N. 9 – 2010 – Memorie/Tradizione-repubblicana-romana-III
Pontificia Università Cattolica
di Rio de Janeiro
Crisi della divisione dei poteri (e della rappresentanza politica) e potere
negativo: il dibattito della Costituente brasiliana 1987-1988
Sommario: I. Premesse
storiche. – II. Democrazia
partecipativa e potere negativo nella Costituente del 1987-1988.
La discussione sulla crisi del modello
della divisione di poteri e la ricerca di possibili soluzioni con modelli
alternativi è uno dei topoi
della teoria costituzionale contemporanea, ed ha già assunto le
più diverse colorazioni teoriche e ideologiche. Il suo oggetto è
la concezione liberale borghese centrata sulla possibilità di
distinzione formale tra le funzioni dello stato, e sulla necessità di
distribuzione del suo esercizio, per prevenire, in questo modo, la tirannia e
salvaguardare allo stesso tempo le libertà individuali, concezione
questa già delineata dal Barone di Montesquieu e portata alle sue ultime
conseguenze dai Federalisti Hamilton
e Madison.
L’obiezione, però, non
è solo teorica; raggiunge anche la pratica del Governo nello Stato
liberale borghese, sia nella fedele positivazione realizzata dai convenzionali
di Filadelfia, che ha originato il presidenzialismo nordamericano, già
chiamato “imperiale”, sia nel più eterodosso e flessibile
modello europeo attraverso la via parlamentarista. Divisione di poteri,
controlli reciproci ed equilibrio tra di loro costituiscono il macchinario
della forma statale borghese il cui combustibile è virtualmente il
suffragio ed il filtro, il sistema rappresentativo. Come affermavano sia il
Barone che i federalisti nordamericani, macchina, combustibile e filtro devono
essere istituiti sia per superare il dispotismo dell’ancien
régime, sia per impedire il dispotismo della moltitudine, la temuta
democrazia, il potere assoluto della maggioranza senza potere.
Per i federalisti, effettivamente, non
c’era la minima difficoltà nell’ammettere che la
finalità ultima di questa costruzione istituzionale era preservare il
diritto di proprietà della minoranza contro i desideri di uguaglianza
della maggioranza:
«By a faction I understand a number of citizens,
whether amounting to a majority or minority of the whole, who are united and
actuated by some common impulse of passion, or of interest, adverse to he
rights of other citizens, or to the permanent and aggregate interests of the
community.
(...)
But the most common and durable source of factions, has been the various and
unequal distribution of property. Those who hold, and those who are without
property, have ever formed distinct interests in society. (...) The regulation
of these various and interfering interests forms the principal task of modern
Legislation, and involves the spirit of party and faction in the necessary and
ordinary operations of Government.
(...)
When a majority is included in a faction, the form of popular government on the
other hand enables it to sacrifice to its ruling passion of interest, both the
public good and the rights of other citizens. To secure the public good, and
private rights, against the danger of such a faction, and at same time to
preserve the spirit and form of popular government, is then the great object to
which our enquiries are directed (...).
(...)
Democracies have ever been spectacles of turbulence and contention; have ever
been found incompatible with personal security, or the rights of property
(...).
A Republic, by which I mean a Government in which the
scheme of representation takes place (...) promises the cure for which we are
seeking»[1].
Sappiamo tutti che, nel modello classico di
Montesquieu, divisione e controlli producono un meccanismo che tende alla
paralisi (ed alle conseguenti inerzia del Governo e sua impossibilità ad
affrontare gli interessi “individuali” dotati di strumenti
contromaggioritari), e che era questo risultato che precisamente voleva il suo
autore: Ces trois puissances
devraient former un repos ou une inaction. Mais comme, par le mouvement
nécessaire des choses, elles sont contraintes d’aller, elle seront
forcées d’aller de concert[2]. Non dobbiamo meravigliarci che, nel secolo
XX, le prime critiche più contundenti siano partite da quei settori che,
sia di sinistra che di destra, vedevano nell’affermazione liberale
borghese della divisione dei poteri e dei filtri rappresentativi un impedimento
all’attuazione efficace dello Stato nella sfera socio-economica. Per
ciò che riguarda il nostro tema, sono specialmente importanti le
critiche provenienti dai costituzionalisti democratici vicini ai movimenti
operai dei periodi tra le due guerre e dopo 1945 [3].
Tuttavia, anche nel campo liberaldemocratico il modello classico di Montesquieu
ha incontrato obiezioni teoriche demolitrici che mostrano la sua superazione
teorica, come quelle di Karl Loewenstein[4].
Al di là delle critiche derivanti
dalla percezione dei cambiamenti relativi all’ingrandimento del compito
dello Stato e delle sue funzioni nel secolo scorso, al di là della crisi
determinata nel modello dall’interventismo statale contemporaneo, qui ci
interessa una dimensione critica che risale giustamente alla interpretazione
del modello repubblicano romano fatta da Polibio ed al suo superamento
presentato da Machiavelli. Essa delinea un campo critico sostenuto in ugual
forma da due posizioni fondamentali: una di origine propriamente marxista[5],
di cui non tratterò in questa esposizione, se non indirettamente;
l’altra posizione è di origine romanista e chiaramente
rousseauiana. È questa ultima posizione – che ha nello stimato
Professor Pierangelo Catalano (ed in altri colleghi che con lui la condividono)
uno dei suoi riconosciuti difensori – quella che serve come parametro per
le considerazioni che ora vi presento[6].
