Università di Cagliari
1. - In questa comunicazione parlerò in sintesi dell’evoluzionismo e dell’etnologia giuridica, traendo spunto da uno scritto di Flaminio Mancaleoni (“L’evoluzione regressiva degli istituti giuridici”). Di evoluzionismo e di etnologia giuridica parlerò al fine di evidenziare il ruolo che hanno avuto nel promuovere il diritto comparato, che nell’epoca in considerazione (parliamo del periodo a cavallo fra secolo XIX e XX) era ancora in fase embrionale. Nel fare questo cercherò anche di ricostruire il clima culturale dell’epoca, ed in particolare nell’Ateneo sassarese, attraverso la rete di rapporti che il Mancaleoni intrecciò con personaggi chiave della dottrina. Il percorso che ho seguito è fatto di libri e di opuscoli, spesso con dedica dell’autore, appartenuti a Flaminio Mancaleoni, e di contatti accademici, di cui tali libri ed opuscoli sono ulteriore riprova, con personaggi che furono in diversa misura a contatto con i temi dell’evoluzionismo e dell’etnologia giuridica.
L’evoluzionismo fu infatti una dottrina presente allo stato diffuso all’epoca di Flaminio Mancaleoni: per questo seguire la circolazione delle idee evoluzionistiche significa ripercorrere in certa misura il clima culturale dell’epoca.
L’etnologia giuridica nacque nello stesso periodo quale branca dell’etnologia, anch’essa allora nascente: il rapporto fra evoluzionismo ed etnologia giuridica consiste nel fatto che il primo trasse dalla seconda supporto concreto per la conferma dei propri postulati.
Si tratta di tematiche che furono allora al centro dell’attenzione della cultura giuridica europea, e non soltanto di quella italiana, per essere ancora intensi i rapporti culturali fra esponenti della dottrina dei vari ordinamenti. Pertanto la centralità della dottrina evoluzionistica e, secondariamente, l’interesse per l’etnologia giuridica, traspare più o meno palesemente nella produzione scientifica dei principali esponenti della cultura giuridica, sia giuristi che non; e fra i giuristi numerosi sono naturalmente i romanisti, in un’epoca in cui il diritto romano era ancora diritto per eccellenza e l’influenza della scola storica tedesca sulla cultura giuridica italiana era diventata preponderante (rispetto a quella francese).
Può qui menzionarsi Carlo Fadda, autore con il Bensa della traduzione ed annotazione in italiano delle Pandette del Windscheid, e l’influenza che tale opera ebbe nello sviluppo del diritto civile italiano: per citare uno dei giuristi con i quali il Mancaleoni ebbe frequenti occasioni di incontro e di scambio; il Fadda fu presidente della commissione del concorso per professore straordinario a Cagliari vinto dal Mancaleoni nel 1901, chiamò il Mancaleoni a succedergli nella cattedra di Napoli nel 1920; suo alleato ed avversario anche nella professione forense, il Mancaleoni lo considerava suo maestro ed amico. Il Fadda fu tra l’altro un profondo conoscitore del Kholer (1849-1919), che fu il principale esponente dell’etnologia giuridica in Germania[1]: le opere del Kohler non furono tradotte in italiano, ma di alcune di esse fu lo stesso Fadda a fare la prefazione in italiano[2]. In Italia l’etnologia fu però conosciuta più attraverso le opere di un altro tedesco – il Post[3], che non attraverso le opere del Kohler. La principale opera del Post, dal titolo “Giurisprudenza etnologica” è tra i libri del Mancaleoni; essa, a differenza delle opere di Kohler, fu tradotta in italiano. Autori della traduzione e prefazione furono il Bonfante ed il Longo: Bonfante a cui il Mancaleoni fu legato accademicamente: il Bonfante fu commissario nel concorso di Cagliari e poi in quello di Macerata; il Mancaleoni prese il suo posto a Parma, nel 1902, per sua designazione. A fianco del Bonfante il Mancaleoni poi si trovò anche quale membro della Società italiana per il progresso delle scienze e quale membro dell’Istituto di studi legislativi, istituito nel 1925 all’interno della prima, con lo scopo di preparare eventuali riforme legislative (insieme anche a D’Amelio, Scialoja, Arangio Ruiz, De Ruggiero, Galgano e Romano)[4].
