LE
DONAZIONI TRA FIDANZATI NELLA
POLITICA
MATRIMONIALE DI COSTANTINO
La ricerca si
articola in tre puntualizzazioni. Nella prima, ritorniamo sulla disciplina
delle donazioni tra fidanzati e sugli sponsali, in età preclassica e classica,
allo scopo di poter meglio comprendere le innovazioni attuate da Costantino.
Nella seconda, approfondiamo, seppur in breve, il tema della disciplina
costantiniana delle donazioni tra fidanzati e diamo conto della tesi da noi sostenuta
nella monografia pubblicata[1]
in argomento. Nella terza, infine, avanziamo una diversa interpretazione,
suggeritaci, a distanza di circa due anni, da una differente lettura delle
fonti.
1. – È noto
che per tutta l’età preclassica — fino al
Inoltre,
sempre con riferimento agli sponsali, Varrone[4]
riferisce anche del compimento di due stipulazioni penali, con le quali il
padre della nubenda e lo sponsus si
obbligavano a pagare una somma di denaro nel caso in cui il primo non avesse
concesso la figlia e il secondo non l’avesse presa in moglie.
Bastano questi
brevi accenni per capire che gli sponsali di età preclassica erano un atto
solenne compiuto dai genitori dei fidanzati[5],
o almeno dal padre della sponsa[6],
allo scopo di vincolare i nubendi alla celebrazione del futuro matrimonio,
intesi come probabile strumento per realizzare alleanze e strategie famigliari,
di cui non mancano riferimenti nelle fonti letterarie[7].
Nell’ultima
età repubblicana si assistette ad un rilevante cambiamento: per costituire gli
sponsali era sufficiente il nudo consenso. Il fidanzamento si presentava come
la proposta e la correlativa promessa di nozze, scambiate senza alcuna
formalità[8].
Ma questa libertà di forme non deve portare a credere che il consenso fosse
soltanto quello dei nubendi: Paolo[9],
del resto in un passo assai noto, richiede, accanto all’assenso dei fidanzati,
anche la necessità dell’assenso dei loro aventi potestà, e Ulpiano informa che
la sponsa avrebbe potuto rifiutare lo
sponsus scelto dal padre soltanto nel
caso in cui questo fosse indignus moribus
vel turpis[10].
Tuttavia,
questo processo di rinnovamento, all’insegna del consensualismo e della mancata
sanzione per la volontà negata — ricordiamo, al riguardo, il divieto a
ricorrere alla pena convenzionale o ad altre forme limitative della volontà[11]
—, non deve aver prodotto spostamenti di rilievo nel consueto modo di intendere
gli sponsali come potente strumento di alleanze politiche e famigliari[12].
Ne è prova l’ampiezza delle testimonianze che si possono addurre al riguardo,
in cui continua ad essere documentata una fitta trama di relazioni parentali,
sociali e politiche, abilmente intessuta attraverso sponsali e matrimoni[13].
Sennonché, con l’abbandono delle
stipulazioni, essendo venuta meno l’obbligatorietà del vincolo sponsalizio,
l’autonomia privata, assecondata dalla giurisprudenza, si è trovata nella
necessità di dover elaborare un nuovo mezzo di cogenza. Il nuovo mezzo di cogenza
è stato, a nostro avviso, un tipo[14]
di donazioni tra fidanzati — le donazioni a causa della promessa di matrimonio
—, le quali si sarebbero praticate proprio allo scopo di ‘rafforzare’ la
promessa nuziale[15].
Al riguardo,
le due testimonianze principali sono di Giuliano[16]
e di Papiniano[17].
I due giuristi informano dell’esistenza di un particolare tipo di donazioni tra
fidanzati, che abbiamo denominato donazioni a causa della promessa di
matrimonio. Tali liberalità erano assoggettate alla seguente disciplina: se gli
sponsali si fossero sciolti per colpa del donante, questo non avrebbe potuto
ripetere quanto dato, mentre se si fossero sciolti per colpa del donatario[18],
il donante avrebbe potuto ripetere quanto dato[19].
È sufficiente questa sintetica descrizione per
accorgersi che le donazioni a causa della promessa di matrimonio erano lo
strumento attraverso cui il donante avrebbe potuto ‘blindare’ il consenso del
donatario, dissuadendolo a sciogliere il vincolo sponsalizio per non perdere la
liberalità.
Da ultimo, è opportuno precisare che la
disciplina ora esposta dipendeva dalla espressa conclusione, nel momento in cui
la donazione veniva posta in essere, di un apposito patto[20].
Questo patto tra nubendi, e solo questo patto, avrebbe impresso alla liberalità
il carattere di donazione a causa della promessa di matrimonio. Di conseguenza,
in mancanza del suddetto patto, la donazione compiuta tra fidanzati sarebbe
stata sempre irrevocabile, indipendentemente dal verificarsi o meno delle
nozze.
2. – Veniamo alla
disciplina di Costantino:
C.Th. 3.5.2[21].
Imp. Constantinus A. ad Maximum P(raefectum) u(rbi). Cum veterum sententia
displiceat, quae donationes in sponsam nubtiis quoque non secutis decrevit
valere, ea, quae largiendi animo inter sponsos et sponsas iure celebrantur,
redigi ad huiusmodi condiciones iubemus, ut, sive in potestate patris degere
sive ullo modo proprii videantur esse iuris et tamquam futuri causa matrimonii
aliquid sibi ipsi vel consensu parentum mutuo largiantur, si quidem sponte vir
sortiri noluerit uxorem, id quod ab eo donatum fuerit nec repetatur traditum
et, si quid apud donatorem resedit, ad sponsam submotis ambagibus
transferatur. 1 Quod si matrimonii non contrahendi causa ab
sponsa, vel in cuius agit potestate, detegatur extitisse, tunc sponso eiusque
heredibus sine aliqua deminutione redhibeantur.
