Università di Roma “
Costantino, una metafora tradotta
in realtà, alla prova della storia
1. – La metafora, di cui
parlo nel titolo del mio intervento, è quella della ‘azione parallela’, il
progetto di glorificazione di Francesco Giuseppe, imperatore di Kakania,
intorno al quale ruota L’uomo senza
qualità di Robert Musil: progetto grandioso, che si conclude nel vuoto. Uso
questa metafora per indicare alcuni momenti dell’interpretazione di Costantino
e della sua opera, momenti caricati di forte significatività ma, altrettanto
fortemente, privi di attendibilità storica.
Il primo esempio si lega
alla lettura, circa dieci anni fa - grande era la mia ignoranza -, della
versione ottomana del 1491 sulla leggendaria fondazione di Costantinopoli e di
Santa Sofia. Disponibile nella traduzione francese presente in St. Yerasimos, La fondation de Constantinople et de
Sainte-Sophie dans les traditions turques[1],
essa va confrontata con la diversa versione, dipendente invece dalla tradizione
bizantina, della ‘construction du temple
de la grande église de Dieu nommée Sainte Sophie’[2].
Non entro nelle possibili
discussioni filologiche e mi limito a segnalare la parte che più ci riguarda[3].
Vi domina la massima confusione tra Costantino, Giustiniano, Eraclio -
privilegiato certo dalla contemporaneità con Maometto -, il supposto padre di
Costantino, vale a dire Elena!, che va in Egitto - è qui che si trovano i
compagni di Gesù - a chiedere aiuto a Simone-S. Pietro - gli apostoli sono dei
contemporanei - per combattere Eraclio, imperatore di Cesarea così da mettere
sul trono di Costantinopoli il figlio Costantino che, d’altra parte, era il
vizir di Alessandro Magno, altro leggendario fondatore di Costantinopoli.
Quanto a S. Sofia, Costantino ne inizia la costruzione, Costanzo II, l’ariano,
la completa, la cupola crolla sotto Giuliano, Giustiniano è il restauratore.
Quel che conta, ai nostri
fini, è l’appiattimento dei personaggi e dei tempi in una visione
ideologicamente costruita per contestare, dal punto di vista dell’ortodossia
musulmana, quella politica europea che troverà esecuzione da Maometto II a
Solimano il Magnifico, volta alla ricostituzione dell’impero giustinianeo e
dunque a quell’impero universale di cui Costantino era l’eroe e S. Sofia il
simbolo. Una idea imperiale destinata al fallimento sia per il prevalere
all’interno del mondo mussulmano dell’ideale della comunità, e dunque del
controllo della religione sull’assetto statale, sia per la reazione dell’Europa
cristiana e dell’impero di Carlo V[4].
Nella estrema confusione e ignoranza dei dati storici il mito di Costantino
appare comunque collegato in modo irrefutabile al cristianesimo.
Il secondo esempio che
vorrei presentare è egualmente privo di storicità anche se meno carente,
ovviamente, sul piano dei dati storici essenziali: una considerazione,
peraltro, che rende a mio avviso ancor più grave il difetto di fondo.
Mi riferisco alla
ricostruzione tentata da quel grande conoscitore dell’età costantiniana che è
stato Jules Maurice, l’acclamato autore della Numismatique constantinienne[5] il quale, nel 1925, ebbe a pubblicare[6]
un Constantin le Grand o L’origine de la civilisation chrétienne. Vi
si trova una lettura tanto apologetica delle fonti da costituirne quel che a me
è parso un tradimento. In effetti, il Maurice non ha esitato a rivestire
Costantino dei panni di Carlo Magno e di San Luigi, a vedere nella sua opera
riformatrice, anzi rivoluzionaria, l’origine della cavalleria e del Medioevo
cristiano, nella sua politica la lotta al ‘socialismo di stato’ e alle dottrine
‘asiatiche’, nella sua attività legislativa la nascita di un c.d. ‘diritto
pubblico cristiano’. È una visione altrettanto fantastica di quella ottomana, a
cui è speculare, lì nella deprecazione, qui nella esaltazione di Costantino[7].
Il terzo esempio è quello a
tutti noto del Diritto romano cristiano
di B. Biondi[8],
del quale, per non ripetere quanto ho già avuto modo più volte di mostrare,
dirò solo che l’interpretazione riservata a Costantino e alla sua attività è
nella chiave di una lettura in chiave giustinianea, nel senso che gli esiti ai
quali è giunta l’esperienza del VI secolo vengono fatti più o meno forzosamente
retroagire. Anche qui, Costantino e Giustiniano vengono confusi, certo a un ben
diverso livello scientifico e con grande impegno di erudizione e di sapienza,
ovviamente senza ingenuità ma, con in più, quello che a me è parso un
fraintendimento del codice teodosiano e in ogni caso con un non troppo diverso
impegno ideologico.