È risaputo che la dottrina
sviluppata da Montesquieu ha come riferimento necessario la spiegazione che
Polibio presenta a difesa della superiorità del sistema politico romano,
da lui definito come il modello di costituzione mista, di complementazione ed
equilibrio tra i principi e le istituzioni monarchiche, aristocratiche e
democratiche. È anche conosciuto che, pur seguendo i passi di Polibio,
Machiavelli si allontana da lui e fonda una nuova prospettiva per la politica
moderna quando afferma che la causa efficiente della superiorità del
modello romano risiede nel permanente contrasto tra plebe e patrizi, e
soprattutto quando conclude elogiando la funzione dei tribuni come una
istituzionalizzazione della potenza dei plebei per mantenere dinamico il regime
del dissenso. Come ho già avuto l’opportunità di mettere in
evidenza[7],
era pertanto nella dinamica della disunione e del dissenso tra
plebei e patrizi che Machiavelli identificava il vero sostegno della
Repubblica, e attraverso di essa, della libertà. Al mettere in evidenza
il carattere incruento e poco violento della maggior parte delle lotte avutesi
nel periodo che va dai Tarquini ai Gracchi, il nostro autore ribatteva le
critiche di coloro che non riuscivano a vedere in queste lotte l’origine
delle buone istituzioni che favorirono la libertà tra i romani:
«Né si può chiamare in alcun modo con ragione
una repubblica inordinata, dove sieno tanti esempi di virtù,
perché li buoni esempli nascono dalla buona educazione, la buona
educazione dalle buone leggi, e le buone leggi da quelli tumulti che molti
inconsideratamente dannano; perché chi esaminerà bene il fine
d’essi, non troverà ch’egli abbiano partorito alcuno esilio
o violenza in disfavore del comune bene, ma leggi ed ordini in benefizio della
pubblica libertà (…).
E se i tumulti furono cagione della creazione de’ Tribuni
meritano somma laude; perché, oltre al dare la parte sua
all’amministrazione popolare, furono costituiti per guardia della
libertà romana …»[8].
Insomma,
è stato nel confronto tra queste classi o collettività che
Machiavelli ha identificato allo stesso tempo la necessità e la
condizione di possibilità della creazione di istituzioni che servissero
alla libertà, poiché la storia romana avrebbe dimostrato che i patrizi
tendevano alla distruzione di questa libertà ed i plebei alla sua
conservazione. Così, nel chiedersi in quali mani dovrebbe essere
depositata la difesa e la garanzia della libertà, se nelle mani dei
grandi o se in quelle dei piccoli, nel famoso brano in cui paragona le saghe di
Sparta e di Roma, Machiavelli conclude:
«E venendo alle ragioni dico, pigliando prima la parte
de’ Romani, come e’ si debbe mettere in guardia coloro d’una
cosa che hanno meno appetito di usurparla. E senza dubbio, se si considera il
fine de’ nobili e degl’ignobili, si vedrà in quelli
desiderio grande di dominare ed in questi solo desiderio di non essere
dominati, e per conseguente maggiore volontà di vivere liberi, potendo
meno sperare di usurparla [la libertà] che non possono i grandi;
talchè essendo i popolani preposti a guardia d’una libertà,
è ragionevole ne abbino più cura, e non la potendo occupare loro,
non permettono che altri l’occupi»[9].
Ora,
è giustamente partendo dagli orizzonti aperti da Machiavelli per una
comprensione radicalmente democratica, ex
parte populi delle istituzioni
politiche romane, che Catalano ed altri possono cogliere, nel secolo XVIII, la
prospettiva democratica di Rousseau, e metterla in contrasto al
costituzionalismo liberale borghese che trova la sua caratteristica europea
nell’asse Montesquieu-Sieyès. Per intendere questo, è molto
importante il recupero e la valorizzazione del concetto di potere negativo
presentato da Catalano. Secondo l’autore,
«Il concetto di potere negativo, che si trova chiaramente
in Rousseau e in Fichte grazie ad una riflessione sul diritto pubblico romano,
in particolare sul tribunato, era stato “dimenticato” dal
costituzionalismo della seconda metà del XIX secolo e sopravviveva, in
qualche modo, solo in alcuni scritti di romanisti. Orbene, la riflessione sul
“tribunato”, che si sviluppò dopo gli avvenimenti del
Termidoro in Fichte, in Babeuf, in Buonarroti, quindi all’Assemblea
Costituente della Repubblica Romana del 1849 e fino a Lenin (...), costituisce
uno degli aspetti più originali e maggiormente ignorati del pensiero
giuridico moderno e contemporaneo»[10].
Nello
spiegare il significato e le sfumature del concetto, Catalano afferma:
«l’esilio, la secessione, la resistenza, lo
sciopero generale sono state espressioni, storicamente determinate,
dell’aspetto “negativo” della sovranità dei cittadini.
Si può parlare del “potere negativo” (che
‘ne pouvant rien faire peut tout empêcher’, secondo le parole di Rousseau) a
proposito della secessione e dello sciopero. Ma bisogna distinguere, a mio
avviso, tra “potere negativo diretto”, ossia esercitato
direttamente dai cittadini (appunto: secessione, sciopero generale) e
“potere negativo indiretto”, esercitato attraverso strumenti
designati genericamente come “tribunato” (tribuni plebis, tribunal d’ephores,
grand jurè national, e via dicendo)»[11].
