N. 8 – 2009 –
Memorie//XXIX-Roma-Terza-Roma
Accademia delle Scienze di Russia
“Pax orthodoxa” in Europa ed Asia: punti di
vista da Costantinopoli*
Sommario:
I. Eurasia: Russia. – 1. L’etnonimia bizantina: sistema
tradizionale della gerarchia statale. – 2. La
teoria geopolitica tardo-romana: la comunanza “scita”. –
3. Eurasia come terra Iperborea, Scitia e
Cimmeria: dal Ponto al Transcaspio all’Asia Centrale. – 4. Dal mondo “barbarico” alla comunanza
ortodossa. – II. Eurasia: tra Ponto
e Mar Caspio. – III. Eurasia
postbizantina: unità cristiana.
La cultura bizantina
in generale e l’ideologia in particolare (incluso le idee spaziali, la
strutturazione geo-etnica dell’ecumene e la tassonomia della gerarchia
degli stati) si basa sui tre pilastri: la tradizione del cesarismo romano nel
campo della politica e del diritto statale, i modelli storico-letterali elleni
delle comprensioni del mondo e, last but
not least, il concetto cristiano della struttura della natura che risale
alle norme bibliche mediorientali. L’ordinamento del mondo che scaturisce
dalle opere di storici e geografi, giuristi e teologi, oratori e polemisti
bizantini, si ritrova riunito in un modello universale di principi disgregati
di quella progettazione della gerarchia mondiale degli stati, che viene fissata
negli atti ufficiali dello Stato, della Chiesa e del Diritto.
Come se i bizantini
applicassero sulla rete dell’antica immagine greco-romana e biblico -
cristiana del mondo la comprensione di popoli e stati contemporanei, della loro
struttura, gerarchia e comunità, accumulando in un amalgama bizzarro
l’esperienza più che millenaria delle realtà e delle
speculazioni politiche. Questo si esprime specie nelle particolarità
dell’etnonimia bizantina che unisce in sé la tradizione
dell’uso di vocaboli antichi e biblico - paleocristiani con le idee della
attualità bizantina. Così, nella combinazione di elementi
diversi, nel senso cronologico, e di civiltà si forma il modello
bizantino del “mondo ortodosso” (pax ortodoxa). che non esclude l’opposizione
politico-culturale tradizionale del proprio mondo inteso come mondo del popolo
eletto, come centro della civiltà, al mondo profano ed empio dei
“barbari”[1].
Le diversità
nell’interpretazione degli etnonimi bizantini sono dovute al fatto che,
nei documenti studiati, i nomi dei popoli e degli stati accettati, e
contemporanei al Medioevo, si trovano raramente. Per esempio, i termini come russi, Rus’ (nelle diverse varianti) sistematicamente si usano soltanto negli atti e nelle leggende dei
sigilli. Una cosa assolutamente diversa si osserva nell’analisi delle
opere narrative: la autonominazione dei popoli o la terminologia attuale qui
è più eccezione che regola. Si possono citare solo alcuni casi di
tale uso. La parte più grande degli etnonimi è rappresentata dai
nomi arcaici che hanno perso il loro senso etnico attuale: tauri, taurosciti,
sciti, cimmeri, iperborei, ecc.
L’arcaicizzazione
della terminologia usata è un fatto caratteristico nelle fonti
analizzate non solo in riferimento ai popoli di una data regione: è un
elemento del sistema di uso delle parole caratteristico per gli autori
bizantini in generale. I Turchi selgiuchidi, nei testi, diventano “i
Persiani”; gli ungheresi vengono nominati non solo “Ugri” ma
più spesso “Peoni”, “Gepidi”,
“Unni”, “Misi”, “Sciti”,
“Pannoni”, ecc.; gli abitanti della costa adriatica vengono
chiamati “Triballi”, “Dalmati”, “Illiri”,
“Serbi”, “Daci”; e le popolazioni del Lungodanubbio
vengono nominate “Gheti”, “Daci”, “Sciti”,
“Blacchi”, ecc. Il contenuto etnico di questi nomi di rado
corrisponde con gli etnonimi tradizionali. In molti casi non si stabilisce
correlazione unica tra etnonimo ed etnia: un termine ha un significato lato
inglobando popoli diversi, oppure, per una seria dei denominazioni, si trova
una sola correlazione etnica reale.