La dottrina dell’evoluzionismo ci riconduce invece immediatamente alle opere del Darwin, anch’esse presenti nella biblioteca di Mancaleoni, nelle quali l’evoluzionismo ha trovato i principi ispiratori; e ancora direttamente all’evoluzionismo ci ricollega la figura di Giorgio Del Vecchio, che fu professore di filosofia del diritto a Sassari per diversi anni (1906-1909, salvo errore per la seconda data), di cui il Mancaleoni fu amico, oltre che collega[5]: Del Vecchio fu un divulgatore delle idee evoluzionistiche (ed anche quando queste erano ormai in fase di declino); fu personaggio di spicco, oltre che della filosofia – fondando, tra l’altro, la Rivista internazionale di filosofia - anche del diritto comparato[6]. Le opere del Del Vecchio, tutte incentrate sulle tematiche evoluzionistiche, sono presenti fra i libri del Mancaleoni: cito fra gli studi di Del Vecchio, alcuni che esemplificano, nell’intitolazione, la centralità della dottrina evoluzionistica nel suo pensiero e la connessione fra tale dottrina ed il diritto comparato: L’etica evoluzionista, Evoluzione ed involuzione del diritto, L’unità dello spirito umano come base della comparazione giuridica, Sull’idea di una scienza del diritto universale comparato. Fra i libri del Mancaleoni figurano tra l’altro anche quelli di Antonio Falchi, che fu docente di filosofia del diritto a Sassari dopo il Del Vecchio: anche nei suoi scritti la dottrina evoluzionistica occupa una posizione centrale.
2. - Le idee evoluzionistiche circolarono dunque diffusamente in ambito scientifico sin dalla seconda metà dell’800 e non soltanto nel diritto. Per tornare a dare uno sguardo all’ateneo sassarese, se ne trova conferma nel trovare, fra gli estratti ed opuscoli di Flaminio Mancaleoni, il testo di una conferenza tenuta dal Professore di medicina Antonio Conti nel 1885, quando il Mancaleoni era ancora studente, dal titolo “La dottrina dell’evoluzione e le scienze”: Antonio Conti che fu figura di spicco nella storia non solo dell’Università di Sassari e della facoltà di medicina, ma della medicina italiana in genere[7].
Il Conti parla, mostrando all’uditorio disegni e preparati appositamente disposti nella sala allo scopo di illustrare l’evoluzione delle cellule dalle forme organiche più semplici a quelle più complesse, della “dottrina dell’Evoluzione” e dell’influenza esercitata da questa sulle altre scienze, ivi incluso il diritto; dottrina dell’Evoluzione che egli ritiene essere “l’inno più splendido della creazione”. Cito le parole del Conti:
“Qualunque sia il merito
della nuova dottrina e la fortuna che le è riservata nell’avvenire, deve però
accettarsi come un trionfo del pensiero umano il suo metodo di studio, quel
metodo che alla opinione, alla autorità, alla tradizione, al rettoricume
sentimentale vaporoso e predicatore, sostituisce la osservazione, lo
esperimento, il metodo statistico, comparativo e storico. E’ in grazia di
questo indirizzo che noi vediamo rinnovarsi sotto i nostri occhi tutto il
pensiero scientifico moderno” (p.36-37).
Ma veniamo ai riferimenti all’evoluzionismo presenti nello scritto “L’evoluzione regressiva degli istituti giuridici”, che fu la prolusione al corso di diritto romano dell’Università di Napoli nel 1920; lo stesso tema fu oggetto di una conferenza tenuta dal Mancaleoni a Sassari nello stesso periodo.
Nello scritto il Mancaleoni si propone di “fare
un rapido cenno intorno al concetto, alle testimonianze, ai procedimenti, alle
leggi che governano quelle trasformazioni giuridiche che, come nel campo della
biologia naturale, si sogliono chiamare di evoluzione regressiva, facendo
tesoro della esperienza storica che sorge dallo studio del Diritto Romano” (p.6)[8].
Pertanto ad una breve premessa seguono esempi
tratti dal diritto romano di fenomeni di “regressione od “evoluzione
regressiva” delle istituzioni giuridiche: fenomeni che meritano attenzione da
parte del giurista, perché a partire dalla loro ricostruzione, egli è in grado “di
interpretare esattamente le istituzioni passate e le presenti, prevenire con
più sicurezza quelle che vanno nel presente maturandosi o disfacendosi”;
a tal fine il giurista non deve trascurare ciò che rimane di una
istituzione che abbia subito un processo di “regressione” ed alla quale sia
subentrata un’altra istituzione, perché in quelli che il Mancaleoni chiama “detriti”
e “cose morte”, “si trovano anche le ragioni, per le quali molte delle cose
presenti e vive periranno a loro volta” (p.6).
