O. SACCHI*
LEX
COMMISSORIA E DIVIETO DEL PATTO
COMMISSORIO.
AUTONOMIA NEGOZIALE O TUTELA DEL CONTRAENTE
PIÙ DEBOLE?
Sommario: Prima
parte. 1. Premessa. 2. Lex commissoria e compravendita. 3. Lex commissoria e pegno. 4. Lex
commissoria e il suo inquadramento dogmatico. 5. Il patto commissorio e la sua
vocazione unitaria. 6. Alla ricerca della ratio
originaria. Seconda parte. 1.1. Breve storia del divieto del patto commissorio
dalle origini agli ordinamenti attuali. 1.2. Il patto commissorio e il suo divieto nell’ordinamento italiano vigente.
1.3. Il patto commissorio autonomo. 1.4. L’ampliamento della
portata del divieto del patto commissorio. 1.5. Il ridimensionamento della
sfera di applicazione dell’art. 2744 c.c. 1.6. Patto commissorio,
responsabilità contrattuale e simulazione. Conclusione.
1. Premessa.
In
diritto romano la lex commissoria
rileva in un duplice ambito applicativo[1]. Nella disciplina della compravendita, come
clausola accidentale tipica (lex
venditionis), quando l’efficacia del contratto (di compravendita)
veniva fatta dipendere dall’avvenuto pagamento del prezzo. In origine
tale clausola veniva impiegata principalmente in funzione sospensiva (se il
prezzo veniva pagato il contratto di compravendita cominciava ad avere effetto)[2].
A partire dal secondo
secolo d.C. questa clausola condizionale comincia ad essere impiegata invece
anche in funzione risolutiva (se il compratore non pagava il prezzo il
contratto cessava di avere effetto).
Nella disciplina del pignus la lex commissoria rileva invece in funzione satisfattoria reale[3]. In origine, questa fattispecie configurava lo
schema negoziale noto come fiducia cum
creditore, altrimenti considerato come la forma più antica di
proprietà fiduciaria[4]. Si tratta dell’ipotesi più tipica
(per usare una terminologia moderna) di negozio indiretto.
Ne dà notizia
Gaio: il fiduciante alienava all’acquirente fiduciario una cosa per uno
scopo determinato. L’intesa era che, una volta conseguito lo scopo, il
fiduciario era tenuto a ritrasferire la cosa fiduciata al fiduciante o a
risarcirlo dei danni relativi:
Gai. 2.60: Sed fiducia contrahitur aut cum creditore
pignoris iure, aut cum amico, quo tutius nostrae res apud eum sint; et siquidem
cum amico contracta sit fiducia, sane omni modo conpetit usus recepito; si vero cum creditore, soluta quidam
pecunia omni modo conpetit, nondum vero soluta ita demum conpetit, si neque
conduxerit eam rem a creditore debitor, neque precario rogaverit, ut eam rem
possedere liceret; quo casu lucrativa usus capio conpetit.
Nel caso della fiducia cum creditore, come si vede sostanzialmente
una figura di pegno (fiducia contrahitur
aut cum creditore pignoris iure), una volta pagata la somma dovuta (sane omni modo conpetit usus recepito; si vero cum creditore, soluta quidam
pecunia omni modo conpetit) il debitore poteva far valere per se l’usus receptio.
Nel caso in cui invece
non fosse stato pagato il debito, il debitore poteva far valere l’usureceptio solo se avesse avuto la
detenzione del bene oggetto di pegno come conduttore o a titolo di precario (nondum vero soluta ita demum conpetit, si
neque conduxerit eam rem a creditore debitor, neque precario rogaverit, ut eam
rem possedere liceret). Dandosi così luogo ad un’ipotesi di
usucapione lucrativa (quo casu lucrativa
usus capio conpetit) che era un tipo di usucapione in cui secondo Gaio una
parte scientemente approfitta di una cosa altrui (Gai. 2.56: Haec autem species possessionis et
usucapionis etiam lucrativa vocatur; nam sciens quisque rem alienam lucri facit)[5].
Quando la causa di un
negozio fiduciario era di garanzia, se la res
oggetto del trasferimento fiduciario veniva considerata come equivalente al
debito (e si verificava questa eventualità), la proprietà
fiduciaria poteva trasformarsi in proprietà pura e semplice.
In seguito, affermandosi
nella pratica negoziale sempre di più la figura del pignus, come figura di garanzia reale autonoma il patto commissorio
diventò (come patto accessorio) la clausola (accidentale rispetto al pignus conventum) con la quale le parti
convenivano che la cosa oggetto del pegno poteva restare in proprietà
del creditore pignoratizio in caso di mancato pagamento[6].
La comparsa di un pactum fiduciae
volto ad obbligare il detentore della res
oggetto del pegno a vendere lo stesso per trattenere la parte del prezzo
corrispondente al debito ed eventualmente restituire alla controparte
(fiduciante) la differenza (superfluum),
determinò col tempo la progressiva caduta in desuetudine del patto
commissorio che cominciò così ad essere, rispetto allo schema
negoziale del pegno romano soltanto eventuale.
A questo poteva sostituirsi, nella costituzione di un pegno, un pactum vendendi che era il patto con il
quale il creditore si obbligava a vendere (e lo faceva non come proprietario)
l’oggetto della garanzia in caso di inadempimento del debitore per
potersi rivalere sul prezzo.
2. Lex
commissoria e compravendita.
Vediamo adesso più da vicino
l’assetto delle fonti giustinianee.
Le fonti principali che
trattano della lex commissoria sono
fonti giurisprudenziali tratte da opere dedicate alla compravendita o al rapporto
tra questo contratto e altri contratti consensuali. Così è per il
settimo dei libri digestorum di
Cervidio Scevola (che risale alla fine del secondo secolo d.C.); così
è per il libro decimo di commento all’editto provinciale di Gaio
scritto sotto Antonino Pio; così è per i libri terzo e sesto
delle opere di Responsa
rispettivamente di Papiniano e Paolo (età severiana); così
è per l’omologa testimonianza tratta dai Vaticana Fragmenta di Papiniano raccolta in una rubrica dedicata ex empto et vendito. Infine il famoso
divieto di Costantino del 320 compare già nel codex Theodosianus (CTh. 3.2. de
commissoria rescindenda), appena dopo il titolo 3.1 de contrahenda empitone e viene seguito dai titoli de patribus qui filios distraxerint
(3.3) e de aediliciis actionibus
(3.4).
Due sono i modi di trattare questo istituto da
parte dei compilatori giustinianei. Il primo risale alla dottrina sabiniana e
inquadra il negozio di compravendita a cui viene apposta la legge commissoria
come emptio condicionalis. Si tratta
della forma più consueta di condizione contrattuale (condicio in senso stretto):
D. 41.4.2.2 (Paul.
54 ad ed.): Si sub condizione emptio facta sit, pendente condizione emptor non usu capit,
idemque est et si putet condicionem existisse, quae nondum exsistit; 3:
(…) Sabinus si sic empta sit, ut,
nisi pecunia intra diem certum soluta esset, inempta res fieret, non
usucapturum nisi persoluta pecunia.
Come si vede per Masurio Sabino che viene citato
da Paolo, la compravendita condizionata acquistava efficacia e diveniva
pertanto pienamente esecutiva (cioè si perfezionava) solo di fronte al
verificarsi dell’evento dedotto in condizione. Dice Papiniano in D.
18.3.4.2: statim atque commissa lex est
e del resto il Vocabolarium
Iurisprudentiae Romanorum presenta numerose testimonianze con riferimenti
del tipo stipulatio committitur, cautio
committitur, ovvero poena committitur.
Il secondo orientamento, che è stato
affacciato forse per la prima volta dal proculeiano Nerazio Prisco, inquadra la
compravendita a cui viene apposta una clausola commissoria come emptio pura, pur se sottoposta ad una
clausola accessoria risolutiva[7]. In questo caso il verificarsi dell’evento
dedotto in condizione, cioè il mancato
pagamento del prezzo di vendita, acquistava più direttamente
carattere sanzionatorio perché la vendita si risolveva come se non fosse
stata mai fatta.
A giudicare dal frammento con cui i Compilatori
hanno scelto di aprire la rubrica 18.3 de
lege commissoria, sembrerebbe potersi dire che prevalse la tesi
proculeiana. Infatti Ulpiano, nel libro ventottesimo di commento a Sabino,
potrà dire in D. 18.3.1: Si fundus
commissoria lege venierit, magis est, ut sub condicione resolvi emptio quam sub
condicione contrahi videatur[8].
Propendere per l’una o l’altra posizione poteva essere
significativo per il regime disciplinatorio da applicare al caso di specie. Il
compratore sotto condizione sospensiva,
se entrava in possesso della cosa, non poteva avvalersi del tempus ad usucapionem, non percepiva i
frutti, e non sopportava i rischi. Viceversa, il compratore sotto condizione risolutiva, cominciava
ad usucapire pro emptore, faceva suoi
i frutti, e in virtù della regola del periculum rei venditae era tenuto a pagare il prezzo se la cosa
periva prima che egli stesso (se c’è pactum displicentiae) o il venditore (negli altri casi) recedessero
dal contratto.
Si potrebbe tentare un riscontro pratico dei vari frammenti giustinianei,
per capire quale fu l’orientamento giurisprudenziale che prevalse.
Senonchè la giurisprudenza classica non senza iniziali oscillazioni (D.
19.5.12; 18.5.6; 18.3.5: sed…
Aristo exstimabat) e anche in questo orientata da decisioni imperiali (D.
18.3.4 pr.: ut rescriptis imperatoris
Antonimi et divi severi declaratur; 18.2.16: imperator Severus rescripsit …et credo sensisse principem de
empti venditi actione; Vat. Fragm. 14: placuit)
finirà con l’applicare, basandosi sulla natura di buona fede del iudicium empti e del iudicium venditi, le discipline
rispettive dell’actio venditi e
dell’actio empti. Superando di
fatto il problema.
Così, nel caso di clausole apposte alla compravendita in favore del
venditore (come è la lex commissoria
apposta ad una compravendita) questi poteva esperire un’actio venditi per ottenere la
restituzione della cosa venduta, dei frutti eventualmente prodotti e per
l’eventuale risarcimento di danni subiti[9].
Il compratore, nel caso di un pactum
displicentiae che era posto nel suo interesse, una volta restituita la cosa
poteva agire ex empto per ottenere la
ripetizione del prezzo eventualmente pagato, e il risarcimento di eventuali
danni in concorso se ricorrevano i presupposti, con l’actio redhibitoria prevista
nell’editto edilizio. E c’era sempre la possibilità di
esperire un exceptio doli bonae fidei
iudiciis inest.
3. Lex
commissoria e pegno.
Capovolgendo la protasi della clausola commissoria apposta ad una vendita,
cioè rivolgendo al compratore anziché al venditore, la frase si ad diem pecunia soluta sit, essa
diventa si…pretium redhibitum sit-
ut fundus ineptus sit e quindi si trasforma in una alienazione in funzione di garanzia. La particolarità
è che il denaro dovuto (la pecunia
debita) viene considerato dalle parti come pretium della cosa data in garanzia.
Esempi analoghi di questo schema contrattuale vi sono nel diritto greco con
la pra`si" ajpov lnvsei e nel diritto consuetudinario francese con la vente à réméré.
Nel diritto giustinianeo vi sono esempi di questo tipo di alienazione in garanzia,
strutturato mediante lo schema di una lex
commissoria apposta ad una emptio
vincolata da condizione sospensiva e applicato sia per le ipotesi di pignus datum (equivalente del pegno
moderno) che per quelle di pignus
conventum (ipoteca).
Così: D. 20.1.16.9: (Marcianus
libro singulari ad formulam hypothecariam): Potest
ita fieri pignoris datio hypothecaeve, ut, si intra certum tempus non sit
soluta pecunia, iure emptoris possideat rem iusto pretio tunc aestimandam: hoc
enim casu videtur quodammodo condicionalis esse venditio. et ita divus Severus
et Antoninus rescripserunt.
D. 18.1.81 pr.: (Scaevola libro septimo digestorum): Titius cum mutuos acciperet tot aureos sub
usuris, dedit pignori sive hypothecae praedia et fideiussorem Lucium, cui
promisit intra triennium proximum se eum liberaturum: quod si id non fecerit
die supra scripta et solverit debitum fideiussor creditori, iussit praedia
empta esse, quae creditoribus obligaverat. quaero, cum non sit liberatus Lucius
fideiussor a Titio, an, si solverit creditori, empta haberet supra scripta
praedia. respondit, si non ut in causam obligationis, sed ut empta habeat, sub
condicione emptio facta est et contractam esse obligationem.
Anche Papiniano sembra riconoscere questo schema contrattuale in Vat. Fragm.
9: si convenerit ut pecunia fenoris non
soluta creditor iure empti dominium retineat che viene peraltro seguito da
Trifonino: D. 20.5.12 pr. (Trifoninus
liber 8 disputationum): Rescriptum
est ab imperatore libellos agente Papiniano creditorem a debitore pignus emere
posse, quia in dominio manet debitoris.
Indicativo è il fatto che in tre di questi casi l’emptio commissoria lege viene
configurata come la volontaria conversione di un rapporto pignoratizio.
4. La lex commissoria
e il suo inquadramento dogmatico.
La lex commissoria è il
patto per cui una delle parti ha diritto di considerare come mai concluso il
contratto se l’altra non adempia a tempo alla sua obbligazione. Ed
è un effetto immediato che si realizza cioè ipso iure, senza che il soggetto nel cui interesse è stata
posta la clausola debba dichiarare di avvalersene. Le fonti giustinianeee al
riguardo sono abbastanza chiare:
D. 18.3.3 (Ulp. 30 ad ed.): Nam legem commissoriam, quaer in venditionibus adicitur, si volet venditor
exercebit, non etiam invitus.
