Valeria Nicotra
Università di Sassari
La “Biblioteca” romanistica
di Flaminio Mancaleoni
Desidero
innanzitutto esprimere il mio più sincero ringraziamento al Prof. Francesco
Sini per avermi invitato a partecipare
ai lavori di questo interessante Convegno e per avermi dato l’occasione di
offrire un piccolo contributo.
Il mio compito, in questa sede, è di ricordare Flaminio Mancaleoni che, con generoso gesto di elevata portata, ha donato la sua ricca e prestigiosa biblioteca all’Istituto giuridico dell’Università di Sassari, oggi Dipartimento di Scienze Giuridiche.
Ringrazio i familiari del Mancaleoni che, gentilmente, mi hanno messo a disposizione il testamento originale con il quale il Mancaleoni dispone la volontà di donare la sua raccolta romanistica.
Queste sono le parole scritte dal Mancaleoni nell’anno 1944:
“La
mia biblioteca, che iniziata da mio Padre con le raccolte letterarie e storiche
e con un ricco materiale giuridico fu da me arricchita di libri moderni e
specialmente giuridici, non potrà essere tutta utilizzata dai miei figli
(tralascio i nomi). Una gran parte di essa è costituita da una buona raccolta
di fonti, di opere di opuscoli e di riviste di diritto romano e comune di
contenuto strettamente tecnico e prevalentemente storico e critico non
utilizzabile nella professione di avvocato, che i miei figli esercitano. Perciò
lascio tutte le fonti, le opere, le riviste e gli opuscoli di miscellanea
romanistica all’Istituto giuridico della R. Università di Sassari per
costituire una “Raccolta Mancaleoni”.
E’ da rilevare che nel 1949, due anni prima della sua morte, il Mancaleoni, diede esecuzione lui stesso alle proprie volontà.
Insieme alle opere di contenuto romanistico della sua biblioteca, il Mancaleoni donò un prezioso schedario che egli stesso aveva accuratamente compilato indicizzando le schede per materia e, non solo, donò un ulteriore indice nel quale egli aveva rilevato, seguendo l’ordine del Digesto, le interpolazioni certe o sospette di ogni frammento. Tale schedario, frutto di tanto assiduo e paziente lavoro, ancora oggi può essere considerato, come sostiene Vittorio Devilla, “estremamente prezioso per quanti volessero approfondire la materia degli emblemi giustinianei”.
La raccolta romanistica di Flaminio Mancaleoni si trova attualmente conservata e consultabile nella sala “libri antichi e collezioni speciali” istituita dal Dipartimento di Scienze Giuridiche allo scopo di custodire e preservare le opere antiche, rare e di pregio che la biblioteca possiede.
La raccolta del Mancaleoni è costituita da 1555 volumi di contenuto strettamente romanistico fra monografie, periodici ed opuscoli miscellanei che abbracciano un periodo storico che spazia fra il XVI secolo e la prima metà del XX secolo. Più precisamente nella donazione del Mancaleoni troviamo due opere del Cinquecento costitute da sei volumi: le cosiddette “cinquecentine”; quattro opere del Seicento in tredici volumi; dieci del Settecento in trenta volumi e più della metà delle opere sono dell’ Ottocento mentre, le rimanenti, soprattutto per ciò che riguarda la miscellanea, sono della prima metà del Novecento.
La raccolta rappresenta, nel panorama delle collezioni librarie donate da privati a biblioteche pubbliche, un esempio significativo di libreria personale conservata in ottimo stato, a parte qualche volume, che si è costituita, per ciò che riguarda le edizioni antiche, probabilmente anche attraverso acquisti nel mercato antiquario sia italiano, sia straniero e in buona parte tedesco.
Ma principalmente, il Mancaleoni diede vita alla sua biblioteca seguendo le proprie inclinazioni intellettuali, i suoi studi e le ricerche da lui condotte e soprattutto beneficiando di un fitta rete di rapporti che egli era riuscito ad instaurare con famosi giuristi del tempo: di ciò troviamo testimonianza nelle numerosissime e affettuose dediche esistenti nei frontespizi delle opere che sono state a lui stesso donate.