Aggiunge il Mancaleoni:
“E lo studio di queste cause
e ragioni non può essere sostituito da quello delle leggi di evoluzione
organica, poiché i tentativi scarsi e poco autorevoli di estenderle ai rapporti
sociali ne hanno dimostrato l’erroneità e l’insufficienza” (ibidem).
Ribadendo i limiti dell’approccio evoluzionistico ed etnologico come già evidenziati in passi precedenti del suo discorso:
“Il concetto di evoluzione organica, che fu preceduto nel campo filosofico da quello di evoluzione sociale, reagisce su questo e tende ad estendere ai rapporti d’indole etica, economica e giuridica le leggi che governano l’organismo naturale. Io non so valutare, ora come ora, quanto questa estensione possa essere giustificata, né mi sembra inopportuno accennare alla possibilità che l’indagine delle leggi di evoluzione sociale abbia a far correggere il contenuto e l’assolutezza di alcune leggi ora asserite di evoluzione organica” (p.2-3).
E ancora:
“Ai nostri studi però non si può chiedere un’indagine naturalistica delle relazioni sociali. Abbiamo tutti – io credo – netta la visione, che lo studio del diritto è un capitolo della biologia umana, ma questo aspetto del modo di vivere dell’uomo noi storici e giuristi – coi nostri mezzi – non possiamo cogliere che nella storia. E quando dico storia, dico apprezzamenti di fatti umani in luoghi o in tempi diversi. Tantochè ai fini della soluzione dei problemi di relazione sociale eccellente su tutti i mezzi sarebbe conoscere le istituzioni di tutti i popoli. Senonché alla etnografia sociale – indagine recente non priva di risultati, ma manchevole per la scarsità e impurità del materiale raccolto – noi non possiamo supplire che con l’analisi del succedersi nel tempo delle istituzioni, delle quali possiamo seguire lo svolgimento” (p.3)
(ecco in quest’ultimo passo il riferimento all’etnologia giuridica, che Flaminio Mancaleoni chiama etnologia sociale).
Non mi voglio qui ulteriormente soffermare sui contenuti dello scritto, ma soltanto evidenziare soprattutto l’insistenza sul concetto di evoluzione, ed il continuo ricorso alle altre categorie associate a tale dottrina, molte delle quali tratte dalle scienza biologiche. Ciò è riprova del fatto che la dottrina era penetrata nel pensiero giuridico, che ne aveva assimilato la terminologia. Al punto che il Mancaleoni può dire, pur mettendo in discussione, come si è visto sopra, l’estensione al diritto del metodo proprio delle scienze biologiche:
“Certo è però che la nostra forma mentis non può ormai staccarsi – nella indagine naturalistica o storica – da questo generale concetto di evoluzione e di trasformazione degli esseri e delle loro relazioni” (p.3).
3. - Veniamo ora ad accennare ai contenuti dell’evoluzionismo, al contesto nel quale si affermò ed al rapporto con il diritto comparato.
L’evoluzionismo nacque associato al Positivismo e quest’ultimo, come noto, quale reazione generalizzata alle concezioni metafisiche predominanti nella fase di pensiero precedente. Il Positivismo esaltava la scienza: positivo è ciò che è reale, effettivo, sperimentale, in contrapposizione a ciò che è astratto e metafisico; la scienza è dunque l’unica conoscenza possibile ed il metodo della scienza è l’unico valido. Soprattutto, il metodo della scienza, in quanto è l’unico valido, va esteso a tutti i campi, compresi quelli che riguardano l’uomo e la società, ivi incluso il diritto.
Il Positivismo c.d. evoluzionistico trovò il proprio punto di partenza nel concetto di evoluzione desunto dalla dottrina del trasformismo biologico elaborata da Lamarck (1744-1829) e Darwin (1809-1882) che venne generalizzato ad esteso a tutte le scienze; e fu la filosofia egemone della cultura europea della seconda metà del secolo: l’idea di “evoluzione” diventò categoria interpretativa universale ed i singoli processi evolutivi vengono saldati in un processo unico, universale, continuo e necessariamente progressivo.