2 Quae similiter observari
oportet et si ex parte sponsae in sponsum donatio facta sit; nullis causis ulterius
requirendis, ne forte mores aut origo dicatur, vel quidquam aliud opponatur,
quod sibi quisquam non convenire existimat, cum longe ante, quam sponsalia
contrahantur, haec cuncta prospici debuerint. Sola igitur indagetur voluntas et
mutata animi sententia ad restitutionem seu repetitionem rerum donatarum
sufficiat, cum universis causationibus pulsis nihil amplius constare debeat,
nisi ut appareat, qui sibi contrahendum matrimonium dixerit displicere. 3 Et
quoniam fieri potest, ut moriatur alter adhuc incolumi voluntate, priusquam
nubtiae contrahantur, congruum duximus, eo, in quem fuerat facta donatio, ante
matrimonium diem functo, quae sponsaliorum titulo vel data vel ullo genere
donata sunt, ad eum qui donaverat revocari: eo etiam qui donaverat ante nubtias
mortuo mox infirmari donationem et ad eius heredes sine aliqua difficultate
retrahi res donatas. 4 Quod beneficium usque ad personam patris ac
matris, filiorum etiam, si qui de priore matrimonio fuerint, stare decernimus,
si quocumque modo ex his persona aliqua defuncto successerit. Quod si ex his
nulla persona defuncti heres erit, sed ex reliquis gradibus quisquam succedat,
donationes convenit etiam non insecutis ex causa mortis nubtiis convalescere,
quoniam illis tantum personis credimus consulendum. Dat. XVII kal.
novemb. p(ro)p(osita) VI kal. s(upra)s(crip)tas Rom. Constantino A. V et Licinio
Caes. Conss. (a. 319).
Costantino esordisce richiamando la
disciplina dei giuristi classici, che egli dichiara subito di non gradire. La
disciplina richiamata è quella ora vista, secondo cui il mancato consenso alle
nozze produceva, sì, la perdita della donazione, ma solo se ciò era stato
espressamente pattuito. A Costantino questo non bastava.
Su questa critica si innesta la riforma
dell’imperatore, il quale ha disposto che tutte le donazioni tra fidanzati, e
non soltanto quelle accompagnate da un patto di restituzione, fossero regolate
nel seguente modo: se il donante, fidanzato o fidanzata, rifiutava l’assenso
alle nozze, non avrebbe potuto ripetere quanto dato; se, invece, fosse stato il
donatario a rifiutare l’assenso alle nozze, allora il donante avrebbe potuto
ripetere, integralmente, quanto conferito[22].
Particolarmente
significativa è poi l’esclusione di giuste cause di ripudio[23];
vale a dire che, ai fini della revocabilità o meno della donazione, si sarebbe
fatto unicamente riferimento alla volontà contraria al matrimonio. Una
normativa, pertanto, particolarmente severa nei confronti del ripudiante. Su
questo aspetto torneremo in seguito.
Confrontando
la disciplina dettata da Costantino con quella vigente in età classica, si nota
la profonda innovazione attuata dall’imperatore: la revocabilità o meno della
donazione — in caso di mancato consenso alle nozze — non sarebbe più dipesa
dalla volontà dei privati, che si attuava in epoca classica con la presenza o
meno di un patto di restituzione. Con Costantino era la legge, e non i nubendi,
a stabilire che si sarebbe persa la donazione se si fosse negato il consenso
alle nozze.
Inoltre, a
differenza della disciplina classica, non erano riconosciute giuste cause di
scioglimento degli sponsali ai fini della revoca delle donazioni.
Nella valutazione di questa disciplina
all’interno della politica matrimoniale di Costantino, abbiamo scritto[24]
che il tentativo dell’imperatore era quello di riaffermare, con maggior vigore,
l’intendimento già presente in età classica: fare di tutte le donazioni tra
fidanzati, e non soltanto di quelle a cui le parti avevano aggiunto il patto di
restituzione, una misura deterrente, uno strumento di dissuasione per chi
volesse recedere dal fidanzamento. Non riconoscere, infatti, ipotesi di
scioglimento giustificato e sanzionare in ogni caso, con la perdita di quanto
dato o con l’obbligo a restituire quanto ricevuto, il fidanzato che avesse
negato il consenso, altro non ci appariva se non una forma di coazione alla
conclusione delle nozze.
Nel 336,
Costantino ritornava a legiferare sulle donazioni a causa della promessa di
matrimonio, correggendo la disciplina dettata nel 319:
C.Th. 3.5.6[25]. Imp. Constantinus A. ad Tiberianum Vicarium
Hispaniarum. Si a(b spons)o rebus sp(on)sae donatis interveniente osculo ante
nubtias hunc vel illam mori contigerit, dimidiam partem rerum donatarum ad
superstitem pertinere praecipimus, dimidiam ad defuncti vel defunctae heredes,
cuiuslibet gradus sint et quocumque iure successerint, ut donatio stare pro
parte media et solvi pro parte media videatur: osculo vero non interveniente,
sive sponsus sive sponsa obierit, totam infirmari donationem et donatori sponso
sive heredibus eius restitui. 1 Quod si sponsa interveniente vel non
interveniente osculo sponsaliorum titulo, quod raro accidit, fuerit aliquid
sponso largita et ante nubtias hunc vel illam mori contingerit, omni donatione
infirmata ad donatricem sponsam sive eius successores donatarum rerum dominium
transferatur. Dat. id. Iul.
Constant(ino)p(oli). Accepta XIIII k. Mai. Hispali Nepotiano et Facundo conss.
(a. 336).
Si tratta
della celebre legge dell’osculum[26],
legge con cui Costantino dettava norma per il caso in cui le nozze non si
fossero concluse per la morte di uno dei fidanzati[27].
A noi qui preme sottolineare che Costantino dava conto, in questo testo, di una
particolare forma di conclusione del fidanzamento: interveniente osculo diceva l’imperatore, facendo riferimento ad un
rito caratterizzato dallo scambio del bacio tra i nubendi.
3. Siamo così
giunti alla terza puntualizzazione, in cui desideriamo proporre una nuova e
diversa interpretazione dell’intervento costantiniano. Da una rilettura dei
testi, saremmo ora più inclini a ritenere che, nella politica matrimoniale di
Costantino, la perdita delle donazioni, nel caso in cui il donante avesse rotto
il fidanzamento, non fosse stata pensata come misura indiretta, inibitoria,
volta cioè a spingere i fidanzati a sposarsi[28],
pur di evitare di perdere ciò che avevano donato o ciò che era stato loro
donato.
