N° 2 - Marzo 2003 – Lavori in corso –
Contributi
POTERI DELLO
STATO, CHIESA CATTOLICA E CONFESSIONI RELIGIOSE NELLA COSTITUZIONE ITALIANA
Sommario:
1.Impostazione costituzionalistica e
prospettiva interordinamentale nello studio del diritto ecclesiastico;
l’influenza degli ordinamenti religiosi sulle famiglie giuridiche dei diritti
laici. - 2. Sfera politica e sfera religiosa: due mondi a
confronto; l’Imperatore Costantino ed il cristianesimo; sviluppi e obiettivo
della relazione. 2. Poteri dello Stato, libertà
ed eguaglianza delle confessioni religiose. - 3. Parallelismo fra l’art. 7, 2° comma e l’art. 8, 3°
comma, della Costituzione italiana. - 4. Ordinamenti confessionali e
consolidamento del principio pattizio. Limiti ai poteri dello Stato discendenti
dall’art. 20 Cost.
Lo svolgimento della relazione comporta
un ridimensionamento di alcuni orientamenti (anche autorevoli), emergenti nel
quadro della dottrina italiana, che portano al centro del diritto ecclesiastico
i principi della libertà religiosa, dell’uguaglianza e del pluralismo,
mortificando la prospettiva interordinamentale. Tali orientamenti, il cui peso
non va misconosciuto per il deciso impulso a riconsiderare l’intero ambito
della disciplina alla luce delle norme costituzionali concernenti i diritti di
libertà[1],
non pongono nel giusto rilievo il valore del sistema che fa capo all’art. 7 della
Carta, frutto di approfonditi ed eloquenti dibattiti in seno all’Assemblea
costituente[2],
nonché l’influsso da esso esercitato sull’interpretazione giuridica concernente
il fattore religioso[3],
a prescindere dall’indirizzo volto a collocare i negoziati con le confessioni
diverse dalla cattolica sul piano degli accordi politici esterni[4].
L’esame del quadro
costituzionale rilevante dimostra ad
oculos come sia impossibile non tenere in debito conto, salvo modificazioni
radicali (che non trovano riscontro nella maggioranza delle forze politiche né
del Paese reale), la concreta disciplina costituzionale della libertà religiosa
nel suo profilo collettivo, con le varie conseguenze che ne discendono in sede
di accordi o di rapporti inter potestates,
prima fra tutte la delimitazione dei poteri dello Stato, titolare della
sovranità nel proprio ordine, a fronte del parallelo riconoscimento della
sovranità della Chiesa e, mutatis
mutandis, dell’autonomia istituzionale delle confessioni di minoranza.
D’altra parte, non è
possibile omettere che la classica distinzione del Ruffini fra libertà
religiosa e libertà delle confessioni religiose, invero non trascurata dalla
Costituzione (artt. 2, 3, 19 – 7, 8, 20), è posta in crisi dalle articolazioni
concrete della libertà religiosa individuale, effettivamente regolate dal
concordato e dalle intese con le confessioni diverse dalla cattolica[5].
Del pari, non è da passare sotto silenzio, nella cornice dell’attuale sistema
di rapporti fra Stato e confessioni (in linea di continuità con la storia delle
relazioni fra Stato e Chiesa in Italia ed in genere nell’Occidente cristiano),
la motivata ed originale concezione di un chiaro autore, la cui importanza è di
immediata evidenza non meno delle sue implicazioni[6].
Essa, formulata due anni
avanti l’inizio dell’attività della Corte costituzionale (quindi risalente nel
tempo), individua per i diritti di libertà, accanto ad un contenuto negativo,
un contenuto positivo, «che per quanto riguarda la libertà di coscienza
consisterebbe in una forma speciale di collegamento tra l’ordinamento
confessionale e l’ordinamento statuale, determinato dal volontario
comportamento dei soggetti titolari del diritto di libertà religiosa. Il
concreto esercizio di tale diritto opererebbe … al centro della vita giuridica individuale un collegamento fra
ordinamenti giuridici»[7].