Viene indicata
un’altra particolarità della denominazione bizantina dei popoli:
per conferire uno stile retorico alla narrazione, è caratteristico
sostituire gli etnonimi con espressioni descrittive. Per esempio:
“nordico” per il russo; “le tribù occidentali”
per i nomadi Turchi, Bulgari, Vlacchi; “i mixo-barbari” per le popolazione
del basso Danubio. È anche d’uso un termine generale come
“Caucasiani”, ecc.
Per comprendere il
problema è opportuno rivolgersi alla categoria dell’etichettismo
della percezione del mondo[2].
Applicando tale concetto all’etnonomia, prende forma una rete delle idee
etniche basate sull’autorità` dei documenti antichi che formano un
sistema i cui elementi, gli etnonimi, sono applicati alla mappa del mondo
contemporaneo dei bizantini in un modo diretto o in una certa parte. Di
conseguenza, l’etnonimo di un popolo antico che abitava prima in un certo
luogo, si attribuisce ad un popolo che lì vive dopo.
Tra i popoli che hanno
popolato i territori del Nord e che sono stati inclusi nella “comunanza
ortodossa” sono indicati gli Agajtirsi, i Gelonii, i Meotici, gli
Issedoni. È evidente come queste conoscenze siano lontane dai dati della
geografia storica dell’Europa Orientale del Medioevo e come siano vicine
a quelle antiche. La stessa divisione delle zone geografiche secondo le
direzioni dei venti è anche questa un omaggio alla tradizione antica. Il
confronto testuale tra le nostre fonti e le opere degli autori antichi
evidenzia la loro diretta dipendenza dagli ultimi. L’inserimento dei
singoli termini etnici contemporanei (Rosoi
– i Russi) non cambia l’immagine generale tradizionale della
collocazione dei popoli “barbari” alla periferia
dell’ecumene. Così sono anche le escursioni geografiche di
Eustazio di Tessalonica e di Niceforo Blemmide costruite sul materiale antico.
Nell’intervallo
di tempo che separa i nostri documenti dai loro prototipi antichi sono accadute
tante cose: la migrazione dei popoli, la scomparsa degli uni e l’entrata
nell’arena storica degli altri. Ma, anche nel XII sec. d.C., al posto
degli sciti, gelonii, ecc. di Erodono, si stabiliscono gli stessi Sciti,
Gelonii, ecc. I Bizantini parlano dei Sindi, Coracsi, Melancleni, Bastarni
indipendentemente dal contenuto concreto degli entonimi. Sul territorio
determinato dalla tradizione continuano ad “abitare” Daci, Gheti,
Persiani, il popolo della Colchide. La struttura dello spazio è
strettamente legata alla categoria del tempo: in questo tradizionalismo
etno-geografico delle comprensioni è fissata “la fusione dei segni
dello spazio e del tempo in un insieme sensato e concreto”[3].
I tratti specifici
della vita quotidiana e dell’ordinamento sociale dei non Romei
(non-Romani) sono secondari e richiamano alla necessità della
comprensione del mondo barbarico. L’idea dell’unità di
questo mondo si evince in particolare dalla constatazione che le invasioni dei
Crociati, Normanni o Latini in generale, vengono descritte dagli autori
bizantini della fine del XII, inizio XIII secolo, con le stesse parole
utilizzate verso i nomadi turchi, a partire dall’aspetto e modi fino
all’equipaggiamento bellico. Così l’attenzione specifica dei
Bizantini al carattere dominante del mondo dato – e cioè alla sua
natura barbarica – causa la sua costanza orizzontale di principio.
La teoria geo-politica
bizantina elaborava degli stereotipi risalenti al passato, degli attributi
descrittivi come segni espressivi di un sistema. Gli elementi significativi del
mondo barbarico sono: la mancanza di una stratificazione sociale riconducibile
all’assenza di un sistema di ordinamento sociale; la povertà e
l’ignoranza; l’incontinenza, la bellicosità e la
crudeltà che hanno comportato più volte comparazioni tra il mondo
barbarico e il mondo delle bestie selvatiche; attrezzi della vita quotidiana e
le armi di guerra; e nello stesso tempo purità ed illibatezza esotica
delle relazioni umane; pacifismo idilliaco e ilarità spensierata.
Come abbiamo
già segnalato, il termine Rus’ e i suoi derivati venivano usati
raramente (lasciamo per il momento il ben noto problema della
“Rossia” di Taman). Per esempio, lo troviamo solo tre volte nelle
opera di Niceta Coniata; Teodoro Prodromo solo una volta parla della
“terra russa” nelle sue “poesie storiche”; il termine
si usa qualche volta in epigrammi e lettere. In generale in tutte le fonti
narrative del XII, prima metà del XIII secolo, il termine Rus’
è usato poco di più di una decina di volte. Nei documenti
ufficiali e semi-ufficiali come atti, lettere, liste delle diocesi, ecc. di
solito viene usata questa espressione.