Nella raccolta del Mancaleoni troviamo diverse edizioni del Corpus Iuris Civilis, stampate a partire dal 1576 e persino una XII edizione stereotipata (la stereotipia, indica un procedimento di lavoro che consente di ottenere da una forma tipografica di stampa contenente parti come caratteri, fregi, una o più copie in un unico pezzo; la più antica è la stereotipia in lega tipografica), la Palingenesia iuris civilis del 1889 di Otto Lenel, la raccolta del Thesaurus Juris Romani stampata in più tomi a partire dal 1735 e contenente opere rare pubblicate nel Cinquecento, 60 volumi della collezione delle Pandette del Glück nell’edizione tedesca apparsa nel 1797, l’Opera omnia del Cuiacio del 1859, le opere più importanti del Mommsen e tante altre.
Nella raccolta romanistica trovano spazio numerose monografie di epoca più recente dei più famosi giuristi dell’epoca: Albertario, Arangio Ruiz, Betti, Biondi, Bonfante, Ferrini, Riccobono, Romano e di tanti altri, oltre che le opere del suo caro maestro Carlo Fadda.
Due opere importanti, perché rare, sono rappresentate dalla raccolta scritta a mano delle lezioni di diritto romano dei corsi del Prof. Perozzi (tav. 1), tra l’altro possedute in precedenza da “Girolamo Palazzina” come risulta dalla nota di possesso in alto sul frontespizio, e le lezioni del Prof. Scialoja in quattro volumi (tav. 2). Queste opere, molto probabilmente, sono state realizzate con un tecnica particolare chiamata “duplicazione ad alcool”: il trasferimento dell’inchiostro solido ceroso (detto ectografico) viene effettuato con pressione con macchina da scrivere, in questo caso con una penna, su carta carbone spalmata con l’inchiostro stesso.
La collezione delle riviste è composta da 67 volumi della rivista Archiv für civilistische praxis a partire dal 1820, 36 volumi degli Jarhbucher für die Dogmatik des heutigen römischen und deutschen Privatrechts a partire dal 1857, 42 volumi della rivista Zeitschrift für Civilrecht und Prozess a partire dal 1828 e 34 volumi del Bullettino dell’Istituto di diritto romano dall’anno della sua fondazione nel 1888 e fino al 1940 (tale raccolta ha contributo, tra l’altro, a completare, soprattutto con i volumi più antichi, la collezione che la biblioteca del Dipartimento di scienze giuridiche già possedeva). Per quanto concerne la miscellanea, la raccolta si arricchisce di 879 opuscoli ed estratti da riviste
Il consistente numero di estratti, per la maggior parte accompagnati da dediche calorose dei suoi autori, non fanno altro che confermare la grande fama di studioso che il Mancaleoni era riuscito a conquistarsi, nonché testimoniare i rapporti di stretta collaborazione che egli manteneva con i giuristi più famosi dell’epoca non soltanto in Italia ma anche in Germania come risulta testimonianza dalle dediche dei giuristi tedeschi.
Dai contenuti della raccolta del Mancaleoni si evince come essa rappresenti un prezioso punto di riferimento per gli appassionati studiosi delle scienza giuridica romanistica. Inoltre la presenza, come si è detto, di opere antiche e rare nella collezione del Mancaleoni, risulta interessante per lo studio della storia della stampa poiché evidenzia come, nel corso dei secoli, si siano evolute le tecniche di trasmissione delle conoscenze attraverso i libri. Tali tecniche sono la testimonianza delle differenti attività tipografiche, commerciali, politiche e religiose di quattro secoli di storia.
A questo punto, desidero mettere in luce alcune caratteristiche che rendono pregiata la raccolta del Mancoleoni, caratteristiche che in buona parte sono tipiche delle collezioni rare e antiche.
Occorre fare una premessa: quando si parla di libro antico, ciò che gli inglesi chiamano con l’espressione “hand-printed book,” si intende il libro a stampa prodotto con procedimenti manuali. Anche il manoscritto è un libro antico, anzi, il primo dei libri antichi ma la sua caratteristica è quella di documento scritto a mano. Un altro libro antico è l’Incunabolo, il libro in cuna, che rappresenta l’infanzia del libro. L’incunabolo è il frutto del progressivo passaggio dal manoscritto al libro a stampa ed è caratterizzato dall’assenza del frontespizio, tipica dei primissimi libri a stampa. L’incunabolo vede la sua fortuna convenzionalmente fino al 1500.
