ds_gen N. 8 – 2009 – Memorie//XXIX-Roma-Terza-Roma

 

Vladislav Zypin

Accademia Teologica, Mosca

 

Sinfonia di sacerdotium E Imperium in Russia.

studio storico e prospettive*

 

 

La sinfonia di Chiesa e Stato o, per meglio dire, la sinfonia di sacerdotium et Imperium, rappresenta uno dei modelli di rapporti tra Stato e Chiesa storicamente consolidatosi.

Al fine di rappresentare in maniera più precisa l’essenza della sinfonia, è necessario considerare la natura differente di Chiesa e Stato. La Chiesa, secondo la teologia ortodossa, è stata fondata da Dio stesso, dal signore Gesù Cristo; l’istituzione divina del potere statale è invece mediata dal processo storico. Scopo della Chiesa è la salvezza eterna dell’uomo, lo scopo dello Stato consiste nel suo benessere terreno. Proprio per la loro differente natura, Chiesa e Stato ricorrono a sistemi diversi per raggiungere i loro obiettivi. Lo Stato si fonda sulla forza materiale compresa la coercizione fisica, la Chiesa invece dispone solo di strumenti etico-religiosi per la direzione spirituale del suo gregge e per convincere nuovi figli. Lo Stato, riconoscendo i limiti delle proprie competenze, non pretende di dare un giudizio di autorità su materie teologiche, sulle forme del culto o sul rito divino; allo stesso modo non è affare della Chiesa giudicare le forme della struttura statale, le iniziative dei governi dal punto di vista della loro opportunità politica. E dunque Chiesa e Stato hanno proprie sfere di azione, propri strumenti e, in linea di principio, sono indipendenti l’una dall’altro.

Questa indipendenza tuttavia non ha un carattere assoluto. «La Chiesa non è l’Impero di tutto il mondo, ma sta nel mondo, - scriveva il famoso canonista serbo, il vescovo Nikodim (Milaš) – e i suoi membri devono essere anche membri dello Stato e di conseguenza rispettare sia le leggi della Chiesa, sia le leggi dello Stato»[1]. Ci sono campi che non possono essere indifferenti né per la Chiesa né per lo Stato. Intendiamo soprattutto l’etica sociale che da un lato è legata alla salvezza dell’uomo che è missione della Chiesa e dall’altro costituisce il perno della solidità del governo statale e inoltre è lo status giuridico della Chiesa nello Stato.

La posizione della Chiesa rispetto ai contrasti che possono sorgere in queste due sfere non può essere univoca. La Chiesa predica senza pecca la vera dottrina ed insegna agli uomini i canoni etici che vengono da Dio stesso, per questo non ha il potere di mutare qualcosa nel suo insegnamento, ma non ha neanche il potere di tacere, di interrompere la predicazione della verità quali che siano le diverse teorie sostenute o diffuse dalle istanze statali. Per la sua predicazione incessante ed interiormente libera, la Chiesa ha dovuto sopportare nella storia diverse persecuzioni da parte dei nemici di Cristo. La Chiesa perseguitata non ha mai fatto ricorso a strumenti politici per difendersi e non ha mai negato la propria lealtà allo Stato che la perseguitava, ma parallelamente i cristiani non possono in nessuna situazione assoggettarsi a ordini dei poteri statali che li costringano a rinunciare alla propria fede o a commettere peccato. In questo senso la Chiesa è assolutamente libera dallo Stato. E il contrasto che si viene a creare in questa situazione si risolve in maniera univoca. Quando il sinedrio ebraico voleva proibire agli apostoli di predicare l’insegnamento di Cristo Salvatore, i santi Pietro e Paolo dissero: «Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi» (Atti degli apostoli 4.19).

In “Fondamenti della concezione sociale della Chiesa ortodossa russa” è contenuta a questo proposito la seguente disposizione: «se il potere costringe i credenti ortodossi a rifiutare Cristo e la sua Chiesa oppure a compiere atti peccaminosi e nocivi per lo spirito, la Chiesa deve rifiutare l’obbedienza allo Stato. Il cristiano, seguendo i dettami della sua coscienza, può rifiutare di eseguire gli ordini del potere che vuole costringerlo al peccato. Nel caso in cui tutto il corpo dei fedeli sia nell’impossibilità di rispettare le leggi statali e le disposizioni del potere, le autorità ecclesiastiche, nell’esaminare dovutamente la questione, possono intraprendere le seguenti iniziative: avviare un dialogo diretto con le autorità in merito al problema insorto, appellarsi al popolo perché, mediante i meccanismi di potere di cui dispone, ottenga la modifica della legislazione o la revisione della decisione delle autorità, rivolgersi alle istanze internazionali e all’opinione pubblica mondiale, rivolgersi al proprio gregge perché faccia ricorso alla disobbedienza civile pacifica» (III.5).