Nelle fonti bizantine
ci sono molte informazioni sul territorio della Rus’, sulle sue regioni,
sulle caratteristiche topografiche del confine meridionale dei suoi principati.
La conoscenza della struttura geo-politico della Rus’ è utile per
definire il carattere delle conoscenze sulla nostra regione possedute dai
Bizantini. I dati precisi sulle regioni russe sono reperibili nei documenti
della Chiesa: e
È più
difficile comprendere i dati etnici sul territorio dalle fonti bizantine. Tutti
i popoli nordici rappresentano per i bizantini la comunanza scita. Così
l’etnonimo “Russi”, secondo Giovanni Tzetzes, è un
sinonimo di “Tauri” che sono una tribù “scita”.
Questa sinonimia riflette la denominazione tradizionale bizantina dei Russi
indicati con l’antico termine di “Taurosciti”. Però,
nel XII secolo, questa nominazione non è l’unica: il contemporaneo
di Tzetzes, Niceforo Basilacio, per “Tauroscitia” intende il
territorio dove si trova Filipopoli (Plovdiv in Bulgaria), mentre Giovanni
Cinnamo chiama “Sciti dello Tauro” i Cumani (cioè
Polovesi/Poloviciani). Per quello che riguarda
La comunanza
“scita”, postulata da Tzetzes riferendosi alla regione del Mar
Nero, è plurirappresentata da lui a livello linguistico. Infatti, tra i
popoli già citati, sono localizzati da Tzetzes anche i Cimieri, vicino a
Tauro scita e il Lago Meotiano, cioè in Crimea e presso Azov. Secondo
una ricostruzione di prova l’etnonimo *kers-mar è la denominazione
tracia del Mar Nero. Sulla base linguistica tracia l’etnonimo
κιμμέριοι poteva avere
l’aspetto e il significato seguente: *kir(s)-mar-io, dove *kers è
“nero” e *mar-/*mor- è “mare”. Per quanto
concerne i cimieri, l’etnonimo è l’unico fatto linguistico
attendibile della loro appartnenza. Quindi, considerando il vasto contenuto
etnico del termine “Sciti” e la localizzazione dei
“Cimmeri” da parte di Tzetzes (prescindendo dalle altre
localizzazioni e dall’uso del nome in senso figurato), è
interessante fare attenzione ad un scolio per le “Storie” di
Tzetzes dove sciti rappresentano una tribù tracia.
Al Lago Meotiano
– il Mare d’Azov – Tzetzes associa un intero ramo degli
“Sciti”. Negli studi sugli “Sciti” riportati nelle
“Storie”, distingue tre rami degli Sciti: il meotiano, il
caucasiano (tra altri Turchi, Oguz e Unni) e quello di Oxus. A
quest’ultimo appartengono, secondo Tzetzes, gli “Sciti” che
si trovano sul Mar Caspio, a “Sogdiana”, dove scorre il fiume Oxus,
in Asia Centrale. Però, in un commento presente nelle
“Storie”, gli “Oxiani” sono localizzati in Crimea e
vengono identificati con i “Cazari che popolano Sogdiana e Cherson e che,
a secondo del nome del fiume Oxus, si chiamano Oxiani”.
Quest’attribuzione insolita può essere spiegata con il fatto che
sono state confuse Sogdea (cioè Soldaia), che è una città
portuale in Crimea (Suroj nei documenti dell’antichità russa,
adesso Sudak), e Sogdiana, che è una regione dell’Asia Centrale.
Il fiume Oxus (adesso Amu Darya) deve esser riferito a Sogdiana invece di
Soldaia. La popolazione di questa regione è chiamata da Tzetzes
“Sciti oxiani”, che vengono avvicinati agli “Sciti
orientali” di Erodoto.
Così negli studi del mondo bizantino, non di
rado vediamo una contaminazione bizzarra tra le cognizioni libresche dotte, le
osservazioni immediate e le testimonianze attuali. Ciò deriva dalla particolarità
della comprensione del mondo bizantino: a quello che è osservato
immediatamente si applica la rete delle cognizioni libresche elevate nel
paradigma della conoscenza. Così Tzetzes applica un’immagine
antica alla geografia del mondo a lui contemporaneo.