Gli studi della seconda metà
del XX secolo hanno certamente migliorato la nostra conoscenza dei fatti, senza
però che si sia raggiunta una concorde interpretazione di Costantino e della
sua opera. Mi limiterò per ciò a richiamare la più recente amplissima
bibliografia raccolta dal Girardet in ordine alla ‘konstantinische Wende’[9].
Quanto ai miei interessi
costantiniani, essi risalgono alla tesi di laurea, dove in particolare mi
interrogavo sul valore di CTh.4.8.6 pr. del 323, libertati a maioribus tantum impensum est ut patribus, quibus ius vitae
in liberos necisque potestas permissa est[10], eripere libertatem non liceret: un
testo dove il Biondi[11]
prestava poca attenzione al profilo di continuità invece esaltato dallo stesso
Costantino. Ma naturalmente i ripetuti convegni e delle tavole rotonde
dell’Accademia romanistica costantiniana hanno specialmente provveduto a
sollecitare un interesse che si è tradotto in interventi in cui ho avuto modo
di riflettere sul corpus normativo costantiniano e qui sia su problemi, come
dire, costituzionali o, più semplicemente, sull’assetto del potere sia sullo
specifico rapporto con il cristianesimo.
Di tutto ciò vorrei ora dar
conto, nella presunzione che questa possa essere la prova della storia a cui
allude il titolo.
2. – Grande è la discussione sui possibili atteggiamenti di Costantino rispetto al cristianesimo tra il 306 e il 312 d.C. È da ultimo largamente dominante la convinzione che di orientamenti filocristiani non possa comunque parlarsi prima del 312[12]. È da allora in ogni caso che si hanno specifici interventi, a cominciare, a Roma (ma sono molte le chiese fondate altrove da Costantino, da Treviri a Betlemme) dalla costruzione di edifici per la comunità cristiana, peraltro su proprietà private imperiali[13] e in periferia (una basilica - quella del Laterano - per il vescovo e il Battistero, più tardi, all’interno della residenza della madre di Costantino, S. Croce in Gerusalemme, alcuni cimiteri coperti - S. Pietro, S. Lorenzo, S. Agnese, i mausolei di S. Elena e S. Costanza)[14]. In effetti, «Costantino mantenne sempre il cristianesimo lontano dal centro della città, lontano dal pomerium, il confine rituale pagano entro il quale si affollavano i templi degli antichi dèi e gli edifici amministrativi», un’area nella quale «egli eresse solo costruzioni civili»[15]. Ma gli interventi hanno anche altra natura. Così, acclamato Maximus Augustus dal senato, Costantino nel 312/313 (secondo la testimonianza di Eusebio) prescrive al proconsole d’Africa Anullino - una lettera di S. Agostino ne conserva la risposta del 15 aprile 313 - che «coloro i quali... esercitano nella chiesa cattolica presieduta da Ceciliano [vescovo di Cartagine] il loro ministero in pro’ di questa santa religione, e che si usa chiamare clerici... siano esonerati per sempre da tutte le liturgie affinché non siano distolti per qualche errore o deviazione sacrilega dal servizio dovuto alla divinità ma che, al contrario, obbediscano alla loro propria legge senza alcun fastidio. Se rendono alla divinità una grandissima adorazione, sembra che ne discenderà infatti un gran bene per gli affari pubblici». Vi si aggiunge il 21 ottobre 313[16] una costituzione (CTh.16.2.2) indirizzata al corrector Lucaniae et Bruttiorum Ottaviano, in cui si conferma che ‘qui divino cultui ministeria religionis impendunt, id est qui clerici appellantur, ab omnibus omnino muneribus excusentur, ne sacrilego quorundam a divinis obsequiis avocentur’[17], seguita, un mese dopo, da CTh.16.2.1 che fa salvo l’esonero dei clerici ecclesiae catholicae, vessati - si dice - da una factio haereticorum, dalla scelta come esattori (susceptores) e dalla nominatio a curiale, magistrato municipale, sottoposto a munera[18]. Nel 326 (CTh.16.5.1=C.1.5.1) questi