Indipendentemente dalle
osservazioni in contrario formulabili specie nella nostra epoca, che registra
un progresso nella valorizzazione delle pertinenze individuali, appare da
quanto complessivamente esposto che la vigenza del tradizionale assetto
istituzionalistico, la prospettiva interordinamentale (i cui antecedenti si
fanno risalire alla teoria del dualismo giurisdizionale) non escludono
l’impostazione costituzionalistica, tesa alla valorizzazione della persona e
dei suoi diritti fondamentali, fermo restando il problema naturale dei contorni
della tutela predisposta, nella comune ricerca della funzione propria delle
norme di diritto ecclesiastico, da inquadrare nella salvaguardia di quel sentimento
religioso che
In ciò, nella
possibilità di conciliare i due orientamenti, in un contesto volto a
ridimensionare l’ipotesi separatista a vantaggio del regime convenzionale ecclesiastico-statale
(espressamente valorizzato da un grande uomo politico della Sardegna
contemporanea, l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, nel discorso
pronunciato dopo il giuramento di fedeltà alla Costituzione), il contributo di
questa comunicazione al presente seminario sassarese. Detto contributo non
sottovaluta l’influenza esercitata dagli ordinamenti religiosi sulle famiglie
giuridiche dei diritti laici, romano-germanica - common law, con eccezione della famiglia sovietica prima degli odierni mutamenti dello status d’interesse ecclesiasticistico[9];
si tratta di un’influenza da porre sicuramente in relazione con la situazione
di favore o di prestigio della confessione o delle confessioni
istituzionalizzate, come si dava e potrebbe rinvenirsi in alcuni Paesi europei
per
Le comunicazioni in
precedenza ascoltate sui rapporti fra Islam e istituzioni politiche nell’area
mediterranea esprimono una concezione tendenzialmente monista, esattamente
l’opposto del menzionato sistema, proprio dell’Occidente, del dualismo
cristiano di vincoli e di funzioni, che si riconduce comunemente a Gelasio I
(494 d.C.), in forza del quale il confronto fra «le due spade», fra sacerdotium e imperium o, meglio, fra potere religioso e potere civile-politico
è stato continuo, estremamente complesso e non infrequentemente conflittuale,
onde affermare, con i mezzi di volta in volta consentiti, la supremazia
dell’uno sull’altro e viceversa[10].
Occorre certo sfatare
il mito dell’assoluta chiusura dei Paesi della riva sud del Mar Mediterraneo
alla separazione della sfera politica da quella religiosa, le tesi estreme
secondo cui in essi sia del tutto inconcepibile, in atto o in prospettiva,
qualsiasi forma di laicità dello Stato e, conseguentemente, «il pluralismo dei
culti, la concorrenza ideologica e la tolleranza nei confronti
dell’indifferenza religiosa e dell’ateismo»[11].
Nondimeno, la legge sacra dell’Islam e l’ordine politico islamico, con la
varietà di posizioni che abbiamo verificato anche in questa sede, rappresentano
una realtà imprescindibile in tutti i Paesi mediorientali, non comparabile con
l’atteggiamento dei Paesi della riva nord (europeo-cristiana) e di quelli occidentali
in generale, tanto più perché occorre prendere atto dell’aperta reazione alle
tendenze laiciste, registrata in questi ultimi anni anche sotto la spinta dei
movimenti fondamentalisti. Non poche incrinature è possibile notare perfino
nella Repubblica turca, principalmente per il vigore dell’antica distinzione
fra turchi (cioè musulmani) e cittadini turchi (non musulmani), pur trattandosi
di un Paese dove è stato formalmente adottato il principio giuridico della
separazione fra religione e Stato[12].
Facendo il nostro
seminario seguito a quelli che si sono tenuti per celebrare San Costantino
Imperatore, a Oristano-Sedilo e a Roma (Ponte Milvio) nel luglio e nell’ottobre
1997, va al proposito ricordato che la communis
opinio è nel senso di reputare confermata, con il dominato di Costantino,
la politica di tolleranza verso
Se questo può essere
vero, non va dimenticato che siamo agli albori di una teorizzazione della libertas Ecclesiae, pressoché
impensabile nell’ambito di una Chiesa di Stato quale fu quella costantiniana.
Come elemento positivo, tendente ad evidenziare l’apporto dell’Imperatore al
progresso del diritto in questo scorcio di fine millennio, che vede
Con riguardo agli
sviluppi della relazione, incentrata sulla tricotomia poteri dello Stato,
Chiesa cattolica e confessioni religiose nella Costituzione italiana, le tematiche oggetto di specifico
approfondimento, nel testo riservato alla pubblicazione come già in sede
congressuale, concernono l’uguale libertà delle confessioni religiose, i
rapporti fra principio di uguaglianza, formazioni sociali e confessioni
religiose, la disciplina costituzionale della libertà delle confessioni
religiose. Inoltre la bilateralità pattizia della normazione di diritto
ecclesiastico, con riferimento all’art. 7 e particolarmente all’art. 8 (più trascurato
dalla dottrina), le confessioni legittimate a stipulare intese con lo Stato, la
prescrizione delle intese fra legislazione unilaterale speciale e diritto
comune. Infine i rapporti fra discipline bilaterali inerenti alle confessioni
religiose e i procedimenti di produzione normativa di tipo contrattualistico,
le intese come accordi di diritto esterno e, in corrispondenza, l’appartenenza
dei concordati al genus degli accordi
internazionali. Un cenno conclusivo riguarderà l’art. 20 della Costituzione.
L’esposizione tende a
fornire elementi di valutazione, idonei a comprendere la diversità dei modelli,
l’uno pertinente al ceppo romanista l’altro al sistema musulmano, che si
confrontano anche dialetticamente, ma senza pretese egemoniche, in vista di una
maggiore comprensione e della coesistenza fra i popoli. La speranza risiede, al
di là delle dissomiglianze e delle tensioni, nella vittoria finale del diritto,
dell’etica, del rispetto reciproco in quanto fattori impreteribili della
riconciliazione e della pace mondiale.
