N° 2 - Marzo 2003 – Lavori in corso – Contributi

 

Il costituzionalismo del secondo dopoguerra e la crisi del controllo di costituzionalità accentrato[1]

 

 

Pietro Pinna

Università di Sassari

 

 

1.                  La distinzione tra il sistema di giustizia costituzionale accentrato e quello diffuso è diventata problematica. La questione se il sistema accentrato di giustizia costituzionale in Italia comprenda forme di controllo diffuso della costituzionalità delle leggi, evidentemente, la presuppone. Quindi preliminarmente va discussa la validità di tale discriminazione.

Le differenze tra il modello diffuso americano (judicial review) e quello accentrato austriaco (Verfassungsgerichtbarkeit) erano apparse già a Cappelletti meno nette di quanto emerga in linea di principio[2]. Pizzorusso poi le ha ulteriormente sfumate e, utilizzando l’astrattezza o la concretezza quale criterio di discriminazione, è pervenuto alla conclusione che il giudizio accentrato di costituzionalità instaurato in via incidentale non è molto diverso da quello diffuso, proprio degli U.S.A. Egli inoltre ha posto in rilievo che la concretizzazione del sistema accentrato è correlata alla funzionalizzazione della giustizia costituzionale alla protezione dei diritti. In questo modo il giudizio di costituzionalità instaurato in via incidentale ha assunto caratteri più giurisdizionali che politici, mentre quello instaurato in via principale è caratterizzato in modo più politico che giurisdizionale ed è rivolto alla tutela della ripartizione costituzionale delle competenze[3].

A.       Il senso e la portata di questa trasformazione emergono se si volge lo sguardo verso l’evoluzione del costituzionalismo europeo di questo Secondo dopoguerra[4].

La costituzione dello stato liberale ottocentesco, secondo il paradigma del costituzionalismo dell’Europa continentale, era fondamentalmente organizzativa, cioè era la costituzione dell’assetto di potere piuttosto che della libertà. Negli Stati Uniti d’America, invece, la costituzione è stata percepita come legge superiore[5]. Qui i giudici la hanno utilizzata subito come parte fondamentale del diritto in base al quale esercitare la giurisdizione. La giustizia costituzionale quindi è stata concepita come parte integrante della funzione giurisdizionale (comune). Il diritto costituzionale (più precisamente, la pretesa giuridica fondata sulla costituzione) è stato utilizzato dai giudici in quanto diritto posto a tutela della libertà. Insomma è stato visto non come diverso da quello legislativo, ma piuttosto come il diritto posto da una legge superiore, che quindi in caso di contrasto prevale sulla legge. Pertanto, secondo questa impostazione, il giudice affronta la questione di costituzionalità come un problema attinente alla determinazione del diritto da applicare al caso, cioè alla stregua di una comune questione interpretativa, che quindi è connaturata all’esercizio della funzione giurisdizionale.

Nell’Europa continentale invece la costituzione e la legge sono state poste su due piani paralleli. I diritti sono stati fondati non sulla costituzione, ma  sulla legge. Questa soltanto quindi ha costituito il diritto applicato dai giudici, mentre il diritto costituzionale ha riguardato l’assetto politico statale. Perciò non si è neppure posto il problema della disapplicazione della legge in contrasto con la costituzione. E’ vero che i giudici sono stati assoggettati soltanto alla legge, cioè è stato imposto loro di applicare il diritto legislativo. Ma questo vincolo è stato prescritto per renderli indipendenti dall’apparato regio. È stata, insomma, la soluzione di un problema costituzionale, attinente cioè all’assetto di potere piuttosto che alla tutela dei diritti: sottrarre i giudici al re per sottoporli al comando astratto e impersonale dei parlamenti borghesi. In questo modo i giudici e la funzione giurisdizionale sono stati al servizio non del re, ma della legge, nonostante siano rimasti funzionari regi.