privilegi vengono esclusi per eretici e scismatici (ma il riferimento a questi ultimi è omesso in C.1.5.1) e riservati ‘catholicae tantum legis observatoribus’ e ancora nel 330 una costituzione diretta al consolare di Numidia Valentino libererà dai munera, ‘ad similitudinem Orientis’ e contro l’iniuria haereticorum, lettori sacri e altri appartenenti al basso clero (CTh.16.2.7). Sappiamo di elargizioni cospicue fatte da Costantino al vescovo Ceciliano e a chiese di altre province. Due costituzioni (una terza, citata da Sozomeno, non è reperibile) consentono l’acquisto della cittadinanza agli schiavi liberati in ecclesia. Nel 316 (se questa è la datazione corretta, anziché, come è probabile, una più tarda) una costituzione indirizzata al vescovo di Serdica, Protogene (C.1.13.1) dichiara che già in precedenza (iam dudum, che può significare ‘non da molto’ oppure ‘già da tempo’) ‘placuit, ut in ecclesia catholica libertatem domini suis famulis praestare possint, si sub adspectu plebis adsistentibus Christianorum antistitibus [alti sacerdoti, vescovi] id faciant, ut propter facti memoriam vice actorum interponatur qualiscumque scriptura, in qua ipsi vice testium signent rell.’; nel 321, invece, CTh.4.7.1=C.1.13.2, diretta a Ossio, vescovo di Cordoba e consigliere di Costantino, preciserebbe l’effetto relativo all’acquisto della cittadinanza: ‘Qui religiosa mente in ecclesiae servulis suis meritam concesserint libertatem, eandem eodem iure donasse videantur, quo civitas Romana sollemnitatibus decursis dari consuevit; sed hoc dumtaxat his, qui sub aspectu antistitum dederint, placuit relaxari. Clericis autem amplius concedimus, ut, cum suis famulis tribuunt libertatem, non solum in conspectu ecclesiae ac religiosi populi plenum fructum libertatis concessisse dicantur, verum etiam, cum postremo iudicio libertates dederint seu quibuscumque verbis dari praeceperint, ita ut ex die publicatae voluntatis sine aliquo iuris teste vel interprete competat directa libertas’. Questo dovrebbe esser stato il primo intervento in tema di manumissio in ecclesia. La complessità della questione comunque aumenta se si tiene conto di CTh.2.8.1 (luglio 321), diretta al vicarius Italiae Elpidio e che considera il dies solis come il momento più atto a emancipazioni e manomissioni[19].
Da tutto questo cosa appare? Appare intanto che
quel che viene privilegiato è la ecclesia
catholica, ai cui clerici e antistites si attribuisce quella
competenza che nelle manomissioni laiche era propria di organi statali. Si
collega dunque a ciò il problema della attività giudiziaria vescovile (episcopalis audientia, episcopale iudicium) disciplinata da
Costantino in CTh.1.27.1 (Sirm.17, a. 318?) e (nella premessa di una sua
autenticità, peraltro discussa) Sirm.1, a. 333. Conforme all’esortazione
paolina[20] a
risolvere all’interno della comunità controversie tra cristiani per cose di
questa vita, il vescovo agiva come arbitro. Costantino interviene dichiarando
(non sappiamo chi sia il destinatario della costituzione) che ci si può
rivolgere, già nel corso di una causa civile, al tribunale del vescovo, la cui
sentenza vincolante sarà pronunziata dal giudice civile (‘Iudex pro sua sollicitudine observare debet, ut, si ad episcopale
iudicium provocetur, silentium accomodetur et, si quis ad legem Christianam
negotium transferre voluerit et illum iudicium observare, audiatur, etiamsi
negotium apud iudicem sit inchoatum, et pro sanctis habeatur, quidquid ab his
fuerit iudicatum: ita tamen, ne usurpetur in eo, ut unus ex litigantibus pergat
ad supra dictum auditorium et arbitrium suum enuntiet. Iudex enim praesentis causae
integre habere debet arbitrium, ut omnibus accepto latis pronuntiet’).
[2] Sulla quale va visto Gilbert
Dagron, Constantinople imaginaire, Paris 1984.