In una tale disamina,
ribaltando l’ottica usualmente seguita (segnatamente nel passato), l’accento va
posto in primo luogo sull’art. 8, 1° comma, Cost., non a torto ritenuto la regola fondamentale del diritto
ecclesiastico italiano[14],
applicabile a tutte le confessioni, compresa la cattolica. La norma, peraltro,
come ebbe a chiarire
La norma espressamente
da invocare a proposito di eguaglianza delle confessioni religiose è, comunque,
l’art. 3 Cost. (1° comma), sebbene in essa si faccia letterale menzione dei cittadini, i quali hanno pari dignità
sociale e sono uguali, sempre davanti alla legge, senza distinzione di sesso,
di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. In effetti il criterio
della parità di trattamento è valevole per tutti
i soggetti dell’ordinamento, non solo per le persone fisiche
(specificamente per i cittadini), dal momento che un’eventuale disparità di
trattamento tra i diversi corpi sociali (in cui sono incluse le confessioni)
sarebbe destinata ad incidere sulla condizione giuridica dei rispettivi membri,
«titolari dell’interesse alla parità di trattamento»[17].
Restringendo il
discorso al campo in questione (mettendo quindi da parte, in particolare, le
interessanti problematiche sollevate nel diritto ecclesiastico dall’impegno
racchiuso nel secondo comma dell’art.
In definitiva, quel che
l’ordinamento ha da esprimere pure in materia religiosa, benché non si tratti
di ambito e finalità da porre in relazione dello Stato come in terra d’Islam, è
la reciproca coerenza delle norme in riferimento all’obbiettiva diversità di
situazioni e circostanze. Ciò significa, tenuto conto del tipo di pluralismo
(non indifferenziato) desumibile dall’ordinamento, che le medesime esigenze
conducenti, «in un quadro di coerenza coi fini-valori ai quali si uniforma un
settore dell’ordinamento, all’emanazione di una specifica normativa per una
certa confessione, dovranno essere prese in considerazione per ogni altra
confessione che ne chieda il soddisfacimento, anche se potranno essere
soddisfatte non necessariamente in modo identico, ma a mezzo di una disciplina
ragionevolmente diversificata»[19].
Stabilita la portata
della norma sull’uguaglianza, vengono in esame le disposizioni regolatrici
della libertà delle confessioni religiose e, ancor prima, l’art. 2 Cost., norma
che salvaguarda, oltre al pluralismo ideologico, il pluralismo istituzionale
(l’autentica novità della vigente Costituzione italiana), allorché sanziona
l’impegno della Repubblica di riconoscere e garantire i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità. Un disposto, quest’ultimo, a cui anche la più avvertita dottrina
ecclesiasticistica, non diversamente da quella costituzionalistica, attribuisce
la funzione di tutela di tutti i valori di libertà, «che vanno emergendo a
livello di costituzione materiale»[20].
All’ambito delle
formazioni sociali vanno ascritte le confessioni religiose, non esclusa
L’art. 7, 1° comma,
sottolinea l’indipendenza e la sovranità dello Stato e della Chiesa cattolica
ciascuno nel proprio ordine, quindi l’originarietà dell’ordinamento della
Chiesa ed il criterio della separazione degli ordini e delle attribuzioni.
Degna di menzione, al proposito, l’obiezione del Calamandrei alla Costituente:
«… quando si arriverà su un terreno pratico in cui nascerà il conflitto e in
cui si troveranno nei due ordinamenti norme divergenti e contrastanti, allora
si tratterà di stabilire se devono prevalere gli ordinamenti dello Stato, la
cui sovranità è stata riconosciuta dalla Chiesa, o se devono prevalere gli
ordinamenti della Chiesa, la cui sovranità è stata riconosciuta dallo Stato»[22].
Tale attualissima obiezione è in effetto superata dalla tesi, la più vicina
all’orientamento della Corte costituzionale, che vede nei Patti lateranensi «la
misura costituzionale della competenza che lo Stato ha attributo
all’ordine suo ed a quello della Chiesa»[23];
sicché il potere civile ed il potere ecclesiastico vengono limitati dalle norme
dei Patti[24],
i quali sono però subordinati ai principi supremi - inderogabili -
dell’ordinamento costituzionale dello Stato, a somiglianza di «un varco nella
cittadella, sinora inaccessibile, del sistema concordatario»[25].
L’art. 8, 2° comma, in
corrispondenza, stabilisce il diritto delle confessioni religiose diverse dalla
cattolica di organizzarsi secondo i propri statuti, con il limite del non
contrasto con l’ordinamento giuridico italiano; un limite, sul quale si
articola la serie di poteri dello Stato, che odierne tendenze dottrinali
tendono a situare in una sfera in cui sfuma la differenza rispetto al
riconoscimento operato, per
Nonostante
l’autorevole, opposta interpretazione, che restringe (fino quasi ad annullare)
la realizzabilità e la giuridicità delle norme di tali confessioni[27],
deve perlomeno ritenersi ad esse applicabile il concetto di autonomia
istituzionale, quando non si versi nell’ipotesi delle confessioni c.d. di fatto[28],
dato che i loro ordinamenti «non sono derivati e quindi sono estranei all’ordinamento
statuale», quantunque in posizione secondaria per il limite espresso dell’ordinamento giuridico
dello Stato[29]
a fronte di una categoria che, per quanto sempre meno indifferenziata rispetto
al 1929-30 ed all’epoca stessa della costituente, si presenta tuttora aperta,
con note anzi di maggiore variabilità a motivo del peso anche in Italia dei
nuovi movimenti religiosi[30].