In merito allo status giuridico di questa o quella Chiesa locale, bisogna dire che la sovranità giuridica sul territorio dello Stato appartiene al potere statale. Di conseguenza è quest’ultimo a determinare lo status giuridico della Chiesa locale. I modelli reali di relazioni tra Chiesa e Stato si evolvono, naturalmente, sulla base della realtà storica, tuttavia è il potere statale che ha la responsabilità giuridica della legittimità di queste relazioni. Nel garantire alla Chiesa tutte le condizioni necessarie per realizzare completamente la sua missione oppure limitando queste condizioni, il potere statale di fatto si presenta al giudizio della Verità eterna e, in ultima analisi, determina la propria sorte.

I primi tre secoli della sua storia hanno visto la Chiesa di Cristo sopravvivere illegalmente. La Chiesa, all’alba della sua esistenza, ha subito persecuzioni sia da parte della comunità ebraica in Palestina, sia da parte del potere e del popolo dell’Impero Romano. La Chiesa nell’Impero era fuori legge, collegio illecito, (collegium illicitum). I cristiani erano spesso perseguitati non solo in base alle leggi comuni dell’Impero, ma anche per disposizioni particolari che venivano emanate appositamente per i cristiani e che ci sono note, nei loro tratti generali, grazie al famoso carteggio tra Plinio il Giovane e l’imperatore Traiano.

Le relazioni tra Chiesa e Impero romano mutarono radicalmente dopo l’emanazione nel 313 dell’editto del santo imperatore Costantino e di Licinio che donò la libertà ai cristiani. Nell’arco di un secolo si consolidò nell’Impero un particolare sistema di relazioni tra Chiesa e Stato che venne denominato sinfonia di Impero e altare.

Proprio alla sinfonia è legata l’idea, radicata nella tradizione ortodossa, della forma ideale di rapporti tra Chiesa e Stato, idea che, come sempre avviene a ogni ideale calato nella realtà terrena, si è sempre realizzata in modo parziale e incompleto. Poiché le relazioni tra Stato e Chiesa sono un fenomeno bilaterale, la sinfonia poteva nascere solo in uno Stato che riconoscesse la Chiesa Ortodossa che sola possiede la completezza della vera conoscenza, delle cose più sacre del popolo, in altre parole in uno Stato ortodosso. Tuttavia, se in uno Stato in cui la Chiesa ortodossa gode di uno status ufficiale che le garantisce particolari privilegi, esistono minoranze religiose i cui diritti, a seguito di quei privilegi, risultino danneggiati, è difficile sostenere che le relazioni tra Stato e Chiesa sono regolate in maniera ideale. E dunque, evidentemente, solo uno Stato ortodosso multireligioso, pluriconfessionale è in grado, senza pregiudizio per la giustizia e il bene comune dei propri cittadini, di costruire rapporti con la Chiesa improntati alla sinfonia.

L’Impero romano, all’epoca dei concilii ecumenici, corrispondeva più o meno, anche se certamente non in maniera perfetta, in quanto la perfezione assoluta non è possibile, alle condizioni qui citate. Proprio allora furono elaborati i principi fondamentali dei rapporti di sinfonia tra Chiesa e Stato fissati nei canoni e nelle leggi statali dell’Impero e riportati nei sacri testi della patria. Le idee fondamentali e i principi della sinfonia sono grosso modo contenuti negli atti della legislazione imperiale, in particolare nelle Novelle del santo imperatore Giustiniano.

Nel preambolo alla sesta novella viene formulato il principio stesso della sinfonia tra potere della Chiesa e potere dello Stato – di sacerdotium et Imperium: «i grandissimi beni donati all’uomo dalla grazia di Dio sono l’essenza di sacerdotium et Imperium, il primo dei quali (sacerdotium, il potere della Chiesa) si occupa delle cose divine, mentre il secondo (Imperium, il potere statale) governa e si occupa delle cose umane ed entrambi, avendo origine dalla stessa fonte, abbelliscono la vita umana. Per questo niente è tanto caro al cuore dei regnanti quanto l’onore degli uomini di Chiesa che servono i regnanti pregando incessantemente per loro. Se il clero avrà buone condizioni com’è gradito al Signore e il potere statale dirigerà veramente lo Stato affidatogli ci sarà tra loro completa armonia in tutto, il che va a favore e per il bene del genere umano. Per questo noi facciamo grandi sforzi per tutelare i veri dogmi divini e l’onore del clero, nella speranza di ottenere così grandi beni da Dio e conservare saldamente quelli che abbiamo»[2]. Ispirandosi a questa norma, l’imperatore Giustiniano nelle sue novelle riconobbe ai canoni la forza di leggi statali.

