[ISSN 1825-0300]

 

N. 9 – 2010 – Memorie/Tradizione-repubblicana-romana-III

 

 

Massimo Galtarossa

Università di Verona

 

Il Consiglio dei Dieci della Repubblica di Venezia, l'Avogaria di Comun e la secessione del 1582-1583

 

 

Sommario: 1. La tradizione romana del Tribunato nella storia della Repubblica di Venezia. – 2. L'anatomia della secessione plebea: le dinamiche sociali e le metafore corporali. – 3. La secessione di scolari nello Studio patavino come forma di difesa della libertà scolastica. – 4. La legittimità ideologica del Consiglio dei X come Tribunat.

 

 

1. – La tradizione romana del Tribunato nella storia della Repubblica di Venezia

 

In una prima rassegna degli studi di storia sulla fortuna del modello politico del Tribunato della plebe in quella esemplare Repubblica di antico regime che era Venezia si iniziano a delineare almeno due feconde direzioni di ricerca[1]. Per prima la presenza mitologica dell'antico tribunato romano - identificato dagli scrittori politici ora in quello della plebe ora in quello militare - nelle genealogie delle famiglie patrizie della città lagunare che era come parlare dell'eredità della tradizione romana nell'identità profonda di una delle classi di governo più antiche d'Europa[2]. Per secondo l'emersione dell'epiteto tribuno, inteso come difensore della “plebe patrizia”, cioè dei nobili veneziani impoveriti e al di fuori dell'agone politico, fra i protagonisti dei contenuti delle satire. Questo riferimento alla cultura classica venne attribuito all'avogador di Comun Angelo Querini - la magistratura patrizia che incarnava il rispetto delle leggi - durante la correzione, cioè riforma del Consiglio dei X del 1761-1762 [3]. In quel biennio era vivo il contrasto politico all'interno del patriziato fra il principio di uguaglianza repubblicana e le tendenze oligarchiche. Questo confronto tendeva a radicalizzarsi e assumere la forma di un serrato dibattito rilevabile nelle “dispute” fra i principali oratori intervenuti nel Maggior Consiglio, cioè l'assemblea plenaria del corpo aristocratico, in quella discussione sulla legittimità dell'allora ordinamento repubblicano[4]. Quello che ora rimane da indagare è l'utilizzo della categoria secessione, propria appunto della resistenza plebea, fra le righe del discorso politico veneziano sia “di dentro” e sia “di fuori” a Venezia[5].

 

 

2. – L'anatomia della secessione plebea: le dinamiche sociali e le metafore corporali

 

Un'importante prospettiva di ricerca è costituita dall'analisi dell'opera manoscritta l’Ottima Repubblica di Giovanni Tazzino da Castelfranco databile all'anno 1678 che era significativamente dedicata al rettore di Padova, cioè al patrizio rappresentante la Repubblica di Venezia, Girolamo Basadonna[6]. La riflessione in esame verteva sull'identità patrizia, sui criteri di legittimazione politica e sul rapporto fra governanti e governati nel mezzo dei cambiamenti sociali del corpo aristocratico seguiti all'ammissione di nuove famiglie al patriziato veneziano (1649-1718). Le nuove aggregazioni erano favorite dal dissesto umano e finanziario della Repubblica causato dalle spese militare per la difesa dell'isola di Candia, cioè Creta, contro i turchi. Era un periodo di profonde trasformazioni nella composizione dell'élite di governo, dopo la chiusura del Maggior Consiglio nel 1297, che si rispecchiava nelle prese di posizioni delle “scritture” politiche apparse nel periodo in esame.

In un Discorso aristocratico sopra il governo de' signori venetiani del 1675 all'origine della Venezia marittima si scioglieva l'ambiguità dell'antico tribunato veneziano parlando chiaramente di “tribuni della plebe”[7]. La stessa dignità tribunizia, la categoria più ambita dal patriziato veneziano come gruppo sociale – secondo gli studi sulla cronachistica nobiliare di Dorit Raines – non solo quindi variava nel numero sempre maggiore delle famiglie che alla ricerca di prestigio sociale se la attribuivano, o cercavano invano di ottenerla, ma poteva anche essere reinterpretata alle origini come un tribunato della plebe. In questo senso comparare le repubbliche antiche, fra le quali veniva considerata Roma, e le moderne, in primis Venezia, come fa il Tazzini, appariva un'impresa culturale densa di significato[8].

