu il padre di Macrina a scegliere, tra i numerosi pretendenti, quello che eccelleva per la condotta di vita[36], nonché Crisostomo quando afferma che le donne, chiuse in casa, non scorgevano il futuro coniuge se non il giorno stesso delle nozze[37], e infine Agostino il quale testimonia che la madre, giunta all’età matura per le nozze, fu consegnata dai genitori ad un uomo[38] —. Il legislatore avrebbe inteso piuttosto gli sponsali come la ‘conclusione’ di un percorso di conoscenza vera che doveva precedere, e non seguire, gli sponsali.

 

Vediamo di sostenere l’assunto. Già nella parte centrale della costituzione del 319[39], si afferma, a proposito della perdita delle donazioni nel caso in cui si fossero sciolti gli sponsali, che non si dovevano invocare i mores o l’origo, cioè la condotta di vita, i modelli comportamentali, le abitudini assunte, il carattere dell’altra persona oppure l’estrazione sociale, il ceto di appartenenza, il popolo di origine. E non ci si doveva richiamare ai mores o all’origo o a qualsivoglia altro aspetto che non si ritenesse confacente a sé, in quanto cum longe ante, quam sponsalia contrahantur, haec cuncta prospici debuerint, cioè in quanto tutte queste cose dovevano essere previste molto tempo prima che il fidanzamento venisse concluso.

Dunque, anche dal testo del 319, benché Costantino non facesse riferimento agli sponsali conclusi interveniente osculo, pare che l’imperatore concepisse il fidanzamento come il momento conclusivo di un periodo di frequentazione e di incontri, necessario alla verifica della compatibilità tra i rispettivi caratteri, abitudini, modi di vita e inclinazioni. Un periodo concepito come essenziale, a tal punto da sanzionarne il mancato compimento.

Sulla base di questi rilievi, può acquistare un diverso significato, forse più verosimile, il dato rappresentato dall’impossibilità di invocare giuste cause di scioglimento degli sponsali[40]. Costantino suggellava con la perdita di quanto dato e con l’obbligo a restituire quanto ricevuto soltanto colui il quale avesse sciolto il vincolo sponsalizio, indipendentemente dalle ragioni che lo avevano spinto: sola igitur indagetur voluntas et mutata animi sententia... nihil amplius constare debeat, nisi ut appareat, qui sibi contrahendum matrimonium dixerit displicere, afferma a conclusione del par. 2.

Questa disciplina è certamente sanzionatoria. Tuttavia, il fatto che non potessero essere ammesse giuste cause di scioglimento (in tal caso il donante avrebbe potuto ripetere la donazione fatta), potrebbe significare che l’intenzione di Costantino non fosse necessariamente quella di indurre i nubendi alla conclusione del matrimonio. Noi siamo piuttosto inclini a scorgere in questa misura — giova ribadire: l’impossibilità di addurre giuste cause di scioglimento per poter ripetere le donazioni — una autentica sanzione a carico di quei fidanzati che, prima di pervenire agli sponsali, non avessero adeguatamente ponderato.

Questa interpretazione trova conferma laddove Costantino, come detto, asseriva che i mores e l’origo, cioè la condotta di vita, i modelli comportamentali, le abitudini, il carattere, l’estrazione sociale, il ceto di appartenenza, dovessero essere valutati precedentemente l’assunzione del vincolo sponsalizio. In altri termini, la perdita delle donazioni appare come la giusta sanzione per una scelta superficiale, affrettata, forse dettata da altre ragioni, non escluse proprio quelle ragioni di alleanza politica ed economica che avevano contrassegnato e che continuavano a contrassegnare i matrimoni romani.

 

Infine, l’interpretazione avanzata pare trovare un ulteriore appoggio nel pensiero degli scrittori cristiani, precedenti e posteriori a Costantino. Infatti, in questi registriamo due precise esortazioni: in primo luogo, l’invito rivolto ai fidanzati di giungere alle nozze soltanto dopo una attenta e meditata riflessione. Crisostomo, affiancando matrimonio e compravendita, consiglia ai nubendi di non tralasciare nulla riguardo alle nozze, alla stregua dei compratori, i quali, sul punto di acquistare case e schiavi, esaminano con meticolosa attenzione il venditore e il precedente proprietario, perfino la loro costituzione fisica e la loro indole[41].

