N. 8 – 2009 –
Memorie//XXIX-Roma-Terza-Roma
Università Pontificia
Salesiana
IL
“CAPOVOLGIMENTO” DEI RAPPORTI TRA LA CHIESA E L’IMPERO NEL IV
SECOLO
Sommario:
1. La svolta costantiniana. – 2. L’editto di Tessalonica. –
3. Lo Specchio dell’imperatore cristiano, da
Costantino a Giustiniano. Imperium e sacerdotium verso la
teocrazia.
La tendenza storica dominante nel IV secolo è la progressiva
affermazione della religione cristiana sul paganesimo. In meno di
ottant’anni – dalla persecuzione di Diocleziano all’editto di
Teodosio del 380 – si trascorre dall’intolleranza pagana al
riconoscimento del cristianesimo come unica religione ufficiale
dell’impero.
Esamineremo anzitutto i due eventi più importanti che hanno
accompagnato questo “capovolgimento”, cioè la cosiddetta
svolta costantiniana e l’editto di Tessalonica, e concluderemo
individuando alcuni sviluppi nella successiva “teologia politica”.
La svolta fondamentale – che da una parte inaugura i nuovi
rapporti tra la Chiesa e l’impero, e che, dall’altra, definisce il
ruolo del potere imperiale tra imperium e sacerdotium –
è segnata dalla conversione di Costantino del 312 e dalla pubblicazione
del cosiddetto editto di Milano del 313.
Così all’inizio del IV secolo si verifica una delle
rivoluzioni più importanti che la Chiesa abbia mai conosciuto: ignorata
e perseguitata nel periodo precedente, quasi all’improvviso essa acquista
completa libertà, fino a godere privilegi sempre più ampi sotto
la “cura” e la “sollecitudine previdente”
dell’imperatore[1].
A questa rivoluzione resta indiscutibilmente legato il nome
dell’imperatore Costantino (337). Stando a Eusebio di Cesarea, suo
entusiasta biografo, egli definiva se stesso episkopos ton ektos,
cioè «vescovo di quelli di fuori», «vescovo al di
fuori della gerarchia». Santo Mazzarino ha tradotto Eusebio in modo
singolare, ma certo efficace, definendo Costantino «vescovo dei
laici».
Ritengo più vicino alla realtà ciò che lo
stesso Mazzarino annota nel medesimo contesto. Eliminato Licinio dopo la
battaglia di Crisopoli del 18 settembre 324, l’imperatore diventa
l’unico Augusto.
Così Costantino attuava la monarchia politica universale; e
un anno dopo, nel 325, in occasione del concilio di Nicea – da lui stesso
convocato e presieduto – partecipava alla definizione del concetto
cattolico di monarchia, nel quadro del dogma trinitario. Come sulla terra si realizzava
l’unità assoluta di governo – la monarchia costantiniana
dell’oikoumene –, così nel cielo trionfava la
monarchia divina, l’unico vero Dio dei cristiani[2].
In maniera coerente, Costantino favorì in tutti i modi
l’episcopato, adottando misure di protezione, elargendo privilegi e
donazioni, e facendo edificare basiliche in molte città
dell’impero. Per lo stesso motivo egli intervenne attivamente nelle
dispute teologiche che laceravano le comunità cristiane, segnatamente
nella controversia ariana e nella crisi donatista. In tutti questi casi la
politica religiosa di Costantino inaugurava quell’atteggiamento, che
sarebbe diventato caratteristico dell’imperatore cristiano tra scismi e
eresie: una politica religiosa ispirata alla ricerca non tanto dell’ortodossia,
quanto piuttosto di formule conciliative, sulle quali l’imperatore
imponeva concordia e unità. Proprio per questo motivo l’imperatore
cristiano giunse non di rado a perseguitare i cristiani, facendosi protettore
potente di scismi e di eresie.
E’ questa politica religiosa che dà il suo vero
contenuto alla formula sopra citata di episkopos ton ektos. Di fatto
l’imperatore – soprattutto nell’Oriente bizantino, dove assai
più a lungo si mantenne il sistema politico-religioso inaugurato da
Costantino –[3]
non smise mai di sentirsi coerente depositario di quella tradizione, che da
sempre aveva riconosciuto all’Augusto la funzione di mediatore tra il
divino e l’umano.