In questo senso il
limite dell’ordinamento dello Stato finisce con l’assumere la funzione di una
garanzia per le confessioni di minoranza, un’esplicazione del principio di
eguaglianza attraverso il filtro del sindacato sulle norme organizzative.
L’opinione personale suppone l’inesistenza di confessioni carenti di un minimo
di organizzazione giuridica (con esclusione nondimeno dell’obbligo di darsi uno statuto) e, in conseguenza, l’applicabilità
della teoria ordinamentale pure alle confessioni non istituzionalizzate ed a
prescindere dalla visione delle stesse al riguardo (confessioni le quali
respingono la connotazione dell’ordinamento giuridico), dovendosi in ogni caso
procedere secondo i parametri consueti della giuspubblicistica statuale. Una
delle tesi più accreditate, che integra la fortunata concezione di Santi Romano[31],
ravvisa le componenti dell’ordinamento giuridico nella plurisoggettività, nell’organizzazione, nonché nella normazione[32],
in cui va ricompreso il ricorso alla consuetudine.
Il parallelismo verificato
fra art. 7, 1° comma ed art. 8, 2° comma, Cost. si riproduce per il 2° comma
dell’art. 7 nel collegamento con l’art. 8 , 3° comma. È possibile notare in
primo luogo che alcuni suggerimenti de
iure condendo circa la penultima delle disposizioni in parola prestano, ad
avviso di chi scrive, il fianco a rilievi che non è lecito sottacere.
Mi riferisco
all’argomentata tesi del Finocchiaro sull’esaurita funzione dell’art. 7 cpv.
della Carta, tesi che sembra porre in secondo piano il valore della garanzia
costituzionale, da conservare al Trattato del Laterano per l’unicità della
posizione dell’Italia rispetto allo Stato Città del Vaticano, indipendentemente
dall’asserita irrevocabilità ad nutum
e in modo unilaterale dei trattati internazionali creativi di nuovi Stati[33].
L’altro presupposto, che ritengo sommessamente di non poter condividere,
quantunque espresso più compiutamente in altra sede, concerne il dubbio sulla
continuità di copertura costituzionale della legge di esecuzione del concordato del
1984 modificativa (non direi sostitutiva) di quella del 1929.
Tale continuità di
copertura è stata ribadita dalla Corte costituzionale specialmente con la
sentenza n. 203 del 1989, che non sarebbe riducibile ad impliciti obiter dicta o superabile con l’auspicio
che la soluzione venga in futuro modificata[34],
trattandosi di una precisa presa di posizione, consistente nell’affermazione
che le modificazioni del concordato lateranense, recepite dalla legge di
ratifica ed esecuzione 25 marzo 1985 n. 121 (ed analogamente dicasi forse per
le leggi 20 maggio 1985 n. 206 e 20 maggio 1985 n. 222), rimangono nell’ambito
della copertura sancita dall’art. 7 Cost.; tanto significa che siamo in
presenza di vere e proprie modificazioni di uno dei Patti, non di un concordato
che ha completamente innovato la materia[35].
Viene così confermato
che in relazione a queste norme, di derivazione concordataria in senso stretto,
il controllo di costituzionalità da parte dello Stato ha un oggetto
necessariamente più limitato, costituito dal parametro dei principi supremi
dell’ordinamento costituzionale dello Stato, già introdotto dalla precedente
giurisprudenza della Corte nella vigenza del concordato lateranense[36].
Se il principio
convenzionale (bilateralità pattizia)
della normazione di diritto ecclesiastico trova accoglimento nella Carta, per
L’attuazione della
Costituzione, con riguardo alla materia in discorso (tralasciando le
inadempienze in ordine alla modificazione consensuale dei Patti lateranensi - rectius del concordato – prospettata fin
dai dibattiti per l’approvazione dell’art. 7), avrebbe già da tempo dovuto
comportare la stipulazione di intese con le minoranze religiose. Qui la
dottrina non si manifestava né si manifesta univoca nell’individuazione dei
requisiti propri delle confessioni: variano i criteri proposti, che appaiono
più o meno elastici, a seconda della considerazione dell’interesse dello Stato
alla disciplina bilaterale con tali minoranze, non occultate come in Francia.
Sulla base della
differenziazione fra confessioni ex art.
8 ed associazioni ex art. 19 Cost.
(giacché il diritto di libertà religiosa è protetto in qualunque forma,
individuale o associata), è stata qualificata confessione idonea a stipulare
intese la comunità, avente finalità religioso-trascendentale, quando sia dotata
di «una propria organizzazione e normazione scritta da cui desumere i
rappresentanti e sia consolidata nella tradizione italiana»[39].