In secondo luogo, si rinviene il suggerimento di non scegliere il coniuge sulla base delle ricchezze, della condizione economica o sociale: Tertulliano, ad esempio, incoraggia le giovani donne, di condizione agiata, a scegliere il futuro marito sulla base della religione da questo praticata piuttosto che sui beni posseduti[42]; e Crisostomo afferma che non bisogna cercare il denaro, ma la pace e la lieta compagnia; per questo sarebbe stato istituito il matrimonio, non per riempire le case di risse e di lotte, non per aver litigi e contese, non perché i coniugi si sollevino l’uno contro l’altro, rendendo la vita insopportabile, ma abbiano un porto, un rifugio, un conforto di fronte alle avversità. Del resto, si chiede lo scrittore cristiano, quanti uomini ricchi, sposati con donne benestanti, pur avendo accresciuto il patrimonio famigliare, hanno distrutto l’affetto e la concordia, litigando quotidianamente perfino a tavola con continue contese?[43]. Ancora Crisostomo ribadisce, a proposito della scelta del coniuge, che alla ricchezza, allo splendore di stirpe e alla grandezza di patria occorre preferire la pietà dell’anima, la mansuetudine, la vera prudenza, il timore di Dio. Infatti, conclude, se un padre cerca per la propria figlia un uomo più ricco, non soltanto non le gioverà, ma la danneggerà, rendendola schiava anziché libera: dall’oro non ricaverà tanto piacere quanto sarà il dispiacere che le deriverà dall’essere schiava[44].

 

In conclusione, l’anticipazione dell’osculum, segno del matrimonio, ad una particolare forma di sponsali, nonché il compimento, durante la cerimonia di fidanzamento o in un periodo successivo, delle donazioni da parte dei fidanzati stessi (o dei loro aventi potestà), quasi a suggellare la loro intenzione di concludere le nozze, ben sapendo che cosa sarebbe accaduto se queste ultime fossero state rifiutate; ancora, l’impossibilità di addurre giuste cause di scioglimento del vincolo e, con essa, l’impossibilità di trattenere o di ripetere la donazione; infine, le testimonianze degli scrittori cristiani.

Tutti questi elementi, ora citati, sembrano indizi non trascurabili del fatto che Costantino abbia perseguito una concezione del fidanzamento profondamente diversa da quella classica: non più un atto esclusivo di genitori e parenti i quali, tramite il legame sponsalizio e la disciplina delle donazioni, avrebbero finito per decidere del futuro di nubendi giovani o giovanissimi, spesso ancora impuberi, al solo scopo di allacciare legami e alleanze politiche e famigliari.

Al contrario, Costantino avrebbe pensato il fidanzamento come atto dei fidanzati, certo compiuto, soprattutto per quanto riguarda la sponsa, con l’intermediazione dei genitori, ma che principalmente avrebbe dovuto essere atto dei nubendi, da compiersi solo al termine di una relazione interpersonale da tempo avviata e verificata, in vista del matrimonio. In altri termini, il fidanzamento come un pre-matrimonio, concluso tra soggetti adulti e puberi.

In questa prospettiva, la disciplina delle donazioni tra fidanzati, che si ricava dalle due leggi[45], si inscriverebbe non all’interno di una politica matrimoniale volta a favorire la conclusione, ‘ad ogni costo’ dovremmo dire, delle nozze, facendo leva sul timore di perdere la donazione, bensì si porrebbe all’interno di una politica matrimoniale che, con ogni verosimiglianza fin dal 319[46], si prefiggeva l’indissolubilità del vincolo coniugale, ma che aveva ben compreso che tale indissolubilità si sarebbe potuta ottenere soltanto predisponendo le condizioni necessarie affinché le nozze durassero: un fidanzamento rifondato.

 

 

 



 

[1] P. Ferretti, Le donazioni tra fidanzati nel diritto romano, Milano 2000. A questa rimandiamo per approfondimenti e riferimenti bibliografici, relativamente alla prima e alla seconda parte della presente ricerca.

 

[2] Gellio scriveva con riferimento al ius sponsaliorum vigente nelle città del Lazio fino al 90 a.C. Ma tale diritto, come apprendiamo dal confronto con altre fonti — ad esempio, D. 23.1.2; Varro, ling. 6.70 s.; Arnob., nat. 4.20; Serv., Aen. 10.79; Isid., orig. 9.7.3 — e dalla menzione della sponsio, corrispondeva alla disciplina romana.