A questo punto si è
posta la questione della denominazione, nelle fonti bizantine, della terra di
Galizia (Halyx) a prescindere da questo nome e dal termine arcaico
“Galati”. Nelle “Poesie storiche” di Teodoro Prodromo,
ripetutamente, tra i popoli sudditi del Basileus bizantino vengono nominati i
“galati”, non di raro insieme con i “Dalmati” (Serbi).
Negli altri casi i “Galati” figurano insieme con gli
“Sciti” – Cumani oppure con gli Italici e i Serbi; sono
menzionate anche “le valle galate”. In questo caso non si possono
identificare i “Galati” con la “Gallia di Giacobbe”
– la Spagna (Galicia); ma in alcuni casi non si può escludere la
lettura del toponimo “Galatia” come il nome del territorio
corrispondente all’Asia Minore.
Il territorio della
Rus’ viene chiamato anche Terra Iperborea e i concetti sui Russi si
formulano a secondo delle testimonianze letterarie antiche sugli Iperborei.
Abbiamo già sottolineato il concetto dell’arcaizzazione per
l’etnononia e toponomia bizantina dei popoli e territori della
Rus’. A questo punto è importante evidenziare come le conoscenze
generali sulle regioni geografiche, sul clima e sulle condizioni naturali dei
paesi di questi popoli antichi sono utilizzate dai nostri autori pure nella
descrizione dei territori nordici, e quindi anche della Rus’. In
definitiva si crea l’immagine di un paese per molti aspetti vicino alla
Scitia o Cimmeria antica. La vastità degli spazi di territorio a nord
del Mar Nero è diventata un proverbio sul deserto scita: le
caratteristiche del clima sono descritte come “neve scita”,
tempeste, umidità e pioggia;
Il nodo principale dei
rapporti commerciali tra Rus’ e Bizantia erano Crimea e Azov, dove si
trovavano i territori sia dell’Impero Bizantino che dei principi russi.
È stato scoperto che, alla fine del XII secolo, nelle terre del Bosforo
Cimmerio, c’era un gabelliere bizantino ed a Kerč c’era un
luogotenente (governatore) bizantino. L’Impero Bizantino aveva i suoi
territori in Crimea (a parte da Cherson), forse vicini ai temi di Crimea
d’origine più alto. Durante tutto il periodo si trovano notizie
sul funzionamento in Crimea delle diocesi del patriarcato di Costantinopoli
– Sugdea, Fulla, Gotia, Cherson, Cazaria, Bosforo, Sugdofulla.
Nello stesso tempo sui
documenti bizantini del periodo si parla dei mercanti russi precipitati a
Sugdeja da Crimea; e, secondo gli atti imperiali della seconda meta del XII
secolo, ai mercanti italiani di Tessalonica non sono garantite libertà e
sicurezza del commercio nella regione di Crimea e Azov. Ci sono dei dati della
metà del XIII secolo sulle invasioni degli “Sciti”,
cioè dei Cumani o Tartari. Così
Analizzando lo studio
dei bizantini della terra della Rus’ Antica nel mondo medievale, si
possono enucleare alcuni criteri di valutazione.
Il primo è
l’opposizione tradizionale tra i Romani e i “barbari”.
Oltre a questo livello
tradizionale, con sfumature delle reminiscenze letterarie antiche, nei
documenti c’è un’altro punto di vista:
Il terzo livello della
caratterizzazione della Rus’ nella struttura del mondo contemporaneo,
secondo le fonti bizantine, è il confronto tra i sistemi socio-politici
della Rus’ e quelli dell’Impero Bizantino in cui si nota l’affinità
(la somiglianza) tra i processi dello sviluppo sociale dei due Stati. I
bizantini fissano la presenza sul territorio della Rus’ di principati
diversi in rivalità fra loro; i termini che significano principe
(ήγεμών,
οί…άρχικως
προεδρεύοντες,
ό διέπων,
δυναστής,
φύλαρχος,
αρχων) corrispondono a quelli applicati ai governanti
degli altri stati europei (Regno d’Ungheria, di Boemia, stato Bulgaro,
stati slavi del sud). Niceta Coniata racconta della strage fratricida
dell’inizio del XIII secolo in cui Roman di Halyč ha sconfitto
“il governante di Kiev”, Rurik. Un’altra volta riferisce
delle guerre tra i capi “taurosciti” riportando la lotta tra i
figli di Stefano Nemanja di Serbia. Il frazionamento politico e la lotta
interna si notano oltreché tra i “Taurosciti” e i
“Dalmati”, tra i Selgiuchidi, gli Ungheresi e molti altri popoli, e
la base di questo processo, che si è esteso a tutto il mondo, è
considerato lo stato dei Romei: “Così l’esempio del fratricidio a
Costantinopoli è diventato come un modello o anzi una regola generale
per tutti i guerrieri del mondo; così non solo Persiani, Teutoni, Dalmati come
adesso o poco più tardi i signori della Pannonia, ma anche i regnanti
degli altri popoli, denudando le spade contro i parenti e le cognate, hanno
riempito le loro patrie di omicidi e rivolte” (532.14-20).