Fissare dei confini
cronologici all’interno dei quali poter collocare il libro antico a stampa
risulta difficile anche perché la produzione del libro non è stata recepita
ovunque contemporaneamente e allo
stesso modo, tuttavia si ritiene convenzionale come inizio la comparsa della
stampa in Europa negli anni quaranta del Quattrocento e come conclusione i primi decenni dell’ Ottocento quando le
invenzioni meccaniche per la produzione
della carta e della stampa sostituiscono definitivamente i procedimenti
manuali.
Il famoso storico francese Fernand Braudel ha inserito, nella sua opera “Civilisation matérielle, economie e capitalisme (XV-XVIII siècle)”, l’invenzione della stampa insieme alla polvere da sparo e alla navigazione d’alto mare tra le tre grandi innovazioni che preparano l’avvento del mondo moderno. Un’altra categoria ambigua è quella del libro raro. La rarità per un libro risulta essere un concetto ancora più convenzionale del libro antico. Può considerarsi raro un libro moderno che è sparito da una biblioteca e risulta introvabile? E’ raro il libro moderno che manca al collezionista? E’ rara l’edizione di un libro stampata in pochi esemplari? Ma non è rara ugualmente l’edizione di un libro che, anche se stampata in più esemplari, presenta delle caratteristiche importanti come un ex-libris, una nota di possesso, un autografo, delle postille manoscritte? E un libro antico non è da definire sicuramente raro? Forse alla categoria “raro” appartiene un po’ tutto ciò.
Nella raccolta del Mancaleoni troviamo sia opere antiche che rare secondo le considerazioni precedenti e ciò rende la raccolta particolarmente pregiata.
Relativamente al Cinquecento, si è detto , si possiedono due importanti opere.
- L’opera monumentale delle Pandectae iuris civilis in cinque volumi comprendente il Digestum Vetus, Novus, Corpus Iuris civilis… stampata a Parigi nel 1576 (tav. 3) presenta diverse caratteristiche che rispecchiano il libro del Cinquecento.
Innanzitutto il frontespizio si afferma come elemento essenziale per dare maggiore risalto all’opera, per metterne in evidenza la responsabilità intellettuale e anche per dare maggiore risalto ai tipografi ed editori di pubblicizzare i loro prodotti.
Come già detto, all’epoca
degli incunaboli il frontespizio era assente così come nei libri antichi
manoscritti. Le indicazioni relative all’edizione venivano infatti relegate nel colophon e spesso il nome
dell’autore e il titolo dell’opera appariva nell’ incipit.
Nel linguaggio dei tipografi antichi l’unità di base del libro era il fascicolo. Per ottenere il formato desiderato per il libro, il foglio di forma veniva piegato più volte.
Il formato dell’opera delle Pandectae è chiamato “in folio”, tipico per i libri di studio, il foglio è stato piegato solo una volta ed ha realizzato quattro pagine di stampa, per il formato in quarto (4°) veniva piegato due volte e realizzava otto pagine stampate, in ottavo (8°) tre volte e sedici pagine stampate fino a quelli più piccoli in 12°, 16°, 32° e così via.
Dagli inizi dell’Ottocento questo sistema per determinare il formato cessa d’esistere poiché la carta viene prodotta industrialmente e il fascicolo risulta costituito da fogli tagliati e piegati in modo da raggiungere determinate misure, senza alcun rapporto con le plicature del foglio di forma originario.
L’opera possiede una nota di possesso manoscritta in basso a sinistra probabilmente “Betti” che testimonia evidentemente una diversa provenienza. Quest’opera particolarmente pregiata, stampata in rosso e nero, contiene all’interno le glosse (come viene indicato nel frontespizio: glosse di Accursio e Cuiacio), oltre che delle rarissime annotazioni manoscritte, accanto alle glosse, che la rendono unica e rara.
Appare l’espressione
latina “Cum Privilegio”, tipica dei libri antichi ed in diffusione nei Sec. XVI
e fino all’inizio del XVIII secolo con il riconoscimento dell’attuale diritto
di autore. Il ricorso alla privativa era assai diffuso in quell’epoca anche
perché il ruolo sempre più importante
dello stampatore e del libraio-editore misto alla tendenza di
ripubblicare opere di successo senza chiedere il permesso agli autori provocarono
delle forti tensioni nel mondo editoriale.