D. 18.3.8 (Scaevola libro septimo digestorum): Mulier fundos Gaio Seio vendidit et acceptis
arrae nomine certis pecuniis statuta sunt tempora solutioni reliquae pecuniae: quibus
si non paruisset emptor, pactus est, ut arram perderet et inemptae villae
essent. die statuto emptor testatus est se pecuniam omnem reliquam paratum
fuisse exsolvere (et sacculum cum pecunia signatorum signis obsignavit),
defuisse autem venditricem, posteriore autem die nomine fisci testato conventum
emptorem, ne ante mulieri pecuniam exsolveret, quam fisco satisfaceret.
quaesitum est, an fundi non sint in ea causa, ut a venditrice vindicari debeant
ex conventione venditoris. respondit secundum ea quae proponerentur non
commisisse in legem venditionis emptorem.
D. 18.3.7 (Hermogenianus libro secundo iuris epitomarum): Post diem commissoriae legi praestitutum si
venditor pretium petat, legi commissoriae renuntiatum videtur, nec variare et
ad hanc redire potest.
CI. 4.54.4: COMMISSORIAE VENDITIONIS
LEGEM EXERCERE NON POTEST, QUI POST PRAESTITUTUM PRETII SOLVENDI DIEM NON
VINDICATIONEM REI ELIGERE, SED USURARUM PRETII PETITIONEM SEQUI MALUIT. * ALEX.
A. CLAUDIO IULIANO ET PROCULIANO. *<>
Nei casi appena prospettati, chi può far valere la lex commissoria, cioè il venditor, può far annullare il
contratto:
D. 18.3.4.2: Eleganter Papinianus
libro tertio responsorum scribit statim atque commissa lex statuere venditorem
debere, utrum commissoriam velit exercere an potius pretium petere, nec posse,
si commissoriam elegit, postea variare).
Si intende, naturalmente, che il venditore/creditore avesse rinunciato ad
avvalersi di questa clausola, se trascorso il tempo fissato, questi accetta in
tutto o in parte la prestazione dovuta (D. 18.3.6.2: Post diem lege commissoria comprehensum venditor partem reliquae
pecuniae accepit. respondit, si post statutum diem reliquae pecuniae venditor
legem dictam non exercuisset et partem reliqui debiti accepisset, videri
recessum a commissoria); ovvero promuoveva azione per ottenerla: D. 18.3.7:
Post diem commissoriae legi praestitutum
si venditor pretium petat, legi commissoriae renuntiatum videtur, nec variare
et ad hanc redire potest.
Questo regime pattizio può essere applicato a qualsiasi tipo di
contratto bilaterale, sia nella forma di una condizione risolutiva, che in
quella di condizione sospensiva. La differenza risulta dal modo in cui è
congegnato il patto dato che, come è noto, si ha una condizione è
risolutiva o sospensiva a seconda che ad un avvenimento futuro le parti
colleghino l’inizio o la fine dell’efficacia di un atto[10].
In perfetta simmetria, però, troviamo lo stesso meccanismo in un
frammento del giurista Sabino che è una disposizione normativa tratta
dal titolo del Digesto dedicato all’in
diem addictio (una delle clausole accessorie alla compravendita):
D. 18.2.2 pr. (Ulp. 28 ad Sab.): Quotiens fundus in
diem addicitur: utrum pura emtio est, sed sub conditione resolvitur, an vero
conditionalis sit magis emtio, quaeritur. Et mihi videtur verius, interesse,
quid actum sit: nam si quidem hoc actum est, ut meliore allata conditione
discedatur, erit pura emtio, quae sub conditione resolvitur; sin autem hoc
actum sit, ut perficiatur emtio, nisi melior conditio offeratur, erit emtio
conditionalis.
Dunque, stesso giurista,
stesso libro, stessa opera di commento a Sabino, analogo patto accessorio ad
una compravendita. In realtà se facciamo la distinzione tra un patto
condizionale inserito in una obbligazione e un patto condizionale inserito in
una dichiarazione accessoria, possiamo facilmente renderci conto che se la condizione risolutiva è posta
come patto aggiunto ad un rapporto obbligatorio principale, allo scopo di
annullare gli effetti di tale obbligazione, essa condizione non è altro
che una condizione sospensiva della
dichiarazione principale[11]. Di questo anche le fonti romane erano
perfettamente consapevoli:
D. 44.7.44.2 (Paulus libro septuagensimo quarto ad edictum
praetoris): Condicio vero efficax est, quae in constituenda obligatione inseritur,
non quae post perfectam eam ponitur, veluti ‘centum dare spondes, nisi
navis ex Asia venerit?’ sed hoc casu existente condicione locus erit
exceptioni pacti conventi vel doli mali.
Se ne deve pertanto concludere che, in qualità di patto accessorio,
ad una vendita o ad una costituzione di pegno, la lex commissoria è sempre una condizione che sospende
l’efficacia definitiva del rapporto sottostante di cui è
pattuizione accessoria. Ecco perché si dice che sotto un profilo
dogmatico, e quindi tecnico-giuridico, la lex
commissoria rientra nella categoria dei pacta
adiecta che, come è noto, sono dei patti aggiunti ad
un’obbligazione principale predisposti allo scopo di modificare il regime
effettuale di detta obbligazione[12].
Questa semplice considerazione è determinante per capire la vera ratio dell’istituto, perché
qualsiasi condizione (anche risolutiva) espressa con un patto accessorio ad una
obbligazione/contratto principale, reca sempre in sé l’idea di un
patto sospensivo. E quindi, anche una legge commissoria predisposta con patto
accessorio di risoluzione ad un contratto di compravendita condizionato
all’inadempimento del compratore (alienazione in garanzia) è
sempre una condizione sospensiva.
5. Il patto commissorio e la sua vocazione
unitaria.
Tralasciando la questione
della presenza della legge commissoria nei commentari catoniani[13] e in due luoghi di Cicerone[14] che costituisce ancora oggetto di controversia in
dottrina[15], la maggior parte dei riferimenti
giurisprudenziali sono estratti da opere in cui si tratta di questioni
attinenti alla compravendita o ad altri contratti consensuali[16].
Lo stesso si può
dire per il passo corrispondente nei Fragmenta
Vaticana dei responsa ex liber 3 di Papiniano: Vat. Frag. 9: Creditor a debitore pignus recte emit, sive
in exordio contractus ita convenit sive postea; nec incerti pretii venditio
videbitur, si convenerit, ut pecunia fenoris non soluta creditor iure empti
dominium retineat, cum sortis et usurarum quantitasad diem solvendae pecuniae
praestitutam certa sit, tratto dalla rubrica ex empto et vendito.
Inoltre, il titolo che
contempla nel Codex Theodosianus la
norma di Costantino che vietò la legge commissoria nei contratti di
pegno (de commissoria rescindendo),
segue il titolo 3.1 de contrahenda emptione.
Infine, la commissione dei redattori del Digesto ha dedicato alla legge
commissoria otto frammenti compresi nel diciottesimo libro (de contrahenda emptione), al terzo
paragrafo (de lege commissoria).
Già da questa
sommaria ricognizione si capisce che l’istituto è contemplato
nell’ordinamento romano principalmente come clausola accessoria (accidentalia negotii) al negozio di
compera (de contrahenda emptione). La
questione era stata già notata da Arnaldo Biscardi che nel 1962 (che
è la data di pubblicazione di un suo noto articolo dedicato alla lex commissoria pubblicato negli Studi
Betti)[17] manifestava il suo stupore nel constatare che la
dottrina romanistica considerava la legge commissoria del pegno e la legge commissoria
della vendita come due istituti indipendenti[18].
La
verità è che le fonti del Digesto che sono contenute nel titolo de lege commissoria D. 18.3.1–8, pur trattando di una clausola
accessoria al negozio consensuale di compravendita, in realtà dimostrano
di trattare di un’ipotesi atipica di obligatio
rei. La qual cosa, come aveva visto giustamente già Arnaldo Biscardi,
pone sullo stesso piano la lex
commissoria nella compravendita e nel pegno. Il fatto che Giustiniano
recepirà l’impostazione di Costantino rispetto al divieto del
patto commissorio solo in materia di pegno [come dimostra la norma contenuta in
CI. 8.33.3, che contiene una disciplina minuziosa dell’impetratio iure dominii congegnata allo
scopo di proteggere il debitore considerato come parte debole[19]] non è quindi una discriminante per
comprendere le due fattispecie in modo unitario.
6. Alla ricerca della ratio
originaria.
Per comprendere la ratio originaria dell'istituto
può forse essere utile approfondire il significato etimologico dell’espressione
lex commissoria. Facendo riferimento
all’età più risalente (si potrebbe dire fino almeno
all’età di Neratio Prisco,
ossia l’età degli imperatori Traiano e Adriano) l’analisi
linguistica dimostra che la legge
commissoria nasce come un ‘patto
di responsabilità’ o ‘sulla responsabilità’ di una delle parti. In lingua
latina commissum, è infatti
participio perfetto del verbo committere
e quindi presenta uno spettro di significati particolarmente complesso data la
particolare ampiezza della portata semantica del verbo latino commìtto/commìttere.
Troviamo il significato
di ‘commettere una colpa’ e/o quindi di ‘violare una
norma’ in Plauto Men. 771: nisi aut quid commissi aut iurgi est caussa;
Cesare (b.Gall. 7.4.10: maiore commisso delicto) e Varrone (r.r. 2.1.16: lege censoria committant) a
proposito della violazione dei pecuari
che facevano pascolare gli animali senza registrare le mandrie nei registri
censori[20].
Un uso del verbo committere nel
senso di ‘aver violato una norma di
legge’ si rileva anche in Cicerone, nel Brutus (pubblicato nel
Già troviamo un impiego simile in un opera di Cicerone del 70, ma in
senso più generico: Verr. 1.6:
multa et in deos et in homines impie et
nefarie commisit; 1.40: facinus
commettere; e nel
L’idea di
riconoscere al verbo committere usato
dalle fonti romane per definire l’oggetto del patto commissorio un significato
di responsabilità si rafforza se consideriamo quelle fonti in cui si
rileva un impiego di committere nel
senso di ‘comportamento illecito’ storicamente consistente nella
violazione di una lex censoria (come
in Varro r.r. 2.1.16 che abbiamo citato
sopra): D.18.3.8: respondit secundum ea
quae proponerentur non commisisse in legem venditionis emptorem; Suet. Cal. 41.1: Eius modi vectigalibus indictis neque propositis, cur per ignorantiam
scripturae multa commissa fierent; Pseud. Quint. decl.
341: Quod quis professus non est apud
publicanus, pro commisso tenetur.
Il committere o commissum
era infatti l’illecito contrattuale consistente nella violazione di una
locazione censoria la cui sanzione era la vendita a danno del privato risultato
inadempiente delle cose date in garanzia[21]:
D.3.5.12(13) (Paul. 9 ad ed.): ne praedia in
publicum committerent.
D.16.1.17.2
(Afric. 4 quaest.): fundus…in
publicum committetur.
A seguito del commissum, i praedia subsignata (cioè i lotti di terreno iscritti nelle
liste censorie a titolo di garanzia)[22] venivano espropriati (vindicata in publicum) come dicono in modo ellittico i giuristi:
D.39.4.11.4 (Paul. 5 sent.): eam rem, quae commisso vindicata est, dominus emere, non prohibetur vel
per se vel per alios quibus mandaverit; Gai. 2.61: si rem obligatam sibi populus vendiderit.
Questa procedura
esecutiva era detta appunto venditio
praedium praediorum, o ius praediatorum (Cic. pro Balb. 29.45) o lex praediatoria (Lex
Malacitana 64.51–52,4; Suet. Cal.
9.6) o praediatura (Gai. 2.61).
La cosa si collega con
l’ipotesi di coloro che ravvisavano l’origine della compravendita (emptio-venditio) consensuale romana
nelle procedure esercitate dai magistrati romani nella prassi negoziale
pubblica[23].
Simile origine sembra
abbia avuto la misteriosa legis actio per
pignoris capionem di Gaio, la prima forma di pegno immobiliare attestata
dalle fonti per il diritto romano. Questo spiega forse perché nella emptio-venditio romana, l’acquisto
della proprietà di regola è soltanto un effetto differito nel
tempo (contratto ad effetti reali differiti e non come la compravendita moderna
che è nella sua struttura tipica un contratto ad efficacia reale).
Questa circostanza
è dovuta al fatto che i giuristi Romani della età della fine
della repubblica non ragionavano ancora in termini di proprietà (in
senso astratto, unitario e assoluto), ma di possesso/appartenenza[24]. Già Max Kaser aveva notato che nella lex del
Tutto questo potrebbe
spiegare il perché della necessità di garantire tali alienazioni
mediante un patto aggiunto di garanzia. Di qui il legame con l’antica pignoris capio di Gai. 4.28 e il
rapporto molto stretto riscontrabile nelle fonti tra pegno (datum e conventum), vendita romana e patto commissorio.
Cicerone usa per la prima
volta (la lettera è della fine del
Cic. ad fam. 13.56.2.1: praeterea Philocles Alabandensis hypothecas Cluvio dedit. eae commissae sunt[26].
E’ vero che
Cicerone si rivolge al pretore della provincia d’Asia, Q. Minucio Thermo, ma egli stesso
dimostra che l’istituto (hypotecas)
era conosciuto nella prassi negoziale pubblica[27].