Oppure si è invocato il criterio meno rigoroso, seguito dagli autori tedeschi,
dei gruppi sociali religiosi muniti di «particolari caratteristiche strutturali
e garanzie di durata»[40].
Indipendentemente da
altre opinioni, pure registrate in proposito, sembra cogliere nel vero chi
reputa legittimate a stipulare intese con lo Stato tutte le confessioni in
senso funzionale, in quanto rivolte al soddisfacimento di un interesse
religioso collettivo[41],
ritenendosi del pari che l’autentica valutazione da parte governativa debba
cadere non tanto sul fatto che un gruppo sia definibile o meno come confessione
religiosa quanto sull’opportunità di addivenire
ad una disciplina speciale, ovviamente di natura pattizia[42].
L’esplorazione dei
poteri dello Stato nei riguardi delle confessioni religiose richiama alla mente
il ritardo nell’avvio delle procedure di attuazione del terzo comma dell’art. 8
Cost. Tale ritardo va ricondotto, principalmente, a un’ingiustificata
resistenza da parte dell’apparato statale, in aderenza a una linea di politica
ecclesiastica sicuramente diffidente nei confronti delle confessioni non
cattoliche; mentre l’interesse della dottrina e dell’intellettualità, salvo
casi sporadici, era concentrato sulle problematiche scaturenti dal concordato
lateranense e, comunque, sui rapporti Stato-Chiesa cattolica, in quanto
religione della maggioranza dei cittadini. Detto ritardo assumeva una speciale
gravità in relazione all’ebraismo e alle Chiese evangeliche, confessioni di
antica tradizione e dotate di consolidamento storico in Italia, protagoniste -
queste ultime - di una lunga e difficile battaglia per giungere alla situazione
odierna, che costituisce (come già accennato) un’esperienza del tutto nuova nel
ciclo costituzionale del nostro Paese[43],
oltre che nella storia della riforma della legislazione ecclesiastica.
Per giunta le intese
rappresentano il mezzo adatto, a giudizio degli interlocutori confessionali,
per superare le restrizioni contenute nella legislazione fascista del 1929/30.
Ed invero, come risulta dai lavori preparatori dell’art. 8, 3° comma (i loro rapporti con lo Stato sono regolati
per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze), se con
l’espressione «sono regolati», nonostante l’apparente senso perentorio, la
commissione volle stabilire una facoltà, non un obbligo alla regolamentazione
dei rapporti con lo Stato (Ruini), resta fermo che l’interpretazione in senso
potestativo va corretta alla luce dell’altro principio accolto (formulato
dall’on. Pajetta), secondo cui l’eventuale legge deve essere sempre preceduta, obbligatoriamente, da un’intesa con la
comunità religiosa alla quale si riferisce[44].
Sui richiamati lavori
preparatori, evidentemente, si basa la nota tesi dello Jemolo, che emerge fra
le fondamentali posizioni intorno al contrastato disposto dell’art. 8, avendo
egli esattamente puntualizzato che la norma costituzionale non prevede
l’inderogabile necessità di una legislazione sulle confessioni diverse dalla
cattolica, ma che ove occorra (ossia se è necessaria una
legge, avente ad oggetto i rapporti fra queste confessioni e lo Stato), essa
dev’essere formata sulla base d’intese con le rappresentanze delle confessioni
considerate[45].
Ciò spiega l’ipotesi di
uno stato di permanente e latente conflitto con
È chiaro che, ove si
producesse l’abrogazione dell’intero corpo normativo di provenienza unilaterale
statale (non di alcune norme soltanto), le confessioni prive d’intesa sarebbero
sottoposte al diritto comune applicabile fino al sorgere, dandosi
l’opportunità, dell’ordinamento speciale di carattere pattizio attraverso la
stipulazione delle intese occorrenti con le confessioni, che giungano di volta
in volta alla ribalta.
Un’altra ipotesi, fuori
dell’ambito del ragionamento finora esposto (che pone in luce le consistenti,
ma motivate differenze con il regime concernente
Le sei intese, tradotte in leggi dello
Stato (con
L’atteggiamento non
muta rispetto alle rimanenti intese, successivamente stipulate e tradotte in
legge in ottemperanza al disposto (per lungo tempo disatteso) dell’art. 8, 3°
comma, della Costituzione. Il vantaggio, rispetto alle esperienze
separatistiche, consiste «nella tutela e garanzia delle espressioni in positivo
delle libertà di religione»[48],
nell’operatività di normative promozionali,
che si collocano in parallelo (esclusa ogni identificazione) con il
procedimento, in espansione nel raggio delle democrazie occidentali, della
negoziazione legislativa o della legislazione contrattata con le parti sociali.
In effetti vuoi il
concordato vuoi le intese, in sé considerate, si fondano su presupposti
incompatibili con tale procedimento, esattamente riposti nella distinzione degli ordini, «che esige il
confronto tra enti esponenziali di ordinamenti indipendenti», e nella delimitazione delle materie «che
individuano il campo dei loro rapporti»[49],
per quanto tendenzialmente connesse (con possibili straripamenti) al
contenzioso globale fra Stato e confessioni.