Nell'opera l’Ottima Repubblica il Tazzini narrava delle secessioni plebee prima sul Monte Sacro, per le contese fra i patrizi e i plebei per l'usura, e poi sull'Aventino, contro il potere dei Decemviri. Malgrado l'inclinazione aristocratica dell'autore esso si rifaceva all'autorità del segretario fiorentino nei Discorsi politici secondo il quale la creazione della magistratura del tribunato della plebe rese la repubblica romana più perfetta[9]. Il Tazzini all’interpretazione del Machiavelli ci credeva se fra le righe individuava proprio nel rapporto fra la pressione dei plebei aspiranti nobili e la vecchia classe di governo al potere il principale problema repubblicano individuato da Machiavelli che solo Venezia nel secondo Seicento era riuscita a risolvere positivamente[10].

In definitiva nel linguaggio politico veneziano il discorso sulla mutazione di Stati individuato dal Tazzini, così come quello della sedizione, di cui già aveva parlato l'udinese Pompeo Caimo, erano due livelli di semantica politica che introducevano alla tradizione romana della secessione della plebe[11]. Anche il professore dello Studio di Padova di medicina teorica in primo loco l'udinese Pompeo Caimo pur scrivendo nella sua opera il Parallelo politico delle Repubbliche antiche e moderne, Padova 1627: «Sappiamo che con la scorta di alcuni suoi favoriti fece sovente la plebe ritiramento in disparte», – sulla scia del pensiero politico di Platone e di Aristotele – metteva in discussione l'interpretazione della Repubblica romana come temperata, proposta da Polibio, e poneva piuttosto l'accento sul senso di sedizione che contraddistingueva, secondo l'autore, la dinamica delle classi sociali all'interno della città di Roma dovuta alla differente origine delle due parti sociali, fra di loro non assimilabili in un unico principio naturale[12].

In questo discorso esistevano delle lacune concettuali giacché malgrado la parola “sciopero” sia attestata nei documenti pubblici e nei testi letterari fin dal '500 e dal '600 il conflitto sociale fra i pistori, cioè i mercanti – capitalisti che vendevano e producevano il pane, e i loro lavoratori a Venezia in sciopero negli anni fra il 1775 e il 1782 venne ricondotto nelle fonti istituzionali veneziane ancora come una sedizione dell'ordine sociale esistente[13]. Una conferma che questa linea d'indagine fosse plausibile ci viene dai tentativi di riforma del diritto veneto avanzati in quegli anni. Nel Dizionario del diritto veneto (1779) dell’avvocato Marco Ferro che rappresentava un ulteriore tentativo di riforma sulla via dell’integrazione ufficiale del diritto veneto con quello comune alla voce Sedizione l'autore scriveva: «Menenio Agrippa estinse una delle più violenti sedizioni che sieno mai sorte nella Repubblica, proponendo la favola dei diversi membri del corpo umano, che si lamentavano col ventre origine dei loro mali; la più pericolosa di tutte le sedizioni fu calmata, subito che si accordarono al popolo i tribuni per proteggerlo»[14].

Tuttavia per altri aspetti Venezia offriva dei materiali per uno straordinario laboratorio della tradizione romana. Durante la “correzione” del 1761-1762 nel dibattito politico attorno alle mozioni dei protagonisti il patrizio Paolo Renier, già Savio del Consiglio, nell'orazione del 13 marzo del 1762 si dichiarò tanto contro la maggioranza quanto contro la minoranza e propose nel Maggior Consiglio la strada dell'astensione rielaborando la rappresentazione metaforica della società pronunciata da Menenio Agrippa durante la prima secessione plebea[15]. Egli raffigurò la Repubblica come un corpo umano in cui i principali Consigli ne rappresentavano i singoli organi e le membra, ad esempio l'assemblea plenaria del patriziato veneziano era la testa mentre i Consigli rappresentavano lo stomaco. In maniera del tutto originale era la funzione attribuita all'Avogaria di Comun - la magistratura rappresentante la tutela della legalità nell'ordinamento costituzionale veneziano - in quanto gli si attribuiva il ruolo di “vigile spia” o di “sentinella vegliante” che da per tutto va sempre esplorando gli abusi, o i disordini, contrari alle leggi che si andavano a poco a poco, e col tempo, introducendo. Questa magistratura doveva essere sempre pronta a reprimerli, a scacciarli colla forza, e con l'armi delle sempre sua valide intromissioni alle deliberazioni. Agli Avogadori sarebbe quindi spettato l'attribuzione di un originale potere negativo per evitare che una parte del corpo prevaricasse sulle altre nella ripartizione della giustizia distributiva. Si comprende come i patrizi che ascoltarono per cinque ore questa lunga orazione rimasero profondamente colpiti sia per il tono concitato dell'oratore che per la spregiudicatezza della raffigurazione metaforica di efficace resa plastica al punto che secondo una lettera privata di pochi giorni successiva del patrizio Niccolò Balbi scritta all'amico Marin Zorzi allora podestà di Brescia era affermato: «che mai più in verun tempo con tanto di scandalosa libertà non si sarà parlato, neppure da veruno de' più arditi Tribuni della Plebe romani fra comici romani»[16].