Calata dentro queste prospettive, la cosiddetta svolta
costantiniana appare meno rivoluzionaria di quanto sembri credere certa
manualistica corrente.
Ma il vero “capovolgimento” dei rapporti tra la Chiesa
e l’impero fu sancito dall’editto Cunctos populos
dell’imperatore Teodosio (379-395), pubblicato a Tessalonica il 27 febbraio
380. Come è noto, tale editto prescriveva a tutti i sudditi
dell’impero di «perseverare nella religione trasmessa
dall’apostolo Pietro ai Romani», «professata dal pontefice
Damaso, e da Pietro, vescovo di Alessandria»[4].
In realtà anche l’editto di Tessalonica – come
già la svolta costantiniana – obbediva puntualmente alla logica
che la repressione religiosa aveva sempre assunto nella tradizione romana, non
solo durante l’impero cristiano, ma anche e soprattutto durante l’impero
pagano e la repubblica: il culto da reprimere era assimilato, a seconda dei
casi, al sacrilegio, all’empietà, alla magia o all’ateismo.
La repressione non si dichiarava mai diretta contro la religione, ma contro una
perversione della religione, contro una sua profanazione colpevole e pericolosa
per la respublica. La politica religiosa dell’impero, infatti,
voleva garantirsi in ogni caso la protezione della divinità, presentando
ad essa la sottomissione di un culto senza impedimenti.
Gli interventi legislativi – dall’editto di Galerio a
quello di Teodosio –, mentre gradualmente riconoscevano ai cristiani la
piena libertà religiosa e, all’inverso, limitavano
l’esercizio del culto pagano, si mantennero sempre, paradossalmente,
sulla linea della tradizione romana, una volta decisa, dopo Galerio,
l’inopportunità della persecuzione contro i cristiani. Di fatto,
la sostituzione degli dèi dell’Olimpo con il Deus Christianorum,
definitivamente sancita dall’imperatore Teodosio, non intendeva
minimamente scalfire il sistema tradizionale del raccordo tra religione e
politica – sistema sul quale si appoggiava la stabilità della
polis nell’antica Grecia e della respublica a Roma.
In definitiva, il passaggio dell’impero al cristianesimo
abolì i riti pagani, ma non la mentalità che questi riti esprimevano[5].
Sono evidenti le ambiguità di questo processo di
sostituzione, come pure gli ampi spazi di ingerenza ecclesiale che
l’imperatore si riservava, sempre attento da parte sua – giova
ripeterlo – alla concordia religiosa e all’unità dei sudditi
per la salvezza dell’impero, molto di più che all’ortodossia
della Chiesa.
Non si devono dimenticare tuttavia le enormi possibilità che
la svolta costantiniana assicurava alla Chiesa. Essa poteva finalmente definire
le sue strutture interne – a partire dai vari gradi gerarchici e dalla
formazione dei sacri ministri –[6],
e organizzare vantaggiosamente la propria azione missionaria.
Per indagare sugli sviluppi successivi dell’idea di impero e
di imperatore cristiano – sempre nell’intento di illustrare il
rapporto tra imperium e sacerdotium – disponiamo di un
importante documento[8],
appartenente al genere letterario bizantino degli Specula principis.
Di per sé, lo scopo degli Specula non era tanto
quello di esporre un’ideologia politica, quanto piuttosto quello di
condurre il sovrano a una riflessione su se stesso e sul suo supremo incarico.
Fedele a questo proposito, Agapeto – “l’infimo dei
diaconi” – invia al «divinissimo e piissimo nostro imperatore
Giustiniano» settantadue capita admonitoria. Solo di recente essi
sono stati riscoperti e studiati. La loro datazione viene condotta di solito
agli inizi del principato di Giustiniano I (527-565).
Nel confronto con gli scritti encomiastici eusebiani indirizzati
all’imperatore Costantino, si può notare che lo Speculum di
Agapeto non si discosta da alcuni temi, ormai collaudati dall’ideologia
politica imperiale.
Resta centrale infatti – in Agapeto come in Eusebio –
l’argomento del teomimetismo, cioè dell’imperatore cristiano
inteso come “immagine” e “imitazione” di Dio, anche se
Agapeto attenua alcune punte estreme del discorso, caratteristiche degli
scritti eusebiani.