Nella nostra
attuale riflessione, saremmo orientati a vedere nella perdita delle donazioni
una vera e propria sanzione a carico di quei nubendi che, sciogliendo il
vincolo sponsalizio, dimostravano di non aver vissuto il fidanzamento così come
avrebbero dovuto, secondo i nuovi intendimenti imperiali.
Una nuova idea
di fidanzamento, dunque.
Anzitutto,
nella legge del 336[29]
si affaccia un fidanzamento concluso con lo scambio, tra i due nubendi, di un
bacio[30]:
interveniente osculo, afferma
Costantino.
Da una breve
ricerca condotta sulle fonti letterarie, cristiane[31]
e non cristiane[32],
anteriori a Costantino, l’osculum è
risultato intrinsecamente legato al matrimonio, alla vita coniugale o al suo
inizio, quale elemento del rito nuziale.
Orbene, il
fatto che in questa legge Costantino parli di un fidanzamento, e non di un
matrimonio, concluso interveniente osculo[33],
potrebbe significare che egli facesse riferimento ad una particolare forma di
cerimonia sponsalizia la quale condivideva, almeno in parte, alcuni aspetti del
matrimonio[34],
quasi una ‘prova generale’, un’anticipazione del matrimonio[35].
L’osculum, pertanto, non rimanderebbe ad una bacio ‘casto’, ad un bacio tra infantes, tra fanciulli non ancora in grado
di discernere il senso del gesto, bensì ad un bacio tra individui adulti,
puberi, consapevoli di ciò che stavano per compiere e consapevoli in quanto tra
essi si era già instaurata una relazione interpersonale, frutto di un
precedente periodo di conoscenza e di frequentazione.
Il legislatore avrebbe
voluto proporre un nuovo modo di intendere gli sponsali, non più come
l’‘inizio’ di un cammino a due (come sappiamo, spesso molto lungo: non
dimentichiamo i fidanzati bambini), sulla strada della conoscenza in vista del
matrimonio — quanto poi non ci si conoscesse lo dice, ad esempio, Gregorio di
Nissa quando narra che fu il padre di Macrina a scegliere, tra i numerosi
pretendenti, quello che eccelleva per la condotta di vita[36],
nonché Crisostomo quando afferma che le donne, chiuse in casa, non scorgevano
il futuro coniuge se non il giorno stesso delle nozze[37],
e infine Agostino il quale testimonia che la madre, giunta all’età matura per
le nozze, fu consegnata dai genitori ad un uomo[38]
—. Il legislatore avrebbe inteso piuttosto gli sponsali come la ‘conclusione’
di un percorso di conoscenza vera che doveva precedere, e non seguire, gli
sponsali.
Vediamo di
sostenere l’assunto. Già nella parte centrale della costituzione del 319[39],
si afferma, a proposito della perdita delle donazioni nel caso in cui si
fossero sciolti gli sponsali, che non si dovevano invocare i mores o l’origo, cioè la condotta di vita, i modelli comportamentali, le
abitudini assunte, il carattere dell’altra persona oppure l’estrazione sociale,
il ceto di appartenenza, il popolo di origine. E non ci si doveva richiamare ai
mores o all’origo o a qualsivoglia altro aspetto che non si ritenesse
confacente a sé, in quanto cum longe
ante, quam sponsalia contrahantur, haec cuncta prospici debuerint, cioè in
quanto tutte queste cose dovevano essere previste molto tempo prima che il
fidanzamento venisse concluso.
Dunque, anche
dal testo del 319, benché Costantino non facesse riferimento agli sponsali
conclusi interveniente osculo, pare
che l’imperatore concepisse il fidanzamento come il momento conclusivo di un
periodo di frequentazione e di incontri, necessario alla verifica della
compatibilità tra i rispettivi caratteri, abitudini, modi di vita e
inclinazioni. Un periodo concepito come essenziale, a tal punto da sanzionarne
il mancato compimento.
Sulla base di
questi rilievi, può acquistare un diverso significato, forse più verosimile, il
dato rappresentato dall’impossibilità di invocare giuste cause di scioglimento
degli sponsali[40].
Costantino suggellava con la perdita di quanto dato e con l’obbligo a
restituire quanto ricevuto soltanto colui il quale avesse sciolto il vincolo
sponsalizio, indipendentemente dalle ragioni che lo avevano spinto: sola igitur indagetur voluntas et mutata
animi sententia... nihil amplius
constare debeat, nisi ut appareat, qui sibi contrahendum matrimonium dixerit
displicere, afferma a conclusione del par. 2.
Questa
disciplina è certamente sanzionatoria. Tuttavia, il fatto che non potessero
essere ammesse giuste cause di scioglimento (in tal caso il donante avrebbe
potuto ripetere la donazione fatta), potrebbe significare che l’intenzione di
Costantino non fosse necessariamente quella di indurre i nubendi alla
conclusione del matrimonio. Noi siamo piuttosto inclini a scorgere in questa
misura — giova ribadire: l’impossibilità di addurre giuste cause di
scioglimento per poter ripetere le donazioni — una autentica sanzione a carico
di quei fidanzati che, prima di pervenire agli sponsali, non avessero adeguatamente
ponderato.
Questa
interpretazione trova conferma laddove Costantino, come detto, asseriva che i mores e l’origo, cioè la condotta di vita, i modelli comportamentali, le
abitudini, il carattere, l’estrazione sociale, il ceto di appartenenza, dovessero
essere valutati precedentemente l’assunzione del vincolo sponsalizio. In altri
termini, la perdita delle donazioni appare come la giusta sanzione per una
scelta superficiale, affrettata, forse dettata da altre ragioni, non escluse
proprio quelle ragioni di alleanza politica ed economica che avevano
contrassegnato e che continuavano a contrassegnare i matrimoni romani.
Infine,
l’interpretazione avanzata pare trovare un ulteriore appoggio nel pensiero
degli scrittori cristiani, precedenti e posteriori a Costantino. Infatti, in
questi registriamo due precise esortazioni: in primo luogo, l’invito rivolto ai
fidanzati di giungere alle nozze soltanto dopo una attenta e meditata
riflessione. Crisostomo, affiancando matrimonio e compravendita, consiglia ai
nubendi di non tralasciare nulla riguardo alle nozze, alla stregua dei
compratori, i quali, sul punto di acquistare case e schiavi, esaminano con
meticolosa attenzione il venditore e il precedente proprietario, perfino la
loro costituzione fisica e la loro indole[41].