Oltre a questo, dobbiamo anche ricordare
che in un lavoro anteriore, Catalano aveva già fatto notare che «In alcuni ordinamenti si è giunti
alla costituzionalizzazione del diritto di sciopero, cioè di un
‘potere negativo’ dei lavoratori» per allora difendere
che «con ciò si è in
parte superata la divisione del potere caratteristica dello stato liberale».
Ed aggiungeva più avanti che un'altra strada, allora assente, che
portava a tal superamento era la specificazione di uno «strumento costituzionale per
l’esercizio indiretto del potere negativo»[12].
Un’altra specificazione che lui condivide con gli altri rappresentanti di
questa corrente teorica e con molti di noi qui presenti è
l’ipotesi che una (se non addirittura la più importante) delle
istituzioni che corrispondono a quello che è palesemente un modello
– «il ‘potere
negativo’ è un modello»[13]
– è, nelle sue diverse configurazioni nazionali, regionali e
locali, il Difensore del Popolo[14].
Partendo da questi parametri, passo
all’esame di alcuni antecedenti rilevanti per la comprensione della
fortuna del dibattito sulla crisi del modello liberale rappresentazione
politica/ divisione dei poteri/ controllo di costituzionalità[15]
ed il tentativo di adozione di un modello di democrazia partecipativa con strumenti diretti ed indiretti di
potere negativo nella Assemblea Nazionale Costituente brasiliana del 1987-1988 [16].
Nei 509 anni di esistenza del Brasile, 388
anni furono marcati dalla schiavitù e dallo schiavismo, che
vittimizzarono inizialmente gli indios e poi i neri africani. Questo sistema,
associato alla vastità del territorio, ai livelli minimi di urbanizzazione,
alla inesistenza di fabbriche (queste ultime proibite dalla Corona Portoghese),
e al ferreo esercizio del potere politico, per una particolare combinazione tra
il dispotismo locale dei latifondisti signori e padroni di schiavi ed un
complessivo sistema di cooptazione e di repressione che assicuravano il
dispotismo della Corona portoghese prima, e della Corte imperiale dopo la
indipendenza formale, avvenuta nel 1822, impedì il sorgere di una
mobilizzazione politica unificata da parte degli schiavi e dei nullatenenti. La
conseguenza fu la impossibilità di costituire qualsiasi tipo di
istituzione tribunizia o di potere negativo. Tra gli schiavi, la resistenza
prese forma di esilio interno e secessione per mezzo dei quilombos (villaggi e complessi produttivi formati da schiavi
fuggitivi, nascosti nel sertão,
e lontani da altri centri abitati), quasi tutti distrutti con molta
crudeltà. Tra i nullatenenti ed i piccoli borghesi, la resistenza non
riuscì ad estendersi oltre a rivolte scoppiate e soffocate dentro gli
orizzonti locali.
Dobbiamo ricordare qui che, nel virtuale
comando di una delle più importanti di queste insurrezioni, la
Confederazione dell’Equador, scoppiata in Pernambuco (nord-est
brasiliano) nel 1824, il frate Joaquim do Amor Divino Caneca, sacerdote, polemista
e giurista conosciuto come Frei Caneca,
incluse il diritto alla resistenza contro l’oppressione nelle Basi per la Formazione del Patto Sociale,
anteprogetto di Costituzione che redasse per la futura Confederazione[17].
Proclamata la Repubblica nel 1889, si volle
arrivare ad un modello di governo calcato sulla Costituzione degli Stati Uniti,
con una rigida divisione dei poteri, presidenzialismo e controllo della
costituzionalità, oltre ai filtri rappresentativi che restringevano ad
appena il 2% dei cittadini brasiliani l’esercizio del diritto di voto.
L’unico modello discordante e degno di nota è stata la
Costituzione Politica dello Stato di Rio Grande do Sul del 14/7/1891, preparata
dal caudillo gaucho Julio de Castilhos. Nel suo testo, due innovazioni chiamano
l’attenzione: da una parte, sulla linea della associazione del potere
tribunizio con il potere locale[18],
soprattutto in una nazione che ha un vasto territorio, il potere conferito ai
Consigli Municipali gauchos per
revocare una legge statale già promulgata dal Presidente dello Stato per
mezzo di una richiesta sottoscritta dalla maggioranza degli organi
rappresentativi locali e diretta al Capo dell’Esecutivo (a cui la
Costituzione conferiva il potere legislativo, eccetto in materia finanziaria e
tributaria)[19];
dall’altro lato, la consacrazione della revoca del mandato parlamentare
da parte dell’elettorato (recall),
punto considerato da Marx e Lenin come dispositivo fondamentale della
“costituzione” del Comune di Parigi[20],
una forma di organizzazione popolare in cui si facevano eco le idee di Rousseau[21].
Però la sanguinosa guerra civile che in seguito scoppiò in Rio
Grande do Sul ed in tutta la regione meridionale del Brasile, come anche la
conseguente continuità dei seguaci di Castilhos nel controllo del
Governo dello Stato fino ad almeno il 1930, condannarono queste speranzose
innovazioni al piano del nominalismo costituzionale criticato da Loewenstein[22].