 

 

3. – La secessione di scolari nello Studio patavino come forma di difesa della libertà scolastica

 

L'orazione del patrizio Paolo Renier nell'elaborazione della tradizione romana della secessione e nel nuovo ruolo riconosciuto all'Avogaria di Comun costituisce la proposta più audace del discorso politico “di dentro” a Venezia. Tuttavia pure nel discorso politico “di fuori” rappresenta una feconda prospettiva di ricerca quella di collocare tale forma di resistenza nell'ambito delle migrazioni di studenti dallo Studio patavino[17]. Il primo ad utilizzare per esse il termine secessione nel 1920 fu lo storico dell'Università di Padova Antonio Favaro nel descrivere le vicende della partenza degli studenti dalla città del Santo nel 1582-1583 attraverso la pubblicazione dell'opera manoscritta Il lamento del Bò, cioè il pianto dell'impersonificazione dell'Università e degli abitanti della città per l'abbandono in massa degli scolari dallo Studio patavino. All'origine di questo episodio vi era l'uccisione di uno scolaro pavese – da parte di alcuni nobili padovani durante una rissa – per cui gli studenti non si sentivano sufficientemente tutelati nella loro sicurezza personale. Si trattava di un evento drammatico che ebbe profonde ripercussioni sociali[18]. La folla degli studenti in partenza dal Bò sono seguiti in lacrime da tutti coloro che dalla loro presenza nello Studio patavino traevano un immediato guadagno personale: i lettori dello Studio, i negozianti e i bottegai, gli ebrei strazzaroli e le donne che gli alloggiavano[19]. A ben riflettere l'uso della categoria secessione appariva in questa circostanza opportuna in quanto la partenza dallo Studio degli studenti significava separare e recedere quel legame sociale con la società padovana[20]. Nel 1549 nella sua Relazione al Senato il podestà Bernardo Navagero, in maniera esagerata, aveva affermato che senza lo Studio, che trattiene molti artigiani, la città di Padova sarebbe disabitata. Tuttavia se consideriamo che gli studenti che frequentavano lo Studio spendevano minimo cento ducati a testa si comprende come fosse notevole il vantaggio degli abitanti dalla loro presenza e sussistenza[21].

Ricostruire lo stretto contesto ideologico della secessione del 1582-1583 consente di collocare correttamente l’episodio in questione. Il termine può essere ricondotto all'esigenza di libertà propria dello Studio patavino, la cosidetta libertas patavina, cioè nel significato medievale di esenzioni fiscali e di tutti i privilegi previsti dagli antichi statuti universitari di Padova[22]. Alla metà del Cinquecento, come ben si espresse uno studente di fronte al Rettore veneto, le pene, come la minaccia di bandire dalla città per la «tranquillità e quiete» dello Studio e quindi in un certo senso di esiliare, i termini nel caso degli studenti vengono usati nei proclami giudiziari a Padova come sinonimi, sono inefficaci giacché gli scolari potevano abbandonare, oppure emigrare, dalla città per altri Studi[23]. Comprendere l'ambiente entro il quale maturò l'evento può risultare importante. In quegli anni sia la presenza dei privilegi scolastici, che avevano una loro matrice nel diritto romano, e sia il racconto della vicenda narrato attraverso gli Annali della natio germanica, che contribuivano a tramandare le gesta più importanti della principale componente studentesca straniera nello Studio patavino, rilevando una forte coscienza di nationes, può costituire un prezioso documento per indagare il contributo degli studenti tedeschi alla stessa idea di civiltà[24].