La giustizia costituzionale teorizzata da Kelsen, quindi il modello della Verfassungsgerichtbarkeit, si inscrive all’interno di questa tradizione del costituzionalismo europeo. E’ infatti un presidio della costituzione organizzativa e non dei diritti. Ha forma giurisdizionale, ma non è giurisdizione. E’ semmai controllo di costituzionalità delle leggi diretto a difendere la ripartizione costituzionale delle competenze. E’ quindi un controllo svolto da un organo apposito, l’unico abilitato, non a disapplicare, ma ad eliminare le leggi incostituzionali[6]. L’alternativa applicazione o disapplicazione appartiene infatti ad una problematica tipicamente interpretativa, quindi giudiziaria. Il controllo di costituzionalità accentrato invece prescinde dalle concrete controversie giudiziarie, perché è diretto non a tutelare i diritti, ma ad eliminare le leggi incostituzionali. Sicché incide sulla vigenza di queste. Appartiene al processo formativo, non a quello applicativo del diritto. E’ rivolto a fare in modo che la legge ed il legislatore stiano al posto loro assegnato dalla costituzione (in questo senso la giustizia costituzionale è un potere neutro). Influisce sulla giurisdizione e sui diritti, in quanto modifica il diritto legislativo, quindi indirettamente. In definitiva, il sistema accentrato della giustizia costituzionale è parallelo alla giurisdizione e ai diritti, così come la costituzione è parallela alla legge. La sovrapposizione della costituzione alla legge è situata nell’ambito non dei diritti, ma delle competenze. Perciò nell’Europa continentale la dottrina costituzionalistica prevalentemente ha spiegato la superiorità della costituzione con la rigidità, quindi con un elemento estrinseco e formale (procedimentale), del documento costituzionale. Da qui l’idea comunemente accettata secondo cui la rigidità sarebbe il presupposto della giustizia costituzionale e allo stesso tempo il bene protetto da questa.

B.       Il costituzionalismo europeo dell’ultimo dopoguerra ha fatto venir meno il parallelismo tra la costituzione e la legge, per quanto riguarda la tutela dei diritti, aprendo così la strada all’uso giudiziario del diritto costituzionale.

La costituzione non ha perso il significato, conforme alla tradizione europea, di organizzazione dello stato. Tuttavia essa organizza lo stato in connessione con la strutturazione della società, secondo valori radicati e accettati socialmente piuttosto che decisi e imposti politicamente. Questi valori, espressi con principi costituzionali, costituiscono l’insieme delle convinzioni condivise su cui si basa la complessa costituzione democratico-pluralista. I principi della costituzione non sono quindi il fondamento del progetto costituzionale dei vincitori, unitario e rigido, che pretende di essere soltanto attuato; sono piuttosto l’identificazione dello sfondo di possibili intese e processi di unificazione politica; sono cioè non un disegno precisamente definito e consegnato dal potere costituente a quello costituito per la sua realizzazione, ma una prospettiva, il campo delle opportunità da scoprire e da coltivare con la pratica politica democratica-pluralista. Essi sono quindi la possibilità di una esistenza politica discorsiva; l’unica compatibile con un assetto democratico e pluralista.

Pertanto, la disciplina costituzionale si è estesa a ogni ambito di vita sociale, senza alcuna pretesa totalizzante. Il tradizionale senso organizzativo della costituzione si è arricchito di nuovi importanti significati, che derivano dalle aspettative di giustizia e di libertà che le costituzioni del secondo dopoguerra hanno recepito con norme che rendono vincolanti giuridicamente i principi etici che sono riconosciuti universalmente come principi di civiltà[7]. La costituzione quindi fonda l’organizzazione innanzitutto nel senso che prescrive la trasformazione conforme ai principi di giustizia e di libertà, indica la prospettiva di un futuro migliore. Essa non solo indica la legittimazione dell’organizzazione e dell’azione politica, ma fonda anche la rivendicazione di una condizione sociale di esistenza individuale e collettiva libera e dignitosa; la pretesa per sé e per altri (che versano nella medesima condizione di disagio) di una vita migliore, più libera e dignitosa. Questa pretesa soggettiva può essere fatta valere nei confronti di qualsiasi potere costituito e innanzitutto nei riguardi del legislatore (ordinario e perfino costituzionale). Si possono dunque avanzare pretese di diritti e di libertà in base alla costituzione; queste prevalgono su quelle fondate sulla legge; insomma la costituzione è diventata legge superiore, che configura posizioni soggettive difendibili in via giurisdizionale.

