N° 2 - Marzo 2003 – Lavori in corso – Contributi
L’EMERGENZA DELL’ISTITUZIONE POLITICA NELLA
STORIA ISLAMICA
Università
Sommario: 1. L’istituzione politica all’epoca del profeta. a) la tappa della Mecca. b) la tappa
di Medina. 2. La successione del profeta. a) Abù Bàkr. b) Umar ibn Al-Kattab. 3. L’istituzione politica all’epoca dei ommyadi.
Gli esperti di diritto
costituzionale definiscono lo stato come un gruppo di individui che vivono
insieme in permanenza su un territorio, e che sono sottomessi a un governo
indipendente e che sono legati tra loro da idee politiche. Questa definizione
di stato non si trova nel Corano, neanche nella sunna (la tradizione profetica)
perché essa è una definizione moderna.
Però, è possibile determinare il
concetto di Stato, e l’evoluzione del suo senso nel corso della storia
islamica.
È certo che gli ordini
politici nascono nella realtà prima di essere formati nel pensiero politico.
Per parlare dell’emergenza
dell’istituzione politica nell’Islam è necessario ricordare gli avvenimenti che
hanno dato origine al pensiero politico islamico cioè ritornare alla storia
antica dell’Islam.
Si può dire che gli Arabi non
avevano vissuto una vita politica prima dell’apparizione dell’Islam, che veniva
ad annunziare l’unicità in tutti i suoi livelli, tra i quali l’unificazione
delle tribù arabe in una sola comunità [la umma].
Il corano dice: «eravate nemici e v’ha posto armonia in cuore
e per la sua grazia siete divenuti
fratelli» (Corano III, 103).
Quella umma (comunità) si è evoluta pian piano, è diventata uno «stato», ma senza prendere la forma dello
stato nel concetto moderno.
La vita sociale della nuova
città dell’Islam (Medina) è stata
organizzata dal profeta Muhammad
secondo i principi della nuova religione, mentre gli affari privati sono stati
affidati alla gente perché il profeta diceva: «siete i migliori conoscitori dei fatti vostri».
Lo stato nella storia islamica è
apparso per rispondere ai bisogni e alle esigenze della nuova società islamica
in campo organizzativo.
Ovviamente ogni azione che cerca
di organizzare la società, implica -generalmente- l’apparizione del potere.
Però,
nell’Islam antico, il potere non aveva potuto assumere la sua forma politica se
non tardivamente.
È certo che il profeta Muhammad non era un governatore politico
nel senso stretto del termine.
- Come è emersa l’istituzione
politica: la cosiddetta «KHILAFA»,
(il califfato) dall’istituzione religiosa?
- e come erano i rapporti tra
quelle due istituzioni nell’esperienza e la coscienza dei primi musulmani?
Per rispondere a queste due
domande bisogna ricordare i momenti determinanti, che sono stati all’origine
della storia politica dell’Islam antico.
- La sunna, cioè la tradizione
profetica, secondo Ibn Hischem.
- le fonti storiche (AT-Tabari).
Le nostre fonti sono le seguenti
alcune fonti contemporanee come:
- la grande discordia di Hishem
Dja(t)
- la ragione politica araba di
Muhammad ABED AL Jabri.
È certo che la missione di Muhammad non è stata un progetto
politico, ma essenzialmente una missione religiosa e ciò non ci impedisce di
vedere quella missione sotto un aspetto politico.
D’altronde, i suoi nemici di «Quraych» (la tribù del profeta)
l’avevano visto sotto questo punto di vista.
Il periodo profetico è stato
diviso in due grandi tappe:
a) la tappa della Mecca (prima
dell’esodo: «AL- Higra» che era la
tappa della missione (da’wa) e della
pazienza.
b) La tappa di «Medina» (dopo l’esodo) che è stata
considerata da alcuni studiosi come la tappa della fondazione dello stato[1].
Questo cambiamento che andava
dalla «missione» allo «Stato» si basava su due fronti:
1) il fronte interno,
cioè:
- l’organizzazione: della vita
degli immigrati (coloro che hanno partecipato all’esodo dalla Mecca verso
Medina).