In secondo
luogo, si rinviene il suggerimento di non scegliere il coniuge sulla base delle
ricchezze, della condizione economica o sociale: Tertulliano, ad esempio,
incoraggia le giovani donne, di condizione agiata, a scegliere il futuro marito
sulla base della religione da questo praticata piuttosto che sui beni posseduti[42];
e Crisostomo afferma che non bisogna cercare il denaro, ma la pace e la lieta
compagnia; per questo sarebbe stato istituito il matrimonio, non per riempire
le case di risse e di lotte, non per aver litigi e contese, non perché i
coniugi si sollevino l’uno contro l’altro, rendendo la vita insopportabile, ma
abbiano un porto, un rifugio, un conforto di fronte alle avversità. Del resto,
si chiede lo scrittore cristiano, quanti uomini ricchi, sposati con donne
benestanti, pur avendo accresciuto il patrimonio famigliare, hanno distrutto
l’affetto e la concordia, litigando quotidianamente perfino a tavola con
continue contese?[43].
Ancora Crisostomo ribadisce, a proposito della scelta del coniuge, che alla
ricchezza, allo splendore di stirpe e alla grandezza di patria occorre
preferire la pietà dell’anima, la mansuetudine, la vera prudenza, il timore di
Dio. Infatti, conclude, se un padre cerca per la propria figlia un uomo più
ricco, non soltanto non le gioverà, ma la danneggerà, rendendola schiava
anziché libera: dall’oro non ricaverà tanto piacere quanto sarà il dispiacere
che le deriverà dall’essere schiava[44].
In
conclusione, l’anticipazione dell’osculum,
segno del matrimonio, ad una particolare forma di sponsali, nonché il
compimento, durante la cerimonia di fidanzamento o in un periodo successivo,
delle donazioni da parte dei fidanzati stessi (o dei loro aventi potestà),
quasi a suggellare la loro intenzione di concludere le nozze, ben sapendo che
cosa sarebbe accaduto se queste ultime fossero state rifiutate; ancora,
l’impossibilità di addurre giuste cause di scioglimento del vincolo e, con
essa, l’impossibilità di trattenere o di ripetere la donazione; infine, le
testimonianze degli scrittori cristiani.
Tutti questi
elementi, ora citati, sembrano indizi non trascurabili del fatto che Costantino
abbia perseguito una concezione del fidanzamento profondamente diversa da
quella classica: non più un atto esclusivo di genitori e parenti i quali,
tramite il legame sponsalizio e la disciplina delle donazioni, avrebbero finito
per decidere del futuro di nubendi giovani o giovanissimi, spesso ancora
impuberi, al solo scopo di allacciare legami e alleanze politiche e famigliari.
Al contrario,
Costantino avrebbe pensato il fidanzamento come atto dei fidanzati, certo
compiuto, soprattutto per quanto riguarda la sponsa, con l’intermediazione dei genitori, ma che principalmente
avrebbe dovuto essere atto dei nubendi, da compiersi solo al termine di una
relazione interpersonale da tempo avviata e verificata, in vista del
matrimonio. In altri termini, il fidanzamento come un pre-matrimonio, concluso
tra soggetti adulti e puberi.
In questa
prospettiva, la disciplina delle donazioni tra fidanzati, che si ricava dalle
due leggi[45],
si inscriverebbe non all’interno di una politica matrimoniale volta a favorire
la conclusione, ‘ad ogni costo’ dovremmo dire, delle nozze, facendo leva sul
timore di perdere la donazione, bensì si porrebbe all’interno di una politica
matrimoniale che, con ogni verosimiglianza fin dal 319[46],
si prefiggeva l’indissolubilità del vincolo coniugale, ma che aveva ben
compreso che tale indissolubilità si sarebbe potuta ottenere soltanto
predisponendo le condizioni necessarie affinché le nozze durassero: un
fidanzamento rifondato.
[1] P. Ferretti, Le
donazioni tra fidanzati nel diritto romano, Milano
[2] Gellio scriveva con
riferimento al ius sponsaliorum
vigente nelle città del Lazio fino al
[3] Gell. 4.4.1: Sponsalia
in ea parte Italiae, quae Latium appellatur, hoc more atque iure solita fieri
scripsit Servius Sulpicius in libro, quem scripsit de dotibus: 2. Qui uxorem
inquit ducturus erat, ab eo, unde ducenda erat, stipulabatur eam in matrimonium
datum iri. Qui ducturus erat, itidem spondebat. Is contractus stipulationum
sponsionumque dicebatur ‘sponsalia’. Tunc, quae promissa erat, ‘sponsa’ appellabatur,
qui spoponderat ducturum, ‘sponsus’. Sed si post eas stipulationis uxor non dabatur aut non
ducebatur, qui stipulabatur, ex sponsu agebat. Iudices cognoscebant. Iudex,
quamobrem data acceptave non esset uxor, quaerebat. Si nihil iustae causae videbatur,
litem pecunia aestimabat, quantique interfuerat ea uxorem accipi aut dari, eum,
qui spoponderat, <aut> qui stipulatus erat, condemnabat. 3 Hoc ius
sponsaliorum observatum dicit Servius ad id tempus, quo civitas universo Latio
lege Iulia data est. 4 Haec eadem Neratius scripsit in libro, quem de nuptiis
composuit.
[4] Varro, ling.
6.70: ... Spondebatur pecunia aut filia
nuptiarum causa, appellabatur et pecunia et quae desponsa erat sponsa; quae pecunia
inter se contra sponsum rogata erat, dicta sponsio; cui desponsa quo erat,
sponsus; quo die sponsum erat, sponsalis. Sulle diverse
interpretazioni avanzate in ordine al testo, si veda, da ultimo, P. Ferretti, Le donazioni tra fidanzati, cit., 5 ss., con altra bibliografia.
[5] Con riferimento allo sponsus alieni iuris, si legga Plaut., Trin. 569 ss. e 1157 ss.; Ter.,
Ad. 735; Andr. 99 ss.; Don., ad Ter. Andr. 102.