La formula bizantina classica delle relazioni tra Stato e Chiesa è racchiusa anche nel più tardo atto della legislazione imperiale risalente alla seconda metà del IX secolo, “Epanagoge”: «tra potere terreno e clero c’è lo stesso rapporto che esiste tra corpo e anima e sono entrambi necessari alla struttura statale esattamente come corpo e anima sono necessari all’uomo vivente. Nel legame e nell’armonia tra di loro sta il bene dello Stato»[3]. Ritroviamo lo stesso pensiero negli atti del VII concilio ecumenico: «Il sacerdote è luce e forza del potere imperiale e il potere imperiale con leggi giuste governa la terra»[4].

E dunque l’essenza della sinfonia consiste in una reciproca collaborazione, nel sostegno e nella responsabilità reciproca senza intromissione di una parte nella sfera di esclusiva competenza dell’altra. Se i rapporti tra la Chiesa e lo Stato sono fondati sulla sinfonia, lo Stato chiede alla Chiesa sostegno spirituale e morale, le chiede preghiere per se e benedizione per la sua azione volta al conseguimento di obiettivi che vadano a favore dei cittadini, mentre la Chiesa riceve dallo Stato aiuto nel creare condizioni favorevoli alla predicazione e al nutrimento spirituale dei suoi figli che sono contemporaneamente anche cittadini dello Stato.

I padri del Concilio di Cartagine nel canone 104 (93) espressero l’idea secondo la quale i devoti detentori del potere statale sono chiamati ad essere difensori della Chiesa cattolica: «l’umanità dell’imperatore deve far sì che la Chiesa Cattolica, nata nel grembo di Cristo e cresciuta nella fede incrollabile, sia limitata dai suoi atti di modo che nel suo Impero devoto uomini arroganti non prendano il sopravvento sul popolo inerme con il terrore se non possono farlo con la persuasione».

Nei rapporti tra Chiesa e Stato improntati alla sinfonia i maggiori rappresentanti del potere statale e della Chiesa ricevono una doppio placet, sia dallo Stato sia dalla Chiesa. Da qui la “cresima” degli imperatori; di qui anche la partecipazione dei regnanti all’intronizzazione dei patriarchi. Le relazioni tra Stato e Chiesa costituivano il perno centrale del sistema politico dello Stato russo. A partire dalla fine del XV secolo nella coscienza giuridica russa, l’idea del passaggio della Rus’ all’Impero romano assunse un carattere oltremodo importante. Le relazioni tra Chiesa e Stato da noi sono state consapevolmente costruite sul modello bizantino. Nella Russia prepetrina il potere del principe e poi dello zar era circoscritto non solo dal diritto tradizionale, solito, ma anche dall’indipendenza di principio dallo zar del massimo potere ecclesiastico, del sacro concilio e del patriarca.

Le digressioni dall’impostazione basata sulla sinfonia nei rapporti tra Stato e Chiesa in alcuni casi hanno avuto un carattere individuale, come per esempio la tirannia di Ivan il Terribile, in altri hanno avuto tratti meno espliciti, più morbidi e contenuti rispetto a Bisanzio come si è evidenziato per esempio nello scontro tra lo zar Aleksej Mihajlovič e il patriarca Nikon provocato non solo dalle caratteristiche personali dei due uomini, ma anche dall’influenza esercitata dalle nuove idee europee sulla coscienza giuridica statale dei circoli governativi russi.

I tentativi di singoli Signori moscoviti di usurpare il potere della Chiesa non sono stati altro che un attentato alla norma e al diritto; quella norma che comunque anche ai tempi di Vasilii III, di suo figlio Ivan il Terribile e ancora di Aleksej Mihajlovič era la sinfonia, la cui essenza era stata formulata con lapidaria chiarezza dal grande Concilio di Mosca del 1666-1667 «verrà accettata la conclusione che lo zar ha la prevalenza nelle cose civili mentre il patriarca in quelle della Chiesa affinché in questo modo si conservi integra e incrollabile nei secoli l’armonia dell’istituzione della Chiesa»[5].

Per quanto riguarda l’epoca sinodale, quella indubbia deviazione dalla norma della sinfonia nei due secoli sinodali della storia della Chiesa non è legata alle reminiscenze bizantine come affermano gli storici di indirizzo liberale, bensì all’influenza, storicamente ben individuata, della dottrina protestante del territorialismo e della clericalità statale sulla coscienza giuridica e la vita politica della Russia.

Con Pietro il Grande ci si è allontanati dalla sinfonia bizantina in direzione del sistema della clericalità di Stato dei principati tedeschi dell’epoca dell’assolutismo. Nel 1721 venne realizzata una riforma radicale del governo della Chiesa che contemporaneamente significò un rivolgimento effettivo nei rapporti tra Stato e Chiesa. Il Santissimo Sinodo costituito nel 1721 era la massima istanza amministrativa e giuridica della Chiesa ortodossa russa che, tra l’altro, agiva esclusivamente in accordo con il potere supremo. Le leggi statali che regolavano la vita della Chiesa da allora vennero emanate o come ukaz del potere supremo o come ukaz del Santissimo Sinodo governativo che, come il Senato, operava in nome del regnante, da lui riceveva ordini superiori e indicazioni su tutte le cose della Chiesa. Tutte le delibere del Santissimo Sinodo recavano il sigillo “per volere di sua altezza imperiale”.