 

[3] Gell. 4.4.1: Sponsalia in ea parte Italiae, quae Latium appellatur, hoc more atque iure solita fieri scripsit Servius Sulpicius in libro, quem scripsit de dotibus: 2. Qui uxorem inquit ducturus erat, ab eo, unde ducenda erat, stipulabatur eam in matrimonium datum iri. Qui ducturus erat, itidem spondebat. Is contractus stipulationum sponsionumque dicebatur ‘sponsalia’. Tunc, quae promissa erat, ‘sponsa’ appellabatur, qui spoponderat ducturum, ‘sponsus’. Sed si post eas stipulationis uxor non dabatur aut non ducebatur, qui stipulabatur, ex sponsu agebat. Iudices cognoscebant. Iudex, quamobrem data acceptave non esset uxor, quaerebat. Si nihil iustae causae videbatur, litem pecunia aestimabat, quantique interfuerat ea uxorem accipi aut dari, eum, qui spoponderat, <aut> qui stipulatus erat, condemnabat. 3 Hoc ius sponsaliorum observatum dicit Servius ad id tempus, quo civitas universo Latio lege Iulia data est. 4 Haec eadem Neratius scripsit in libro, quem de nuptiis composuit.

 

[4] Varro, ling. 6.70: ... Spondebatur pecunia aut filia nuptiarum causa, appellabatur et pecunia et quae desponsa erat sponsa; quae pecunia inter se contra sponsum rogata erat, dicta sponsio; cui desponsa quo erat, sponsus; quo die sponsum erat, sponsalis. Sulle diverse interpretazioni avanzate in ordine al testo, si veda, da ultimo, P. Ferretti, Le donazioni tra fidanzati, cit., 5 ss., con altra bibliografia.

 

[5] Con riferimento allo sponsus alieni iuris, si legga Plaut., Trin. 569 ss. e 1157 ss.; Ter., Ad. 735; Andr. 99 ss.; Don., ad Ter. Andr. 102.

 

[6] Cfr., ad esempio, Plaut., Aul. 217 ss.; Aul. 255 ss.; Poen. 1155 ss.; Trin. 1157 ss.; Ter., Andr. 99 ss.; Gell. 4.4.2; Varro, ling. 6.70 s.; Plut., Lyc. et Num. 4; Arnob., nat. 4.20; Serv., Aen. 10.79. Riguardo alla sponsa sui iuris, R. Astolfi, Il fidanzamento nel diritto romano, Padova 19943, 8, fa notare che questa avrebbe potuto concludere la sponsio personalmente, con l’intervento del tutore, ma che «la natura anche patrimoniale dell’atto, la giovane età e le convenienze sociali le impongono, di solito, e specialmente nell’età più antica, di affidarsi a dei rappresentanti, per prendere e attuare delle decisioni».

 

[7] Cfr., ad esempio, Plaut., Aul. I arg. 10 ss.; Aul. II arg. 4 ss.; Aul. 191 ss.; Aul. 226 ss.; Aul. 268 ss.; Cist. arg. 6 ss.; Curc. arg. 5 ss.; Trin. 569 ss.; Trin. 604 s.; Trin. 679 ss.; Trin. 689 ss.; Trin. 712 ss.; Trin. 782; Ter., Phorm. 645 ss.; Phorm. 752 ss.; Phorm. 758 ss.; Cic., Herenn. 2.24.38.

 

[8] D. 23.1.1 (Flor. 3 inst.): Sponsalia sunt mentio et repromissio nuptiarum futurarum. D. 23.1.4 pr. (Ulp. 35 ad Sab.): Sufficit nudus consensus ad constituenda sponsalia.

 

[9] D. 23.1.7.1 (Paul. 35 ad edict.): In sponsalibus etiam consensus eorum exigendus est quorum in nuptiis desideratur. Intellegi tamen semper filiae patrem consentire, nisi evidenter dissentiat, Iulianus scribit.

 

[10] D. 23.1.12 (Ulp. l.s. de sponsalibus): Sed quae patris voluntati non repugnat, consentire intellegitur. Tunc autem solum dissentiendi a patre licentia filiae conceditur, si indignum moribus vel turpem sponsum ei pater eligat.