[6] Cfr., ad esempio, Plaut.,
Aul. 217 ss.; Aul. 255 ss.; Poen. 1155
ss.; Trin. 1157 ss.; Ter., Andr. 99 ss.; Gell.
4.4.2; Varro, ling. 6.70 s.; Plut., Lyc. et Num.
4; Arnob., nat. 4.20; Serv., Aen. 10.79. Riguardo alla sponsa sui iuris, R. Astolfi, Il fidanzamento nel diritto romano, Padova 19943, 8, fa notare che
questa avrebbe potuto concludere la sponsio
personalmente, con l’intervento del tutore, ma che «la natura anche
patrimoniale dell’atto, la giovane età e le convenienze sociali le impongono,
di solito, e specialmente nell’età più antica, di affidarsi a dei
rappresentanti, per prendere e attuare delle decisioni».
[7] Cfr., ad esempio, Plaut., Aul. I arg. 10 ss.; Aul.
II arg. 4 ss.; Aul. 191 ss.; Aul. 226 ss.; Aul. 268 ss.; Cist. arg.
6 ss.; Curc. arg. 5 ss.; Trin. 569 ss.; Trin. 604 s.; Trin. 679
ss.; Trin. 689 ss.; Trin. 712 ss.; Trin. 782; Ter., Phorm. 645 ss.; Phorm. 752 ss.; Phorm.
758 ss.; Cic., Herenn. 2.24.38.
[8] D. 23.1.1 (Flor. 3 inst.): Sponsalia sunt mentio et repromissio nuptiarum futurarum. D. 23.1.4
pr. (Ulp. 35 ad Sab.): Sufficit nudus consensus ad constituenda
sponsalia.
[9] D. 23.1.7.1 (Paul. 35 ad edict.): In sponsalibus etiam consensus eorum exigendus est quorum in nuptiis
desideratur. Intellegi tamen semper filiae patrem consentire, nisi evidenter
dissentiat, Iulianus scribit.
[10] D. 23.1.12 (Ulp. l.s. de sponsalibus): Sed quae patris voluntati non repugnat, consentire intellegitur. Tunc
autem solum dissentiendi a patre licentia filiae conceditur, si indignum
moribus vel turpem sponsum ei pater eligat.
[11] Su questo ci informano D.
35.1.71.1 (Pap. 17 quaest.): Titio centum relicta sunt ita, ut Maeviam
uxorem quae vidua est ducat: condicio non remittetur et ideo nec cautio
remittenda est.. huic sententiae non refragatur, quod, si quis pecuniam
promittat, si Maeviam uxorem non ducat, praetor actionem denegat: aliud est
enim eligendi matrimonii poenae metu libertatem auferri, aliud ad testamentum
certa lege invitari. D. 45.1.97.2 (Cels. 26 dig.): ‘Si tibi nupsero,
decem dari spondes?’ causa cognita denegandam actionem puto, nec raro
probabilis causa eiusmodi stipulationis est. item si vir a muliere eo modo non
in dotem stipulatus est. D. 45.1.134 pr. (Paul. 50 resp.): Titia, quae ex alio
filio habebat, in matrimonium coit Gaio Seio habenti filiam: et tempore
matrimonii consenserunt, ut filia Gaii Seii filio Titiae desponderetur, et
interpositum est instrumentum et adiecta poena, si quis eorum nuptiis
impedimento fuisset: postea Gaius Seius constante matrimonio diem suum obiit et
filia eius noluit nubere: quaero, an Gaii Seii heredes teneantur ex
stipulatione.. respondit ex stipulatione, quae proponeretur, cum non secundum
bonos mores interposita sit, agenti exceptionem doli mali obstaturam, quia
inhonestum visum est vinculo poenae matrimonia obstringi sive futura sive iam
contracta. Su tali fonti, cfr., da ultima, A.S. Scarcella, Libertà
matrimoniale e stipulatio poenae, in SDHI
66 (2000), 147 ss.
[12] Cfr., tra gli altri, L. Gelzer, Die römische Nobilität, Leipzig 1912; F. Münzer, Römische
Adelsparteien und Adelsfamilien, Stuttgart 1920; O. Montevecchi, Ricerche
di sociologia nei documenti dell’Egitto greco–romano, in Aegyptus 16 (1936), 32 ss.; R. Syme, The Roman Revolution, Oxford 1939; A.E. Astin, Scipio
Aemilianus, Oxford 1967; G. Matringe,
La puissance paternelle et le marriage
des fils de famille en droit romain, in Studi
Volterra, V, Milano 1971, 202 e 202 n. 46; H.H. Scullard, Roman
Politics 220–150 B.C., Oxford 19732; K.
Hopkins, Death and Renewal.
Sociological studies in Roman history, Cambridge 1983; R. Syme, The Augustan Aristocracy, Oxford 1986; P. Veyne, L’Impero
romano, in AAVV., La vita privata
dall’Impero romano all’anno mille, Bari 1986, 27 ss.; R.P. Saller, Men’s age at marriage and its consequences in the Roman family, in Cph 82 (1987), 21 ss.; B.D. Schaw, The age of Roman girl at marriage: some reconsiderations, in JRS 77 (1987), 30 ss.; R. Saller, I rapporti di parentela e l’organizzazione familiare, in AA.VV., Storia di Roma, IV, Torino 1989, 527 ss.; E. Cantarella, La vita
delle donne, in AA.VV., Storia di
Roma, cit., IV, 559 s.; J. Gaudemet,
Le mariage en Occident, Paris 1987,
33 ss.; G. Franciosi, Famiglia e persone in Roma antica. Dall’età
arcaica al Principato, Torino 19922, 151 s.; F. Dupont, La vita
quotidiana nella Roma repubblicana, Bari 1990, 120 ss.; AA.VV., Parenté et stratégies familiales dans
l’antiquité romaine, Roma 1990, 3 ss.; M.
Pani, Lotte per il potere e
vicende dinastiche. Il principato tra Tiberio e Nerone, in AA.VV., Storia di Roma, II, Torino 1991, 238
ss.; S. Treggiari, Roman Marriage, Oxford 1991.
[13] Alcune di queste testimonianze
sono di natura giuridica. Sembrano, infatti, alludervi D. 23.1.4.1; D. 23.1.14;
D. 23.1.18. Inoltre, sempre in questa prospettiva, si veda Cic., Brut. 26.98; Cluent.
64.179; Sest. 3.6; Nep., Att. 19.4; Vell.
