N. 8 – 2009 –
Memorie//XXIX-Roma-Terza-Roma
TRANSLATIO IMPERII A
COSTANTINOPOLI E A MOSCA nella LETTERATURA E NELLA pubblicistica italiana
dell’ottocento
Sommario:
1. Introduzione.
– I. Translatio
imperii a
Costantinopoli. – 1. Dall’inizio del secolo agli anni
’30. – 2. Dagli anni ’40 al
1870. – 3. Dopo il 1870. - II. Translatio imperii a Mosca. – 1. Dall’inizio
del secolo al 1848. - 2. Dalla Prima guerra
d’indipendenza alla fine del secolo.
Lo stilema della translatio imperii, applicato a
Costantinopoli, nella formula “trasferimento della sedia (sede)
dell’impero”, è presenza fissa nella letteratura, nella
pubblicistica e nella riflessione ideologio-politica dell’Ottocento
italiano, e affonda le sue radici nei celebri versi di Dante, Paradiso, canto VI: «Poscia che
Costantin l’aquila volse …», e nell’opera di Pier
Francesco Giambullari e di Niccolò Machiavelli. Ad esso risulta
strettamente collegato, per le sue implicazioni politiche relative al potere
temporale del Papa e pertanto alla Questione Romana, cruciale nel secolo
dell’indipendenza e dell’unità d’Italia, la
discussione sull’autenticità o meno della Donazione di Roma fatta dall’imperatore a papa Silvestro,
proprio all’atto della fondazione (o rifondazione) della città nel
luogo dell’antica Bisanzio. Al giudizio sulla translatio imperii a Costantinopoli si accompagna come necessaria
conseguenza il giudizio, sotto il profilo ideologico-politico ma anche
culturale, sull’impero d’Oriente nella sua millenaria storia,
confrontato a quello d’Occidente, in cui risulta centrale la figura di
Carlo Magno, istitutore o rinnovatore del medesimo col Sacro Romano Impero, che
segna la translatio ad Francos, e in seguito la translatio ad Teutones. Al motivo è poi affiancato, nel
quadro di una translatio studii, il
“trasportamento”, o meglio il ritorno delle lettere greche in
Occidente, ad opera dei fuoriusciti bizantini, che segna per alcuni la
rinascita della cultura in Italia.
Per quanto
riguarda la seconda parte di questa comunicazione, c’è da
premettere che lo stilema translatio
imperii è vistosamente assente per Mosca, anche se è indubbio
che alcuni autori guardano alla Russia come esito terminale di una lotta di
potere o imperiale che avrà come sua posta l’Europa o la terra
intera, in antagonismo con l’America del Nord, gli Stati Uniti. Il ruolo
della Russia, nella riflessione ideologico-politica, risulta ulteriormente
definito nei rapporti con l’impero Ottomano, sia con la sue mire di
assicurarsi Costantinopoli come sbocco verso il Mediterraneo, che di
sostituirla come “Terza Roma”.
I momenti cruciali di entrambi questi percorsi sono costituiti dalla conclusione della vicenda napoleonica, con il Congresso di Vienna, e dalle lotte risorgimentali. Ma, come vedremo, nemmeno la proclamazione di Roma a capitale d’Italia metterà fine al dibattito su Costantino e sulle conseguenze dei suoi atti.
La traslatio imperii a Costantinopoli viene
comunemente additata come una delle cause, o come la causa della rovina
dell’Impero romano nella sua totalità, come l’inizio di una
lunga decadenza che avrà come punto di non ritorno, almeno fino a Carlo
Magno, l’irruzione dei Barbari dal Settentrione. C’è
però da distinguere l’uso dello stilema, magari a puro scopo di
sfoggio erudito e letterario, dalla riproposizione del motivo in un contesto
ideologico-politico. In quest’ultimo ambito, in quanto alle motivazioni
del gesto di Costantino, sono da rilevare due differenti tendenze, che si
legano a due posizioni di fondo, una di matrice diremmo laica, che risulta
preponderante, e un’altra più strettamente orientata in senso cattolico.
Come ho avuto
modo di indicare in un precedente lavoro, il giudizio negativo riguardo
all’atto di Costantino, presente già nel Settecento, ad esempio in
V. Martinelli, che deplora «la balordaggine degli imperatori romani dopo
la loro trasmigrazione costantinopolitana», è un dato fatto
proprio dalla cultura europea, come risulta dal Tableau de l’Histoire moderne del Cav. Di Mehegan ripreso dal
nostro Parini: «Epoca I.
L’Imperio Romano trasportato con sinistri auguri in Oriente»
(inizio dell’«imperio de’ Greci»), e riproposto agli
inizi del secolo da Benedetto Maria Calura nel suo In onore delle Belle Arti: «improvida
fondazione di una seconda metropoli sulle rive dell’Ellesponto
…»[1].
Il corcirese Mario Pieri non entra nel
merito politico della scelta di Costantino, ma in quello culturale, ed addita
nella «traslazione della sede dell’Impero da Roma in
Costantinopoli … una delle cause principali del decadimento delle Lettere
in Europa», e nello specifico della letteratura greca[2].
Come si evince
già da questi esempi, la translatio
a Costantinopoli segna una tappa epocale nelle compilazioni di storia
dell’arte, come di letteratura e di storia (moderna o universale)
dell’Ottocento; se De Menehan faceva iniziare con essa l’Epoca I,
F. Schoell, nella sua Istoria della
letteratura greca profana, dalla sua origine sino alla presa di Costantinopoli,
tradotta in italiano da Emilio Tipaldo e recensita da Cesare Lucchesini
sull’Antologia fiorentina, la pone come suggello
dell’Epoca V: «Fino al 306 dell’era volgare, in cui
Costantino trasferì a Bisanzio la sede principale
dell’impero»[3].
Anche nelle compilazioni storiche di autori italiani, l’atto di
Costantino segna comunemente l’Epoca V: si veda Le dieci epoche della storia de’ Italia antica e moderna di
A. Quadri, segretario del Governo veneziano: «Epoca V. Traslazione della sede imperiale da Roma a Bisanzio
per opera di Costantino …», «Epoca V … continuandosi la
storia degl’imperatori sino all’epoca quinta, o sia alla
traslazione della sede imperiale da Roma a Bisanzio per opera di Costantino
…»[4].
G.B.L.G. Seroux D’Agincourt nella sua Storia
dell’arte, recensita da Stefano Ticozzi sempre sull’Antologia, segnala «il traslocamento della sede dell’impero da
Roma a Costantinopoli» fra «le cagioni che apparecchiarono di
lontano la prima epoca del grande decadimento» delle arti, come
l’italiano Luigi Canina nel suo L’architettura[5].
Il trasferimento della capitale viene indicato come causa della decadenza
dell’impero negli Studj sulla
storia delle arti di P. Dechazelle, la cui traduzione viene recensita sulla
Biblioteca Italiana; da sottolineare
che in questo testo per Costantinopoli viene usato lo stilema “seconda
Roma”, stilema usato anche dal cardinale Angelo Mai a proposito del
filosofo Temistio, che nega «essere stato prefetto della seconda
Roma»[6].
Ma della translatio dell’imperatore si parla in operine in
apparenza insospettabili, come Gli sposi
fedeli, storia italo-gotica-romantica del cavalier Angelo Maria Ricci, che
presenta una «viva descrizione di quell’irreparabile rovina a cui
volgeva l’imperio romano dopo la traslazione della sede imperiale a
Costantinopoli»[7].
Pietro Bagnoli,
che nel suo Poema Il Cadmo presenta
una sorta di storia universale, che tocca tutti i punti nodali della medesima
(Fenici, Greci, Impero romano), a proposito della fondazione di Costantinopoli, non usa lo stilema tradizionale, translatio imperii, ma rimprovera
Costantino «O tu perché congiungi all’impero sede, / E il
capo al Lazio, e le ricchezze tolli?»[8].
Come si vede, si tratta di “congiunzione”, di sostituzione del
“capo” dell’impero, deplorata nelle sue funeste conseguenze,
prima di tutto la sottrazione delle ricchezze a Roma. Luigi Bossi parla di
“fatale divisione” dell’impero, causata dalla decadenza del
medesimo, operata da Costantino sulla scia di Diocleziano («decadimento
continuo dell’impero fino a Diocleziano, e la fatale sua divisione, non
riparata, ma confermata anzi ed accresciuta da Costantino»), ma vede nel
«trasporto della sede dell’impero stesso a Costantinopoli
… la caduta del medesimo»[9].
Un antecedente dell’affermazione delle due sedi, dei due
“capi”, Roma e Costantinopoli, può essere indicato nei Principi di una Scienza nuova di
Giambattista Vico, che a proposito di Costantino dice: «Quindi le aquile
si dipinsero nelle insegne romane, co’ cui auspici Romolo prese il luogo
dove e’ fondò Roma. Le aquile nell’insegne greche fin
da’ tempi di Omero, che poi si unirono in un corpo con due capi dappoi
che Costantino fece due Rome capi dell’imperio romano»[10].
Ma di “divisione” aveva già parlato anche Vincenzo Monti ne La Palingenesi politica (1809), legandola, come sembra di
capire, alla pretesa Donazione di Costantino: «Che l’Impero del
mondo in due diviso, / Largì la dote che fu morte a Roma».
Un’esplicita condanna di tutte le Donazioni, che porta alla decadenza
della Chiesa, causata dalla mal intesa «pietà di Costantino e di
Matilde», compare nel documento del Congresso
Primo del primo semestre sul presente Governo in Roma. Anno VII repubblicano, del canonico (o ex-canonico) Felice Mariottini[11].
Mostra di credere alle donazioni di Costantino e di Carlo Magno, pretese basi
del potere temporale dei papi, Francesco Benedetti nell’Orazione alla Sacra Lega. Intorno alle cose
d’Italia in occasione del Congresso di Aquisgrana (1815), nel rivolgere
la sua supplica e protesta ai nuovi arbitri dell’Europa «riuniti in
cotesta terra famosa per le ceneri di Carlo Magno … colui che spense il
regno dei Longobardi, che accrebbe la dote di Costantino»[12].
Nello Zibaldone, Giacomo Leopardi ritorna a
più riprese sulla fondazione di Costantinopoli e sulle sue conseguenze;
la prima volta nel marzo 1821, quando indica i «tempi che Costantino
trasportando quasi l’Italia nella Grecia, e l’Occidente in Oriente,
con quella infinita e subitanea novità di costumi, di abitatori, di
corti ec. ...» come termine a quo
di un imbarbarimento della lingua greca, grazie al riversamento in essa della
lingua latina, «già mezzo barbara», ed insieme di tutta la
vita civile («sebbene il mondo inclinava già fortemente alla
barbarie»)[13].
Il Nostro usa il sintagma canonico «traslocazione dell’imperio a
Costantinopoli», in un passo che è tutto un peana alla letteratura
e alla civiltà della Grecia (30 Maggio 1823), e parallelamente termini o
espressioni sinonimiche («trasporto
della corte in Bisanzio», ancora «traslocamento»), sempre per
ribadire la supremazia della lingua illustre greca su quella latina, fino alla
caduta dell’«impero greco», dell’«antichissima
sede del greco impero», «ultimo avanzo della potenza romana»[14].
L’opera di Costantino, poiché Roma «scemata di potenza e
d’autorità ec. non fu più il centro o l’immagine
dell’impero» ha altresì favorito «la corruzione ed
estinzione della civiltà e della lingua illustre latina, massime in
Italia, dove mancò affatto una corte latina» (e pare di sentire
Dante nel suo De vulgari eloquentia)[15].
Ma la translatio non è stato solo un gesto di immensa portata
culturale, dal punto di vista politico il Leopardi non può che
stigmatizzare il fatto che «Costantin, pari ai più nefandi esempi,
/ Donò col nostro scettro ad altra parte», e piangere sulla
«O sfortunata sempre / Italia, poi che Costantin lo scettro / Tolse alla
patria, e alla Grecia diede»[16].
Negli anni
’40 del secolo, si fanno frequenti gli interventi e giudizi sul nostro
tema, e sono di particolare interesse sul piano ideologico, legati come sono
all’anelito d’indipendenza d’unità della nostra
penisola e dunque alla “Questione romana”. L’Anonimo
siciliano autore Del sentimento nazionale
in Italia (1846), in un contesto chiaramente risorgimentale, colloca la
fondazione di Costantinopoli in stretta connessione con l’inizio della
potenza della Chiesa, che deplora. A più riprese, contro chi afferma che
«le condizioni geografiche ed etnografiche del nostro paese ripugnano
alla unità, e la storia rafferma la forza dei naturali ostacoli»,
ribatte che tra «le potenti cause morali e politiche delle divisioni
italiane … primeggiano lo sparpagliamento delle forze municipali, il
Papato, e l’Impero, quell’Impero che prima spostato da Roma
indebolì l’Italia, poi ripristinato dai papi (si riferisce alla
“restaurazione … dell’imperio di Ponente”, ad opera di
Leone III e Carlo Magno) la lacerò, brancolando invano quasi ivi
ritrovare volesse la sua sede». Causa dunque della rovina è stato
lo “spostamento”, la “traslazione della sedia
dell’imperio” da Roma a Bisanzio da parte di Costantino, e al
proposito l’Anonimo cita le autorità di Machiavelli, Dante e
Giambullari[17]. L’autorità di Pierfranco
Giambullari era stata già proposta in merito dal Recensore
dell’edizione pisana del 1822 della sua opera, dove la scelta di
Costantino viene presentata come una sorta di strano ghiribizzo:
«invaghitosi delle antiche rovine di Tracia, per fondare una terra nuova
sugli estremi liti dell’Europa, abbandonò la universale regina del
mondo, e preponendo i paesi strani a’ domestici, i vili e incogniti rivi
al celebratissimo Tevere … trasferì la sede in Bisanzio
…»[18].
Da Firenze, Eugenio Alberi (1847), a
proposito della critica situazione dell’inizio del IV sec., mette anche
lui in stretta correlazione l’atto di Costantino, negativamente
connotato, e la storia della Chiesa: «Ai
nuovi danni si aggiunse la traslazione operata da Costantino della sede
imperiale di Bisanzio», contemporaneamente però difendendo
l’operato della Chiesa, sempre «palladio d’Italia».
Leopoldo Galletti, che (anela a) e suggerisce riforme per l’arretrato
Stato della Chiesa, se non mette in discussione il potere temporale
(“sovranità legittima”), indiscutibile, come sottolinea, per
Bossouet e Napoleone, sottolinea come sia «favolosa tradizione il
racconto della donazione di Costantino», mentre deriverebbero
«dalle donazioni di Pipino e Carlo Magno i primi titoli della
sovranità temporale dei papi»[19].
Sulla stessa linea, e con la solita irruenza, si muove Vincenzo Gioberti,
che usa un’espressione equivalente al nostro stilema in Della
Nazionalità Italiana (1847), in difesa del Primato; proprio
in nome della medesima, esalta l’Italia, «l’Israele
dell’età moderna», e «Roma, che pareva un inciampo
insuperabile (scil.
all’unità), divenuta, per opera di Pio il fondamento principale
delle speranze italiane …». Una Roma duplice, “temporale e
spirituale”, il cui nemico, ed insieme nemico «d’Italia
civile e religiosa … fu sempre un bastardo imperatore; prima quello di
Bisanzio, poi quello di Alemagna; nati ambedue da un cattivo trovato di due
uomini illustri, cioè di Costantino e di Carlomagno. Ad essi deve
attribuirsi la ruina del primato profano d’Italia e la diminuzione del
sacro; perché trasportando lo scettro imperiale fuori d’Italia, la
esautorarono … Non vi ha calamità o eresia notabile del
cattolicesimo e d’Italia nei bassi tempi o nell’età moderna,
che non provenga dall’infausta origine …». Esaminando nei
suoi risvolti concreti l’azione di “trasporto”, di
“traslazione” del centro dell’impero prima a Costantinopoli
(diremmo ad Graecos), e poi in Austrasia e Germania (ad Francos e
successivamente ad Teutones), così conclude la sua arringa,
complicata dall’inserimento della dialettica Oriente-Occidente:
«Costantino accelerò la ruina dell’Imperio, trasportandone
il seggio a Bisanzio, e imitando a rovescio l’opera di Pietro, che
trasferì il seggio della religione dalle rive dell’Oriente su
quelle del Tevere. Così l’uno creò il basso imperio e la
barbarie dei bassi tempi, l’altro l’Europa e la civiltà
moderna; e il senno del monarca fu vinto da quello del pescatore»[20].
Il cristianesimo, seconda tappa della
“Idea”, che una seconda volta unisce, dopo i tempi antichissimi, ma
positivamente, Semiti ed Indopelasghi, definisce il compimento della dialettica
Oriente-Occidente: «Il Cristianesimo, nato lungo il Giordano … fu
trasportato in Italia, quasi nell’Anauhac (terra fra i mari, come il
Messico) di Europa, acciò da questo nido propizio, donde l’aquila
romana avea coperto il mondo colle sue penne, la colomba immacolata di Cristo
cresciuta e fortificata potesse spiccare il suo volo, e misurare vittoriosa il
giro dell’universo». Questo “trasporto” non è
solo un fatto provvidenziale, che apre alla “nuova” o “seconda
Roma”, un’altra e più alta
“cosmopolitía”, per cui i papi sono gli «eredi
spirituali del romano imperio» («Per un decreto eterno della
Provvidenza, Roma ha sortito il privilegio di esser la metropoli e la
dominatrice del mondo: l’antica repubblica, l’antico imperio
prepararono la via all’unità cosmopolitica del
pontificato»), è il
culmine, la meta finale del cammino necessario della civiltà,
dall’Asia, da Israele e dalla Grecia fino al Lazio[21].
Il giudizio sui
due imperatori espresso dal Gioberti in Della Nazionalità Italiana,
viene ribadito in Del rinnovamento civile degli Italiani del 1851, in un
contesto fortemente risorgimentale e di difesa della nazionalità, dove
l’atto di Costantino è presentato come negazione delle sue
origini, del suo essere romano ed italiano, in contrapposizione con Dante:
«Perciò Dante, sostituendo allo scettro bastardo di Costantino e
di Carlomagno il giuridico di Giulio Cesare, restituendolo a Roma e annullando
l’opera del principe che lo trasferiva in Bisanzio e dei pontefici che lo
trasferivano in Francia, poi nella Magna, si mostrò italianissimo»[22].
A proposito della
Donazione di Costantino (cui non
dà fede Carlo Troya, anche se la “favola” contiene una parte
di verità, in quanto il trasferimento della capitale a Bisanzio e la
creazione della “nuova Roma” danno uno spazio nuovo alla
«potestà novella, tutta intellettuale» del cristianesimo), come
di Pipino e Carlomagno (tutte date invece per certissime a Roma da un Anonimo,
conoscitore dello schema della translatio
imperii)[23],
il Nostro chiede: «Forse gli Svevi o i Vindelici, i Normanni o gli
Angioini, investirono la Chiesa in feudo ai successori di Pietro? Forse
l’arricchirono del patrimonio, e le donazioni di Pipino e di Carlomagno
sono favolose non meno che quella di Costantino?». Anche se poi in Della
Riforma Cattolica, 1856, sostiene che «la famiglia dei Pipini e
specialmente Carlo Magno che sottentrando alla barbarie fu il primo a recare
ordine nel medio evo, fu il principio del governo temporale del Papa», come Aurelio Saffi[24].
Giudizio
costantemente negativo esprime il Gioberti sull’Impero d’Oriente,
di cui loda solo il mantenimento del «greco idioma»[25];
questo motivo della decadenza politica, morale e culturale dell’Impero
risuona incessante nella nostra produzione letteraria ottocentesca, fino al
Carducci, accompagnato dal lamento sull’impoverimento e la perdita di
potere di Roma, e l’orientalizzazione dei Romani[26].
L’acredine nei confronti
dell’Impero d’Oriente risalta nei numerosi componimenti celebrativi
dell’impresa del veneziano Enrico Dandolo contro Costantinopoli, la
“falsa Roma” per Alessandro Poerio, all’opposto “novella/Roma” per Saverio
Baldacchini[27].
Cesare
Cantù, nella Storia della
città e della diocesi di Como (1829), sente negativamente il
«trasporto … del trono imperiale a Costantinopoli», come
rinuncia di Costantino al «proprio essere italiano»; nella prima edizione della Storia universale (1838), mette in netta contrapposizione,
come già il Gioberti, la translatio dell’Apostolo e quella
dell’imperatore: «il trasporto della sede di Pietro da Gerusalemme
ad Antiochia e poi a Roma dà peso all’occidente, mentre quello del
trono imperiale a Costantinopoli invigorisce l’elemento orientale»[28]. Le successive edizioni, fino alla definitiva, di quest’opera,
fatica di una vita[29], gli
danno modo di entrare più in dettaglio nella figura di questo
imperatore, che risulta poliedrica ma anche ambigua: uomo di stato lungimirante
e capace di comprendere ed assimilare le novità, cioè il
Cristianesimo, dopo la conversione, «stomacato degli usi profani
… deliberò mutare la sede dell’Impero in luogo che non
avesse memorie da rinfacciare, riti da adempiere, tombe da riverire». Ma
questa “mutazione” non è considerata ora dal Nostro una jattura, perché già pensata
da Augusto e in certo modo anticipata da Diocleziano, anzi, a Costantinopoli,
che non toglie il primato a Roma, attribuisce il titolo di «prima
e prediletta figlia di Roma»[30].
Una motivazione morale-religiosa dell’atto di Costantino era già
stata avanzata anche dal Cav. Carlo Rosmini da Rovereto: nella sua Istoria di Milano, indica come motivazione del “trasporto della sede
dell’impero a Costantinopoli” l’esigenza di Costantino di una
città che si differenziasse da Roma, ancora legata agli antichi dei,
caratterizzata proprio dal fatto che i suoi abitanti «tutti si
riconoscessero, e adorassero il vero Dio …»[31].
Svolgendo il tema nella versione definitiva della Storia universale,
Cantù, oltre a stigmatizzare costantemente il dispotismo
dell’impero d’Oriente, giunge ad indicare in Costantinopoli il
corresponsabile, con l’“Asia”, gli Arabi traduttori di
Aristotele, della corruzione dell’ortodossia:
«L’Asia ci manda per sua vendetta il manicheismo e la filosofia
scolastica che, colle dispute bisantine … turba la maestà di
Platone … sparge i semi delle eresie, che da Arnaldo di Brescia a Lutero
tendono a sostituire l’individualità al cattolicismo»[32].
Seppur piange la caduta di Costantinopoli come una «prevalenza
dell’Asia», e con sollievo sottolinea come i Turchi conquistatori
«isvigoriti dal clima» non abbiano poi trovato un «terzo
Maometto» per conquistare la disunita Europa, considera il 1453 come
l’inizio dei tempi moderni, mentre sul piano culturale annovera tra le
disgrazie di quest’ultima «un’invasione di nuova foggia
… quella turba di dotti che, non paghi della santa impresa di rimettere
in valore i frammenti dell’antica cultura scampati al barbarico
naufragio, circoscrivono il genio nei confini corsi dalle arti e dalla
letteratura antica … respingono l’originalità verso
l’imitazione, introducono lo spirito di paganesimo e di contenzione non
negli studj soltanto, ma nella storia, ne’ costumi, nella politica, e
cogli allettamenti d’un bello convenzionale fanno dimenticare il giusto e
il santo»[33].
Il ritorno delle arti da Oriente ad Occidente, da Costantinopoli in Italia,
meglio nella medicea Firenze, è un motivo ben diffuso nella nostra
Letteratura dell’Ottocento, e percorre tutto il secolo; da notare che
alcuni, come Tommaso Gargallo, usano al proposito un termine proprio della translatio,
«trasportar(l)e»[34].
D’interesse
primario per il nostro tema è il cap. IV. Affari religiosi, del vol. III della redazione finale della Storia universale, dove il Cantù si misura con una delle cruces della pubblicistica ottocentesca, la Donazione di Costantino.
Anche se correttamente ricorda come il Valla abbia dimostrato la falsità
del Constitutum Constantini (secondo
G.M. Vian fabbricato probabilmente tra la metà
dell’VIII-metà del IX sec., forse nel quindecennio di Stefano II e
Paolo I), citando il De falsa et ementita
Constantini Donatione[35],
le dà credito sul piano morale, alla stessa stregua di quelle di Pipino,
Carlo Magno e Ludovico il Pio, concordando con Bossuet e De Maistre, convinti
della «verissima favola della donazione»[36].
Alla leggenda silvestrina («S’anco dubbio tal fatto, indubitato /
E’ di Silvestro l’animo costante …»), il ritiro sul
monte Soratte di papa Silvestro, cui porge omaggio «d’umil servo in
sembianza / Che lo smarrito suo signor rintraccia, / A quel monte venne
d’Elena il figlio, / Il magno Costantin, da sé rimossa/
L’imperïal baldanza e la guerriera», rimandano alcuni versi di
Luigi Carrer dedicati A Sacro Pastore[37].
Negli anni
’50 del secolo, il tema e le attestazioni dello stilema translatio imperii riferito a
Costantinopoli sembrano rarefarsi; la questione dominante dei due decenni fino
alla conquista di Roma è invece il dibattito intorno alla pretesa
Donazione di Costantino, nella lotta per Roma capitale e nell’ansia di
liberarla dal rovinoso (a parere dei liberali) potere temporale della Chiesa
... Carlo Cattaneo individua nell’atto di Costantino la radice di tutte
le sventure dell’Italia, fino a Napoleone: «Da quando Roma …
fe’ d’Italia tutta / Trastullo di Neroni e vil rifiuto (da notare
lo stilema dantesco)/ Di Costantini: ineluttabil fato / Sull’Italia
s’aggreva … e un secreto / Immenso brulichio d’arti,
d’inganni / E di delirj si propaga intorno / Per trar le genti a
un’unica catena / D’un re, d’un papa, e di tribuno inerme (scil. Mazzini). / Il quale appresti il
seggio al gladiator che verrà poi. / La corse il Goto, e il Longobardo,
e il Franco / Impunemente e il Sàssone e lo Svevo / e il Visconte, e
l’Ispano e il vincitore / Di Montenotte»[38].
Sul trasferimento della sede imperiale a Costantinopoli ritorna in La politica di T. Campanella (1856), nel
quadro delle speranze del Nolano nella Spagna e dell’avversione per i
Turchi: «Se Dante e Machiavelli diedero biasimo a Costantino d’aver
derelitto l’Italia, Campanella gliene dà lode. “Costantino
si mise in Bisanzio, in mezzo del mondo per poter meglio reggere, e
perché l’imperio avea donde ampliarsi al levante e non al ponente,
sendo allora ignoto l’altro emisferio. Bisanzio coll’imperio fu vinto. Dunque l’imperio non avria salvato l’Italia. L’imperio
di tutto il mondo oggi si serve di Roma.” … Preoccupato della vieta
preponderanza della Spagna e della Turchia, la mente di Campanella non
presentiva come l’arbitrio delle sorti umane si traesse per novelle forze
libere e varie verso il settentrione,
ov’egli, assorto nella sua unità, vedeva solo discordia, disordine
e impotenza …»[39].
I due motivi, translatio a
Costantinopoli e Donazione, appaiono appaiati in Niccolò Tommaseo, che
indica in Diocleziano l’ispiratore della prima: «com’uomo di
gente slava, egli consente all’Oriente, e lì colloca la sua sede
… L’idea non ne sarebbe forse venuta a Costantino, se
quell’esempio non era». Prosegue confutando «la favolosa
donazione di Costantino», in realtà «regalo germanico di
Carlo Magno», che «non fu per man di notaio, ma quasi involontario
effetto del suo ritirarsi sul Bosforo, dov’egli ha scavato la tana al
Turco, e forse per qualche tempo d’anni al russo; lasciando Roma da
reggere moralmente a’ pontefici e quindi immoralmente governare a’
loro camerieri d’onore, e di cappa e spada». Aggiunge però
che «se la sede dell’impero non era portata a Bisanzio, cadendo
disfatto esso impero, Italia forse tutta, Grecia con lei, si partiva in
repubbliche … Costantino non ha nociuto all’Italia con la sua
favolosa donazione … ha bensì nociuto col preparare il luogo a
Francesco Giuseppe, figliolo della non greca Sofia»[40].
La Donazione viene deprecata dal mazziniano Filippo De Boni, suggerita forse,
tra le tante immani sciagure dell’Italia, da Giuseppe Montanelli nel
confronto fra Ildebrando e Satana, nodo centrale del suo poema La tentazione sacerdotale, implacabile atto di accusa contro la brama
di potere[41].
Tutti i motivi, accompagnati dalla condanna dell’abbandono di Roma da
parte di Costantino, e dalla denuncia della corruzione e decadenza
dell’impero d’Oriente, si ritrovano in Dono per Nozze di un ignoto alla Repubblica delle Lettere, Achille
Albini, ammiratore di Dante, ulteriore riprova della pervasività di
questi temi e stilemi[42].
Di parere opposto
rispetto all’operato di Costantino i sostenitori del Papato e di Pio IX,
come l’Anonimo estensore de La
Repubblica Italiana del 1849. Suo Processo, che, se non parla
esplicitamente della Donazione, insiste sulla legittimità dei possessi
della Chiesa, «giustizia e non grazia» derivante
dall’abbandono di Roma col volo del «figliuol d’Elena a
Bisanzio», con la conseguenza che, nel settimo secolo,
«l’impotenza e la tirannide bisantina dava al popolo romano,
abbandonato e conculcato, il diritto di congiungere nel Papa la corona regia
alla sacerdotale»[43].
A cavallo della Seconda guerra
d’Indipendenza, e poi negli anni ’60, la Questione romana viene
riaperta con forza da R. D’Azeglio, che addita l’«apocrafa
donazione dell’imperatore Costantino», frutto della volontà
della Corte di Roma di «estendere il limite così del territorio
come dell’autorità temporale», come radice di tutti i mali
che hanno afflitto nei secoli Roma e l’Italia, in primis gli aiuti stranieri invocati proprio dal Papato (accusa
frequente nella pubblicistica dell’Ottocento)[44].
Mentre il Mistrali, in nome di “Fraternità – Uguaglianza
– Libertà”, fa appello a Vittorio Emanuele
perché liberi l’Italia dal rovinoso potere temporale, nato dalla
“cessione” di Costantino, la cui conversione viene messa sullo
stesso piano della (cinica o ipocrita) conversione dell’ugonotto Enrico
di Borbone («costui ebbe Roma, come molti secoli appresso Enrico IV ebbe
Parigi per una messa»)[45],
il Vescovo di Poitiers, Dupanloup, nel suo Discorso
pronunciato … nella sua Chiesa Cattedrale li 11 Ottobre 1860 in occasione
del servizio solenne pei Soldati dell’Armata Pontificia morti durante la
guerra, rievoca i nomi di Costantino, ai cui tempi «la
sovranità pontificia, deposta in germe colla salma di Pietro nelle
catacombe del Vaticano, compare a fior di terra», Pipino e Carlo Magno,
la cui spada vittoriosa viene invocata contro il nuovo Turco, il discendente di
Astolfo e Desiderio, il re dei «nuovi Longobardi», Vittorio
Emanuele II[46].
Non sembra invocare la Donazione di Costantino, ma piuttosto quelle dei
Carolingi, l’Anonimo che, senza contestare i titoli giuridici del potere
temporale, magnifica il grande prestigio papale «innanzi le famose
donazioni, quando i Papi non possedevano territorio e Temporale Dominio
…», in grado di fronteggiare Odoacre e gli Eruli, Teodorico, i Goti e i
Longobardi perché «spogliati di ogni vano apparato di Terrena
Sovranità». Un prestigio venuto meno «quando le
liberalità dei Principi ebbero cangiato il dominio tutto spirituale in
una Sovranità terrena e la Tiara divenne segno alla cupidigia ed
all’avara ambizione dei Principi del Sacro Collegio …».
Paradossalmente, in nome di Costantino, Julius da Torino propone a Napoleone
III una translatio del papa a Parigi,
perché «tale traslocazione segnerà nella storia, come
nell’umanità, una delle pagine più gloriose per l’imperatore.