 

[11] Su questo ci informano D. 35.1.71.1 (Pap. 17 quaest.): Titio centum relicta sunt ita, ut Maeviam uxorem quae vidua est ducat: condicio non remittetur et ideo nec cautio remittenda est.. huic sententiae non refragatur, quod, si quis pecuniam promittat, si Maeviam uxorem non ducat, praetor actionem denegat: aliud est enim eligendi matrimonii poenae metu libertatem auferri, aliud ad testamentum certa lege invitari. D. 45.1.97.2 (Cels. 26 dig.): ‘Si tibi nupsero, decem dari spondes?’ causa cognita denegandam actionem puto, nec raro probabilis causa eiusmodi stipulationis est. item si vir a muliere eo modo non in dotem stipulatus est. D. 45.1.134 pr. (Paul. 50 resp.): Titia, quae ex alio filio habebat, in matrimonium coit Gaio Seio habenti filiam: et tempore matrimonii consenserunt, ut filia Gaii Seii filio Titiae desponderetur, et interpositum est instrumentum et adiecta poena, si quis eorum nuptiis impedimento fuisset: postea Gaius Seius constante matrimonio diem suum obiit et filia eius noluit nubere: quaero, an Gaii Seii heredes teneantur ex stipulatione.. respondit ex stipulatione, quae proponeretur, cum non secundum bonos mores interposita sit, agenti exceptionem doli mali obstaturam, quia inhonestum visum est vinculo poenae matrimonia obstringi sive futura sive iam contracta. Su tali fonti, cfr., da ultima, A.S. Scarcella, Libertà matrimoniale e stipulatio poenae, in SDHI 66 (2000), 147 ss.

 

[12] Cfr., tra gli altri, L. Gelzer, Die römische Nobilität, Leipzig 1912; F. Münzer, Römische Adelsparteien und Adelsfamilien, Stuttgart 1920; O. Montevecchi, Ricerche di sociologia nei documenti dell’Egitto greco–romano, in Aegyptus 16 (1936), 32 ss.; R. Syme, The Roman Revolution, Oxford 1939; A.E. Astin, Scipio Aemilianus, Oxford 1967; G. Matringe, La puissance paternelle et le marriage des fils de famille en droit romain, in Studi Volterra, V, Milano 1971, 202 e 202 n. 46; H.H. Scullard, Roman Politics 220–150 B.C., Oxford 19732; K. Hopkins, Death and Renewal. Sociological studies in Roman history, Cambridge 1983; R. Syme, The Augustan Aristocracy, Oxford 1986; P. Veyne, L’Impero romano, in AAVV., La vita privata dall’Impero romano all’anno mille, Bari 1986, 27 ss.; R.P. Saller, Men’s age at marriage and its consequences in the Roman family, in Cph 82 (1987), 21 ss.; B.D. Schaw, The age of Roman girl at marriage: some reconsiderations, in JRS 77 (1987), 30 ss.; R. Saller, I rapporti di parentela e l’organizzazione familiare, in AA.VV., Storia di Roma, IV, Torino 1989, 527 ss.; E. Cantarella, La vita delle donne, in AA.VV., Storia di Roma, cit., IV, 559 s.; J. Gaudemet, Le mariage en Occident, Paris 1987, 33 ss.; G. Franciosi, Famiglia e persone in Roma antica. Dall’età arcaica al Principato, Torino 19922, 151 s.; F. Dupont, La vita quotidiana nella Roma repubblicana, Bari 1990, 120 ss.; AA.VV., Parenté et stratégies familiales dans l’antiquité romaine, Roma 1990, 3 ss.; M. Pani, Lotte per il potere e vicende dinastiche. Il principato tra Tiberio e Nerone, in AA.VV., Storia di Roma, II, Torino 1991, 238 ss.; S. Treggiari, Roman Marriage, Oxford 1991.

 

[13] Alcune di queste testimonianze sono di natura giuridica. Sembrano, infatti, alludervi D. 23.1.4.1; D. 23.1.14; D. 23.1.18. Inoltre, sempre in questa prospettiva, si veda Cic., Brut. 26.98; Cluent. 64.179; Sest. 3.6; Nep., Att. 19.4; Vell. 2.44.3; 2.100.4; Plut., Pomp. 9; Pomp. 47; Cato mi. 25.4; 25.9; 25.11; 25.12; Tac., Agr. 9.6; Ann. 2.43.2; Svet., Iul. 1; Tib. 7; Tert., uxor. 2.9 (in Migne, PL, I, 1302).

 

[14] Abbiamo individuato nelle ‘donazioni semplici’ l’altro tipo di donazioni tra nubendi, donazioni che non avrebbero avuto alcun rapporto con gli sponsali né con le nozze. Si doveva trattare, verosimilmente, di doni di modico valore, scambiati tra fidanzati in occasione di determinate ricorrenze oppure per manifestare il proprio sentimento. Siffatte donazioni sarebbero state irrevocabili.