2.44.3; 2.100.4; Plut., Pomp. 9; Pomp. 47; Cato mi. 25.4;
25.9; 25.11; 25.12; Tac., Agr. 9.6; Ann. 2.43.2; Svet., Iul. 1; Tib. 7; Tert., uxor. 2.9 (in Migne, PL, I, 1302).
[14] Abbiamo individuato nelle
‘donazioni semplici’ l’altro tipo di donazioni tra nubendi, donazioni che non
avrebbero avuto alcun rapporto con gli sponsali né con le nozze. Si doveva
trattare, verosimilmente, di doni di modico valore, scambiati tra fidanzati in
occasione di determinate ricorrenze oppure per manifestare il proprio
sentimento. Siffatte donazioni sarebbero state irrevocabili.
[15] Contro questa
interpretazione, cfr., per tutti, R.
Astolfi, Esegesi e traduzione di
Vat. frag.
[16] D. 39.5.1 (Iul. 17 dig.): Donationes complures sunt. dat aliquis ea mente, ut statim velit
accipientis fieri nec ullo casu ad se reverti, et propter nullam aliam causam
facit, quam ut liberalitatem et munificentiam exerceat: haec proprie donatio
appellatur. dat aliquis, ut tunc demum accipientis fiat, cum aliquid secutum
fuerit: non proprie donatio appellabitur, sed totum hoc donatio sub condicione
est. item cum quis ea mente dat, ut statim quidem faciat accipientis, si tamen
aliquid factum fuerit aut non fuerit, velit ad se reverti, non proprie donatio
dicitur, sed totum hoc donatio est, quae sub condicione solvatur. qualis est
mortis causa donatio. 1 Igitur cum
dicimus inter sponsum et sponsam donationem valere, propria appellatione utimur
et factum demonstramus, quod ab eo proficiscitur, qui liberalitatis gratia
aliquid dat, ut confestim faciat accipientis nec umquam ullo facto ad se
reverti velit. cum vero dicimus, si hac mente donat sponsus sponsae, ut nuptiis
non secutis res auferatur, posse repeti, non contrarium priori dicimus, sed
concedimus inter eas personas fieri donationem eam, quae sub condicione
solvatur.
[17] Vat. 262 (Pap. 12 resp.): Sponsae res simpliciter donatae non insecutis nuptiis non repetuntur.
Sed et si adfinitatis contrahendae causa donationes factae sunt et nuntium
sponsus culpa sua remiserit, aeque non repetuntur. quod ita intellegi oportet,
si revocandae donationis condicio non coniuncti matrimonii comprehendatur non
perficiendi contractus.
[18] Al rifiuto ingiustificato
del donatario sarebbe stata parificata, con ogni verosimiglianza, la morte di
uno dei nubendi (cfr., seppur indirettamente, Vat. 262 e C. 5.3.11).
[19] Occorre chiedersi cosa
sarebbe accaduto nel caso in cui gli sponsali fossero stati sciolti dai
fidanzati di comune accordo. Sul punto, F.
Glück, Commentario alle Pandette,
trad. it., XXIII, Milano 1898, 606, pensa, richiamando soltanto il passo di
Giuliano (D. 39.5.1.1), che le liberalità potessero sempre essere revocate,
salvo patto contrario. Forse è più verosimile ipotizzare che l’accordo delle
parti determinasse anche la sorte di tali donazioni.
[20] Sul patto di restituzione,
cfr., con altra bibliografia, P.
Ferretti, Le donazioni tra
fidanzati, cit., 38 ss.
[21] C.Th. 3.5.2 = C. 5.3.15. Imp. Constantinus A. ad Maximum pu. Cum veterum sententia displiceat, quae
donationes in sponsam nuptiis quoque non secutis decrevit valere, ea, quae
largiendi animo inter sponsos et sponsas iure celebrantur, redigi ad huiusmodi
condiciones iubemus, ut, sive adfinitatis coeundae causa sive non ita, vel in
potestate patris degentes vel ullo modo proprii iuris constituti tamquam futuri
causa matrimonii aliquid sibi ipsi vel consensu parentum mutuo largiantur, si
quidem sponsus vel parens eius sortiri noluerit uxorem, id quod ab eo donatum
fuerit nec repetatur traditum et, si quid apud donatorem resedit, ad sponsam et
heredes eius submotis ambagibus
transferatur. 1 Quod si sponsa vel is in cuius agit potestate causam non
contrahendi matrimonii praebuerit, tunc sponso eiusque heredibus sine aliqua
diminutione per condictionem aut per utilem in rem actionem redhibeantur. 2 Quae similiter observari oportet et si ex parte sponsae in sponsum
donatio facta sit. D. XVII k. Nov. Constantino A. V et Licinio C. conss.
[22] La seconda parte della
costituzione (paragrafi 3 e 4) contempla il caso in cui l’evento impeditivo del
matrimonio fosse rappresentato dalla morte di uno dei fidanzati. Al riguardo,
Costantino distingueva: in caso di morte del donatario — non rilevando se sponsus o sponsa —, il donante superstite poteva chiedere la restituzione,
sempre. Invece, in caso di morte del donante, potevano chiedere la restituzione
soltanto alcuni eredi, ovvero il padre, la madre e i figli nati dal primo
matrimonio del defunto; in mancanza di tali eredi, la donazione era
irrevocabile. Rimane, anche a proposito di questa costituzione, da chiedersi
cosa sarebbe accaduto nell’ipotesi di scioglimento consensuale del
fidanzamento. Nel provvedimento non si rinviene alcun riferimento esplicito a
ciò. Tuttavia, si può forse ritenere che l’accordo dei fidanzati avrebbe
evitato l’applicazione della disciplina, con conseguente accordo in merito alla
divisione dei beni.
[23] C.Th. 3.5.2.2: … nullis causis ulterius requirendis, ne forte
mores aut origo dicatur, vel quidquam aliud opponatur, quod sibi quisquam non
convenire existimat, cum longe ante, quam sponsalia contrahantur, haec cuncta prospici
debuerint. Sola igitur indagetur voluntas et mutata animi sententia ad
restitutionem seu repetitionem rerum donatarum sufficiat, cum universis
causationibus pulsis nihil amplius constare debeat, nisi ut appareat, qui sibi
contrahendum matrimonium dixerit displicere.