E’ significativo della connessione fra evoluzionismo e diritto comparato il fatto che l’influenza dell’evoluzionismo sia evidente nel pensiero dell’Amari (1810-1870), cui si deve uno dei primi tentativi di fondare il diritto comparato come disciplina autonoma, secondo cui con la comparazione si possono identificare i principi che formano “le costanti della fisica sociale”, cioè i precetti che presiedono e regolano il destino delle norme. Con lo studio comparativo delle leggi dei popoli nel tempo e nello spazio si giunge a una “scienza della legislazione”, che Amari definisce una vera “biologia universale delle leggi” [9].
Anche nel pensiero di Del Vecchio, il filosofo che rivestì, come si è detto, un ruolo centrale nella promozione del diritto comparato, l’evoluzione di tutti i popoli segue le stesse linee di sviluppo; e scoprire le regole che disciplinano tale evoluzione è appunto compito del diritto comparato. L’esistenza di regole universali viene fatta discendere dall’unità dello spirito umano, “di cui il diritto è una necessaria estrinsecazione”[10]: dunque, l’unità dello spirito umano come base della comparazione giuridica.
Per arrivare all’apporto dato dall’evoluzionismo giuridico al diritto comparato, questo consistette principalmente nella apertura verso altri diritti, anzi verso tutti i diritti della terra: ciò in quanto uno dei postulati della dottrina evoluzionistica fu la riconducibilità degli accadimenti, ivi inclusi quelli giuridici, a leggi universali. In campo giuridico l’evoluzionismo portava, più specificamente, a ritenere che le istituzioni giuridiche seguissero uno sviluppo unidirezionale, secondo un processo analogo per tutte le società. Lo studio dei diritti stranieri si rendeva in quest’ottica necessario per ricostruire tali leggi di evoluzione; e tale studio era appunto compito del diritto comprato. Così, per quanto l’idea di evoluzione non fosse nuova ma già penetrata nel pensiero giuridico con Hegel, soltanto con la dottrina dell’evoluzionismo fu superato il muro che la Scuola storica frapponeva al diritto comparato nel momento in cui identificava il diritto con quello romano o germanico.
4. - Passiamo ora ad esaminare il rapporto fra etnologia giuridica, evoluzionismo e diritto comparato.
Post e Kohler, come già accennato, furono i protagonisti dell’etnologia giuridica in Germania e fu soprattutto tramite questi autori che l’etnologia giuridica divenne nota in Italia attraverso la mediazione della dottrina italiana. L’etnologia giuridica si sviluppò di pari passo con l’evoluzionismo, che volle trovare in essa la conferma dei propri postulati: l’unità dello spirito umano, l’esistenza di una evoluzione unidirezionale, che accomuna tutti i popoli della terra.
L’apporto dell’etnologia giuridica al diritto comparato fu notevole anche grazie all’opera divulgatrice dell’etnologia giuridica specificamente quale oggetto della comparazione compiuta dal Kholer tramite la rivista di “giurisprudenza comparata” (Zeitschrift fuer vergleichende Rechtswissenschaft) da lui fondata insieme a Cohn e Bernhoeft, nel 1878: scopo della rivista era il superamento dei limiti tradizionali dello studio del diritto romano e germanico, per studiare anche gli altri diritti e da tutte le esperienza trarre elementi utili per la compilazione del codice civile tedesco[11]. Soprattutto nel periodo in cui Kohler fu direttore della rivista numerosi furono gli articoli ed i saggi sui diritti stranieri, per esempio, in particolare, sui paesi dell’oriente, quindi sull’Africa.
L’etnologia giuridica nacque
condizionata dall’evoluzionismo[12], al
punto da pregiudicarne la scientificità degli esiti. Anche Post afferma
l’esistenza di una componente biologica delle istituzioni socio-giuridiche, che
discende dalla natura biologica dell’uomo: a partire da tale assunto Post
conclude per l’identità delle forme di vita e delle istituzioni sociali e per
la somiglianza dei modelli giuridici nello spazio e nel tempo; le differenze,
dove sussistenti, sono complessivamente trascurabili[13].
Il collegamento fra unità
biologica dell’uomo, diritto, etnologia e diritto comparato, instaurato
dall’evoluzionismo è ben scandito negli scritti di Del Vecchio, che,
come si è detto, largamente attinse dagli etnologi[14]..
L’etnologia giuridica studiò dunque ordinamenti che sino a quel momento erano stati trascurati. Essendo la storia dell’umanità concepita come storia universale, ecco infatti che tutti i popoli dovevano essere studiati; soltanto comparando il diritto dei popoli nei loro stadi di evoluzione, inclusi dunque anche i popoli primitivi, si poteva ripercorrere la linea del progresso storico e quindi le leggi di evoluzione giuridica.