Come antecedenti prossimi alla Costituzione
del 1987-1988, possiamo ricordare tre cicli di mobilizzazioni e di
contestazioni popolari che riproducono – se esaminiamo bene le cose,
senza preconcetti né ortodossie – importanti espressioni del
potere negativo e della azione tribunizia. Partendo dalla metà
dell’anno 1950 e fino al famigerato colpo di stato militare-imprenditoriale
del 1964, si verifica il sorgere di mobilizzazioni guidate da organizzazioni di
lavoratori urbani e rurali, di intellettuali e di studenti. I loro obiettivi si
direzionavano alla difesa delle ricchezze nazionali contro lo sfruttamento
estero e alla promozione di cambiamenti nelle relazioni di classi interne, per
mezzo delle, così chiamate in quel tempo, “riforme di base”:
agraria, elettorale, abitazionale, tributaria, universitaria, ecc. Queste
mobilizzazioni furono decisive perché avesse un grandissimo successo la
Campagna della Legalità, mobilizzazione civica e militare che
impedì la vittoria di un colpo di stato già tentato nel 1961 per
impedire che prendesse il potere come Presidente della Repubblica il leader
legato alla classe operaia e Vice Presidente João Goulart, come
successore costituzionale dell’ex-Presidente Jânio Quadros, che
aveva rinunziato.
Dopo aver preso il potere, il Presidente
João Goulart, appoggiato dai governatori di orientamento laburista degli
Stati del Pernambuco (Miguel Arraes) e di Rio Grande do Sul (Leonel Brizola),
effettuò una vera azione tribunizia sia nella denuncia e nel tentativo
di revisione dei privilegi giuridici del capitale e di interruzione delle
relative pratiche sociali predatorie, così come sorprendentemente lo
aveva fatto (con la dimensione tragica del sacrificio della propria vita),
l’ex-dittatore ed allora Presidente eletto dal popolo minuto, Getúlio Vargas, in difesa della preservazione
e ampliamento del controllo nazionale sul petrolio e sulle potenzialità
della energia elettrica, e dei diritti dei lavoratori, nel momento estremo, per
impedire e così rimandare di dieci anni la vittoria del colpo di stato
tentato per la prima volta nel 1954.
Dopo il colpo del 1964, e fino alla
radicalizzazione della repressione militare nel 1968, le organizzazioni
popolari ancora esistenti capeggiarono mobilizzazioni di resistenza contro la
oppressione crescente, apparendo già qui la attuazione coraggiosa di
quei settori del clero cattolico chiamati progressisti. Durante il parossismo
del terrore di Stato (1968-1975), non fu possibile nessuna mobilizzazione
pubblica, però già nella metà degli anni 1970 risorsero i
movimenti sociali e operai in episodi di uso del potere negativo che furono
decisivi per la sconfitta della dittatura militare e il ristabilimento dello
Stato di Diritto.
In quel contesto furono di centrale
importanza i movimenti pastorali che risultarono nella organizzazione dei
poveri e degli esclusi per mezzo delle così chiamate Comunità
Ecclesiali di Base (CEB). Queste comunità fornirono una importante base
per le campagne popolari contro la carestia, la censura, la tortura, per la
amnistia, per l’abitazione e la proprietà della terra, oltre a
contribuire per il rinnovo delle leadership ed organizzazioni sindacali che
ebbero inizio allora. Con l’obiettivo di appoggiare le azioni dalle CEBs
un gruppo di valorosi preti e vescovi cattolici di orientamento progressista
ebbe una autentica funzione tribunizia, ed in alcuni casi con la dimensione sacrificale
della propria vita. Alla fine del 1970, le mobilizzazioni sindacali di
autentica disobbedienza civile davanti alla legislazione dittatoriale che
proibiva gli scioperi, e l’esercizio della stessa disobbedienza civile
fatta dagli studenti nel rifondare, contro la legislazione che lo proibiva, le
organizzazioni studentesche, finirono col determinare una autentica revoca per
il non uso – e per il rifiuto dei tribunali di applicarla – della
succitata legislazione repressiva. Nel 1979, la vittoria della Campagna per la
Amnistia Ampia, Generale ed Illimitata, portò alla approvazione della
legge che sospese gli effetti degli atti di espulsione dal paese, sospensione
dei diritti politici, condanna per crimini politici ed esclusione dal servizio
pubblico, che erano stati emanati dai militari.
Da quel momento in poi, le mobilizzazioni
presero un aspetto chiaramente positivo e costituente, e culminarono con la
campagna per le elezioni dirette per la Presidenza della Repubblica nel 1984.
Anche se sconfitta nel suo obiettivo immediato, questa mobilitazione
aprì la strada ad un governo civile di transizione ed alla successiva
convocazione di una “Assemblea Nazionale Costituente libera e
sovrana”, eletta il 15/11/1986 e installata il 1/2/1988. L’inizio
dei lavori della Costituente ebbe come panno di fondo tutto questo processo di
mobilizzazioni. Per questo, poteva aspettarsi che i movimenti sociali
coltivassero aspettative - rapidamente trasformate in strategie di pressione
– di aprire opportunità di partecipazione diretta dei cittadini
nel processo costituente[23].