[3] Yerasimos, La fondation cit., 23: «... se leva
encore un souverain du nom de Constantin fils d’Hélène. Il se leva et vint de
la province de Hongrie. Lui aussi voulut rebâtir cette ville (scil. Constantinople). Le peuple de cette province ne le
laissa pas faire. Ils se sont rendus à l’unisson chez Héraclius le souverain de
Césarée... A l’époque d’Héraclius, la religion de Jésus était devenue
manifeste. Héraclius, en embrassant la religion de Jésus avait accru sa
puissance. Tous ceux qui étaient sous son pouvoir étaient de la religion de
Jésus et lisaient les Evangiles. A l’époque d’Héraclius vivaient les apôtres, les compagnons du prophète Jésus. Quand Héraclius interdit la
reconstruction de Constantinople, Hélène n’avait pas la force de faire face à
Héraclius. Hélène partit pour l’Egypte. Or en Egypte, il y avait quelqu’un
parmi les apôtres, les compagnons de Jésus. Il état parmi ceux
dont la prière était acceptée. Son nom était Simon et son intercession était
admise. Apprenant cela, Hélène alla auprès de lui et présenta sa situation.
Simon lui donna alors une grande armée, ainsi Hélène put envahir avec cette armée,
le pays de Romanie par voie de mer et se battre avec le César. Le César
Héraclius réunit également son armée et rencontra Constantin, le fils d’Hélène.
Ils se sont combattus et à la fin, à la faveur des prières de Simon, l’armée du
César fut vaincue. Ensuite, par l’intermédiaire de Simon, ils se sont
réconcilies et ont fait la paix. Le César Héraclius avait une jolie fille, elle
s'appelait Asafiya. Simon maria cette fille avec Constantin, selon la loi de
Jésus. Ensuite, Constantin, le fils d’Hélène et Asafiya, sont venus pour rebâtir de nouveau Constantinople ...». Cfr. ivi,
123 ss., per un commento chiarificatore.
[4] Cfr. per utili
considerazioni e riferimenti P. Catalano,
Impero: un concetto dimenticato del
diritto pubblico in Cristianità ed
Europa. Miscellanea di studi in onore di L. Prosdocimi a c. di C. Alzati,
Roma-Freiburg-Wien 2000, 29 ss., 44 e n. 65.
[5] Paris 1908-1912, rist. 1965.
[6] Paris s.d.
[7] Sviluppi e approfondimenti
dei vari aspetti qui solamente indicati si hanno nel m. contributo sugli abusi
del costantinianesimo nel convegno maceratese del 1992 su ‘Costantino il Grande
dall’antichità all’Umanesimo’. Colloquio
sul Cristianesimo nel mondo antico, Macerata 18-20 dicembre 1990, Atti a c. di G. Bonamente e F. Fusco,
I, Macerata 1992, 347 ss. = m. Materiali
di storiografia romanistica, Torino 1998, 143 ss.
[8] I-III, Milano 1952-1954.
[9] Die Konstantinische Wende und
ihre Bedeutung für das Reich in E. Mühlenberg (ed.), Die Konstantinische Wende, Gütersloh 1998, 236 ss.
[10] =C.8.46/47.10: olim erat permissa.
[11] Diritto romano cristiano cit., II, 348.
[12] Cfr. per ciò Girardet, op. cit., 86 ss.
[13] Cfr. R. Krautheimer, The ecclesiastical building policy of Constantine in Costantino il Grande cit., II, Macerata
1993, 509 ss., 530 ss.
[14] Su questa politica edilizia
v. R. Klein, Das Kirchenbauverständnis
Constantins des Grossen in Rom und in den östlichen Provinzen in Das antike Rom und der Osten. Festschrift K. Parlasca, Erlangen 1990, 77 ss.= ‘Roma versa
per aevum’. Ausgewählte Schriften zur heidnischen
und christlichen Spätantike, Hildesheim-Zürich-New York 1999, 205 ss.
[15] R. Krautheimer, Roma.
Profilo di una città, 312-1308, 1983, 42; Id., The ecclesiastical
building policy cit., 531.
[16] 319 secondo un’altra
valutazione.
[17] V. in proposito m. CTh.16.2.2 e l’esenzione dei chierici dalla
tutela in Atti Acc. Rom. Cost. IV
in onore di M. de Dominicis, Perugia 1981, 711 ss.
[18] Sulla nominatio=onomasia e la obbligatorietà della carica v. F. De Martino, Storia della costituzione romana IV, Napoli 1974, 737 ss.; V, 522
ss.
[19] Un riferimento assente nel
testo accolto in C.3.12.2(3).
[20] I Cor. 6.
[21] V. m. A proposito di ‘episcopalis
audientia’ in Institutions, société
et vie politique dans l’Empire romain au IVe siècle ap. J.-C. Actes de la table
ronde autour de l’oeuvre d’André Chastagnol éd. par M. Christol, S.
Demougin, Y. Duval, Cl. Lepelley et L. Pietri, EFR, Palais Farnèse, Rome 1992, 397 ss.