Pertanto, la
definizione dei livelli di comportamenti all’interno della Rus’
rilevabili nei documenti bizantini permette di procedere al confronto tra i
processi che si svolgevano nella Rus’ e quelli degli altri Stati del
mondo medievale.
Quasi tutti gli atti
del Patriarcato di Costantinopoli che hanno a che fare con
Siccome
Il capitolo sui dodici
venti nelle “Storie” di Giovanni Tzetzes si distingue tra i
tredicimila versi dell’opera non soltanto per la metrica: lo studio
mostra una ripetuta redazione e revisione del testo da parte dell’autore.
Questo non avviene per caso: secondo le direzioni di ogni vento,
nell’elenco rientra anche il territorio tra il Mar Nero e il Mar Caspio.
Così il vento nordico Borea
corre dai “Sciti” al Ponto Eusino, e il vento Mes dai
“Ghircani” ai “Kolchydi”. Dunque, la regione del nord
del Caucaso è limitato da una parte dalla Catena dei Monti Caucasici con
Ma questo spazio
è disegnato per i Bizantini da altri confini: i due tradizionali
dell’Europa e dell’Asia, cioè Tanais – Don o Porta di
Caspio. Le opere bizantine che descrivono il mondo erano scritte secondo questa
visuale.
La maggior parte dei
popoli citati viene menzionata nelle fonti analizzate, sia le popolazioni
“scite” che quelle “nordiche”). Immaginiamo un
riassunto completo alla base di queste fonti. Su questo territorio, dagli
autori bizantini del XII – prima metà del XIII secolo, sono messi
Sciti, Sarmati, Cimmeri, Meoti, Caucasiani, Sindi, Coracsi, Arimaspi, Issidoni,
Masagheti, Hircani, Melancleni, Agatirsi, Gelonii, Alani, Afasghi. Più a
sud ci sono Colchi e Lazi, e anche Unni, Uzi, Saki, Gheti, Daci, Bastarni,
Ippimolghi, Nevri, Ippipodi, Leucosiri.
Questi popoli sono
inclusi anche negli elenchi etno-geografici bizantini.
La parte più rilevante
delle informazioni sui caucasiani è unita con quella degli
“iberi”, il cui nome è diventato, secondo le valutazioni
bizantine, comprensivo di un certo numero dei popoli caucasiani ortodossi.
Però il significato principale, nei testi dei documenti
dell’ibero, è il georgiano.
Sciti. Oltre ad un significato generale e antico, il
termine ne ha uno strettamente etnico: “proprio Sciti”. I dati
linguistici delle nostre fonti testimoniano il contenuto turco dell’etnonimo: il saluto
“scita” è infatti cumano, il nome “scita” della
Meotida – Mare d’Azov è “Kärbalïq”.
Esso corrisponde al suo significato principale riscontrabile nella letteratura
bizantina del XII-XIII secolo. Con questo si esplicano anche i termini
deconcretizzati dei retori che descrivono i successi di politica estera
dell’imperatore Manuele I, in particolare in lotta contro gli Sciti: il
contesto militare-geografico del discorso (le guerre in Ungheria, sul
territorio del Danubio, a Corfù) rendono comprensibili le parole “Sciti”
e “Savromati” che vengono citate insieme come i nomadi turchi del
Danubio e non come la popolazione del Caucaso. Per lo più a
metà-fine degli anni ’50 (il tempo cui corrispondono i fatti
documentati) non c’erano campagne di Manuele al Caucaso. Un altro caso
con Teodoro Alanico : durante il suo viaggio dal Bosforo Cimmerio (Kerč)
al centro della diocesi Alana, si addentra nel centro della
“Scitia”. Lui stesso racconta della popolazione della
“Scitia”, degli Alani. Se prescindiamo dal significato
generalizzante del termine (che si estende anche ad Alani), si tratta, secondo
il contesto, delle steppe d’Azov che, secondo le comprensioni antiche
tradizionali, possono essere riferite alla “Scitia”.