Il pericolo di una contraffazione dell’ “editio princeps” era talmente
elevato che sia gli autori che gli stampatori cercarono di tutelare le loro
pubblicazioni. Nasce cosi “la patente di privilegio”, una sorta di monopolio
commerciale che consentiva all’autore o allo stampatore il diritto esclusivo di
stampa e di vendita per periodi più o meno lunghi, anche fino a dieci anni.
Come appare dal verso del frontespizio
(tav. 3) la “Privilegii summa” del re Carlo IX re dei franchi stabilisce
che le Pandette e i rimanenti tomi del Corpus iuris civilis rivisti da Antoni
Contio non possano essere stampati in Francia eccetto che dal libraio
Nivellium. A chiunque dovesse farlo saranno applicate multe fiscali con altre
sanzioni (pene). Da notare la data di concessione della privativa di cinque
anni prima della stampa dell’opera.
Ciò che rendeva tipico il privilegio non era tanto l’accordare il potere di fare, quanto di rendere esclusivo tale diritto.
- L’opera di François Connan (tav. 4), Libellorum in regia magistri, commentariorum iuris civilis libri X stampata a Lione nel 1561 è un’edizione pregiata della Famiglia dei Giunti o Giunta. Di origine fiorentina, sono fra i librai-editori che insieme ai Manuzio hanno dominato il commercio librario dalla fine del Quattrocento e fino al 1657. Essi crearono una rete commerciale fittissima a Firenze, Venezia, Milano e in Europa in Spagna, Inghilterra, Polonia. A Lione, dove ricordiamo vi era un grande centro commerciale di produzione del libro, i Giunti riuscirono a fondare una casa editrice che prevalentemente diffondeva pubblicazioni giuridiche.
Ciò che divenne il punto di forza della dinastia dei Giunti, come osserva Angela Nuovo, era il concentrarsi sul mercato internazionale del latino, il cui problema fondamentale era costituito dalla necessità di portare un certo numero di prodotti, dal valore mediamente basso, agli acquirenti dispersi sul territorio. E’ così che questi mercanti-imprenditori-grossisti svilupparono una potentissima rete commerciale intrecciando solide relazioni con diversi soci nelle maggiori città europee egemonizzando, in tal modo, l’intero settore del commercio librario in Europa.
L’ex-libris che viene riportato in testa al frontespizio “Ex Bibl. Illustrissimi et Reverendissimi Domini D. Ioan B. Brunengo episc. Usellen” testimonia l’appartenza del volume a Giovanni Battista Brunengo ( 1605-1679), Vescovo di Ales e Terralba, e probabilmente scritto di sua mano.
Probabilmente l’opera del Conann è appartenuta al Fondo gesuitico al quale il Brunengo aveva donato la sua Biblioteca che si distingueva per lo spiccato carattere giuridico. Successivamente un altro passaggio di proprietà, come risulta dal foglio di guardia accanto al frontespizio (non è molto leggibile dato il deterioramento subito dalla carta) “….Coll. et. Censor Regij Univers. Turritanj, obit die 5 Januarii 1836”, probabilmente alla morte del possessore l’opera doveva andare alla Regia Università.
Un’altra particolarità dell’opera è la presenza di alcune note manoscritte censurate in un’epoca in cui il controllo sul contenuto delle pubblicazione era assai rigido.
La marca tipografica è quella dei Giunti con il “giglio” simbolo della città di Firenze. Le marche, all’epoca, oltre che essere di corredo ornamentale, avevano la funzione di salvaguardare l’opera da eventuali contraffazioni. Spesso, le marche, contengono vignette, allegorie, stemmi araldici; ricordiamo la più famosa marca tipografica del mondo: “l’ancora con il delfino” di Aldo Manuzio.
La funzione principe della
marca editoriale o tipografica era,
comunque, quella di certificare il
frontespizio, una sorta di marchio di fabbrica. Marche di proprietà raffigurate
da contrassegni e sigilli personali, di produzione (commerciali, di
fabbricazione) e istituzionali con stemmi e segni di istituti. Con le marche,
il pubblico poteva avere una testimonianza visibile dei vari ruoli che
cooperavano nella produzione del libro.