[22] P. Bonfante, Corso di
diritto romano VI. Le successioni
= Opere complete a c. di G. Bonfante
e di G. Crifò, VIII, Milano1974, 398.
[23] Fonti e dimostrazione in K.
M. Girardet, Konstantin als Vorsitzender von Konziliens in Costantino il Grande cit., I,
445 ss.
[24] Sul punto, V. Aiello, Costantino ‘eretico’. Difesa della ‘ortodossia’ e anticostantinianesimo
in età teodosiana in Atti Acc. Rom. Costantiniana 10, Napoli 1995,
55 ss.
[25] Vedili parzialmente e
utilmente raccolti, autentici ma anche apocrifi, in P. Silli, Testi
costantiniani nelle fonti letterarie [Materiali
per una palingenesi delle costituzioni tardo-imperiali 3], Milano 1987.
[26] Lo sottolinea tra l’altro R. Lane
Fox, Pagans and Christians in the
Mediterranean world from the second century AD to the conversion of Constantine, Penguin Books 1986, 657 s.
[27] Per questa datazione v. S. Mazzarino, La data dell’oratio ad sanctorum coetum il ius Italicum e la fondazione
di Costantinopoli in Id., Antico Tardo Antico ed éra costantiniana
I, Dedalo libri, Città di Castello 1974, 99 ss., 115.
[28] Lezioni cit., 474 ss.
[29] Mod. 6 reg. D.48.8.11 pr. Circumcidere
Iudaeis filios suos tantum rescripto divi Pii permittitur: in non eiusdem
religionis qui hoc fecerit, castrantis poena irrogatur.
[30] Sul senso non peggiorativo
del termine superstitio v. m. Considerazioni sul linguaggio religioso
nelle fonti giuridiche tardo-occidentali in Cassiodorus 5, 1999, 123 ss., 138.
[31] Ulp. 3 de off. proc. D.50.2.3.3.
Eis, qui Iudaicam superstitionem
sequuntur, divi Severus et Antoninus honores adipisci permiserunt, sed et
necessitates eis imposuerunt, qui superstitionem eorum non laederent.
[32] 6 excus. D.27.1.15.6.
[33] CTh.16.8.8.1, a. 315.
[34] Cfr. anche CTh.16.8.5, a.
335 nonché Sirm.4, a. 336, che riprende queste norme e l’altra - CTh.16.9.1, a.
335 - che dà la libertà allo schiavo, cristiano o di diversa religione, di
ebrei, che sia stato circonciso).
[35] Su tutto ciò v. in generale
A. Linder, The Jews in Roman Imperial Legislation, Detroit-Jerusalem 1987.
[36] CTh.3.7.2, a. 388.
[37] C.1.9.7, a. 393.
[38] Cfr. anche CTh.7.8.2, su cui v. G. Barone Adesi, L’età
della ‘lex Dei’, Napoli 1992, 155 s.
[39] CTh.12.1.99, a. 383.
[40] C.1.9.5.
[41] CIL XI, 5265=ILS 705; la
data oscilla tra il 333, il 335 e il 337; cfr. G. Forni, ‘Flavia constans
Hispellum’. Il tempio ed il pontefice della gente flavia costantiniana in Atti Acc. Rom. Costantiniana 9, Napoli
1993, 401 ss.
[42] (ep.10.88.2).
[43] V. Mazzarino, La data cit.
in Antico I, 116 ss.; conferme,
contro chi insiste per una fondazione del tutto cristiana, in E.
[44] Ulp. D.1.1.1.2.
[45] Cfr. R. Schilling, A propos du Pontifex Maximus. Dans quelle
mesure peut-on parler d’un ‘réemploi’ par les chrétiens d’un titre prestigieux
de
[46] M. Lezioni cit., 105 ss.
[47] CTh.2.8.1 e C.3.12.2.
[48] Cfr. M. Bianchini, Cadenze liturgiche e calendario civile fra IV e V secolo. Alcune
considerazioni in Atti Acc. Rom.
Costantiniana 6, Città di Castello 1986, 241 ss.
[49] A. Rousselle in
Carrié/Rousselle, L’Empire romain en
mutation des Sévères à Constantin 192-337, Paris 1999, 258.
[50] CTh.2.8.3, ripetuta in
CTh.8.8.3 e 11.7.13.
[51] C.3.12.6(7).
[52] Eus. Vita Const. 4.24.
[53] V. in questi Atti, V. Poggi, Costantino šp…skopoj tîn ™ktÕj ko…noj ™p…skopoj.