Per una serie di ragioni che non posso
esporre complessivamente qui[24],
dopo una intensa polemica e grande pressione per partecipare nel processo
decisori o, sia da parte del “basso clero” parlamentare dentro la
Costituente, sia da parte dei settori sociali organizzati, il Regolamento
Interno della Costituente non solo ha ammesso la partecipazione popolare
diretta come anche ha adottato un procedimento che ha molto contribuito per una
maggiore porosità dell’ambiente derisorio. Così, per
soddisfare la volontà di partecipazione effettiva del basso clero, tutti
i costituenti furono distribuiti, inizialmente, in 24 Sottocommissioni
Tematiche incaricate della prima fase di elaborazione costituzionale, riunite
tre a tre in otto Commissioni Tematiche responsabili per la seconda fase
derisoria, i cui anteprogetti sarebbero unificati, nella terza fase, da una
Commissione di Sistematizzazione, prima della sua votazione in Plenario da
parte della Assemblea nella quarta e ultima fase[25].
Con questo, al definire 24 temi che avrebbero dovuto occupare inizialmente i
costituenti, il Regolamento ha predefinito una opzione per il modello
costituzionale detto dirigente (che
facilita la costituzionalizzazione dei diritti sociali, economici e culturali),
desiderato dai progressisti e dai movimenti sociali, a scapito del modello
semplicemente garantista, preferito
dai conservatori e dalla classe dirigente.
Più importante fu però
l’adozione di strumenti di partecipazione diretta della cittadinanza: 1)
l’accettazione, nella fase iniziale, di suggerimenti presentati dai
tribunali, dalle assemblee statali e municipali e da entità rappresentative di segmenti della società, e
il suo incamminamento alle commissioni competenti; 2) la riserva di un minimo di
cinque riunioni delle sottocommissioni tematiche per udienza delle entità rappresentative dei segmenti della
società, udienze pubbliche queste che dobbiamo dire hanno arricchito
molto i dibattiti, poiché la esigenza del contraddittorio ha permesso
che le organizzazioni rappresentative di settori opposti in conflitto potessero
manifestarsi con tutta libertà; 3) la presentazione, nella terza fase,
di emendamenti popolari al Progetto di Costituzione, a condizione di essere
stati sottoscritti da 30 mila elettori, in liste organizzate al minimo da tre
associazioni, e la difesa delle stesse nella tribuna della Costituente fatta da
un cittadino non parlamentare e nominato dai firmatari; questo permise la
raccolta di circa 12 milioni di firme per un totale di 122 emendamenti
popolari, di cui più di 80 ebbero il loro contenuto totalmente o
parzialmente incorporato al testo costituzionale[26].
Tutto questo sforzo non riuscì
tuttavia a trasformarsi in molte proposte vittoriose di istituzione di
strumenti di potere negativo e specialmente tribunizio, oltre a quelli
già preesistenti e che furono mantenuti, e oltre ai pochi strumenti di
potere positivo introdotti, e che si sono rivelati di una efficacia abbastanza
ridotta[27].
Possiamo menzionare, come istituto di potere negativo mantenuto, o meglio,
accettato dalla Costituzione del 1988 (per mezzo della ricezione della legge
che dispone sul processo di impeachment),
il chiamato principio della denunziazione
popolare che venne ad acquistare
una effettività inedita nel 1992. Questo principio permette a qualsiasi
cittadino di denunziare, per la pratica di crimine di responsabilità, il
Presidente della Repubblica, i ministri di Stato, i Giudici del Supremo
Tribunale Federale, i Governatori di Stato e qualunque altra alta autorità
avanti agli organi competenti[28].
Fu in base a questa prerogativa che nel 1992 i cittadini Barbosa Lima Sobrinho
e Marcelo Lavenére (presidenti, rispettivamente, della Associazione
Brasiliana della Stampa e del Consiglio Federale dell’Ordine degli
Avvocati del Brasile) sporsero denunzia alla Camera dei Deputati contro
l’allora Presidente Fernando Collor de Mello, e che risultò nella
condanna dello stesso da parte del Senato alla inabilitazione
all’esercizio della funzione pubblica per un periodo di otto anni, nonostante
la sua rinuncia prima di essere giudicato.
In relazione al dibattito costituente
propriamente detto, le proposte e le discussioni sulle istituzioni e
procedimenti di partecipazione popolare positiva o negativa furono
effettivamente lasciate al margine. Forse i 21 anni di dittatura recente, oltre
il secolo di innumerevoli colpi di stato e periodi di eccezione, e
principalmente la fiacca mobilizzazione autonoma dei lavoratori e degli
sfruttati abbiano condotto inevitabilmente alla priorità dello Stato di
Diritto con le sue deficienze
democratiche tipiche, un poco trasformato per un sistema rappresentativo che
oggi incorpora non solo il 2%, come un secolo fa, ma quasi il 70% dei cittadini
come elettori, costituendo un potere elettorale molto potente, temperato da
parchi ricorsi di partecipazione diretta.
Nella prima fase del processo costituente
l’orizzonte pareva più favorevole alla costituzionalizzazione di
alcune forme di potere negativo. Per esempio, sotto la spinta delle pressioni
dei movimenti sociali, la Sottocommissione dei Diritti Politici, dei Diritti
Collettivi e delle Garanzie, che faceva parte della Commissione della
Sovranità e dei Diritti e delle Garanzie dell’Uomo e della Donna,
approvò la revoca popolare del mandato di parlamentari eletti (recall) per i tre livelli della
Federazione, con il titolo di voto destituente: «Gli elettori potranno revocare, con voto destituente, il mandato
concesso ai loro rappresentanti nel Congresso Nazionale, nelle Assemblee
Legislative e nei Consigli Comunali, nella forma che sarà regolamentata
in una legge complementare»[29].
Questa innovazione non è però sopravissuta alla seconda fase dei
lavori costituenti, avutisi nelle Commissioni Tematiche.