Nella concezione di Eusebio[9]
la Chiesa e l’impero, essendo ambedue “immagine” della
medesima società cristiana celeste, non possono che coincidere. Insieme
essi formano la società cristiana terrena, che è l’impero
romano cristiano. L’impero ha un solo capo, e questi è
l’imperatore cristiano. Egli è fornito, come un vescovo
universale, dei tre poteri caratteristici della gerarchia ecclesiastica: il
potere di ministero, il potere di magistero, il potere di governo.
L’imperatore è “immagine del Padre” e
“vicario di Dio”, essendo vicario del Logos-Cristo – anche
lui, come Cristo, re, sacerdote e profeta –[10].
Come tale, l’imperatore è al di sopra
dell’impero, e anche della Chiesa. Egli è colui che proclama il
cristianesimo phylakterion dell’impero, e questa proclamazione la
pubblica con atti ufficiali, da imperatore. Annuncia il cristianesimo con
“parole imperiali”, con decreti diretti a tutte le province, e
anche con l’invito personale, rivolto ai sudditi dell’impero, di
entrare a far parte della Chiesa.
I nemici della Chiesa, demoni, eretici, pagani e persecutori, sono
anche i nemici dell’imperatore. L’imperatore, a imitazione di
Cristo, che tiene le bestie feroci lontane dal suo ovile, sconfigge gli eretici
e li punisce, grazie all’applicazione di una legislazione apposita, in
cui sono proibiti pure i libri e le riunioni degli eretici. C’è
qui non solo l’esercizio del potere legislativo, ma anche di quello
giudiziario-coattivo, che si esercita nella ricerca e nella punizione degli
eretici.
L’imperatore,
però, oltre a curare l’esecuzione delle sue leggi, si preoccupa di
inviare agli eretici esortazioni al pentimento e inviti al ritorno nel porto
della verità, così che i membri del Corpo comune si riuniscano, e
splenda in tutti l’unità della Chiesa di Dio.
Ebbene, rispetto a questa dottrina – qui riassunta nei punti
che maggiormente ci interessano –, lo Speculum di Agapeto tempera
la visione marcatamente regale e trascendente di Eusebio con il richiamo
costante alla condizione umana del basileus e alla cristiana
consapevolezza della sua caducità terrena: «Se egli è stato
onorato di un’immagine divina», infatti, «è
però commisto con un’immagine di terra» (caput XXI).
Tuttavia non muta il quadro di fondo, disegnato da Eusebio,
riguardo alla dottrina dell’imperatore, inteso come supremo signore
dell’impero, non meno che della Chiesa.
Se infatti «nell’essenza del corpo l’imperatore
è uguale a ogni uomo, nella potenza della dignità è,
invece, simile a Dio, che regna su ogni cosa: non ha infatti sulla terra chi
sia superiore a lui» (ivi).
***
In definitiva, il sacerdozio dell’imperatore cristiano,
inaugurato da Costantino, fonda nella teologia politica il modello teocratico
“eusebiano-bizantino” del rapporto tra sacerdotium e imperium[11].
[1] Per una trattazione più diffusa e
documentata vedi al riguardo E. DAL COVOLO, Il “capovolgimento”
dei rapporti tra la Chiesa e l’impero, in E. DAL COVOLO - R. UGLIONE
(curr.), Chiesa e impero. Da Augusto a Giustiniano (= Biblioteca di
Scienze Religiose, 170), Roma 2001, 199-208; sulla svolta costantiniana
cfr. nello stesso volume G. BONAMENTE, La “svolta costantiniana”,
145-170; sulla conversione di Costantino vedi da ultimo A. BALDINI, Il
dibattito contemporaneo sulla conversione di Costantino, in Salesianum,
67, 2005, 701-735. Per un ampio quadro dei rapporti tra la Chiesa e l’impero,
dal I secolo fino all’imperatore Teodosio, cfr. infine R. LIZZI TESTA, Chiesa
e Impero, in A. DI BERARDINO - G. FEDALTO - M. SIMONETTI (curr.), Letteratura
patristica (= I Dizionari di San Paolo), Cinisello Balsamo (Milano)
2007, 263-281, con aggiornamento bibliografico (che tuttavia –
inspiegabilmente – non contempla nessuno dei titoli qui sopra indicati).
[2] Cfr. S. MAZZARINO, L’impero
romano, 3 (= Universale Laterza, 245), Roma - Bari 1999 (10),
658-659.