- L’organizzazione dei rapporti
tra gli immigrati e i residenti (al-muhagiroun
e al - ansar).
- L’organizzazione tra la «umma» (la comunità musulmana) e gli altri
(gli ebrei ed i cristiani), e c’era un documento della tradizione profetica che
si chiama «as- sahifà»[2]
una sorta di costituzione che organizzava quei rapporti.
2) Il fronte esterno:
dove i primi credenti musulmani avevano praticato «la politica» di fronte agli infedeli di Quraysh. Intendiamo per «politica»
qui: la guerra armata, la guerra psicologica, le invasioni delle tribù nemiche
e i rapporti tra i musulmani e gli altri: i Romani, i Bizantini ecc.
Lo «Stato» della missione al
tempo del profeta somigliava a un stato federale, composto da molti gruppi e
tribù, le loro relazioni sono state organizzate secondo il documento di «as - sahifa».
L’alleanza politica tra quei
gruppi e quelle tribù da una parte e lo stato di Medina dall’altra si faceva
attraverso l’elemosina legale che è stata il simbolo dell’impegno politico.
Da ciò si capisce perché alcune
tribù avevano rifiutato proprio questo pilastro (l’elemosina legale) quando
avevano annunciato l’apostasia[3].
Infatti, la ribellione
contro lo stato del profeta si era servita delle stesse armi usate dallo stato
profetico cioè:
- il denaro (attraverso
l’elemosina);
- la profezia.
La ribellione era- infatti -
politica e religiosa nello stesso tempo.
E quando il profeta è morto ha
lasciato una religione completa e una situazione politica molto critica a causa
dell’apostasia di alcune tribù.
Le fonti storiche e religiose
sono d’accordo nel sostenere che il profeta non ha menzionato il suo successore[4].
La scelta del nuovo
capo dei musulmani era il primo problema politico interno che la comunità
musulmana aveva affrontato.
Ciò che ci interessa è il modo
in cui i musulmani hanno scelto il primo califfo (Successore) «Abù Bakr» (570-634), e soprattutto i
criteri della scelta.
Ci sono tante deduzioni:
(1) il criterio tribale era più
determinante del criterio religioso[5].
(2) la maniera in cui i compagni
del profeta avevano esaminato la questione della successione. Le nostre fonti
mostrano che i compagni hanno considerato quella questione più da un punto di
vista degli affari temporali e non religiosi.
a) Quando i primi musulmani
hanno proclamato «Abù Bakr» come
califfo (KHALIFA) cioè: vicario del
profeta o il suo successore, era chiaro che essi non pensavano che si trattasse
di un vicario religioso oppure di una eredità dell’aspetto profetico[6],
ma si trattasse - semplicemente di una successione che riguardava i suoi
carichi secolari o temporali. Così nacque la prima istituzione del califfato [Khilafà].
Poiché la comunità di quei tempi
era una comunità religiosa e politica nello stesso tempo, il suo comandamento
non poteva essere che un comandamento politico-religioso[7].
Però il califfo era nello stesso
tempo:
- il capo della preghiera (Imâm)
- e anche il capo della
guerra (Emir).
È chiaro quindi che in quel
periodo si accettava la mescolanza di religione e politica, perciò i musulmani
hanno associato il califfato e la preghiera con un solo appellativo cioè «Imàmà», ma facendo la distinzione tra la
grande imàmà (il califfato) e la
piccola imàmà (la preghiera).
Questa mescolanza durerà per
quasi tutto il periodo dei «califfati ben
diretti» (oppure «legittimi»).
Sembra che non sia
stato possibile vedere emergere un’istituzione puramente politica durante quel
periodo a causa della mescolanza sopra accennata.
b) Ciò che si può dedurre qui è che quella istituzione
politica sebbene fosse legata all’istituzione religiosa, non aveva mai cessato
di evolversi, in particolare durante l’epoca del secondo califfo OMAR. (Ì UMAR 581-644) che aveva istituito i primi ordini
amministrativi, giuridici ed economici nello stato d’allora.