Quindi non è
giusto pensare che all’epoca di Cicerone l’istituto fosse ancora
estraneo al diritto romano[28]. Non dimentichiamo a questo proposito la famosa
definizione di possessio del giurista
Elio Gallo (risalente al
E’ questa forse la
chiave allora per comprendere come si sia potuta fare strada tra i giuristi
romani l’idea di una struttura negoziale dove la trasmissione di un bene
concreto fosse soltanto obbligatoria e non reale (come l'emptio-venditio delle origini)[30]. In questa fase del diritto romano le prerogative
di status e le posizioni giuridiche
corrispondenti cominciarono a rendersi autonome per effetto di un lavoro
specifico compiuto dai giuristi romani. La stessa idea è sottesa al
pegno degli inventa et illata dei
formulari catoniani (che danno tanto filo da torcere agli studiosi), dove
però l’oggetto del pegno è nella disponibilità
materiale del debitore.
Del resto l’ipotesi
prospettata da Gaio in
Capiamo allora
perché le fonti giustinianee attestano l’applicazione della lex commissoria principalmente rispetto
a due tipi di rapporti obbligatori: la compra-vendita e il pegno e
perché alla fine prevalse lo schema del patto aggiunto (pactum adiectum) per rendere effettivo
il patto sulla responsabilità.
La ragione potrebbe
storicamente essere individuata nel fatto che il legame tra vendita e pegno
è molto stretto o, almeno, nel fatto che le due fattispecie erano viste
in questo modo dai giuristi romani come dimostra anche il seguente noto
frammento di Gaio in D. 20.1.9.1 (Gai.
9 ad ed. prov.): Quod emptionem venditionem recipit, etiam pignerationem recipere potest
attestante il principio per cui tutto ciò che può essere venduto
può costituire oggetto di pegno.
Questo forse
perché sia la vendita che il pegno realizzano (e si realizzano)
materialmente (con) un’alienazione di cose. Da quando sarà
possibile negoziare non soltanto le cose materiali, ma anche solo i diritti
(fine del formalismo? Visione astratta della fattispecie giuridica?), ecco che
insieme alla vendita condizionata (patto commissorio autonomo o adiectum) può essere nata la
figura del pignus conventum. Del
resto è lo stesso Gaio a dire che in epoca più antica anche la fiducia cum creditore poteva essere realizzata
senza consegna materiale della cosa: Gai. 2.60: si neque conduxerit eam rem a creditore debitor, neque precario
rogaverit, ut eam rem possidere liceret.
In questo quadro diventa
allora forse interessante rileggere il famoso inciso di Gaio, tratto dal suo sesto
libro di commento alle dodici tavole e conservato nel sedicesimo titolo del
libro cinquantesimo del Digesto de
verborum signicatione, dove il giurista dà la seguente definizione
di pignus:
Gaio in 50.16.238.2 (libro sexto ad legem duodecim tabularum):
‘Pignus’ appellatum a pugno, quia res, quae pignori
dantur, manu traduntur. unde etiam videri potest verum esse, quod quidam
putant, pignus proprie rei mobilis constitui. ‘Noxie’ appellatione
omne delictum continetur.
Pur apparendo sicuramente
impropria l’etimologia proposta dal giurista in questo frangente [pignus sarebbe una parola derivata dal
nome del pugno, dato che ‘con
le mani si danno le cose’ (appellatum
a pugno, quia res, quae pignori dantur, manu traduntur)], se in questo
luogo pignus è contrapposto da
Gaio al nexum come fonte di
responsabilità giuridica (pignus proprie rei mobilis constitui.
‘Noxie’ appellatione omne delictum continetur), sembrando il
pegno riferibile alle sole res mobiles,
l’idea di riconoscere alla sostanza della legge commissoria un significato
di responsabilità appare giustificabile, specie se si considera che la
prima forma di garanzia nelle obbligazioni sembra sia stata proprio il pegno su
cose mobili, oltrettuto, contratto in forma convenzionale[31]. Come l’ipoteca di cui parla già
Cicerone nel
Ritorniamo allora alla
questione delle origini del patto commissorio e a quella della sua evoluzione
storica. Lo stesso Gaio, come abbiamo visto, collega la legis actio per pignoris capionem, una delle cinque canoniche forme
di legis actio conosciute, ad una
legge censoria per i debiti d’imposta: Gai. 4.28: Item lege censoria data est pignoris capio publicanis vectigalium
publicorum populi Romani adversus eos qui aliqua lege vectigalia deberent.
Si capisce allora come il
verbo committere appaia impiegato,
ancora in avanzata età classica, nel senso di un’inadempienza
nella conductio vectigalium[33].
Se non sembra potersi dubitare del fatto che
l’espressione commissum, nelle
fonti tecniche e non, fosse impiegata nel senso di ‘responsabilità’ per un fatto commesso, alcune testimonianze
del Digesto relative a Labeone, Sabino, Nerazio e Africano dimostrerebbero che
la lex commissoria era un patto sulla
responsabilità contrattuale[34]. Considerando che con
l’Africano andiamo al più tardi all’età degli
Antonini, capiamo allora quale può essere stata l’evoluzione
storica dell’uso giuridico dell’espressione committere nelle fonti giuridiche romane di età classica[35].
Il significato di ‘patto di decadenza’ sostenuto da Antonio Guarino[36] non è quindi quello
originario e tutto ciò dimostra che
l’utilizzazione del verbo commìttere
nel senso di ‘rendere esecutivo dopo un certo termine’, ovvero di
‘dare applicazione a qualcosa’, come nel caso di Ulpiano in D.
37.4.3.11: Si quis ex liberis heres
scriptus sit, ad contra tabulas bonorum possessionem vocari non debet: cum enim
possit secundum tabulas habere possessionem, quo bonum est ei contra tabulas
dari? plane si alius committat edictum, et ipse ad contra tabulas bonorum
possessionem admittetur o di D. 4.4.38 pr. (Paul. 1 decretorum): quod dies committendi in tempus pupillae incidisset
eaque effecisset,>ne pareretur legi venditionis, non sia altro che l’espressione di una trasformazione
semantica più tarda (rilevabile pertanto solo dall’età dei
Severi)[37].
Seconda parte
Il
divieto del patto commissorio
1.1. Breve
storia del divieto del patto commissorio dalle origini agli ordinamenti
attuali.
Il divieto del patto commissorio fu imposto dall’imperatore
Costantino che nel 320 emanò una legge in forma di editto, conservata
anche nel Codex Theodosianus, la
quale vietò la nullità del
negozio costitutivo di pegno se fosse stato convenuto il patto mediante il
quale creditore e debitore si accordavano nel senso che, in caso di
inadempimento del debitore, il creditore di un bene dato in garanzia avrebbe
acquistato la proprietà su di esso (placet
infirmari eam et in posterum omnem eius memoriam aboleri. Si quis igitur tali
contractu laborat, hac sanctione respiret, quae cum praeteritis praesentia
quoque depellit et futura prohibet) pur restando salva la
possibilità di un’actio in
personam per il creditore (creditores
enim re amissa iubemus recuperare quod dederunt)[38].
La norma appena richiamata si presenta chiaramente come un intervento a
favore del debitore al fine di mitigare l’asprezza di regime che derivava
dall’impiego di tale clausola nella disciplina delle obbligazioni di
pegno (quoniam inter alias captiones
praecipue commissoriae pignorum legis crescit asperitas, placet infirmari eam
et in posterum omnem eius memoriam aboleri)[39]. La vera ratio
di tale divieto sembrerebbe essere stata allora quella di evitare che il
creditore potesse rivalersi personalmente sulle cose in possesso del debitore
senza ricorrere al giudice. Lo dimostra anche la terminologia usata
nell’editto: captiones; commissoriae legis…asperitas; si quis…tali contractu laborat, hac
santione respiret volto a reprimere forme di abusi che potessero spingere
qualcuno: per necessitatem promettere,
o a contrarre obpressum debito.
Tale divieto fu accolto da Giustiniano (C. 8.34.3)
e questo spiega una serie di interpolazioni facenti riferimento ad esempio ad espressioni
del tipo iustu pretio come in D.
20.1.16.9 evidentemente assenti nel testo originario[40].
Dopo il divieto di Costantino, recepito da
Giustiniano nella Compilazione e ribadito nel 530, questo fu nuovamente posto
in diritto canonico da un famoso decreto di Innocenzo III del 1198[41].
Più avanti nei secoli il divieto del patto
commissorio fu accolto soprattutto nell’area di cultura francese,
culminando nella famosa previsione del Code
Napoléon che all’art. 2078, cpv. sancì la famosa clause de voie parée, in materia
di pegno[42]: «Le
créancier ne peut, à défault de paiement, disposer du
gage; sauf à lui à faire ordonner en justice que ce gage lui
demeurera en paiement et jusqu’à due cencurrence,
d’après une estimatio faite par experts, uo qu’il sera vendu
aux enchères. Tout clause qui autoriserait le
créancier à s’approprier le gage ou à en disposer
sans le formalités ei-dessus, est nulle».
E conservò il principio in materia di patto
anticretico:
Code
Napoléon art.
2088: «Le créancier ne
devient point propriétaire de l’immeuble par le seul défaut
de paiement au terme convenue; totut clause contraire est nulle: en ce cas, il
peu poursuivre l’expropriation de son débiteur par le voies
légales».
Il codice italiano del 1865 (costruito come è noto prendendo come riferimento
quello francese) naturalmente recepì tale divieto agli artt. 1894 e
1884, rispettivamente in tema di patto anticretico e di pegno[43]:
Codice Civile italiano 1865, art. 1894: «Il creditore non diventa proprietario dell’immobile per la sola
mancanza del pagamento nel termine convenuto: qualunque patto contrario
è nullo. In mancanza di pagamento può domandare coi mezzi legali
la espropriazione del suo debitore».
Codice Civile italiano 1865, art. 1884: «Il creditore non può disporre del pegno pel non effettuato
pagamento: ha però il diritto di far ordinare giudizialmente che il
pegno rimanga presso di lui in pagamento e fino alla concorrenza del debito
secondo la stima da farsi per mezzo di periti, oppure che sia venduto
all’incanto».
In diritto tedesco, che non ha recepito tale divieto, il trasferimento
della proprietà a scopo di garanzia è invece generalmente
praticato in materia mobiliare e di diritti di credito. Questo sistema viene
preferito al pegno, perché attraverso il meccanismo del trasferimento
della proprietà in funzione di garanzia, si evita lo spossessamento
materiale che è caratteristico del pegno[44].
Lo stesso si può dire per gli ordinamenti di
tradizione anglosassone[45] dove esistono invece meccanismi
simili al patto commissorio vietato dall’ordinamento italiano e francese,
sia nella forma del trasferimento immediato (salvo risoluzione
dell’effetto traslativo a seguito del pagamento), sia nella forma del
trasferimento subordinato all’adempimento (il cd. foreclosure), anche se in questo secondo caso il giudice può
ordinare che il bene sia venduto a terzi[46].
Istituti previsti dal common law
che possono essere assimilati al patto commissorio romano e italiano sono il mortgage e il trust.
Con il primo istituto si
ammette al mortgagee
(mutuante/creditore) l’attribuzione di un lease, stabilendo un patto con il quale, in caso di mancata
restituzione del capitale nel termine finale del lease, questo si trasformerebbe in un fee simple (equivalente della proprietà semplice degli
ordinamenti romanistici[47]), dando luogo ad una specie di patto commissorio[48].
Ora,
dopo successive evoluzioni dell’istituto, è ammessa anche la
possibilità del pagamento ritardato. Il debitore, infatti, ha la
possibilità di pagare il debito anche dopo la scadenza per riacquistare
la proprietà del bene trasferito. Per farlo deve intentare azione davanti
alla Chancery Division chiedendo che
gli venga assegnato un termine (sei mesi a far tempo dal provvedimento
dilatorio) per il pagamento tardivo. Solo in caso di persistente inadempimento
il debitore verrà dichiarato definitivamente decaduto da quella che i
giuristi anglosassoni chiamano l’equity
of redemption (ossia il diritto di riscattare il bene oggetto di mortgagee)[49].
Più duttile, ma
più complessa, è invece la figura del trust (letteralmente fiducia), che è un istituto estraneo al
diritto romano e agli ordinamenti di civil
law. Si può dire in breve che il concetto fondamentale del trust stia nel fatto che un costituente
(settlor of the trust) aliena taluni
beni o diritti a favore del trustee
che li amministra nell’interesse di un’altra persona (beneficiary).
Il rapporto che si crea
tra il trustee (titolare dei beni in
un patrimonio separato per common law)
e il beneficiary è un rapporto
fiduciario[50]. Bisogna dire che in seguito alla Convenzione
dell’Aja del 1985, ratificata anche dall’Italia, questo istituto si
è avviato a conoscere una rapida diffusione in tutta Europa[51]. Esso era stato già recepito sin dagli
anni trenta in diversi ordinamenti sia dell’Europa che dell’America
Latina.
Nel 1993 il trust è stato recepito anche
dalla Repubblica Federativa Russa e si può dire che con la rapida
espansione dell’economia globalizzata, guidata dai mercati inglese e
americano, il futuro sarà caratterizzato sempre di più dalla
creazione di nuovi meccanismi di garanzia fuori dalla tradizione di civil law che l’istituto del trust ovviamente favorisce[52].
1.2. Il patto commissorio e il suo
divieto nell’ordinamento italiano vigente.
Il divieto del patto
commissorio è previsto dal codice italiano all’art. 2744 c.c.:
«E’ nullo il patto col quale
si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la
proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il
patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o
del pegno» e dall’art. 1963 c.c. per il contratto di anticresi:
«E’ nullo qualunque patto, anche
posteriore alla conclusione del contratto, con cui si conviene che la
proprietà dell’immobile passi al creditore nel caso di mancato
pagamento del debito».
In dottrina, circa
l’individuazione della ratio di
tale norma, non vi è unanimità di vedute[53]. Per alcuni si tratterebbe di una misura in favor debitoris, ossia di una misura volta ad evitare atteggiamenti usurari[54].