A seguito della riforma petrina ci si allontanò dalla sinfonia bizantina verso il sistema della clericalità statale dei principati protestanti tedeschi dell’epoca dell’assolutismo. L’insieme degli elementi del sistema di clericalità statale e dell’eredità tradizionale derivante dalla sinfonia bizantina ha costituito l’originalità dello status giuridico della Chiesa ortodossa in Russia nel periodo sinodale. Benché la sinfonia di Stato e Chiesa ereditata da Bisanzio sia rimasta, anche dopo Pietro, un alto ideale, nella sua attuazione giuridica e nella prassi politica questo ideale fu sottoposto a radicale trasformazione. Fino a Pietro il Grande servire Dio e la Chiesa era considerato, sia dai detentori del potere statale sia da tutto il popolo, il senso e l’obiettivo supremi dell’esistenza stessa dello Stato, come fondamento certo di ogni attività statale. Dopo Pietro, la Russia si pose degli obiettivi prettamente secolari, indipendenti dal beneplacito religioso, mentre lo status privilegiato della Chiesa ortodossa, la sua posizione “dominante” rispetto alle altre comunità religiose trovò giustificazione solo nel fatto che l’ortodossia, in conformità con le leggi fondamentali dell’Impero russo, era la fede del regnante e della maggioranza dei suoi sudditi.

Per quanto riguarda lo status dell’imperatore nella Chiesa russa il più importante documento giuridico relativo a questo argomento venne emanato dall’imperatore Paolo. Il 5 aprile 1797 nel giorno della sua incoronazione venne reso pubblico l’“Atto sull’ereditarietà del trono imperiale panrusso” compilato da Pavel Petrovič durante il periodo in cui era erede al trono, nel 1788, e conservato nella cattedrale dell’Assunzione del Cremlino di Mosca. Vista l’impossibilità di individuare l’erede al trono prima della scomparsa del regnante e visti gli intrighi per la successione e i tentativi di colpo di stato che si verificarono tra il 1741 e il 1762, la pubblicazione di questo atto si poneva come obiettivo l’introduzione di un ordine di successione rigido e di interpretazione certa, alla massima carica dello Stato che avrebbe dovuto sostituire il sistema precedente, voluto da Pietro il Grande, basato sulla nomina totalmente discrezionale del successore da parte dello zar regnante.

Nell’Atto, in particolare, si delibera l’impossibilità per una persona non appartenente alla Chiesa ortodossa di ereditare il trono russo. Di particolare valore anche l’assunzione da parte del regnante russo dello status di capo della Chiesa: «quando il diritto di successione verrà ereditato da un discendente di genere femminile già regnante su un altro trono, allora il pretendente al trono dovrà scegliere la fede e il trono e rinunciare insieme all’erede all’altra fede e all’Impero, nel caso in cui questo Impero sia legato alla Legge (nel caso specifico si intende confessione non ortodossa V.C.) poiché i regnanti russi sono capi della Chiesa e nel caso in cui non ci sia questa rinuncia alla fede, erediterà il trono la persona più vicina per ordine di successione»[6].

Questa disposizione sull’impossibilità per una persona non appartenente alla Chiesa ortodossa di salire al trono della Russia replica quanto contenuto nel testamento dell’imperatrice Ekaterina I, redatto nel 1727 «Nessuno mai potrà possedere il trono russo che non sia di legge greca»[7].

Il contenuto della disposizione dell’“Atto” relativamente alla confessione del regnante si riflette nell’articolo 42 delle “Leggi fondamentali” che fanno parte della “Raccolta delle leggi dell’Impero russo” la cui prima edizione è uscita nel 1832: «l’imperatore in quanto regnante cristiano è il maggiore difensore e conservatore dei dogmi della fede dominante e tutore della vera fede e della devozione nella sacra Chiesa» (la disposizione è mediata dal “Regolamento spirituale”). Nelle note a questo articolo si dice: «in questo senso l’imperatore nell’Atto sulla successione al trono del 5 aprile 1797 viene chiamato capo della Chiesa»[8]. Dunque viene introdotta una netta limitazione nella formula relativa al dominio del regnante nella Chiesa. La formula dell’imperatore Paolo perde il valore di legge diretta diventando solo un’interpretazione di uno degli articoli delle “Leggi fondamentali”.