Poiché tali leggi di evoluzione dovevano trarsi dalla conoscenza del diritto di tutti i popoli, ecco legittimato - ed anzi elevato al massimo rango - il diritto comparato.
Bonfante e Longo nella prefazione alla
Giurisprudenza etnologica di Post, da loro tradotta in italiano, assegnano al
diritto la missione di studiare comparativamente la produzione giuridica dei
vari tempi e dei vari popoli, per fissare le leggi generali di evoluzione:
“La missione che il secolo scorso ha legato al nostro nel campo del diritto, soprattutto dal punto di vista scientifico, è quella dello studio comparato della produzione giuridica dei varii tempi e dei varii popoli. Come la scuola storica rappresenta la reazione all’idea di un diritto naturale aprioristico, pura affermazione subiettiva, così il metodo comparativo, da un lato reagisce contro l’unilateralità dello studio storico di un determinato diritto, dall’altro allarga la base sperimentale della scienza giuridica; mentre cioè per la storia di questo o quel diritto porge l’aiuto immediato del parallelo degli altri dello stesso gruppo etnico, si spinge in servizio della evoluzione del diritto in genere a considerare i diritti di tutti i popoli della terra per la fissazione di fenomeni universali di svolgimento e delle loro leggi”.
Nella prefazione i traduttori si preoccupano anche di rispondere alla critica che sostiene “l’incertezza o l’inattendibilità delle notizie” su cui gli studi delle popolazioni primitive si fondano dicendo che “essa è ingiustificata quando la si rivolga contro questa speciale ricerca, perché se è vero che pei popoli selvaggi odierni siamo spesso ridotti alle notizie dateci da viaggiatori o missionarii, non è men vero che per alcuni diritti antichi null’altro ci resta salvo le informazioni di questo o quello scrittore greco o latino, che pure furon sempre seriamente accettate……Ad ogni modo poi l’obiezione è oggigiorno antiquata, poiché negli ultimi decenni, apprezzatosi il valore dell’osservazione dei fenomeni della vita dei popoli selvaggi non più come semplici curiosità, ma come manifestazioni importantissime dello svolgimento della civiltà, una schiera di uomini la cui opera non sarà mai abbastanza lodata, ha fatto oggetto di studi speciali, serii, coscienziosi e scevri dal pericolo di portare i concetti moderni nelle istituzioni primitive, di cui si è inteso il senso, le popolazioni appartenenti a tutte le stirpi, dalle razze americane a quelle dell’estremo oriente ed ai popolo oceanici, dalle popolazioni artiche a quelle che coprono il continente africano”.
Del Vecchio, che trovò in Post e Kohler conferma della sua teoria, in occasione del III Congresso internazionale di Diritto comparato svoltosi a Londra, ancora nel 1950, in un discorso dal titolo “L’unità dello spirito come base della comparazione e giuridica”[15]; torna a ribadire i concetti già espressi nel corso della sua carriera. Cioè che
“vi sono tendenze uniformi nello sviluppo dei sistemi propri dei vari popoli, onde ciascuno di essi percorre successivamente, in generale, le stesse fasi. Non già che manchino, nell’immenso quadro della vita storica del diritto, caratteristiche singolari, ed anche deviazioni, regressi ed anomalie; ma ciò non può impedirci di riconoscere la tendenza generale dello sviluppo; tanto che la storia stessa ci mostra che quelle deviazioni ed involuzioni sono destinate, dopo un tempo più o meno breve, a cadere, così come le malattie dell’organismo non possono essere eterne, ma debbono in qualche modo risolversi, nella vita o nella morte; colla differenza che la morte dei popoli è un fenomeno molto raro” (p. 434).
Nel pensiero del Del Vecchio, non soltanto la scienza del diritto comparato riceve pieno riconoscimento in quanto ad essa spetta la ricostruzione delle leggi universali di evoluzione, ma essa persegue un obiettivo finale rispetto al quale la ricostruzione di tali leggi universali è a propria volta strumentale, cioè l’unificazione progressiva del diritto:
“La scienza del diritto
comparato, illustrando i vertici più alti raggiunti dal pensiero giuridico,
diviene guida ad ulteriori progressi ed efficace strumento per la progressiva
unificazione del diritto dei vari Stati” (p.437).
5. - In conclusione ed in sintesi, qual è stato l’apporto dato dall’evoluzionismo e dall’etnologia al diritto comparato?