Altri hanno tentato,
invece, di cambiare modalità di approccio al problema credendo di individuare
la ratio di tale norma nella
necessità di tutelare il principio della par condicio creditorum che è un principio di portata
generale[55].
Infine vi è chi ha individuato la ratio di tale norma nella volontà del legislatore di evitare
la creazione di una clausola di garanzia atipica. A parte una palese violazione
del principio della tipicità degli atti (di fronte al verificarsi
dell'ipotesi paventata dai sostenitori del divieto del patto commissorio), con
la stipulazione di un patto del genere si verrebbe a creare anche una
pericolosa compatibilità tra funzione traslativa e funzione di garanzia.
In teoria con un’attività negoziale volta a realizzare uno scopo
di patto commissorio si potrebbe determinare la costituzione di una clausola di garanzia atipica attraverso
la stipulazione di tre atti: uno relativo al rapporto obbligatorio principale,
ineludibile in ragione della caratteristica dell’accessorietà delle
garanzie reali tipiche; ovviamente il rapporto di garanzia; e, infine, quello
costitutivo di patto commissorio.
La pratica però
insegna che lo scopo del patto commissorio può essere raggiunto mediante
altre vie non meno complicate. Ed è qui che trova applicazione il cd. patto commissorio autonomo di cui si
parlava prima[56].
1.3 Il patto commissorio autonomo.
La figura del patto
commissorio autonomo è la tipica fattispecie volta ad eludere il divieto
del patto commissorio negli ordinamenti che prevedono tale divieto[57]. Si pensi ad un patto di riscatto dietro il quale
si nasconda lo scopo di realizzare un patto commissorio (simulazione relativa)
ad una compravendita sottoposta alla condizione sospensiva
dell’inadempimento, o soltanto alla costituzione di un diritto personale
di godimento (leasing back)[58].
Altri casi di patto commissorio autonomo in funzione di
garanzia atipica o mascherata possono essere: la procura a vendere di un proprio immobile lasciata dal mutuatario al
mutuante contestualmente ad un finanziamento, ovvero la vendita fittizia di un immobile a scopo di garanzia con contestuale
conferimento di mandato al creditore, simulato acquirente, avente ad oggetto
l’alienazione della somma mutuata, che è considerato nullo non per
violazione del divieto del patto commissorio, ma per frode alla legge. Questo
perché l’immobile oggetto della garanzia non passa in
proprietà del creditore al momento dell’inadempimento, ma deve
essere alienato a terzi nell’esecuzione di un mandato che deve essere adempiuto
con la diligenza del buon padre di famiglia[59]. Può anche verificarsi
l'ipotesi di un mandato ad alienare senza
obbligo di rendiconto e sospensivamente condizionato
all’inadempimento da parte del mandante di un suo debito nei confronti
del mandatario che è ritenuto nullo per frode alla legge[60].
Altra ipotesi di violazione del patto commissorio è quella della vendita di un bene con riserva della proprietà da parte del debitore alienante
(in garanzia)[61]. Infine, si può fare l’esempio di un
mutuo assistito da polizza assicuratrice,
consistente nell’accordo con cui l’assicurato (ramo vita), maturato
il diritto al riscatto, chiede la concessione di un finanziamento
all’assicuratore con l’intesa che, in caso di inadempimento,
l’assicuratore può recedere dal contratto di assicurazione e
compensare il credito ex mutuo con il
debito che egli ha nei confronti dell’assicurato in base al riscatto
assicurativo. Poiché è prevista la restituzione
dell’eccedente all’assicurato, l’assimilabilità di
questa ipotesi al patto marciano fa
propendere per la non configurabilità del divieto del patto commissorio
nei casi in cui ricorra questa figura[62].
Come si vede, dietro la
figura del patto commissorio si nasconde la categoria delle alienazioni in garanzia
ed è questa la chiave per intendere la reale portata dell’istituto
come ha mostrato l’indagine compiuta anche in diritto romano.
Le parti, di fronte al divieto esplicito del legislatore,
nella pratica negoziale sono solite aggirare l’ostacolo utilizzando
strumenti giuridici diversi come le vendite obbligatorie, ossia le alienazioni
in garanzia (come nella prassi romana), negozi simulati, indiretti o fiduciari[63].
Qui entra in gioco il
ruolo svolto dall'autorità giurisdizionale.
Il problema veniva allora
correttamente impostato valutando la validità della vendita con patto
riscatto, come negozio indiretto, nella misura in cui questo non incorresse in
un’ipotesi di frode alla legge per violazione del divieto del patto
commissorio. In mancanza di frode alla legge si è ritenuta invece
giustificata la tendenza a riconoscere efficacia a tale tipo di vendita,
naturalmente fuori dai casi di vendita simulata[65].
Viceversa, se il
contratto veniva predisposto con clausola risolutiva,
1.4. L’ampliamento della
portata del divieto del patto commissorio.
Nel 1983, la Corte di
Cassazione italiana a Sezioni Unite (con sent. 83/3800) ha ribaltato le
modalità di approccio al problema considerando questione di mero
formalismo distinguere tra vendita con condizione risolutiva e vendita
subordinata alla condizione sospensiva. Facendo rientrare nelle ipotesi di nullità
anche la vendita fiduciaria a scopo di garanzia[67].
Bisogna considerare, a
questo proposito, che la natura di un patto commissorio (anche quello contemplato
dall’esperienza giuridica romana) è sempre quella di una clausola
sospensiva, perché qualsiasi condizione (anche risolutiva) apposta ad
una obbligazione principale è comunque una condizione sospensiva. La
ragione addotta dalla Cassazione per stabilire la nullità delle
alienazioni di garanzia congegnate con il meccanismo della vendita sottoposta a
condizione, fu che in ogni caso, con tali strumenti, si sarebbe stati fuori
dallo schema di costituzione di una garanzia tipica e quindi si sarebbe
rientrati nello schema della violazione del divieto del patto commissorio in
applicazione del principio per cui un contratto traslativo non può
essere asservito a realizzare una funzione di garanzia. In questi casi il
contratto traslativo di proprietà, se è collegato al rapporto
obbligatorio, provocherebbe la inibizione della funzione di scambio diventando,
in altre parole, un contratto di garanzia.
Per effetto di questo
intervento innovativo della Suprema Corte sono scaturite due conseguenze. Da un
lato, si è determinato un’ampliamento della portata dell’art.
2744 c.c. fino a far porre sullo stesso piano la simulazione e il negozio
indiretto (fiduciario), con un effetto solo apparente nel primo caso e reale
solo nel secondo. Dall’altro, si è finiti con l’estendere la
sfera dell’illiceità diretta colpita dalla norma sul patto
commissorio fino alla negazione di ogni vendita sottoposta ad una condizione
sospensiva. Con la conseguenza della massima limitazione delle ipotesi di
simulazione.
Per effetto della
pronuncia della Corte i meccanismi negoziali de quo sono stati qualificati pertanto non più come meri atti di aggiramento, ma declassati ad
ipotesi di atti contra legem.
Inoltre, si è stabilita una netta incompatibilità tra funzione
traslativa e funzione di garanzia reale. Con la conseguenza che gli atti di aggiramento
non sono più visti come atti in frode alla legge (quindi annullabili),
ma come atti contra legem (quindi
nulli). Con la conseguenza della cancellazione della distinzione tra negozio illecito e negozio in frode alla legge per
violazione dell’art. 1344 c.c. Rimarrebbe per vero lo spazio per la simulazione assoluta, quando le parti
attuano un trasferimento che non vogliono realizzare. Quanto alla simulazione relativa, la chiave per
comprenderne la legittimità non può più essere riferita alle
clausole, ma alla funzione dell’atto dissimulato.
1.5. Il ridimensionamento della
portata dell’art. 2744 c.c.
Su questa base si
è ribadita allora la nullità del contratto di alienazione in
garanzia laddove si dimostrasse che il trasferimento del bene, oggetto della
vendita apparente, anziché immediato, fosse effettivamente rinviato
all’avverarsi della condizione dell’inadempimento del debitore-venditore.
In questo modo è stata elevata la garanzia al rango di causa della vendita (in funzione
cioè di garanzia) il tutto qualificato come mezzo per eludere il
disposto imperativo dell’art. 1344 c.c. (frode alla legge).
Con
sent. del 21 aprile del 1989, n.
Su questo presupposto
è stato allora sostenuto che, in un caso del genere, la vendita con patto
di riscatto non avrebbe potuto qualificarsi come una vendita
sottoposta a condizione risolutiva. La funzione
traslativa viene così ritenuta compatibile con la funzione di
scambio e la funzione di garanzia non
è considerata causa, ma
declassata a mero motivo.
Questo orientamento tende
a puntualizzare che può rilevare
un'incompatibilità tra funzione traslativa e funzione di garanzia in un
negozio traslativo con patto commissorio autonomo, purchè essa sia riscontrabile
reale ed effettiva (cioè riconoscibile come vera). Se l'interferenza
(collegamento) si riscontra solo a livello di mero scopo-motivo, allora questa sarebbe soltanto apparente e ci sarebbe
compatibilità perché non si incorrerebbe nel divieto
dell’art. 1345 c.c. che parla di illiceità
dei motivi comuni ad entrambe le parti, in quanto la garanzia è una
fattispecie non vietata dalla legge.
Si intuisce da tutto ciò
che questo orientamento della Suprema Corte ha determinato un vero e proprio
ridimensionamento della sfera di apllicabilità dell’art. 2744 c.c.
1.6. Patto commissorio,
responsabilità contrattuale e simulazione.
Come si vede il divieto
del patto commissorio, in diritto romano come in diritto attuale, colpisce una
fattispecie dalla vocazione, si potrebbe dire, trasversale. Le motivazioni che sostengono l’uso dei patti
commissori portano infatti gli operatori del diritto a stravolgere gli assetti
negoziali attraverso i meccanismi più strani per evitare di incorrere
nel divieto[71]. Siamo di fronte ad una questione che coinvolge
non soltanto la vendita condizionata e l’ammissibilità di garanzie
atipiche, ma anche i limiti di ammissibilità del negozio simulato, l’applicabilità
della fiducia e delle figure
negoziali indirette che erano delle fattispecie perfettamente conosciute e
applicate finanche dai giuristi romani e non c’è dubbio che in
questo campo l’esperienza romana può servire da modello per il
legislatore e l’interprete moderno[72].
Possiamo a questo punto
chiederci però perché uno strumento tanto usato come la legge
commissoria fa paura al legislatore e non alle parti.
Non
è facile rispondere a questa domanda. Se, come abbiamo visto, la
funzione tipica del patto commissorio fu, ed è, quella di realizzare uno
scopo di garanzia (lo dimostra l’esperienza antica); e lo scopo della
norma che lo vieta, storicamente, non è (e non fu) di salvaguardare la
funzionalità tipica del negozio a cui è (o era) apposta, dovremmo
dedurne che lo scopo del moderno legislatore, quando pone il divieto del patto
commissorio (a partire da Costantino in poi), non dovrebbe essere quello di
arginare la fantasia creativa delle parti in difesa della tipicità degli
atti negoziali (sarebbe un atteggiamento possibile sul piano del positivismo
legislativo, ma storicamente improprio), ma di evitare abusi nei confronti
della parte più debole.
Nonostante le
oscillazioni sensibili della Corte di Cassazione italiana, mi pare sia questa
la motivazione prevalente che muove gli operatori del diritto in sede di
interpretazione e applicazione della norma sul divieto del patto commissorio
anche oggi in Italia. Il problema riguarda allora questioni di ermeneutica
giuridica che attengono alla teoria del negozio giuridico, in quanto
suscettibili di incidere sui profili della volontà negoziale, della
dichiarazione e della responsabilità nei negozi giuridici negli
ordinamenti giuridici antichi come in quelli moderni che è il tema di
questo nostro convegno.
Anche in questo caso
l’esperienza antica può essere d’aiuto. L’orientamento
prevalente in dottrina considera che tra diritto classico e postclassico vi
siano diversità di vedute. I giuristi classici non sarebbero stati
interessati alla ricerca della intenzionalità delle parti. La
mentalità giustinianea e bizantina (come la Corte di Cassazione
italiana) avrebbe invece dato molto rilievo al motivo psicologico delle parti.
Le fonti esaminate a proposito dell’inquadramento dogmatico della lex commissoria, come abbiamo visto,
confermano in pieno questo modo di affrontare la questione.
Il problema allora
potrebbe essere quello di determinare le conseguenze giuridiche di apparenze di
fattispecie negoziali che le parti hanno consapevolmente manifestato per
nascondere quanto di diverso hanno in realtà convenuto, sia nei rapporti
tra loro, che nei confronti dei terzi, che è lo stesso problema che si
pone il legislatore moderno di fronte alla applicabilità della norma del
divieto del patto commissorio[73].
Conclusione.
Prima di concludere qualche breve considerazione ricapitolativa.
Per quanto concerne la configurazione dell'istituto in diritto romano,
siamo partiti dalla considerazione della posizione dottrinale prevalente per
cui si ritiene che la lex commissoria
nel pegno sia situazione diversa da quella posta per la compra-vendita. Questo
è vero in senso assoluto e se guardiamo alle applicazioni pratiche di
questi istituti, facendo riferimento ad un’epoca successiva
all’età dei Severi. Lo abbiamo visto prima, ma sembrerebbe una
diversità rilevabile prevalentemente a livello disciplinatorio.