Il più importante di quegli
ordini era il cosiddetto «Diwan»[8]
un tipo d’amministrazione finanziaria destinata a gestire il denaro proveniente
dalle conquiste, dalle tribù oppure dalle tasse. Ma quelle procedure non erano
sufficienti per creare un’istituzione politica indipendente dall’istituzione
religiosa.
Si dovrà aspettare l’epoca degli
omyiadi (661-750) affinché
quell’istituzione veda la luce.
Ma prima di quell’epoca erano
successe numerose vicende storiche note nella tradizione islamica col nome di «Fitnà» (la grande discordia), una guerra
civile che aveva diviso la società musulmana in due fazioni, e che aveva come
oggetto principale il potere politico.
Ciò che ci riguarda è il
significato politico di quegli avvenimenti.
Si può dire che le vicende della
discordia erano l’espressione o il segno di un vuoto costituzionale[9]
nel potere politico.
Le manifestazioni di
questo vuoto sono:
- La mancanza di una
tradizione nel designare un califfo (non c’era una maniera precisa).
- L’assenza di una legge che
determina la durata del mandato del califfo.
- L’ambiguità delle competenze
del califfo[10].
L’arrivo del primo califfo ommyadio «MÌuawia» (551-680) al potere è stato il segno della fine di
un’epoca e l’inizio di un’altra.
Se lo stato è un fenomeno
politico, il potere di MÌuawia è stato veramente il fenomeno politico nella storia
antica dell’Islam. Egli è stato il primo capo musulmano che ha creato
effettivamente un «clima politico».
Così cominciava ad apparire
nella società musulmana «il dominio
politico»[11]
dove la politica si praticava in sé, senza determinazione della religione.
Questo cambiamento si
manifestava sulla struttura della società e dello stato.
Un Ulema malikito[12]
ha riassunto questo trasferimento quando diceva:
«Prima (cioè prima degli ommyadi) i capi politici erano anche sapienti, mentre la popolazione era
l’esercito. Poi le cose sono cambiate: i capi politici sono divenuti una
categoria a parte, mentre i sapienti costituiscono un’altra categoria; era la
stessa cosa anche per la popolazione e l’esercito che sono divenuti due
categorie separate».
Era il trasferimento di un’epoca, in cui l’istituzione politica era
legata all’istituzione religiosa, ad un’altra epoca in cui il califfo era
divenuto un uomo puramente politico, separato dai «religiosi», così cominciava un
periodo dell’evoluzione storica dell’istituzione politica islamica di cui la
legittimità non si basava più sulle considerazioni religiose ma soltanto sui
principi della forza e della competenza politica e niente altro[13].
Si capisce dunque perché è difficile parlare di
«stato islamico» ma piuttosto dello stato nella storia islamica, e di
conseguenza sarebbe difficile parlare di un modello statico dell’istituzione
politica nell’Islam.
[2] (Abu Muhammàd) IBN HISCHEM, as-sirà an-nabawià, I,
[3] M.J. AT-Tabari, Tàrih al umam wa al- muluk III, 2e ed., Beyrout 1987, p. 241.
[4] M.J. AT-TABARI, op. cit., p. 232.
[5] M.A. Djàbri, al àql as – siassi,
p. 132.
[6] M.A. djàbri,
op. cit., p. 370; H. DJAÏT, al fitna, Beyrout 1992, p. 37.
[7]
M.A. djàbri, loc. cit.
[8] M.J. At-Tabari,
II, Tarih al umam wal- muluk, p. 570.
[9] Djàbri,
op. cit., p. 368.
[10] M.A. djàbri,
op. cit., p. 369.
[11] B. Badie,
Les deux états: Pouvoir et société en
terre de l’Islam, Paris1986, p. 18.
[12] Quello erudito si chiamava:
Ibn Aràbi al Andaloussi, in: Abù
Abdellah ibn lazràk, badaiÌu as - silk fi tabai Ì al – mulk, I, Bagdad 1971, p. 391.
[13] H. Djait, al fitnà, p.
324.