Lettera
Napoli, 10 novembre 2001.
Caro Sini,
Nell’imminenza
del Convegno Sassarese in ricordo di Flaminio Mancaleoni tengo a rinnovare l’espressione
del mio rincrescimento per non potervi partecipare. Di Mancaleoni avevo letto
tutto, ma non ancora il testo della sua prolusione napoletana del 1920,
pubblicata in un volume qui introvabile degli S(tudi) S(assaresi).
Nel
ringraziarLa per la fotocopia che me ne ha cortesemente inviata, non so fare a
meno di esprimere la forte impressione che ho tratto dalla sua lettura.
Mancaleoni vi si conferma indubbiamente uno studioso “datato”, ma che è datato
solo in senso proprio (cronologico), cioè nel linguaggio espressivo di
un’impostazione mentale darwiniana, lamarckiana, bonfantiana (inutile spiegare
dettagliatamente a quale epoca dei nostri studi io alluda). Egli non è invece
datato nel senso di “superato” (e quindi di inutile da leggere), come invece
presuntuosamente e inesattamente pensano certi superficiali “maestri” del
giorno d’oggi, secondo i quali leggere i così detti interpolazionisti di altri
tempi non vale nemmeno la pena. Al contrario, non solo è scientificamente
riprovevole astenersi dal meditare sugli studiosi del passato e dal tentare di
“tradurli” in lingua oggi viva, ma Mancaleoni, con la sua prolusione
napoletana, è la prova palpitante del tentativo di un evoluzionista di superare
la visione evoluzionista. La sua “evoluzione regressiva” o è un controsenso,
oppure è (ed a mio avviso lo è) l’espressione (imperfetta) di una nuova
consapevolezza: quella del legame tra diritto e storia, epperò della difficoltà
del diritto al tener dietro alle mutazioni sociali, delle sue frequenti arretratezze
strutturali (e formali) rispetto alla realtà della storia.
Se
avessi tempo e forza, rileggerei in questa chiave Mancaleoni (ed altri), ma
eccomi qui: sono un vecchio ormai anch’egli “datato”, che La saluta
cordialmente da lontano. Suo
G.