Se si risale indietro nel tempo, numerosi indizi fanno pensare invece ad
una matrice unitaria di tali fattispecie e l’analisi storico giuridica
appena compiuta sembra averlo confermato. Questa ipotesi era stata già
formulata da Arnaldo Biscardi (preceduto in questa direzione già dal
Costa e dallo Steiner)[74], con una relazione presentata alla XIII sessione
della SIHDA tenutasi, dal 10 al 15 settembre
La ragione è forse nel fatto che accanto
alla fiducia cum creditore [che era
il patto mediante il quale un debitore (fiduciante) trasferiva delle cose a lui
appartenenti ad un suo creditore (fiduciario) come garanzia, con
l’accordo (pactum fiduciae) che
in caso di adempimento, il fiduciario avrebbe dovuto ritrasferire le cose
fiduciate al fiduciante], al pignus datum
[che si aveva quando il debitore dava una cosa al creditore come garanzia del
suo debito; con l’accordo che a fronte di questo, il creditore
pignoratizio avrebbe dovuto ritrasferire al debitore la res tradita in caso di adempimento nei modi stabiliti, ma attenzione
agli inventa et inlata di Catone], al
pignus conventum [non vi era il
trasferimento materiale della res
costituente l’oggetto della garanzia], molto probabilmente, come aveva
già ipotizzato Arnaldo Biscardi, in diritto romano anche la
compravendita consensuale poteva essere fonte di obligatio rei e quindi essere impegnata in funzione di garanzia[76].
Sembrerebbe allora aver trovato conferma il dato
per cui il tratto comune che unisce il patto commissorio nella vendita come nei
due tipi di garanzie reali, conosciuti come pegno e ipoteca sin da epoca romana
(peraltro già individuato da Antonio Burdese) sia l’idea della
condizione sospensiva, cioè del pactum
adiectum[77]. Se si guarda alla natura del patto commissorio
nella vendita, come nei due tipi di garanzia reale come il pegno e
l’ipoteca, si riscontra infatti, come si è visto, un’idea di
condizione sospensiva. Nella vendita essa inerisce al sorgere delle obbligazioni
reciproche delle parti; nel pegno [se le parti intesero considerare come
avvenuto il trasferimento del pegno al creditore in caso di inadempimento del debitore],
la condizione inerisce al venire in esistenza della iusta causa giustificativa dell’effetto traslativo del
complesso negozio. Rispetto alla fiducia
cum creditore, dove la lex
commissoria è elemento essenziale insito al negozio stesso, nel
pegno essa appare come una struttura accessoria, ossia una pattuizione che, pur
incidendo sulla struttura del negozio in maniera significativa, non cessa mai
tuttavia di esserne elemento accessorio o aggiunto.
Altro
elemento in comune è però quello della considerazione astratta
dell’oggetto della garanzia. La discussione sin qui condotta mi pare che
lo abbia dimostrato. Anche nella fiducia
cum creditore il possesso materiale dell’oggetto della garanzia (pignus) può essere eventuale e
questo decisamente pone, sul piano giuridico-dogmatico, sullo stesso piano
compravendita consensuale in funzione di garanzia, pignus datum, pignus
conventum e patto commissorio.
Per quanto concerne il
divieto del patto commissorio e la sua storia successiva fino agli ordinamenti
attuali, abbiamo visto come dall'età di Costantino, e attraverso
l'età di mezzo, questo divieto sia sopravvissuto negli ordinamenti
più marcatamente di influenza romanistica come quello francese e
italiano. Mentre in quello tedesco sembra essere prevalso l'atteggiamento dei
giuristi romani anteriormente alla riforma del IV secolo. Nessuna influenza
invece per i paesi di Common law
Ad ogni buon conto,
sebbene si sia potuto trattare la fattispecie soltanto superficialmente, si
può affermare che anche nel mondo giuridico attuale questa figura
presenta notevoli profili di interesse.
Più in
particolare, tra la fine dell’ottocento e gli inizi del secolo scorso,
per effetto dell’influenza delle teorie individualistiche e della
pandettistica tedesca si sono venuti contrapponendo, soprattutto in Italia, due
orientamenti che hanno fatto epoca. In sostanza si può dire che lo
scontro ci sia stato, come abbiamo visto, tra:
a) coloro che erano
sostenitori del dogma della
volontà negoziale (caratteristica essenziale del negozio giuridico
era la manifestanzione della volontà delle parti, ciò che esse volevano) [autonomia delle parti e tutela dell’autonomia negoziale].
b) e coloro che invece
ravvisavano nella dichiarazione negoziale, e nel significato obbiettivamente ad
essa attribuibile (dogma della
dichiarazione), la fonte principale degli effetti giuridici disposti dalla
legge, tenuto conto degli interessi delle parti e dei terzi [tutela dell’affidamento negoziale
e dei terzi].
In realtà, sia il dogma della volontà che quello della dichiarazione appaiono
oggi superati. Il primo esprimeva le sicurezze del singolo individuo,
conseguenza dell’affermazione del ceto borghese e dell’affermazione
della propria personalità nella gestione dei propri interessi. Tale
consapevolezza si accompagnava alla difesa, ormai storicamente consolidata,
della proprietà privata, specialmente della proprietà
immobiliare. Libertà nell’autonomia del singolo e difesa della
proprietà individuale del soggetto, entrambe riconosciute e garantite
dallo Stato di diritto.
Il dogma della dichiarazione
è testimone invece dell’affermazione del ceto mercantile e
imprenditoriale e conseguenza di un’aumentata rilevanza nella ricerca di nuove
forme di ricchezza nella direzione di una maggiore socializzazione del diritto
privato.
La presenza sempre più ingombrante dell’economia nel diritto.
L’aggressività sempre maggiore del diritto commerciale,
l’importanza sempre maggiore riconosciuta al reddito rispetto alla
proprietà. Lo slargamento smisurato dei mercati e la diffusione sempre
maggiore dei circuiti di circolazione dei beni (sempre più mobili), ha
reso necessarie nuove esigenze che oggi sono la garanzia e la sicurezza dei
rapporti intersoggettivi e la certezza delle dichiarazioni negoziali e dei loro
effetti.
Nella realtà odierna sono tramontati i ceti, le classi e le
categorie di persone investite da posizioni di preminenza ereditate. Ruoli
dominanti o gregari non sono più precostituiti e stabili, frutto di
rendite di posizione o particolare educazione. La società odierna
è, come si dice, ‘affluente’.
Posizioni e ruoli cambiano con rapidità nuova e la mobilità dei
beni è tanto accentuata da giungere persino alla astrazione della
materialità stessa della cosa (si pensi alla multiproprietà).
Oggi hanno peso economico anche le idee, le speranze e le espressioni
dell’intelligenza, come mostra l’interesse che i giuristi moderni
rivolgono alla protezione dei beni immateriali e alla negoziazione dei cd. beni-valori[78].
In questo quadro, se è necessario rinunciare ad una prospettiva che
sia rivolta a valorizzare solo una delle due posizioni appena evocate, è
forse necessario tentare una fusione tra essi. Bisognerebbe quindi riconoscere
valore al comune intento delle parti
per non rinunciare alla forza creativa che ha il soggetto privato che, nel
perseguire i propri interessi è capace di una notevole spinta propulsiva
verso nuove dinamiche del diritto come l’esperienza romana del periodo
migliore insegna.
Nello stesso tempo, è necessario però, salvaguardare i doveri
di lealtà e trasparenza, in un contesto normativo che disciplini meglio
i mercati e renda la dichiarazione negoziale affidabile in funzione di una
circolazione dei beni che non sia inquinata. Si dovrebbe tentare allora una
conciliazione tra il dogma della volontà e quello della dichiarazione se
si vuole essere al passo con lo spirito del tempo che stiamo vivendo.
La soluzione adottata dalla Corte di legittimità italiana per
risolvere il problema del divieto del patto commissorio di fronte ai casi di
alienazioni in garanzia atipiche è forse un esempio felice della
possibilità di contemperare le esigenze in gioco e quindi va difesa, e
forse presa ad esempio, anche in quelle realtà come gli ordinamenti di
tradizione anglosassone in cui figure negoziali come il patto commissorio o la
fiducia non hanno mai fatto paura.
Fino a quando però ci sarà un evidente sproporzione tra le
parti in gioco, saranno sempre necessari dei limiti. Il trust, ad esempio, potrebbe
benissimo essere applicato fino a quando sussista una reale parità
sociale ed economica tra le parti. Come abbiamo visto, il divieto del patto
commissorio, non stigmatizza il patto in sé, ma la situazione di abuso
che l’impiego di tale clausola, in una forma particolarmente vessatoria,
potrebbe ingenerare.
Insomma, in tutti quei casi in cui la disparità economica e sociale
tra le parti (art. 3 Cost. it.[79]) dovesse risultare troppo sbilanciata favore di
una sola, i costi di transazione (che è quanto costa un avvocato,
sopportare i tempi di giustizia, etc.) renderebbero di fatto impossibile la
tutela per il contraente debole, con la conseguenza che l'abolizione del
divieto del patto commissorio risulterebbe una manovra foriera di ingiustizia
sociale[80].
Il rovescio della
medaglia è che sistemi economici come quello francese e italiano, in cui
sopravvive ancora una norma come il divieto del patto commissorio, sono
destinati a rimanere ai margini del sistema mondiale se perdureranno nei loro
ordinamenti sbarramento di principio come questo del divieto del patto
commissorio. Oltretutto, se a livello europeo, si recepiscono trattati come
О. САККИ
LEX
COMMISSORIA И
ЗАПРЕТ
ДОПОЛНИТЕЛЬНОГО
СОГЛАШЕНИЯ.
АВТОНОМНОСТЬ
СДЕЛКИ ИЛИ
БОЛЕЕ СЛАБАЯ
ОПЕКА
КОНТРАГЕНТА?
(РЕЗЮМЕ)
Специалисты
по римскому
праву обычно
обращают
внимание на
то, что lex commissoria
залога отличается
от lex commissoria
купли-продажи.
Это
абсолютно
верно, когда
мы смотрим на
практическое
применение
каждого из
этих
институтов,
прежде всего
если обращаемся
к эпохе
Северов. Если
же обратиться
к более
раннему
периоду, то
следует, наоборот,
задуматься
об общей
матрице этих
институтов, и
историко-правовой
анализ
подтверждает
это. Данная
гипотеза, уже
выраженная
Арнальдо Бискарди
(а до него в
этом же
направлении
высказывались
Эмилио Коста
и Г. Штайнер) в
докладе на XIII
сессии SIHDA 10–15
сентября 1958 г. в
Триесте.
Лингвистический
анализ глагола
committere, на мой
взгляд,
совершенно
однозначно
указывает на
то, что
существует
теснейшая
связь не
только между
дополнительным
соглашением
и продажей
(отчуждением
в его функции
гарантий), но
также между
дополнительным
пактом и
двумя типами
вещного обеспечения,
соотносящимися
с
современными
залогом и
ипотекой.
Суть
этой
гипотезы А.
Бискарди,
вероятно, заключена
в том факте,
что помимо fiducia cum creditore
[являвшейся
соглашением,
посредством
которого
должник (фидуциант)
переносил
принадлежащие
ему вещи на
своего
кредитора
(фидуциария)
в качестве
обеспечения
с
соглашением
о том, что в случае
исполнения
обязательства
фидуциарий
должен будет
вернуть
фидуцианту
доверенные
вещи], помимо pignus datum
[который имел
место, когда
должник
давал
какую-то вещь
кредитору в
обеспечение
своего долга
с соглашением,
что кредитор
в случае
исполнения
обязательства
должен будет
передать
должнику
переданную
вещь (res tradita)
определенным
способом,
обращая
внимание на inventa et inlata
Катона] и
помимо pignus conventum
[который не
был
непосредственной
передачей res
как предмета
обеспечения],
вполне
возможно, в
римском
праве также и
консенсуальная
купля-продажа
могла быть
источником obligatio rei и
потому могла
быть
используема
для функций
обеспечения.
Общий
след, который
объединяет
дополнительное
соглашение в
продаже и в
двух типах вещного
обеспечения,
известных
как залог и ипотека,
определен
Антонио
Бурдезе: речь
идет об идее
приостанавливающего
условия, то
есть о pactum diectum.
В продаже
эта идея
проявляется
в возложении двусторонних
обязательств
на обе стороны,
в залоге же
(если стороны
будут
восприниматься
с точки
зрения
переноса
залога на кредитора
в случае
неисполнения
должником обязательства)
условие
начинает
действовать
при наличии iusta causa,
вытекающей
из эффекта
переноса
вещи этой сложной
сделки. Что
же касается fiducia cum creditore, то lex commissoria
является ее
сущностным
элементом,
включенным в
сделку, в то время
как в pignus она
проявляется
как дополнительная
структура,
как некое
согласование,
которое,
весьма
значительно
влияя на структуру
сделки,
тем не менее
никогда не
перестает
быть дополнительным
и
добавленным
элементом. Однако
этот элемент
усиливается
изначальным семантическим
значением
глагола committere в
смысле
«ответственности».
Вторая
часть работы
дает краткую
историю запрета
дополнительного
соглашения,
начиная от
знаменитой
нормы
Константина
320 г. н. э. и
вплоть до
современных
правопорядков
более или
менее
романистических
традиций
(французского,
итальянского,
немецкого,
английского,
русского,
американского
и т. д.).
Затем
анализируется
вопрос о
запрете дополнительного
соглашения в
действующем
итальянском
праве,
которое
устанавливает
совершенно
определенный
запрет этого
элемента в
случае
залога и
ипотеки по
ст. 2744 итальянского
ГК и в случае
договора
антихрезы по ст. 1963
итальянского
ГК. При
рассмотрении
знаменитых
решений
Кассационного
суда Италии
(решения 3800/83; 7385/86; 1611/89;
1907/89) отмечается,
что они
весьма
выделяются в
интерпретации
особенностей
и в
применении
предусмотренных
законодателем
норм.
Таким
образом,
выходит
наружу
проблематика
приемлемости
так
называемого
«независимого
дополнительного
соглашения»
с точки
зрения
волнующего
всех вопроса
возможности
привилегии
принципа
коммерческой
свободы в
ущерб защиты
более
слабого
контрагента.