Questi metterà il suo nome nella storia, accanto ai maggiori
trasformatori d’imperi … Colla traslocazione della sede
dell’impero in Bisanzio, Roma duplicò quasi se stessa,
l’impero trovò nuovi fati, e perdurò dieci secoli ancora.
Colla traslocazione del papato al centro della nuova civiltà egli
potrà del pari creare i nuovi destini alla Chiesa ed a Roma. Costantino,
detto il Grande, chiuse il periodo di Roma civile, eroica, e fondò Roma
sacerdotale, il papato cosmopolita. Carlo Magno, colla donazione fondò
il temporale … L’imperatore Napoleone può chiamare a nuovi e
più elevati destini la Chiesa, rifar Roma civile e l’Italia,
ricostruire sulle sue vere e salde fondamenta la nuova unità
latina»[47].
Dalla Francia,
sempre paladina del Papato, molte sono le voci che si levano in sua difesa. Il
Visconte G. De la Tour, Deputato al Corpo Legislativo di Francia, a proposito
di Costantino, invoca non ragioni giuridiche, ma morali: «questo principe
non donò Roma alla S. Sede (essendo la sua pretesa donazione una favola
nata, per quanto pare, in Oriente, e di là propagatasi in Occidente), ma
gliela abbandonò, e la debolezza dei suoi successori, incapaci di
difendere l’Occidente, lasciò ben presto al Papa la tutela
esclusiva, cioè la possessione di Roma e del suo territorio. Del resto
Costantino contribuì direttamente alla fondazione del dominio temporale
dei Papi, giacché egli donò a san Silvestro … grandi
patrimoni …». E conclude: «La pietà dei Cristiani e la
generosità di Costantino, la traslazione del trono imperiale a
Costantinopoli … crearono il potere temporale dei Papi: i soccorsi e le
donazioni di Pipino, di Carlomagno, di Ottone e della Contessa Matilde lo
consolidarono e l’accrebbero nel medio evo»[48].
Gli stessi personaggi, motivando la fondazione di Costantinopoli quale rifugio
del trono di Costantino, schiacciato dalla maestà papale, compaiono
nell’anonimo libello Ne touchez pas
au Pape, che per risolvere la Questione romana, mantenendola nei limiti dei
Trattati del Congresso di Vienna, suggerisce di far capitale d’Italia
Napoli[49].
Sempre dalla Francia, E. Joussellin stila un puntiglioso elenco delle donazioni
o dotazioni su cui poggerebbe il potere temporale, cominciando Costantino, per
concludere anche lui con la contessa Matilde, ribadendone la legittimità,
riconosciuta dal Concordato del 1801 di Napoleone I e dal Congresso di Vienna
del 1815[50].
Al Concordato
s’appella anche il Duca di Valmy, e cita la remota Costituzione di
Costantino del 331, che «avait donné à
l’autorité spirituelle une certaine supériorité sur
la jurisidiction temporelle», perché Roma rimanga al Papa; nel
dibattito entra eccezionalmente una donna, Mary Lafon, che individua nel
«depart de Constantin pour Bysance, en 326», con cui a Roma
«l’autorité passe aux préfets», l’origine
del potere temporale[51].
Da Vallecorsa,
nella Provincia di Campagna, in occasione di una visita del papa nel 1863, Pio
IX viene ancora salutato dalle locali Autorità quale «… il
vero successore di Pietro Principe degli
Apostoli, il Capo Supremo di tutti i Cattolici, ed il Legittimo Erede
delle Donazioni di Costantino il Grande, o dei successivi ampliamenti fatti da
Carlo Magno, e dal Re Pipino, dei quali può dirsi piuttosto che
confermarono, anziché fondarono il Temporale Dominio della Santa Sede»,
«indipendente da ogni laicale potere», «Pontefice Sommo, ed il più legittimo dei Re», mentre si
piange la sorte dei «Popoli infelici, che ebbero la sventura di essere
sottratti al Vostro Dominio Paterno,
e di dover sottomettere il collo al pesantissimo giogo del Subalpino, e dei quali si fa ora empio governo. Le loro grida di
dolore (riutilizzate con segno opposto le parole di Vittorio Emanuele) giungono
fino a noi», con la chiusa: «Viva
Pio IX Nostro Pontefice e Re»[52].
I motivi dell’abbandono dell’Italia dei «greci imperatori», e delle «ingenti donazioni, che
le fecero Pipino, Carlomagno ed altri Principi» vengono ripresi dal
battagliero Monsignor Ghilardi, Vescovo di Mondovì, nel suo intervento sulla Legge Ferrara (1867), che
aboliva i possedimenti della Chiesa, mentre «questo diritto e
possesso fu rispettato e protetto dagli Imperatori pagani e cattolici in ogni
tempo», con l’esempio della “Costituzione” di Licinio e
Costantino, come di Giustiniano[53].
Invoca e spera
che «Il Signore degli eserciti … potrà suscitare altri Pipini,
altri Carlimagni, ed Ottoni …» contro i nemici di Pio IX,
l’Anonimo francese che si nasconde dietro la sigla “P.L.S.A.”, convinto dell’Impossibilità di una convenzione tra
il Romano Pontefice e gli usurpatori de’ suoi diritti, nel 1869, proprio alla vigilia della presa
di Roma[54].
Anche dopo il
1870 e il trasferimento della capitale d’Italia a Roma, seppur non si
crede più all’autenticità della Donazione di Costantino, i
partigiani del Papa continuano a farne menzione: si veda l’Anonimo, che
pur convenendo che non c’è un «documento di scritto
…», afferma che «è documento di fatto e più
chiaro d’uno scritto», che «il principato civile»
deriva proprio dall’abbandono della città eterna da parte
dell’imperatore che «andò a fabbricare sul Bosforo la sua
sede»; Carlomagno e Matilde di Canossa l’allargarono soltanto[55].
Il testo più curioso al proposito è l’Atto, stilato
dall’Avvocato G.B. Noli con il procuratore Alessandro Perrino, a nome
dell’ultimo discendente dei Comneni, Giovanni Antonio Lascaris, per una
«quistione alimentaria» contro le basiliche costantiniane.
L’Atto è una ricapitolazione della storia della Chiesa e
dell’Impero, il cui punto di partenza è costituito dal
“Patronato” di Costantino, e su questo titolo il Lascaris, come
ultimo suo erede, fonda la sua richiesta delle rendite e possedimenti delle
suddette basiliche; vengono poi ricordati il trasferimento della «Sede
dell’Imperio» a Bisanzio «seconda Sede dei Cesari», la
sua caduta ad opera del «feroce Maometto». Il testo indica in Carlo
Magno il “successore” di Costantino, e conclude con Napoleone I che
voleva «il ristabilimento dello Imperio di Carlomagno». Per la
Donazione, il linguaggio si fa ambiguo, ma in maniera strumentale alla causa:
si ribadisce che, per quanto riguarda la “Sovranità”,
«questa non alla Chiesa fu fatta ma al Pontefice», e si opera una
sottile distinzione tra la “Sovranità Temporale”, tolta al
Pontefice con la presa di Roma, e il Patrimonio della Chiesa, nato forse da
Costantino o dai sovrani carolingi («ciò poco monta»)[56].
Aurelio Saffi,
l’antico triumviro della Repubblica Romana del ’49, nemica di Pio
IX, utilizza lo stilema della translatio operata da Costantino per
riconoscere che «in Occidente, la Chiesa – allorché la sede
dell’Impero fu trasferita da Roma a Bisanzio, e più ancora dopo la
caduta dell’Impero stesso – assunse un’autonomia morale che i
Patriarchi di Costantinopoli e d’Alessandria non conobbero mai»[57].
Il P. Bernardino Cusmano da Sciacca, se definisce Costantinopoli la
«scimmia alla metropoli del mondo antico», riconosce però
che essa ha «in mano le chiavi dell’Asia»[58].
Un tema che aveva trovato largo e qualificato spazio alla fine degli anni
’20 del secolo nella recensione (ma sarebbe più adatto definirla
una riflessione in margine a) sull’Antologia di G. P. a Costantinopoli, e il Bosforo Tracio del
generale Andreassy, in cui, sulla base del “sito” di vichiana
memoria («Tre sono i grandi nuclei geografici; il Messico guatimalese,
l’Egitto, e il tracio promontorio in subietto. Il primo nel nuovo mondo;
i due secondi nel mondo antico; questi nucleo fra Europa Asia ed Affrica, fra
l’Eritreo il Mediterraneo e l’Eusino; quello fra le due Americhe e
i due grandi Oceani. Conciò il gran segreto dell’importanza
è che il signore di tali paesi è il possessore delle chiavi di
tutti i mari e di tutti i continenti. Però è uopo che sì
l’Egitto come il Messico cedano in entità alla Tracia
…»), preconizza alla città, più fortunata
dell’antica Tiro («Tiro … anco dava i traffichi tra
l’Oriente e l’Occidente, fra le regioni a borea e quelle a
mezzogiorno … All’incontro Costantinopoli siede regina nella
frontiera di due continenti e di due mari mutuamente accanalati dalla natura
istessa …») un ruolo chiave nel commercio mondiale, quando, ad opera
degli Europei (ma quali?, sono compresi anche i Russi?), diventerà una
«universa … città anseatica», una «libera cosmopoli»[59].
Notevole in questo testo è la sottolineatura della “legge”
della migrazione delle genti (che vale anche per arti, lettere, scienze,
dottrine e religioni) non «da borea a mezzogiorno, come avvisa
Montesquieu, bensì da Levante a Ponente e lungo i circoli paralleli cui
sottostà la loro terra natia …», una delle due direttrici
proprio del motivo della translatio. In questo schema, afferma,
l’Asia «cui meglio si addirebbe la imagine di vagina gentium da Grozio largita alla Scandinavia, parve essere
sempre il vivaio di siffatti sciami di nazioni», mentre «certo
è che ogni conquisto dall’Occidente sull’Oriente non pose
mai ferma radice …», ed esemplifica l’assunto con Alessandro
Magno e le Crociate[60].
Il problema di
una translatio imperii a Mosca (lo
stilema, come già detto, è vistosamente assente) si pone
indubbiamente soprattutto alla riflessione politica italiana
dell’Ottocento, in una prospettiva che incute timore; ne è la
prova l’abbondanza di negativi stilemi etnici, astronomici e geografici
volti a demonizzare questo “Colosso” del “Settentrione”,
i cui tentativi di battere l’Impero Ottomano vengono denunciati come mire
a sostituirsi a Costantinopoli (ma lo stilema “Terza Roma” è
adombrato, mi pare, solo in Aleardo Aleardi e in Vincenzo Gioberti), e
conquistare le chiavi dell’Asia, per impiantarvi il suo dominio politico
e commerciale. Come è paventata la sua alleanza, seppur talvolta
necessaria, perché potrebbe preludere ad un allargamento del suo potere
nel Mediterraneo, prodromo ad un predominio sulla stessa Europa.
Un destino
“imperiale”, in lizza con la Spagna, nella prima metà del Settecento
l’aveva profetizzato già Francesco Algarotti, in base
all’eccellenza della sua posizione: «La Spagna e la Russia sono
forse i due meglio posti paesi per divenir signori del mondo; l’una a
cavaliere dell’oceano e del Mediterraneo, naturalmente padrona dello
stretto, e dietro difesa da’ Pirenei con quegli stessi vantaggi nel mondo
moderno che avea nell’antico la Italia. La Russia a cavaliere
dell’Asia e dell’Europa … Un tal duello lo vedranno forse i
nostri posteri; noi le abbiamo già vedute aguzzar l’armi
l’una contro l’altra». Nello stesso passo, l’autore
sembra adombrare per essa il ruolo di “Terza Roma”, o sostituta di
Costantinopoli, quando afferma, a proposito dei possibili rimedi alla sua
scarsità demografica (difetto che l’accomuna alla Spagna):
«Il meglio sarebbe comperare delle famiglie tartare, e allevarvi i Greci
abitanti della Moldavia e Valacchia, i quali, riguardando la Russia come il
capo dell’imperio greco, vi correrebbero a gambe». Dopo il 1770, Ferdinando Galiani limita all’Europa
detto destino, sia per «le caractère, la conduite, les
gestes» di Caterina II, sia per fattori climatici, e proclama che fra
cent’anni: «le grand souverain de l’Europe sera le prince de
nos Tartares, c’est-à-dire celui que possédera la Pologne,
la Russie et la Prusse, et qui commandera à la Baltique et à la
Mer Noire; car les peuples du Nord seront toujours moins poltron que celui du
Midi». Destino imperiale le assegna Compagnoni, proprio al ceder del
secolo: «Questa nazione, che in sì breve tempo ha preso un volo
sì alto; questa, che non esce nei campi di battaglia che per riportare
vittorie; e che porta scolpita in fronte una epigrafe che la indica tosto o
tardi la conquistatrice di Bisanzio, i Russi avanzeranno anche oltre; che la
stagione per altri popoli di riposo, è di azione per essi; e non
sapremmo certamente indicare i limiti de’ loro progressi …»[61].
Le mire della
Russia su Costantinopoli vengono implicitamente denunciate da Vittorio Alfieri
nella sua Satira I Viaggi, quando
descrive Pietroburgo, l’«asiatico accampamento» dei
«Gallizzati Tartari»: «Già comincio a trovar barbuti
popoli, / Ma l’arenoso piano paludoso / Mi annunzia un borgo, e non
Costantinopoli. / Giungo; e in fatti, un simmetrico nojoso / Di sperticate
strade e nane case, / Se d’Europa od Asia sia mi fa dubbioso»[62].
Come da Vincenzo Monti, che nei suoi pirotecnici voltafaccia politici, mentre
sciorina nei confronti della Russia tutti i negativi stilemi etnici
(«nordico nembo», «tartato ferro», «feroce
Scita» «usurpator Sarmatico»), ne Il Beneficio, si scaglia contro «l’irto Russo che anela
il freddo Polo / col bel cielo cangiar di Costantino»[63].
Durante la
parabola napoleonica, in cui la Russia, il “colosso asiatico” che
mira a sottomettere l’Europa, appare come il formidabile nemico della Francia,
a più riprese i Francesi, ma anche gli Italiani, capofila proprio il
Monti, salutano nel Bonaparte il baluardo nella lotta della
“civiltà contro la barbarie”[64].
Caduto l’imperatore, si apre tra i nostri letterati (spesso i medesimi laudatores),
un’ignobile gara di ritrattazioni e di insulti, in cui, nel ricordo della
spedizione di Russia, che tanto sangue è costata agli Italiani
(«… perché il sangue latino / Spargasi inulto ove più
il sol tace / E dove al drago aquilonar vicino / Volge i rigidi palustri
Artofilace? ... figlio … Errar ti veggo, e alle nevose tane / Del
vagabondo Tartaro piegarti … Scita …») si celebra la vittoria
dell’«l’armipotente / Sarmata estremo», proveniente
dalle plaghe «Dove han nido fra i ghiacci e le pruine / Genti rimote dal
cammin del sole …», sotto i «gelidi Trïoni»,
plaghe bagnate dall’«iperboreo Volga», dalla «Vistola
gelata»[65].
Nel Congresso di
Vienna, 1815, il vero protagonista, come sottolinea Cantù, fu Alessandro
di Russia: «da lui pendevano le sorti del mondo» (con la sconsolata
conclusione: «Pertanto una rivoluzione cominciata colla democrazia,
lasciava spenti i governi dei più e gli stati elettivi, e assodate le
monarchie; un impero che tutti abbatteva, riusciva a ingrandire i suoi
nemici»), e a lui in particolare si rivolge Francesco Benedetti,
chiedendo pace per l’Europa tutta, altrimenti preda del Turco,
utilizzando per i Russi i consueti stilemi: «Pace a quei che
lasciò gli estremi liti / Candidi sempre di sintonie nevi, / Per far di
un’altra Pergamo vendetta (n. 2: «Alessandro, imperatore di Russia,
che si vendicò de’ Francesi ed entrò vincitore in Parigi
con la sua armata e quella de’ suoi alleati. Per un’altra Pergamo intendi Mosca, che cadde
incendiata come Troia ossia Pergamo»): / E bevvero la Senna i vaghi Sciti
… Deh! Ricomponga al misero Polono, / Cui lunga speme alletta, / I mesti
avanzi del disperso trono. / Sia pago il prusso regnator, che in pace, /
Tornando al fianco usato il grande acciaro … (n. 3: «La spada di
Federigo il grande, trasportata a Parigi da Napoleone»)»[66].
Da segnalare, nella recensione sulla Biblioteca italiana a L’Europe après le
Congrès d’Aix- la-Chapelle, faisant suite au congrès de
Vienne, par M. De Pradt, ancien archevêque de Malines, accanto alla
coscienza espressa dall’autore di un futuro radioso per le Americhe (la
squillante «dall’america
emana ogni salute»),
più in particolare per gli Stati Uniti, l’omissione (voluta?)
dell’altro luogo in cui il confessore di Napoleone vede come «una
prospettiva che fa tremare», l’intento della Russia, altro
“paese nuovo” come gli Stati Uniti, «di terminare la
conquista del mondo»[67].
Gran peso nelle
previsioni sul ruolo futuro della Russia, la potenza che ha potentemente
contribuito ad atterrarlo, ha la profezia espressa da Napoleone in esilio a Sant’Elena,
nel 1816-7, nella speranza di essere liberato: «nello stato attuale delle
cose, prima che siano trascorsi dieci anni, tutta l’Europa può
essere cosacca o interamente repubblicana», «sottomessa al
Knut» (contrapposto al berretto frigio emblema di libertà). Ma
insieme egli sembra parlare di un destino più ampio, che ingloba la
conquista di Costantinopoli («un giorno un patriarca greco
officierà a Santa Sofia») e la sostituzione dell’Inghilterra
nella corsa all’Asia («e da quel giorno l’Inghilterra perderà
le Indie»). La prima parte della profezia risalta sovente nella
riflessione politica del nostro Risorgimento, ma procrastinandone
l’attuazione, piegata in senso repubblicano, in Giuseppe Mazzini
(«nello spazio di quaranta anni»), o in senso federativo, come in
Cattaneo[68].
L’Anonimo difensore del Papato de La
Repubblica Italiana del 1849, ripresentando il dilemma enunciato da
Napoleone, il quale «vedeva più che non prevedeva, annunziando che
nel corso del secolo diciannovesimo l’Europa sarebbe repubblicana o
cosacca», si fa convinto che, seppur «la demagogia ha raccolto,
tingendosi di socialismo, predicando l’odio e la guerra contro
l’Austria», la grandezza del “Moscovita”, il futuro non
sarà dell’idea repubblicana né cosacca, perché le si
potrà opporre l’«idea cattolica»[69].
Scarsa risulta
l’attenzione alla Russia da parte dell’Antologia; da
segnalare il positivo, se non laudativo giudizio sulla figura di Pietro il
Grande, «il Bruto primo della civiltà”, espresso da G. P.:
“Pietro il grande e Napoleone, i due che dopo Colombo furono i più
forti in mente animo e volontà nel risorgimento, ossia
nell’incivilimento, moderno». Il medesimo, che come abbiamo visto
condivide la “legge” della migrazione delle genti «da Levante
a Ponente», enumerando i vari popoli che hanno conquistato nei millenni
la Crimea (Cimmeri, Sciti, Greci, Pontici, Tartari, Genovesi, Turchi), a
proposito degli ultimi conquistatori, i Russi conclude «Così va il
mondo. Lo scettro del conquisto passa, da potente a potente, da popolo in
popolo ...», che potrebbe far sospettare che detta “legge”,
valida per arti, lettere, scienze, dottrine e religioni, lo sia anche per il
dominio politico[70].
Un destino
decisamente imperiale alla Russia, dopo “l’impero francese”,
in Europa prima, e poi “universalmente”, assegna, in una nota dello
Zibaldone (Gennaio 1822) Giacomo
Leopardi, non in considerazione di contingenti ragioni storiche, o politiche o
economiche: «L’Europa, tutta civilizzata, sarà preda di quei
mezzi barbari che la minacciano dai fondi del Settentrione; e quando questi di
conquistatori diventeranno inciviliti il mondo si tornerà ad
equilibrare». Perché la Russia, nella successione
natura-civiltà-barbarie proposta dal Nostro, grazie alla sua
«mezzana civiltà», segnerà «il suo nome nel
catalogo delle nazioni che hanno dominato universalmente».
“Catalogo” che prende le mosse dagli imperi dell’Asia
(«… gl’Indiani forse, e prima di tutti; gli Assiri, i Medi, i
Persiani, forse anche i Fenici, e i loro coloni Cartaginesi ec.»),
ingloba l’Egitto di Sesostri, passa per l’impero macedone di
Alessandro, l’Italia romana, i «settentrionali su l’impero
romano, e lo è oggi di nuovo, massime riguardo alla Russia, sul resto
d’Europa»[71].
Gli può
essere avvicinato, ma sul piano di una translatio studii,
l’Anonimo autore del Frammento
poetico riguardante Napoleone Bonaparte scritto nell’anno 1828 ed ora
uscito alla luce con note dell’Autore, pubblicato nel 1837, in cui la
speranza di riscatto della Grecia, piegata ancora dal giogo ottomano, viene
affidata alla Russia, come una volta l’Egitto tramite di redenzione e di
civiltà, apportatrice di una «boreale aurora» contro
l’«Odrisia luna», «… se un avvenir più
tardo / La sorgente dei beni in te disserra, / E la luce che piovve
d’Oriente / Ritorna a folgorar dal polo algente»[72].
Francesco Domenico Guerrazzi, nell’Orazione
per Cosimo Damiano Delfante Soldato Italiano, morto agli ordini del
generale Pino nella sventurata Campagna di Russia, in cui «due colossi si
stringono in battaglia di morte», alla fine di una translatio studii (motivo che certo conosceva, come prova la
menzione di “Daniel 2, cap. V”), che dagli Assiri passa «ai
Romani, così ai Longobardi, così ai Franchi sotto Carlo Magno,
agli Spagnuoli sotto Carlo V, nuovamente ai Francesi sotto Napoleone»,
conclude con la sibillina profezia che potrebbe alludere proprio a Russia e
Stati Uniti, indicati costantemente come rivali nella corsa al dominio:
«e forse esistono adesso due popoli ai quali si apparecchiano gli stessi
destini nelle ragioni del declinare, e del sorgere …»[73].
Spera invece, anzi sogna l’annientamento della Russia («del par
colla papale / Già l’ottomana tirannia si sciolse, / Là
dove Gabriello aperse l’ale / E dove Costantin l’aquila
volse»), l’“Orsa” per antonomasia, Giuseppe Giusti, che
nel centone dantesco Nell’occasione
che fu scoperto a Firenze il vero ritratto di Dante fatto da Giotto,
scrive: «Europa Affrica è vaga / Della doppia ruina: e le sta
sopra / Il Barbaro, venendo di tal plaga / Che tutto il giorno
d’Èlice si cuopre», mentre denuncia le mire verso Oriente
dell’Inghilterra e i maneggi di Luigi Filippo di Francia: «E
l’anglia nave all’orïente accenna … Ma lenta della Senna
/ Turba con rete le volubil acque / La volpe che mal regna e che mal
nacque». Già nella sua una livida carrellata sulle miserie
europee, il Dies irae
(dall’incipit vuotamente grandioso: «Dies irae, è morto Cecco …» fino alla chiusa
triviale: «Ride Italia al caso reo, / E dall’Alpi al Lilibeo / I
suoi re si purgano»), scritta alla notizia della morte di Francesco I
d’Austria, il 2 marzo 1835, aveva definito Niccolò di Russia,
amico del defunto Imperatore, “Cosacco” affossatore della Polonia,
«Scita inospitale», «iena del deserto»[74].
Nemico ad oltranza dei Russi è il Gioberti, che accomuna agli Austriaci nella
stessa ferinità, come il Tommaseo: «La Polonia russa ben mostra
che il secolo decimonono e l’Europa culta possono veder rinnovate nel
proprio seno le usanze dei Tartari e del medio evo; e Spilberga, la Gallizia,
fan chiaro che l’Austriaco è capace non solo di emulare, ma di superare
il Russo in opera d’iniquità e di fierezza»[75],
perché nemici, al pari della Francia, del suo disegno di indipendenza
dell’Italia. «Il
nemico di quanto v’ha di vero, di sacro, di generoso fra gli uomini, il
Cesare del secolo diciannovesimo, che vorrebbe sterpare il germe vitale
piantato dalla Provvidenza, e che promette al secolo succedituro una mezza
barbarie, se i buoni non s’accordano per mettervi riparo, non risiede sul
Tevere, ma sulla Neva e sulla Senna»[76]. Contro i Russi, il Gioberti sciorina tutto
l’armamentario consueto, da “barbari” al trito paragone con
Goti e Vandali, attaccandoli con particolare acredine sul piano religioso, fino
ad affermare che «… lo scisma che separò
l’oriente dall’occidente … aperse in fine ai Turchi le porte
d’Europa»[77].
Nell’Europa dominata da una parte dal «principio ionico,
cioè democratico», incarnato nella Francia, e dall’altra dal
«principio macedonico, cioè dispotico», che prevale nelle
nazioni germaniche, contro la Russia, la nuova Roma, se, come afferma,
«le nazioni slave <sono> la Roma» antica, Gioberti parrebbe
considerare favorevolmente «il principio dorico, cioè
aristocratico», e agita lo spauracchio della democrazia, già
perniciosa per Atene: «se la democrazia prevale nelle nazioni latine, il
dominio del settentrione e dei Russi è inevitabile»[78].
Ma ad onta della loro barbarie, i
Russi, perché «stirpe giovane», paiono proprio destinati a
spartirsi con l’Inghilterra l’Asia, ed addirittura a lottare con
Roma per il primato, par di capire eminentemente sul piano religioso, in una
lotta che un’altra volta ripropone lo scontro Nord–Sud, «fra
il pacifico pastore dell’austro e l’autocrato armato del
settentrione». E contro di loro
il Nostro invoca una lega del popoli meridionali ed occidentali per
«tutelare a comune vantaggio le porte di Oriente», in primis con la Grecia “sorella”, rimuovendo il «religioso
divorzio»[79].
Le tristi vicende
della Polonia rinfocolano le paure nei confronti della Russia: Alessandro
Poerio, nel 1845, attribuisce al suo imperatore (stilematicamente
«signore del Norte»), mire di egemonia universale, e guarda
perplesso e sdegnato la gioia della folla immemore accorsa al suo arrivo in
Sicilia. Se riconosce che
l’Europa è stata liberata dal “Trace”, la minaccia
turca, grazie a Caterina II, fa appello all’Europa, rimproverando la sua
colpevole inerzia nei confronti della Polonia, perché lo fermi, insieme
col “Caucaso” (l’Armenia?), auspicando che sia
“latina” la cristianizzazione dell’Asia[80].
Negli anni 1846-48, Gabriele Rossetti chiama ripetutamente Italia e
Germania in soccorso della Polonia
(eccezionalmente «Sarmazia», Sarmati in genere sono chiamati i
Russi), l’«Alba Aquila Slava», conculcata ad opera dei tre
«despoti», Francia, Austria e Russia, governata dallo
«scismatico ed eretico» autocrate, «sanguinario
… Orso polare … tigre», nel segno-sogno di un’alleanza: «l’aquila Slava e
l’aquila Latina / Parran fenici in rinnovar le piume», coniugando
«lo Slavo e l’Italo valore», conseguiranno «Sarmati ed
Ausonici trofei»[81].
Nella sua celebrazione della «polacca Vergine, costretta / in terribile
amplesso da un selvaggio / bello e incoronato Scita», Aleardo Aleardi
definisce gli esuli polacchi «Annibali raminghi, / odio accattando contro
a la feroce / Roma dell’Orsa», implicitamente riferendosi alla
brama di Mosca di essere la “nuova Roma”, la “Terza
Roma”[82].
Negli anni
1848-1849, l’avversione,
l’odio quasi nei confronti della Russia alleata della Francia di Luigi
Napoleone che ha rovesciato la Repubblica Romana, è palpabile in Aurelio
Saffi, Giovanni Prati e Gabriele Rossetti, e si esprime attraverso i consueti
stilemi etnici: “Cosacco”, “Moscovita”, “boreal pontefice”, con allusione al
vento nefando e distruttore del Nord. All’opposto , Ferdinando Angelici, nelle sue Lamentazioni
Voti e Profezie sui patimenti della Santa Romana Chiesa e del suo Capo visibile
Pio Papa, in versetti biblici, mentre esalta il Papa “Re” della
nuova “Sionne”, fa l’elogio dell’Aquilone, il
Settentrione, indicando nello zar Niccolò I il protettore del
legittimismo, il «difensore de’ Troni vacillanti, il ristoratore
de’ caduti, il vincitore de’ popoli ribelli»(con giochetto di
parole su «Nicolaus, victor populorum»)[83].
Finita
miseramente la Prima guerra d’indipendenza, Il Gioberti si scaglia contro
i due nemici esterni dell’Italia, ambedue connotati come
“barbari”, popoli “boreali”,
dell’“orsa”: «L’Europa boreale, avvendo
riguardi alle potenze maggiori, si parte in due campi, l’uno liberale e
civile, l’altro dispotico e barbaro: di qua la Prussia e l'Inghilterra,
di là l’Austria e la Russia», quest’ultima come al
solito invisa sul piano religioso. E al proposito recupera gli stilemi etnici
tradizionali, “Croato” per gli Austriaci, e “Cosacco”
per i Russi[84].
Se «… il prevalere temporaneo della Russia è un caso
possibile», in base alle categorie “barbaro” e
“civile” (come Leopardi), ad essa, possibile futura nuova
Macedonia, riserva il compito di “incivilire” l’Asia (ponendo
però come condizione il ritorno al cattolicesimo)[85].
«La Russia, campata fra l’Asia e l’Europa culta e divenuta
quasi cosmopolitica rispetto al nostro emisfero, distendendo le sue braccia
sulle dette parti del globo, farà presso a poco verso di loro ciò
che l’antica Macedonia fece riguardo alla Grecia e alla Persia,
distruggendo nell’una la torbida libertà e nell’altra il
dispotismo orientale degli Achemenidi. Da questo doppio moto risulterà
un ordine nuovo, una civiltà nuova ... Né paia strano che la
Russia incivile e schiava possa essere principio di franchigia e di gentilezza
... Quando una mezza barbarie sopravince le nazioni culte, ella piglia una
parte della loro cultura ...». Rispolverando le ultime parole profetiche
di Napoleone «sui futuri destinati del mondo», afferma:
«Qualunque sieno per essere i successi futuri, egli è certo che il
loro esito finale sarà il livellamento di Europa non mica a Stato
dispotico ma popolare, e però verrà meno la dualità ed
antagonia presente fra l’Oriente barbarico e l’Occidente civile ...
L’Europa sarà livellata a popolo dalle nazioni occidentale o
dall’autocrate, per mezzo delle stirpe latina e germanica ovvero del
panslavismo … Il dilemma di Napoleone è dunque inesatto se si
discorre dell’esito definitivo, poiché la Russia vincitrice sarebbe
vinta dalla civiltà e l’Europa anche in questo caso non sarebbe
cosacca ma democratica»[86].
Minimizza la sua potenza, ed invita a non averne paura, l’Anonimo di Pochi frammenti sulle cose d’Italia.