[3] Si possono vedere al riguardo W. ENSSLIN, Il
governo e l’amministrazione dell’impero bizantino, in J.M.
HUSSEY et alii (curr.), Storia del Mondo Medievale, 3. L’impero
bizantino, ed. italiana, Milano 1978, 291-344; G. DAGRON, Empereur
et prêtre. Étude sur le “césaropapisme”
byzantin (= Bibliothèque des histoires), Paris 1996 (lo
stesso Autore aveva già pubblicato negli anni settanta un’altra
monografia importante per la nostra ricerca: cfr. IDEM, Naissance
d’une capitale. Constantinople et ses institutions de 330
à 451 [= Bibliothèque
Byzantine. Études, 7], Paris 1974).
[4] C. Th. 16.1.2: cfr. G. LOMBARDI, Persecuzioni
Laicità Libertà religiosa. Dall’Editto di Milano alla
“Dignitatis humanae (= La cultura, 43), Roma 1991, 146-149
(testo dell’editto e osservazioni di commento). Sull’impero di
Teodosio resta fondamentale A. LIPPOLD, Theodosius der Grosse und seine Zeit
(= Beck’sche Schwarze Reihe, 209), München 1980 (2).
[5] Cfr. per
esempio F. HEIM, La théologie de la victoire de Constantin à
Théodose (= Théologie historique, 89), Paris 1992,
323. Sulla “teologia
della vittoria” vedi la bibliografia citata ibidem, 4-18.
[6] Cfr. O. PASQUATO, L’istituzione
formativa del presbitero nel suo sviluppo storico, in Salesianum,
58, 1996, 269-299; E. DAL COVOLO, Sacerdoti come i nostri Padri. I Padri
della Chiesa maestri di formazione sacerdotale (= Carità
pastorale, 1), Roma 1998.
[7] Cfr. su questo il mio studio Vicende postcalcedonesi. Il potere imperiale
tra scismi e eresie, in Annuarium Historiae Conciliorum, 38, 2006,
255-264.
[8] Vedi S. ROCCA, Un trattatista di
età giustinianea: Agapeto Diacono, in Civiltà classica e
cristiana, 10. 1989, 303-328: alle pp. 318 ss. è riportata una
traduzione italiana dello Speculum, condotta sul testo edito da J.-P.
MIGNE in PG 86.1, cc. 1163-1186, a cui faccio riferimento anch’io.
Da parte sua E.V. MALTESE, L’imperatore cristiano nella prima
letteratura bizantina. Sullo Speculum di Agapeto, in E. DAL COVOLO -
R. UGLIONE (curr.), Chiesa e impero, cit., 295-307, si riferisce
invece alla più recente edizione (la prima critica) di R. RIEDINGER,
stampata ad Atene con traduzione tedesca nel 1995.
[9] Rinvio a due monografie – tra loro
indipendenti – che negli anni sessanta del secolo scorso hanno segnato
una svolta importante nello studio del tema: R. FARINA, L’impero e
l’imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea. La prima
teologia politica del cristianesimo (= Biblioteca
Teologica Salesiana. Fontes, 2), Zürich 1966 (qui soprattutto per le
pp. 236-248); K.M. SETTON, Christian Attitude Towards the Emperor in the
Fourth Century Especially As Shown in Addresses to the Emperor (= Studies
in History, Economics and Public Law, 482), New York 1967.
[10] Su Costantino re e legislatore, sacerdote
e profeta, vedi da ultima M. AMERISE, Costantino “il nuovo
Mosè”, in Salesianum, 67, 2005, 671-700, con importanti
aggiornamenti critici e bibliografici rispetto alla monografia, pur sempre
valida, di Raffaele Farina, citata nella nota precedente.
[11] Volendo adottare la tipologia
interpretativa della teologia politica recentemente disegnata da Marco Rizzi
(modello eusebiano-bizantino, modello origeniano-ambrosiano, modello
agostiniano), si tratta qui del «modello eusebiano e poi bizantino del
dualismo rappresentativo concorrente, in cui le due istituzioni, quella
politica e quella ecclesiale, debbono concorrere nella realizzazione del
disegno divino, di cui sono emanazione diretta»: M. RIZZI, Le teologie
politiche, in G. ALBERIGO - G. RUGGIERI - R. RUSCONI (curr.), Il
Cristianesimo. Grande Atlante, 3. Le dottrine, Torino 2006, 1059.