Il delinearsi della stessa istanza della secessione studentesca può essere messa in correlazione con la conoscenza e la circolazione del tema dell'antico tribunato della plebe romana. In quel periodo questa parte della storia romana era conosciuta ed innervava nella stessa idea di libertà se pensiamo ad esempio al pensiero dello studente padovano artista e poi famoso medico Girolamo Cardano, del patrizio e filosofo Sebastiano Erizzo nonché del giurista udinese Tiberio Deciano. Il filosofo pavese nel Neronis encomium (1562) propose un'originale apologia della figura di Nerone in cui spia di un possibile ruolo attivo dei ceti popolari é senz'altro la sua proposta di restaurare il tribunato della plebe nel suo modello di “principato civile” filo-popolare[25]. Altresì nel Discorso dei governi civili di Sebastian Erizzo (1571) l'elogio della Repubblica romana è collegata alla preminenza dei tribuni della plebe che nell'ufficio di «eseguire quello che era paruto al popolo» svolgevano una funzione di compensazione e di bilanciamento delle parti politiche rispetto all'autorità del Senato[26]. In questa panoramica particolare interesse riveste l'insegnamento a Padova del giurista Tiberio Deciani in particolare per gli aspetti giuridici in materia di lesa maestà, ribellione e fellonia ripresi in quegli anni. Essendo in antico il potere di veto del tribuno della plebe una componente nella stessa genesi della moderna concezione della maiestas del principe[27].

 

 

4. – La legittimità ideologica del Consiglio dei X come Tribunat

 

Nel 1582-1583 nonostante la secessione degli studenti dello Studio patavino per tutelare i loro privilegi venisse considerata sovversiva, secondo la valutazione del discorso politico veneziano ortodosso, essi fecero poi riferimento all'opera di mediazione delle istituzioni veneziane centrali e periferiche[28]. Il Consiglio dei X, pur al centro di un dibattito politico lacerante con l'Avogaria di Comun che ne avrebbe ridimensionato le esorbitanti competenze in materia finanziaria e di politica estera, inviò un segretario ducale dotato di ampi poteri a risolvere la vicenda con l'approvazione di buone «regole ed ordini» per il miglior funzionamento dello Studio patavino[29]. A questo atteggiamento remissivo degli studenti non era probabilmente estranea nel 1560 la perdita d'importanza della componente studentesca nella designazione delle cattedre elettive dell'Università[30]. Fra '500 e '600 malgrado la persistenza di rilievo nella vita dello Studio della natio germanica è il rettorato degli studenti prima e soprattutto la stessa istituzione del sindacato poi che inizia la sua progressiva parabola discendente destinata a concludersi con la sua scomparsa nel 1734 [31].

Appare quindi significativo porre la centro della nostra attenzione il ruolo e le funzioni di questa magistratura veneziana. Nel '700 il filosofo ginevrino Jean Jacques Rousseau nel Contratto sociale (1762) propose questo Consiglio come un esempio storico per illustrare il concetto di Tribunat di origine machiavelliana[32]. L'idea di difesa dell'ordine costituito lo differenziava nettamente dal tribunato romano tuttavia l'accostamento, certo impegnativo, con gli efori spartani avanzata sia da Sebastian Erizzo nel Discorso dei governi civili del 1571 per il quale il Consiglio dei X era giudice fra il doge e la nobiltà come lo erano a Sparta gli efori fra i re e il popolo, che verrà poi sviluppata dallo scrittore risorgimentale Macchi, delineava un quadro complesso in cui si fondevano mito di giustizia e principio di autorità[33]. Di questa stratificata identità il Consiglio dei X ne era pienamente cosciente perché nel momento del suo apogeo nel 1582, con la realizzazione di una sorta di “principato”, la magistratura suprema testimoniava con una legge nel cui preambolo insisteva sulla paterna carità, cioè un concetto religioso, con cui si rivolgeva ai propri sudditi il proprio autocompiacimento per l'equilibrio raggiunto[34].