Это
требование,
которое все
время становится
все более
насущным
перед лицом технологической
эволюции,
глобализации
рынков и
все более
быстрой и
более
неконтролируемой
трансформации
современного
общества, где
свобода
индивидуума
оказывается
под серьезной
угрозой
скорее со
стороны
господствующих
групп
экономической
власти, нежели
со стороны
идеологически
враждебных
ему
политических
и
законодательных
властей.
* Освальдо Сакки – доктор римского права юридического факультета II университета г. Неаполя (Италия). Статья написана на основе доклада, прочитанного на III научном международном постоянно действующем семинаре «Римское право и современность» по теме «Договоры, деликты и ответственность по ним в римском и современном частном и публичном праве» 25–30 августа 2006 г. в Университете г. Тарту, Эстония.
[1] Arndts, Trattato delle pandette [tr. F.
Serafini] (in 3 voll.) (Bologna 1873) 2.344 s.; Warkönig, Esposizione
storico dommatica della teoria commissoria nei diritti di pegno, in Archivio civile 24–25; Longo, Sulla “in diem addictio” e sulla “lex
commissoria” nella vendita, in BIDR.
31 (1921) 40 ss.; Wieaker, Lex commissoria (Freiburg 1932); Burdese, “Lex commissoria” e “ius vendendi” nella
fiducia e nel pignus (1949); Thomas,
Tenancy by purchaser, in Iura 10 (1959) 103 ss.; Biscardi, La “lex commissoria” nel sistema delle garenzie reali,
in St. Betti 2 (1962) 575 ss.; Flume, Die Aufhebungsabreden beim Kauf: «lex commissoria, in diem
addictio» und sogenanntes «pactum displicentiae» und die
Bedingung nach der Lehre der Römischen Klassiker, in Fest. Kaser (1976) 309 ss.; Burdese, Manuale di diritto privato romano (Torino 1987) 386, 462.
[2] Il primo a configurare le clausole (accidentali)
di recesso come condizioni sospensive o risolutive, studiando la funzione
(sospensiva o risolutiva) di tali meccanismi all’interno della disciplina
della compravendita fu il giurista Giuliano secondo quanto riferisce Ulpiano in
D.18.2.2 pr. (Ulp. 28 ad Sab.): Quotiens fundus in diem addicitur, utrum pura emptio est, sed sub
condicione resolvitur, an vero condicionalis sit magis emptio, quaestionis est.
et mihi videtur verius interesse, quid actum sit: nam si quidem hoc actum est,
ut meliore allata condicione discedatur, erit pura emptio, quae sub condicione
resolvitur: sin autem hoc actum est, ut perficiatur emptio, nisi melior
condicio offeratur, erit emptio condicionalis. Ubi igitur secundum quod
distinximus pura ventitio est, Iulianus scribit hunc, cui res in diem addicta
est, et usucapere posse et fructus et accessiones lucrari et periculum ad eum
pertinere, si res interierit. V. sul punto Talamanca, Istituzioni
di diritto romano (Milano 1990) 252; 592. Franciosi,
Istituzioni di diritto romano2 370:
«Altra lex venditionis fu la lex commissoria (diversa dal patto
commissorio nel pegno), in base alla quale la vendita si risolveva se non
veniva pagato il prezzo nel termine stabilito». Manfredini, Istituzioni
di diritto romano3 (Torino 2003) 361: «Tra le numerose convenzioni
che si potevano accompagnare ad una vendita (de pactum de non praestanda evictione si è detto,
così del patto di consegna della merce in un luogo determinato),
ricordiamo anzitutto la lex commissoria (patto
commissorio, da non confondersi con l’omonimo patto in materia di pegno),
in forza del quale la cosa doveva considerarsi come non venduta se il
compratore non avesse pagato il prezzo entro un certo termine. Tale patto
funzionava come una condizione risolutiva che dava diritto al venditore di
ottenere indietro la cosa; gli era nondimeno consentito, se lo preferiva,
chiedere il pagamento del prezzo, come se il contratto non si fosse
risolto».
[3] Talamanca, Istituzioni di diritto romano 195; 251. Manfredini, Istituzioni di diritto romano3 194: «Fino
all’età costantiniana si conoscono due istituti, rimessi alla
scelta delle parti. Anzitutto la così detta lex commissoria, un patto in forza del quale automaticamente il
creditore pignoratizio acquista la proprietà della cosa pignorata; si
ritiene la proprietà civile se si trattava di res nec mancipi, la proprietà pretoria in caso di res mancipi. Questo patto, per
l’intrinseca ingiustizia risiedente nel fatto che il creditore poteva
acquistare la proprietà di un bene di valore assai superiore
all’ammontare del suo credito, è stato vietato da
Costantino».
[4] Talamanca, Istituzioni di diritto romano 478.
[5] Talamanca, Istituzioni di diritto romano 479. Lo
schema negoziale attraverso il quale si realizzava la causa della fiducia cum creditore era quello della mancipatio (o della in iure cessio). Con la scomparsa della mancipatio (e della in iure
cessio), verso la fine del terzo secolo d.C., scomparirà anche la fiducia cum creditore.
[6] Cfr. Talamanca,
Istituzioni di diritto romano 477
ss.; 482 s.; Franciosi, Corso istituzionale di diritto romano2
(Torino 1997) 334.
[7] D. 18.3.5 (Nerat. lib. 5 membranarum): Lege fundo
vendito dicta, ut, si intra certum tempus pretium solutum non sit, res inempta
sit, de fructibus, quos interim emptor percepisset, hoc agi intellegendum est,
ut emptor interim eos sibi suo quoque iure perciperet: sed si fundus
revenisset, Aristo existimabat venditori de his iudicium in emptorem dandum
esse, quia nihil penes eum residere oporteret ex re, in qua fidem fefellisset;
D.18.3.4.1: (Ulp. libro 32 ad
edictum): Sed quod ait Neratius habet rationem, ut interdum fructus emptor
lucretur, cum pretium quod numeravit perdidit: igitur sententia Neratii tunc
habet locum, quae est humana, quando emptor aliquam partem pretii dedit.
[8] Cfr. Biondi,
Istituzioni di diritto romano4
(Milano 1972) 496; Talamanca, Istituzioni di diritto romano 251 s. La
soluzione alternativa, volta ad indagare caso per caso la volontà delle
parti, stante il sospetto pressocchè unanimemente condiviso in dottrina
di gravi alterazioni di D. 18.2.2 pr. (cfr. Index
Int. 319), è da considerare se non un glossema, una posizione
dell’epoca giustinianea.
[9] Cfr. Talamanca,
Istituzioni di diritto romano 477
ss.; 482 s.; Franciosi, Corso istituzionale di diritto romano2
(Torino 1997) 334. Ora con bibl. Mohino
Manrique, Pactos en el contrato de
compraventa en interés del venditor (Madrid 2006) XVIII-414.
[10] Chiaramente congegnate nelle forme di condizioni
risolutive sono le testimonianze seguenti: D.18.5.10 pr. (Scaevola liber 7 digestorum): si ad diem pecuniam non solvisset, res inempta fieret; D.41.4.2.3 (Paul. 54 ad ed.): nisi pecunia intre
diem certum soluta esset, inempta res fieret; D.41.4.2.5 (Paul. 54 ad ed.): si displicuerit
intra diem certum, inemta sit; D.18.3.2 (Pomponius lib. 35 ad Sab.):
‘si ad diem pecunia soluta non sit,
ut fundus ineptus sit’; D.18.3.4 (Ulp.
32 ad ed.): Si fundus lege commissoria venierit, ‘hoc est ut, nisi intra
certum diem pretium sit, exsolutum, inemptus fieret’ (…) et quidem finita est emptio. In tutti
questi casi la legge commissoria contemplata nel Digesto si atteggia come una
condizione risolutiva ad una vendita. Per le condizioni sospensive si
può fare l’esempio di D.18.3.1 (Ulp. 28 ad Sab.): Si fundus commissoria lege venierit, magis
est, ut sub conditione resolvi emptio, quam sub conditione contrahi videatur
che è una disposizione normativa tratta dal titolo de lege commissoria del Digesto.
[11] Arndts, Trattato delle Pandette 2.97, nt. 2.
[12] Idem, 2.107.
[13] Cato de agri c. 146,2: Dies argento: ex K(al.) Nov( ) mensum X;
oleae legendae faciendae, quae locata est, et si emptor locarit, Idibus solvito
Recte haec dari fierique satisque dato arbitratu domini: donicum solutum erit
aut ita satis erit, quae in fundo inata erunt, pigneri sunto; ne quid eorum de
fundo deportato, si quid deportaverit, domini esto.
[14] Cic. pro Flacc. 21.51: Venio ad Lysaniam eiusdem civitatis, peculiarem tuum, Deciane, teste; quem
tu cum ephebum Temni cognosses, quia tum te nudus delectarat, semper nudum esse
voluisti. Abduxisti Temno Appollonidem; pecuniam adulescentulo grandi fenore,
fiducia tamen accepta, occupavisti. Hanc fiduciam commissam tibi dicis; tenes
hodie ac possides. Eum tu testem spe recuperandi fundi paterni venire ad
testimonium dicendum coegisti; qui quoniam testimonium nondum dixit, quidnam
sit dicturus expecto. Novi genus hominum, novi consuetudinem, novi libidem.
Itaque, etsi teneo quid sit dicere paratus, nihil tamen contra disputabo
priusquam dixerit. Totum enim convertet atque alia finget. Quam ob rem et ille
servetquod paravit, et ego me ad id quod adtulerit integrum conservabo; ad fam. 13.56.1 s.: praeterea Philocles Alabandensis hypothecas Cluvio dedit. eae commissae
sunt. velim cures ut aut de hypothecis decedat easque procuratoribus Cluvi
tradat aut pecuniam solvat; praeterea Heracleotae et Bargyl<i>etae, qui item debent, aut pecuniam solvant
aut fructibus suis satis faciant. Caunii praeterea debent, sed aiunt se
depositam pecuniam habuisse. id velim cognoscas et, si intellexeris eos neque
ex edicto neque ex decreto depositam habuisse, des operam ut usurae Cluvio
instituto tuo conserventur.
[15] Contempla la possibilità per i formulari catoniani
Burdese, “Lex commissoria” e “ius vendendi” nella
fiducia e nel pignus 98 ss. Critici Biscardi,
La “lex commissoria” nel
sistema delle garenzie reali 375; Sargenti,
Il ‘De agri cultura’ di
Catone e le origini dell’ipoteca romana, in SDHI. 22 (1956) 158 ss.
[16] I frammenti sono i seguenti: il libro settimo dei
Digesta di Cervidio Scevola dove spesso si incontra la trattazione di singole
clausole e il taglio e decisamente casistico. Furono pubblicati postumi nel III
secolo d.C. (dopo Ulpiano) da un ignoto editore [Schulz, Storia della
giurisprudenza romana (Firenze 1968) 275, nt. 6; 418]; il libro decimo del
commento all’editto provinciale di Gaio; il libro terzo dei responsa di Papiniano anche questa opera
casistica se pure nello stile affettato e rarefatto del giurista di età
severiana [Schulz, Storia della giurisprudenza romana 424];
il libro sesto dei responsa di Paolo
anche questa opera parzialmente casistica [Schulz,
Storia della giurisprudenza romana 431].
[17] Vd. per la citazione completa retro, nt. 1.
[18] Contrariamente alla dottrina dominante
consideravano la lex commissoria come
unico istituto: Costa, Sul papiro fiorentino n. I, in BIDR. 14 (1901) 48; Id., Storia del diritto romano privato2 (Torino 1925) 285; Steiner, Datio in solutum (München 1914) 106 ss.
[19] Talamanca, Istituzioni di diritto romano 483.
[20] Si capisce l’importanza del riferimento
lessicale se si mette in collegamento tale notizia con la norma della linea 14
della legge agraria del
[21] La glossa festina ci dice che l’espressione
vendere aveva un significato tecnico
non corrispondente all’equivalente moderno: Fest. sv. venditiones (L. 516,14–16): dicebantur censorum locationes; quos vel ut
fructus locorum publicorum venibant e l’uso in questa accezione della
locuzione venire/vendere è
ancora pregnante nella lex agraria
del
[22] In base a Cicerone (siamo nel
[23] Mommsen, Die römische Anfänge von Kauf und
Miethe, in ZSS. 6 (1885)
260–275; Si v. con rif. bibl. Cancelli,
L'origine del contratto consensuale di compravendita
nel diritto romano. appunti esegetico-critici (Milano 1963) 1–193 e
passim.
[24] Precisazioni terminologiche sul cd. modello romanistico della proprietà
in Solidoro Maruotti, Pluralità di
forme proprietarie ed «abstraktes Eigentum»: le prospettive
dell'esperienza antica e contemporanea, in Drevnee pravo – Ius Antiquum, 1 (6) (Mosca 2000)
209–227, in part. 213; Id., La
tradizione romanistica nel diritto europeo. II. Dallo ius commune alle
codificazioni moderne (Torino 2003) 242 e passim; Id., Riflessioni sulla struttura della rivendica romana e sulla prova della
proprietà, in Scrittii in
onore di G.Franciosi (Napoli 2007) [1–34].
[25] Savigny e Niebhur [cfr. per questo con bibl. e
discussione critica Momigliano, Tra storia e storicismo (Pisa 1985) 108
e 114 ss.] avevano quindi visto giusto parlando di una forma di sfruttamento
ereditario del suolo pubblico: v. Lex
agraria ll. 27–28 dove il meum
esse risulta giuridicamente qualificato soltanto insieme all’ager
privatus (ll. 8, 12, 14, 19, 23, 27, 49, 63, 66, 80), all’uti frui habere possidere (ll. 14, 32,
81) e alla tutela interdittale unde vi
(l. 18). Si v. Sacchi, Regime della terra e imposizione fondiaria
nell'età dei Gracchi. Testo e commento storico-giuridico della legge
agraria del
[26] Cfr. Manigk,
in RE. 17 col. 337; Sargenti, Il 'de agri cultura' di Catone e le origini dell'ipoteca romana
172.