[24] P. Ferretti, Le
donazioni tra fidanzati, cit., 98 ss.
[25] C.Th. 3.5.6 = C. 5.3.16.
Imp. Constantinus A. ad Tiberianum vicarium Hispaniarum. Si ab sponso rebus sponsae donatis interveniente osculo ante nubtias
hunc vel illam mori contigerit, dimidiam partem rerum donatarum ad superstitem
pertinere praecipimus, dimidiam ad defuncti vel defunctae heredes, cuiuslibet
gradus sint et quocumque iure successerint, ut donatio stare pro parte media et
solvi pro parte media videatur: osculo vero non interveniente, sive sponsus
sive sponsa obierit, totam infirmari donationem et donatori sponso sive
heredibus eius restitui. 1 Quod si sponsa interveniente vel non interveniente
osculo donationis titulo (quod raro accidit) fuerit aliquid sponso largita et
ante nubtias hunc vel illam mori contingerit, omni donatione infirmata ad
donatricem sponsam sive eius successores donatarum rerum dominium transferatur.
D. id. Iul. Constantinopoli Nepotiano et Facundo conss.
[26] Cfr., da ultimo, H. Wieling, Kuß, Verlobung und Geschenk, in Status
familiae, Festschrift für Andreas
Wacke, München 2001, 552 ss.
[27] Costantino distingueva in
relazione al donante. Se la donazione è stata posta in essere dallo sponsus, occorre ulteriormente precisare
se gli sponsali si fossero conclusi interveniente
osculo oppure osculo non
interveniente; nel primo caso, non rilevando se la morte abbia colpito lo sponsus o la sponsa, la donazione si divide in due parti uguali: una metà
sarebbe spettata al superstite (donante o donatario), l’altra metà agli eredi
del nubendo deceduto, senza alcuna preclusione; nel secondo caso, invece,
l’intera donazione avrebbe potuto essere revocata dal fidanzato o dai suoi
eredi. Se la donazione era effettuata dalla sponsa,
sia che gli sponsali si fossero conclusi interveniente
osculo oppure osculo non
interveniente, la fidanzata donante o i suoi eredi avrebbero potuto
ripetere quanto dato.
[28] Sul punto, B. Biondi, Il diritto romano cristiano, III, Milano 1954, 110, parla, seppur a
nostro avviso erroneamente a proposito di quello che sarebbe stato un altro
tipo di donazioni tra fidanzati — la donazione nuziale —, di «regime penale,
tendente a indurre gli sposi alla esecuzione della promessa».
[29] C.Th. 3.5.6.
[30] In ciò aderiamo ad una
interpretazione già emersa: L. Anné,
Les rites des fiançailles et la donation
pour cause de mariage sous le Bas-Empire, Louvain 1941, 299; N. Tamassia, Osculum interveniens. Contributo alla storia dei riti nuziali, in Idem, Scritti di storia giuridica, III, Padova 1969, 265; E. Volterra, Studio sull’‘arrha sponsalicia’, in RISG 2 (1927), 657 s., ora in Idem,
Scritti giuridici, I, Napoli 1991, 79
s.; R. Astolfi, Il fidanzamento, cit., 177 ss. Cerimonia
di origine cristiana, secondo l’autorevole opinione di J. Gothofredus, Codex
Theodosianus cum Perpetuis Commentariis, Opus recognitum, opera et studio
A. Marvilii, ed. nova, I, Lipsiae 1736, 308 ad
C.Th. 3.5.6.
[31] Ricordiamo, ad esempio, Tert., orat. 22 (in Migne, PL,
I, 1190); virg. vel. 11 (in Migne, PL, II, 905). Inoltre, A. Ferroni, In consuetudines Burdigalensium, Commentariorum Libri duo, Lugduni
1585, IV, De dote, 111, citato in N. Tamassia, Osculum interveniens, cit., 264, che cita fragmenta quaedam non edita ex Seneca, ubi haec leguntur, quae plane
ritum eum detegunt: «Cordubenses
nostri, ut maxime laudarunt nuptias, ita qui sine his convenissent excluserunt
cretione hereditatum etiam pactam ne osculo quidem, nisi Cereri fecissent et
hymnos cecinissent, adtingi voluerunt; si quis osculo solo, octo parentibus aut
vicinis non adhibitis adtigisset, ius erat, ita tamen ut tertia parte bonorum
sobolem suam parens, si vellet, multaret».
[32] Cfr., tra gli altri, Lucr. 4.1192 ss.; Mart., epigr. 11.98; Val. Max.
6.1.4; Serv., Aen. 1.256.
[33] Non bisogna poi dimenticare
altre fonti, successive a Costantino [Ambr.,
epist. 41.18
(in Migne, PL, XVI, 1118); Greg. Tur., vit. Patr. 20.1 (in Migne, PL,
LXXI, 1093); L. Syro-Rom. 91; Nov. XXIV.
Imp. A. Comneni. De sponsalibus (a. 1084), in Ius Graecoromanum, I, 305 ss.; Nov.
XXXI. Imp. A. Comneni. De sponsalium dissolutione (a. 1092), in Ius Graecoromanum, I, 319 ss.], in cui è
documentata l’esistenza di un rito sponsalizio caratterizzato proprio dallo
scambio del bacio.
[34] Al
riguardo, Ambrogio (Ambr., epist. 41.18, in Migne, PL, XVI, 1118) definiva l’osculum sponsalizio come pignus nuptiarum (et praerogativa coniugii), ovvero come una anticipazione del
vincolo nuziale, verosimilmente intervenuta tra soggetti che dovevano avere,
almeno in parte, le stesse caratteristiche dei coniugi.
[35] Cfr., in questo senso, N. Tamassia, Osculum interveniens, cit., 265; P.
Voci, Il diritto ereditario romano
nell’età del tardo impero. I. Le costituzioni del IV secolo, in IURA 29 (1978), ora in Idem, Studi, cit., II, 146 (da ora citato come Studi); R. Astolfi, Il fidanzamento, cit., 177 ss.
[36] Gr. Nyss., v. Macr. (in Migne, PG, XLVII, 964).