 

[15] Contro questa interpretazione, cfr., per tutti, R. Astolfi, Esegesi e traduzione di Vat. frag. 262, in Iura 49 (1998), 75 ss., il quale, sulla base di una differente lettura della parte finale di Vat. 262, ritiene che tale disciplina si sia affermata soltanto a partire dalla legislazione costantiniana (C.Th. 3.5.2).

 

[16] D. 39.5.1 (Iul. 17 dig.): Donationes complures sunt. dat aliquis ea mente, ut statim velit accipientis fieri nec ullo casu ad se reverti, et propter nullam aliam causam facit, quam ut liberalitatem et munificentiam exerceat: haec proprie donatio appellatur. dat aliquis, ut tunc demum accipientis fiat, cum aliquid secutum fuerit: non proprie donatio appellabitur, sed totum hoc donatio sub condicione est. item cum quis ea mente dat, ut statim quidem faciat accipientis, si tamen aliquid factum fuerit aut non fuerit, velit ad se reverti, non proprie donatio dicitur, sed totum hoc donatio est, quae sub condicione solvatur. qualis est mortis causa donatio. 1 Igitur cum dicimus inter sponsum et sponsam donationem valere, propria appellatione utimur et factum demonstramus, quod ab eo proficiscitur, qui liberalitatis gratia aliquid dat, ut confestim faciat accipientis nec umquam ullo facto ad se reverti velit. cum vero dicimus, si hac mente donat sponsus sponsae, ut nuptiis non secutis res auferatur, posse repeti, non contrarium priori dicimus, sed concedimus inter eas personas fieri donationem eam, quae sub condicione solvatur.

 

[17] Vat. 262 (Pap. 12 resp.): Sponsae res simpliciter donatae non insecutis nuptiis non repetuntur. Sed et si adfinitatis contrahendae causa donationes factae sunt et nuntium sponsus culpa sua remiserit, aeque non repetuntur. quod ita intellegi oportet, si revocandae donationis condicio non coniuncti matrimonii comprehendatur non perficiendi contractus.

 

[18] Al rifiuto ingiustificato del donatario sarebbe stata parificata, con ogni verosimiglianza, la morte di uno dei nubendi (cfr., seppur indirettamente, Vat. 262 e C. 5.3.11).

 

[19] Occorre chiedersi cosa sarebbe accaduto nel caso in cui gli sponsali fossero stati sciolti dai fidanzati di comune accordo. Sul punto, F. Glück, Commentario alle Pandette, trad. it., XXIII, Milano 1898, 606, pensa, richiamando soltanto il passo di Giuliano (D. 39.5.1.1), che le liberalità potessero sempre essere revocate, salvo patto contrario. Forse è più verosimile ipotizzare che l’accordo delle parti determinasse anche la sorte di tali donazioni.

 

[20] Sul patto di restituzione, cfr., con altra bibliografia, P. Ferretti, Le donazioni tra fidanzati, cit., 38 ss.

 

[21] C.Th. 3.5.2 = C. 5.3.15. Imp. Constantinus A. ad Maximum pu. Cum veterum sententia displiceat, quae donationes in sponsam nuptiis quoque non secutis decrevit valere, ea, quae largiendi animo inter sponsos et sponsas iure celebrantur, redigi ad huiusmodi condiciones iubemus, ut, sive adfinitatis coeundae causa sive non ita, vel in potestate patris degentes vel ullo modo proprii iuris constituti tamquam futuri causa matrimonii aliquid sibi ipsi vel consensu parentum mutuo largiantur, si quidem sponsus vel parens eius sortiri noluerit uxorem, id quod ab eo donatum fuerit nec repetatur traditum et, si quid apud donatorem resedit, ad sponsam et heredes eius submotis ambagibus transferatur. 1 Quod si sponsa vel is in cuius agit potestate causam non contrahendi matrimonii praebuerit, tunc sponso eiusque heredibus sine aliqua diminutione per condictionem aut per utilem in rem actionem redhibeantur. 2 Quae similiter observari oportet et si ex parte sponsae in sponsum donatio facta sit. D. XVII k. Nov. Constantino A. V et Licinio C. conss.