[27] Cic. de lege agr.
3.2.9: Optimo enim iure ea sunt profecto
praedia, quae optima condicione sunt. Libera meliore iure sunt quam serva;
capite hoc omnia, quae serviebant, non servient. Soluta meliore in causa sunt
quam obligata; eodem capita subsignata omnia, si modo Sullana sunt, liberantur.
Immunia commodiore condicione sunt quam illa, quae pensitant; ego Tusculanis
pro aqua Crabra vectigal pendam, quia mancipio fundum accepi; si a Sulla mihi
datus esset, Rulli lege non penderem.
[28] Costa, Cicerone giureconsulto 142 s.
[29] Fest. sv. possessio
(L. 260,28): «Possessio est, ut
definit Gallus Aelius, usus quidam agri, aut aedifici, non ipse fundus aut
ager. Non enim possessio est…rebus quae tangi possunt…qui dicit se
possidere, †his vere† potest dicere. Itaque in legitimis actionibus
nemo ex †his qui† possessionem
suam vocare audet, sed ad interdictum venit, ut praetor his verbis utatur:
“Uti nunc possidetis eum fundum quo
de agitur, quod nec vi nec clam nec precario alter ab altero possidetis, ita
possideatis, avdersus ea vim fieri veto”». Cfr. Bremer (ed.), Iurisprudentia Antehadrianae quae supersunt, 1, (Leipzig rist.
1985) 245 ss.; Labruna, Tutela del possesso fondiario 663 ss. e
passim.
[30] Bretone, Storia del diritto romano (Roma-Bari
1989) 132: «La cooperazione dei soggetti nella emptio venditio non è associativa, ma di scambio. Anche il
congegno verbale e gestuale del mancipium
può dirsi, a suo modo, una compravendita (reale o simbolica), in quanto
attua uno scambio fra cosa e prezzo. Ma l'emptio
venditio è diversa. Lo scambio è il fine ultimo, non il suo
effetto immediato; come effetto immediato si produce il voncolo obbligatorio
che stringe i contraenti. Cosa e prezzo non si trasferiscono subito da un
soggetto all'altro; in una parola, “niente muta nel mondo visibile”
con la conclusione di un'emptio venditio.
D'altra parte, nessun ritualismo è necessario; ha rilievo invece la
volontà comunque manifestata. Il consenso crea le obbligazioni
reciproche del venditore e del compratore a consegnare la cosa e a pagare il
prezzo., cioè a realizzare lo scambio in unmomento successivo
dell'accordo. Come negli altri contratti consensuali, il rapporto obbligatorio
è sorretto dalla 'buona fede',
dalla persuasione che occorre rispettare lealmente le regole del gioco; ed
è la buona fede che determina e giustifica la tutela giurisdizionale.
L'originalità della compravendita romana, e dell'idea 'consensualista' che ne sta alla base,
è indiscutibile».
[31] Sargenti, Il ‘De agri cultura’ di Catone e
le origini dell’ipoteca romana 182 ss.
[32] Il riferimento è plausibile se si pensa
che in origine le forme di appartenenza ex
iure Quiritium sembrerebbero essere state limitate alle sole cose mobili (meum esse aio ex iure Quiritium) e, come
abbiamo visto, ancora nella legge agraria del
[33] Si veda al riguardo: D. 39.4 De publicanis et vectigalibus et commissis
(=CTh. 4.13 De vectigalibus et commissis);
CI. 4.61 De vectigalibus et commissis.
Infine D. 39.4.14 (lib. 8 disp.): Commissa vectigalium nomine etiam ad heredem transmittuntur. Nam quod
commissum est, statim desinit eius esse qui crimen contraxit dominiumque rei
vectigali adquiritur: ea propter commissi persecutio sicut adversus quemlibet
possessorem, sic et adversus heredem competit.
[34] Labeone D.
19.1.51.1 (libro quinto posteriorum a
Iavoleno epitomatorum): Quod si
fundum emisti ea lege, uti des pecuniam kalendis Iuliis, et si ipsis calendis
per venditorem esset factum, quo minus pecunia ei solveretur, deinde per te
staret quo minus solveres, uti posse adversus te lege sua venditorem dixi, quia
in vendendo hoc ageretur, ut, quandoque per emptorem factum sit, quo minus
pecuniam solvat, legis poenam patiatur. hoc ita verum puto, nisi si quid in ea
re venditor dolo fecit; Sabino in Paolo D. 41.4.2.3: (Paulus libro quinquagensimo quarto ad edictum): Sabinus, si sic empta sit, ut, nisi pecunia
intra diem certum soluta esset, inempta res fieret, non usucapturum nisi
persoluta pecunia. sed videamus, utrum condicio sit hoc an conventio: si
conventio est, magis resolvetur quam implebitur; Nerazio D. 18.3.5: (libro quinto membranarum): Lege fundo vendito dicta, ut, si intra
certum tempus pretium solutum non sit, res inempta sit, de fructibus, quos
interim emptor percepisset, hoc agi intellegendum est, ut emptor interim eos
sibi suo quoque iure perciperet: sed si fundus revenisset, Aristo existimabat
venditori de his iudicium in emptorem dandum esse, quia nihil penes eum
residere oporteret ex re, in qua fidem fefellisset; Africano (D. 44.3.6.1)
(libro nono quaestionum): Vendidi
tibi servum et convenit, ut, nisi certa die pecunia soluta esset, inemptus
esset: quod cum evenerit, quaesitum est, quid de accessione tui temporis
putares. respondit id quod servetur, cum redhibitio sit facta: hunc enim
perinde haberi ac si retrorsus homo mihi venisset, ut scilicet, si venditor
possessionem postea nactus sit, et hoc ipsum tempus et quod venditionem
praecesserit et amplius accessio haec ei detur cum eo, quod apud eum fuit, a
quo homo redhibitus sit.
[35] Un significato del termine commissum, nel senso di ‘mettersi in condizione di’,
‘dare adito a’, ‘far sì che’ [come di nuovo nel
caso di Menaechmi 4.685: video quam rem agis. Quia commissi, ut me
defrudes, ad eam rem adfectam viam; di Cesare b.Gall. 7.47.7: neque
commissurum, ut prius quisquam murum ascenderet] ovvero di ‘meritarsi
qualcosa’ come in Cicerone [Verr.
3.12.30: ab nomine nequissimo ac
turpissimo laesi poenam octupli sine ulla dubitatione commissam non
persequebantur? e Quint. inst. or.
3.4.8: partim aliorum sententiae commissa;
7.4.20: Sed etiam in formulis, cum
poenariae sunt actiones, ita causam partimur: an commissa sit poena] sembra
quindi prevalere nelle fonti dell’età tardo-repubblicana.
[36] Guarino, Diritto Privato Romano9 (Napoli
1992) 902 «La lex commissoria
(“patto commissorio”, letteralmente “patto di
decadenza”) fu il patto mediante il quale si attribuiva al venditore il
potere di considerare decaduta (come non avvenuta) la vendita, se il compratore
non avesse pagato il prezzo entro un certo termine: pertanto la scadenza del
termine senza il verificato pagamento del pretium
conferiva al venditore un il diritto di ottenere la restituzione della cosa
venduta (se ed in quanto già acquisita in possesso dal compratore).
[37] Sarà così che, ancora in Agostino psalm. 85.4, e in tutt’altro
contesto, l’espressione commissor
verrà usata nel significato di ‘responsabile’,
ovvero di ‘chi è colpevole di qualcosa’. Lo spiega bene
Donato verso la metà del IV secolo d.C. commentando l’uso della
parola in Terenzio: Donat. ad Terent.
andr. 159: committet:
perficiet, sed hoc proprie de illecitis…dicimus. Chiude il quadro di
riferimento testuale Prisciano di Cesarea, il dottissimo filologo romano
dell’età a cavallo tra la fine del V e gli inizi del VI secolo
d.C. che scrisse a Costantinopoli le Institutiones
Grammaticae un’opera fortunatissima in diciotto libri ricchissima di
riferimenti ad opere del passato [citato da Ernout e Meillet (Dict. Etim3. 724 ss.)], il quale nel suo modo sintetico ed efficace
scrive: committo, pro credo et pecco.
[38] CTh. 3.2.1(=CI. 8.34.3).
[39] Talamanca, Istituzioni di diritto romano 483.
[40] D. 20.1.16.9: (Marcianus libro singulari ad formulam hypothecariam):
Potest ita fieri pignoris datio hypothecaeve, ut, si intra certum
tempus non sit soluta pecunia, iure emptoris possideat rem iusto pretio tunc
aestimandam: hoc enim casu videtur quodammodo condicionalis esse venditio.
et ita divus Severus et Antoninus rescripserunt. Per altre interpolazioni
così giustificabili si veda ad es. D. 18.1.81 pr.: (Scaev. libro septimo digestorum): Titius cum mutuos acciperet tot aureos sub usuris, dedit pignori sive hypothecae praedia et fideiussorem Lucium, cui promisit intra
triennium proximum se eum liberaturum: quod si id non fecerit die supra scripta
et solverit debitum fideiussor creditori, iussit praedia empta esse, quae
creditoribus obligaverat. quaero, cum non sit liberatus Lucius fideiussor a
Titio, an, si solverit creditori, empta haberet supra scripta praedia. respondit,
si non ut in causam obligationis, sed ut empta habeat, sub condicione emptio
facta est et contractam esse obligationem
áfiduciamñ. Cfr. Levy
– Rabel (curr.), Index interpolationum quae in Iustiniani Digestis inesse dicuntur
(Weimar 1929) 1. 1.319
[41] Cfr. sul punto Lojacono,
Il patto commissorio nei contratti di
garanzia (Milano 1952) 16 s.; Bianca,
Il divieto del patto commissorio
(Milano 1957) 90–91; Gigliotti,
Patto commissorio autonomo e
libertà dei contraenti (Napoli 1997) 20.
[42] Si v. sul punto Lojacono,
Il patto commissorio nei contratti di
garanzia 17 ss.; Weil, Droit civil. Les sûretés.
La publicité foncière (Paris 1979) 94; Gigliotti, Patto
commissorio autonomo e libertà dei contraenti 21 ss.; Cabrillac-Mouly, Droit des sûretés (Paris 1993) 395.
[43] L'adozione della norma sul divieto del patto
commissorio non fu accolta senza opposizioni da parte della dottrina. Tale
norma fu ritenuta incoerente con la norma che consentiva la libertà
degli interessi convenzionali. Si v. sul punto Gianzana, Codice
civile. Lavori preparatori (Torino 1887–1888) vol. II, 192. Sulla
contrarietà logica tra libertà degli interessi e divieto del
patto commissorio cfr. già Troplong,
Du Gage (Bruxelles 1836) 385. La
disposizione di cui all'art. 2744 c.c. italiano vigente, secondo la quale
è nullo il patto commissorio, anche posteriore, relativo alla cosa
ipotecata (o data in pegno), ha carattere manifestamente innovativo rispetto
alle disposizioni precedenti avendo introdotto, in deroga ai principi,
un'ipotesi di nullità precedentemente non prevista nè considerata
sussistente. Essa non è pertanto applicabile ai rapporti costituiti
sotto il regime del codice civile del 1865. si v. per questo Cass. 13 dicembre
1969, n. 3969; 30 aprile 1952, n.
[44] Cfr. Serik,
Eigentumsvorbehalt undi
Sicherungsabtretung (Heidelberg 1963–1986); Id., Le garanzie mobiliari nel diritto tedesco (tr. it. P. Vecchi) (Milano 1990) 9, 7–21,
73–112, 143–152; Gigliotti,
Patto commissorio autonomo 21, nt.
10.
[45] Gigliotti, Patto commissorio autonomo 21, nt. 10 e
passim.
[46] James, Law of property (Yardley 1975) 105 ss.
[47] De Franchis,
sv. Mortgage, in Dizionario giuridico – Law Dictionary 1. Inglese-italiano
(Milano 1984) 740.
[48] De Franchis, Dizionario Giuridico – Law Dictionary
1.1477–1487.
[49] Berlingieri, I diritti di garanzia sulla nave,
l'aeromobile e le cose caricate (Padova 1965) 665 ss.; De Franchis, Dizionario giuridico – Law Dictionary 1.1025 ss.; Deiana, I liens nei contratti di utilizzazione della nave (Torino 1995) 17.
[50] Franceschelli, Il trust nel diritto inglese (Padova
1935); Lupoi, Introduzione al trust (Milano 1994); Gambaro, Il diritto di proprietà, in Trattato di diritto civile Cicu-Messineo-Mengoni, VIII.2, (Milano
1995) 628 ss.
[51] Gambaro-Giardina-Ponzanelli (a cura di), Convenzione relativa
alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, in Nuove leggi civili commerciali (1993) I, 1211 ss.
[52] Gigliotti, Patto commissorio autonomo 22, nt. 10.
[53] Nonostante la vastità della bibliografia
si indicano in questa sede almeno Amato,
Ancora sul patto commissorio e sulla
vendita a scopo di garanzia, in Giust.
civ. I (1989) 1899; Carneluti,
Note sul patto commissorio, in Riv. dir. Comm. 2 (1916) 887 ss.; Stolfi, Patto commissorio ed ipoteca, in Foro it. 2 (1926) 282 ss.; Pugliatti,
Precisazioni in tema di vendita a scopo
di garanzia, in Dir. civ. Saggi
(Milano 1951); Anelli, L'alienazione in funzione di garanzia
(Milano 1966); Bianca, Il divieto del patto commissorio op.
cit.; Id., sv. Patto commissorio, in NNDI. 12 (Torino 1965) 711 ss.; Cricenti, I contratti in frode alla legge (Milano 1966) 47–144; Piepoli, Garanzie sulle merci e spossessamento (Napoli 1980); Carnevali, sv. Patto commissorio, in ED.