Se non per la validità dei suoi contenuti, la dottrina evoluzionistica e l’etnologia giuridica hanno avuto il merito, dal punto di vista del diritto comparato, di aprire l’orizzonte giuridico per includervi tutti i diritti, superando così i ristretti confini alla comparazione tracciati dalla Scuola storica.
L’evoluzionismo, terminato il periodo di ottimismo diffuso che lo aveva alimentato e crollata la convinzione e la fiducia nelle capacità di progresso dell’umanità (la mistica del progresso della Belle Epoque), anche in conseguenza del conflitto mondiale, tramontò.
Tramontò di pari passo la concezione del diritto comparato come guida nella costruzione di un diritto universale: un diritto universale che era vera e propria utopia, giustificabile soltanto nel clima filosofico-culturale di allora e priva, nel suo nascere, di possibili sia pure minime concretizzazioni. Mentre maggior impatto pratico ebbe l’altro filone del diritto comparato di allora: quello che si occupava cioè di studiare il diritto straniero allo scopo di trarne elementi utili per la riforma del diritto interno: in quest’ottica prima il BGB e poi il codice civile svizzero, per esempio, furono preceduti da studi comparatistici.
Anche gli esiti
dell’etnologia giuridica furono già all’epoca ritenuti deludenti, sotto il
profilo della scientificità ed attendibilità dei dati raccolti, non essendovi
nessun esame critico delle fonti: si trattava spesso di racconti di missionari
e viaggiatori; oltre che per l’essere tali dati spesso raccolti sulla base
della convinzione aprioristica della “undirezionalità” ed universalità
dell’evoluzione giuridica: con la conseguenza che i dati che non confermassero
tale assunto venivano trascurati (ciò anche per la sopravvalutazione del
principio di unità psico-biologica dell’uomo)
Tuttavia l’etnologia
giuridica ha avuto il merito, nell’estendere l’interesse del diritto allo
studio di tutti i popoli, di portare all’attenzione problemi di metodo propri,
tuttora, del diritto comparato. Nel congresso di Parigi del 1900 e poi, lungo
il corso del secolo, fu vivo il dibattito sugli scopi ed i metodi del diritto
comparato e sul fatto se questo potesse considerarsi scienza o metodo (da
applicare ad uso di altre scienze): dibattito sulle finalità e sui metodi che
caratterizza le scienze ancora in fase di formazione e di definizione e di cui
comunque permangono tuttora tracce nonostante il progresso che il diritto
comparato ha compiuto sino ad oggi per trovare autonoma legittimazione.
Dunque gli errori dell’etnologia hanno costituito una tappa importante nella storia del diritto comparato[16].
[2] Verbrecher Typen in Shakespeares Dramen, Rivista pratica, 1903; Rechtphilosophie und Universalrechtsgeschichte, in Atti della Reale Accademia di scienze morali e politiche della Società Reale di Napoli, vol.XXX, Napoli, 1904 (questa presente nella biblioteca del Mancaleoni); Bearbeitung der Encyclopaedie der Rechtwissenschaft von Holtzendorff, in Rivista pratica, 1904.
[3] V. Negri, Il giurista dell’area romanista di fronte all’etnologia giuridica, Milano, 1983, p.3: “Al giurista italiano della prima parte di questo secolo, che, in qualità di storico del diritto, o di romanista, si rivolgeva all’esperienza tedesca, poteva sembrare che la ricostruzione storico-etnologica del diritto universale avesse raggiunto il suo punto più alto nel 1983, con la “Ethnologische Jurisprudenz” di Post, e che, in sostanza, tutta l’etnologia giuridica tedesca ruotasse attorno alla figura del suo autore.
Ma non è così. Grande che sia stata l’opera di Post, non tutta la dottrina tedesca interessata ai popoli primitivi procedeva con gli stessi mezzi e le stesse finalità. E la dottrina non collegata in alcun modo a Post ha avuto, nella Germania del XIX secolo, un posto centrale”.
[4] Flaminio Mancaleoni fu
inoltre chiamato a far parte della commissione per la raccolta delle
consuetudini e degli usi civici istituita dal Ministro Rocco nel 1930, insieme
con, tra gli altri, Scialoja, D’Amelio, Azzariti, De Francisci, Carusi, De
Ruggiero.
[5]Del Vecchio, proprio in
occasione del congedo del Mancaleoni scrisse “Evoluzione ed involuzione nel diritto”,
che trae spunto dallo scritto di quest’ultimo su “L’evoluzione regressiva degli
istituti giuridici”. Il contributo del Del Vecchio fu pubblicato, oltre che
negli studi in onore di Flaminio Mancaleoni, in diverse lingue.