Di primo acchito si potrebbe pensare che la ragione di questa identificazione di Rousseau risieda nell'utilità di questa magistratura nel mantenere un senso di moderazione propria al corpo nobiliare anche dal punto di vista del costume di vita e del lusso[35]. Il patriota e scrittore risorgimentale Macchi in una Storia del Consiglio dei X (1847-1848) affermò che per questa funzione: «da taluni vennero persino considerati, si direbbe quasi, come i protettori del popolo». Allo stesso tempo il motivo di questa affermazione pare risiedere nel favore popolare sia interno, l'azione del Consiglio dei X contro le congiure oligarchiche come nel caso del Doge Marin Faliero decapitato nel 1355, sia nel senso di fiducia e di difesa delle povere popolazioni della terraferma oppresse dai piccoli nobili locali, che si comportavano come tiranni, e della profonda aspettativa dei sudditi sull'efficacia della procedura inquisitoriale segreta detenuta da questo consiglio repubblicano[36]. Nel 1605 il caso simbolo del processo al nobile vicentino Paolo Orgiano studiato da Claudio Povolo, di cui è stata avanzata la proposta che sia stata la fonte ispiratrice del romanzo storico I promessi sposi di Alessandro Manzoni, esprime chiaramente nell'appello alla procedura del Consiglio X questo bisogno di rendere giustizia agli oppressi contro i soprusi e le prevaricazioni compiute dai membri dell'aristocrazia della città e del territorio del vicentino[37].

 



 

[1] P. CATALANO, Tribunato e resistenza, Torino 1970, 40-44. Per un aggiornamento bibliografico M. GALTAROSSA, L’idea del Tribunato nella storia della Repubblica di Venezia, in Giuramento della plebe al monte sacro MMD anniversario, “Diritto @ storia. Rivista internazionale di Scienze giuridiche e Tradizione Romana”, 7 (2008) = http://www.dirittoestoria.it/7/Memorie/Galtarossa-Idea-Tribunato-Repubblica-Venezia.htm . Sullo stato degli studi: A DE BENEDICTIS, Politica governo e istituzioni nell’Europa moderna, Bologna 2001; Repubblicanesimo e repubbliche nell’Europa di antico regime, a cura di E. FASANO GUARINI, R. SABBADINI e M. NATALIZI, Milano 2007 e Magistrature repubblicane modelli nella storia del pensiero politico. Atti del convegno di Perugia - Gubbio 30 novembre - 2 dicembre 2006, “Il pensiero politico”, 40 (2007), 163-195. Rimane importante R. FERRANTE, La difesa della legalità. I sindacatori della Repubblica di Genova, Torino 1995.

 

[2] D. RAINES, L’invention du mythe aristocratique, II, Venezia 2006, 782-791; R. BIZZOCCHI, Genealogie incredibili. Scritti di storia nell’Europa moderna, Bologna 1995; R. BIZZOCCHI, Familiae romanae antiche e moderne, “Rivista Storica Italiana”, 103 (1991), 355-397. Vedi come esempio F. SCHRÖDER, Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle province venete, II, Bologna 1972, 367-369 e F.L. MASCHIETTO, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (1646-1684) prima donna laureata nel mondo, Padova 1978, 6.

 

[3] A. DEL PIERO, Angelo Querini e la correzione del Consiglio dei X del 1761-1762, “Ateneo veneto”, 20 (1897), 90; A. BOZZÒLA, Inquietudini e velleità di riforma a Venezia nel 1761-1762, “Bollettino storico-bibliografico subalpino”, 46 (1948), 2-24 e F. VENTURI, Settecento riformatore, V, l’Italia dei lumi, II, La Repubblica di Venezia (1761-1797), Torino 1990, 26-28.

 

[4] Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia (d'ora in poi BNMV), mss. it 740 (1723), cl. VII, T. BALBI, Epistolario e A. DEL PIERO, Angelo Querini e la correzione del Consiglio dei X del 1761-1762, cit., 90 che si riferisce alle satire conservate nel codice Cicogna 3163 del Museo Correr di Venezia; A. BOZZÒLA, Inquietudini e velleità di riforma a Venezia nel 1761-1762, cit., 2-24.

 

[5] P. CATALANO, Tribunato e resistenza, cit., 18-34 e G. LOBRANO, Il potere dei tribuni della plebe, Milano 1982, 196 e seguenti. Confronta P. PRETO, Lo sciopero dei “lavoranti - pistori” a Venezia nel 1775 e 1780-82, in Non uno itinere. Studi storici offerti dagli allievi a Federico Seneca, Venezia 1993, 241-263; F. ATTINA, Secessione, in Dizionario di politica, Torino 1990, 1004-1005.