Oltre a ciò, la resistenza
demofobica ed antipopolare delle correnti conservatrici contro qualunque forma
di partecipazione popolare nelle decisioni legislative – che per esempio
aumentò da 30 mila, come era indicato dal Regolamento della Costituente,
a più di 1.300.000 nel testo della Costituzione il numero necessario di
sottoscrizioni per progetti di iniziativa popolare nell’ambito federale
– ha impedito qualunque avanzamento importante in questo terreno[30].
Inoltre, perché il principio della democrazia partecipativa fosse
iscritto come principio fondamentale a fianco del principio della
sovranità popolare nella fase finale del Plenario, fu necessario che la
parte progressista riunisse voti per rigettare la prima proposta conservatrice
del Preambolo, e partendo da qui esigere, per l’approvazione delle seconda
proposta conservatrice, che il paragrafo unico dell’art. 1º della
Costituzione contenesse l’inoffensivo brano qui sotto messo in rilievo:
«tutto il potere emana dal popolo,
che lo esercita per mezzo di rappresentanti eletti o direttamente, nei
termini di questa Costituzione»[31].
Contrariando questo panorama arido, solo la
consacrazione – e la manutenzione in tutte le fasi del processo,
inclusivamente davanti alla offensiva finale dei conservatori, alla quale
sopravvisse – del diritto illimitato di sciopero, il cui enunciato fu
dotato di una tale ampiezza che tranquillamente accoglie e garantisce il
diritto allo sciopero per ragioni politiche. In effetti, dice il caput
dell’art. 9 della Costituzione del 1988: «è assicurato il diritto allo sciopero, toccando ai lavoratori
decidere sulla opportunità di esercitarlo e sugli interessi che per suo mezzo devono
essere difesi». Ora, se
la Legge Maggiore non esclude e neanche specifica la natura di questi interessi
è perché essi possono anche essere politici. Però, la
consacrazione – con un’ampiezza inedita nella nostra storia
costituzionale – di questo millenario ed in altri tempi potentissimo
strumento di potere negativo diretto dei lavoratori non ha resistito alla
unione di alcune realtà nefaste che hanno marcato il finale del secolo
XX: 1) nel loro tendenzioso conservatorismo, i tribunali del lavoro brasiliani
hanno deciso di discriminare là dove la Costituzione non lo aveva fatto,
e mantennero nelle illiceità lo sciopero esclusivamente politico; 2)
inoltre, un ciclo di tredici anni di politiche economiche conservatrici dal
1988 in avanti, la dispersione territoriale delle strutture produttive
determinata dalla fine del modello fordista-taylorista, la globalizzazione
delle decisioni economiche, l’automazione della produzione ed in
conseguenza la fine della prospettiva del pieno impiego decimarono le file
sindacali, e resero impossibile l’esercizio ampio del diritto allo
sciopero.
In relazione alla istituzione del Difensore
del Popolo, nonostante siano esistite proposte in questo senso, anche da parte
di organizzazioni di lavoratori[32]
esse non ebbero successo a partire dalla fase intermediaria della Costituente.
La Commissione della Sovranità e dei Diritti e delle Garanzie
dell’Uomo e della Donna riuscì ad approvare e ad inserire nel suo
Anteprogetto: 1) la definizione della «partecipazione della società organizzata per la designazione dei
candidati a membri della Difesa del Popolo», e della «libera azione correttrice sulle funzioni
pubbliche e sulle azioni sociali di importanza pubblica» come delle
forme di esercizio della sovranità popolare; 2) la creazione della
Difensoria del Popolo, «incaricata
di vigilare per la effettiva sottomissione dei poteri dello Stato e dei poteri
sociali di rilevante importanza per la Costituzione e per le leggi»;
3) la scelta del Difensore del Popolo e la possibilità di sostituzione,
in qualsiasi tempo, per decisione della maggioranza assoluta della Camera dei
Deputati, in questo ultimo caso «per
mezzo di una richiesta popolare»; la estensione delle immunità
parlamentari al Difensore del Popolo e la determinazione che anche le assemblee
costituenti degli stati federati istituissero l’organo a livello
regionale[33].
Il testo approvato dalla Commissione dei
Diritti fu mantenuto con alcuni cambiamenti nella prima versione
dell’Anteprogetto di Costituzione dalla Commissione di Sistematizzazione,
però era già scomparsa nel Primo Progetto Sostitutivo del
relatore e non fu neanche incorporata per emendamento nel testo finale del
Progetto di Costituzione incamminato al Plenario[34].
Una delle ragioni sarà stata la intensa ed aggressiva mobilizzazione
corporativistica dei membri del Pubblico Ministero affinché questa
istituzione esercitasse le funzioni tipiche di una Difesa del Popolo.
Però nel primo turno di votazioni in Plenario, la costituente
progressista Raquel Capiberibe presentò un emendamento con la
finalità di introdurre di nuovo la creazione del Difensore del Popolo,
ma la proposta ebbe solo 188 voti, molti di meno dei 280 necessari per
l’approvazione e dei 234 voti avutisi per il suo rigetto[35].
Dobbiamo anche osservare che, anche nel caso che si fosse mantenuto,
l’istituto sarebbe nato con la macchia della sua scelta indiretta
attraverso la rappresentanza popolare, e non direttamente per mezzo del popolo,
come ha già osservato il Prof. Giovanni Lobrano[36].