 

[22] La seconda parte della costituzione (paragrafi 3 e 4) contempla il caso in cui l’evento impeditivo del matrimonio fosse rappresentato dalla morte di uno dei fidanzati. Al riguardo, Costantino distingueva: in caso di morte del donatario — non rilevando se sponsus o sponsa —, il donante superstite poteva chiedere la restituzione, sempre. Invece, in caso di morte del donante, potevano chiedere la restituzione soltanto alcuni eredi, ovvero il padre, la madre e i figli nati dal primo matrimonio del defunto; in mancanza di tali eredi, la donazione era irrevocabile. Rimane, anche a proposito di questa costituzione, da chiedersi cosa sarebbe accaduto nell’ipotesi di scioglimento consensuale del fidanzamento. Nel provvedimento non si rinviene alcun riferimento esplicito a ciò. Tuttavia, si può forse ritenere che l’accordo dei fidanzati avrebbe evitato l’applicazione della disciplina, con conseguente accordo in merito alla divisione dei beni.

 

[23] C.Th. 3.5.2.2: … nullis causis ulterius requirendis, ne forte mores aut origo dicatur, vel quidquam aliud opponatur, quod sibi quisquam non convenire existimat, cum longe ante, quam sponsalia contrahantur, haec cuncta prospici debuerint. Sola igitur indagetur voluntas et mutata animi sententia ad restitutionem seu repetitionem rerum donatarum sufficiat, cum universis causationibus pulsis nihil amplius constare debeat, nisi ut appareat, qui sibi contrahendum matrimonium dixerit displicere.

 

[24] P. Ferretti, Le donazioni tra fidanzati, cit., 98 ss.

 

[25] C.Th. 3.5.6 = C. 5.3.16. Imp. Constantinus A. ad Tiberianum vicarium Hispaniarum. Si ab sponso rebus sponsae donatis interveniente osculo ante nubtias hunc vel illam mori contigerit, dimidiam partem rerum donatarum ad superstitem pertinere praecipimus, dimidiam ad defuncti vel defunctae heredes, cuiuslibet gradus sint et quocumque iure successerint, ut donatio stare pro parte media et solvi pro parte media videatur: osculo vero non interveniente, sive sponsus sive sponsa obierit, totam infirmari donationem et donatori sponso sive heredibus eius restitui. 1 Quod si sponsa interveniente vel non interveniente osculo donationis titulo (quod raro accidit) fuerit aliquid sponso largita et ante nubtias hunc vel illam mori contingerit, omni donatione infirmata ad donatricem sponsam sive eius successores donatarum rerum dominium transferatur. D. id. Iul. Constantinopoli Nepotiano et Facundo conss.

 

[26] Cfr., da ultimo, H. Wieling, Kuß, Verlobung und Geschenk, in Status familiae, Festschrift für Andreas Wacke, München 2001, 552 ss.

 

[27] Costantino distingueva in relazione al donante. Se la donazione è stata posta in essere dallo sponsus, occorre ulteriormente precisare se gli sponsali si fossero conclusi interveniente osculo oppure osculo non interveniente; nel primo caso, non rilevando se la morte abbia colpito lo sponsus o la sponsa, la donazione si divide in due parti uguali: una metà sarebbe spettata al superstite (donante o donatario), l’altra metà agli eredi del nubendo deceduto, senza alcuna preclusione; nel secondo caso, invece, l’intera donazione avrebbe potuto essere revocata dal fidanzato o dai suoi eredi. Se la donazione era effettuata dalla sponsa, sia che gli sponsali si fossero conclusi interveniente osculo oppure osculo non interveniente, la fidanzata donante o i suoi eredi avrebbero potuto ripetere quanto dato.

 

[28] Sul punto, B. Biondi, Il diritto romano cristiano, III, Milano 1954, 110, parla, seppur a nostro avviso erroneamente a proposito di quello che sarebbe stato un altro tipo di donazioni tra fidanzati — la donazione nuziale —, di «regime penale, tendente a indurre gli sposi alla esecuzione della promessa».

 

[29] C.Th. 3.5.6.

 

[30] In ciò aderiamo ad una interpretazione già emersa: L. Anné, Les rites des fiançailles et la donation pour cause de mariage sous le Bas-Empire, Louvain 1941, 299; N. Tamassia, Osculum interveniens. Contributo alla storia dei riti nuziali, in Idem, Scritti di storia giuridica, III, Padova 1969, 265; E. Volterra, Studio sull’‘arrha sponsalicia’, in RISG 2 (1927), 657 s., ora in Idem, Scritti giuridici, I, Napoli 1991, 79 s.; R. Astolfi, Il fidanzamento, cit., 177 ss. Cerimonia di origine cristiana, secondo l’autorevole opinione di J. Gothofredus, Codex Theodosianus cum Perpetuis Commentariis, Opus recognitum, opera et studio A. Marvilii, ed. nova, I, Lipsiae 1736, 308 ad C.Th. 3.5.6.