Cimmeri. Si usava molto nella letteratura tradizionale
il proverbio, che risale all’antichità, sul “buio
cimmero”. Secondo gli autori bizantini, i “Cimmeri” sono
localizzati in Crimea. Molte volte sono menzionati i “Cimmeri’
italiani di Omero. In senso figurativo si parla dei “Cimmeri” come
della terra dei Serbi e della popolazione della Tessalonica.
Sarmati. Le analisi e la collocazione dei Saramati
sono ambigui. Oltre al mito antico delle “Sarmate”-guerrieri
vengono citati anche i Sauromati come un’ unità etnica precisa
insieme con i “Rossi”-Russi e “proprio Sciti”-Turchi.
Qui, elencando i popoli “nordici”, si può seguire la
tradizione antica come è in alcuni casi, ma si possono anche determinare
col sinonimo i nomadi turchi del Mar Nero come è negli altri. Ci sono
delle tracce dei rapporti dei Saramati con il Caucaso: il territorio della
“Saramatia” è popolato dagli Alani; lì anche si trova la catena dei monti Alan
dal cui nome sarebbe derivato quello del popolo. I “Sauromati”
vengono citati insieme ai popoli di Colchide e delle regioni del Caucaso Basso
e Fasis. Nello stesso tempo Giovanni Tzetzes, il cui attento interesse al
Caucaso è noto, parlando degli “Sciti caucasiani”, secondo
Strabone, non colloca i Sarmati tra loro, anche se asserisce che i
“Sarmati” in gran parte sono “Caucasiani”.
Allora, oltre alle
reminiscenze antiche, il termine “Sarmati” viene usato nel
significato “attualizzato’, etnico. C’è il legame con
il Caucaso: il territorio delle steppe e pedemonti caucasiani. Forse questa
è una rappresentazione retrospettiva delle migrazioni e dei processi
etnogenetici al Nord del Caucaso (col Precaucaso).
Massagheti. Oltre al mito antico delle
“Masaghete” bellicose, i “Masagheti” insieme con gli
Arimaspi sono localizzati in capo al mondo, al di là del Caucaso; si
ripensa anche all’idea della campagna di Ciro il Grande contro
“Massagheti” e “Issidoni”. Le nostre fonti danno delle
attribuzioni esplicite: i “Massagheti” vengono identificati dai
Bizantini con gli Abasghi, gli Alani o gli Albani. È possibile che i
“Massagheti” che partecipavano alle guerre congiunte insieme con gli
“Iberi” siano caucasiani. Non è da escludere la lettura dei
“Massagheti” – ospiti di Michele Agioteodorita (come gli
“Sciti”) – come caucasiani. Nello stesso tempo, in alcuni
casi è possibile la lettura dei “Massagheti’ come i nomadi
turchi del Pre-Danubio. Sicché la localizazione caucasiana dei
Massagheti non è l’unica nelle nostre fonti, qui c’è
prevalentemente il problema del uso d’autore: ad esempio, per Tzetzes
“Massagheti” è esclussivamente la nominazione antica degli
Abasghi, e per Niceforo Basilace è quella dei nomadi del Predanubio.
Unni. Le informazioni su questi (“Sciti
caucasiani” vicini al Mare Caspio) sono nei limiti della tradizione
antica. La loro localizzazione caucasiana è rappresentata
retrospettivamente.
Arimaspi. Issidoni. Secondo le fonti antiche sono
localizzati vicini gli uni agli altri. Le informazioni sono identiche con
quelle antiche. Non si deve dimenticare certa loro somiglianza con i
“Massagheti” – caucasiani: alla luce di questa
affinità diventa possibile la localizzazione oltrecaspiana.
Meoti. Sono menzionati soltanto come uno dei popoli
“nordici”. È significativo il non-uso pratico anche nel
senso figurativo, anche se ci sono molti menzioni della Meotide, della
popolazione del pre-Azov e Pre-Mare Nero nordico: può darsi che questo
etnonimo (anche al livello retrospettivo) è già stato sostituito
con un altro (per esempio, “Alani”).