[6] Proprio in quanto le idee evoluzionistiche
da lui professata portavano, come vedremo, ad attribuire un ruolo centrale al
diritto comparato (nel senso che questo aveva allora: un diritto comparato
dunque, tra l’altro, ancora non autonomo rispetto alle altre scienze giuridiche
ed in particolare alla filosofia).
[7] Fois, Storia dell’Università di Sassari, Urbino, 2000, p.83-84: “Antonio Conti impersonò forse quella nuova figura professionale di medico che negli ultimi anni Ottanta e nel decennio successivo sarebbe stata la principale protagonista della nuova pagine della medicina igienista collegata con la riforma crispiana del 1888. Con Conti (che non invano aveva compiuto esperienze diverse in altri atenei e poteva vantare la confidenza con un’ampia casistica medica quale quella che all’epoca possedevano i sanitari militari) le idee nuove della medicina positivista si incontravano con la sensibilità progressista per la questione sociale …”.
[8] Estratto da Studi sassaresi, Sassari, 1921, I.
[9] Citazione riportata da
Constantinesco, L’evoluzione del diritto comparato, Torino, 1996, p.96-97, che
cita Amari; per l’Amari il diritto comparato (quello che lui chiama
“legislazione comparata”) ha due scopi: 1)esaminare le cause del fenomeno
giuridico, esaminare i fattori che lo producono o contribuiscono a produrlo,
fra cui vengono analizzati il clima, i costumi, la religione e la politica
economica; 2)studiare il destino delle leggi nella realtà concreta, la forma
nella quale le norme dei diversi popoli nascono, vivono, si modificano e tramontano.
[10] “..per intendere pienamente
le ragioni egli scopi della comparazione, e quindi della scienza medesima,
conviene risalire a un principio, che domina tutta questa materia: cioè alla
reale unità dello spirito umano, di cui il diritto è una necessaria estrinsecazione”:
Del Vecchio, Sull’idea di una scienza del diritto universale comparato,
Comunicazione letta al Congresso filosofico di Heidelberg il 4 sttembre 1908,
Torino, 1908, p.16.
[11] Negri, op.cit., ibidem.
[12] L’etnologia parte dalla
premessa che le istituzioni sociali e giuridiche, nonostante le differenze, si
sviluppano necessariamente nella medesima direzione: c.d. Elementargedanke
(idea elementare). Idea che troviamo ribadita negli scritti del Del vecchio,
ancora sino agli anni ’50; il filosofo, dopo aver fatto riferimento espresso
all’Amari, al Sumner Maine, a Post, a Kohler, conclude che “Dal complesso dei
dati raccolti in tutte le moderne ricerche, anche riguardo ai popoli che ebbero
scarsi rapporti con altri, è risultata la conferma di ciò che già da tempo era
stato intuito in sede puramente filosofica: cioè l’unità dello spirito umano,
dal quale scaturisce il diritto. Si è infatti accertato che gran parte delle
persuasioni e quindi delle norme giuridiche appaiono similmente presso tutti i
popoli in tutti i tempi, anche laddove non si sono verificate
comunicazioni od imitazioni”: Del Vecchio, Le basi del diritto comparato e i
principi generali del diritto, in Rotondi, a cura di, Buts et méthodes du droit
comparé, Padova, 1973, p.117; analogamente in Sull’idea di una scienza del
diritto universale comparato cit., p.1: “Chi oggi affermasse che è
scientificamente ammissibile e necessaria l’esplorazione del diritto positivo
di tutti i popoli e di tutti i tempi-, che pur l’esame delle fasi primitiva ed embrionali
è indispensabile per la piena intelligenza delle ulteriori, e che la
comparazione dei vari dati è il mezzo più idoneo per determinare i caratteri e
le tendenze dell’evoluzione giuridica, non troverebbe forse un oppositore;
tanto è ormai radicata, nella comune coscienza degli studiosi, la persuasione
della legittimità ed importanza dell’indagine empirica sì in generale, come
anche in relazione al diritto”.
[13] Constantinesco, op.cit.,
p.120: così per Post “l’etnologia trova l’umanità racchiusa in grandi processi
evolutivi rigorosamente regolari, che perseguono la loro via per secoli e
secoli, del tutto incuranti dei piccoli avvenimenti storici che si manifestano
soltanto qua e là come sintomi dell’enorme processo del divenire … le
variazioni di queste norme e degli istituti giuridici universali, così come
vengono provocate dalla particolarità dei singoli popoli e delle loro
condizioni d’esistenza, non hanno alcun valore autonomo, ma rappresentano
soltanto i limiti della variabilità dei tipi universali”.