 

[31] Ricordiamo, ad esempio, Tert., orat. 22 (in Migne, PL, I, 1190); virg. vel. 11 (in Migne, PL, II, 905). Inoltre, A. Ferroni, In consuetudines Burdigalensium, Commentariorum Libri duo, Lugduni 1585, IV, De dote, 111, citato in N. Tamassia, Osculum interveniens, cit., 264, che cita fragmenta quaedam non edita ex Seneca, ubi haec leguntur, quae plane ritum eum detegunt: «Cordubenses nostri, ut maxime laudarunt nuptias, ita qui sine his convenissent excluserunt cretione hereditatum etiam pactam ne osculo quidem, nisi Cereri fecissent et hymnos cecinissent, adtingi voluerunt; si quis osculo solo, octo parentibus aut vicinis non adhibitis adtigisset, ius erat, ita tamen ut tertia parte bonorum sobolem suam parens, si vellet, multaret».

 

[32] Cfr., tra gli altri, Lucr. 4.1192 ss.; Mart., epigr. 11.98; Val. Max. 6.1.4; Serv., Aen. 1.256.

 

[33] Non bisogna poi dimenticare altre fonti, successive a Costantino [Ambr., epist. 41.18 (in Migne, PL, XVI, 1118); Greg. Tur., vit. Patr. 20.1 (in Migne, PL, LXXI, 1093); L. Syro-Rom. 91; Nov. XXIV.  Imp. A. Comneni.  De sponsalibus (a. 1084), in Ius Graecoromanum, I, 305 ss.; Nov. XXXI.  Imp. A. Comneni.  De sponsalium dissolutione (a. 1092), in Ius Graecoromanum, I, 319 ss.], in cui è documentata l’esistenza di un rito sponsalizio caratterizzato proprio dallo scambio del bacio.

 

[34] Al riguardo, Ambrogio (Ambr., epist. 41.18, in Migne, PL, XVI, 1118) definiva l’osculum sponsalizio come pignus nuptiarum (et praerogativa coniugii), ovvero come una anticipazione del vincolo nuziale, verosimilmente intervenuta tra soggetti che dovevano avere, almeno in parte, le stesse caratteristiche dei coniugi.

 

[35] Cfr., in questo senso, N. Tamassia, Osculum interveniens, cit., 265; P. Voci, Il diritto ereditario romano nell’età del tardo impero. I. Le costituzioni del IV secolo, in IURA 29 (1978), ora in Idem, Studi, cit., II, 146 (da ora citato come Studi); R. Astolfi, Il fidanzamento, cit., 177 ss.

 

[36] Gr. Nyss., v. Macr. (in Migne, PG, XLVII, 964).

 

[37] Chrys., laud. Max. 3 (in Migne, PG, LI, 230). Cfr., sempre in argomento, Chrys., virg. 57 (in Migne, PG, XLVIII, 578).

 

[38] Aug., conf. 9.9.19.

 

[39] C.Th. 3.5.2.

 

[40] Contra, tra gli altri, F. Schupfer, La famiglia secondo il diritto romano, I, Padova 1876, 384; E. Costa, Storia del diritto romano privato, Torino 19252, 28. Invece, P. Voci, Studi, cit., II, 146, individua l’unica causa di scioglimento senza pena nella morte.

 

[41] Chrys., laud. Max. 1 (in Migne, PG, LI, 226): E„ g¦r o„k…aj çne‹sqai mšllontej kaˆ o„kštaj, periergazÒmeqa kaˆ polupragmonoàmen toÚj te pwloàntaj, toÚj te œmprosqen kthsamšnouj, aÙtîn tîn pwloumšnwn tîn mn t¾n kataskeu¾n, tîn d kaˆ t¾n toà sèmatoj ›xin, kaˆ t¾n tÁj yucÁj proa…resin: pollù m©llon guna‹kaj mšllontaj ¥gesqai, prÒnoian tosaÚthn kaˆ pollù ple…ona ™pide…knusqai cr».

 

[42] Tert., uxor. 2.8 (in Migne, PL, I, 1301 s.): Plaeraque et genere nobiles et re beatae passim ignobilibus et mediocribus ibi conjunguntur ad luxuriam inventis aut ad licentiam sectis.  Nonnullae se libertis et servis suis conferunt, omnium hominum existimatione despecta, dummodo habeant a quibus nullum impedimentum libertatis suae timeant.  Christianam fidelem fideli re minori nubere piget, locupletiorem futuram in viro paupere?  Nam si pauperum sunt regna coelorum, quia divitum non sunt, plus dives in paupere inveniet majore dote.  Sit illa ex aequo in terris, quae in coelis forsitan non erit.