Da quel tempo in avanti, continuiamo in
cerca delle nuove forme istituzionali che possano permettere il ristabilimento,
nella nostra epoca, della funzione tribunizia nella pienezza della sua
espressione degli interessi dei nullatenenti, dei lavoratori e delle sfruttati
contro gli interessi delle classi dirigenti e dominanti, anche per mezzo
dell’esercizio del potere negativo indiretto. La verità
però è che, nell’insieme delle esperienze vissute dal
popolo brasiliano e dai nostri fratelli latinoamericani nei recenti anni,
quello che si presenta come più promettente è piuttosto il
repertorio ampio di azioni dirette della plebe sudamericana, il più
delle volte in un piano paraistituzionale. In questo senso, è degno di
essere registrata la mobilizzazione popolare (fatta con telefonini e internet
dalla plebe venezuelana nel 2002), che fece abortire il colpo di stato montato
dalle classi dominanti locali contro il Presidente Hugo Chavez, e che permise
il suo ritorno all’esercizio dei suoi poteri costituzionali. Anche se di
minor dimensione, ebbe senso analogo il movimento di produzione e trasmissione
via internet di controinformazioni fatto dai cittadini brasiliani durante la
crisi politica del 2005, che permise di superare il coro unificato dei mezzi di
informazione conservatori contro il Presidente Lula e neutralizzare in questo
modo l’offensiva di isteria moralista e golpista che pretendeva di
impossibilitare la rielezione del Presidente-Operaio. Ciò aprì la
strada perché, nelle elezioni del 2006, il potere elettorale più
alto della moltitudine brasiliana potesse esautorare lo sforzo golpista con una
schiacciante maggioranza che garantì la rielezione di questo autentico
tribuno della plebe brasiliana.
Meccanismi istituzionali però sono
più che mai necessari, e la potenza costituente della plebe romana,
così come interpretata dal notabile Fiorentino, continua a servire come
idea-guida ad ispirare molti tentativi di invenzione di nuove e sperate
soluzioni formali attraverso le quali si permetta al nostro popolo, e alla
moltitudine mondiale, come si è già osservato, di costruire non
le migliori forme di governo, ma le migliori forme di liberazione della potenza
vivente degli uomini e delle donne che lavorano e soffrono dello sfruttamento
dal capitale.
[3] Vedere, per tutti, Hermann Heller, Teoria do Estado. São Paulo: Ed. Mestre Jou, 1968, 283 ss. e, in Brasile, il
classico saggio “A Separação de Poderes no Quadro
Político da Burguesia” (in Cavalcanti
T. e altri, Cinco Estudos. Rio
de Janeiro: FGV, 1955), dell’ex ministro del Supremo Tribunale Federale Vitor Nunes Leal, sintomaticamente lo
stesso autore nel non meno classico Coronelismo,
Enxada e Voto, sui vizi oligarchici
della rappresentanza politica in Brasile.
[5] In questo senso, per
tutti, di Antonio Negri, Il Potere Costituente - saggio sulle
alternative del moderno. Varese:
Sugarco edizioni, 1992, cap. II, IV-V.
[6] V. Pierangelo Catalano: Tribunato e Resistenza. Torino: Paravia,
1971; La Divisione del Potere in Roma (a
proposito di Polibio e di Catone). Torino: G. Giappichelli Ed., 1974
– Estratto da Studi in onore di Giuseppe
Grosso, VI; “Poder Negativo”, Enciclopédia Saraiva do Direito.
Vol. 59. São
Paulo: 1981, 146-159; “Princípios Constitucionais do Ano I e a
Romanidade Ressuscitada”, in Tavares
A. et Al., Direito Público Romano e
Política. Rio de Janeiro: Renovar, 2005; Sovranità della
Multitudo e Potere Negativo - un Aggiornamento.
Torino: G. Giappichelli Ed., 2005 – Estratto da Studi in Onore di Gianni Ferrara, vol. I.
[7] La Plebe Multitudinaria e la Costituzione dei suoi
Tribuni nella Società Globale, relazione presentata nel II Seminario di
Studi ‘Tradizione Repubblicana Romana”, Roma, Campidoglio, 15-17
dicembre 2008.
[14] V. Catalano et Al. (Ed.) “Da
Roma a Roma” – Dal Tribuno della Plebe al Difensore del Popolo
– Dallo Jus Gentium al Tribunale Penale Internazionale. Roma: Illa,
21-22, febbraio 2002.
[16] Per il concetto di
democrazia partecipativa così come intesa dal costituzionalista
progressista che di più ha influenzato i lavori della Costituente, nella
condizione di assessore costituzionale del leader della Maggioranza, vedere Josè Afonso da Silva, Comentàrio Contextual à
Constituição, São Paulo: Malheiros, 2009, e Poder Constituinte e Poder Popular (estudos
sobre a Constituição), São Paulo: Malheiros, 2007.
[17] «Art. 1. I
diritti naturali, civili e politici dell’uomo sono la libertà, la
uguaglianza, la sicurezza, la proprietà e la resistenza
all’oppressione» (ho evidenziato). Si noti che uno degli atti
che ha precipitato la insurrezione è stato proprio il voto di Frei
Caneca contro il giuramento, da parte dei cittadini della Municipalità
di Recife, della Carta imposta nel 1824 dall’Imperatore I, dentro il
colpo con il quale aveva sciolto la Costituente del 1823 ed aveva nominato un Consiglio
di Stato per stendere la prima costituzione del Brasile. Per dare alla Carta
una parvenza di legittimità, il despota stabilì che essa fosse
giurata da ogni municipalità del Paese.