1846-1849: «La Russia è il gran
colosso del settentrione … appare affatto posticcia quella decantata
grandezza. La Russia, invincibile nelle sue sterili regioni, ove la difende il
crudo cielo e lo squallido suolo, potrà scatenar le sue orde
sull’Europa, ma a patto che vi guerreggiano come gli antichi Sciti, non
che vi fondino imperi moderni … Crederanno quindi all’avvenire
della Russia quelli che credono che la barbarie possa prevalere ancora alla
civiltà, quelli che credono ad un nuovo Medio Evo … ma a chi crede
alla civiltà poco spavento infonderanno le migliaia di soldati di una
nazione disordinata nelle finanze … brutalmente governata, imitatrice
servile della Francia, di cui le alte classi cinguettano perfino
l’idioma. La Russia fra i suoi ghiacci è forte, come era forte la
China dietro il suo muro; ma se si avventurasse ad invadere il cuore
dell’Europa, l’Europa le darebbe tale insegnamento da ricacciarla
per molti altri secoli ancora nelle inospiti sue regioni». Anche Carlo
Pisacane (1851-55), nega che mai potrà allargare i suoi domini (una pia
illusione smentita dalla storia): «per la sua apparenza guerriera e per
le velleità dei suoi autocrati, c’indurrebbe a credere che un
giorno fosse destinata a compiere con la spada i decreti del fato; ma non vi
è popolo meno del russo adatto alla guerra, esso non è abbastanza
civile per sentire i stimoli della gloria militare; né tanto barbaro
d’abbandonare le proprie contrade e correre alla conquista di nuove
regioni; la volontà dell’autocrate basterà per esaltarlo in
difesa del proprio paese, non già per sformare in conquistatori un
popolo di servi. La Russia contribuisce a compiere quelle leggi fatali non
già con la guerra, ma col lento lavoro del commercio …».
All’opposto,
C. Correnti (1850), come afferma il Treves, guarda «all’affermarsi
della Russia, come un’antitesi, come il polo negativo della storia, di
un’autocrazia cesaro-papista, terza Roma o anti-Roma», mentre C.
Tenca (1853) le profetizza un avvenire imperiale, in lizza con gli Stati Uniti
d’America: «sarà forse uno spettacolo gigantesco, riservato
alle generazioni venture, l’antagonismo che prepara ai due mondi il
crescere di queste nazioni … la storia non ne offre altro esempio se non
risalendo alle colossali vicende degli imperi
dell’antichità»[87].
Un avvenire paventato dal Tommaseo ne Del
presente e dell’avvenire (1851),
possibile in base proprio ai postulati geografico-simbolici della translatio imperii: «La forza
materiale va dal Mezzodì al Settentrione: Persia, Macedonia, Roma,
Francia, Germania, Inghilterra. Forse verrà la stagione della Russia,
certo quella dell’America: e per l’America si ritornerà
all’Oriente, la culla del vero». Il serbo Tommaseo, che sin dalle
tradite speranze di libertà del 1831 mostra sempre un’attenzione,
anzi una preoccupazione viva nei confronti della Russia, negli anni ’50
mette in guardia la Grecia, attratta dalla sirena russa, ciecamente fiduciosa
in lei per ricostruire il suo sogno di un «impero bisantino (segnato da
secolare “impotenza obbrobbriosa”), cioè retrogradare al
medioevo», affermando che «se Russia prevale, Slavia e Grecia son
ite; se prevale la Slavia del Mezzodì, per lei si ricongiungono, dopo la
divisione lunghissima, l’Occidente ringiovanito e il risuscitato
Oriente». Ed aggiunge: «Se vuole essere Grecia davvero, la Grecia
deve congiungersi all’Occidente; perch’ella è il confine
dell’Oriente, Oriente proprio non è … ma se
dall’oriente trascorre a settentrione, e cerca nella Russia il suo Eden;
riscontrerà, invece del Cherubino con la spada fiammeggiante, un Cosacco
a cavallo, armato di knut»[88].
«Anche se nel ventotto la guerra russa contro la Turchia avea commossi a
consolazione grande gli uomini amici di novità; che credevano la Russia
fare opera conducevole all’incivilimento d’Europa …»,
la Russia attuale (riguardo alla quale negli anni ’30 aveva scritto
«a cui l’ignoranza de’ popoli è unica forza; degna
rivale ed erede dell’impero ottomano; la Russia, miscuglio
d’esotica eleganza e d’ingenita selvatichezza, mostro di due capi,
uno de’ quali è in Parigi, l’altro in Siberia, la Russia,
più sudicia, e da vera civiltà più lontana della Turchia,
la Russia che, appena d’Asiatica comincerà a diventare potenza
Europea, sarà morta»), per il Tommaseo è una
«monarchia bestialmente assoluta … più intollerabile che la
selvaggia aristocrazia mussulmana». E paradossalmente invoca la potenza
turca come argine al «torrente russo»[89].
La guerra di
Crimea, aperta dall’ultimatum di Napoleone III alla Russia il 10 aprile
del 1854 e conclusasi con la Pace di Parigi il 30 marzo 1856, cui partecipano
Inghilterra, Francia e il Piemonte (per A. Strozzi «il Franco, il Sardo,
e l’Anglico guerriero»), che riaprì le relazioni fra Francia
e Piemonte, è considerata dal Cantù, verrebbe da dire, una mera
operazione di realpolitik, dettata
dal desiderio di frenare le mire della Russia sull’impero turco: la
«conservazione della barbarie musulmana e della tirannide sopra le meglio
dotate contrade d’Europa, è creduta necessaria, perché
l’equilibrio europeo resterebbe scomposto ove la Russia si piantasse
sullo stretto de’ Dardanelli, nella città più bella, nella
capitale più opportuna del mondo». Ma, sempre secondo Cantù, la Russia,
potenza infida e sempre dalle oscure mene, mentre sembrava riporre «tutto
l’avvenire dell’impero in Oriente e l’influenza di esso
nell’Asia», mirava in effetti al Mediterraneo. Cosa di cui non si
avvidero Francia ed Inghilterra, mentre la Grecia, come altri paesi, vedeva in
lei «la stella polare» contro i Turchi, senza accorgersi che il
panslavismo era a tutto profitto della Russia[90].
Nel 1859, il
nemico da battere è l’Austria: contro la sua politica «vile
e tirannica», viene, diremmo, inventato un ruolo positivo della Russia di
Alessandro II nei confronti della nazionalità, dopo le angherie di
Nicola I[91];
improntato a prudenza l’intervento di Giuseppe Montanelli, che mette in
guardia contro la «scismatica Russia», mentre Mazzini aborrisce
addirittura la nuova alleanza franco-russa («Russia, incerta e malfida, e
nondimeno comprata a patto di concessioni liberticide …»)[92].
Il Cantù,
all’inizio Della Indipendenza
Italiana, nel sottolineare le colpe della Russia, prima fra tutte la
“servitù” in cui tiene la Polonia, fa risaltare la sua
sterminata ambizione di dominio, contro cui poco può fare l’Europa
disunita: «… la Russia allega l’uniformità di razza e
di lingua fra 80 milioni di Slavi, e ne trae ragione per tener serva la Polonia
e macchinare uno Stato gigantesco, a cui tutta Europa invano opporrebbe le sue
parziali unità»[93].
Il Nostro ritorna a più riprese, nella Storia universale, su questo immenso paese, nato dal mescolarsi tra
le due famiglie slave (Sciti e Sarmati) e Normanni[94],
sottolineando, nella redazione definitiva della medesima, come «fin dalla
cuna l’impero russo umiliava quel di Bisanzio, incessante scopo della sua
ambizione», citando al proposito Nicolò Karamsin, che nel
matrimonio suggerito dal Bessarione a Giovanni III con Sofia, figlia di Tommaso
Paleologo “rifuggito” a Roma, vede «con ciò Mosca
diventare un altro Bisanzio, e i gran principi acquistare i diritti dei greci
imperatori». Su Pietro il Grande (e Luigi XIV) incentra l’Epoca XVI
della Storia: grazie a lui la Russia entra nel cerchio dell’incivilimento
europeo, nella «famiglia occidentale», «col destino di
consumare il trionfo … sopra l’asiatica», la Turchia,
anch’essa inesorabilmente attratta “nel sistema politico
d’Europa”. Con lui «si apre l’êra nuova della
Russia»: «l’opera di Pietro è sotto gli occhi di
tutti; questo impero russo, che sovrasta minaccioso all’Europa»[95].
Di Caterina II fa la figura dominante dell’Epoca XVII, che vede il
prevalere del «Settentrione»; alla «filosofessa», che
«carezza i filosofi», imputa lo «sbrano d’un regno
elettivo, già antemurale del progresso meridionale contro le irruzioni
della stirpe slava …», la Polonia, e ne sottolinea la
«brama» di conquistare Costantinopoli quale «ristauratrice
della Grecia» («il desiderio di mutare i suoi geli
coll’incantevole clima dell’Ellesponto»)[96].
Per contrastare
la potenza della Russia, dalla Francia Ch. De la Varenne, cui pare stiano molto a cuore le
sorti dell’Italia (per la quale teme una nuova «invasion du Nord,
de ces Germains si avides de leur soleil e de leur argent»), anche contro
il potere temporale, (invocato invece da Joseph de Maistre e dal «non
moins pieux et non moins orthodox César Balbo»), caldeggia una
federazione latina in funzione anti nord e antirussa, nel nome di Carlo Magno,
imitatore di Augusto e Costantino, e del suo emulo Napoleone, cui concede di
essere italiano. E sogna «le refoulement du
bestial peuple d’Othman en Asie, et la constitution d’un gran
royame de Grece»[97].
La minaccia del panslavismo russo, mirante a
Costantinopoli, viene enfatizzata da Pietro C. Ulloa, Duca di Lauria, dopo la battaglia di Mentana (3 novembre
1867), battaglia che sembrò mettere fine alle speranze dei liberali
fidenti, contro la Francia, per loro nemica, nella Prussia e proprio nella
Russia[98].
Non crede nella sua potenza, perché priva di libertà,
virtù invece che informa gli Stati Uniti d’America, N. Gaetani
Tamburrini, che sostiene: «Guardate la Russia: dovrebbe essere il
più potente e il meglio organato dei governi, poiché la sola
volontà dell’imperatore vi è legge: eppure vediamo che
questo governo non è per nulla il più forte. Scoppi una guerra, e
un paese libero come la Gran Bretagna, ha più risorse e a un tempo
più forza ed energia che la Russia»[99].
Negli anni
’80, Aurelio Saffi sottolinea l’aumento dell’influenza di
Russia, già grande con Pietro e Caterina II, miranti alla
«restaurazione dell’Impero Bisantino» a scapito
dell’impero turco, contro la quale si è mosso invano Napoleone[100],
e dell’Inghilterra, i cui rivali appetiti hanno segnato l’inizio
della «grande questione d’Oriente, che domina, può dirsi, il
secolo»[101].
Una situazione già prospettata agli inizi degli anni ’40 dal
Cattaneo, che al proposito fa propria
l’opinione di «tutti gli scrittori moderni», che «i due
colossi europei, il britannico e lo slavo si vanno sempre più
avvicinando … debbono un dì cozzare su l’altipiano
dell’Asia», intanto, «già le produzioni delle
due industrie si contendono gli appartati bazari di Chiva e Samarcanda»[102].
Saffi concorda con Mazzini che contro il Panslavismo, «contro il pericolo
della invadente Autocrazia moscovita», «l’ingerenza moscovita
<che> veste, fra gli Slavi del Sud, per affinità di razza e
religione, le parvenze del protettorato nazionale» come la definisce
l’illustre Ligure, si devono muovere di concerto la Germania,
l’Italia con la Grecia e gli Slavi tutti.
Dalle
testimonianze presentate, si può concludere che alla fine del secolo,
segnata dalle esperienze cruciali della Repubblica francese, e soprattutto
della ricostruita unità d’Italia e Germania, viene riproposto un
blocco delle nazioni del Mezzogiorno, latine e slave, ma anche tedesche, contro
un Settentrione che viene identificato nella Russia. La Russia è la
potenza da tenere sotto stretta osservazione, con i suoi appetiti che spaziano
dal Bosforo, da Costantinopoli sempiterna chiave verso l’Asia come verso
il Mediterreo, al canale di Suez, tramite il quale potrebbe arrivare
all’Africa come all’Asia meridionale. Con queste manovre essa
allargherebbe a dismisura la sua influenza e il suo potere, sarebbe un Colosso,
un Moloch pauroso. Ma l’alleanza delle nazioni del Mezzogiorno non si
farà, e Cesare Cantù non può che constatare
l’aumento della potenza russa in Asia, ed illudersi che la colonizzazione
sia un’opera civilizzatrice, un ritorno ad Oriente, verso la culla
primigenia della civiltà, posizione già del Mazzini fatta propria
dal Saffi: «Un moto inevitabile, Ei notava, conduce l’Europa a
riportare all’Asia la civiltà, della quale le migrazioni Ariane
portarono i primi geni nelle nostre terre privilegiate, e ad incivilire ad un
tempo le regioni Africane. Ma l’espansione colonizzatrice nostra ad
altrui dovea essere espansione d’industrie, di commerci,
d’umanità, non di violenza»[103].
Poteva quindi
concludere: «Se la civiltà venne inoltrandosi da oriente a
occidente, è mirabile l’inclinazione che sempre ebbe a tornare
verso le sue sorgenti … Alessandro poneva la sua città dove
l’istmo di Suez fa argine ai mari che recano all’estremo Oriente;
Costantino sceglieva sul Bosforo un nuovo nido all’àquila romana,
nido che poi dovevano disputare i Crociati, i Mongoli, i Turchi, i Russi; i
califfi dalla penisola natia mutarono a Bagdad o a Bàssora la sede del
loro impero e il gran banco del loro commercio; i Franchi cercarono piantare la
croce in Palestina e sulle coste della Siria; Colombo e Vasco de Gama movevano
per l’opposta direzione alla ricerca del medesimo paese; per trovarvi un
passaggio più breve si ostinano gli uomini contro i ghiacci eterni del
polo artico. Oggi stesso vedete la Russia e l’Inghilterra, uniche potenze
conquistatrici, allungarsi di continuo, l’una pel Caucaso, l’altra
per l’India, mentre guatano con cupidigia l’aperto varco di Suez e
il Bosforo. L’Inghilterra siede tiranna di quell’immensa regione
che sta dall’Indo al Bramaputra e dal mare Indiano alle montagne del
Tibet … La Russia occupa il pendìo settentrionale
dell’antico continente … e … si prepara a spingere nella Cina
le orde che altre volte la conquistarono, ma dopo averle incivilite
…»[104].
[1] V. MARTINELLI, Lettera XVII. Sulla influenza dei climi
sulla società civile (1748), in Letterati,
memorialisti, viaggiatori del Settecento,
La letteratura italiana. Storia e testi, vol. 47, a cura di F. BONORA,
Milano-Napoli 1951, 888; G. PARINI, Sul
“Tableau de l’Histoire moderne” del Cav. Di Mehegan, in Tutte le opere edite ed inedite di Giuseppe
Parini, raccolte da Guido Mazzoni, Firenze 1925, 638 col. 2, 640 col. I;
B.M. CALURA, In onore delle Belle Arti.
Abbozzi di laudazioni, Venezia, Dalla Fonderia e Stamperia Parolai, 1814,
VII, 38: «A cotanto disordine vi si aggiunge la improvida fondazione di
una seconda metropoli sulle rive dell’Ellesponto …» (cfr. G.
MINARDI ZINCONE, Translatio imperii e
translatio studii. Sopravvivenza ed attualizzazione del tema nella Letteratura
italiana tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento,
L’Aquila 2005 (d’ora innanzi citata come Translatio),
Introduzione, 24 n. 47; cap. I. Giuseppe
Parini, 45, 47).
[2] M. PIERI, Storia letteraria.
Lezione seconda. Prospetto generale della Letteratura dalla fondazione di
Costantinopoli al Mille cento, in Opere varie inedite, Firenze, Coi
Tipi di Felice Le Monnier, 1851, vol. III, 382: «La traslazione della
sede dell’Impero da Roma in Costantinopoli è stimata una delle
cause principali del decadimento delle Lettere in Europa», 383:
«Egli sembra che neppur la Greca Letteratura abbia tratto profitto dalla
traslazione della sede dell’Impero».
[3] C. LUCCHESINI,
recensione a Istoria della letteratura
greca profana, dalla sua origine sino alla presa di Costantinopoli, fatta dai
Turchi, con un compendio istorico del trasportamento della letteratura greca in
Occidente. Opera di F. Schoell recata in italiano, per la prima volta, con
giunte ed osservazioni critiche, da Emilio Tipaldo Cefaleno, Venezia,
Presso gli editori Milesi-Antonelli, co’ torchi della tipografia di
Alvispopoli 1824, Antologia, Firenze, Tipografia di Luigi Pezzati, vol.
XIX, N.° LVI. Agosto, 1825, 19 (l’opera è recensita anche in Biblioteca Italiana. Giornale di Letteratura
Scienze ed Arti, Milano, Anno X (1825), t. XXXIX, 410 ss.); L. S. D. I.,
recensione a Storia delle relazioni
vicendevoli dell’Europa, e dell’Asia dalla decadenza di Roma fino
alla distruzione del Califfato, del conte Gio. Batista Baldelli Boni, Parte
prima e parte seconda, 2 vol., vol. XXXIV, N.° 100. Aprile 1829, 7:
«Dopochè Costantino ebbe trasferito la sede dell’impero in
Bisanzio …».
[4] Le dieci epoche della storia
dell’Italia antica e moderna, di A. Quadri I. R. segretario del Governo
di Venezia, Biblioteca Italiana,
Anno XI (1826), t. XLIII, 157-8, ripresa in Le
dieci Epoche della storia d’Italia antica e moderna di Antonio Quadri.
Fascicolo I. Epoca I., Anno XII (1827), t. XLV, 249-50 (cfr. G. MINARDI
ZINCONE, Translatio, cap. V. Il “Conciliatore”
e la “Biblioteca italiana”, 181).
[5] In Antologia,
S. TICOZZI, recensione a Storia
dell’arte dimostrata coi monumenti dalla sua decadenza nel IV secolo fino
al suo rinnovamento nel XV, di G.B.L.G. Seroux D’Agincourt. Prima
traduzione italiana, Prato, per i fratelli Giachetti, 1826-28, vol. XXXI,
N.° LXXXI. Luglio 1828, Articolo
I, 43-4: «… le cagioni che apparecchiarono di lontano la prima
epoca del grande decadimento loro (scil.
delle arti) in principio del IV secolo, l’ultima delle quali e la
più prossima fu il traslocamento della sede dell’impero da Roma a
Costantinopoli», con conseguente decadenza dell’arte
nell’impero d’Oriente; K. X. Y., recensione a Histoire moderne de la Grèce depuis la chute de l’Empire
d’Orient par Jacovaki Rizo Néroulos, Ancien premier ministre des
Hospadars grecs de Valachie et de Moldave, Genève 1828, vol. XXXII,
N.° XCIV. Ottobre 1828, 83:
«Come colui che fuggendo da luogo infesto, porta seco le vesti tocche dal
veleno mortale, Costantino trasportò seco a Bisanzio i vizi intrinseci
di quella tirannide imperatoria, a cui Roma doveva tanti mostri, l’Italia
tanta vergogna … l’impero d’Oriente, fu mutilato dal ferro
fratricida de’ Crociati, prima che lo sterpasse il torrente
Ottomano», 84: «Maometto II siede sul trono di Costantino …
inumana tirannide de’ Latini»; G. P., recensione a Costantinopoli, e il Bosforo Tracio. Opera
del generale Andreassy, Parigi 1828, Antologia,
vol. XXXIII, N.° XCVII. Gennaio
1829, 74-101; 75: «Quando Costantino vedovò Roma trasferendo la
sede imperiale in Bisanzio, una costernazione universale invase Italia e tutte
le provincie occidentali dell’Imperio, che presentiano tutti i flagelli
futuri di quell’abbandono. Non minore costernazione invase tutta la
cristianità allorchè nel 1453 il II° Maometto spense
l’estremo anelito dell’Imperio greco. Non mai nè Troja
nè Gerusalemme nè Roma ebbero nelle loro vicende
un’influenza sul comune sentire delle genti degli stati, uguale a quella
che ebbe ad ha Costantinopoli ad ogni fortuna, che sembri favorirla o
minacciarla», 86: «“Al nome di Costantino, dice Andreassy, si
risveglia la ricordanza d’un’era nuova, e di un nuovo
memorevolissimo ordine di cose”. Noi diremo che ad un tal nome svegliasi
la memoria della radice di tutti i disastri d’Italia, che seco loro
trassero quelli dell’intero Occidente. Costantino fu sol grande quando
<adottò> la nuova professione popolare … La nuova
città fu composta intorno al nuovo tempio … Costantino adunque fu
grande nel riconoscere e dar legalità al volere universo del popolo
… Ma perdè tanto merito vedovando l’Italia con Roma,
sbranando l’imperio, e lasciando imberberirsi l’Occidente con
cotando abbandono», 87, le «perenni controversie religiose»
che dilaniarono «la Chiesa o riunione orientale … Infine la civile
scisma fra’ due imperi operò ciò che dovea operare; lo
scisma nell’unità della Chiesa o riunione universale»; L. S.
D. I., recensione a Storia delle
relazioni vicendevoli dell’Europa, e dell’Asia dalla decadenza di
Roma fino alla distruzione del Califfato, del conte Gio. Batista Baldelli Boni,
Parte prima e parte seconda, 2 vol., vol. XXXIV, N.° 100. Aprile 1829, 7: «Dopochè
Costantino ebbe trasferito la sede dell’impero in Bisanzio
…». S. BALDACCHINI GALGANO,
Orazione il lode di Cristoforo Colombo scopritore del Nuovo Mondo, Milano,
dalla Tipografia di Gio. Batt. Bianchi e Comp., 1825, 103 pp., sorta di
ricapitolazione storica, in cui sono menzionate per le diverse qualità
Tiro, Troia (grazie alla quale abbiamo “la divina Iliade”),
Babilonia, l’Egitto, la Grecia, Italia e Roma; 6: «Il Signore del
mondo stanco d’esser romano ferma sua dimora nella Tracia, e
favoreggiando que’ barbari, che mostravano ancor vive sul tergo
l’orme vivissime della sferza latina, fiacca l’orgoglio del Tebro e
lo svilisce», atto cui fa seguito il predominio del cristianesimo. L’architettura descritta e dimostrata
coi monumenti dell’architetto Luigi Canina, in Biblioteca Italiana, Anno XV (1831), t. LXIV, 226 (cfr. G. MINARDI
ZINCONE, Translatio, cap. V, 182 n.
559).
[6] Recensione a Studj sulla storia delle arti, ossia Quadro
dei progressi e della decadenza della scultura e della pittura presso gli
antichi durante le rivoluzioni che agitarono la Grecia e l’Italia, opera
di P.I. Dechazelle. Prima versione italiana, in Biblioteca Italiana, Articolo II, Anno XXII (1837), t. LXXXVI, 44; Themistii philosophi Oratio in eos a quibus
ob praefecturam susceptam fuerat vituperatus. Inventore et interprete Angelo
Maio, Anno I (1816), t. I, 320, (cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio, cap. V, 180-1).
[7] Recensione a Gli sposi fedeli, storia
italo-gotica-romantica del cavalier Angelo Maria Ricci, seconda edizione, Biblioteca Italiana, Anno XXII (1837),
t. LXXXIII, 94 (cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio,
cap. V, 182).
[8] L. BORRINI,
recensione a Il Cadmo. Poema di P.
Bagnoli professore di lettere greche e latine nella I. e R. Università
di Pisa. Continuazione, in Antologia,
vol. IV, N.° X. Ottobre 1821, 142 str. I. Ugualmente l’ARICI, Brescia romana, Alcune poesie di Cesare Arici, professore di filologia, ecc., in Biblioteca Italiana, Anno XII (1827), t.
XLVI, 405-6, rimprovera a «D’Elena il figlio» l’aver
recato «dal sacro Tebro al lito inauspicato/Di Bisanzio …
l’aquila e i segni/De la vittoria e i santi auspici e l’are …»
(cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio,
cap. V, 182).
[9] Recensione a Dell’istoria dell’Italia antica
e moderna del cav. Luigi Bossi, Biblioteca
Italiana, Anno VI (1821), t. XXI, a proposito del vol. X, 110:
«… sulla caduta del medesimo <impero>, l’epoca della
quale si stabilisce nel trasporto
della sede dell’impero stesso a Costantinopoli … decadimento
continuo dell’impero fino a Diocleziano, e la fatale sua divisione, non
riparata, ma confermata anzi ed accresciuta da Costantino»; del vol. XI,
cap. III, 112: «… nel quale esponendosi la storia d’Italia
dalla traslocazione della sede dell’impero a Costantinopoli sino
all’epoca di Carlo Magno …» (cfr G. MINARDI ZINCONE, Translatio,
cap. V, 181 n. 559). K. X. Y., recensione a Histoire
moderne de la Grèce depuis la chute de l’Empire d’Orient par
Jacovaki Rizo Néroulos, Ancien premier ministre des Hospadars grecs de
Valachie et de Moldave, Genève 1828, Antologia, vol. XXXII, N.° XCIV. Ottobre
1828, 83: «Come colui che fuggendo da luogo infesto, porta seco le vesti
tocche dal veleno mortale, Costantino trasportò seco a Bisanzio i vizi
intrinseci di quella tirannide imperatoria, a cui Roma doveva tanti mostri,
l’Italia tanta vergogna …», 84: «Maometto II siede sul
trono di Costantino …». Le cause della decadenza dell’Impero
romano vengono individuate nelle discordie interne da G. P., recensione a Storia dell’Impero Osmano ec. Del
cavaliere de Hammer, ibid., vol. XLI, N.° 121, Gennaio 1831,
86-7.
[10] G.B. VICO, Principi di una Scienza nuova (1725), in
Opere di Giambattista Vico, a cura di
A. Battistini, Milano 1990, t. II, § 343, 1142. Penso sia preferibile la
suggestione vichiana rispetto all’ulteriore precedente di F. TESTI
(1593-1646), L’Italia
All’invittissimo e gloriosissimo Principe Carlo Emmanuele di Savoia,
ne I Lirici del Seicento e
dell’Arcadia, a cura di C. CALCATERRA, Milano-Roma 1936, 333-4:
«Ben fu pronto a’ miei danni e troppo ardito/Quel che spinto da
insania e da disdegno/Il mio scettro divise, e in altro lito/Di nuova monarchia
traspiantò il segno» (cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio, Introduzione, 38-39).
[11] V. MONTI, La Palingenesi politica, in Opere, La letteratura italiana. Storia e
testi, vol. 54, a cura di M. VALGIMIGLI-C. MUSCETTA, Milano-Napoli 1953, 261
vv. 66-8; F. MARIOTTINI, I Congressi del
Monte Sacro. Congresso Primo del primo semestre sul presente Governo in Roma.
Anno VII repubblicano, 59 (cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio, capp. II. Vincenzo Monti, 89, III, 120).
[12] F. BENEDETTI, Orazione alla Sacra Lega Intorno alle cose
d’Italia in occasione del Congresso di Aquisgrana, in Opere
di Francesco Benedetti pubblicate per cura di F.-S. Orlandini, Firenze,
Felice Le Monnier, 1858, vol. II, Prose,
434-6.
[13] G. LEOPARDI, Zib. 739-740, 752, 982, 995: «Roma
e l’Italia spiantata delle sue sedi, si trasportò nella stessa
Grecia», 1095, in Zibaldone di
pensieri, a cura di F. FLORA, Milano 1961, VI ed., vol. I, 517, 523, 658-9,
668, 736.
[15] ID., Zib. 2121, 2698: «togliendole il
suo centro e modello ch’era Roma», vol. I, 1305, vol. II, 50) (cfr.
G. MINARDI ZINCONE, Translatio imperii e translatio
studii nell’opera di LEOPARDI,
in Popoli e spazio romano tra diritto e
profezia, Da Roma alla Terza Roma. Documenti e Studi, Napoli 1986, §
1. Introduzione, 595, § 5,
610-1). Costantino viene evocato a proposito della purezza della lingua latina
da M., recensione a Cours de
Littérature Française par M. Villemain, Paris, Pichon et
Didier 1830, Antologia, vol. XLII,
N.° 125, Maggio 1831, 52: «Nè la lingua da lui usata era
quella usata già da Catone; nè, qualunque pur si fosse, ei potea
più serbarle l’antico onore, dopo averlo tolto alla città
che n’era la sede».
[16] G. LEOPARDI, Paralipomeni, Canto III, str. 31, Epigramma, in Tutte le opere, con Introduzione e a cura di W. Binni, con la
collaborazione di E. Ghidetti, Firenze 1969, vol. I, 263, 326 (cfr. G. MINARDI
ZINCONE, Translatio imperii e translatio
studii nell’opera di LEOPARDI,
cit., 611).
[17] Anonimo, Del
sentimento nazionale in Italia. Ragionamento di un Siciliano, Lione 1846,
cc. XVIII-XIX, 18-9, 31-2 n. 6: «Il Machiavelli parlando di Costantino
dice: “Sendo adunque l’imperatore diventato Cristiano e partitosi
da Roma, e gitone in Costantinopoli, ne seguì come nel principio
dicemmo, che l’imperio romano rovinò più presto, e la
Chiesa romana più presto crebbe”. Istorie fiorentine, lib. 1. Non si può con maggior
precisione determinare gli effetti del gran’atto di Costantino. Dante, Paradiso, c. 20, vv. 56-57 … Ed in
fine del secondo libro della Monarchia
esclama: “O felicem populum, o Ausoniam te gloriosam, si vel numquam
infirmator ille imperii natus fuisset.” … Il buon Giambullari, Istorie d’Europa, lib. 1, dopo
aver a ragione lamentato la traslazione operata da Costantino … loda il
terzo Leone, pontefice, per il ristabilimento dell’imperio di Ponente
… Meglio si oppone l’egregio C. Balbo, Vita di Dante, c. 1, deplorando quella restaurazione … Ma a
voler rintracciare la causa prima di questi effetti non conviene forse risalire
alla traslazione della sedia dell’imperio a Costantinopoli?».
[18] Istoria dell’Europa di messer
Pierfranco Giambullari, dal DCCC al DCCCCXII. Testo di lingua, in Biblioteca Italiana, Anno VIII (1823),
t. XXXII, 401: «La veneranda maestà dell’Imperio,
dic’egli, dalla invitta virtù di Cesare primieramente fondato in
Roma, stabilito da Augusto … si mantenne in somma grandezza ed in
reverenza dello universo, sino a tanto che Costantino, di che sempre dolere si
debbe la bella Italia … invaghitosi …» (cfr. G. MINARDI
ZINCONE, Translatio, Introduzione,
38-9 n. 82).
[19] Del Papato e dell’Italia. Discorso di
Eugenio Alberi, Firenze 1847, 16 (cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio, cap. VI. Niccolò TOMMASEO, 211 n. 648). Della sovranità e del governo
temporale dei Papi. Libri tre di Leopoldo Galletti, Seconda ed.,
Capolago-Losanna, 1847, preceduta da una “Lettera dell’Autore al
Marchese Gino Capponi”, indicante in Pio IX, 7, l’iniziatore di
«un’êra novella», 271 pp.; L. I, Sez. I. Indagine storica, capp. I, 49, II, 23,
III. Della sovranità temporale dei
papi, dalla translazione della Santa Sede in Avignone fino a Sisto IV, 39:
anche questa, «infausta traslazione, equiparata dai contemporanei alla
cattività di Babilonia …». Cfr. anche F. S., recensione a Histoire
des français par J.C.L. Simonde De Sismondi, Paris 1821 e seg. -
Art. II,
vol. XXV, N.° LXXV. Marzo 1827,
81-2, Pipino, 86-95, Carlo Magno, 88: «Gli scrittori del tempo, ed i
monumenti della storia ecclesiastica, fanno credere che Carlo confermasse la
donazione di Pipino … Si può peraltro assicurare che in quei tempi
i papi non esercitassero assoluta
sovranità, ed a guisa degli altri grandi di Italia riconobbero
l’alto dominio di Carlo, il quale intervenne quasi sempre come superiore
negli affari di Roma».
[20] V. GIOBERTI, Della
Nazionalità Italiana. Con Addizione, Livorno, S. Berlinghieri, 1847,
Appendice. Della nazionalità in proposito di un’operetta del P.
Luigi Taparelli D’Azeglio (con la replica: Della
Nazionalità. Breve scrittura del P. Luigi Taparelli d’Azeglio.