Sindi. Sono menzionati insieme agli “iberi
orientali” (cioè caucasiani al contrario degli “iberi
occidentali” cioè gli Spagnoli) come produttori migliori delle
stoffe. È caratteristica la sfumatura ‘attualizzata’ del
messaggio a prescindere del suo sostrato antico. Il termine arcaizzato che
è riferito alla popolazione caucasiano del Mare Nero. Ci sono delle
citazioni sui Corassi.
Melankhleni. Secondo gli autori antichi sono interpretati
come “il popolo del piviale nero” (nel senso figurativo); sono
citati nel catalogo dei popoli “nordici” secondo Dionisio
Periegheta Non hanno nessun significato autonomo.
Ippimolghi. Neuri. Ippipodi. Bastarni. L’ultima osservazione
è lecita anche in questo caso: la citazione nel catalogo dei popoli
“nordici” (secondo Dionisio) non permette di usare queste
informazioni al nostro scopo. L’indicazione degli Ippipodi insieme ai
Cazari non ci avvicina al Caucaso, siccome i “Cazari” secondo le
fonti del XII secolo rappresentano la popolazione di Soldaia (Suroj).
Un’altra variazione del nome viene citata da Niceforo Blemmide –
Ba(s)tarni.
Agatirsi. Gelonii. Oltre al commento di Eustazio sono citati da
Tzetzes come popoli “nordici’ ( insieme a “Meoti”,
“Sciti”, “Caucasiani”). Sono localizzati secondo la
tradizione antica tra il vento Apartico e Borea ( i “Gelonii”
– al nord dal Ponto Eusino) e quindi non hanno nessun legame con il
Caucaso e Pre-Caucaso.
“Caucasiani”. Sono citati tra i
popoli “nordici”; evidentemente è il significato
generalizzante, non etnico del termine.
Albanesi. Per le limitazioni regionali non esaminiamo
le informazioni sull’Albania Caucasiana (Azerbaigian); comunque va notato
che questo etnonimo è spesso confuso con il nome “Alani”.
I popoli di Colchide. Sono identici ai “Lazi”,
localizzati vicino ai “Massagheti” – abasghi; nominate in un
altro modo “Sciti asiatici” oppure “Leocosizi”.
Popolano il territorio di της Άσίας
(Assia) sul Fasis: la localizzazione oltrecaucasiana è ovvia.
Lazi. Sono identici ai Colchi. Scrovino della moda dei
“lazica”. Sono vicini a Trebisonda al Ponto.
Khalibi. Una etnia “scita” localizzata in
Armenia oppure in Kerč.
Alasti. Sono menzionati solo una volta nella lettera
del patriarca Germann II. Non sono identificati, ma il confronto con la
versione latina della lettera permette di identificarli con i
“Lazi” ( lapsus calami dello scrittore?)
Zighi. Oltre i titoli negli atti c’è
l’informazione sulla loro sottomissione ai Mongoli-(Tartari). La
locazione degli Zighi è tradizionale, antica.
Ghirkhani. Sono localizzati là dove corre il
vento Mes, nei paesi orientali tra l’Assiria e Mesopotamia, sulla costa
destra del Mar Caspio e non risalgono al Caucaso del nord. La
“Ghirkhania” rappresenta il confine nord della Partia.
Alani. I dati linguistici confermato l’origine
indoeuropeo degli “Alani”. Secondo Giuseppe Flavio sono gli
“Sciti europei” vicini alla Meotide e Tanais. Si sono estesi dai
monti del Caucaso per “Iberia”, hanno riempito praticamente tutta
la “Scitia e Sauromatia”. Alan è una catena in
“Sauromatia” dalla quale deriva il nome del popolo. Il termine
viene usato nell’intitolazione. C’è una diocesi Alana al
Caucaso. Alani sono menzionati come popolazione di Crimea, Costantinopoli,
Tessalonica, del territorio del Danubio. Sono conquistati dai Mongoli.
Abasghi. Il termine viene usato esclussivamente nel
senso contemporaneo, nominando il popolo, lo stato, la diocesi del patriarca di
Costantinopoli o Antiochia.
Gheti. Daci. Sono citati nel catalogo dei popoli
“nordici”, come il termine arcaizzato è utilizzato
ovviamente per nominare i nomadi del Danubio.
Saki. Sono inclusi nella comunanza “scita”.
C’è un mito antico sulle donne dei Saki.