[14] “Il pregiudizio che dominò
per un certo tempo, specialmente sotto l’influsso della “historische
Rechtsschule”, secondo il quale ogni popolo avrebbe necessariamente un proprio
diritto, a lui strettamente peculiare, relativo soltanto alle sue particolari
condizioni di vita e perciò sempre diverso da quello degli altri popoli, ha
dovuto cedere di fronte a una considerazione più vasta della stessa
fenomenologia del diritto; la quale ha dimostrato ormai in modo non dubbio che
una grandissima parte dei principi e degli’istituti giuridici fondamentali è
patrimonio comune di tutta l’umanità di ogni tempo. Su cotesta comunanza
insistono spesso, nel fatto, i moderni cultori della giurisprudenza comparata;
poiché essi bene intuiscono, quand’anche non l’avvertano espressamente, che
questa scienza trae la sua vera ragione di essere dal presupposto della
sostanziale unità dello spirito umano, che si rivela pure attraverso il
diritto”: Del Vecchio, Sull’idea di una scienza del diritto universale
comparato cit., p.17-18. Quanto alle somiglianze dovute da fenomeni di
imitazione e recezione, “Questa tendenza non è se non un aspetto dello sviluppo
dello spirito umano; onde ha insieme il carattere della spontaneità e della
necessità, né si fonda su circostanze o impulsi esteriori. Bensì, quel fatto
testè notato, della comunicabilità delle idee giuridiche tra popoli differenti,
mentre già per sé suppone una certa unità dello spirito umano (senza di che non
sarebbe possibile), concorre effettivamente ad agevolarne l’esplicazione e
favorirne l’avveramento nell’ordine positivo. Gli incontri che per contingenze
diverse, ma con frequenza ed estensione crescenti, avvengono tra i componenti
dei vari gruppi, sono la bona occasio per riconoscere reciprocamente l’identità
dell’essenza spirituale che è propria di tutti gli uomini, e stabilire quindi
rapporti, che hanno appunto per base il riconoscimento, almeno parziale, di
cotesta unità di natura”: ibidem, p.21. Nello scritto di del Vecchio emerge
l’eco di una polemica relativa al rapporto fra filosofia e diritto comparato:
secondo il filosofo, se è vero che “la scienza del diritto universale comparato
verte nella sfera dell’esperienza, traendo alimento dai fatti della
fenomenologia giuridica come tale, ha nondimeno tutta una serie di premesse e
di addentellati filosofici, senza dei quali essa necessariamente cadrebbe ….Come, esistendo in verità siffatti
rapporti, si sia potuto ravvisare un’antitesi tra giurisprudenza comparativa e
Filosofia giuridica, sino a dichiarare a questa la guerra in nome di quella;
come si sia potuto scrivere, per esempio dal Post, che, sorta ormai la
giurisprudenza comparativa, la speculazione filosofica sul diritto “vollkommen
einer vergangenen Zeit angehort”, si stenterebbe a comprendere, se non fosse
ormai troppo nota la forza del pregiudizio antifilosofico ai nostri giorni …” (p.23-24).
[15] Del Vecchio, L’unità dello spirito umano come base della comparazione giuridica, in Riv.int.fil.dir., 1950, p.431 ss.
[16] Un’ultima considerazione:
si è detto che al diritto comparato nell’epoca che si è presa in considerazione
veniva da alcuni attribuito il compito, in ultima analisi, di portare
all’unificazione del diritto e che questa concezione era utopistica e
propugnata soltanto a livello dottrinale. Facendo un parallelo con la
situazione attuale del diritto comparato, può dirsi che anche oggi, ad un
secolo di distanza, uno degli scopi della comparazione è proprio quello di far
da guida all’unificazione del diritto: ma oggi tale concezione, sia pure intesa
su scala più ristretta e liberata dall’aspirazione all’universalismo, non può
considerarsi altrettanto utopistica e non è più soltanto il frutto di
propaganda della dottrina; ma trae giustificazione da necessità pratiche
presenti nell’attuale momento storico e soprattutto nel contesto europeo, dal
fenomeno di integrazione comunitaria, che sta ravvicinando il diritto: in tale
processo il diritto comparato dà un apporto concreto imprescindibile.