- Nel Seicento, il frontespizio si arricchisce maggiormente di illustrazioni e incisioni, in coincidenza con il gusto barocco dell’epoca. L’opera di Stephano Dayoz, Iuris civilis septimus tomus continens absolutissimum indicem et summam … stampata Venezia nel 1610 (tav. 5) e l’opera di D. Gothofredus, Conciliatio legum in speciem… stampata a Francoforte nel 1695 (tav. 6) sono un tipico esempio. I frontespizi delle opere del Seicento, rispecchiando come detto il gusto manieristico e barocco dell’epoca, sono caratterizzati dalla prolissità e dall’enfasi dei titoli, spesso evidenti a scopo pubblicitario verso i lettori e adulatori verso i potenti. La presenza di grandi illustrazioni con lunghi titoli spesso fa si che non sia riesca a far convivere le informazioni in un unico spazio, è cosi che nasce l’antiporta (tav. 6), la pagina del titolo si sdoppia. L’antiporta spesso contiene il ritratto dell’autore dell’ opera o della persona alle quale l’opera è dedicata. Per tutto l’Antico Regime offrire un libro a un principe o anche ad un uomo di potere aveva conseguenze fondamentali per la carriera di un autore.
L’antiporta dell’opera di Gothofredus è realizzata nella tecnica di incisione prevalente del secolo, la calcografia. Tale tecnica, d’incisione su rame, è stata preceduta dalla silografia, incisione su tavolette di legno, molto ricorrente nel Cinquecento ma compare molto spesso anche in opere del Settecento. La calcografia, a differenza della silografia, consentiva una maggiore precisione e definizione delle immagini.
L’opera del Dayoz è
stampata a Venezia dai Giunti. La marca rappresenta la loro regione di
appartenenza , con il giglio al centro e
con l’indicazione dei capoluoghi di provincia della Toscana, quasi a
voler rimarcare ai lettori che, nonostante l’opera fosse stampata a
Venezia, le loro origini erano
toscane. Sul foglio di guardia appare la nota di possesso probabilmente “Dr. Domenico Carducci”.
- Nel Settecento il frontespizio riceve una sorta di canonizzazione nell’impostazione tipografica contemporanea all’introduzione della copertina. L’opera di J. B. Eineccio in due tomi, Antiquitatum Romanarum juriprudentiam illustrantium syntagma secundum ordinem institutionum Justiniani Digestum… stampata a Napoli nel 1764 (tav. 7) e l’opera Pandectae Justiniaee in novum ordinem digestae… stampata a Lione nel 1782 (tav. 8) evidenziamo, come più volte ripetuto, i rapporti che il Mancaleoni aveva instaurato con amici e colleghi. In evidenza l’ex-libris di Carlo Rugiu nell’opera dell’Eineccio e la dedica di Giuseppe Doro nelle Pandectae, a sua volta possessore dell’opera, per Flaminio Mancaleoni. Questi passaggi di proprietà mettono in luce la fortuna che le opere avevano avuto, sia come testo che come oggetto.
L’opera di Francesco Maria Pecchi, Tractatus de acquaeductu… stampata a Pavia nel 1713 (tav. 9) è un opera di contenuto tecnico e come spesso accadeva, per le opere scientifiche e tecniche, l’illustrazione all’interno del testo, come osserva Lodovica Braida “non deve soltanto evocare, anche vagamente, ciò che si narra nel testo, ma deve aiutare un pubblico selezionato e preparato, a capire dei problemi specifici, particolari tecnici e teorie innovative.”
Quest’opera contiene formalmente, sul verso del frontespizio, il visto di approvazione alla conformità dell’opera rilasciato dall’Inquisitore, ossia la licenza di stampare rilasciata dall’autorità secolare o ecclesiastica. Al contrario del semplice privilegio, di cui si è parlato e che vigeva soltanto nella giurisdizione dell’autorità che lo aveva concesso e quindi con efficacia limitata nel tempo, “l’imprimatur “o il “superiorum permissu” o “licenza dei superiori” o altre espressioni analoghe veniva rilasciato dall’organo di censura. Il libro a stampa, infatti, rappresentava il principale mezzo per la diffusione di idee eretiche e per questo risultava necessario controllarne la distribuzione. Tutto ciò, in realtà, non fece altro che paralizzare, per un certo periodo, l’iniziativa editoriale e il commercio librario e stimolarne al contrario quello clandestino.