[37] Chrys., laud. Max.
3 (in Migne, PG, LI, 230). Cfr.,
sempre in argomento, Chrys., virg. 57 (in Migne, PG, XLVIII, 578).
[38] Aug., conf. 9.9.19.
[39] C.Th. 3.5.2.
[40] Contra, tra gli altri, F.
Schupfer, La famiglia secondo il
diritto romano, I, Padova 1876, 384; E.
Costa, Storia del diritto romano
privato, Torino 19252, 28. Invece, P.
Voci, Studi, cit., II, 146,
individua l’unica causa di scioglimento senza pena nella morte.
[41] Chrys., laud. Max.
1 (in Migne, PG, LI, 226): E„ g¦r
o„k…aj çne‹sqai mšllontej kaˆ o„kštaj, periergazÒmeqa kaˆ polupragmonoàmen toÚj
te pwloàntaj, toÚj te œmprosqen kthsamšnouj, aÙtîn tîn pwloumšnwn tîn mn t¾n kataskeu¾n,
tîn d kaˆ t¾n toà sèmatoj ›xin, kaˆ t¾n tÁj yucÁj proa…resin: pollù m©llon
guna‹kaj mšllontaj ¥gesqai, prÒnoian tosaÚthn kaˆ pollù ple…ona ™pide…knusqai
cr».
[42] Tert., uxor. 2.8
(in Migne, PL, I, 1301 s.): Plaeraque et genere nobiles et re beatae
passim ignobilibus et mediocribus ibi conjunguntur ad luxuriam inventis aut ad
licentiam sectis. Nonnullae se libertis
et servis suis conferunt, omnium hominum existimatione despecta, dummodo habeant
a quibus nullum impedimentum libertatis suae timeant. Christianam fidelem fideli re minori nubere
piget, locupletiorem futuram in viro paupere?
Nam si pauperum sunt regna coelorum, quia divitum non sunt, plus dives
in paupere inveniet majore dote. Sit
illa ex aequo in terris, quae in coelis forsitan non erit.
[43] Chrys., laud. Max.
4 (in Migne, PG, LI, 231 s.): M¾ to…nun
toàto zhtîmen Ôpwj cr»mata œcwmen, ¢ll' Ôpwj e„r»nhn, Ôpwj ¹donÁj ¢polaÚwmen:
di¦ toàto g£moj, oÙc †na polšmou kaˆ m£chj t¦j o„k…aj ™mpiplîmen, oÙc †na œreij
kaˆ filoneik…aj œcwmen, oÙc †na prÕj ¢ll»louj diastasi£zwmen, kaˆ ¢b…wton tÕn
poiîmen, ¢ll¦ †na bohqe…aj ¢polaÚwmen, kaˆ limšna œcwmen kaˆ katafug¾n, kaˆ
paramuq…an tîn ™pikeimšnwn kakîn, †na meq' ¹donÁj tÍ gunaikˆ dialegèmeqa. PÒsoi
ploutoàntej, guna‹kaj labÒntej eÙpÒrouj, t¾n oÙs…an aÙx»santej, t¾n ¹don¾n kaˆ
t¾n ÐmÒnoian katšlusan, kaqhmerin¦j m£kaj ™pˆ tÁj trapšzhj poioÚmenoi,
filoneik…aj œcontej; pÒsoi pšnhtej penestšraj labÒntej, e„r»nhj ¢polaÚousi, kaˆ
met' eÙfrosÚnhj pollÁj tÕn ¼lion toàton blšpousin oƒ d eÜporoi, pantacÒqen
aÙto‹j perikeimšnhj trufÁj, di¦ t¦j guna‹kaj hÜxanto poll£kij ¢poqane‹n, kaˆ tÁj
paroÚshj ¢pallagÁnai qwÁj; oÛtwj oÙdn crhm£twn Ôfeloj, Ôtan yucÁj m¾
™pitugc£nwmen ¢gaqÁj. Kaˆ t… cr¾ lšgein perˆ e„r»nhj kaˆ Ðmono…aj; Kaˆ g¦r e„j
aÙt¾n tîn crhm£twn t¾n ktÁsin poll£kij tÕ plousiwtšran labe‹n ¹m©j
paršblayen. Cfr. anche Chrys., laud. Max. 5 (in Migne, PG,
LI, 232): Taàt' oân ¥panta ™nnoàntej, m¾ cr»mata periskopîmen, ¢ll¦
trÒpwn ™pie…keian, kaˆ semnÒthta kaˆ swfrosÚnhn. Gun¾ g¦r sèfrwn, kaˆ ™pieik¾j
kaˆ metr…a, k¨n pšnhj Ï, t¾n pen…an ploÚtou bšltiondiaqe‹nai dun»setai: ésper ¹
diefqarmšnh, kaˆ ¢kÒlastoj, kaˆ f…lerij, k¨n mur…ouj eÜrV qhsauroÝj œndon
keimšnouj, ¢nšmou pantÕj t£cion aÙtoÝj ™kfus»sasa, kaˆ sumfora‹j mur…aij met¦
tÁj pen…aj perib£llei tÕn ¥ndra. M¾ to…nun ploàton zhtîmen, ¢ll¦ t¾n crhsomšnhn
kalîj to‹j oâsi.
[44] Chrys., hom. XII in Col.
7 (in Migne, PG, LXII, 390): m¾ cr»mata
z»tei, m¾ gšnouj lamprÒthta, m¾ patr…doj mšgeqoj, p£nta taàta peritt¦, ¢ll¦
yucÁj eÙl£beian, ™pie…keian, t¾n ¢lhqÁ sÚnesin, toà Qeoà tÕn fÒbon, e„ boÚlei
meq' ¹donÁj tÕ qug£trion zÍn. Plousièteron g¦r zhtoàsa, oÙ mÒnon aÙt¾n oÙk
çfel»seij, ¢ll¦ kaˆ bl£yeij, doÚlhn ¢nt' ™leuqšraj poioàsa. OÙ tosaÚthn g¦r ¢pÕ
tîn crus…wn karpèsetai t¾n ¹don¾n, Óshn ¢pÕ toà douleÚein t¾n ¢nd…an.
[45] C.Th. 3.5.2 e C.Th. 3.5.6.
[46] C.Th. 3.5.2.