Tralasciando per ora il
secondo aspetto, il quale attiene (per ciò che qui importa) al tema dei
contenuti delle intese con le confessioni di minoranza, è da dire che, nelle
intese in questione (in sintonia con le anteriori acquisizioni), le confessioni
non cattoliche si presentano con i caratteri dell’ordinamento giuridico,
secondo posizioni formali di autonomia e d’indipendenza non dissimili dalle
prerogative dell’ordinamento canonico.
Ricordo l’art. 2 della
legge n. 449 del 1984, dove
Più che su queste
norme, gran parte della dottrina ha posto l’accento sulle questioni procedurali
per attribuire alle intese l’indole di convenzioni di diritto interno,
riconoscibile, secondo una delle tesi meglio argomentate, fin dalle
modificazioni apportate al primo progetto d’intesa fra Stato e Chiese
rappresentate dalla Tavola valdese[50].
Nonostante le motivate
controdeduzioni[51],
l’asse del discorso critico non è stato spostato, risultando in un certo senso avvalorato
dalla seconda fase del negoziato (di attuazione dell’art. 8 Cost.), relativa
alle intese più recenti, in cui sono state seguite modalità differenti da
quelle osservate in passato per l’intesa con la tavola valdese e la revisione
del concordato lateranense. Non hanno più operato due distinte delegazioni, ma
ha agito formalmente un’unica commissione di studio, di nomina governativa,
integrata dagli esperti segnalati dalle confessioni man mano coinvolte.
Il fatto tocca,
indubbiamente, il problema della natura giuridica delle intese, come ricavabile
altresì dalla circostanza dell’approvazione articolo
per articolo dei disegni di legge riguardanti le intese, preferita
all’approvazione di un articolo unico di esecuzione, con allegato il testo
dell’intesa. Al momento finale, tuttavia, la firma è rimasta ai due
interlocutori, rispettivamente il Presidente del consiglio e le rappresentanze
religiose.
Se tutto ciò esclude la
natura internazionalistica delle
intese (da attribuire invece, con le precisazioni del caso, al concordato con
Le intese, quantunque
fuori dall’ambito internazionale, si collegano pur sempre sul terreno degli accordi politici esterni, dei rapporti
bilaterali fra ordinamenti indipendenti, salvo si voglia togliere qualunque
peso alle determinazioni normative dietro rammentate, che escludono la
possibilità di considerare le confessioni acattoliche in una condizione di
sudditanza rispetto allo Stato.
Le intese, in
definitiva, come è stato opportunamente posto in rilievo, «sono atti bilaterali
che, per garantire in modo perfetto la libertà e l’indipendenza delle
confessioni di minoranza,
Le conclusioni accolte
sono in sintonia con la moderna visione pluralistica e laica, nel senso di una pluralità esterna ed interna degli
ordinamenti giuridici, senza che a nulla rilevi il carattere spirituale degli
ordinamenti considerati. La visione in parola è pienamente compatibile con
l’essenza del nostro Stato democratico pure nei conseguenti profili, relativi
al consolidamento del principio pattizio (discendente dalle intese come dalle
modificazioni consensuali del concordato lateranense), se ha un significato il
deciso cambiamento di rotta, operato con l’avvento della Repubblica, di contro
all’esclusivismo proprio della concezione dello Stato dominante dall’Unità
d’Italia sino alla caduta del fascismo[54].
Nel quadro dei limiti
ai poteri dello Stato un cenno conclusivo merita l’art. 20 Cost., secondo cui
il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione
od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative né
di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni
forma di attività.
La tesi sostenuta
dall’Onida, favorevole all’eliminazione di tale articolo[55],
sembra contrastare con le ulteriori potenzialità, che la migliore dottrina oggi
riconosce alla norma. Mi riferisco specialmente alle osservazioni
sull’importanza di essa ai fini della tutela dei nuovi movimenti religiosi, ma
diverse annotazioni (che l’economia del contributo non permette di
approfondire) sono state svolte con puntualità ed efficacia. Non si tratta
d’interpretazioni forzate del dettato costituzionale, bensì di un nuovo e
arioso quadro[56],
che va oltre l’insuperabile ostacolo alla formula organizzatoria del
giurisdizionalismo e alla politica eversiva dell’asse ecclesiastico, perseguita
nel secolo scorso dallo Stato liberale.
[1] Nel senso di un superamento dell’impostazione formale (in chiave
di rapporti fra ordinamenti) delle problematiche del diritto ecclesiastico
cfr., principalmente, L. DE LUCA, Diritto
ecclesiastico ed esperienza giuridica, Milano 1976, p. 135 ss.; ID., Il diritto ecclesiastico e la società degli
anni ’80, Roma 1984, p. 108 ss. Intorno all’insufficienza del diritto
ecclesiastico come legislatio libertatis nell’odierno assetto
trilatero, Stato-gruppo-individuo, rivendicando la necessità dello studio
specializzato di questo organico sistema di norme, cfr. R. BOTTA, Manuale di diritto ecclesiastico. Valori
religiosi e società civile, II ed., Torino 1998, p. 12 ss.