Come si è potuto notare, le caratteristiche dei libri antichi e rari non derivano soltanto dalle diverse tecniche di produzione del libro ma soprattutto dalla storia vissuta dai libri, e anche, perché no, dagli eventuali danni che il libro ha subito. Anche il tipo di legatura, che in alcune opere della raccolta è rimasta quella originale in pergamena, può rappresentare il suo consumo piuttosto che la sua produzione. Tutto ciò testimonia, come più volte già detto, i percorsi seguiti dal possessore che risultano estremamente utili per ricostruire la personalità del Mancaleoni. Personalità di grande estimatore, conoscitore ed appassionato di libri. Potremmo definirlo di vero “bibliofilo”.
Questo “grande uomo”, consapevole della ricchezza della sua collezione e conscio dell’importanza che le biblioteche assumono come centri di diffusione delle conoscenze, donando la sua “biblioteca” alla biblioteca dell’allora Istituto giuridico, alla quale egli era molto affezionato, ha fatto in modo che le opere da lui stesso conservate con tanta cura per diversi anni potessero essere conosciute, valorizzate e rese fruibili.
La Raccolta del Mancaleoni, come ho detto prima, è in ottimo stato di conservazione fatta eccezione per qualche opera che sarà oggetto di restauro. Il Dipartimento di Scienze Giuridiche confida quanto prima in un intervento da parte della Regione Sardegna che, in base al DPR 480/1975, ha il compito di vigilare sulla conservazione del materiale pregiato posseduto da enti pubblici e privati.
In questi ultimi anni il tema della conservazione e del restauro dei libri non è stato, purtroppo, al centro dell’attenzione. Questa battuta d’arresto probabilmente è stata determinata dall’attenzione maggiore destinata all’iniziativa dei numerosi progetti di digitalizzazione nati allo scopo di riprodurre i patrimoni librari antichi posseduti dalle diverse biblioteche nel mondo e di portarli a conoscenza degli utenti virtuali.
L’Italia è il paese che può vantare da solo gran parte del patrimonio antico mondiale, ma, mentre in Francia così come in Inghilterra la produzione antica viene ampiamente documentata rispettivamente dalla Bibliothèque Nazionale e dalla British Library, in Italia il patrimonio è disseminato in circa 1500 biblioteche.
Una importante iniziativa per la valorizzazione del patrimonio antico è rappresentata dal Censimento Nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo promosso, a partire dal 1981, dall’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane del Ministero per i beni culturali e in collaborazione con le Regioni. Tale censimento è nato allo scopo di documentare le edizioni del Cinquecento stampate in Italia e all’estero e possedute dalle biblioteche italiane. (Per la consultazione del catalogo in linea delle edizioni del XVI secolo l’indirizzo è: http:// www.edit16.iccu.sbn.it ).
Con molto orgoglio posso affermare che, fra le biblioteche dell’Università di Sassari, la Biblioteca del Dipartimento di Scienze Giuridiche detiene il primato come numero di cinquecentine, per un totale di 192 opere. Infatti oltre alle due edizioni del Cinquecento del Dono Mancaleoni, la biblioteca del Dipartimento ha arricchito il patrimonio antico in buona parte grazie anche alle donazioni di altri insigni studiosi.
Per concludere, una breve riflessione: in un’epoca in cui la telematica e l’informatica hanno prepotentemente invaso il nostro quotidiano, un’epoca in cui la metodologia di trasmissione delle conoscenze è in continua evoluzione, se da un lato hanno sicuramente contributo a migliore la comunicazione, dall’altro, pur lasciando inalterato il ruolo principe del libro che é, e che sempre sarà, quello di “veicolo di informazione” ne hanno sicuramente mortificato la ”fisicità”.
Uno sguardo a queste memorie documentarie del passato della “biblioteca di Flaminio Mancaleoni”, ci riporta, forse, con vena nostalgica ad apprezzare il fascino di un bel libro da poter sfogliare e riporre sul proprio tavolo.