Rivista ed accresciuta notabilmente dall’Autore con una risposta del
medesimo alle Osservazioni di Vincenzo GIOBERTI, Edizione Seconda, Firenze, Presso Pietro Ducci, 1849), 12, 36,
60-1: «la nazionalità d’Israele è il tipo più
perfetto di quante mai furono»; Appendice, 36, 96 e n. 1:
«L’idea era antica, e senza parlar di Diocleziano, che
cominciò ad effettuarla, essa risaliva ad Augusto e a Cesare.
All’immaginazione del dittatore arrideva il concetto di trasportare il
seggio nell’orientale sua culla, quasi ricorso alle origini … e
alla sua politica non doveva dispiacere di sottrarre il capo dell’imperio
dalle influenze dei Pompeiani …»; positivamente, Cesare legava il
trasferimento all’«ampliamento romano sino alle ultime confine (sic) dell’Asia», mentre
«per Augusto, che impicciolì e immediocrì tutti i concetti
del suo padre adottivo, Ilio non fu che una tradizione domestica
…», 97: «L’Italia è il popolo eletto, il popolo
tipico, il popolo creatore, l’Israele dell’età
moderna». Da ricordare che tutte le opere del Gioberti vennero prima o
poi messe all’Indice.
[21] ID., Lettera Ad Agostino Biagini. Di Parigi, ai 12 di maggio 1834, in Epistolario filosofico, a cura di S.
BONAFEDE, Palermo, 1970, 258-9: «Ma, siccome non i Vandali, non i Goti,
ma il Cristianesimo nato in Oriente e traslocato a Roma …», a
proposito della positività dell’agire; Teorica del sovrannaturale o sia Discorso sulla convenienza della
Religione Rivelata colla mente umana, Brusselle, 1837, Dalle Stampe di
Marcello Hayez, 1838, CX, 121-2, il Cristianesimo «nato in Palestina, e
piantato subito in Roma sedia della civiltà grecolatina …»,
per poi espandersi oltre i confini dell’impero, 423-424 n. 59: «Due
piccole nazioni nell’antichità furono prescelte dalla Provvidenza
a svolgere l’elemento naturale, e il sovrannaturale, e a diffonderlo per
tutto il mondo. La Grecia e la Palestina poco lontano dal Caucaso nativo, e
situate nella parte centrale del nostro continente … erano acconce
geograficamente a quella doppia impresa», «La nazione ebrea …
fu la più pura delle famiglie semitiche … La nazione ebrea
produsse il Cristianesimo. La repubblica romana si unificò
nell’impero, e il Cristianesimo nel papato. L’imperio romano e il
Cattolicismo, la civiltà greca, e la teocrazia ebraica, l’elemento
naturale e il sovrannaturale produssero la moderna civiltà europea.
Questi due elementi centrali, usciti dall’oriente, si avviarono verso
l’occidente presso i popoli progressivi, e vi si dilatarono immensamente.
Infatti il Giudaismo uscì dalla Caldea* (n.*: Gen. XI, 28, 31,
l’uscita di Abramo da Ur dei Caldei) e dall’Arabia, per accasarsi
in Palestina; la civiltà greca ricevette le prime mosse dall’Asia
minore, dalla Fenicia e dagli Egizi»; Della
Protologia di Vincenzo GIOBERTI, Napoli-Torino, 1861, vol. I, Prefazione di G. Massari (prima
edizione: Della Protologia di Vincenzo
GIOBERTI, pubblicata per cura di G. Massari, Torino-Paris, 1837), vol. II,
Saggio IV, cap. IV. Progressi, 153:
«Il Cristianesimo e l’Impero romano furono coetanei, e concorsero
del pari a questo grande atto dell’unificazione, l’uno come erede
della civiltà pelasgica, l’altro come creatore della
civiltà nuova. L’unione del Pelagismo e del Palestinismo
(Indogermani e Semiti, le due prime razze del globo) si vede nel concorso di
quei due istituti alla stessa opera. Cesare e Cristo miravano diversamente allo
stesso scopo», Saggio V, cap. IV. Epilogo,
398: «Due sono i centri generatori della storia, cioè Gerusalemme
e Roma»; Introduzione allo Studio
della Filosofia, 1840, in Opere edite
ed inedite di Vincenzo GIOBERTI, Brusselle, Dalle Stampe di Meline, Cans e
Compagnia, 1844, vol. I, Proemio, 45,
299 n. 18, vol. III, cap. VI, 211: «L’Idea … ricomparve tra i
primi <Semiti> e gl’Indopelasghi, (ramo dei Giapetidi), e
instituì il Cristianesimo. Il Giudaismo fu asiatico, e il Cristianesimo
principalmente europeo: l’uno orientale e l’altro occidentale
…»; Del Primato morale e
civile degli Italiani per Vincenzo GIOBERTI, 1842, Brusselle, Dalle Stampe
di Meline, Cans e Compagnia, Terza Edizione, 1844, Parte Prima, 15: «… Noé e il Cristianesimo segnano
i due estremi di quella effusione continua del lume sovrannaturale, che ebbe
luogo dopo il diluvio…», 17-18: «… da Israele, quando
ricusò di riconoscere l’adempimento delle promesse, i suoi
privilegi per volontà del testatore, passarono alla Chiesa cristiana
…»; Parte Seconda, 116: «L’antichità infatti,
che comincia coi Noachidi della Mesopotamia, e colle propaggini iraniche,
egizie, indiche e caldee dei Giapetidi sottentrati ai Semiti e ai Camiti,
finisce in Occidente colla stirpe pelasgica d’Italia e coll’imperio
di Roma … E Roma, divenuta per opera di Pietro non già colonia, ma
reggia e metropoli del Cristianesimo, fu il Primo del nuovo periodo,
com’era stata l’ultimo dell’antico. D’altra parte Roma,
conquistando una parte notabile dei paesi del Levante … compiè il
moto regressivo già tentato dai rami pelasgici degli Elleni e dei
Macedoni, ai tempi di Giasone e del figliuolo di Filippo. Perciò la
storia innanzi all’Evangelio rappresenta successivamente due moti
opposti, l’uno dell’Asia verso l’Europa … terminato
colla spedizione di Serse … l’altro dall’Europa verso
l’Asia, principiato dagli Argonauti, da Alessandro e dai Romani, e
durante ancora ai dì nostri. Pel primo l’Oriente creò
l’Italia e l’Europa … pel secondo l’Italia e
l’Europa sono destinate a redimere l’Oriente. Ma se l’Oriente
fu il Primo etnografico universale, non si può già credere che
debba esser l’ultimo … Perciò la finalità della
storia è oggimai un privilegio d’Europa e specialmente
d’Italia, suo centro e suo capo»; Del Buono, 1843, in
Opere edite ed inedite di Vincenzo
GIOBERTI, Brusselle, Dalle Stampe di Meline, Cans e Compagnia, vol. XIII,
1843, cap. VIII. Del Buono considerato nelle sue attinenze colla scienza
prima e ultima, 321; Prolegomeni
del Primato morale e civile degli Italiani, 1844, Unione Tipografico-Editrice, Torino
1926, Introduzione e note di G. Balsamo-Crivelli, vol. I, 97-8, la
“ruina” dell’impero romano causata, «dal mancamento di
un’autorità religiosa», talché «ogni culto
umano sarebbe perito senza riparo … se una mano celeste non fosse discesa
in aiuto della civiltà boccheggiante, sostituendo la città sacra
e sacerdotale alla ribalda ed immonda capitale dei Cesari»; Cenni sulla «Filosofia della
Rivelazione», 1844-1849, in Pagine
scelte edite ed inedite,
Prefazione e note di Pier Angelo Menzio, Torino 1922, 409 n° 21: «Il
Cristianesimo come cosmopolitico e perfetto fu la sintesi del Giudaismo,
dell’orientalismo e del pelagismo. Tolse dal primo
l’immortalità della nazione; dal secondo
l’immortalità della specie come una; dal terzo
l’immortalità dell’individuo»; Del rinnovamento civile d’Italia, scritto a Parigi nel 1851, a cura di F.
NICOLINI, Scrittori d’Italia 14, Bari 1911, vol. III, L. II, cap.
X, 209, il cristianesimo: «germe orientale ma innaturato all’Italia
da lungo tempo ... E il Cristianesimo ... considerato anche solo
filosoficamente, ci si affaccia come il ristauro legittimo dell’Oriente
primitivo».
[23] C. TROVA, Dei primi popoli barbarici. Epilogo della
Storia d’Italia, dedicata a Giacinta Simonetti, Contessa di Brazza,
in Del Veltro allegorico di Dante e altri
saggi, a cura di C. PANIGADA, Bari, 1932, Scrittori d’Italia, II,
cap. 9, 134: «<Costantino> trasferì le imperiali tende fra
le mura di Bisanzio, e piantovvi la nuova Roma, che sol dall’antica
trasse tutt’i diritti e tutti gli onori … favola della sua
donazione. Questa favola conteneva una gran parte di vero, accennando ad una
potestà novella, tutta intellettuale, che in Roma sorgea fin
d’allora, ma che non appariva pur anco agli occhi delle genti».
Anonimo, Poche cose sulla
sovranità e governo temporale del Papa, Roma, Nella Tipografia
Rocchetti e C., 1849, con Imprimatur, § II, 16-8, a proposito di Arnaldo
da Brescia e del Concilio di Costanza contro Wicleff che asseriva: «- Che Papa Silvestro, e Costantino, errarono
dotando la Chiesa. – Imperciocchè fu supposizione di S.
Bernardo, di Dante, e di altri antichi, come pure di Wicleffo, che S. Silvestro
ebbe la dotazione del patrimonio di S. Pietro dall’imperatore Costantino
…», afferma che il potere temporale, necessario, non è in
contraddizione con le Sante Scritture; § IV, 48, il governo papale:
«non influì sulla nazionalità di quel popolo (scil. greco),
il quale avvegnachè con buono augurio avesse veduto la sede del Romano
imperio trasferita da Costantino in una provincia Greca, nella Tracia
acquistata dal genitore del grande Alessandro al regno di Macedonia, pure non
potè mai risorgere alle pristine sue epoche illustri … Ottomani, i
quali distrussero l’impero d’Oriente», Annotazioni, 62, elenco di «Autori, che trattano
dell’origine e giusti titoli del dominio temporale dei Papi, e della
civile giurisdizione, ed influenza da loro esercitata sul governo temporale da
Costantino fino ai tempi di Pipino», 63, Pipino e Carlo Magno
«resero più esteso il dominio temporale del Pontefice»;
§ III, 26-7, d’accordo con Bossuet e la sua difesa della
sovranità papale, a Napoleone Primo Console attribuisce la
volontà di cooptare il papa in una lega «offensiva, e difensiva
contro gl’Inglesi»; § IV, 50: «… come risulta
dalla Storia profana, e dalle divine scritture (citati in nota anche Dan. 2 e 8) per riguardo agli Assiri, ai
Medi e Persiani, ai Greci, ai Romani» sono molti i mezzi «di cui
Iddio nell’ordine della Provvidenza suole servirsi per sollevare, od
abbassare or questa, or quella nazione, dividendo, e ragguagliando così
fra i popoli i beni della terra, co’ quali sa compensare anche le
virtù puramente umane». C. CANTÙ, Della Indipendenza, cap. LXI, cita il Codex diplomaticus dominii temporalis sanctae sedis, (756-1793) del
padre Agostino Theiner, che data la sovranità dai Pipinidi.
[24] V. GIOBERTI, A Pio IX. Frammenti (Dall’Italiano),
s.l. e d., dopo il ’49, 16 pp., 11; Della
Riforma Cattolica, 1856, 28, XX. A. SAFFI, Letture sull’Italia date a Londra e in Iscozia nel 1857, Letture storiche sul Medio-Evo, in Ricordi
e scritti di Aurelio SAFFI.
Pubblicati per cura del Municipio di Forlì, Firenze, Tipografia di
G. Barbèra, vol. IV (1849-1857), 1899, I, 299: «venuto meno, con la
vita di Carlo Magno, il tentativo di organizzazione Imperiale-Cattolica, con
che egli e la Corte Romana decorarono sotto una specie di ammanto bizantino la
barbarie Occidentale …», 300: «... falsa e terrena estensione
della Chiesa … prima di Carlo Magno … nuove concessioni di terre
fatte alle medesime (scil. Chiese) dagl’Imperatori carolingi
…». Cfr. anche Il Papa.
Questioni odierne per Monsignor De Ségur, versione Italiana, s.d. e
l., § V, 6-7, Pipino e Carlo quali iniziatori del governo temporale, e Napoleone
I come favorevole. Sarcastico l’Anonimo di L’Imperatore, Roma e il Re d’Italia, senza d. e l. (ma
a 17 si cita la «spedizione di Roma», del 1849), favorevole a Roma
capitale, III, 15: «Se egli (scil. il papa) invoca la donazione di
Carlomagno, allora gli si risponde: ciò che Carlomagno aveva dato,
Napoleone lo ha ripreso».
[25] V. GIOBERTI, Del Primato morale e civile degli Italiani,
cit., Proemio, 5, i Greci «la
cui moltiplice gloria non fu oscurata da una servitù millenare
…», 34, il clero bizantino
«sottrattosi alla mite signoria di Roma, soggiacque al dispotico
capriccio de’ suoi principi», al pari dell’anglicano, del
russo e del greco; Parte Seconda, 29: «Il coloniale Bisanzio,
sorto sugli avanzi di un borgo tracio, e divenuto in appresso una sontuosa
metropoli, campata sui confini dell’Asia e dell’Europa e sedia
orientale del romano imperio, ereditò il fiore della greca e della
latina coltura, il quale vi perseverò quasi intatto dagli assalti
de’ barbari. Lande mentre Roma era interamente presa e devastata da
Genserico, da Odoacre, da Alarico, da Totila e da Arnolfo, e soggiaceva per
qualche tempo, come il resto d’Europa, alle tenebre feudali …
Costantinopoli illesa dalle illuvioni esterne serbò il tesoro
dell’antico idioma …», 30: «Bisanzio non fece quasi
nulla a pro dell’incivilimento morale e religioso d’Europa, ma le
lettere costantinopolitane … furono un’imitazione morta,
anziché una creazione viva».
[26] Roma destinata
dalla Provvidenza di Dio per la Libertà dei Papi. Dissertazione di A.
Coppi. Letta nell’Accademia Tiberina il Dì 10 Luglio 1814.
Edizione seconda con Appendice del 12 Aprile 1850, Roma, Nella Tipografia
Salviucci, 1850, 7, l’Italia «passata dal dominio de’ Goti a
quello de’ Greci, altro non aveva fatto che mutare il giogo; e non doveva
certamente soffrire di buon grado di essere divenuta una provinciale
città dell’Impero di Oriente». In Antologia: R., recensione a Voyages d’Anacharsis etc.
Viaggio di Anacarsi del Sig. G.G. Barthelemy nuova edizione …, Parigi
presso Gueffier Editore, vol. III, N.° VII. Luglio 1821, 169-70:
«Dopo 12 Secoli di decadenza, e d’invilimento, dopo sei Secoli
della più amara schiavitù sotto il giogo dei Maomettani, hanno
tentato i Greci di rompere le loro vergognose catene …»; Discorso
intorno alla proprietà in fatto di lingua, recitato nella adunanza
solenne della I. e R. Accademia della Crusca a dì 13. Settembre 1821,
dal Professore G.B. Niccolini, vol. V, N.° XV. Marzo 1822, 409:
«Poscia che Costantin … (citazione della terzina dantesca). Il
nobile orgoglio dei Romani già contento alla realtà della
possanza ne abbandonava le cirimonie, e le forme alla vanità degli
schiavi d’Oriente: ma sotto Costantino della virtù si perdè
ancora l’immagine, e i Romani a tanta viltà ruinarono, che tolsero
ad imitare la fastosa bassezza degli asiatici cortigiani (n. 4: “Vedi
Gibbon”). Gl’imperatori d’Oriente s’avvisarono nella
loro tirannide forsennata …»; G. MAZZINI, D’una letteratura europea
(a firma «Un Italiano»,
vol. XXXVI, N.° 107-8. Novembre e Dicembre 1829, 91-120), in Critici dell’età
romantica, a cura di C. Cappuccio, Torino 1978, ristampa, capp. XIV, 1829, capp. XI-XII, 211-2, la prima
Crociata: «Alla voce d’un Eremita, l’Occidente intero si
levò in arme, e si rovesciò sull’Oriente»,
«… nell’Italia, dove la fiamma dell’incivilimento non s’era spenta
giammai … i Crociati proseguivano a Costantinopoli, dove ancora
splendeva, benché fioco, un lume di scienze, e di lettere …
stringevano nuove relazioni cogli Arabi, traendone modi, libri, e scoperte
…», per effetto di questi scambi «… una commozione
elettrica parve trascorrere quanto terreno abitato è tra il Polo, e il
Mediterraneo …»; Anonimo, recensione a Costantinopoli nel
1831, ossia notizie esatte e recentissime intorno a questa capitale ed agli usi
e costumi de’ suoi abitanti, pubblicate dal cavaliere avvocato Antonio
Baratta, Genova dalla tipografia Pallas, vol. XLVI, N.° 137, Maggio
1832, 4: «Ma da poi che Costantinopoli diventò capitale di
vastissimo impero fu, per lo più, governata da principi sospettosi e
dispotici …». Biografie degli Illustri Fiorentini …
compilate dal dottor Niccolò Carlo de’ Conti Mariscotti,
Firenze, Tipografia di Mariano Cecchi, 1847, Discorso Decimonono.
Rinascimento delle scienze, delle lettere, e delle arti, 87: «La
Grecia già decadente, allorchè perdè la sua indipendenza,
ed avvolta nelle sventure, che per lunga pezza oppressero l’Impero
Romano, si dileguò per l’intiero, allorchè l’Impero
d’Oriente dové soggiacere all’eccidio arrecatogli dalla
scimitarra de’ credenti di Maometto …». F.S. BALDACCHINI
GALGANO, Della utilità d’una nuova Storia Letteraria Italiana,
1849, Prose, Napoli, Dalla Stamperia
Del Vaglio, 1873, vol. II, 264-5, paragone tra la grandezza «della Grecia
dei tempi di Pericle e di quella degl’imperatori bizantini … fino a
che Maometto secondo non pose quivi la sede del suo novello imperio; e la
dottrina di Grecia, sterile sulle rive del Bosforo, non diede di be’
frutti, se non dopo che ella fu trapiantata in Italia, dove il terreno era
acconcio e preparato a riceverla». Gli Arabi in Italia. Esercitazione
storica di Davide Bertolotti, Torino, Dalla Tipografia Baglione e Comp.,
1858, cap. II, 10, dopo Teja, l’Italia «fu ridotta allo stato di
provincia del greco impero, e data, dopo Narsete, in balía alla feccia
della Corte di Costantinopoli». C.
CATTANEO, Istoria universale di
Leo, «Il
Politecnico» 1839-1844, a cura di L. AMBROSOLI, Torino 1989,
vol. III, n. 34, 511: «… il Bizantino … per mille anni
insanabilmente corrotto e vile e stolto, al confronto de’ suoi vecchi
padri di Maratona … Anche sotto il regime bizantino la Grecia era inerme,
impoverita, avvilita, poco meno che sotto la conquista ottomana». ID., La
città considerata come principio ideale delle istorie italiane, pubblicata sul «Crepuscolo»,
4 puntate 17 e 31 ott., 12 e 26 dic. 1858,
Scritti storici e geografici,
a cura di G. SALVEMINI-E. SESTAN, Firenze, 1957, vol. II, n. VIII, 395-7: «Con Diocleziano ebbero
principio sette secoli di barbarie, fino al risorgimento dei municipi, verso
l’anno mille», a proposito della libertà: «Questo è il divario che passa
tra la obesa Bisanzio e la geniale Atene …», «Già si
sa perchè Costantino avesse abbandonato l’Italia … nuove
pompe asiatiche … Quindi irresistibile nei Cesari il pensiero di
trasferire sul limitare dell’Asia la sede dell’Impero, volgendo a
tal uopo la stessa poetica tradizione, che poneva in quei luoghi la madrepatria
di Roma. Quindi l’Italia tramutata in frontiera, spogliata di quelle
difese e di quei privilegi che si riservavano alla sede dei regni …»,
«Nella quarta era le città d’Italia sono adunque sottomesse
al regime asiatico, subordinate ad una capitale quasi asiatica, civilmente e
moralmente associate all’Asia»; Il Giappone antico e moderno,
Pol. IX (1860), fasc. XLIX, vol. III, n. III, 61: «L’Asia
orientale, al paragone dell’Europa, è come la sterile e inane
unità bizantina al paragone della Grecia libera e feconda
…». ID., Tutte le opere, a cura di L. AMBROSOLI, Torino 1989, vol. IV, XIX, [Per la Sicilia], dopo il maggio 1849, 734: «I mille anni dell’imperio bizantino
furono mille anni perduti alla Grecia; e si chiamarono i tempi bassi», XL, [Prolusione al corso
Luganese di Filosofia], 1852, 912, a proposito delle nazioni che,
pur avendo «felici attitudini naturali», rimangono «estranie
al progresso delle idee»: «Tali furono i Greci medesimi, e nella
prisca età dipinta da Omero, e nelli inerti secoli della
schiavitù bizantina», 921, Atene, la cui gloria «è
scritta in eterno nei fasti del genere umano, mentre ignoti alla storia delle
scienze sono i cento millioni di servi dell’Austria e della Russia.
– La gigantesca unità bizantina durò mille anni, senza
gloria. La Grecia federata e libera, che nutrì Omero e Socrate, non
morirà mai»; vol.
V, t. II, Interdizioni israelitiche, 1836, Origine delle interdizioni
israelitiche, § 8, 54-5, a proposito dell’usura: «Certo
quella sventura non era sola. Il regime orientale aveva fatto irruzione nella
novella Bisanzio sull’Occidente … I Goti e gli altri stipendiari
federati, fuggendo davanti agli Unni, irruppero nelle disarmate e desolate
provincie, non da vincitori come il vulgo degli istorici li chiama, ma a modo
di vermi che invadono un cadavere. Così nacque la barbarie del medio
evo. Il gregge degli scrittori ne dà ora colpa ed ora gloria ai barbari,
le cui invasioni ne furono soltanto un fenomeno ed una modificazione. Ma a
Costantinopoli venne senza barbari la
stessa barbarie. Molti scrittori oltremontani ne accusano non so quale fisica degenerazione dei popoli
meridionali da emendarsi con un crocicchio di razze. Costoro avevano genio da
scrivere l’istoria dei cavalli e dei cani», Frammenti di sette,
cap. VI, 345: «… vediamo prevaler sempre i pòpoli ascendenti
e progressivi … la Grecia d’Omero e d’Aristòtele
formidabile all’Asia: la Grecia commentatrice e stèrile di Fozio e
di Gemistio, preda conculcata dell’Oriente e dell’Occidente»;
vol. VII, Cosmologia. Cosmos, mondo, ordine, Scritti di filosofia, vol. II, 37-8: «Dopo la fondazione di
Costantinopoli, nel secolo quarto, il popolo greco andò smarrito nella
folla dei popoli Orientali …», con le invasioni «rimase solo
l’impero bisantino detto anche il basso impero, ma in profonda ignoranza
… Quel tempo si chiamò il Medio Evo». ID., Della formazione dei sistemi. Letta al Reale
Istituto Lombardo il 22 agosto 1860, in Scritti
filosofici letterari e vari, a cura di F. ALESSIO, Firenze 1857, vol. II, 312, a proposito
dell’ineluttabile decadenza di una nazione dopo la grandezza:
«Eccovi la grande unità bizantina … In tale stato (scil.
di torpore) giacque per mille anni la Grecia, dopochè
all’instancata agitazione delle rivali repubbliche si sovrappose la
conquista macedonica e la funerea piramide della unità imperiale»;
Ugo Foscolo e l’Italia,
1860, discorso pronunciato a Napoli, ibid., 552-593, contro chi ne volle fare
stoltamente un campione del dominio papale, 592, a proposito
dell’affermazione: «il rimedio vero sta nel riunire in una sola
opinione tutte le sette. E’ idea chinese, idea bizantina; e per essa la
Grecia, sì feconda quand’era piena di sette, giacque per mille
anni nel letargo della sepolcrale ortodossia bizantina». G. CARDUCCI, Per
Vincenzo Caldesi Otto mesi dopo la sua morte, marzo 1871, Poesie di Giosué Carducci MDCCCL-MCC,
undecima edizione, Bologna, Nicola Zanichelli Editore, Giambi ed Epodi,
L. II, XVIII, 463 str. IV: «Ancor la soma/Ci grava del peccato:/Impronta
Italia domandava Roma,/Bisanzio essi le han dato». Nella sua opera si
rinvengono tutti i personaggi e i momenti salienti della storia d’Italia
e d’Europa, che sono poi i personaggi stilematici della translatio,
una concezione cui il Nostro sembra implicitamente rifarsi ne La Guerra,
Rime e ritmi, 9 novembre 1891, ibid., 968-71, in cui la storia, fatta
di sangue e appunto di guerre, seppur «co’ numi, co’l mistico
avvenire,//con la scïenza» (in sintonia con le sentenze di Carlo
CATTANEO messe in fronte alla prima edizione … Opere, Firenze,
1891, VI, 333 n., 1030), si svolge da Est ad Ovest, dal «Pàrthenon
grande a la tua/casa candida, Vashingtòno», cioè dalla
Grecia agli Stati Uniti, passando attraverso »il duello grave ne’
secoli/tra l’Asia e l’Europa, onde fulse/a gli ozi barbari luce e
vita». Di questo percorso sono indicati quali tappe «gli adoratori
del fuoco» e «Persepoli», Medi e Persiani, l’orgoglio
di Maratona, «’l bello» Alessandro, il «crocefisso
ribelle a Ieova», il «falcato ferro de
l’arabo/profeta», il «Flavio Autari» dei longobardi
fino «al venturiere (n. relativa, 1030: «E’ Vasco Nunez de
Balboa, a vista del Mar pacifico, nel settembre del 1513»)//che uscito a
vista del Grande Oceano/cavalca l’onde nuove terribili/armato di spada e
di scudo/pe’l regio imperio de la Spagna». Tappe finali: «Su
le Piramidi/il Bonaparte quaranta secoli/ben chiama» e Roma, indicata
tramite la suggestiva perifrasi «tra le mura che il fratricidio/cementò
eterne …».
[27] In Antologia:
K. X. Y., recensione a Della colonia dei
Genovesi in Galata. Libri VI di Lodov. Sauli, Torino, Cassano e C., 1831, Antologia,
vol. XLII, N.° 126, Giugno 1831, 3: «… si prova un misto
sublime d’esaltazione e di abbattimento nel contemplare quasi d’un
solo sguardo Cesare nelle Gallie, Enrico Dandolo in Costantinopoli, Cristoforo
Colombo in America, e Napoleone Buonaparte in Egitto», recensione a Opere poetiche di Giovanni Colleoni,
Milano, Tip. Ferrario 1832, Rivista
Letteraria, vol. XLVI, N.° 140, Agosto 1832, 18: «… il
ritmo de’ cittadini di Venezia in onore di Arrigo Dandolo dopo la
conquista di Costantinopoli». A. POERIO, Enrico Dandolo, 1836, Poesie,
a cura di N. COPPOLA, Scrittori d’Italia 246, Bari, 1970, XXVII, 76:
«Quando, afferrata la sinistra riva/Del Bosforo, sull’alto/Muro
pervenne e di terror percosse/La falsa Roma nella qual feriva,/Lui precedente,
il congiurato assalto», 77 v. 33: «tiranno bizantin». C.
CATTANEO, Della guerra presso gli antichi
e i moderni, maggio 1839, in margine ad uno scritto di Napoleone, «Il
Politecnico» 1839-1844,
cit., vol. I, n. 21, 265: «Così le poche navi dei Greci e quelle
dei Veneti dispersero le flotte dell’Asia e salvarono due volte
l’incivilimento europeo». S. BALDACCHINI GALGANO, Liberazione della Grecia, Ugo da Cortona. Canti, 1839, in Poesie di Saverio Baldacchini, Napoli,
Dalla Stamperia Del Vaglio, 1849, vol. II, 85, a proposito di
Venezia di cui tesse le lodi:
«… e il Bosforo e le opposte/Prode d’Asia e d’Europa e
la novella/Roma, Bisanzio, grideranno ognora/Di quell’antico tuo Dandolo
il nome,/Di lui, che seppe dispregiar le ambite insegne/Imperiali e
d’Oriente il serto». A
Venezia, ottobre 1842, in Canti di un
Menestrello Italiano, Zurigo, Stampato a spese di Meyer e Zeller, 1845,
Prefazione, VIII, in Italia «la parola non è libera», 107,
nota a piè di pagina: «L’autore di queste poesie,
collaboratore di un certo giornale italiano, sottoscriveva i suoi articoli
così: D.P.»; L. I, 64-7: «Vinse
l’Asia, ed armate a’ suoi danni / Espugnò di Bisanzio le mura
… Ch’altri Roma, altri Uzzì la saluta,/E Odalisca, e fenicie
del mar». A. ALEARDI, Le
città italiane marinare e commercianti, 1855, in Poeti minori dell’Ottocento, La
letteratura italiana, Storia e testi, vol. 58, t. II, a cura di L. BALDACCI-G.
INNAMORATI, Milano-Napoli 1963, Venezia, 127, vv. 97-102:
«Dall’aquila latina/corse un Lion con l’ale, e il suo
ruggito/l’Oriente contenne impaurito …»; 129 vv. 139-145:
«arabe lune … e su le torri dell’infido Greco/un vecchio
ardente e cieco/guiderà la vittoria …» (n. al v. 142: Enrico
Dandolo); Genova, 132 vv. 228-31: «fatta al sultano bizantin sultana:/e
poi che d’oro e di fortuna sazi/ebbe i suoi figli, ai popoli largiva/il
mondo americano …» (n. al verso 228, allude all’occupazione
di Pera, quartiere di Bisanzio). Le
Ceneri di Daniele Manin, in Poesie
giovanili di Giuseppe Manini, Viterbo, Tipografia di Rocco Monarchi, 1873,
13 str. IV: «Surga Venieri e Dandolo/Ed Emo surga …».
[28] C. CANTÙ, Storia
della città e della diocesi di Como, 1829-31, Como, Tipografia Editrice
Ostinelli, 1899, 3a ed. (recensita da K. X. Y., Storia della città e
della diocesi di Como. Esposta in X libri dal prof. Cesare Cantù, in
Rivista Letteraria, Antologia, vol. XXXVI, N° 108. Dicembre
1829, Fasc. I, 60 e vol. XL, N° 12. Dicembre. 1830, Fasc. II-V,
28-9), vol. I, L. I, 41: «Finalmente Costantino il grande, stanco
d’essere italiano, trasportò la sede dell’impero a
Costantinopoli», 45: «Ogni cosa volse al peggio dacchè
Costantino trasportò la sede a Bisanzio …»; Storia Universale scritta da Cesare Cantù,
1838, Torino, Presso gli Eredi Giuseppe Pomba e C., 1839, Epoca Sesta, 46; Sulla
Storia universale. Discorso, in Storia
universale, vol. I, 1884 (127: “Milano, 1838”), Epoca VI. Da Cristo a Costantino, 95-6: «Ed
ora ancora una dottrina venuta dall’Asia, che dovea non soggiogare, ma
convertire l’Europa, congiunge la verità politica colla religiosa
… e un nuovo elemento s’introduce nel racconto, la storia della
Chiesa … nella serie <degli imperatori> ora prevale
l’Occidente con Traiano e Marc’Aurelio, ora l’Asia rivive con
Comodo ed Eliogabalo … Il trasporto della sede di Pietro …».
Il motivo del “trasporto”, ad opera di Dio, «della sedia di
Pietro in Roma», che segna la pienezza dei tempi (seppur bruttata dalla
corruzione della «regina del Tevere»), ultima tappa della translatio imperii per il mondo antico,
dall’Asia, culla dell’umanità, secondo la consueta filiera
Assiri-Medi-Persiani-Grecia-Roma, viene ripreso dal P. Bernardino CUSMANO ne I destini del regno di Gesù Cristo e
di Roma Sua Capitale, Milano, Tipografia Arcivescovile, 1871, cap. IX. I destini di Roma, 48-9.