Per la concezione canonica ortodossa del diritto è ammissibile solo questa interpretazione della disposizione sul dominio dell’imperatore nella Chiesa che prevede il dominio e la rappresentanza da parte dell’imperatore dei ceti laici, ma non dell’episcopato. Sempre in questo senso veniva interpretata dalla maggioranza degli autori anche la relativa disposizione della letteratura canonica e giuridica del XIX secolo. Così A.D. Gvardovskij nella sua interpretazione del 42° articolo delle “Leggi fondamentali” scriveva: «I diritti del potere autocratico riguardano gli oggetti del governo ecclesiastico, ma non il contenuto stesso della fede, degli aspetti dogmatici e rituali… e dunque le competenze del potere supremo sono limitate a quelle questioni che in generale possono essere oggetto dell’amministrazione ecclesiastica, non presuppongono cioè atti che per loro essenza appartengono agli organi della Chiesa ecumenica, ai concili ecumenici»[9]. Alcuni autori tuttavia hanno insistito sul fatto che, benché l’imperatore non potesse emanare leggi sulla fede o stabilire dogmi, tuttavia aveva sulla Chiesa la pienezza dei poteri ivi compreso quello legislativo. Così scriveva N.S. Suvorov: «l’imperatore legifera nella Chiesa in quanto essa è ordine giuridico fondato sulla tradizione dell’ortodossia senza modificare l’ortodossia tradizionale e senza apportare in essa nuovi dogmi, ma regolando la vita ecclesiastica nello spirito dell’ortodossia stessa»[10]. Secondo l’interpretazione di P.E. Kazanskij: «l’imperatore non è un potere statale collaterale alla Chiesa ortodossa, ma è il capo stesso della Chiesa… in un’ottica più ampia il signore imperatore eredita in questo senso il potere degli imperatori bizantini»[11].

Gli avvenimenti rivoluzionari del febbraio-marzo 1917 hanno portato cambiamenti radicali nei rapporti tra Stato e Chiesa. Il 2 marzo 1917 il santo imperatore Nicola II abdicò, il potere passò al governo provvisorio costituito dal Comitato provvisorio della Duma di Stato.

Dopo il colpo di Stato, il governo sovietico avviò immediatamente la preparazione della legislazione per separare la Chiesa dallo Stato. La decisa frattura della plurisecolare stretta unione tra Chiesa ortodossa e Stato, avviata dal governo provvisorio, venne portata a termine dai bolscevichi.

Il 20 gennaio 1918 venne pubblicato il “Decreto sulla separazione della Chiesa dallo Stato e della scuola dalla Chiesa” elaborato dallo stesso presidente del Sovnarkom (Consiglio dei Commissari del popolo). Questo decreto significò non solo la frattura formale, giuridica dell’unione plurisecolare tra Chiesa e Stato, frattura già contemplata dalla rivoluzione di febbraio, ma addirittura legittimò la persecuzione della Chiesa.

La Chiesa ortodossa venne separata dallo Stato senza ottenere per questo i diritti di associazione religiosa privata. Il principio della separazione della Chiesa dallo Stato, che prevede la reciproca non ingerenza; la libertà e l’indipendenza delle comunità religiose, il carattere neutrale dello Stato rispetto a tutte le confessioni religiose si era già affermato negli Stati Uniti d’America che fin dall’inizio della loro storia si sono presentati come Stato pluriconfessionale. Il principio della separazione tra Stato e Chiesa risale tuttavia anche a un’altra origine. In effetti nel continente europeo è stato il risultato di quelle lotte anticlericali o addirittura antiecclesiastiche ben note dalla storia delle rivoluzioni francesi. Quando la Chiesa si separa dallo Stato non per la pluralità religiosa della popolazione, ma perché lo Stato si lega a questa o quella ideologia anticristiana o addirittura antireligiosa, non si può più parlare della neutralità di quello Stato, del suo carattere puramente laico. Di solito questo comporta una restrizione, una limitazione dei diritti, la discriminazione o addirittura la persecuzione.

Nello Stato sovietico la separazione tra Stato e Chiesa venne attuata secondo il modello francese, ma con un significativo irrigidimento del regime nel quale la Chiesa doveva vivere. L’originalità principale della legislazione sovietica sui “culti” era contenuta negli ultimi paragrafi del “Decreto” del 1918 con il quale sia la Chiesa ortodossa sia le altre associazioni religiose erano private del diritto alla proprietà, ma anche dei diritti della persona giuridica. Tutti i beni delle chiese e delle associazioni religiose esistenti in Russia vennero nazionalizzati. Il decreto proibiva l’educazione religiosa dei bambini nelle scuole. «L’insegnamento delle dottrine religiose – è detto nel decreto- è vietato in tutti gli istituti scolastici statali e pubblici così come in quelli privati»[12].