32 (Milano 1982) 502 ss.; Calò,
Appunti sul patto commissorio, in Riv.edil. 1 (1987) 387 ss.; Sesta, Le garanzie atipiche, in Galgano (a cura di), I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale
(Padova 1988); Mariconda, Traferimenti commissori e principio di
causalità, in Foro it. 1
(1989) 1437 ss.; Valcavi, Intorno al divieto del patto commissorio,
alla vendita simulata a scopo di garanzia e al negozio fiduciario, in Foro it. 1.1 (1990) 205 ss.; Iacuaniello Bruggi, sv. Patto commissorio, in Enc. Treccani 12 (1990); Barbiera, Responsabilità patrimoniale, in Comm. cod. civ. Schlesinger (Milano 1991), sub art. 2744, 205 ss.; Di
Paolo, Patto commissorio, in Dig. disc. priv. – Sez. civ. 13
(Torino 1995) 309 ss.; Giacobbe, Patto commissorio, alienazioni in garanzia, vendita con patto di
riscatto e frode alla legge: variazioni sul tema, in Giust. civ. 1 (1997) 2534; Gigliotti,
Patto commissorio autonomo 9 ss. Per
la giurisprudenza italiana si v. G. Pescatore – C. Ruperto, Codice Civile annotato con la giurisprudenza
della Corte Costituzionale, della Corte di cassazione e delle giurisdizioni
amministrative superiori13, vol. II (artt. 1552–2969), a cura di F.
Felicetti (Milano 2005) 4449–4456.
[54] Questa posizione, recepita dalla dottrina francese e in
parte italiana, trae origine dalla riflessione medioevale per influenza della
Chiesa che prende storicamente spunto da Luca 6.35: «Amate invece i
vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro
premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo: perchè egli
è benevolo verso gli ingrati e i malvagi». La Sacra Bibbia. Edizione Ufficiale della CEI (Roma 19742) 1061. Si
v. per questo Boari, Usura (dir. interm.), in ED. 45 (Milano 1992) 1135; Colella, Usura e diritto canonico, in Foro
it. 5 (1995) 378. Essa però è superata dalla considerazione
che in effetti, a fronte del frequentissimo ricorso ai diritti reali di
garanzia, un pericolo del genere è molto ridimensionato
dall’esistenza nel nostro ordinamento di notevoli strumenti di difesa
dall’usura come ad es. la lesione ultra
dimidium ovvero il divieto del patto usurario. Per tutto cfr. Abbas Panormitanus, In tertiam librum Decretalium
interpretationes (Lugduni 1547) f. 122 (3.21.7); Donellus, Tractatus de
pignoribus et hypotecis, in Selecti
tractatus iuris varii (Venetiis 1570) 210 interpretava il divieto del patto
commissorio come strumento per reprimere una debitoris soffocatio. Beudant, Cours de droit civil français 13 (Paris 1948) 224; Crome, System des d.bürg. Rechts 2 (Tübingen 1905) 639, nt. 5. Per la dottrina italiana si v.
con ampio ragguaglio bibl. Gigliotti,
Patto commissorio autonomo 81 ss. Il
divieto di patto commissorio sancito dall'art. 2744 si estende a qualsiasi
negozio, ancorchè lecito e quale ne sia il contenuto, che venga
impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall'ordinamento,
dell'illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del
creditore, accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di
un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito. Così
Cass. 27 maggio 2003, n. 8411.
[55] Gigliotti, Patto commissorio autonomo 81 ss.
Consentire la stipulazione di un patto commissorio avrebbe comportato
automaticamente la violazione di tale principio (si fa l’esempio di un
erede ipotecario con patto commissorio). Si determinerebbe cioè
un'ipotesi di prelazione atipica.
Carnevali, sv. Patto commissorio
501; De Nictolis, Divieto del patto commissorio, alienazioni
in garanzia e sale-lease-back, in Riv.
dir. civ. (1991) 535 ss., in part. 539; Roppo,
La responsabilità patrimoniale,
in Trattato Rescigno 19 (Torino 1985)
407 ss. Su un altro piano, altri hanno identificato la ratio di tale norma nella volontà di evitare
un’ipotesi di autotutela del credito. Consentendo la possibilità di
procedere alla stipulazione di un patto commissorio si eviterebbe di far
ricorso ad un’esecuzione forzata. In questo modo, però, si
determinerebbe un’elusione del principio costituzionale per cui tutti
hanno diritto ad una tutela giurisdizionale. Art. 24 Cost. italiana:
«Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e
interessi legittimi».
[56] Gigliotti, Patto commissorio autonomo 151 ss.
[57] Per tutto si v. Gigliotti,
Patto commissorio autonomo
9–245, in part. 151 ss.
[58] Cass. 16 ottobre 1995, n.
[59] Cass. 1 giugno 1993, nt.
[60] Di Paolo, Patto com-missorio 312; Genghini, Patto commissorio e procura a vendere, in Contr. e impr. (1995) 260 ss., 288 ss.
[61] Cricenti, I contratti in frode alla legge 97.
[62] Cricenti, I contratti in frode alla legge 141; Zanna, Osservazioni in tema di patto commissorio, in Temi (1966) 6. Con il patto
marciano le parti stabiliscono che la cosa trasferita in conseguenza
dell'inadempimento dovrà essere sottoposta ad una valutazione economica
oggettiva (ad esempio ad un terzo) con obbligo di restituzione dell'eventuale
eccedenza al debitore. Cfr. Gigliotti,
Patto commissorio autonomo 68 s. e
nt. 73. La definizione di questa fattispecie giuridica deriva da un rescritto
di età severiana tratto da un opera del giurista Elio Marciano scritto
dopo la morte di Antonino Caracalla [cfr. Ferrini,
Il Digesto (Milano 1893) 91]: D.
20.1.16.9 (Marc. liber singulari ad
formulam Hypothecariam): Potest ita
fieri pignoris datio hypothecaeve, ut, si intra certum tempus non sit soluta
pecunia, iure emptoris possideat rem 'iusto pretio tunc aestimandam: hoc enim
casu videtur quodammodo condicionalis esse venditio. et ita divus Severus et
Antoninus rescripserunt. Per il codice civile italiano vigente il divieto
del patto commissorio non si applica quando il trasferimento di
proprietà della cosa pignorata a favore del creditore oppignorante segue
per una causa diversa da quella del mancato pagamento alla scadenza stabilita,
come nel caso in cui il trasferimento stesso avvenga per effetto di un
contratto di compravendita liberamente stipulato tra creditore oppignorato e
creditore oppignorante per un prezzo determinato dall'apprezzamento di un
terzo. Si ha in tale ipotesi un'applicazione del cd. patto marciano che
è valido perchè l'apprezzamento che il terzo compie intorno al
giusto prezzo, toglie tale determinazione all'arbitrio del creditore, nel tempo
stesso in cui offre sufficiente garanzia per la tutela degli eventuali
interessi degli altri creditori e circa la piena libertà di scelta da
parte del debitore. Cfr. Cass. 21 luglio 1956, n. 2828.
[63] In questo quadro rileva la figura del patto commissorio autonomo che si
riconosce quando debitore e creditore convengono che in conseguenza
dell'inadempimento di una obbligazione la proprietà di un bene
determinato del debitore si trasferisca in capo al creditore (accordo
sospensivamente condizionato); ovvero che la proprietà di una cosa si
consolidi in capo al creditore in caso di inadempimento, oppure che un acquisto
si risolva in caso di adempimento (accordo risolutivamente condizionato). Tale pattuizione
è detta autonoma perchè
non esiste sul bene oggetto del patto alcun diritto reale (pegno o ipoteca) o
personale (anticresi) di garanzia. Per tutto Sesta,
Le garanzie atipiche 99 ss.; Gigliotti, Patto commissorio autonomo 19 ss. Qualora il lavoratore abbia
ceduto, a garanzia di un finanziamento ricevuto, il proprio futuro credito per
trattamento di fine rapporto, va escluso che la cessione integri un'ipotesi di
frode alla legge, consistente nella violazione del divieto del patto
commissorio relativo al credito suddetto, essendo legittima cessione del
credito anche a fine di garanzia e non essendo estensibile in via analogica,
oltre le alienazioni di diritti reali e la costituzione di ipoteca e di pegni
anche di crediti, la disciplina di cui all'art. 2744, costituente norma di
natura eccezionale. Si v. Cass. 1 aprile 2003, n.
[64] Sulla fiducia
cum creditore si v. Talamanca,
Istituzioni di diritto romano 477 ss.,
533. Per la giurisprudenza italiana di merito qualora mutuante e mutuatario,
abbiano atteso attuare una garanzia reale a favore del primo, predisponendo uno
strumento negoziale idoneo a determinare il trasferimento definitivo del bene
concesso in garanzia solo in correlazione con l'inadempienza del debitore
all'obbligo di puntuale pagamento della somma mutuatagli e degli accessori, la
vendita con patto di riscatto o con pactum
de retrovendendo, al pari di quella sottoposta a condizione sospensiva
può integrare un patto commissorio vietato. Cfr. Cass. 16 aprile 1987,
n.
[65] Per tutto Gigliotti,
Patto commissorio autonomo 33 ss.
[66] Ibidem. Cass. 30 novembre 1950, n.
[67] Cass. 3 giugno 1983, n.
[68] Cass. 12 dicembre 1986, n.
[69] Cass. S.U. 3 aprile 1989, n.
[70] Cass. S.U. 21 aprile 1989, n.
[71] Casella, sv. Simulazione (dir. priv.), in ED. 42 (Milano 1990) 593–614.
[72] Per un quadro d'insieme sul tema dell'autonomia
negoziale nella dottrina italiana si v. almeno Gazzoni, Manuale di
diritto privato8 (Napoli 2000) 755 ss., in part. 766; Trimarchi, Istituzioni di diritto privato15 (Milano 2003) 150 e passim.
[73] La
questione non è di poco conto perché in questa prospettiva
entrerebbero in gioco figure negoziali come la simulazione, il negozio in frode
alla legge, il negozio fiduciario e il negozio indiretto. Si tratterebbe allora
di valutare l’operatività di due principi contrapposti: la tutela dell’affidamento e il
principio della libertà
dell’agire negoziale. [cfr. sul punto Rescigno, Diritto
privato italiano11 (Napoli 1995) 21, 24, 47, 66, 77 s., 84]. Se guardiamo
dal punto di vista della tutela
dell’affidamento, ogni tipo di simulazione sarebbe da respingere in
ogni caso, e quindi da ritenere nullo, in tutte le ipotesi in cui la divergenza
tra volontà e manifestazione potrebbe ingenerare dei dubbi
sull’affidamento della apparenza del negozio posto in essere. Se
guardiamo dal punto di vista del principio della libertà dell’agire negoziale, ogni tipo di simulazione
sarebbe invece da ritenere nulla solo nell’eventualità che la
causa del negozio posto in essere risulti evidentemente illecita. Un modo per
risolvere il problema potrebbe essere allora quello di guardare sia alla causa
negoziale che ai profili della volontà (come i giuristi bizantini)
facendo tesoro della esperienza passata ma anche di quella moderna. Tutte le
volte che il reale scopo delle parti dovesse andare oltre la dimensione del mero motivo ed entrare nella causa
negoziale integrando una fattispecie vietata dalla legge esso sarebbe da
considerarsi nullo. Al di fuori di questa ipotesi dovrebbe prevalere la
libertà dell'agire negoziale. Sul concetto di autonomia negoziale si v. Rescigno, Diritto privato italiano 264 ss. Di qui l’importanza anche
per un ordinamento attuale di una norma come il divieto del patto commissorio
(nella misura in cui tuteli la figura di un contraente debole in un sistema di
mercato troppo globalizzato e concorrenziale) la cui presenza non
è evidentemente in contrasto con i principi dell’ordinamento. Sul
problema dell'apparenza nell'agire negoziale si v. Alpa, L'interpretazione
del contratto (Milano 1983) 44; Grassetti,
L'interpretazione del negozio giuridico
con particolare riguardo ai contratti (Padova 1983) 17, 59, 99 e passim; Bigliazzi Geri, Note in tema di interpretazione secondo buona fede (Pisa 1970) 41
ss. Sulla mancanza di un principio generale dell'apparenza Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile
(Napoli 1964) 102; Rescigno, Manuale del diritto privato italiano
(Napoli 1984) 109; Ghidini, Società personali (Padova 1972).
[74] Steiner, Datio in solutum (München 1914) 106 ss.; Costa, Sul papiro fiorentino n. I, in BIDR.
14 (1901) 48; Id. Storia del diritto
romano privato2 (Torino 1925) 285 (in nota).
[75] Si v. Biscardi, La lex commissoria 589, nt. 33; in Labeo 4 (1958) 369; in SDHI.
24 (1958) 490 ss.; in TR. 26 (1958)
502 ss.; in Studi Senesi 70 (1958)
446; in Iura 10 (1959) 165; Prassi e teoria della lex commissoria,
in Lezioni ed esercitazioni romanistiche
(Siena 1959) 1–69.
[76] Biscardi, La lex commissoria 589.
[77] Burdese, “Lex commissoria” e
“ius vendendi” nella fiducia e nel pignus 111 e s.
[78] Casella, sv. Simulazione (dir. priv.) 614.
[79] Art. 3 Cost. Ital.: «Tutti i cittadini hanno
pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali.
E' compito della repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto
la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
[80] Sul concetto di 'costi di transazione' cfr. North, Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell'economia (Bologna tr. it. Santagata 1994) 7–213, 24 ss. e passim.