 

C.       Il sistema di giustizia costituzionale accentrato di stampo kelseniano è stato messo in crisi da questa evoluzione del costituzionalismo del secondo dopoguerra: originariamente concepito come parallelo a quello giurisdizionale, in quanto potere neutro al servizio dell’interesse oggettivo al buon funzionamento delle istituzioni, della costituzione, è stato via via chiamato a difendere interessi soggettivi, le libertà e i diritti costituzionali. Il cambiamento è avvenuto attraverso l’instaurazione incidentale vincolata alla pregiudizialità della questione di costituzionalità, che ha determinato una stretta connessione tra le controversie concrete e i problemi di costituzionalità della disciplina da applicare ad esse. In questo modo la giustizia costituzionale è stata posta sempre più al servizio della giurisdizione, cioè della decisione dei casi concreti conforme alla costituzione. Dal punto di vista funzionale, la giustizia costituzionale non è stata più separata dalla giurisdizione (comune). Funzionalmente dunque è venuto meno il parallelismo tra questa e quella che caratterizzava il sistema accentrato. Strutturalmente permane l’accentramento, i giudici (comuni) non possono disapplicare la legge. Lo possono fare soltanto dopo che la corte costituzionale ne ha dichiarato l’incostituzionalità. Da questa situazione di unità funzionale e di differenziazione strutturale è emerso un sistema complesso di giustizia costituzionale, che può essere reso abbastanza bene con l’idea dell’integrazione: la corte costituzionale e i giudici comuni costituiscono un sistema integrato di giustizia costituzionale. Da una parte la funzione (di giustizia costituzionale) non è più accentrata dal primo, quindi non è più indipendente dalla giurisdizione (comune), in questo senso è quindi diffusa; dall’altra parte, i secondi non possono ricavare dalla costituzione la norma da applicare se vi è una norma legislativa contrastante, cioè non possono disapplicare la legge e contemporaneamente applicare la costituzione. La funzione è la stessa, ma il ruolo è diverso, il giudice non può disapplicare la legge incostituzionale, se non è stata dichiarata tale dalla corte costituzionale. Questo risulta dagli artt. 101 e 136 della Costituzione, dall’art. 30, 3°, della legge 87/1953: il giudice è soggetto alla legge (soltanto), però deve disapplicarla quando sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima.

 

D.       Se si segue questa prospettiva, emerge non solo l’integrazione del controllo di costituzionalità con la giurisdizione comune in funzione della tutela dei diritti costituzionali, ma anche la diffusione del giudizio di costituzionalità: tutti i giudici giudicano della legittimità costituzionale delle leggi, più precisamente delle norme legislative. L’accentramento riguarda solamente quelle questioni di costituzionalità la cui soluzione richiede la disapplicazione della legge. Sicché il giudice comune per sollevare la questione di legittimità costituzionale davanti alla corte deve stabilire non solo se esista un problema di legittimità costituzionale, ma anche se la questione trovi soluzione con la disapplicazione. In altri termini, la questione di legittimità costituzionale va sollevata solamente quando l’individuazione della regola giuridica del caso si pone in termini di disapplicazione di una norma legislativa incostituzionale. Non va sollevata invece se il giudice, ricorrendo alle risorse interpretative a sua disposizione, quindi senza disapplicare la legge incostituzionale, identifica la norma costituzionalmente legittima sulla base della quale decidere la controversia. In definitiva, il giudice comune utilizza direttamente il diritto costituzionale, giudica sulla legittimità costituzionale delle norme legislative. Però non può disapplicarle, poiché la disapplicazione della legge presuppone una sentenza di accoglimento della corte costituzionale.

Come si vede, la concretizzazione-diffusione della giustizia costituzionale, conseguente all’affermazione della costituzione come legge superiore, ha determinato l’integrazione di questa stessa giustizia con quella comune, cosicché i giudici (tutti i giudici) utilizzano il diritto costituzionale, se necessario anche disapplicando la legge sulla base della dichiarazione di incostituzionalità che può essere pronunciata solamente dalla Corte costituzionale. Questa dichiarazione è rivolta all’eliminazione non della legge incostituzionale, ma della norma che impedisce al giudice di applicare la previsione della costituzione o comunque una disciplina costituzionale (conforme alla costituzione); insomma, è diretta a proteggere i diritti fondati sulla costituzione. Sicché la giustizia costituzionale integrata con la giurisdizione (comune) è non più accentrata, ma diffusa, sino a un certo punto.