Con il “Decreto” del 1918 la Chiesa ortodossa russa fu esclusa nello Stato sovietico dal novero dei soggetti del diritto civile. Questo decreto costituì la preparazione giuridica alla confisca dei beni della Chiesa, alla chiusura dei monasteri e delle scuole religiose, ai processi illegali e alle rappresaglie contro i sacerdoti e i laici devoti. Lo status giuridico della Chiesa, in base a un decreto emanato nel gennaio 1918, era prossimo all’illegalità, cosa che non era nelle intenzioni degli organizzatori della rivoluzione di febbraio che sullo status giuridico della Chiesa avevano idee che non hanno fatto in tempo a realizzare, ma che erano prossime a quelle fissate nell’odierna legislazione russa, in vigore oggi nell’epoca postcomunista.

La Chiesa ortodossa russa al concilio del 1917-1918 non riconobbe la legalità del “Decreto” così come, fino alle dichiarazioni del patriarca Tihon del 1923, non riconobbe affatto il potere sovietico, il che senza dubbio rifletteva gli umori di quella che allora era la maggioranza del popolo.

L’opinione su relazioni legittime tra Chiesa e Stato venne espressa dal Concilio locale in “Determinazione sulla situazione giuridica della Chiesa ortodossa russa” adottata il 2 dicembre 1917. L’originalità di questo documento consiste nel fatto che, se da una parte non replica lo schema delle relazioni tra Stato e Chiesa che esisteva nell’Impero russo, dall’altra ignora completamente la reale situazione politica e legislativa creatasi alla fine del 1917. Il concilio locale dunque risolveva la questione dei rapporti tra Chiesa e Stato, ignorando la situazione contemporanea, la risolveva in linea di principio, in altre parole, proponeva una norma, ideale nella sua visione, di queste relazioni.

Nella dichiarazione che precedette la “Determinazione”, la richiesta di separazione totale della Chiesa dallo Stato viene paragonata all’auspicio “che il sole non brilli e il fuoco non riscaldi”. La Chiesa per sua essenza interiore – si dice nella Dichiarazione – non può rinunciare a illuminare, a trasformare tutta la vita dell’umanità, a irraggiarla”[13].

Le disposizioni principali della “Determinazione” adottata dal Concilio, recitavano:

«1. La Chiesa ortodossa russa, essendo parte dell’unica Chiesa ecumenica di Cristo, occupa nello Stato russo una posizione pubblico-giuridica predominante tra le altre confessioni.

2. La Chiesa ortodossa in Russia è, nell’insegnamento della fede e dell’etica, nel servizio religioso, nelle disciplina spirituale interna e nei rapporti con le altre chiese autocefale, indipendente dal potere statale e, facendosi guidare dai suoi principi dogmatici e canonici, nelle questioni che riguardano la legislazione ecclesiastica, il governo e la giustizia, gode dei diritti di autodeterminazione e autogestione…

3. Le delibere e gli atti legittimi che la Chiesa ortodossa emana per se stessa così come gli atti del governo e della giustizia della Chiesa sono riconosciuti dallo Stato come aventi valore e significato giuridico nella misura in cui non violano le leggi dello Stato.

4. Le leggi dello Stato che riguardano la Chiesa ortodossa vengono promulgate solo previo accordo del potere ecclesiastico

6. Le azioni degli organi della Chiesa ortodossa sono soggette ad osservazione da parte del potere statale solo per la loro conformità alle leggi dello Stato, secondo modalità giuridico-amministrative e giuridiche.

7. Il capo dello Stato russo, il ministro delle confessioni e il ministro dell’istruzione pubblica e i loro collaboratori devono essere ortodossi…

8. In tutti i casi della vita dello Stato in cui lo Stato si rivolge alla religione, la Chiesa ortodossa godrà del privilegio di sovreminenza.

9. Il calendario ortodosso viene riconosciuto come calendario dello Stato.

10. Le feste comandate, le domeniche e i giorni di particolare devozione della Chiesa ortodossa sono riconosciuti dallo Stato come giorni festivi.

12. L’abbandono volontario del’ortodossia non è ammesso prima del raggiungimento dell’età fissata per contrarre matrimonio. Prima di questa età i bambini possono abbandonare l’ortodossia solo per desiderio dei genitori e solo nel caso in cui i genitori stessi abbandonino l’ortodossia; ai bambini che abbiano raggiunto i 9 anni viene chiesto il consenso.

14. Il matrimonio religioso secondo il rito ortodosso viene riconosciuto come forma legale di matrimonio…

18. Le scuole elementari, medie e superiori istituite dalla Chiesa ortodossa come speciali e dottrinali, ma anche quelle di istruzione generale godono nello Stato di tutti i diritti riconosciuti agli istituti scolastici statali.

19. In tutte le scuole laiche statali e private, l’educazione dei bambini ortodossi deve essere conforme allo spirito della Chiesa ortodossa; l’insegnamento della dottrina per gli studenti ortodossi è obbligatorio negli istituti scolastici elementari e superiori, gli oneri relativi al personale delle scuole statali sono a carico dell’erario.