[29] Dal “primo
libriccino” in 3 volumi, dedicato «alla lombarda gioventù cui stringe amore del loco natìo»
(cfr. vol. XI, 1886, Congedo, V) fino alla “Decima edizione
torinese interamente riveduta dall’Autore e portata sino agli ultimi
eventi”, Torino, Unione
Tipografica-Editrice, 1884-1889, in 12 ponderosi volumi, usata nel
presente lavoro, ci sono la ripresa, in
35 volumi, del 1847 (con indirizzo ai Giovani
Italiani, «alla vigilia di quello scotimento italiano, che non
fu già il motore, ma il preludio del sovvertimento universale»,
come afferma il Direttore dell’edizione definitiva, Luigi Moriondo, vol.
I, 1884, 3-15) e del ’62.
[30] C. CANTÙ, Storia universale, vol. III, 1886, L.
VI, capp. XXIX. Pace e Costituzione della
Chiesa, 579: «Costantino doveva meritar il nome di grande da chiunque
sa far merito a un principe di accettare le novità mal fin allora
combattute»; XXX. Sincretismo
religioso, 599, incipit: «Quantunque l’Impero durasse tuttavia
unito, già poteva però sentirsi quella divisione, che prima
Costantino, poi la guerra effettuò tra il Greco, il Latino e il
Barbaro»; L. VII, cap. III. Costantino,
708-18, in particolare 710, dove aggiunge: «Dicono che già Augusto
pensasse la sede dell’impero da lui fondato trasferire nei campi ove
Troja aveva un tempo dominato lo sbocco dell’Ellesponto … Né
al mondo si troverebbe città meglio disposta a capitale di un grande
impero. Collocata com’è a confine dell’Asia e
dell’Europa …», 711-2: «Ad abbellirla …
rinnovò le ingiustizie della Roma antica, trasportandovi quanto di
meglio offriva l’Impero … Sebbene Costantino non trapiantasse a
Costantinopoli tutto quanto possedevano di buono e decoroso Roma e l’Italia
… A Roma non fu tolto il primato; anzi il titolo di cui vantasse
Costantinopoli fu quello di colonia, e prima e prediletta figlia di
Roma». Sull’operato di
Costantino si dilunga l’Anonimo compilatore di Studi sulla Storia degli Ebrei, Indiani,
Egiziani, Fenici, Greci, Cinesi, Romani, Etruschi, ec. ec. ec. Opera compilata
su quella di Cesare Cantù e su gli ultimi lavori storici tedeschi,
Torino, Dalla Tipografia degli Artisti riuniti 1845, vol. III, Epoca VII, capp.
III. Costantino, 395-9, in particolare 396-7, la divisione
dell’Impero operata da Diocleziano, la scelta di Bisanzio «a
confine dell’Asia e dell’Europa», in linea con la politica di
Augusto, che avrebbe voluto
«trasferire la sede dell’impero da lui fondato» a Troia,
«Sebbene non crediamo che Costantino trapiantasse a Costantinopoli tutto
quanto di buono e decoroso Roma e l’Impero, l’avervi però
posta sede … <fa di> Costantinopoli … colonia, e prima e
prediletta figlia di Roma …»; XVII. Considerazioni sulla
caduta dell’Impero Romano, 552, i successori di Costantino
«abbandonorsi alla corruttela d’una Corte all’asiatica
…», 558, dopo il giudizio negativo sulla divisione operata da
Diocleziano: «Peggior partito ebbe questa delle cose sue allorché
Costantino trasferì sul Bosforo la sede … Che la traslocazione
della sede fosse opportuna alla durata dell’impero, l’attestano i
dieci secoli che Costantinopoli sopravvisse; ma fra le due metropoli
entrò gelosia»; vol. IV, dedicato a Gino Capponi, Epoca VIII, cap.
II. Impero d’Oriente e Persia da
Teodosio II a Giustino, 42: «vita
tapina» dell’Impero d’Oriente; Epilogo, 238: «che in
Oriente usurpa tuttavia il titolo d’imperio romano, cadavere vestito di
porpora, si regge di vita artificiale per l’immensa opportunità
della sua metropoli …». Questa compilazione potrebbe essere, almeno in parte, fonte delle
successive edizioni della Storia universale del Cantù, data la
consonanza alla lettera di molti passi (il vol. I è una riproposizione
delle Epoche I-III della Storia
Universale scritta da Cesare Cantù).
[31] ZANOTTI,
recensione a Dell’istoria di Milano
del cavaliere Carlo de’ Rosmini roveretano, Tomi quattro in 4. Milano
1821 dalla Tipografia Manini e Rivolta, Antologia,
vol. III, N.° IX. Settembre 1821; nell’Introduzione della
medesima, sulle «cause della decadenza del romano impero»,
dopo il rimando canonico a Diocleziano, 490-1: «Costantino … si
determinò di abbandonare Roma per sempre, e di fondare un’altra
città che in grandezza e in magnificenza la pareggiasse, o soverchiasse,
i cui abitanti tutti si riconoscessero, e adorassero il vero Dio
…», 492: «… ma da che Costantino trasportato ebbe la
sede dell’impero a Costantinopoli …».
[32] C. CANTÙ, Sulla Storia universale: Discorso, Epoca
XII. I Comuni, 102, mentre in
Occidente il medioevo favorisce la nascita delle nazioni, con
l’affermarsi delle lingue nazionali («l’italiano si svolge
dal latino …»), al contrario «l’Oriente custodisce la
morta erudizione e i documenti scritti, senza saper trarne pur una
favilla»; Storia universale, vol. IV, 1886, L. IX, Epilogo, 371: «Lo Stato, che in
Oriente usurpa tuttavia il titolo d’Impero romano, cadavere vestito di
porpora, si regge per l’immensa opportunità della sua metropoli e
per la tradizioni degli ordinamenti antichi … N’esce il più
grande sforzo che mai si facesse dai Romani, di ricomporre l’unità
con un codice: ma l’Impero è scisso da interni dissidi e da
eresie»; vol. V, 1887, L. X, capp. XVI, 205: «despoti erano gli
imperatori d’Oriente, che pretendevano imporre ai sudditi come credere e
pregare»; XVIII. Impero
d’Oriente. – Lo scisma, 241, incipit: «Sì basso
era l’Impero Orientale, che potemmo fin qui descrivere le vicende
d’Europa senza quasi menzionarlo, malgrado che continuasse a pretendersi
erede dei diritti dell’Impero Romano»; Epilogo, 345, chiusa: «In disparte frattanto camminavano
gl’imperi di Costantino e di Maometto. Nel primo vi è movimento,
ma come in un cadavere che imputridisce; porta l’orgoglio antico nelle
sofisticate dispute, nella pretensione di regolare le coscienze, nel rifuggire
da quell’unità cristiana, che forma la forza dell’Europa.
L’altro si scompone anch’esso fra dinastie che sorgono e si
sbalzano a vicenda … edificano, ma senza fondamenti»; vol. VI,
1887, L. XII, cap. III. Quarta Crociata.
1202-4. – Imperatori franchi a Costantinopoli, 71, decadenza morale
di Costantinopoli, 73-4, sua distruzione ad opera dei “Latini”; Epilogo, 431: «Il vanto della
civiltà era disputato tra Roma, Costantinopoli e Bàssora. Ma
Costantinopoli, incatenata alle forme pagane tra cui era nata, pretendeva
concentrare i poteri politici e religiosi nel sovrano … i successori di
Costantino … despoti, insensati …».
[33] ID., Storia, vol. I, Epoca XIII, 58; Sulla Storia universale: Discorso,
Epoca XIII. Caduta dell’impero
Occidentale, 1270-1453, 103-4: «I papi stessi, dopo Bonifazio VIII,
dimenticano la sublime loro destinazione civile, e il trasporto della sede ad
Avignone segna il declino della morale loro potenza. Il grande scisma …
Gli effetti della disunione si sentono nella prevalenza dell’Asia.
Un’orda di Turchi, mossa due secoli prima dalle rive del Caspio, aveva
tolto ai Mameluchi l’Egitto, e ai Greci le province una ad una, e
minacciato Bisanzio; infine arriva ad assidersi sul trono de’ Costantini,
soggioga la Grecia, minaccia l’Europa. Questa, destituita
d’unità, mal saprebbe resistere, se il clima istesso non
isvigorisse i Turchi, e la Provvidenza non negasse loro un terzo Maometto.
Dalla sottoposta Bisanzio un’invasione di nuova foggia … Siamo
dunque nei tempi moderni; l’Europa è oggimai qual
dev’essere; che se i Mongoli signoreggiano ancora la Russia, la penisola
iberica abbattè lo stendardo del profeta dalle moschee di
Granata». Stessa valutazione in L. DI BREME, Intorno
all’ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani, 1816, in E.
BELLORINI, Discussioni e polemiche sul Romanticismo (1816-1826), Bari,
1943-XXI, Scrittori d’Italia 191, tomo I, IV, 43: «spuri greci
… astiosi e incomodi bizantini», che hanno portato in Italia
«Omero, Anacreonte, Senofonte, Aristotele ecc., onde ogni età
seguente imparasse ad emularli».
[34] F. BENEDETTI, Ode VI. Pel ritorno del Granduca Ferdinando III in Toscana, 1814,
in Opere, cit., vol. II, 288:
«medicei tempi/Che ricovrâr dalle ruine argive/E dal Lazio le Muse
fuggitive». G. NICCOLINI, Sulla
poesia tragica e occasionalmente sul Romanticismo. Lettera di un buon critico e
cattivo poeta ad un buon poeta e cattivo critico, Conciliatore, 3 giugno 1819, in E. BELLORINI, Discussioni e
polemiche sul Romanticismo, cit., tomo
II, X, Quinta: «Non fu che alla caduta
dell’impero greco … che … s’introdusse nella nostra
letteratura lo spirito antico, portatovi da quei greci che a noi giunsero
fuggitivi dalle rovine di Costantinopoli …». G. LEOPARDI, Zib. 998 (29 Aprile 1821):
«… quei greci che vennero in Italia nel trecento, e dopo la caduta
dell’impero greco, nel quattrocento … portavano qua il loro Omero,
il loro Platone e gli altri antichi, non come risorti o disseppelliti tra loro,
ma come sempre vissuti», Zib. 3174 (15 Agosto 1823):
«… tanti esuli, secondo quel tempo, dottissimi, che fuggendo la
turca tirannide, si erano sparsi per le altre parti d’Europa, portando i
greci codici e la greca letteratura …», in Zibaldone di pensieri,
a cura di F. FLORA, cit., vol. I, 669, vol. II, 303. Avv. Salvagnoli, In
occasione dell’apertura del nuovo Teatro Della Fenice nel castello della
Lastra a Signa. Sciolti, Firenze, Presso Niccola Fabbrini, 1828 (la
paternità del componimento, recensito da K. X. Y., Antologia,
vol. XXX, N.° LXXXVIII. Aprile
1828, 109-10, risulta dall’Indice in fine di volume), 3: «L’operosa Fiorenza
ambite vesti/Ai rudi preparava Angli e Francesi;/Ed i broccati ai Re donava, e
molli (catacresi)/Seriche bende all’oriental tiranno … E fra
l’unnica notte rifulgendo/Di saper greco sola, ospite ai figli/Di Grecia
serva a lor l’eterno esilio/Molcea …». In Antologia, Proemio,
vol. I, Gennajo, Febbrajo, Marzo 1821, Firenze, Tipografia dei Fratelli Jacopo e Luigi Ciardetti, MDCCCXXI,
3-4, all’interno di una translatio
studii secondo la filiera
Egitto-Grecia-Roma- «esterminio generale dei libri per l’invasione
dei settentrionali» -Arabia- «ospizio accordato ai dotti di Grecia,
che fuggirono la dominazione dei tartari» (scil., Turchi); L.
CICOGNARA, Monumenti
dell’architettura antica. Lettere al Conte Giuseppe Franchi di Pons,
Pisa 1820, vol. VII, N.° XIX. Luglio 1822, Estratto del Tomo III, 90, a
proposito del Conte Napione, citato Le Roy, illustratore dei monumenti greci,
secondo il quale l’esodo dei fuoriusciti greci da Costantinopoli non
è causa della ripresa delle arti in Europa, dovuta invece
«à leur genie seul»;
A. MUSTOXIDI, Alcune considerazioni sulla
presente lingua de’ Greci, vol. XVII, N.° LI. Marzo, 1825, 63-4:
«La scimitarra di Maometto franse lo scettro greco … ma un
drappello di uomini eruditi e filosofi, custodi del fuoco sacro della sapienza,
il recò in Italia prima che spento fosse nel sangue, e di qua esso si
diffuse pel mondo intero»; C. LUCCHESINI, recensione a Istoria della letteratura greca profana,
dalla sua origine sino alla presa di Costantinopoli…, cit., 18-29, passim;
Lettera I. Intorno all’educazione italiana,
considerata ne’ secoli passati. Antonio Benci al suo amico Enrico Mayer,
Firenze a dì I di Aprile 1826, vol. XXII, N.° LXIV. Aprile, 1826,
103-29, in particolare 104-5, 112-4, 128, carrellata storica della medesima, da
Roma, di cui tesse le lodi, alle recenti benemerenze in merito di Leopoldo I,
passando attraverso le invasioni barbariche (quando Roma venne «fatta
serva da non libera gente»), le Crociate, “ostilità”
dell’Europa nei confronti dell’Asia, il crollo dell’Impero
d’Oriente con attenzione particolare alla servitù della Grecia e
all’ospitalità concessa dall’Italia agli esuli di
Costantinopoli, la signoria di Lorenzo de’ Medici, il “Pericle
fiorentino” (di cui sottolinea però anche i demeriti), la
Rivoluzione francese e la vicenda napoleonica, sbrigativamente e negativamente
etichettate come «le grandi rivoluzioni della Francia»; K. X. Y.,
recensione a Storia dell’Impero
Ottomano compilata dal cav. Compagnoni, Livorno Tip. Masi 1829, vol. XXXIV,
N.° 101. Maggio 1829, 136,
decadenza e caduta di Costantinopoli con l’aggiunta: «I padri
nostri, ricevendo dai fuoriusciti bizantini le opere immortali dei sommi
ingegni …». S. BALDACCHINI GALGANO, Claudio Vanini o
l’Artista. Canto,
1835, in Poesie, cit., vol.
II, 10: «Arti gentili, che
fermâr le sedi/Su le rive del Tevere e dell’Arno». M.
PIERI, Storia letteraria. Lezione Terza. Letteratura in Italia dopo
la caduta di Costantinopoli, cit, 391-3: «la caduta ha, come alcuni
affermano, notabilmente contribuito a far risorgere le Lettere in
Europa», anche se il suo “primo albore” risale alla fine del
sec. XIII, con le Crociate e Petrarca. V. GIOBERTI, Prolegomeni del Primato morale e civile degli Italiani, cit., vol. II,
114: «… fuoriusciti bizantini, che … in Italia …
recarono la sapienza ellenica; cosicché la Grecia distrutta e sperperata
dai Turchi …» rivive nelle loro reliquie. C. CATTANEO, Ideologia delle genti, Tutte le opere, cit., vol. VII, cap.
XIII. – Delle idee
nell’Europa primitiva, cap. XIV. – Delle idee nell’Europa moderna, 428 punto 10: «…
molti libri, ch’erano giaciuti infruttiferi per un migliaio d’anni
nell’impero bizantino, furono studiati con fervore, appena che li esuli
greci li portarono in Occidente». L. CARRER, Alle Arti, in Poesie di Luigi Carrer, Firenze, Felice Le
Monnier, 1859,
245, l’ospitalità a Roma e Firenze, con lode alla Grecia
«madre/Dell’arti e dell’ingegni». Guttenberg. Dramma storico di Pietro Rotondi,
Milano, Coi Tipi di Luigi di Giacomo Pirola, MDCCC.XLVI, 12: «… i
dotti di Grecia, sgomentati dalle imminenti orde dei Turchi, ed allettati dal
favore delle repubbliche e delle corti italiane, vi si trasferivano in numero
sempre crescente … così che, allorquando l’impero
d’Oriente soggiacque alla fine, e da Bisanzio a Corinto ebbe la
scimitarra portato il più duro servaggio e la più funesta
barbarie, le Muse greche trovarono in Italia una nuova patria …
Così la dottrina greca fu per la seconda volta salvata in Italia».
Biografie degli Illustri Fiorentini
… compilate dal dottor Niccolò Carlo de’ Conti Mariscotti,
Firenze, Tipografia di Mariano Cecchi, 1847, Discorso Decimonono. Rinascimento delle scienze, delle lettere, e delle
arti, 89: «seconda epoca Italiana gloriosa per le scienze, lettere ed
arti è il secol d’oro d’Augusto … l’Italia
divenne nuovamente il centro della civiltà e della dottrina. Cadeva
l’impero greco, e i dotti di quello sfuggiti al ferro dei Maomettani
ricevevano ospitalità nella nostra Toscana, in Firenze». Si veda
anche Anonimo, Frammento poetico
riguardante Napoleone Bonaparte scritto nell’anno 1828 ed ora uscito alla
luce con note dell’Autore, Italia 1837, Canto VI str. 68,
l’Etruria, cioè la Toscana: «Lunga stagion dappoi nei ceppi
giacque/Onde barbara man gl’Itali strinse,/Ma pria d’ogni altra a
civiltà rinacque/Che del greco saper ai fonti attinse,/Ricovrando
dell’ultima sciagura/Quando fuggì le Bizzantine mura»; T.
GARGALLO, Di alcune novità introdotte nella Letteratura italiana.
Lezione del Marchese Tommaso Gargallo all’Accademia della Crusca,
Milano 1838, 14, Niccolò Niccoli, Poggio Bracciolini, Francesco Filelfo
e Guarino veronese «accorrevano a trasportarle (scil. le Muse) da
Bisanzio al loro antico soggiorno», passo forse dipendente da U. Foscolo,
Discorso Primo, in Scritti letterari e politici dal 1796 al 1808,
Edizione nazionale delle Opere, vol. VI, a cura di G. GAMBARIN, Firenze 1972,
273: «Alessandro Guarino, Poggio e co’ greci fuggitivi di
Costantinopoli non perdonavano nè a vigilie nè a viaggi per
restituire le greche lettere»; S. PELLICO, Dell’indole delle
istituzioni scientifiche nel secolo decimonono. Discorso del professor Quirino
Viviani, letto nell’I. R. Istituto di filosofia della città di
Udine, 8 Agosto 1819, Il Conciliatore. Foglio scientifico-letterario,
a cura di V. BRANCA, Firenze 1854, Anno II-vol. III, 170-1: «le dottrine
degli Arabi che avevano seggio allora nell’Occidente, non che le lettere
greche che emigravano da Costantinopoli, trovarono campo fecondo in Italia onde
germogliar vigorose …»; recensione a Studj sulla storia delle
arti, ossia Quadro dei progressi e della decadenza della scultura e della
pittura presso gli antichi durante le rivoluzioni che agitarono la Grecia e
l’Italia, opera di P.I. Dechazelle. Prima versione italiana, Articolo
II, Biblioteca Italiana, Anno XXII (1837), t. LXXXVI, 44,
«risorgimento delle belle arti … <favorito dai> letterati di
Costantinopoli» (cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio, cap. III, La Rivoluzione francese
e la vicenda napoleonica in poeti e scrittori coevi a V. Monti: schemi e
stilemi della translatio, 149, n. 461; cap. V, 172 n. 531, 180 n. 557).
[35] Sul tema, cfr.
G.M. VIAN, La donazione di Costantino,
Bologna, 2006, capp. II. Genesi di una
leggenda, 2, 65-6, 69, III. Scoprire
un falso, 124, Valla: “totius
Italiae multarumque provinciarum cladem ac vastitatem ex hoc uno fonte fluxisse”;
VIII. Polemica e filologia, 151, lo
«scritto … venne incluso nel 1554 in un Catalogo degli heretici dall’Inquisizione di Milano e Venezia
e quindi nell’Index librorum
prohibitorum pubblicato sotto Paolo IV nel 1559 …», come
nell’Indice di Pio VI (1786) e di Leone XIII (1881).
[36] C. Cantù, Storia universale, vol.
III, 1885, L. VII, cap. IV. Affari
religiosi, 719-20: «Tardi si narrò che l’imperatore,
mondato dalla lebbra e battezzato da papa Silvestro, cedesse a questo e ai
successori la sovranità di Roma, dell’Italia e delle provincie
d’Occidente. L’atto, foggiato, a quanto pare, nell’VIII
secolo, e inserito nelle Decretali dal
falso Isidoro, parve assegnare remotissima antichità e legittimo
principio alla dominazione temporale dei papi», n.1: «In Roma ancor
pagana il pontefice romano dava già impaccio ai Cesari; era loro
suddito, essi potevan tutto contro lui, egli nulla contro loro, eppure non
potevano mantenersi a fianco di essi. Leggevasi sulla sua fronte il carattere d’un sacerdozio sì
eminente, che l’imperadore, il quale portava il titolo di sommo
pontefice, il soffriva in Roma men pazientemente che nell’esercito un
Cesare il quale gli disputasse l’impero (Bossuet). Una mano nascosta
li respingeva dalla città eterna per
darla al capo della chiesa eterna.
Forse nell’animo di Costantino un principio di fede e di rispetto
mescolavasi a tale disagio: ma non dubito che tal sentimento contribuisse alla
determinazione sua di mutar la sede, più che i motivi politici supposti.
Il ricinto stesso non poteva chiudere l’imperatore e il pontefice, e
Costantino cesse Roma al papa. La coscienza infallibile del genere umano non
l’intese altrimenti, e di qui la verissima
favola della donazione … I moderni sclamano alla falsità … Non v’è dunque cosa così
vera come la donazione di Costantino» De-Maistre, 730.
[37] L. CARRER, A Sacro Pastore, 1842, in Poesie di Luigi Carrer, Firenze, Felice
Le Monnier, 1859, Poesie di vario metro,
325.
[38] C. CATTANEO,
[Versi] Dalla Svizzera, 1852, in Tutte le opere, cit., vol. IV, XXXIX,
907-8, 1025 n. 6: «Gli imperatori malvagi e inetti (“Neroni”)
si servivano dell’Italia senza offrirle alcun beneficio, gli imperatori
capaci e seri (“Costantini”) non guardarono più
all’Italia come alla parte più importante del loro Stato»,
così il curatore; Asia minore e Siria, Pol. IX (1860), fasc. XLIX, in margine a Asie Mineure et Syrie, Paris, Levy 1858, della Principessa di
Belgioso, in Scritti storici e geografici, cit., vol. III, 88-90, confutando l’accusa
di barbarie rivolta ai Turchi dell’Impero Ottomano: «Vi è un
fatto a cui l’Europa non pensa. L’Oriente oggidì è in
uno stato simile a quello in cui fu l’Occidente par tutto il medio evo.
Dopo Costantino, per un migliaio d’anni, le città d’Europa
giacquero ruinate … Ricordiamoci che ciò che vi era di men barbaro
allora fra di noi erano i regni invasi dai musulmani …».
[39] ID., La politica di T. Campanella, (sulla
datazione, cfr. Nota, 11-2), in Scritti filosofici letterari e vari, a
cura di F. Alessio, Firenze 1957, vol. II,
cap. III, 237.
[40] N. TOMMASEO, Napoleone, e Diocleziano, 1850, in Italia, Grecia, Illirio, la Corsica, le
isole Ionie e la Dalmazia, in Scritti
editi e inediti sulla Dalmazia e sui popoli slavi, Edizione nazionale delle
Opere di Niccolò TOMMASEO, vol. II, a cura di R. CIAMPINI, Firenze 1943,
XI, 26; Del presente e
dell’avvenire, 1851, ibid., vol. IV, t. II, a cura di O.
MORONI, Firenze 1981, cap. X. Destini
d’Italia, 323-4. Di parere opposto C. BALBO, Sommario della Storia
d’Italia, Scrittori d’Italia, vol. 50, a cura di F. NICOLINI,
Bari 1913, t. I, 80, che giudica lungimirante l’azione di Costantino,
dettata dal desiderio di «avere una grande, degna ed opportuna residenza
in quell’impero Orientale già istituito da Diocleziano … Che
tal fondazione, tal sito fosse opportunissimo, è dimostrato dal fatto,
dall’essere caduta poi Roma, non Costantinopoli mai, sotto a quelli od
altri barbari settentrionali, dall’aver durato l’impero colà
poco meno che mille anni più che a Roma» (cfr. G. MINARDI ZINCONE,
Translatio, cap. VI, 203).
[41] F. DE BONI, Del Papato. Studi storici, 1850, in Scrittori politici dell’Ottocento.
Giuseppe MAZZINI e i democratici, La letteratura italiana, Storia e testi,
vol. 69, a cura di F. DELLAPERUTA, Milano-Napoli 1869, I, 1025, 1027 (cfr. G.
MINARDI ZINCONE, Translatio, cap. I,
61 n. 165). G. MONTANELLI, La Tentazione.
Poema drammatico, Parigi, Tipografia di L. Martinet,
1856, 108 pp., preceduta da Lettera a Ary
Scheffer, Parigi, 28 maggio 1856, XI pp. (recensione in C. CATTANEO, Scritti
letterari, artistici e varii, cit., vol. II, 154-64); Canto III. La tentazione sacerdotale, 28,
Ildebrando e Satana: «… e Ildebrando su regal sgabello/Dagli
angioli sorretto in Campidoglio,/Calcherà di Lamagna il
basilisco», 32, Satana: «Simoneggiano adulteri leviti
…», 33, Satana: «Ma di popoli e di re nell’ombra
erranti/Il passo illuminar, face latina./Pria vendette pagane ebbre di
sangue;/Poi Costantin d’ippocrita tutela/Largo alla Chiesa, e sol vago
d’impero/Consacrato da vescovi vassalli;/Infin questa che or piangi emula
rabbia/Dei nuovi imperator dell’Occidente,/Ribellanti alla man che di
romano/Paludamento lor polvere vestia», 36, Ildebrando: «Il
sacerdote imperator son io … Seguite, o macilenti eroi del chiostro,/La
monacal possanza al Campidoglio! …»; Canto IV. Guerre cristiane, 42, Cristo: «Vedi come catene e stragi
accresca/L’ambizioso sogno di Ildebrando!/Infuria contro Roma ira tedesca
…».
[42] (Dono per Nozze) Eloisa Lercàri.
Poemetto di Achille Albini, per
le nozze del fratello, Fano, Pe’ Torchi di Giovanni Lana, 1857, 55 pp.
con Imprimatur; Canto Primo, 5-6:
«Contro il corso del ciel l’Aquila volta/Già Costantino avea
… Ma sul pio vincitor d’Elena figlio/Fu di Silvestro la vittoria
… Magno Imperador …» (Note
al Canto Primo, 51: «Quando Costantino trasportò la sede
dell’Impero a Bisanzio …»), «E allorquando/Del gran
Cesare suo vedova Roma/Incontro alla barbarica ruina/Sole opponeva
l’Aquile deserte,/E l’ombra di un gran nome, e i vizi tutti/Che a
lei dièr morte (eco montiana)/Unto Re Carlo Imperador Romano,/Sorse
possente in nome, ed in virtude/La Cristiana Repubblica – Ma
l’opra/Di Costantino in danno era frattanto …»; Canto IV, 48,
la caduta della «regal Bisanzio … “Città di
Costantino”, la “greca Roma”, cui porge aiuto solo
“Adria”, Venezia, caduta causata dai sofismi … bizantini e
dallo scisma (cfr. Canto I, 7-8: «Il Greco Genio ai barbari fatale/Ora
non più … Ma un guerreggiar di motti, e di sofismi/Già di
dannato error forte, e di scisma») (Note,
50, a proposto delle dispute cita C. Cantù: «Maometto avrà
già aperta la breccia nei baluardi della seconda Roma, e quei ringhiosi
disputeranno se la luce comparsa sul Taborre fosse creata, od increata»),
e poi per opera di tutti i seguaci del “Profeta”, l’arabo
ladrone/E il Musulmano cavaliero … Il Giannizzero, il Trace, e il
Saraceno».
[43] Anonimo, La Repubblica Italiana del 1849. Suo
Processo, Quarta Edizione, Napoli, All’Uffizio della Civiltà
Cattolica, 1850, capp. XXVIII, 93: «Costantino riconoscendo alla Chiesa
per legge la facoltà di possedere … faceva giustizia e non
grazia», LII. La Repubblica Romana Apostolica, 184-5:
«La storia di ben quattordici secoli ci convince che i guai politici di
Roma sorsero da tre cagioni, che furono gl’imperatori d’Oriente,
gl’imperatori d’Occidente, e il fantasma dell’antica
Repubblica evocato di tratto in tratto da Cencio sino a MAZZINI. Le aquile
romane cominciavano ad abbandonare Roma, volando col figliuol d’Elena a
Bisanzio … Cadeva il settimo secolo, e l’impotenza …
Nell’800, quel connubio era confermato da Carlomagno … Eguali
sciagure crearono in seguito a Roma gl’imperi d’Occidente …
Quale fu l’errore comune agl’imperatori d’Oriente e
d’Occidente? Fu il disconoscere che sulle rovine dell’antico
imperio quella Provvidenza, che aveva restaurato il mondo spiritualmente,
veniva edificando un imperio sacerdotale e regio, per restaurarlo
civilmente».
[44] La Corte di Roma e il Vangelo. Parole di R.
D’Azeglio, Firenze, Presso i Fratelli Martini, 1859, 32 pp.; 11:
«apocrafa donazione dell’imperator Costantino», 13:
«… vedrà i primi papi inginocchiarsi avanti
agl’imperatori, come Stefano II, Adriano e Leone III avanti a Pipino e a
Carlomagno», 14: «Italia sconvolta dalle mene dei sovrani di Roma
… chiamando alternamente a giostra sul nostro suolo soldati d’ogni
nazione, senza eccettuare i Turchi …». Il Patrimonio di San Pietro
viene additato come causa della perdita al cattolicesimo di Germania, Svezia,
Olanda, Inghilterra in Roma e
l’Impero ed il potere temporale del Papa. Risposta di un Italiano
all’Autore dell’opuscolo «Il Papa e il Congresso»,
Genova, Enrico Monni Editore, 1860, a firma “L.P.”, 48, ultima;
9-10: «Prima di Costantino, e potremmo dire prima di Pipino, il papa non
era re di Roma, padrone del Patrimonio, che, con nuovo genere di bestemmia,
venne detto di S. Pietro. Eppure anche prima del fabbricatore della capitale
bizantina, prima dell’usurpatore del trono dei Merovingi …»,
14: «Il potere temporale del papa; questo funesto legato di Costantino e
di Carlo Magno che spingeva quei papi ad essere tedeschi, spagnuoli, francesi,
alleati dei Turchi …», in riferimento a Giulio II e la Lega di
Cambrai, Papa Borgia etc. Stesso motivo in Un
Genio delle Rivoluzioni d’Italia e delle sue Vittorie dal 1799 al 1860,
di Luigi Ciccaglione Giudice del
Tribunale Civile e Correzionale di Lecce, Lecce, Tipografia del Commercio,
1869, dedicato «All’Onorevole Pietro Moffa già Deputato del
Parlamento Italiano», sorta di compendio delle vicende risorgimentali; Cenno sulle Rivoluzioni Italiane dal 1799 al
1860, 11: «Ci manca Roma, Capo e Cuore della nostra Penisola, che con
i Papi santi de’ primi secoli purgò il Santuario … ma quando
i Vicarii di Cristo vollero essere anche re furono sempre in guerra con i
Romani, e chiamarono le armi straniere a danno dell’Italia».