 

 

1.                  In questo nuovo contesto, l’accentramento della corte costituzionale è evidentemente inversamente proporzionale alla possibilità di risolvere le questioni di legittimità costituzionale con i mezzi interpretativi consentiti ai giudici comuni, quindi alla eventualità che questi ricostruiscano regole costituzionali, rimanendo sottoposti alla legge.

Nel controllo di costituzionalità accentrato-astratto si confrontano disposizioni, cosicché se il testo legislativo è incompatibile con quello costituzionale l’alternativa è: o si applica la costituzione o la legge. L’applicazione della costituzione necessariamente implica la disapplicazione della legge. Questo dilemma si presenta in modo più sfumato, così da consentire soluzioni più articolate, se la relazione è stabilita tra norme, perché in questo caso entrano in gioco i fatti. La concretizzazione della giustizia costituzionale quindi di per sé modifica l’approccio al problema di costituzionalità. L’oggetto del giudizio di costituzionalità si sposta dalle disposizioni alle norme nella stessa misura in cui lo scopo del controllo passa dall’eliminazione della legge incostituzionale all’esercizio della giurisdizione secondo il diritto costituzionale. In conseguenza la giustizia costituzionale si allontana dalla logica dilemmatica del controllo astratto: infatti, questa logica che è propria di ogni giudizio sulla compatibilità tra testi, si adatta male ai giudizi sui fatti secondo regole giuridiche. Ma c’è di più. Non solo l’instaurazione incidentale del giudizio di legittimità costituzionale secondo l’istituto della pregiudizialità o della rilevanza ha modificato l’oggetto e il senso del giudizio di costituzionalità. Ma soprattutto l’evoluzione costituzionale in senso reticolare della democrazia pluralista ha determinato relazioni tra le fonti, in genere, e tra la costituzione e la legge, in particolare, più complesse di quanto lascino intendere i criteri binari o dilemmatici che sono comunemente utilizzati per ordinare le fonti.

La democrazia pluralista, affermatasi con le costituzioni contemporanee, ha frantumato l'omogeneità politica dello stato liberale; ha detronizzato lo stato-sovrano; ha smontato l'apparato statale in molti centri decisionali autonomi. L'organizzazione gerarchica è stata via via soppiantata da una struttura composta di molteplici centri decisionali più o meno autonomi e comunque non subordinati ad un vertice, né incaricati di riprodurre il 'centro' in 'periferia'. L'organizzazione delle costituzioni democratico-pluraliste è infatti senza un vertice, priva di un ponte di comando; in essa non c'è alcun processo decisionale concentrato in un centro, in una istituzione. Quindi manca un corpo centrale o un vertice unitario dal quale muovano i processi di unificazione politica o normativa, di costruzione di un ordine politico-sociale e di un ordinamento giuridico. Gli ordinamenti democratico-pluralisti non hanno quindi una base, né un vertice. L'immagine che li esprime non è quella della piramide, ma quella della rete: l'immagine cioè di una struttura che si compone di tanti nodi, che integrati fra loro, ciascuno per la sua parte, concorrono alla formazione delle decisioni del sistema. Il sistema è reticolare, è l'organizzazione di molteplici nodi che dialogano e interagiscono tra loro. E' una rete interattiva, dove l'influenza reciproca tra i nodi genera decisioni di tutto il sistema. E' un sistema i cui componenti sono accentuatamente interconnessi tra loro, cosicché tra essi vi sono relazioni di interazione e non di subordinazione; è un sistema non lineare, ma circolare; l'unità di questo sistema è processuale e non statica, è il risultato (delle relazioni interattive) della organizzazione reticolare e non il dato presupposto da questa e da cui questa deriva. Nessuna istituzione politica può pretendere di essere l'unità del sistema in quanto tale e perciò di imporsi sulle altre. Infatti l'unità della democrazia pluralista non può essere un qualcosa che annulla il pluralismo, una sintesi della pluralità che riduce i più a uno che li comprende tutti; insomma non può essere una unità che vada oltre, che trascenda la divisione pluralistica; che quindi si affermi oltre, nonostante e contro le molte e diverse parti o comunità politiche che la compongono. Non c'è nessun centro, ma molte istituzioni che esercitano diverse funzioni o le medesime funzioni con diversi ruoli, le cui attività si intersecano secondo linee che si muovono in tutti sensi, come è ben evidenziato dal modello matriciale teorizzato da Elazar[8], per stare alle metafore geometriche o matematiche.