[2] Cfr., per la cognizione dei lavori preparatori intorno all’art. 7
Cost., F. MARGIOTTA BROGLIO, Stato e
confessioni religiose. I/Fonti, Firenze 1976, p. 119-132.
[3] Cfr. G. SARACENI, Introduzione
allo studio del diritto ecclesiastico,
V ed., Napoli 1986, p. 123 ss.
[4] Cfr. G. CASUSCELLI, Concordati,
intese e pluralismo confessionale, Milano
1974, p. 238 ss.; F. FINOCCHIARO, “Le intese nel pensiero dei giuristi
italiani”, Le intese fra Stato e
confessioni religiose. Problemi e prospettive (a cura di C. MIRABELLI),
Milano 1978, p. 22 s.; più recentemente ID., Diritto ecclesiastico, VI ed., Bologna 1997, p. 135 ss.
[5] Cfr. R. BACCARI, “Gli strumenti giuridici previsti dalla
Costituzione per l’esercizio concreto della libertà religiosa (concordato per
[6] Cfr., nel vasto assetto delle relazioni fra Stato e Chiesa
cattolica quali entità sovrane, G. SARACENI, “Libertà religiosa e rilevanza
civile dell’ordinamento canonico”, Il diritto
ecclesiastico, 65 (1954), parte
I, p. 196 ss.
[7] G. CATALANO, Il diritto di
libertà religiosa, Milano 1957, p. 5.
[8] Corte costituzionale, 8 luglio 1975 num. 188, Giurisprudenza costituzionale,
20 (1975), p. 1512 s.
[9] Circa le tappe evolutive del sistema e sul nuovo modello di
relazioni fra Stato e confessioni religiose, secondo una legge che emargina
quelle Chiese e confessioni considerate estranee alla tradizione russa, cfr. G.
CODEVILLA, Dalla rivoluzione bolscevica
alla Federazione russa, Milano 1996; ID., Stato e Chiesa nella Federazione russa, Bergamo 1998.
[10] Cfr. P. GISMONDI, Lezioni di
diritto ecclesiastico. Stato e confessioni religiose, III ed., Milano 1975,
p. 27 ss.; G. GAUDEMET, Il diritto
canonico (a cura di R. BERTOLINO e L. MUSSELLI), Torino 1991, p. 116 ss.;
S. GHERRO, Stato e Chiesa ordinamento,
Torino 1994, p. 10 ss.; G. LEZIROLI, Relazioni
fra Chiesa cattolica e potere politico. La religione come limite del potere
(cenni storici), III ed., Torino 1996, p. 15 ss.; C. CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, Bologna 1996, p. 35 ss.
[11] A. CHARFI, “Religioni e Stato nei Paesi del Maghreb”, Il Mediterraneo nel Novecento. Religioni e
Stati (a cura di A. RICARDI), Cinisello Balsamo 1994, p. 152.
[12] Cfr. B. LEWIS, “Musulmani, cristiani ed ebrei: coesistenza e
laicità”, ibidem, p. 77.
[13] Cfr. T. BRIEGER, Kostantin der Grosse als Religionspolitiker, Zeitschrift für Kirchengeschichte, 4 (1980), p. 190.
[14] Così S. BERLINGO’, Il potere
autorizzativo nel diritto ecclesiastico,
Milano 1974, p. 15 ss.; G. CASUSCELLI, Concordati,
intese, p. 140 ss.
[15] Cfr. Corte costituzionale, 30 novembre 1957 num. 125, Raccolta Corte costituzionale, vol. IV,
1957, p. 252.
[16] V. ONIDA, “Profili costituzionali delle intese”, Le intese tra Stato e confessioni religiose,
p. 39.
[17] S. LARICCIA, “L’eguaglianza delle confessioni religiose di fronte
allo Stato”, Atti del convegno nazionale
di diritto ecclesiastico «Individuo, gruppi e confessioni religiose nello Stato
democratico», Milano 1973, p.
423.
[18] A. AGRO’, “Contributo ad uno studio sui limiti della funzione
legislativa in base alla giurisprudenza sul principio costituzionale di
eguaglianza”, Giurisprudenza
costituzionale, 12 (1967), p.
927.
[19] E. VITALI, “Accordi con le confessioni e principio di
uguaglianza”, Studi in memoria di Mario
Petroncelli, II, Napoli 1989, p. 954.
[20] E. VITALI, op. cit., p. 952.
[21] Cfr. P. RESCIGNO, “Interesse religioso e formazioni sociali”, Atti del convegno nazionale di diritto
ecclesiastico, p. 51 ss.
[22] Atti dell’Assemblea
costituente, Discussioni dal 4
marzo al 15 aprile 1947, vol. III, p. 2285.
[23] M. PETRONCELLI, Diritto
ecclesiastico, Napoli 1975, p. 34.
[24] P. GISMONDI, op. cit.,
p. 70.
[25] P. BELLINI, “Sul sindacato di costituzionalità delle norme di
derivazione concordataria”, Il diritto
ecclesiastico, 82 (1971), parte I, p. 325.