[45] F. MISTRALI, Dio e Popolo. Idee di un Rivoluzionario al
Congresso del 1860, Milano, Tipografia Scotti, 1860, II, 12-3: «Roma,
regina eterna, predestinata al primato civile delle nazioni, accoglieva nella
sua cerchia il gran Sacerdote di Cristo, l’Apostolo pescatore …
Costantino imperatore presso a cadere, ebbe d’uopo di guadagnarsi legioni
ormai tutte convertite … il battesimo di lui salvò l’impero
… costui ebbe Roma, come molti secoli appresso Enrico IV ebbe Parigi per
una messa … la cessione di Roma fatta da Costantino alla supremazia dei
pontefici quali rappresentanti di una maniera di repubblica teocratica, fosse,
più che altro, effetto di un accordo (sic) preventivo in compenso dell’alleanza»,
cosicché «… il papa diventò il cancro roditore della
povera Italia, il pontificato e il sacerdozio la lebbra della Chiesa»,
15: «Il potere temporale è la rovina della religione … O
Papa, o Re!»; IV, 25; V, 28: «Vittorio
Emanuele, Re galantuomo …
fida nell’avvenire, e la croce di Savoja, mistico palladio della
redenzione d’Italia, sfolgorerà trionfante dal Campidoglio, segno
a tutti i popoli dell’era novella».
[46] Discorso pronunciato da Monsignor Vescovo di
Poitiers nella sua Chiesa Cattedrale li 11 Ottobre 1860 in occasione del
servizio solenne pei Soldati dell’Armata Pontificia morti durante la
guerra, Versione dal Francese, Roma, Tipografia di Tito Ajani, I, 6:
«… la sovranità pontificia, deposta in germe colla salma di
Pietro nelle catacombe del Vaticano, compare a fior di terra ai tempi di
Costantino, per crescere ed ingrandire a vista d’occhio
nell’età successiva ... e procura la libera effusione della
verità e della grazia, l’esercizio indipendente del ministero
Sacerdotale e della giurisdizione ecclesiastica dall’uno all’altro
polo dai giorni di Carlomagno», 9: «se c’è una
minaccia per Roma da parte di un principe qualunque anche nel caso che questo
principe, invece di portare il turbante di Maometto si fregiasse della corona
di Cipro e di Gerusalemme levatevi soldati di Cristo. Poichè Astolfo,
poichè Desiderio son ricomparsi, sorgete grandi ombre di Pipino e di Carlomagno!
O se, per misteri che noi non vogliamo investigare, la spada di Pipino e di
Carlomagno rimane chiusa nel fodero; se i battaglioni francesi non possono
varcare i monti ed i mari se non per assistere passivi ed immobili
all’invasione sacrilega de’ nuovi Longobardi …».
«Nabucco Sabaudo» chiama Vittorio Emanuele l’autore,
probabilmente P. PEREGO, de Il Cannone e
la Giustizia, Estratto dalla Gazzetta di Verona N.° 72 del 26 Settembre 1860, 4 pp., 2
(numerazione mia). Cfr. anche G. F., La Chiesa al Tribunale della
Diplomazia. Osservazioni sulle teorie, e sui fatti esposti dal Sig. Ministro
degli Esteri a Parigi … relativamente alla Enciclica Pontificia del 19
Gennaio, Roma, 1860, contro Thouvenel, le cui note (31) hanno aperto il
dibattito; V, 14: «Al Papa come Sommo Pontefice di questa Chiesa furono
ceduti donati e comunque legittimamente derivati i territori che qual Sovrano
legittimamente possiede … la questione politica è necessariamente
inseparabile dalla questione religiosa. Tutto al rovescio di quanto potrebbe
argomentarsi a Pietroburgo ovvero a Londra; perchè nè Papa
Alessandro nè Papessa Vittoria sono in possesso degl’imperi
Britannico e Russo, ma Czar Alessandro e Regina Vittoria».
[47] Anonimo, La
Quistione Romana e la politica imperiale, Firenze, li 7 Ottobre 1861, 20
pp.; 14-5; Julius, Questione
Romana – L’unità cattolica e l’unità moderna,
Torino, Tipografia Sarda di Capini e Cotta, 1860, 81 pp.; IV, 37: «Con
Costantino però la nuova dottrina salì sul trono … Fu
cotesta la vera donazione di Costantino», VII, 45: «Le donazioni di
Pipino, di Carlomagno furono i primi tittoli giuridici della sovranità
temporale»; XIII, 80-1. Cfr. anche Italia innanzi all’Europa.
Orazione letta da Cesare Bernabei Dottore in Legge nella Sala Municipale di
Tolentino il II Giugno MDCCCLXI, Torino, Tipografia di Filippo Guidoni,
1861, VII, 36: «Prima infatti di Carlo Magno la Sede romana non sente
rossore di alcun Pontefice …», 42: «E il decadimento del
dominio temporale dei papi, bene massimo della religione e della civiltà,
deesi più di quello che a prima giunta non si paia, alla politica
logica, prudente, e conoscitrice dei tempi di Napoleone terzo; il quale in
luogo di usare verso il papato quella soldatesca violenza di Napoleone primo,
che irritò ed offese l’universale coscienza … ama trattarlo
ed affezionarselo con ogni maniera di carezzevoli uffici, perché in
quella parte cauca, perisca con tutta la pompa delle sue forze».
[48] Del potere temporale dei Papi pel Visconte
G. De la Tour Deputato al Corpo Legislativo di Francia, “libera
versione”, Roma, Tipografia della Civiltà Cattolica, MDCCCLIX, 2a
ed., 71 pp.; Parte Prima. Origine,
formazione e vicende del potere temporale dei Papi; considerazioni sopra
l’istoria del Papato, I, 8: «Le vaste possessioni della S. Sede
pare che non cominciassero prima di Costantino. Questo principe …»,
12-3: «I Longobardi si mostrarono presto più pericolosi dei
Greci», 13-4, Carlo Martello “patrizio” di Roma, Pipino:
«Così la spada dei Franchi aveva definitivamente fondato il potere
temporale e l’indipendenza della S. Sede … Questo potere
cominciò a stabilirsi ai tempi di Costantino, e … il dono di
Pipino fu piuttosto una restituzione, che una donazione propriamente
detta», 15: «… il primo fondamento del regno temporale
de’ Papi fu la sua stessa spirituale supremazia», 16,
l’“eroe” Carlo Magno scende in Italia, 17: «Ludovico
Pio del resto confermò, sotto il Pontificato di Pasquale, le
restituzioni e le donazioni fatte dall’avo e dal padre»; II, 25,
negativamente connotata «la traslazione della S. Sede in Avignone»,
34: «La pietà dei Cristiani …».
[49] Anonimo, Ne touchez pas au Pape,
Paris, E. Dentu, Libraire-Éditeur, 1861, 16 pp.; II, 11:
«Constantin, qui gouverna l’empire des Césars,
déjà ébranlé, mais encor debout, n’osa pas,
dans tout l’éclat de sa splendeur et de sa gloire, rester dans la
ville éternelle, le jour où, embrassant le Christianisme, il
accepta pur chef spirituel le successeur du prince des Âpotres … et
il s’en alla bâtir, à l’autre extrémité
de la Méditerranée, Constantinople, afin d’y abriter son
trône … Charles-Quint, a pu transporter le siège de ses
États dans Rome. Il ne l’osa pas …», III, 13, 14:
«La politique et l’habilité de Charlemagne … la haine
que la comtesse Mathilde portait à l’empereur Henri IV, rival de
Grégoire VII, l’orgueil et l’ambition de Jules II …
voilà les origines du domanin temporale du Saint-Siège, tel que
le traités de 1815 l’ont institué». Cfr. anche Deuxième lettre à M. le Comte
De Cavour, del Conte De Montalembert, 2a ed., Paris, Jacques Lecolte, 1861,
IX, 73-4: «Constantin recula devant cette majesté
désarmée qu’il venait à peine de reconnaître
et alla transplanter à Constantinople sa puissance
éclipsée. Charlemagne maître de tout l’Occident,
bienfaiteur du Siège apostolique, Charlemagne apellé par la
Papauté elle-même à remplacer les empereures romains,
Charlemagne, une fois couronné à Saint-Pierre, retourna vers le
Nord comme éloigné».
[50] E. JOUSSELIN, L’Église.
Le Pouvoir Temporel du Pape. Rome, Paris,
Imprimerie de Alphonse Aubry et Cie, 1863, 53 pp.; 29-30, Costantino e il
palazzo del Laterano (315), Pipino il Breve (755), che aggiunse
l’esarcato di Ravenna e la Pentapoli, donazione confermata nel 774 da
Carlomagno, con l’aggiunta del Perugino e di Spoleto, Luigi il Pio, che
confermò il possesso della città di Roma e le sue dipendenze,
Enrico III (1058) con il ducato di Benevento, la contessa Matilde (1077) e il
patrimonio di San Pietro.
[51] L’Église
et l’État au dix-neuvième siècle. Par le Duc de
Valmy, Paris, Garnier Freres, Libraires-Éditeurs, 1861, 292 pp.;
Première Partie. Histoire de la Législation. Première
Période. Ère des Césars, 8: «… la
constitution de Costantin, en 331, avait donné à
l’autorité spirituelle une certaine supériorité sur
la jurisdiction temporelle … sans vouloir contester ici …
l’authenticité de cette loi»; Deuxième Partie. Legislation
actuelle, capp. I. Le Concordat de 1801, IV, 95-131, (il testo a
267-88, con gli «Articles organiques»), II. Constitution de la
Papauté au dix-neuvième siècle, 223-4, Bossuet,
Montesquieu, Napoleone, 225, «donation de Pépin et de
Charlemagne». Mille ans de guerre entre Rome et le Papes par Mary
Lafon, E. Dentu, Libraire-Éditeur, 1860, 197 pp.; Histoire du
Gouvernement temporel, I. L’origine, 9.
[52] Pio IX Pontefice Ottimo Massimo e Re. Il Clero
le Autorità governativa e municipale … di Vallecorsa … nel
fausto avvenimento che onorava di Sua Augusta Presenza la Provincia di
Campagna, Dì 19 Maggio 1863, Roma, Tipografia Monaldi, 5 pp. senza
numerazione. Nella translatio vede la mano della Provvidenza Roma pel Papa. Considerazione del Sac. Luigi
Biraghi Direttore della Biblioteca Ambrosiana, Milano, Tipografia e
Libreria Arcivescovile, 1867, 39 pp. dedicate al nipote Paolo, anche lui
reverendo; I, 9: «Sorge Roma … Ma chi ne getta le fondamenta? Chi
le dà nome? Non un Alessandro conquistatore, non una Didone regina, non
un Costantino Augusto, ma un pastorello …»; II, 16, Pietro, il
“pescatorello”; III, 28: «Costantino Magno, divenuto solo
signore del mondo, nel meglio de’ suoi trionfi, abbandona la città
di Roma, e trasporta la sua residenza a Bisanzio sul Bosforo, e vi fonda
Costantinopoli … la rende splendidissima di magnificenza. E a Roma si
rimane solamente la Maestà del Papa», 29: «… al nome
di Roma Capo dell’impero terrestre, onde poi tutto l’orbe fosse
preparato e facile alla riverenza verso Roma Sede dell’impero celeste
… Perchè dunque [Costantino] lascia Roma e si trasferisce a
Costantinopoli? Confessiamolo: la mano di Dio che regge i re e gli imperi,
condusse questo avvenimento, a fine che la gran Roma colla universale sua
autorità rimanesse d’ora in poi al Capo del Regno di Dio».
[53] Monsignor
GHILARDI, La Legge Ferrara riprovata da
tutti i diritti che ha la Chiesa di possedere Beni Temporali. Opuscolo,
Torino, Tip. Dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, 1867, 13-4; Le Aspirazioni Rivoluzionarie a Roma,
Torino, Tip. Dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, 1868, 6a ed., 10, e
al punto 3, i Franchi «con giusto titolo diedero ai Sommi Pontefici le
provincie state già dell’imperio. Onde alla donazione del re
Pipino e di Carlomagno può convenire il titolo di donazione e quello
ancora di giusta restituzione», 11. Sulla Legge Ferrara, cfr. C.
CANTÙ, Discorso LV.
L’eresia politica, in Gli eretici d’Italia. Discorsi storici
di Cesare Cantù, Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1866, vol.
III, 556: «E mentre scrivo vien ratificata (15 agosto 1867) una
legge di passione e di guerra per dilapidare la Chiesa …».
[54] Impossibilità di una convenzione tra
il Romano Pontefice e gli usurpatori de’ suoi diritti di P.L.S.A.,
tradotto da A.C.D.P., Roma, Tipografia della S.C. di Propaganda Fide, 1869,
2° ed., 24 pp.; 16-8: «Gli appartengono per titolo della celebre
donazione, che mediante le sue armi vittoriose, e per quanto era da parte sua
fece Pipino re de’ Franchi alla Chiesa … Quindi in tempo di questo
Papa, nell’anno cioè 754 giusta la più fondata opinione, si
costituì definitivamente, e in modo legale e solenne la Sovranità
temporale de’ Papi, che già di fatto con maggiore o minore
signoria erano venuti esercitando come tutori dall’epoca che il gran
Costantino trasferì la sua corte imperiale nell’antica Bisanzio
…», stigmatizzato il «completo abbandono politico … nel
quale trovavansi <i popoli italiani> nel secolo ottavo per colpa
degl’Imperatori d’Oriente …», «I suddetti
Trattati (scil. Quiersy e Pavia) preparano la via al prossimo
ristabilimento dell’Impero d’Occidente … Furono la base sulla
quale Carlomagno, e i successivi Imperatori Franchi e Alemanni formolarono i
loro celebri diplomi e convenzioni con la Santa Sede in tutto il mondo
…», 23-4: «Il Signore degli eserciti … potrà
suscitare altri Pipini, altri Carlimagni, ed Ottoni …». Ribadisce
la legittimità dei possessi, derivanti dalle donazioni di Pipino e Carlo
Magno, anche Anonimo, Rome et le Pape, M. Laurentie, 2a ed., Paris 1869,
17-9.
[55] Anonimo, Considerazioni intorno al Titolo Primo del
Progetto di legge sulle Guarentigie delle Prerogative del Sommo Pontefice e
della Santa Sede, e sulle relazioni dello Stato colla Chiesa approvato dalla
Camera dei Deputati nella tornata del 21 Marzo 1871, Firenze, Tipografia
all’Insegna di S. Antonino, 1871 (estratto dal periodico La Vera Luce), III, 9, Costantino:
«Ed egli abbandonò quinci Roma, ed andò a fabbricare sul
Bosforo la sua sede. Allora cominciò il principato civile de’
Papi; conciosiacchè non c’è documento di scritto che
Costantino donasse a’ Papi il dominio della città eterna, ma
averla lasciata a loro … è documento di fatto e più chiaro
d’uno scritto, e non soggetto a falsificazione», 10: «…
onde i Franchi non originarono il principato civile di quello, con
liberalità l’allargarono, come poscia fece la gran Contessa colla
famosa carta vergata in Laterano». Cfr. anche Anonimo, Vita di Papa Pio VII, Torino, Collegio degli Artigianelli, Tip. e
Libr. S. Giuseppe, 1881, Capo Settimo, 5, 181: «… nessun Imperatore
ha diritto su Roma … Carlo Magno trovò Roma in mano ai Papi. Egli
riconobbe bensì e confermò senza restrizioni i loro domini e gli
accrebbe di nuove donazioni», 8, 185: «Quando il Bonaparte vantossi
Imperatore di Roma, nuovo Carlo Magno, il Papa risposegli, esserci un
Imperatore dei Romani, cioè l’Imperatore di Germania Francesco II,
titolo d’onore, onde non era scemata la signoria della Santa Sede
ne’ suoi stati».
[56] G.B. NOLI-A.
PERRINO, Un Erede di Costantino Magno
dinanzi al Regio Tribunale Civile di Roma contro la Giunta liquidatrice
dell’Asse Ecclesiastico e le Basiliche Vaticana, Lateranense, di S.
Paolo, di S. Croce e di S. Agnese per una quistione alimentaria, Roma,
Stabilimento Tipografico di G. Via, Luglio 1875, 144 pp.; § IV, 8:
«… l’errore comune che, delle beneficenze di Costantino Magno
alla Chiesa Cattolica presso molti, in oggi più che mai, contestata e
dubbia fosse la Storia …»; V, 10: «… la cessazione del
dominio temporale, che una antica tradizione faceva risalire ad una donazione
Costantiniana …»; XVII, 31: «Carlo Magno, il quale per lo
impero occidentale non può ritenersi che un successore di
Costantino», XIX, 39-41, il ’49, tra gli imperatori «orribilmente
celebri», Carlo V; XXIII, 51, l’abbandono di Pio IX della causa
italiana nel ’48 in quanto «patrono della Sovranità»;
XX, 54: «Dopo che la Sede dell’Imperio fu trasferita a Bisanzio, e
che colà trasmigrò eziandio la maggior parte del Romano
Patriziato, e che il restante cadde sotto il ferro degl’invasori …
gli Imperatori d’Oriente dal solo Senato Romano di Costantinopoli avevano
la ricognizione; il Senato Romano di Roma rinacque, in una certa guisa, colla
ripristinazione dell’Impero d’Occidente»; XXX, 66:
«informe e … temporaneo impero latino» (scil. dei
Crociati); XXXVIII, 85: «L’aura della vittoria ed il sorriso della
fortuna aveva in maraviglioso modo accresciuta l’ambizione di
quall’uomo straordinario che fu Napoleone I; ed il ristabilimento dello
Impero di Carlomagno non era una delle idee meno vagheggiate dal suo animo, non
mai sazio di potenza e di onori»; XLIII, 98, a margine:
«Distinzione nella Donazione Costantiniana – vera in parte»;
143, XLIV, 99-102, la donazione, in particolare 100 n.: «Pipino fece dono
del dominio utile di Ravenna e della Pentapoli al Pontefice», 102:
«… se donazione Costantiniana si vuole, questa non alla Chiesa fu
fatta ma al Pontefice …»; XLV, 102, incipit: «Ora, se gli
ultimi avvenimenti hanno tolto al Pontefice la Sovranità Temporale
(avuta da Costantino, o da Pipino, o da Carlo Magno, o dalla Contessa Matilde,
o d’altri, ciò poco monta) non per questo spogliarono la Chiesa
del Patrimonio suo; non per questo tolsero alla Chiesa né la
personalità giuridica che gli aveva accordato Costantino; né il
valore dei beni di che la sua generosità e quella d’altri
l’arricchirono»; XLVII, 107-8, la caduta della «seconda Sede
dei Cesari». Cfr. anche Anonimo, Vita di Papa Pio VII, Torino, Collegio degli Artigianelli, Tip. e
Libr. S. Giuseppe, 1881, Capo Settimo, § 5, 181: «… nessun Imperatore ha diritto su Roma …
Carlo Magno trovò Roma in mano ai Papi. Egli riconobbe bensì e
confermò senza restrizioni i loro domini e gli accrebbe di nuove
donazioni»; § 8, 185:
«Quando il Bonaparte vantossi Imperatore di Roma, nuovo Carlo Magno, il
Papa risposegli, esserci un Imperatore dei Romani, cioè
l’Imperatore di Germania Francesco II, titolo d’onore, onde non era
scemata la signoria della Santa Sede ne’ suoi stati». Sulla
non disinteressata protezione degli imperatori al Papato, cfr. Contro la Legge Ricotti. Opuscolo 2° di
Monsignor Ghilardi Vescovo di Mondovì, Mondovì, Presso G. Bianco Tipografo Vescovile, 1871, II. Discorso di d’Ondes Reggio, 29-30:
«miseri potenti della terra, i quali tutti, da Costantino fino a
Napoleone III, quando hanno tolto a proteggerla, hanno poi chiesto da lei
servigi sovente non legittimi, non decorosi».
[57] A. SAFFI, L’Italia e il Diritto pubblico nel
Medio-Evo. Prelazione letta nell’Ateneo bolognese il 16 Novembre 1884,
in Ricordi e scritti, cit., vol. XII
(1874-1888), 1904, 338.
[58] P.B. CUSMANO, I destini del regno di Gesù Cristo e
di Roma Sua Capitale, cit., cap. X, 51: «Roma allora dormiva …
Egli è vero che Bisanzio, posto a capo dell’Asia e con in mano le
chiavi d’Europa, stava là vigile e attento colla spada sguainata a
difendere, a rintuzzare le correrie dei feroci barbari … Roma dormiva; e
Bisanzio non faceva altro che le veci … di uno spauracchio …
degeneri imperatori di Costantinopoli», 55: «la scimmia alla metropoli
del mondo antico»; XI, 60. Valutazione negativa anche in Anonimo,
Giordano Bruno o la religione del pensiero – L’uomo,
l’apostolo e il Martire, Torino, Libreria-Editrice Carlo Triverio,
1882, con l’intestazione «Non flere, non indignari sed
intelligere» di Spinoza, Parte Prima. Sezione Prima, L’Uomo, 25: «… si traslocò la sede
dell’impero là, nel centro delle antiche superstizioni e di tutte
le corruzioni: l’Oriente».
[59] G. P., recensione
a Costantinopoli, e il Bosforo Tracio,
cit., 96-8, Tiro, Costantinopoli Egitto e Messico, le tre zone migliori del
mondo, menzione de «i Sesostridi … Montezuma»; recensione a Costantinopoli e la Turchia nel 1828. Opera
di Mac-Farlane, Londra, e Parigi 2 volumi, vol. XXXVII. N.° 109. Gennaio 1830, 97-116, 115-6, ancora sui
tre migliori “siti”: Costantinopoli, Egitto e Messico, cui aggiunge
la Spagna. Nella recensione a Histoire de la Régénération de l’Egypte. Par
Jules Planat, Paris 1830, vol. XXXVIII, N.° 117. Settembre 1830, 104-22, 121, sulla scia dell’entusiasmo per
le riforme egiziane, assegna all’Egitto il ruolo fondamentale nella
storia del commercio.
[60] ID., Costantinopoli, e il Bosforo Tracio,
cit., 89-91: «Uno dei fenomeni
filologici (n. 4: «Nel senso di Vico») più contemplabili
nei fasti nell’uman genere, è la migrazione delle genti
nell’età barbare; e la legge con cui pare che eseguasi un tal
fenomeno è quella che il movimento migratorio avvenga dall’Oriente
all’Occidente», dall’Asia, «cui meglio di addirebbe la
imagine di vagina gentium da Grozio
largita alla Scandinavia, parve essere sempre il vivaio di siffatti sciami di
nazioni. le primitive tradizioni greche memoravano gli Aoni e i Pelasghi
sbucati dal Caucaso, e irruiti per le coste eusiniche pria di stabilirsi in
Grecia. I Mauri … erano anch’essi migrati dall’Asia, e forse
dall’Arabia. E infine dal V al XII secolo dell’era nostra, videsi
di bel nuovo l’antica madre dell’uman genere lanciar le sue
generazioni verso l’Occidente; disserrando cioè pria le genti
slave sull’Europa, poi le arabiche sull’Affrica, e in ultimo le
turche, le quali sbucate da una regione intermedia tra l’Arabia e la
Tartaria, impresero i conquisti … altra legge circa la migrazione delle
genti pare quella che le tribù migratrici a conquisti d’altri
domicilii, non vanno da borea a mezzogiorno, come avvisa Montesquieu,
bensì da Levante a Ponente e lungo i circoli paralleli cui
sottostà la loro terra natia … Con questi fatti spiegasi
agevolmente il fenomeno dei progressi della lingua e delle religioni ognor da
Levante a Ponente … Nè v’ha memoria o notizia di religioni e
favelle progredite dall’Occidente all’Oriente». Sul tema, cfr. le recensioni a Histoire
de la Révolution Grecque, par Alexandre Soutzo, Paris 1830, vol. XXXVIII, N.°
112. Aprile 1830, 85-6:
«asiatiche migrazioni verso Occidente», ultimi i Turchi; Storia dell’Impero Osmano ec. Del
cavalier de Hammer ec. Volta in italiano da Samuele Romanini, Venezia 1828,
vol. XLI, N.° 121, Gennaio 1831, 69-70: «Non è meraviglia
… se i Turchi credansi la prima e l’antichissima delle genti
… l’Etiopo, che boriavasi il primigenito della terra ...»,
80: «La Tartaria fu la vera vagina
gentium …», con i Tartari identificati con gli Sciti, 92-4,
ancora sulle migrazioni, dettate da sete di conquista o da esigenze di
commercio: «E pare che così avvenga per un perpetuo movimento del genere
umano da levante a ponente, movimento preordinato dalla Natura o dalla
Provvidenza, sia per la circolazione indispensabile alla vita
dell’umanità, sia per altro fine inperscrutabile dall’uomo. Certo è …»; Histoire
universelle par M. Michelet etc., Paris 1831, vol. XLIII, N.°
128, Agosto 1831, 69: «l’Inde
… berceau des races et des religions», «India … la culla fecondissima di tutte le razze»,
71-2, Budda e Mosè, 72, Persia e Zoroastro, 75: «Eccoci ora col
nostro autore al passaggio della civiltà dall’Asia in
Europa», 76, i Pelasghi «i primitivi Barbari, dall’Asia lanciati sull’Europa», 84:
«Michelet … vede ne’ Barbari i campioni della Libertà contro alla fatalità della signoria di Roma … noi pensiamo …
che i Barbari, nonché essere eroi rivendicatori della Libertà, diluviando sull’Occidente per sottrarlo
alla romana dominazione, erano anzi gli strumenti ciechi e passivi di quella
ineluttabile legge cosmologica, che sembra sospingere perennemente il genere
umano da Levante a Ponente … (tramite popoli, o famiglie o individui).
Col primo mezzo l’Asia disserrò due volte sciami di genti
sull’Europa e sull’Affrica; antichissimammente, cioè,
co’ Pelasghi co’ Dori con gli Aoni co’ Mauritani ec. ec. e
ne’ secoli 5. 6. e 7. dell’era volgare con Goti, con Vandali, con
Unni, con Eruli, con Franchi, con Longobardi, con Arabi ec. ec. Col secondo
mezzo quindi l’Europa ha ripopolato l’America spopolata dalla
ferocia spagnola, e va oggi ripopolando le terre oceaniche spopolate da qualche
catastrofe fisica, oppure da lunghisimo stato selvaggio».
[61] F. ALGAROTTI,
1739, Viaggi di Russia. Lettera VI A
Mylor Hervey Vice Ciambellano d’Inghilterra a Londra, 1739, in Illuministi italiani. Opere di Francesco
ALGAROTTI e di Saverio Bettinelli, La letteratura italiana. Storia e testi,
vol. 46, t. II, a cura di E. BONORA, Milano-Napoli 1969, 226-8; F. GALIANI, Lettera LXXXVII A F.M. Grimm; Lettera LXIV A
Madame d’Epinay, in Illuministi
italiani. Opere di Francesco Galiani, ibid., t. VI, a cura di F.
DIAZ-L. GUERCI, Milano-Napoli 1975, 1141, 1070. G. COMPAGNONI, Prospetto politico dell’anno 1790
(Notizie dal mondo, 1791), in Giornali
veneziani del Settecento, Collana di periodici italiani e stranieri, 5, a
cura di M. BERENGO, Milano 1965, 536 (cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio, Introduzione, 14-5, 18-9,
con ampia bibliografia, alle pagine seguenti, sul tema della translatio
imperii a Mosca nella letteratura europea nella seconda metà del
Settecento e nella prima dell’Ottocento).
[62] V. ALFIERI, I Viaggi. Capitolo Secondo, in Scritti politici e morali, III, in Opere di Vittorio ALFIERI da Asti,
Edizioni del centenario, vol. III, a cura di P. CAZZANI, Asti 1951, 144-6 vv.
157-65; ma tutto il linguaggio diremmo etnico usato dal Nostro nei riguardi dei
Russi è dispregiativo, da “Tartari” a “Trace”,
termine solitamente equivalente di Turchi (cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio, cap. I. Giuseppe Parini,
62-3).
[63] V. MONTI, Il Beneficio, 1805, in Prose e Poesie di Vincenzo Monti,
Firenze Le Monnier 1847, vol. II, 1, 161 vv. 226-8. I versi, cui fa seguire il
duro commento: «E quest’irto Russo doveva mandare legato con nodi
indissolubili il suo divino Prometeo, e quest’irto Russo, se fosse calato
in Italia, avrebbe forse ottenuto dal Monti il saluto de’ prodi, il
cantico del trionfo», sono inseriti dal TOMMASEO nel suo Dizionario estetico, in Prose e Poesie, a cura di P.P.
TROMPEO-P. CIUREANU, Torino 1981, ristampa, vol. II, 93 (cfr. G. MINARDI
ZINCONE, Translatio, cap. II, 98-9;
sugli stilemi etnici per la Russia, cfr. 96-7), versi e commento riproposti
alla lettera da K. X. Y., cioè TOMMASEO, Vincenzo Monti. Articolo Necrologico, Antologia, vol. XXXII, N.° XCIV. Ottobre 1828, 194.
[64] Cfr. gli esempi
desunti da D. GROH, La Russia e
l’autocoscienza d’Europa, Torino 1980 in G. MINARDI ZINCONE, Translatio, 22 e note relative. Per i
consueti stilemi etnici, geografici, astronomici dalla forte valenza simbolica
per indicare i Russi, spesso abbinati per ferocia agli austriaci (fra cui
“Orsa”, particolarmente significativo e fortunato, perché
ambiguo) nei letterati e pensatori coevi al Monti, in particolare Antologia
repubblicana, G. Pindemonte, A. Buttura, L. Savioli Fontana, O.
Minzoni, C. Castone Rezzonico della Torre, L. Lamberti, L. Cerretti, P.
Giordani (Panegirico), F. Gianni, Egidio Petronj, G. Ceroni, G. Fantoni,
G.L. Redaelli, A. Manzoni, cfr. ibid.,
capp. II, 94-5, III, 114 n. 329, 115 n. 331, 126-128, 130-131, 137, 140; VI,
193-4. Al coro dei laudatores, sia pur con pudore, si associa il
BENEDETTI, Ode I. Per la nascita del figlio di Napoleone I (preceduta,
257, da Al Lettore, vibrata protesta
dell’Orlandini: «questa non è poesia cortigiana, ma di chi
ritiene essere mia parte quella della Patria»), Opere, cit., vol.
II, 265: «nel suol regna di Scipio e di Fabrizio … Fa’ che
nuovo Quirino/Ti chiami il redivivo onor latino … Istro materno …
Echeggi Italia dall’adríaco lito/Alla terra cirnea, che il mar
circonda,/Del gran guerrier feconda:/Il vasto Egeo risuoni, e
l’infinito/Grido perfin riceva/Lo Sveco, il Cimbro e la gelata
Neva» (l’Ode ebbe una lusinghiera recensione da
parte di S. PELLICO, cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio, cap. V, 170-1).
[65] Ibid., capp. III, 137-50: V. Ruelle,
Eleuterio Peltipolite (Michele Leoni), in particolare, 143, G. PERTICARI, Il Prigioniero Apostolico. Cantica (in Opere del Conte Giulio Perticari di
Savignano Patrizio Pesarese, Bologna, Tipografia Guidi all’Ancora,
1839, canto II, 392) e le Raccolte Il Re
Salmista Profetante ed esultante nel glorioso Trionfo dell’Immortale
Invittissimo Pontefice Pio VII restituito
nel pieno possesso dei Dominj della Santa Sede. Accademia Poetica Data la sera
del IV Agosto MDCCCXV Dai convittori del Liceo Convitto di Ferrara Diretta dal
Canonico Peruzzi, Ferrara, per Gaetano Bresciani, 1815, Ragguaglio del solenne Rendimento di Grazie
tributato all’Altissimo in Ferrara nel Giorno XXIX d’Aprile del
MDCCCXIV per l’inaspettato prodigioso Ritorno di Sua Santità Pio
VII dalla Francia in Italia e Componimenti pubblicati in così
festa occasione, Ferrara, Dai Tipi Bresciàn, e numerosi componimenti
anonimi; V, 192, Scelta d’Iscrizioni moderne in lingua italiana.