Il sistema delle fonti non coincide completamente con questo assetto istituzionale. Tuttavia, lo rispecchia abbastanza. Sicché avviene che il diritto sia sempre meno prodotto esclusivamente da un soggetto (da un legislatore) e da un unico procedimento (legislativo-parlamentare). Non è dunque più valida l’equazione fondamentale dello stato di diritto borghese: diritto uguale legge; sempre più spesso il diritto è piuttosto il risultato di un processo complesso nel quale intervengono molteplici soggetti secondo vari procedimenti decisionali. Questi sono sempre più difficilmente collocabili in serie, secondo una gerarchia, o in parallelo, secondo la diversa competenza. Infatti, per quanto riguarda la gerarchia, l’organizzazione costituzionale (ma spesso anche amministrativa) ha perso la forma piramidale e centralistica, cosicché la prevalenza della fonte di grado superiore è perlomeno molto attenuata. Infatti, nessuna fonte sembra autosufficiente, indipendente dalle altre. La fonte di grado inferiore è deputata non soltanto all’esecuzione, ma all’integrazione, secondo autonome determinazioni, del diritto prodotto da quella di grado superiore. La disciplina costituzionale, essenzialmente di principio, è integrata dalla legge; le disposizioni legislative, sovente anch’esse formulate in termini di principio o generali, frequentemente rinviano alla disciplina regolamentare di dettaglio, ecc. Si determina in tal modo una nuova circolarità decisionale che si somma a quella antica connaturata al processo di produzione- applicazione del diritto, che è resa con la distinzione tra le disposizioni e le norme (l’interprete è vincolato dai testi; il significato dei testi però dipende dall’interpretazione).

Le fonti prodotte da diversi processi politici sono in qualche misura parallele, cioè intervengono nei diversi ambiti che sono lasciati alle autonome determinazioni dei circuiti decisionali cui esse appartengono. Però ciascuno di questi processi si colloca in un complesso sistema ispirato ai principi non di separazione e di indipendenza reciproca (secondo un certo modo di intendere la divisione dei poteri) ma di partecipazione e interdipendenza. Pertanto, le statuizioni dettate da fonti con diversa competenza finiscono per interferire in qualche punto. Questo avviene in modo evidente quando diversi soggetti esercitano la medesima funzione con ruoli differenti. L’integrazione tra le disposizioni molteplici consente di individuare molte norme che sono più o meno pertinenti o adeguate alla situazione cui devono essere applicate. Sicché l’applicazione di alcune norme non sempre né necessariamente comporta la disapplicazione di altre.

In definitiva, il diritto è prodotto da molteplici fonti interdipendenti. Sicché la regola di un fatto è stabilita non sempre da una fonte piuttosto che da un’altra (superiore o competente), ma più spesso dalle previsioni di molte fonti, pure di diverso grado e competenza, integrate fra loro. Può essere dunque che la regola del caso sia costruita integrando le disposizioni costituzionali con quelle legislative e persino regolamentari. Sicché le combinazioni possibili dei vari testi sono tali e tante che abbastanza spesso è possibile ricostruire una norma costituzionalmente legittima, senza contemporaneamente disapplicare la legge incostituzionale. Per quanto riguarda in particolare il rapporto tra la costituzione e la legge, bisogna aggiungere che le costituzioni di questo secondo dopoguerra prescrivono principi piuttosto che regole di giusta strutturazione sociale, come si è detto in precedenza. E ad un principio corrispondono molteplici regole. Sicché è improbabile che l’applicazione di una norma conforme alla costituzione comporti la contemporanea disapplicazione di un’altra incostituzionale. Può essere che le relazioni tra alcune di queste si configurino come antinomiche. Ma questa contraddizione evidentemente pone un problema tipicamente interpretativo, poiché consiste nell’individuazione della norma pertinente al fatto.

La giurisprudenza per principi ha fatto emergere una ipotesi, per certi versi estrema, che tuttavia chiarisce come nel sistema di giustizia costituzionale che si sta delineando è (deve essere) normale la condizione nella quale possono essere individuate interpretativamente molteplici norme conformi alla costituzione. E’ il caso della norma legislativa incostituzionale perché limita le potenzialità regolatrici del principio costituzionale, come è ben messo in evidenza dalle sentenze della Corte costituzionale sull’adozione. In altri termini, l’illegittimità consiste nella ‘rigidità’ della norma o nella sua pretesa di essere esclusiva che impedisce l’applicazione di altre regole orientate al medesimo principio costituzionale.