20. Lo Stato deve garantire di soddisfare le necessità religiose dei membri della Chiesa ortodossa che prestino servizio nell’esercito o nella marina; ogni reparto militare deve disporre di propri sacerdoti»[14].

Non è facile definire adeguatamente quella struttura delle relazioni tra Stato e Chiesa tratteggiata nella Determinazione del Concilio e nella Dichiarazione che la precede, in quanto essa si differenzia in linea di principio sia dal regime di separazione tra Stato e Chiesa sia dal sistema della clericalità di Stato. L’idea, tradizionale per l’ortodossia, della sinfonia ha senza dubbio ispirato i partecipanti al Concilio locale nonostante che nel documento da loro redatto sia impossibile individuare la precisa riproposizione di quel modello di sinfonia che si era consolidato a Bisanzio o nella Mosca prepetrina.

Realizzare la Determinazione del Concilio all’epoca della rivoluzione vincente era assolutamente impossibile. Dopo il colpo di Stato dell’ottobre sull’esistenza legale della Chiesa ortodossa in Russia pendeva una pericolosa minaccia.

Significative modificazioni nello status giuridico della Chiesa ortodossa russa e delle altre unioni religiose si ebbero nella fase di tramonto dell’Unione Sovietica. Il 1 ottobre 1990 venne adottata la Legge dell’URSS “Della libertà di coscienza e delle organizzazioni religiose” che riconobbe a singole parrocchie e a enti religiosi, ivi compreso il patriarcato, i diritti di persona giuridica. Un mese dopo la promulgazione della legge sovietica venne emanata la legge della Repubblica Federativa Russa “Della libertà di confessione religiosa”. La disposizione della separazione della scuola dalla Chiesa veniva formulata nella legge russa in forma più sfumata: «il sistema statale di istruzione ha un carattere laico e non persegue alcuno scopo di formazione di approcci precostituiti alla religione»[15]. Tuttavia l’insegnamento della dottrina veniva ammesso su base facoltativa in tutte le organizzazioni prescolastiche e negli istituti scolastici di ogni ordine e grado. «L’insegnamento delle discipline religiose, dottrinali e religioso-filosofiche poté entrare nel programma scolastico degli istituti statali»[16]. Il 26 settembre 1997, dopo lunga e accesa discussione sia in parlamento sia nella società, venne approvata la legge “della libertà di coscienza e delle unioni religiose” che sostituì la precedente legge “della libertà di confessione religiosa”.

Nella legge del 26 settembre 1997 “della libertà di coscienza e delle unioni religiose” vengono sostanzialmente ripetute le norme contenute nella legge precedente, ma nel preambolo è contenuta una disposizione che mancava nella legge del 1990 con la quale si riconosce il ruolo particolare della Chiesa ortodossa e di alcune altre confessioni religiose nella storia della Russia. Il preambolo recita: «l’Assemblea federale della Federazione Russa, confermando il diritto di ciascuno alla libertà di coscienza e alla libertà di confessione religiosa nonché l’eguaglianza davanti alla legge indipendentemente dalla religione e dalle convinzioni, basandosi sul fatto che la Federazione Russa è uno Stato laico, riconoscendo il ruolo particolare dell’ortodossia nella storia della Russia, nell’affermazione e nello sviluppo della sua spiritualità e della sua cultura, nel rispetto di cristianesimo, islamismo, buddismo, giudaismo e delle altre religioni che costituiscono parte integrante dell’eredità storica dei popoli della Russia, e ritenendo importante collaborare per raggiungere la reciproca comprensione, la tolleranza e il rispetto nelle questioni di libertà di coscienza e di libertà di confessione religiosa, adotta la presente legge federale»[17].

La legislazione russa si trova in fase di trasformazione. Questa constatazione riguarda anche le leggi che, in un modo o nell’altro, toccano lo status giuridico delle comunità e delle unioni religiose. Per quanto riguarda lo status giuridico della Chiesa ortodossa russa, poiché il significato particolare della Chiesa ortodossa per la Russia è sottolineato nel preambolo alla legge oggi in vigore “della libertà di coscienza e delle unioni religiose”, è necessario affinare il sistema legislativo in modo che la relativa disposizione del preambolo non rimanga una pura dichiarazione, ma possa influenzare la legislazione e riflettersi sia in concrete norme giuridiche sia nella reale politica dello Stato.