Iscrizioni di Gianfrancesco Rambelli lughese, Biblioteca Italiana,
Anno XIV (1830), t. LVIII, 256-8. L’impresa di Russia viene
rievocata in Anonimo, Sulla rivoluzione
di Milano seguita nel giorno venti Aprile 1814, sul primo suo Governo
Provvisorio, e sulle quivi tenute Adunanze de’ Collegi Elettorali,
Memoria storica, con Documenti, Parigi, Presso Barrois, Novembre 1814, 78
pp.; “Avvertimento”, III: «opera di un personaggio illustre
del regno d’Italia», 5, resoconto delle convulse vicende del 1814,
e del dibattito a favore della nomina di Beuharnais a re d’Italia. Sul
tema, cfr. anche F. BENEDETTI, Ode II,
in Opere, cit., vol. II, 268, gli
italiani condotti a morire «nelle deserte arene/Di Scizia, e ad impinguar
le ispane glebe»; Ai Nobili Signori D. Neri de’ Principi Corsini
Marchese di Laiatico ed Eleonora de’ Marchesi Rinuccini. Nello loro
Faustissime Nozze Voto di Felicità di G.A. Aiazzi. Ode, s.d. e l., 9
pp.; 6 str. II-III: «Passò stagion che il forte/Garzon
d’Ausonia, d’altrui ferro cinto,/E per patria non sua sfidò
la sorte;/Illacrimato estinto/Sulle nordiche nevi i dì
chiudea,/Nè il bacio estremo de’ congiunti avea./ Gloria fu detta:
ahi meglio/Il nome avria d’italica sventura!»; G. MAZZINI, Ricordi dei fratelli
Bandiera e dei loro compagni di martirio in Cosenza il 25 Luglio 1844.
Documentati colla loro corrispondenza. Editi da Giuseppe MAZZINI, Parigi,
Dai Torchi della Signora Lacombe, 1844, 82, contro gli Austriaci
«numerosi, agguerriti e Voi non siete 24 milioni di fratelli, non i
più animosi guerrieri dell’antichità, non i figli dei prodi
che in Spagna, in Polonia, in Germania, in Russia, illustrarono di tanto
splendore l’aquila di Napoleone?». C. CANTÙ, Storia della città
e diocesi di Como, cit., vol.
II, L. X, 314-6, la coalizione austro-russa del 1803: «… sino dai
ghiacci del mar Bianco i Russi, lordi di strage polacca, movevano al furto
della lombarda ricchezza per soggettarci ai nostri antichi padroni
…», 319: «Settentrionali (= Russi) … Tredici anni dopo
andarono gli Italiani rendere loro la visita, e quanti pochi rivennero a
contare l’incendio di Mosca! O conquistatori! E il guerriero fortunato
… e prode … (scil. Napoleone)» con amara ironia; Il Febbraio del 1831, in Poesie di Cesare Cantù, Firenze, Successori Le Monnier, 1870, 171, i Lombardi:
«Han sulle labbra/Scevola e Bruto, ma nel cuor, nei fatti/Clodio e
Trimalcion … Amico … Ma se l’opra/Dell’alme
cominciò, se, tratto il brando,/La guaina gettâr: se guardâr
l’oro/E consputarlo san: se il cuor ripreso/Onde a Madrid ed al Kremlin
piantaro/L’aquila, e del loro piè stampâr le
insegne/D’Austria e di Prussia; a libertade o a morte/Si congiuraro,
eccomi …»; Della Indipendenza Italiana. Cronistoria di Cesare Cantù,
Torino, Unione Tipografica-Editrice Torinese, 1872, vol. I, cap. XXI. Imprese
di Lissa. - Spedizione di Russia,
773 ss.; vol. II, Torino 1873,
Parte Prima, capp. XXV. I nuovi padroni d’Italia, 57-108 (i laudatores
dell’Austria); XXVI. Giovani antichi e idee nuove. - Le società
segrete, 125 n. 6, a proposito di un’opera francese sui patimenti dei
soldati napoleonici rimasti in Russia, aggiunge: «Anche da noi furono
pubblicati Gli Italiani in Russia, Davide Bertolotti fece un romanzo Il
ritorno dalla Russia» (in Antologia, recensito il primo da M., Gl’Italiani in Russia, memorie
d’un Uffiziale Italiano, Firenze, Batelli 1826, tomi 3, vol. XXI,
N.° LXII. Febbraio, 1826, 175; con la dicitura «Italia 1826»,
vol. XXIV, N.° LXXI e LXXII. Novembre e Dicembre 1826, 261-74; vol. XXVI, N.° LXXVII. Maggio 1827, con la dicitura
«Italia 1826-27, tomi 3», 95-125; il secondo, definito
“racconto” da L., recensione a Opere
di Davide Bertolotti, vol. XLVII, N.° 141, Settembre 1832, 113. Tutti
testi non reperiti, come la Russiade
di G. ORTI, recensita con pessimo giudizio in Breve Rivista Letteraria, Poesie
di Girolamo Orti, Verona dalla Società Tipografica editrice, 1823,
vol. XII, N.° XXXVI. Dicembre, 1823, 140-1); XXVIII. Patiboli. – Carceri. - Esigli, 193-4 n. 1, nel ricordare come
«perfino Scalvini disabbelliva l’eroismo de’
Piemontesi», considerati tutti vigliacchi nei moti del ’20-21, ne
cita un componimento relativo all’impresa di Russia, str. II: «Pur
v’ha talun che i panni apre, e sul petto/Mostra i segni del ferro; e
narra immani/Fatiche d’altri giorni, allor che in armi/Contra al
Settentrion corse il Meriggio,/E curvo sul destrier coll’inclinata/Lancia
il Cosacco rapido avventarsi/Sul gel lucente; e, nella notte, accesa/Repente la
regal Mosca, dell’armi/Tramutar la fortuna: onde allo scampo/Bisognò
più valor che alla conquista».
[66] F. BENEDETTI, Ode VII. All’Italia, 1814, Opere, cit., vol. II,
289-90: «Animosa favella, o regi, udrete,/Che dell’Istro guerriero
in sulla riva/Esempio ignoto a questa, ed altra gente,/Delle sorti europee
l’urna movete …» (una vera e propria lotteria per G. GIUSTI, Per il primo Congresso dei Dotti. Tenuto in
Pisa nel 1839, in Tutti gli scritti editi e inediti di
Giuseppe Giusti, a cura di Ferdinando MARTINI, Firenze, C.- Barbèra
Editore, 1924, 36: «Non
si tratta, come a Vienna,/D’allottare i popoli»), «… il Po,
l’Istro, e l’Elba, e il Reno/Assai finor d’estinti/E di
sangue recaro al mar tributo», 291: «… O la luna che imbianca
il truce Eussino,/Da infausta luce offesa,/Scorrerà fiammeggiando il ciel
latino», 283: «Pace a quei che lasció gli estremi
liti/Candidi sempre di sintonie nevi,/Per far di un’altra Pergamo
vendetta (n. 2: «Alessandro, imperatore di Russia, che si vendicò
de’ Francesi ed entrò vincitore in Parigi con la sua armata e
quella de’ suoi alleati. Per un’altra
Pergamo intendi Mosca, che cadde incendiata come Troia ossia
Pergamo»): /E bevvero la Senna i vaghi Sciti … (espressione simile
in A. POERIO, Antonio Canova, in Poesie,
LII, 1845, 131 vv. 182-3, le opere trafugate riportate in Italia quando «il
Tartaro corsiero/Bevve di Senna l’onde …»). Deh!
Ricomponga al misero Polono,/Cui lunga speme alletta,/I mesti avanzi del
disperso trono./Sia pago il prusso regnator, che in pace,/Tornando al fianco
usato il grande acciaro … (n. 3: «La spada di Federigo il grande,
trasportata a Parigi da Napoleone»)», 284: «Pace, o potenti,
pace … Perc’han nei geli di Sarmazia (n. 2: «nome antico di
una vastissima regione intorno al Mar Nero») albergo/A mezzo il corso
faretrate schiere? …» (con il titolo Il Congresso di Vienna. Canzone di Francesco Benedetti, Firenze,
1814, Presso Giovanni Marenigh, 1814, con intestazione All’Italia). Cfr.
anche Ode IV, 1814, ibid., 277, n.
1: «A Giovacchino Murat, quando mosse la guerra della indipendenza
italiana»), 281, lungo elenco di popoli: «Batavi … Germani
... E (i) feroci Ispani … Il Celta … l’indomito Britanno
… E quei che l’Istro beve,/La Drava, il Beti, il Meno,/E la gente
che scarso il sol riceve,/Che irsute spoglie al seno/Avvolgersi
diletta;/Profuga stirpe a trattar l’aste avvezza, (n. 5: «I
Cosacchi o gli altri popoli quasi nomadi e semiselvaggi del
Settentrione»)/Che la morte disprezza,/E vien dall’arsa Mosca a far
vendetta./Ma già dalla Persepoli seconda (n. 6: «Qui il luogo
è dubbio: o volesse l’autore sotto il nome di Persepoli indicare
Mosca arsa, come la tradizione narra che fosse Persepoli, ovvero intendesse
Parigi, perché vinta e occupata da un nuovo Alessandro») le strade
il vincitor torrente inonda», fino all’augurio finale di pace, 282.
L’Ode viene ricordata, insieme a due altre “Canzoni” del
Benedetti in occasione del Proclama di Rimini, da C. CANTÙ, Della
Indipendenza, cit., vol.
II, 1873, cap. XXIV. Speranze e conati d’indipendenza. Fine di Murat e
dei Napoleonidi, 42-3; Storia
universale, vol. XI, 1886, L.
XVIII, cap. XVI. Trattato di Vienna,
270-3, 279.
[67] Recensione a L’Europe après le
Congrès d’Aix- la-Chapelle, faisant suite au congrès de
Vienne, par M. De Pradt, ancien archevêque de Malines, Biblioteca Italiana, Anno IV (1819), t.
XV, 16 ss.; l’omissione risulta dal confronto con D. GROH, La Russia e l’autocoscienza
d’Europa, cit., 151-5 (cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio, cap. V, 190).
[68] Ibid.,
147-8; G. MAZZINI, D’alcune cause
che impedirono lo sviluppo della libertà in Italia, 1832, in Scritti politici, a cura di F. DELLA
PERUTA, Torino 1978, ristampa, t. I, VII, 146: «Napoleone ha riassunto
l’epoca, allorquando pronunciò che l’Europa nello spazio di
quaranta anni sarebbe stata cosacca o repubblicana», n. 1: «…
ce serait le besoin qu’on aurait de moi contre les Russes, car dans
l’état actuel des choses, avant dix ans toute l’Europe sera
peut-être cosaque, ou toute en republique»; N. TOMMASEO, Del presente e dell’avvenire,
cit., 76 (cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio,
Introduzione, 22-3, cap. VI, 209 n. 639). Si veda anche C. CATTANEO, Considerazioni,
1848, Tutte le opere, vol. V, t. I, 626-7: «La Russia ride; e
soffia nel fuoco; e batte assidua il cuneo della centralità viennese,
per dirompere e sfaldare le male assortite conglomerazioni … La gran
predizione si compie; l’Oceano è agitato e vorticoso; le correnti
vanno a due capi: - o l’Autocrate d’Europa: - o li Stati Uniti
d’Europa»; Timori e speranze di Massimo D’Azeglio,
Torino, Presso Gianini e Fiore Librai, 1848, 56 pp. «Per l’unione»; I, 5: «Napoleone disse che nel 1850
l’Europa sarebbe cosacca … o repubblicana»; G. ROSSETTI, La vera gloria, Opere inedite
e rare di Gabriele Rossetti, a cura di D. CIAMPOLI, Vasto, 1929, vol. I, n.
19, 83 vv. 76-8: «E sui fogli vergò di propria mano:/Fra
cinquant’anni l’europeo destino/O fia cosacco, o fia
Repubblicano». Sullo stilema “Cosacco” per Russo, cfr. Alla Virtù. Al sospiro de’
Forti. Alle Donne veramente Italiane. Almanacco per l’anno Bisestile 1832,
Italia, con sulla pagina opposta al titolo tre donne con bandiere iscritte:
«Forza Unione Libertà», 6-7: «L’Italia per tanta
benignità del cielo, e fecondità del suo suolo, per saviezza
d’istituzioni, per virtù cittadine, per l’ingegno e valore
dei suoi figli … regina del mondo», «Lo Spagnuolo, il
Francese, il Tedesco, i Cosacchi e perfino i Turchi la corsero, la
depredarono».
[69] Anonimo, La Repubblica Italiana del 1849. Suo
Processo, Quarta Edizione, Napoli, All’Uffizio della Civiltà
Cattolica, 1850, cap. LXIII. Politica
Europea, 232-3: «Restano adunque sul suolo europeo l’idea
cattolica e l’idea moscovita; e Napoleone vedeva più che non
prevedeva, annunziando che nel corso del secolo diciannovesimo l’Europa
sarebbe repubblicana o cosacca. Napoleone guardava alla forza materiale del
Moscovita, noi guardiamo all’idea … ogni colpo che si portò
all’Austria, fu una vittoria per il Moscovita …»,
«Nella Russia il principe è papa e imperatore ... una potenza che
oggidì estende le sue forze incalcolabili», 234: «Dio non
voglia che profittando <lo Czar> degli errori filosofici e religiosi
introdotti nella Polonia, nella Serbia, nella Boemia, nella Croazia, non arrivi
a soggiogarli tutti nello scisma come ad una religione nazionale, e farsi
venerare quale sacerdote e imperator dell’Oriente; e Dio non voglia
ancora che l’influenza di questo Papa e re non si estenda sino
all’Occidente».
[70] In Antologia,
L. BORRINI, recensione a Il Cadmo. Continuazione, vol. IV, N.° X.
Ottobre 1821, 145: «il rigeneratore delle Russie …», pari a
«il Francese Augusto … duro più che artico gelo lo Sveco
Carlo … il magno Federigo». G. P., recensione a Lettere
su’ costumi e sugli istituti dell’America Settentrionale di Ianus
Fenimor-Cooper, vol. XXXVI, N.° 106. Ottobre 1829, 50; K. X. Y.,
recensione a Storia dell’Impero Russo, compilata dal cav. Comapagnoni,
cit., 160-1; G. MAZZINI, D’una
letteratura europea, vol.
XXXVI, N.° 107-8. Novembre e Dicembre 1829, 91-120, a firma «Un
Italiano», in Critici dell’età romantica,
a cura di C. CAPPUCCIO, Torino 1978, ristampa, cap. XIII, 218:
«Così la lotta tra il vero, e l’errore, che lo spirito di
libertà avea suscitata nel periodo precedente, si perpetuò sotto
mille forme in questo quinto periodo; ed ebbe vario successo nelle varie parti
d’Europa … mentre il
genio creatore di Pietro aggiungeva la Russia a’ popoli inciviliti
…»; G. P., recensione a Viaggio per la Tauride nel 1820.
Opera di Murawieff-Apostol, Pietroburgo e Berlino, vol. XXXVII, N.°
111. Marzo 1830, 59, incipit: «Chiunque mediti sugli uomini magni
quà e là apparsi sulla scena del Globo a stupefar la terra, non
può non iscorgere in Colombo Pietro il Grande e Napoleone, i fortissimi
d’animo mente e volontà nell’era moderna. Di Napoleone
è dovere il tacersi, dicendo il suo solo nome assai più che dir
potrebbe ogni voce o penna comunque prestantissima. Colombo peregrinò
mezza sua vita, non avendo mai pace finchè non ebbe una nave a cimentar
l’Oceano, e duplicare il mondo. Pietro in ultimo, non mai requiando
finchè non iniziasse il suo popolo alla civile società
d’Europa, e procedendo in cotanta opera con quella vigoria de’
gagliardi, che pare ed è violenza alla snervatezza dei molli, fu perfino
il Bruto primo della civiltà. Emulo dell’italico, che aveva
ingigantito l’europea signoria co’ conquisti transatlantici, il
Moscovita l’accresce conquistando le nazioni che strappava alla barbarie
asiatica»; lode della Russia moderna, l’autore inserito tra le
«esordenti muse iperboree», 65, la Crimea; L., recensione a Pietro
di Russia, poema di Angelo Curti con annotazione dell’autore, vol.
XLVIII, N.° 144, Dicembre 1832, 67-8 (recensito impietosamente in Biblioteca
Italiana, Anno XVIII (1833), t. LXXXI, 77-9, cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio,
cap. V, 191-2).
[71] G. LEOPARDI, Zib.
867, Zib. 2331-5, in Zibaldone dei pensieri, cit., vol. I,
580, 1405-7 (cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio imperii e translatio studii
nell’opera di LEOPARDI, cit., § 1, § 6, 611-3; Translatio, cap. IV, 163, 166 n. 520).
Almeno in campo letterario, le presta respiro europeo G. MAZZINI, D’una letteratura europea, ed. cit., cap. XIV, 220: «… esiste una tendenza europea. Dunque la
letteratura … dovrà farsi europea»; XV, 221, le aspirazioni
della gioventù europea «dalla Neva all’Ebro», 222-3:
«Fin nella Spagna, nazione caduta al fondo … Fin nella Russia,
nazione escita novellamente dalla barbarie, traspare … la tendenza
europea».
[72] Anonimo, Frammento poetico riguardante Napoleone
Bonaparte scritto nell’anno 1828 ed ora uscito alla luce con note
dell’Autore, Italia 1837, 166-8, Canto VI, str. 43, 44, 46; il motivo
ritorna ne La pace di Adrianopoli, ossia
la Grecia liberata, canti epico-lirici di Domenico Biorci … Dedicato
all’I.E. Maestà di Nicolò I imperatore ed autocrate di
tutte le Russie ecc., Biblioteca
Italiana, Anno XXI (1836), t. LXXXII, 48 (cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio, capp. III, 148, V, 192).
[73] D. GUERRAZZI, Orazione per Cosimo Damiano Delfante Soldato
Italiano, Marsiglia, Tipografia militare, 1832, 32 pp., preceduta da un
indirizzo «Ai Lettori» di G. MAZZINI; 6-7: «E quella stessa
mano, che apparve al convito di Balthazar (n. 2: “Daniel 2, cap.
V”) sopra le rovine dei tempi trascorsi ha scritto la legge: Sii oppresso, od oppressore (eco del
Manzoni). Ho veduto la sapienza pellegrinare attorno la terra, e non posarsi
mai, e al suo partire sopprimere ogni traccia della dimora; ho contemplato un
popolo crescere, allargarsi, e dominare per tutta la terra, divenuto poi debole
cadere per infermità interna, o per guerra di fuori; così tra le
nazioni di cui conserviamo memoria avvenne ai Romani, così ai
Langobardi, così ai Franchi sotto Carlo Magno, agli Spagnuoli sotto
Carlo V, nuovamente ai Francesi sotto Napoleone, e forse esistono adesso due
popoli ai quali si apparecchiano gli stessi destini nelle ragioni del
declinare, e del sorgere … assiduo alternare di siffatte vicende …»,
23-9. Il testo venne ripubblicato col titolo Cosimo–Damiano Delfante, in Orazioni funebri di Illustri Italiani dettate da F.-D. Guerrazzi con
aggiunta di alcuni scritti intorno alla Belle Arti, Firenze, Quinta
Edizione, Felice Le Monnier, 1856, 45-78, con piccole aggiunte. G. MAZZINI, Ricordi dei fratelli
Bandiera e dei loro compagni di martirio in Cosenza il 25 Luglio 1844,
cit., 14-5, Attilio Bandiera: «Polonia, Ungheria, Grecia, Serbia ed
Italia hanno interessi comuni contro la Russia, l’Austria e la
Turchia».
[74] G. GIUSTI, Dies irae,
Nell’occasione che fu scoperto a
Firenze il vero ritratto di Dante fatto da Giotto, estate 1842, Tutti gli scritti editi e inediti, cit.,
166-7 (con l’incipit: «Ohimè, filosofia, come ti muti,/Se
per viltà rifiuti/De’ padri nostri il sermo, e mostri a dito/Il
settentrional povero sito! …»); cfr. anche Per il primo Congresso dei Dotti. Tenuto in Pisa nel 1839, cit., 36: «E per questo un
Tirannetto/Da quattordici al duetto/Grida: o che spropositi!/Questo principe
toscano,/Per tedesco e per sovrano,/Ciurla un po’ nel manico … Non
siam re mica in Siberia (=Russia):/Dio ’l volesse …», Una tirata contro Luigi Filippo, agosto
1836, «estrema Tartaria», ibid.,
36, 151. Il Dies irae viene ricordato da C. CANTÙ, Della
indipendenza, vol. I, Parte Prima, cap. XXXII. Il governo austriaco,
408 n. 49.
[75] V. GIOBERTI, Della
Nazionalità italiana, Appendice, cit., 60-1; cfr. anche Prolegomeni, cit., 36-8, a proposito
dell’eccidio dei fratelli Bandiera (le «recenti carneficine del
Regno» di Napoli, «fiero caso di Cosenza»): «gli
ergastoli di Spilberga e le cave metalliche della Siberia son castighi pietosi
verso i macelli cosentini … gli strazi cosentini»; Ai popoli
italici. La Società Nazionale della Confederazione Italiana, 1848, Roma, Tipografia di Gianandrea
e Chiassi, 11: «L’Austria e la Russia han dimostrato con
recentissimi esempi che sanno vincere, non che emulare, le atroci fierezze dei
Vandali e degli Unni … E non a caso fiacciam menzione della Russia; i cui
disegni di signoria e schiavitù universale non sono occulti se non a
quei prodi politici che vivono alla giornata», 12: «Chi è
che da più lustri fa al cattolicismo una guerra implacabile e strazia
per odio di esso l’eroica Polonia, se non l’antipapa dell’Orsa
e il despota del Settentrione?».
I due paesi sono appaiati anche in C. CATTANEO, [Prolusione al corso Luganese di Filosofia], cit., 921, Atene, la
cui gloria «è scritta in eterno nei fasti del genere umano, mentre
ignoti alla storia delle scienze sono i cento millioni di servi
dell’Austria e della Russia».
[76] V. GIOBERTI, A Terenzio Mamiani,
Brusselle, 6 aprile 1841, in Epistolario
filosofico, cit., 369.
[77] ID., Introduzione allo Studio della Filosofia,
in Opere edite ed inedite di Vincenzo Gioberti, Brusselle, Dalle
Stamperie di Meline, Cans e Compagnia, 1844, vol. I, Proemio, 117-118: «… l’Europa, testè
uscita dalla barbarie, è volta a ritornarvi, se i savi non vi riparano,
e … la nuova barbarie che ci minaccia è più formidabile
dell’antica … Che se gli antichi barbari numerosi e fieri vinsero
la civiltà latina, perché molle e degenere, e spiantarono quella
vasta mole dell’imperio romano; non so come gli stati occidentali e
meridionali della nostra Europa, non abbiano a temere di una nuova
agressione», «… i Russi … non meritano a rispetto nostro
il nome di popolo culto; la loro religione e pulitezza consiste solo nelle
apparenze; pagani battezzati, e barbari attillati … Goti … Vandali
…», «i riti scismatici di Russia, strumento e ludibrio di un
despoto, possono sovrastar di efficacia all’antico Arianesimo, per
mansuefare ed ingentilire gli animi degli uomini», 294 n. 17, a proposito
di alcuni vescovi lituani e russi passati all’ortodossia cattolica,
capaci di sopportare: «il giogo spirituale dell’oppressore della loro
patria, e l’impuro consorzio della Chiesa moscovita …» e
dello zar, «Chiunque non è russo o barbaro in Europa, e serba
qualche senso di generosità e di pudore, ha dovuto meravigliarsi, non
già del carnefice della Polonia, già spacciato per un mostro
infame … tiranno …». Cfr. anche Teorica del sovrannaturale,
cit., 473 n. 106; Prolegomeni, cit.,
27: «… imperò nei paesi mezzo barbari, come la Russia, il
ceto medio è debole o nullo».
[78] ID., Della Protologia, cit., Saggio IV, cap.
XI. Società, 293: «Il
principio macedonico, cioè dispotico; il principio dorico, cioè
aristocratico; e il principio ionico, cioè democratico. Il prevalere
delle idee ioniche e le tumultuazioni di Atene spianarono la via al dispotismo
interno de’ Macedoni, e al dispotismo forestiero dei Romani. La Francia
politicamente è l’Attica dei dì nostri, come le nazioni
germaniche ne sono la Macedonia, e le nazioni slave la Roma. Se la democrazia
prevale nelle nazioni latine, il dominio del settentrione e dei Russi è
inevitabile … Dicesi oggi che la civiltà è indirizzata a
diffondersi da Occidente in Oriente. Vero o falso … Noi dobbiamo adunque
studiare l’Oriente … risalire all’Oriente primitivo
…».
[79] ID., Del Primato, cit., Parte Prima, 28:
«Invano ella <la Grecia> scosse il giogo del Turco per sottentrare
alle cupe arti dello Slavo, e agitarsi inquieta tra le due scisme di
Pietroburgo e di Bisanzio …», 64-6: «Napoleone volle far
della Francia la nazione grande per eccellenza, e non ottenne l’intento
suo, perché i Celti sono una stirpe vecchia: il Russo vuole investire di
questo titolo i suoi Slavi e vincerà la prova, perché questi sono
una stirpe giovane … una lega dei popoli meridionali e occidentali contro
il Settentrione sarebbe tanto più opportuna, che la religione cattolica
potrebbe servire a stringere insieme le nazioni civili contro i nuovi
barbari», «Che cosa infatti vuole il Russo, se non essere il papa
d’Europa e incamminarsi ad esercitare lo stesso ufficio nel resto del
mondo? ... papa boreale e selvaggio … La febbre d’orgoglio che
agita lo Slavo travolse già il cervello di altri potenti, e segnatamente
di Napoleone», «E ora si veggono i principi non dubbi del gran
conflitto, che occuperà forse i secoli futuri, fra Roma e Pietroburgo,
fra il pacifico pastore dell’austro e l’autocrato armato del
settentrione»; Parte Seconda, 214-9: «Una nazione ancor mezzo
barbara al dì d’oggi … farà forse un giorno rispetto
all’Asia del centro e di tramontana ciò che verrà
effettuato dall’altra (scil. l’Inghilterra) nelle parti
australi della medesima. Io non credo avvenuto per caso che la sola Russia
possegga … almeno nominalmente, nell’Europa, nell’Asia,
nell’America, tutti i paesi sovrapposti al sessantesimo grado di altezza
polare, e popolati dalla razza uralicofinnica, che in rozzezza e in miseria
pareggia od avanza quella degli uomini neri ed austrini … Ma la Russia
non ha meglio al dì d’oggi il sentimento de’ suoi destinati,
che lo avesse l’atamanno Germac, quando nel secolo sestodecimo
conquistava a pro di quella una parte della Siberia, e il possesso territoriale
delle contrade, sulle quali può stendere le sue branche avide e
grifagne, è l’unico intento che si proponga. Manca alla Russia,
come all’Inghilterra, la viva e schietta coscienza del suo ministerio
incivilitivo e cosmopolitico …», 221, la Russia cadrà, come
l’impero romano, «se non attende a congiungere insieme le varie
parti dell’impero con un nodo morale …», 251, auspicio di un accordo tra
«natura meridionale» e «arte boreale», «quando la
civiltà portata dal Cristianesimo verso aquilone …
ricorrerà verso mezzogiorno … Questo moto dell’incivilimento
cristiano da occidente ad oriente, e dal polo all’equatore,
comincerà probabilmente con due eventi notabili, cioè colla
resurrezione d’Italia, e colla liberazione di Costantinopoli
dall’islamismo e dai Turchi …», allora «il mediterraneo
ripigliando le sue antiche comunicazioni coi paesi di levante, per mezzo
dell’Eussino e dell’Eritreo, diverrà di nuovo il centro del
commercio marinaresco».
[80] A. POERIO, Per l’arrivo in Sicilia
dell’Imperatore di Russia, in Poesie,
cit., LV, 1845, 136 vv. 4-5:
«E’ il nordico sire che all’isola giunge/Più ricca di
raggi dell’italo sol», 137 vv. 22-23: «… Pugnando col
Trace/Fu l’alta virago d’Europa salute», 26: «T’allegra,
feroce signore del Norte», 138 vv. 46-55: «Su, destati, Europa. Non
vedi che scoppia/Dall’occhio al superbo la cupa minaccia?/Che
l’orride squadre dovunque raddoppia/Ministre a’ suoi cenni? Non
vedi che abbraccia/Del mondo il servaggio nell’empio pensier?/Che dico?
Che miro? S’affaccia una gente/Cui chiami selvaggia, del Caucaso in
vetta;/Terribile piomba sul Russo, e repente/Di quella Polonia fa fiera
vendetta,/Cui tu, sì civile, lasciasti perir./Sia segno di cielo che il
varco al conquiso/Gli è chiuso, che un giorno fia gloria
latina/Diffonder nell’Asia la fede di Cristo». Cfr. anche G.
MANINI, Poesie giovanili, cit., Alla Polonia, 6: «Scita fremente», «Cosacco»,
«Sorgete! ... Vacilla il Colosso sul gelido altar», 7: «Chi
trema è la Newa, chi trema è lo Czare», 8: «tartara
squilla»; Anonimo, Declamazione
di un libero Romano alle provincie riunite d’Italia, «Ai 14
Marzo 1831», Terni, Tipografia Possenti di Michele Accursi, 20-1, esaltazione di Svizzera, Olanda, e de «la
potenza delle libere armi Polonee gloriosissime in sanguinosa lotta contro la
formidabile Moscovia».
[81] G. ROSSETTI, All’Austria, Novembre 1846, in Cracovia. Carmi di Gabriele Rossetti,
Pepoli, Nardini, Ricciardi, ecc., Losanna, S. Bonamici e Compagni
Tipografi-Editori, 1847, contro l’Austria, 13 str. III, 19 str. III
(«Beozia ottusa», «Beozia di Germania»), 14 str.
II-III, appello alla Germania («Figli d’Arminio …») e
all’Italia («Vil satellite … del pigro Arturo»), 20
str. V: «Alba Aquila Slava che s’atterra/Dal bicipite corvo
Austriaco nero,/Ch’è sanguinente (sic) infamia della terra», 22 str. III («tre despoti»),
24 str. IV, 26 str. III, IV, 27 str. I, chiusa. Sul tema, cfr. con gli stessi
stilemi, ibid., JANER NARDINI, Per la distruzione della repubblica di
Cracovia. Unico avanzo d’eroica libera terra di prodi. Inno,
«Norwich, quinto dì del Dicembre, 1846,/giorno – un secol or
si compie –alla Italia felice,/d’alta gloria a Liguria,/e
d’orrido sgomento per l’Austria», in chiusa, 45; 39 str. II,
la triplice alleanza («trina rabbia»), 40 str. III: «Orso
selvaggio», 42 str. II: «Lurid’orso»,
43 str. III, lodi al papa (contra G. RICCIARDI, A Pio IX, Sonetto, ibid., «Di Parigi, a’ 17 febbrajo
del 1847», 59: «Tu … applaudi al gran misfatto»); G.
RICCIARDI, Italia e Polonia. Carme,
«Di Parigi, a’ 31 gennaio 1847», 52, visione di due donne,
Italia e Polonia: «… splendeano in pugno/All’una il ferro,
già terror del mondo,/All’altra l’asta che l’odrisia
luna fiaccò sull’Istro … bianca aquila …»; N.N.,
Cracovia, 58: «possente
Cremlino». G. ROSSETTI, Refugium
peccatorum, Aprile 1848, Poesie
inedite e rare di Gabriele Rossetti,
a cura di D. CIÀMPOLI, vol. I,
Vasto 1929, n. 62, 359 vv. 49 ss., sanguinosa rassegna zoologica dei governanti
d’Italia e d’Europa: «Le due Vacche di Spagna e Portogallo,/E
di Modena e Parma i due Vampìri;/E poi verrà di Prussia il
Pappagallo/Scorta a stuol di scojattoli e di ghiri,/Onde indignata
l’Alemagna or pare,/E ’l sanguinario alfin Orso polare»; La Polonia, nell’aprile del 1848,
n. 65, 369 v. 5: «que’ tre ladri vestiti da re», la Santa
Alleanza, appello alla «Sarmazia», la Polonia, a risorgere
sull’esempio della Francia; Meditazione
XV. Le tre belve malefiche, vol. II, Vasto 1931, t. II, n. 106, 98.
[82] A. ALEARDI, Da «Un’ora della mia
giovinezza», in Poeti minori
dell’Ottocento, cit., 77, str. VI vv. 313 ss., in particolare 318-20:
«… la polacca Vergine …», 79 vv. 366-8: «Annibali
raminghi …».