[19] «Art. 32. Prima
di promulgare qualsiasi legge, salvo il caso a cui si riferisce l’art. 33
(materia finanziaria e tributaria, competenza del legislativo statale), il
Presidente farà pubblicare con la maggior diffusione il relativo
progetto accompagnato da una dettagliata esposizione e motivi. § 1. Il
progetto e la esposizione saranno inviati direttamente agli Intendenti
municipali, che ne daranno la possibile pubblicità nei rispettivi
municipi. § 2. Passato il periodo di tre mesi (…) saranno trasmessi
al Presidente, da parte delle autorità locali, tutti gli emendamenti ed
osservazioni che saranno fatti da qualsiasi cittadino abitante dello Stato.
§ 3. Esaminando con la massima attenzione questi emendamenti ed
osservazioni, il Presidente manterrà inalterabile il progetto, o lo
modificherà con quello che penserà essere più appropriato.
§ 4. In ambi i casi del paragrafo precedente, il progetto sarà
cambiato, per mezzo della promulgazione, in legge dello Stato, che
sarà revocata se la maggioranza dei Consigli Municipali farà una
rappresentanza contro di essa al Presidente» (ho sottolineato).
[21] «Art. 39. Il
mandato di rappresentante non sarà obbligatorio; potrà essere
rassegnato in qualunque tempo, e potrà anche essere ritirato dalla
maggioranza degli elettori» (ho sottolineato).
[23] Inclusivamente per
mezzo della organizzazione, per mezzo di leadership prossime alla Chiesa
progressista, di un Plenário Pro-Partecipazione Popolare nella
Costituente. V. CEDI – Centro Ecumênico di Documentazione. Dossiê Constituinte. Rio de
Janeiro, 1986.
[24] Per capire il
processo decisorio che allora si ebbe, mi permetto di rimandare al mio A Constituinte de 1987-1988 – progressistas, conservadores, ordem econômica e
regras do jogo. Rio de Janeiro: Lumen Juris, 2007.
[25] A esempio, i tre
anteprogetti delle sottocommissioni del Potere Legislativo, del Potere
Esecutivo, e del Potere Giudiziario e Ministero Pubblico sarebbero riuniti
nell’anteprogetto della Commissione della Organizzazione dei Poteri e del
Sistema di Governo, e questo inviato alla Commissione di Sistematizzazione
dalle altre sette commissioni e sarebbe integrato, con gli altri, in un unico
Progetto di Costituzione.
[26] Assembléia Nacional
Constituinte. Resolução nº 2/1987, art. 13, 14, e 24.
Brasília: Câmara dos Deputados, 1987. Per gli emendamenti
popolari: Assembléia Nacional Constituinte. Emendas Populares. Brasília: Centro Gráfico do Senado
Federal, gennaio 1988.
[27] Conforme il chiaro
bilancio di Ronaldo Poletti in
“Assembléias Populares e Democracia Direta”, Tavares et al. (ed.), Direito Público Romano e
Política, cit., 79-90.
[29] Assembléia Nacional
Constituinte. Subcomissão dos Direitos Políticos, dos Direitos
Coletivos e Garantias. Anteprojeto,
art. 19. Brasília: Centro Gráfico do Senado Federal, maggio 1987.
[30] Costituzione della
Repubblica Federativa del Brasile, art. 61 § 2 «l’iniziativa
popolare può essere presa con la presentazione alla Camera dei Deputati
di un progetto di legge sottoscritto da un minimo dell’uno per cento
dell’elettorato nazionale, distribuito in almeno cinque Stati, e con non
meno di tre decimi per cento degli elettori di ciascuno di essi» (!).
L’elettorato brasiliano oggi arriva a 130 milioni di elettori.
[32] Per esempio, la
Piattaforma dei Docenti dell’Insegnamento Superiore per la Costituente,
approvata dalla Associazione Nazionale dei Docenti dell’Insegnamento
Superiore (Andes), dove si proponeva la «creazione di un incarico di
difensore del popolo, che avrà l’incombenza di fomentare il
rispetto dei poteri dello Stato per i diritti garantiti dalla Costituzione e
dalle leggi. Il difensore del popolo sarà eletto dal Parlamento, per
mezzo dell’indicazione di candidati da parte delle organizzazioni della
società civile».
[33] Vedere art. 15, IV e
V, e 40 dell’Anteprogetto in Assembléia Nacional Costituinte.
Comissão de Sistematização. Anteprojetos das Comissões Temáticas e Índice. Brasília:
Centro Gráfico do Senado Federal, 1987.
[34] Vedere
Assembléia Nacional Constituinte. Comissão de
Sistematização. Anteprojeto de Constituição. Brasilia: Centro Gráfico do
Senado Federal, giugno 1987; idem, Projeto
de Constituição- Substitutivo
do Relator... agosto 1987; idem, Projeto
de Constituição (A)...
dicembre 1987.
[35] Emenda nº 1821. V.
Assembléia Nacional Constituinte. Secretaria-Geral da Mesa. Projeto de Constituição
– Mapas Demonstrativos da Matéria Rejeitada em Primeiro Turno pelo
Plenário. Brasília: Centro Gráfico do Senado Federal,
luglio 1988, 10.