Il ripristino del modello della sinfonia delle relazioni tra Stato e Chiesa nelle sue forme classiche, e cioè bizantina o russa prepetrina, oggi è evidentemente impensabile. E’ invece assolutamente realistico il ritorno ad alcune idee della “Determinazione della posizione giuridica della Chiesa ortodossa russa” adottata dal Concilio locale del 1917-1918. In ogni caso è di grande attualità l’obiettivo di costruire un certo tipo di sinfonia nei rapporti tra Chiesa ortodossa e società russa come spesso ripeteva sua santità il patriarca Aleksij II oggi scomparso. Esistono prospettive favorevoli alla costruzione di tale “sinfonia” in quanto alla Chiesa ortodossa appartiene la maggioranza del popolo del nostro paese e oggi fanno parte di quella maggioranza anche le più alte cariche dello Stato russo. Se questa sinfonia tra Chiesa e società si consoliderà, sarà necessario che si rifletta nel sistema giuridico e legislativo.

Nel suo Intervento al ricevimento offerto al Cremlino in suo onore dal presidente della Russia D.A. Medvedev, sua santità il patriarca Kirill ha detto: «lo Stato si occupa delle cose terrene. La Chiesa si occupa delle cose celesti. E’ impossibile concepire il cielo sulla terra o la terra senza cielo. La terra e il cielo costituiscono l’armonia dell’essere divino, della creazione di Dio… nella moderna Russia laica non è certo possibile ricreare quello che esisteva nella Bisanzio medievale o nell’Impero moscovita. Riconosciamo l’impossibilità nelle nuove condizioni di realizzare questo ideale nato nel primo millennio. D’altra parte però noi, come Chiesa, riconosciamo la necessità che lo spirito della sinfonia indirizzi i nostri pensieri e le nostre azioni nella costruzione di un modello di relazioni tra Stato e Chiesa». Questa è l’esposizione autentica della posizione della Chiesa russa sulla questione delle prospettive di ripristino della sinfonia nelle relazioni tra Stato e Chiesa in Russia.

L’atteggiamento dei rappresentanti del potere statale nei confronti di questa posizione non è del tutto chiaro. Suscita però una certa speranza un fatto avvenuto di recente: all’inizio di marzo di quest’anno a Tula si è tenuta la sessione riunita del Consiglio statale e del Consiglio presidenziale per le relazioni con le unioni religiose presieduto da D.A. Medvedev che ha visto la partecipazione di Sua Santità il Patriarca Kirill e dei rappresentanti delle altre chiese e comunità religiose che ne fanno parte. Di particolare importanza il fatto che al centro della discussione di questa riunione non siano stati problemi specifici legati allo status giuridico delle comunità religiose bensì questioni riguardanti l’educazione morale di bambini e giovani, nonché i problemi sociali resi più acuti dalla crisi economica che sta vivendo il paese e tutto il mondo. Lo Stato, come risulta chiaro dall’elenco degli intervenuti alla riunione, individua come partner principale nella soluzione di questi problemi, proprio la Chiesa ortodossa russa e le altre comunità religiose della Russia.

Non è il caso di nutrire irrealistiche speranze e coltivare illusioni, ma l’idea della sinfonia di Chiesa e Stato non incontra più quel netto rifiuto nella società o nelle istituzioni statali che aveva suscitato negli anni ’90, per non parlare dell’epoca sovietica. Non si può tuttavia non sottolineare che nella società esistono ancora coloro che questa prospettiva spaventa.

 

 



 

* Traduzione dalla lingua russa di Marina Bottazzi.

 

[1] Nikodim, episkop Dalmatinskij. Pravoslavnoe cerkovnoe pravo. Sankt-Peterburg, 1897, 674.

 

[2] Nikodim (Milaš), ibidem, 681-682.

 

[3] Ibidem, 683.

 

[4] Ibidem.

 

[5] Kartašev A.V., Očerki po istorii Russkoj Cerkvi, vol. 2. Parigi, 1959, 216.

 

[6] Nasledovanie Rossiskogo Imperatorskogo Prestola. 2a ed., Moskva, 1999, 98-99.

 

[7] Pravoslavnaja Enciklopedija. T. 1, Moskva, 2000, 418.

 

[8] Ibidem.

 

[9] Gvardovskij A., Načala russkogo gosudarstvennogo prava, Sankt-Peterburg, 1875, T. 1, 151.

 

[10] Suvorov N.S., Kurs cerkovnogo prava, Jaroslavl’, 1889, T. 1, 364.

 

[11] Kazanskij P.E., Vlast’ Vserossijskogo Imperatora, Odessa, 1913, 162, 253.

 

[12] Russkaja Pravoslavnaja Cerkov’ v sovetskoe vremja, kn. 1. Moskva, 1995, 114.

 

[13] Dejanija Sviaščennogo Sobora Pravoslavnoj Rossijskoj Cerkvi 1917-1918. Moskva, T. 4, 1994, 14.

 

[14] Sobranie opredelenij i postanovlenij Svjaščennogo Sobora…, vyp. 2, 6-7.

 

[15] Ibidem, 288.

 

[16] Ibidem.

 

[17] Russkaja Pravoslavnaja Cerkov’ i Pravo. Moskva, 1999, 110-111.