 

[43] Chrys., laud. Max. 4 (in Migne, PG, LI, 231 s.): M¾ to…nun toàto zhtîmen Ôpwj cr»mata œcwmen, ¢ll' Ôpwj e„r»nhn, Ôpwj ¹donÁj ¢polaÚwmen: di¦ toàto g£moj, oÙc †na polšmou kaˆ m£chj t¦j o„k…aj ™mpiplîmen, oÙc †na œreij kaˆ filoneik…aj œcwmen, oÙc †na prÕj ¢ll»louj diastasi£zwmen, kaˆ ¢b…wton tÕn poiîmen, ¢ll¦ †na bohqe…aj ¢polaÚwmen, kaˆ limšna œcwmen kaˆ katafug¾n, kaˆ paramuq…an tîn ™pikeimšnwn kakîn, †na meq' ¹donÁj tÍ gunaikˆ dialegèmeqa. PÒsoi ploutoàntej, guna‹kaj labÒntej eÙpÒrouj, t¾n oÙs…an aÙx»santej, t¾n ¹don¾n kaˆ t¾n ÐmÒnoian katšlusan, kaqhmerin¦j m£kaj ™pˆ tÁj trapšzhj poioÚmenoi, filoneik…aj œcontej; pÒsoi pšnhtej penestšraj labÒntej, e„r»nhj ¢polaÚousi, kaˆ met' eÙfrosÚnhj pollÁj tÕn ¼lion toàton blšpousin oƒ d eÜporoi, pantacÒqen aÙto‹j perikeimšnhj trufÁj, di¦ t¦j guna‹kaj hÜxanto poll£kij ¢poqane‹n, kaˆ tÁj paroÚshj ¢pallagÁnai qwÁj; oÛtwj oÙdn crhm£twn Ôfeloj, Ôtan yucÁj m¾ ™pitugc£nwmen ¢gaqÁj. Kaˆ t… cr¾ lšgein perˆ e„r»nhj kaˆ Ðmono…aj; Kaˆ g¦r e„j aÙt¾n tîn crhm£twn t¾n ktÁsin poll£kij tÕ plousiwtšran labe‹n ¹m©j paršblayen.  Cfr. anche Chrys., laud. Max. 5 (in Migne, PG, LI, 232): Taàt' oân ¥panta ™nnoàntej, m¾ cr»mata periskopîmen, ¢ll¦ trÒpwn ™pie…keian, kaˆ semnÒthta kaˆ swfrosÚnhn. Gun¾ g¦r sèfrwn, kaˆ ™pieik¾j kaˆ metr…a, k¨n pšnhj Ï, t¾n pen…an ploÚtou bšltiondiaqe‹nai dun»setai: ésper ¹ diefqarmšnh, kaˆ ¢kÒlastoj, kaˆ f…lerij, k¨n mur…ouj eÜrV qhsauroÝj œndon keimšnouj, ¢nšmou pantÕj t£cion aÙtoÝj ™kfus»sasa, kaˆ sumfora‹j mur…aij met¦ tÁj pen…aj perib£llei tÕn ¥ndra. M¾ to…nun ploàton zhtîmen, ¢ll¦ t¾n crhsomšnhn kalîj to‹j oâsi.

 

[44] Chrys., hom. XII in Col. 7 (in Migne, PG, LXII, 390): m¾ cr»mata z»tei, m¾ gšnouj lamprÒthta, m¾ patr…doj mšgeqoj, p£nta taàta peritt¦, ¢ll¦ yucÁj eÙl£beian, ™pie…keian, t¾n ¢lhqÁ sÚnesin, toà Qeoà tÕn fÒbon, e„ boÚlei meq' ¹donÁj tÕ qug£trion zÍn. Plousièteron g¦r zhtoàsa, oÙ mÒnon aÙt¾n oÙk çfel»seij, ¢ll¦ kaˆ bl£yeij, doÚlhn ¢nt' ™leuqšraj poioàsa. OÙ tosaÚthn g¦r ¢pÕ tîn crus…wn karpèsetai t¾n ¹don¾n, Óshn ¢pÕ toà douleÚein t¾n ¢nd…an.

 

[45] C.Th. 3.5.2 e C.Th. 3.5.6.

 

[46] C.Th. 3.5.2.