 

[6] Biblioteca Universitaria di Padova (d'ora in poi BUP), mss. 50 G. TAZZINO, L’Ottima Repubblica su cui vedi P. DEL NEGRO, Forme e istituzioni del discorso politico veneziano, in Storia delle cultura veneta, 4/2, Il Seicento, Vicenza 1984, 408-409 e confronta M. ZANETTO, “Mito di Venezia” ed “antimito” negli scritti del Seicento veneziano, Venezia 1991, 168. Sui rettori veneti la rassegna: M. KNAPTON, “Dico in scrittura ... quello ch’a bocha ho referto”. La trasmissione delle conoscenze di governo nelle relazioni dei rettori veneziani in terraferma, secoli XVI-XVIII, in L’Italia dell’inquisitore. Storia e geografia dell'Italia del Cinquecento nella Descrittione di Leandro Alberti. Atti del convegno internazionale di studi (Bologna, 27-29 maggio 2004), a cura di M. DONATTINI, Bologna 2007, 533-554; F. BENUCCI, Le università dello Studio di Padova per i rettori della città, “Quaderni per la storia dell’Università di Padova”, 34 (2001), 243-279. Confronta Archivio Antico dell'Università degli Studi di Padova (d'ora in poi AAUP), b. 580, poesie per la partenza del podestà di Padova, MALIBEO SAMPOGNA (Pseud. di CONTI PONZIANO, veneziano). Lettere curiose. O sia Corrispondenza istorica, critica, filosofica e galante fra tre amici viaggiatori in diverse parti del mondo. Edizione seconda, migliorata in più luoghi, ed arricchita colla giunta di X Lettere, Venezia, Poletti, 1750.

 

[7] Discorso aristocratico sopra il governo de' signori venetiani come si portano con Dio, con sudditi, e con prencipi, in Venetia 1675, c. 4-5 citato in R. DE MATTEI, L’apprezzamento del regime aristocratico nel pensiero politico italiano del Seicento, “Rivista di storia del diritto italiano”, 34 (1961), 17.

 

[8] D. RAINES, L’invention du mythe aristocratique, II, cit., XV-XVI. Confronta D. RAINES, Idee di nobiltà nel dibattito sulle aggregazioni (1685-1699 e 1704-1718), in Venezia e la guerra di Morea. Guerra, politica e cultura alla fine del ‘600,a cura di M. INFELISE, A. STOURAITI, Milano 2005, 93.

 

[9] BUP, mss. 50, G. TAZZINO, L’Ottima Repubblica, c. 22-23.

 

[10] BUP, mss. 50, G. TAZZINO, L’Ottima Repubblica, c. 38 e 40.

 

[11] BUP, mss. 50, G. TAZZINO, L’Ottima Repubblica, c. 23v. Confronta il Convito morale per gli etici economici, e politici di Don Pio Rossi, portata prima. Nuovamente corretta, e ristampata. Utilissima a chi legge, scrive, insegna, governa, impera, in Venetia 1672, ad vocem.

 

[12] P. CAIMO, Parallelo politico delle republiche antiche, e moderne, Padova 1626, c. 33 e 44, P. CATALANO, La divisione del potere in Roma (a proposito di Polibio e di Catone), in Studi in onore di Giuseppe Grosso, VI, Torino 1974, 667-679.

 

[13] P. PRETO, Lo sciopero dei “lavoranti – pistori” a Venezia nel 1775 e 1780-82, in Non uno itinere. Studi storici offerti dagli allievi a Federico Seneca, Venezia 1993, 241-263.

 

[14] G. FERRO, Dizionario del diritto comune e veneto, II, Venezia 1847, ad vocem Sedizione; G. COZZI, Repubblica di Venezia, Torino 1982, 375.

 

[15] BNMV, mss. it cl. VII 740 (=7483), N. BALBI, Rellazione delle cose occorse e delle dispute tenute in Maggior Consiglio per la correzione dell'eccelso Consiglio di Dieci, e delli suoi magistrati interni, seguita l'anno 1762 estesa in dodici lettere da Nicolo Balbi, c. 180v-193v. Fondamentale F. VENTURI, Settecento riformatore, V, L’Italia dei lumi, II, La Repubblica di Venezia (1761-1797), cit., 26-28.

 

[16] BNMV, mss. it cl. VII 740 (=7483), N. BALBI, Rellazione delle cose occorse e delle dispute tenute in Maggior Consiglio per la correzione dell'eccelso Consiglio di Dieci, e delli suoi magistrati interni, seguita l'anno 1762 estesa in dodici lettere da Nicolo Balbi, c. 74, lettera n°12 del 20 marzo 1762, c. 183, 190, 193v.; A. DEL PIERO, Angelo Querini e la correzione del Consiglio dei X del 1761-1762, cit., 90; A. BOZZÒLA, Inquietudini e velleità di riforma a Venezia nel 1761-1762, cit., 7; M. MANZATTO, Una magistratura a tutela della legge: l'Avogaria di Comun, in Processo e difesa penale in età moderna. Venezia e il suo stato territoriale, a cura di C. POVOLO, Bologna 2007, 111.