[83] A. SAFFI, Recensione
del libro di Luigi La Barre «Républicaine ou Cosaque: au citoyen
Bonaparte», Bruxelles, 1849, in Ricordi e scritti, cit., vol.
IV (1849-1857), 1899, «Scritti pubblicati nel periodico L’Italia
del popolo di Losanna», V, gennaio 1850, 179-80: «mano barbarica
dello Tsar», il «genio dell’altro Napoleone» opposto a
Luigi Napoleone: «Colui che, cingendo la nobile spada del vincitore di Marengo,
inviava una mano di milizie repubblicane, come avanguardia del Cosacco, a
spegnere la Repubblica in Roma, mentre il suo amico lo Tsar l’abbatteva,
col tradimento più che con la virtù delle armi, sulle rive del
Danubio». G. PRATI, A Ferdinando Borbone. Ode, 1850, VII, Canti
politici, pubblicati nel 1852, in Poesie,
cit., vol. I, VII, preceduta dai vv. 73-5 di Paradiso, Canto VIII,
relativi ai vespri siciliani; 120 vv. 113-120, a Pio IX: «Speravi tu nel
cupido/furor del Moscovita,/che inverso noi le indomite/crimée puledre
incita,/poi d’Oriente ai zefiri/canti le briglie gira,/svegliar tremando
l’ira/de l’Occidente alfin?», 123-8: «Il boreal
pontefice/non è già quel di Roma./Uno t’abbraccia e
lacrima,/grato all’ospizio offerto;/l’altro d’Arrigo il
serto/ti strapperia dal crin». G. ROSSETTI, in Opere inedite e rare,
cit., vol. I: Napoleone in Russia ed in
Sant’Elena, 12 dicembre 1848, n. 66, 372 v. 9: «Aquilon»,
374-5, attacco al «buon Niccola», Un vecchio repubblicano del grande Ospizio degli Invalidi in Parigi
alla tomba di Napoleone, 1849, 384 vv. 38-40: «Dell’Austria la
Jena e di Moscovia l’Orso», Augurio profetico – Il primo
di gennaio del 1852, n. 89, 497 vv. 149-52: «L’Austria e la
Russia uniscono/Croati con Cosacchi/Contro il tremendo spirito/De’
redivivi Gracchi …»; vol. II, t. I: Il 51 e 52 del secol nostro.
Estro polimetro, n. 123, 312: “magnanimo” il liberatore di
Kossuth, il Sultano di “Costantinopoli”, equivalente
dell’impero turco, cui pare guardare con speranza, Souvenirs,
considérations et regrets. Vers
dictées par un avegle, n. 126, 341 v. 318,
stilematicamente la metonimia «Nève … Istre» per
Russia ed Austria. F. ANGELICI, Lamentazioni Voti e Profezie sui
patimenti della Santa Romana Chiesa e del suo Capo visibile Pio Papa Nono
Divulgate clandestinamente in copie manoscritte nei giorni anarchici del
MDCCCXLIX e pubblicate poi per le stampe con Annotazioni dell’autore,
Matelica, Giovanni Pignotti Tipografo, 1850, III. Parole Profetiche, 84:
«Dicam Aquiloni: dà (sic); et Austro: noli prohibere …
Suscitavi ab Aquilone, et veniet …», 85 n.: «All’eccelso
Imperatore di Russia e Re di Polonia Niccolò
devesi in gran parte il trionfo della legitimità non solo in
Italia, ma in tutta eziandio la Europa. Questo invitto monarca è
suscitato dalla Provvidenza per essere il difensore dei popoli …».
Ricorda il servaggio della Polonia C. CATTANEO, Programma di un giornale
libero in Milano, Notte del 17 marzo 1848, in Tutte le opere, cit., vol. V, III, 71-4: «... tutta irta di
lance cosacche e Tartare l’inerme Polonia …»; Asia minore e Siria, cit., 82-3: «Perché si
accingono a far valere nell’imbarbarito Oriente i diritti del
cristianesimo e dell’umanità quelle potenze, che sotto le gole dei
loro cannoni, lasciarono ardere impunemente le case e le chiese di Palermo? I
campioni della giustizia in Levante non hanno più presso a casa loro,
non hanno in Perugia e in Venezia, in Polonia e in Ungheria, famiglie infelici
da proteggere, catene di schiavi da infrangere?», 84: «La riforma
europea è mirabilmente riuscita; i nuovi battaglioni turchi valgono
già quanto i pontifici di Perugia e i borbonici di Carini; e già
possono reggere al paragone dei Croati e dei Cosacchi».
[84] V. GIOBERTI, Del rinnovamento civile in Italia, cit., L. I, capp. I. Del
Risorgimento Italiano, 25, l’Austria, il «barbaro che ci
opprime», III. Della Rivoluzione francese del Quarantotto, 71,
87: «il Moscovita», 84, IX. Dei municipali e dei conservatori (gli
errori), 225: «Austria straniera e abborrita o la Russia scismatica e
barbara»; L. II, voI. II, Dei rimedi e delle speranze, cap. III. Della
nuova Roma, 265,
«orsa», 275, Russia «eretica e scismatica», 277:
«il Croato e il Cosacco orridi e feroci»; L. II, vol. III, cap. XI.
Cenni sulle probabilità avvenire e conclusione dell’opera,
238: «principi boreali», Austria e Germania, 239: «Le forze
effettive dell’Austrorussia si riducono dunque agli eserciti», 285:
«Imperocché l’unico scampo che l’Astrorussia
potrà ancora promettersi sarà la discordia dei popoli e delle
nazioni, facendo verso l’Italia e le sue consorti di riscatto (ma con
minore scusa) quel voto che un antico italiano esprimeva per salvare il cadente
imperio dai popoli boreali» (n. 2: «Tacito, Germania 25 Maneat ...
hostium discordiam ...».
[85] ID., ibid., voI. III,
L. II, cap. X, 221: «… la Russia scismatica e barbara non
potrà meglio trionfare il culto che la libertà d’Occidente.
Anzi può credersi che se il cielo le riserva la gloria
d’incivilire le popolazioni soggette ai riti decrepiti di Brama, di Budda
e di Maometto, come Alessandro macedone forbì coi greci quelli di
Zoroastre, ella non sia per aver l’intento se non rinfrancandosi di nuova
vita coll’istituti liberi e le credenze latine. Il che torna a dire che
la Russia non potrà trasferire la gentilezza cristiana nell’Asia,
se prima non si rende cattolica ed europea».
[86] ID., ibid., vol. III, L. II, capp. VI. Della democrazia e della
demagogia, 20: «Però coloro, che ripongono nel soprammontare
del maggior numero senz’altro la perfezione del vivere civile,
introducono una regola, secondo la quale i goti, i vandali, gli unni e gli
altri barbari del quinto secolo e dei seguenti sarebbero stati i legittimi
padroni del mondo d’allora, e i russi avrebbero balia giuridica di quello
d’oggi, anzi le smisurate popolazioni semibarbare, barbare e selvagge
dell’Asia, dell’Affrica, dell’Oceania e di una parte
d’America dovrebbero signoreggiare la piccola Europa», X, 219:
«Ma la forza senza idee è impotente nel santuario; e quali sono le
idee, le dottrine, i trovati civili di cui può gloriarsi la Russia? Le
sue lettere rendono sinora immagine di una languida e snervata imitazione; e
tale scrittore, che mena grido sulla Neva, sarebbe appena menzionato sulla
Sprea, sulla Senna e sull’Arno. Né io da ciò voglio
infierire il menomo biasimo verso la stirpe russa; la quale, entrata assai tardi
nell’arena civile, quanto meno rilusse nel passato, tanto meglio
può affidarsi di risplendere nell’avvenire ...», possiede
«svegliatezza e facilità dell’ingegno», ma la
«ragione di tal contrapposto (scil. misero stato) <risiede>
nel governo e nel culto, giacché quello unisce da più di un
secolo i difetti della barbarie e della cultura prive dei loro pregi.
Imperocché quando la barbarie mantiene gli uomini gagliardi e puri non
è senza merito, e la cultura quando li ammollisce è falsa e
viziosa. Ora da Pietro in poi gli autocrati …<hanno accoppiato> la
servitù e l’ignoranza a raffinata e frivola morbidezza», XI,
236: «Si racconta che Napoleone, caduto dal fastigio della grandezza,
avesse uno spiraglio di luce profetica sui futuri destinati del mondo. E lo
vedesse distinto come in due accampamenti: l’uno dispotico e fiero,
l’altro libero e civile. Quinci l’Europa orientale e asiatica,
quindi l’Europa occidentale e schiettamente europea ... .Ma il Buonaparte
errò ... a mettere di pari e tenere per bilicate e parallele le verosimili
fortune di Russia e di Francia ... la smisurata Russia gli parve un colosso; ma
non si avvide che esso ha le piante di argilla e il piedistallo campato sugli
orli di un cratere», 238: «… il prevalere temporaneo della
Russia è un caso possibile», 246: «La Russia, campata fra
l’Asia e l’Europa …», 248: «Il dilemma di
Napoleone …».
[87] Anonimo, Pochi frammenti sulle cose d’Italia.
1846-1849, Clagenfurth, Novembre 1849, 77-8. C. PISACANE, La Rivoluzione, cap. III, Saggi storici-politici-militari
sull’Italia, in Scrittori
politici dell’Ottocento, La letteratura italiana. Storia e testi,
vol. 69, a cura di F. DELLA PERUTA, Milano-Napoli 1862, 1155-6, dove nega
all’Inghilterra la possibilità di essere «la Roma o la
Cartagine moderna»; P. TREVES, L’idea
di Roma e la cultura italiana del secolo XIX, Milano-Napoli 1962, 130-33
(cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio,
Conclusioni, 218-20).
[88] N. TOMMASEO, Del
presente e dell’avvenire, cit., cap. X. IL BENE, 10;Un Affetto. Memorie politiche, 1840
circa, Edizioni di Storia e Letteratura, vol. 134, a cura di M. CATAUDELLA,
Roma 1974, 23-4: «Libertà sull’ellenico terreno,/come
l’ulivo e come il mirto, nacque … Scese da gioghi delle achee
montagne/la piena che minaccia Austria ed Olanda,/che allagò le
sarmatiche campagne» (similmente G. ROSSETTI, All’Anno 1831. Ode: «L’Umana ragione/A gran passi
ricerca la meta./Anche in Austria s’aggira segreta/Fin in Russia la
strada s’aprì»); Lettera
Al Sig. S. Ward, Commiss. delle Isole Ionie, Gennaio 1854, ne Il Secondo Esilio. Scritti di Niccolò
TOMMASEO concernenti le cose d’Italia e d’Europa dal 1849 in poi, Milano 1862, vol. II, 302, 304, 313-4,
Al Sig. … greco in Atene, 1854,
ibid., 324: «Se vuole essere Grecia davvero …» (il
knut dovrebbe essere un bastone per le punizioni corporali, cfr. F.
DALL’ONGARO, Il knout,
Canti della patria, 1849, in Poeti
minori dell’Ottocento, cit., 367, v. 1, anaforico: «Batti,
fratel Croato …», 368 vv. 36-40, chiusa: «Quando sfinito e
stanco/il braccio ti cadrà,/ti darà mano il Franco, batti, o
Croato, urrà!»); Alla Sig.
… Principessa, 26 maggio 1858, vol. III, 216: «Sognano …
insomma Bisanzio …»; Gli
studi e la politica, 1859, ibid., 319: «… i greci
sognavano che volesse la Russia … in pro loro …» ricostruire
l’impero bizantino (cfr. G. MINARDI ZINCONE, Translatio, cap. VI,
201-2, 212). Crede nel sogno della Grecia G. MAZZINI, Agli Italiani Marzo
1853, in Scritti politici, a cura di F. DELLA
PERUTA, Torino 1976, t. III, cap. IV, 390: «Dalla penisola iberica
destinata ad unificarsi fino alla Grecia alla quale apparterrà un giorno
… il primato su Costantinopoli … noi cercammo e trovammo nemici
all’Austria».
[89] N. TOMMASEO, Un Affetto, cit., 16, 20-1; Dell’Italia, 1833-4, in Poesie e Prose di Niccolò TOMMASEO,
a cura di P.P. TROMPEO-P. CIUREANU, Torino 1981, ristampa, vol. II, cap. I,
200; Al Sig. … greco in Atene,
cit., 263-7; Del presente e
dell’avvenire, cap. X, cit., 101: «La forza materiale
…», 161ss., la potenza turca come argine al «torrente
russo» (cfr. G. MINARDI
ZINCONE, Translatio, cap. VI, 204-6, 211-2).
[90] A Pietro
Contrucci da Pistoia (nella morte). Ode, in Poesie del conte cavaliere Antonio Strozzi Lughese, Lugo,
Presso Natale Brugnoli, 1869, 72, la libertà della Grecia contro
le «Ottomane offese;/E nel tramonto dell’Odrisia Luna/Gioir la
greca mutila fortuna», 74: «Suonan del Boristen le altere
sponde/Trema Bisanzio, il mesto astro lunato/Par che s’asconda al
minacciato impero,/Di cui coll’armi sorvegliando il fato/Sta il Franco,
il Sardo, e l’Anglico guerriero». C. CANTÙ, Della Indipendenza, cit., vol. III, cap.
LI. Spedizione di Crimea. – Pace di
Parigi, 77-110, in particolare 77, 79; ID., Storia universale, vol.
XI, L. XVIII, cap. XXVII. Russia, 476-9, lodi di Alessandro I, morto nel 1825; vol. XII, 1886, L. XIX,
capp. II, La Nazionalità. –
Tedeschi e Slavi, 39-40, il panslavismo; VI. Russia e Turchia. – Guerra di Crimea, 59: «sembra
minacciosa perchè avvolge di tenebre le sue operazioni», 61 n. 3.
Sulla guerra di Crimea, cfr. Il Segreto
dei fatti palesi seguiti nel 1859. Indagini di N. TOMMASEO, Barbèra,
Bianchi e Comp., 1860, I Patti e i Fatti,
VI. Congresso a Parigi, 19, XIV. Russia, 37: «certo è che la
guerra di Crimea, anziché respingere Russia verso Asia, la attrasse nel
bel mezzo d’Europa», appello a «Italiani, Magiari, Slavi»,
128-9: «… anco prima della guerra ungherese … il soccorso
russo non fu mosso tanto dalla tema di ribellioni contagiose, quanto dalla
voglia d’accostarsi all’Europa civile, e dall’ambizione del
patrocinare ch’è sempre via comoda al padroneggiare …
già troppo grande impero … Russia le cui ambizioni danno
già tal noia all’Europa, che i più prudenti tra’
Russi, o lo facciano ad arte o davvero, non più ragionano di panslavismo
come di signoria esercitatile materialmente, ma di popoli Slavi
confederati», Conclusione, 135:
«La docilità è dote propria degli uomini e de’ popoli
grandi. Per essa la Grecia e l’Italia, attingendo l’una
dall’altra e dall’Oriente ambedue, si fecero educatrici del mondo,
vinsero il vincitore»; C. CATTANEO, [Sulla guerra di Crimea],
1856, in Scritti letterari, cit., vol. II, 539; Un Genio delle Rivoluzioni d’Italia e delle sue Vittorie dal 1799
al 1860, di Luigi Ciccaglione Giudice
del Tribunale Civile e Correzionale di Lecce, Lecce, Tipografia del
Commercio, 1869, dedicato «All’Onorevole Pietro Moffa già
Deputato del Parlamento Italiano», sorta di compendio delle vicende
risorgimentali; Cenno sulle Rivoluzioni
Italiane dal 1799 al 1860, 9: «Mentre in Italia i popoli e re,
eccetto Vittorio Emanuele, erano
in continua lotta, lo Czar delle
Russie fece intravedere di occupare Costantinopoli.
Allora Francia ed Inghilterra si strinsero la mano per fiaccare quel
Colosso».
[91] Anonimo, L’Austria e il suo governo,
Torino, E. Guerra Editore, 1859, IV, 53-4: «La Russia, per quel principio
di assolutismo e per le sue dispotiche istituzioni che formano la base del
gabinetto di S. Pietroburgo … (contro i panegiristi contemporanei)
… grand’Impero moscovita … Fourier, uno dei più
profondi pensatori della Francia, scrisse: “Essa è venuta
dall’Asia, si ricacci dunque nei deserti dell’Asia” …
Quando nel 1848, la scintilla rivoluzionaria incendiò il continente da
Milano a Parigi e da Parigi a Vienna … L’Europa sorpresa seppe
allora che la Russia, la vecchia Russia, la santa Russia d’Ivan III, di
Boris Godonoff, di Pietro il Grande e di Caterina pensava seriamente alla sua
vita nazionale …», suo ruolo nel ’48 contro l’Ungheria,
57-8: «l’Imperatore di Russia qualificato da tutti conservatori
d’Europa di Redentore, di Dio! ...», 60, Alessandro II:
«che le sue idee liberali ed eminentemente civilizzatrici chiamano a fare
del suo regno la più bella pagina della storia della Russia
…», 66, l’Austria: «La sua politica era vile e
tirannica; non aveva i grandi concetti della Russia; osato mai non aveva d’inalzarsi
a progetti audaci, e ispirazioni di conquista come quelle che formano tutta la
politica degli Czar da Pietro il Grande e Caterina», 72: «…
l’imperatore di Russia ha dato troppi esempi di magnanimità, di
grandezza e di giustizia all’Europa, perchè questa possa dubitare
un istante dei sentimenti che animano lo Czar Alessandro II in favore della
felicità dei popoli e del trionfo del diritto e della giustizia».
[92] L’Impero, il Papato e la Democrazia in
Italia. Studio politico di Giuseppe Montanelli Deputato dell’Assemblea
Toscana, Firenze, Felice Le Monnier, 1859, IV, 11: «Non da Russia,
che sebbene oggi a noi benevola pensa a ben altro che a spingere in pro nostro
le armi sue in Occidente … non da Russia …», XXII, 55. G.
MAZZINI, La guerra, in Scritti politici, cit., t. III, 498.
Ricorda l’aiuto russo il Discorso
pronunziato dal deputato Marchese Giovacchino Pepoli nella seduta del 14
novembre 1864 della Camera dei Deputati sul progetto di legge per il
trasferimento della Capitale a Firenze, Torino 1864, Per gli Eredi Botta,
9: «… in Russia, in quel paese che sotto il Governo di
Nicolò I era stato il centro dell’assolutismo europeo, la
civiltà ottenne uno splendido trionfo coll’emancipazione dei
servi, e la Francia e l’Italia un valido appoggio morale durante la
guerra del 1859».
[94] C. CANTÙ, Storia universale, vol. V, L. X, capp.
VIII. Slavi, 90-1, stirpe
indo-scitica, riversatasi «in antichissimo» «sopra
l’Asia occidentale e fino al Nilo; poi quando Sesostri guarì l’Egitto dalla piaga
degli Sheto sedici secoli avanti Cristo, essi Sciti o Slavj proprio,
traversata l’Asia minore, ricoverarono in Europa, occupando la Tracia
fino alla Tessaglia. Di slava radice sono in fatto tutti i nomi traci che ci
rimangono …», «Un altro loro ramo, gli Slavi biondi o Sarmati
…», 93: «… ad Antiro, compagno d’arme di
Alessandro Magno, ascrivono l’origine loro …».
[95] ID., Sulla Storia universale: Discorso, cit.,
Epoca XVI. Luigi XIV e Pietro il Grande,
106: «L’Asia tenta due volte di portare la mezzaluna nel cuore
dell’Europa … la Polonia e Venezia salvano da una nuova barbarie i
paesi, che sono destinati a ingoiarle un giorno. Però il Turco, ferito a
Lépanto d’un colpo che preludeva a quello di Navarino, entra
anch’esso nel sistema politico d’Europa»; Storia universale, vol. V, L. X, cap. IX. Normanni
e Slavi in Russia, 101-3, a proposito della spedizione del 911 di Oleg
contro Costantinopoli; vol. IX. L. XVI, capp. XXIX. Russia. – I Romanof, 369 n. 3, N. KARAMASIN, “Storia di Russia, 1818, 11 vol.”,
382-4, XXX. Pietro il Grande e Carlo XII,
384-5: «spiriti entrambi fuori dell’ordinario …», 396:
“Pietro costituisce la Russia» (postilla a lato), 405.
[96] C. CANTÙ, Sulla Storia universale: Discorso, cit.,
Epoca XVII. Il Settecento, 107-9:
«Ma la Russia, uscita dalle paludi e dalla barbarie, prepondera negli
affari del Settentrione … Caterina II, acclamata legislatrice dei mari,
vuol farsi ristauratrice della Grecia, e non dissimula il desiderio di mutare i
suoi geli coll’incantevole clima dell’Ellesponto … Anche il
mondo orientale viene trascinato dal vortice del nostro …»,
«sbrano …»; vol. IX. L. XVI, cap. XXIX. Russia. – I Romanof, 367-9; vol. X, L. XVII, capp. XII. Russia, 191-3, XXIV. Turchia. – Caterina II, 208-21, passim, in particolare 218-20.
[97] Ch. DE LA VARENNE, La
Fédération Latine par les Unités Française,
Italienne et Ibérique, Paris, E. Dentu, 1862, capp. I, 8-9, auspica
che contro «les hommes d’État du Nord, les coalisés
anglo-russe-germains … les Latines occupant le centre de l’Europe,
avec une avant-gard de dix millions de Roumais sur le Danube, avec un empire
grec allié rétabli à Constantinople, seront les
maîtres du continent … L’alliance anglo-germaine …
C’est à ses efforts que les Principautés danubiennes
devront de rester encore une fois séparées, et sous la
suzeraineté révoltante des Turcs …», 10: «Cette
grande idée du monde romain … épouvante les Barbares
d’outre-Rhin et d’outre-Manche …», (rimasti uguali a
quelli di 15 secoli prima, «haineux furieux et jaloux …»),
11, fallimento dell’invasione delle tribù germaniche
«Charlemagne eut la prétention nullement illusoire de continuer le
règne d’Auguste et de Constantine ... L’Empire
devint tout allemand …», 12, «Tartare» per Russi,
14-15, Napoleone, 15-16, il futuro dominato da «panslavisme,
pangermanisme e panromanisme», 17: «le refoulement …»;
III. L’Unité Italienne,
24: «Napoléon voulait recréer la patrie italienne»,
28-9.
[98] L’Union et non pas
l’unité de l’Italie, par
Pierre C. Ulloa Marquis de Favale et Rotondella, Italie 1867, 54 pp., opera
inserita in una raccolta di testi francesi o in francese del 1867 sulla
questione romana, tutti contro i Garibaldini; XLII, 47: «Ce sera le
Teutonisme, ce sera l’Hellénisme, ce sera, peut-être, l’Illyrisme;
mais surtout le Panslavisme que entreront dans la lutte», 48, attacco
all’egemonia prussiana «qui lasse libre le vol des aigles russes
vers le Bosphore. Ne s’est-on pas ému des
rapports étroits de la Russie et des États-Unis? Et cette
dernière puissance, ne veut-elle pas réaliser ses aspirations
obstinées à prendre pied dans les mers intérieures de la
vielle Europe?», XLVII, 54; L’abdication.
Le Partage de la fédération de l’Italie, par Pierre C. Ulloa Duc de Laurie, Italie,
1867, XXXVII, 42: «L’Italie unitarie se croit
désintéressée dans la création d’un nouvel
empire Teutonique. Elle ne voit même pas que la Russie à
Constantinople serait aussi et plus menaçante encore que ne
l’était l’Autriche à Venise …». cfr. G.
ZANELLA, A Elena e Vittoria Aganoor,
1876, in Poeti minori
dell’Ottocento, vol. II, 511 vv. 56-7: «… quanto disti
ancora/dall’agognato Bosforo il Cosacco»; A. GRAF, Il giornale,
ne Le rime della selva, Parte II, ne
Le poesie di Arturo Graf, Torino, Casa editrice Giovanni Chiantore, 1922,
1032-5 str. I.
[99] N. GAETANI
TAMBURRINI, L’Unione degli Stati in America, Brescia,
Lito-Tipografia Fiori e Comp., 1870, 9.
[100] A. SAFFI, Argomenti delle lezioni di storia dei
Trattati e Diplomaria nell’anno scolastico 1887-88, in Ricordi e scritti, vol. XII (1874-1888),
Lezione n. 32, 406: «Roma e il nuovo Impero d’Occidente …
deportazione di Pio VII … disegni di dominazione universale …
Napoleone si prepara alla lotta con la Russia, mirando all’Asia»; Argomenti delle lezioni di storia dei
Trattati e Diplomaria nell’anno scolastico 1888-89, Lezione n. 13,
411: «Idee Cesaree di Napoleone. Sue sterminate ambizioni … impresa
fatale di Russia»; Argomenti delle
lezioni di storia dei Trattati e Diplomaria nell’anno scolastico 1888-89,
Lezione n. 22, 412: «Nuovo intervento delle Potenze per salvare
l’Impero Turco, o sottrarlo all’assoluta balìa dello
Tsar»; Argomenti delle lezioni di
storia dei Trattati e Diplomaria nell’anno scolastico 1889-90 (Redatti dai Compilatori sui manoscritti
di A. SAFFI), Lezione n. 7, 419: «L’abiezione del Papato in
contrario ai Polacchi ed in favore della Russia».
[101] ID., ibid.,
Argomenti delle lezioni di storia dei
Trattati e Diplomaria nell’anno scolastico 1886-87, Lezione n. 20, 395: «L’Oriente
d’Europa. Guerra della Russia contro la Turchia»; Lezione n. 27,
397: «Caterina II e la sua politica»; Argomenti delle lezioni di storia dei Trattati e Diplomaria
nell’anno scolastico 1887-88, Lezione n. 10, 402: «Caterina
II», Lezione n. 20, 403-4: «Caterina II riassume le tradizioni
della politica di Pietro il Grande in Oriente. Aspira alla restaurazione
dell’Impero Bisantino … Trattato di pace di Kainardgé (22
luglio 1774): - primo di quella serie di Trattati, ciascuno dei quali
segnò un passo della Russia verso Costantinopoli»; Lezione n. 21,
404: «Bugiarde parvenze di civiltà. Potempkin emula i Satrapi
dell’Asia antica …», Lezione n. 25, 404: «Preponderanza
marittima dell’Inghilterra in Occidente, continentale della Russia in
Oriente. Inizi della grande rivalità Anglo-Slava»; Lezione n. 35,
407: «I maggiori vantaggi toccano all’Inghilterra e alla Russia.
Progressi di quest’ultima a scapito dell’Impero Turco». Per
le mire della Russia su Costantinopoli, cfr. anche G. ZANELLA, A Elena e Vittoria Aganoor, 1876, in Poeti minori dell’Ottocento, vol.
II, 511 vv. 56-7: «… quanto disti ancora/dall’agognato
Bosforo il Cosacco» (quest’ultimo stilema ancora in A. GRAF, Il giornale, ne Le rime della selva, Parte II, ne Le poesie di Arturo Graf, Torino, Casa
editrice Giovanni Chiantore, 1922, 1032-5 str. I); Alla Santità di Leone
XIII. Omaggio ed Augurio di Giacomo Zanella Sacerdote Vicentino,
Città di Castello, S. Lapi Tipografo Editore, 1887, in latino e
italiano, 4 str. III: «Dalla gelata Neva/Di Cadice alla foce»,
tutta l’Europa l’invoca, 10 str. V: «Padre! Se la man levi,/Di
figli una falange/Mitrata a Te dal Gange/E dalle nevi Artiche accorre»,
11, latino «nivibus Tanais».
[102] C. CATTANEO, Principio istorico delle lingue
indo-europèe, recensione a Atlante linguistico d’Europa di B.
BIONDELLI, Milano 1841, ne Il«Politecnico», cit., vol. II
(vol IV del Politecnico), n° 47, 1841, cap. 18, 903-4:
«L’opera assimilatrice si prosegue con tutto vigore … il
principio indo-europèo raggiunge ormai colle armi russe la sua patria
persiana. E vi perviene per opposta parte dell’Ocèano Indiano
cogli eserciti della Compagnia Britannica … Io mi arresto avanti a questo
spettacolo che deve destare a seducenti speranze gli amici della civiltà
e dell’intelligenza. La primitiva fonte orientale, da tanto tempo
inaridita, si riapre; una nuova luce deve scintillare dall’elettrico
contatto delle due civiltà».
[103] A. SAFFI, Proemio al volume XII degli Scritti editi e inediti di MAZZINI, in Ricordi e scritti, vol. XIII
(1883-1889), 1905, 22-3, citazione da MAZZINI: «Sono in Europa …
tre famiglie di Popoli, l’Elleno-Latina, la Germanica, la Slava.
L’Italia, la Germania, la Polonia le rappresentano. La Grecia, santa di
ricordi e speranze, e chiamata a grandi fati nell’Oriente europeo,
è or troppo piccola per essere iniziatrice. La Russia dormiva allora un sonno
di morte: mancava d’un centro visibile in cui la vita potesse assumere
potenza praticamente direttiva … Il nostro patto d’alleanza doveva
dunque stringersi dapprima fra i tre Popoli iniziatori. La Grecia, la Svizzera,
la Romania, i paesi Slavi del Mezzogiorno europeo, la Spagna, si sarebbero a
poco a poco raggruppati intorno al Popolo più affine ad esse fra i tre.
Da questi pensieri nacque l’Associazione nazionale intitolata La Giovine Europa»; Discorso per
l’inaugurazione della lapide a Giuseppe MAZZINI in Parma 16 Ottobre 1887,
ibid., 137-8: «Or tal appunto
è la condizione di una vasta zona d’Europa dove, spartite in
gruppi distinti, s’agitano dal Baltico al Mar Nero e fra
l’Adriatico e l’Egeo le razze slave chiedenti patria e
libertà. Nel moto di queste razze è il segreto delle sorti
europee: nel loro risorgere e costituirsi a federazioni indipendenti, il pegno
più certo della comune sicurtà contro il pericolo della invadente
Autocrazia moscovita … l’ingerenza moscovita veste, fra gli Slavi
del Sud, per affinità di razza e religione, le parvenze del protettorato
nazionale … Onde MAZZINI giustamente avvertiva che “la politica
sostenitrice dell’Impero Austriaco e del Turco è, nelle sue
conseguenze, politica russa o fomentatrice del Panslavismo” …
Là, nell’alleanza con le razze slave e nei vincoli
dell’antica fraternità coi Daco-Romani e con gli Elleni, stavano,
per avviso del gran veggente, “la nostra missione la nostra iniziativa in
Europa, la nostra futura potenza politica ed economica” … parte che
i destini avrebbero serbata all’Italia nel rinnovamento d’Europa
… vedeva nel nesso fra le due grandi unità germanica ed italiana
una potente guarentigia di equilibrio fra l’Occidente e l’Oriente
d’Europa … Un moto inevitabile, Ei notava, conduce l’Europa a
riportare all’Asia la civiltà, della quale le migrazioni Ariane
portarono i primi geni nelle nostre terre privilegiate, e ad incivilire ad un
tempo le regioni Africane. Ma l’espansione colonizzatrice nostra ad
altrui dovea essere espansione d’industrie, di commerci,
d’umanità, non di violenza. E nell’alleanza con gli Slavi
meridionali e con l’elemento Ellenico fin dove si stende,
nell’influenza Italiana da aumentarsi sistematicamente lungo le coste
orientali dell’Adriatico e nelle regioni Africane che si connettono
più direttamente con la catena delle nostre isole, vedeva il più
importante obbiettivo della nostra azione internazionale …»; segue
la stigmatizzazione della politica italiana negli anni precedenti il ’70
«vassalla … della Dittatura del secondo Impero».