[26] Cfr. N. COLAIANNI, Confessioni
religiose e intese. Contributo all’interpretazione dell’art. 8 della Costituzione,
Bari 1990, p. 122 ss.
[27] Cfr. G. CATALANO, Lezioni di
diritto ecclesiastico. Parte prima, Milano
1989, p. 25-28.
[28] Cfr. in argomento (sia pure con essenziale riferimento alle
comunità del dissenso ecclesiale) N. COLAIANNI, “La legislazione ecclesiastica
fra modello corporativo e modello democratico (contributo allo studio delle
confessioni di fatto)”, Atti del II
convegno nazionale di diritto ecclesiastico «Nuove prospettive per la
legislazione ecclesiastica», Milano
1981, p. 277 ss.
[29] Cfr. P. GISMONDI, op. cit.,
p. 103 s.
[30] Cfr. AA.VV., Diritti
dell’uomo e libertà dei gruppi religiosi. Problemi giuridici dei nuovi
movimenti religiosi (a cura di S. FERRARI), Padova 1989; AA.VV., Sectas y derechos humanos, Cordoba 1997,
p. 195 ss. (nella sezione curata dall’Università di Milano).
[31] Cfr. S. ROMANO, L’ordinamento
giuridico, III ed., Firenze 1977.
[32] Cfr. M.S. GIANNINI, “Gli elementi degli ordinamenti giuridici”, Rivista trimestrale di diritto pubblico,
8 (1958), p. 259 ss.
[33] Cfr. F. FINOCCHIARO, “Ipotesi di una revisione dell’articolo 7
della Costituzione”, Politica del diritto,
27 (1996), p. 77
[34] Cfr., sull’intera questione, F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, p.
121-125.
[35] Sul punto, circa il differente significato delle espressioni
«nuovo accordo – nuovo concordato», cfr. R. COPPOLA, “Introduzione”, Atti del convegno nazionale di studio «Il
nuovo Accordo tra Italia e Santa Sede»,
Milano 1987, p. 39 s.
[36] Per l’analisi di tale giurisprudenza cfr. R. COPPOLA, I principi della Corte costituzionale in
materia ecclesiastica (venticinque anni di attività), Milano 1982 (ristampa 1992), p. 13-22.
[37] Ci limitiamo a ricordare, per i contenuti ed i possibili risvolti
di tale richiamo sotto il profilo giuridico e politico, anche nell’evoluzione
giurisprudenziale, R. PASCALI, Patti
lateranensi e custodia costituzionale,
Napoli 1984.
[38] Cfr. R. BACCARI, op. cit., p. 11.
[39] P. GISMONDI, op. cit., p. 98.
[40] C. MIRABELLI, “Osservazioni conclusive”, Le intese tra Stato e confessioni religiose, p. 158.
[41] Cfr. N. COLAIANNI, Confessioni
religiose e intese, p. 77 ss.
[42] Cfr. V. ONIDA, op. cit., p. 40.
[43] Cfr. S. LARICCIA, “L’attuazione dell’art. 8, 3° comma, della
Costituzione: l’intesa tra lo Stato italiano e le Chiese rappresentate dalla
Tavola valdese”, Atti del convegno
nazionale di studio, p. 527
s.
[44] Cfr. F. MARGIOTTA BROGLIO, op.cit.,
p. 135 s.
[45] Cfr. A.C. JEMOLO, Lezioni di
diritto ecclesiastico, Milano 1979,
p. 117. Per il complesso delle posizioni della dottrina, su cui si basa il
dibattito successivo anche al di là dello specifico problema, cfr. F.
BOLOGNINI, I rapporti tra Stato e
confessioni religiose nell’art. 8 della Costituzione, Milano 1981.
[46] Per tutti cfr. F. FINOCCHIARO, Diritto
ecclesiastico, p. 141 s.
[47] P. BELLINI, “Nuova problematica della libertà religiosa
individuale nella società pluralistica”, Atti
del convegno nazionale di diritto ecclesiastico, p. 11-21.
[48] G. CASUSCELLI, “Libertà religiosa e fonti bilaterali”, Studi in memoria di Mario Condorelli, I, Milano 1988, p. 333.
[49] G. CASUSCLELLI, “Libertà religiosa”, p. 331.
[50] Cfr. N. COLAIANNI, “Le intese con le confessione religiose diverse
dalla cattolica nel pluralismo statale”, Gli
strumenti costituzionali, p. 93 ss.
[51] Cfr. G. CASUSCELLI, “L’intesa con
[52] G. LONG, “Le intese con l’Unione avventista e con le Assemblee di
Dio in Italia”, Quaderni di diritto e
politica ecclesiastica, 4 (1987),
p. 120.
[53] F. FINOCCHIARO, Diritto
ecclesiastico, p. 138.
[54] Cfr. O. FUMAGALLI CARULLI, “Pluralità degli ordinamenti e
concordato”, Atti del XXXIII convegno
nazionale di studio dell’U.G.C.I. «
[55] Cfr. F. ONIDA, “L’articolo 20 della Costituzione”, Politica del diritto, 27 (1996), p.111.
[56] Cfr. R. BOTTA, op. cit., p. 339 ss.