 

[17] G. ARNALDI, Il primo secolo dello Studio di Padova, in Storia della cultura veneta, I, Vicenza 1986, 1. Per Bologna vedi G.P. BRIZZI, Modi e forme della presenza studentesca a Bologna in età moderna, in L’Università a Bologna. Maestri, studenti e luoghi dal XVI al XX secolo, Bologna 1992, 1.

 

[18] A. FAVARO, Di alcune minacciate secessioni di scolari dello Studio di Padova durante il secolo decimosesto ed in particolare di quella dell’anno 1583, “Nuovo archivio veneto”, N.S. 23 (1920), 148-168, in particolare 154. Confronta A. FAVARO, Di un tentativo per procurare una nuova emigrazione di scolari dallo Studio di Bologna intorno alla metà del secolo XIV, “Nuovo archivio veneto”, 31 (1916), 254-259.

 

[19] A. FAVARO, Di alcune minacciate secessioni di scolari dello Studio di Padova durante il secolo decimosesto ed in particolare di quella dell’anno 1583, cit., 159-160 e 166-167.

 

[20] F. ATTINÀ, Secessione, in Dizionario di politica, Torino 1990, 1004-1005.

 

[21] A. TAGLIAFERRI, Introduzione alle Relazioni dei podestà e capitani di Padova, in Relazioni dei Rettori veneti in Terraferma, III, Podesteria e capitanato di Padova, a cura di A. TAGLIAFERRI, Milano 1976, XXX.

 

[22] C.G. MOR, Patavina libertas, in Annuario dell’Università di Padova per l’a.a. 1972-1973, Padova 1973, 3-8 e A. STELLA, Galileo, il circolo culturale di Gian Vincenzo Pinelli e la “patavina libertas”, in Galileo e la cultura padovana. Convegno di studio promosso dall’Accademia Patavina di scienze, lettere ed arti nell’ambito delle celebrazioni galileiane dell’Università di Padova, 13-15 febbraio 1992, a cura di G. SANTINELLO, Padova 1992, 316-317; L. CANFORA, Libertà degli antichi / libertà dei moderni, “Il pensiero politico”, 40 (2007), 199-207. Sugli studenti sempre utile: J. MICHELET, Lo Studente, Roma-Bari 1988.

 

[23] ASV, Capi del Consiglio dei X, Lettere di Rettori, Padova, b. 81, alla data 12 ottobre 1531. Vedi pure E. RIGONI, Il tribunale degli scolari dell’Università di Padova nel medioevo, “Atti e memorie della accademia di scienze lettere ed arti in Padova”, N.S. 59 (1942-1943), 19-34; A DE BENEDICTIS, La fine dell'autonomia studentesca tra autorità e disciplinamento, “Studi e memorie per la storia dell'Università di Bologna”, N.S., IV (1984), 193-223 e sulla fine del sindacato degli studenti P. DEL NEGRO, L’Università di Padova negli anni 1730, “Quaderni per la storia dell’Università di Padova”, 30 (1997), 3-17.

 

[24] B. BRUGI, Gli scolari dello Studio di Padova nel Cinquecento, Padova-Verona 1905, L. LANDUCCI, La nazione germanica degli scolari, in Settimo Centenario dell’Università di Padova, Padova 1922, 18; M. AGOSTINIS, La “Natio Germanica” allo Studio di Padova, in Patavina Libertas. Gli studenti di Padova nel VII centenario dell’Università A.D. MCCXXII MDCCCCXXII, 15-16.

 

[25] G. CARDANO, Elogio a Nerone, a cura di M. DI BRANCO, Roma 2008, 19-25.

 

[26] Della Republica et Magistrati di Venetia. Libri cinque di M. Gasparo Contarini, che fu poi cardinale. Con un ragionamento intorno alla medesima di M. Donato Gianotti fiorentino colle annotazioni sopra li due sudetti autori di Nicolò Grasso, et i discorsi de’ Governi civili di M. Sebastiano Erizzo, in Venetia 1660, c. 28.

 

[27] Tiberio Deciani, 1509-1582. Alle origini del pensiero giuridico moderno, a cura di M. CAVINA, Udine 2004 e M. SBRICCOLI, Crimen laesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna, Milano 1974, 205-207.