In conclusione, l’individuazione di una norma conforme alla costituzione dovrebbe essere impossibile fondamentalmente in due sole ipotesi, cioè quando: a) la disposizione consente soltanto una interpretazione incostituzionale ovvero impedisce l’individuazione di una regola costituzionale; b) comunque, sulla base di essa si è consolidato un diritto vivente incostituzionale. In questi due casi la questione di costituzionalità si configura in termini di disapplicazione così da richiedere l’intervento della corte costituzionale. infatti esclusivamente la sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale ha l’effetto di eliminare disposizioni, in virtù dell’art. 136 Cost., quindi di imporre la disapplicazione delle norme che se ne ricavano, secondo la previsione della legge 87/1953. Nelle altre ipotesi, invece la questione di legittimità costituzionale può essere decisa dal giudice comune. Dunque, la questione di costituzionalità nella maggior parte dei casi, normalmente – forse si potrebbe dire – può essere decisa nell’ambito della giurisdizione comune. Sicché la giustizia costituzionale in Italia si evolve verso un particolare sistema diffuso, che si differenzia, sotto vari profili, dal modello statunitense. La funzione della corte costituzionale tende verso il controllo della costituzionalità del diritto vivente. Questo è il nuovo ruolo dell’organo di giustizia costituzionale che si profila all’orizzonte. Esso si fonderebbe ormai soltanto sulla sua posizione di strutturale estraneità dalla giurisdizione.

Il processo che spinge la corte costituzionale verso una sorta di funzione nomofilattica del diritto costituzionale è ancora in itinere e forse non è neppure giunto ad una fase irreversibile. Quindi potrebbe essere efficacemente contrastato. Tuttavia, il suo esito possibile, anzi probabile, perché poggia su una base solida, è che il ruolo della corte costituzionale riguardi più la corretta ed uniforme applicazione del diritto costituzionale che l’annullamento delle leggi.



 

[1] Pubblicato in Il giudizio sulle leggi e la sua "diffusione", a cura di MALFATTI, ROMBOLI, ROSSI, Torino 2002.

 

[2] CAPPELLETTI, Il controllo giudiziario di costituzionalità delle leggi nel diritto comparato, Milano 1968, 51 ss.

 

[3] PIZZORUSSO, I sistemi di giustizia costituzionale: dai modelli alla prassi, in Quaderni cost., 1982, 522 ss.

 

[4] Cfr. DOGLIANI, Introduzione al diritto costituzionale, Bologna 1994; PINNA, La costituzione e la giustizia costituzionale, Torino 1999; VOLPE, Il costituzionalismo del Novecento, Bari 2000.

 

[5] Cfr. FIORAVANTI, Appunti di storia delle costituzioni moderne, I, Le libertà: presupposti culturali e modelli storici, Torino 1990; ID, Stato e costituzione, Torino 1993; MATTEUCCI, Lo Stato moderno, Bologna 1993; ID., Organizzazione del potere e libertà, Torino 1988; REBUFFA, Costituzioni e costituzionalismi, Torino 1990.

 

[6] KELSEN, Judicial Review of Legislation. A Comparative Study of the Austrian and the American Constitution, in Journ. of pol., 1942, trad. it. Il controllo di costituzionalità delle leggi. Studio comparato delle costituzioni austriaca e americana, in La giustizia costituzionale, Milano 1981, 305; ID, La garantie jurisdictionnelle de la Constitution (La justice constitutionnelle), in Rev droit publ., 1928, trad. it. La giustizia, cit. , 152 s.; ID, Wer soll der Hüter der Verfassung sein?, in Die Justiz, 1930-31, trad. it. La giustizia, cit., 288 ss.

 

[7] Sui principi giuridici-etici v. HELLER, Staatslehre, Leiden 1934, trad. it., Dottrina dello Stato, Napoli 1988, 316 ss.

 

[8] ELAZAR, Exploring Federalism, The University of Alabama Press, 1987, trad. it. Idee e forme del federalismo, Milano 1998