 

[28] Biblioteca civica di Padova (d'ora in poi BCP), B.P. 149.1, ABRIANO, Annali di Padova, c. 22 e G. COZZI, Politica e giustizia negli antichi Stati italiani, Venezia 1981, 160-161 e 173-174.

 

[29] Sul Consiglio dei X vedi La storia del governo di Venezia del signor Amelotto della Houssaia, In Colonia 1681, c. Prefazione; G. MARANINI, La Costituzione di Venezia Dopo la serrata del Maggior Consiglio, 2, Firenze 1974, 387-472; M. MACCHI, Storia del Consiglio dei X, I, Genova 1875, 69. Più recentemente G. ZORDAN, Repertorio di storiografia veneziana. Studi e testi, Padova 1998, 36, 149-150; A. CONZATO, Sulle “faccende” da “praticare occultamente”. Il Consiglio dei Dieci, il Senato e la politica estera veneziana (1503-1509), “Studi veneziani”, N.S. 55 (2008), 83-165 e A. VIANELLO, Gli archivi del Consiglio dei dieci. Memoria e istanze di riforma nel Settecento veneziano, Padova 2009. Sul segretario Massa ASV, Riformatori dello Studio, b. 419, alle data 19, 22 e 23 gennaio 1582 m.v.; A. FAVARO, Contributi alla biografia di Girolamo Fabrici d’Acquapendente, in Memorie e documenti per la storia della Università di Padova, Padova 1922, 241-348.

 

[30] F. DUPUIGRENET DESROUSSILLES, L’Università di Padova dal 1405 al Concilio di Trento, in Storia della Cultura veneta, 3/2, Vicenza 1981, 645-647.

 

[31] S. DE BERNARDIN, I Riformatori dello Studio: indirizzi di politica culturale nell’Università di Padova, in Storia della cultura veneta, 4/2, Il Seicento, Vicenza 1983, 82-83; A. DE BENEDICTIS, La fine dell’autonomia studentesca tra autorità e disciplinamento, cit., 193-223; P. DEL NEGRO, L’Università di Padova negli anni 1730, cit., 3-17.

 

[32] P. CATALANO, Tribunato e resistenza, cit., 36 e 40.

 

[33] P. CATALANO, Tribunato e resistenza, cit., 40-44; Della Republica et Magistrati di Venetia. Libri cinque di M. Gasparo Contarini, che fu poi cardinale. Con un ragionamento intorno alla medesima di M. Donato Gianotti fiorentino colle annotazioni sopra li due sudetti autori di Nicolò Grasso, et i discorsi de’ Governi civili di M. Sebastiano Erizzo, cit., c. 213 e M. MACCHI, Storia del Consiglio dei X, I, cit., 69.

 

[34] G. COZZI, Considerazioni sull’amministrazione della giustizia nella Repubblica di Venezia (secc. XV-XVIII), in Florence and Venice: Comparisons and relations, a cura di C. SMITH, II, Firenze 1980, 126.

 

[35] P. CATALANO, Tribunato e resistenza, cit., 43.

 

[36] P. CATALANO, Tribunato e resistenza, cit., 43. Sulla tirannide: M. VIGATO, Il “tiranno” di Tribano. Onore famigliare e onore individuale da un processo padovano di fine '500, “Acta Histriae”, 8 (2000), 361-384; M. VIGATO, La figura del nobile “tiranno” nell’età di Lorenzo Priori, in L'amministrazione della giustizia penale nella Repubblica di Venezia (secoli XVI-XVIII), II, Retoriche, stereotipi, prassi, a cura di G. CHIODI e C. POVOLO, Verona 2004, 495-526; A. VIGGIANO, I “tiranni de' tribunali” e i “filosofi legislatori”. Magistratura e politica in età napoleonica: l’esempio veneziano, in Magistrati e potere nella storia europea, a cura di R. ROMANELLI, Bologna 1997, 147-168.

 

[37] C. POVOLO, L’intrigo dell’Onore. Poteri e istituzioni nella Repubblica di Venezia tra Cinque e Seicento, Verona 1997; Il processo a Paolo Orgiano (1605-1607), a cura di c. POVOLO, Viella 2003. Per la giustizia penale a Venezia vedi L. TEDOLDI, La spada e la bilancia. La giustizia penale nell’Europa moderna (secc. XVI-XVIII), Roma 2008, 55-59.