Quindi parlando del
territorio del Caucaso e Pre-Caucaso si deve differenziare i popoli
“nordici”, la comunanza “scita” delle fonti bizantine:
una serie degli etniconi antichizzati non hanno nessun relazione ai popoli
caucasiani al livello del territorio; la menzione dei popoli antichi legati al
Caucaso nel passato ma al XII secolo già spariti o migrati (Sarmati,
Massagheti, Unni, Uzi, Meoti, Corassi, Sindi, ecc.) è significativo come
la rappresentazione dell’evoluzione della struttura etnica del Caucaso
del Nord. Le informazioni sugli Alani in generale si riferiscono agli
avvenimenti contemporanei alle fonti. L’enticone non si usa nel senso
figurativo o arcaicizzato. Il termine riguarda popolo, stato, diocesi. I dati
analizzati non confermano l’ipotesi corrente sull’assenza degli
Alani come categoria etnica e sul senso esclusivamente politico del termine: il
senso etnico e quello politico non escludono l’uno l’altro e i
fatti dalle nostre fonti confermano la presenza dell’etnia alana.
Avendo stabilito il
patriarcato a Mosca alla fine del XVI secolo il patriarca di Costantinopoli
Geremia II esplica questo privilegio della Rus’ con la
“santità” del paese.
Così si
è conclusa la fase di formazione dell’immagine del “popolo
cristianissimo della Russia” che è nato nella tradizione bizantina
nel XIII secolo dopo la conquista-crociata dell’Impero nel contesto della
ricerca degli alleati. Niceta Coniata ha per la prima volta chiamato i russi il
“popolo cristianissiomo” usando il grado superlativo, e il
patriarca di Costantinopoli German II nella lettera dall’esilio a Nicea
alla curia papale nel 1232 tra i correligionari ortodossi come Etiopi, Siriani
orientali, Iberi, Abasghi, Alani, Lazi, Goti e Cazari nomina una
“innumerabile in mille tribù” Rus’ e il Regno Bulgaro
trionfante (dopo le guerre di Kalojan). Queste idee sono già lontani
dalle prime caratteristiche della Russia’ in Bizantio come, per esempio,
quelle da un’ altro patriarca di Costantinopoli Fozio nel IX secolo che
descrive i Russi come “il popolo che supera tutti della crudeltà e
predisposizione agli omicidi” oppure quelle espresse nel X secolo da
Niceta Paflagone nella “Vita di patriarca Ignazio” che parla del
popolo chiamato Ros come di quello “macchiato dall’omicidio
più che qualcuno degli Sciti”. “Inarrestabile e
empio”, secondo il Continuatore di Teofane (metà del X sec.),
popolo russo solo dopo la cristianizzazione si è rassegnato ed è
diventato, secondo Fozio nella sua Enciclica più tarda (867) suddito e
amico di Bizantio.
Comunque durante X-XII
sec., quando le alleanze russo-bizantine si alternavano con le guerre,
l’immagine della Rus’ nei documenti bizantini era contraddittorio e
ambiguo: i russi dal punto di vista dei Bizantini rimanevano barbari, selvatici
e perfidi, anche se sono stati domati con la forza delle armi bizantine e della
fede ortodossa. Per la stabilizzazione dell’immagine della Rus’
“cristianissima” determinanti sono stati gli avvenimenti di un
secolo – dalla seconde parte del XIV alla metà del XV secolo.
Anche se i temi dei testi bizantini dell’inizio e della fine di questo
periodo si assomigliano – si forma il “catalogo” dei popoli ortodossi alleati di Romei, i
testi sono diversi nelle premesse. Silvestro Siropullo descrivendo gli
avvenimenti del Concilio di Basilea, e poi di Ferrara e Firenze trasmette i
discorsi del imperatore e patriarca bizantini rivolti nel 1348 ai loro
correligiosi “all’Oriente e Occidente” – Iberi,
Circassi, Russi, Blacchi e Serbi. In un’altro caso Silvestro Siropullo
allarga un po’ la lista, citando Trapesuntini, Iberi, Cercassi, Mingreli,
Goti, Russi, Blacchi e Serbi. Questo permette evidentemente
all’Imperatore Giovanni VI Cantacuzeno stesso chiamarsi in un atto del
1348 citato da lui nella “Storia” “basileus degli elleni e
anche basileus dei Bulgari, Asanidi, Blacchi, Russi e Alani” Angelo
Comneno Paleologo Cantacuzeno, aggiungendo al suo nome anche tutti patronimi
dinastici degli ultimi secoli - per maggiore grandezza.
Il tema
dell’affratellamento dei popoli ortodossi riappare nella
“Bizantia” negli ultimi decenni della sua esistenza come stato. Un
greco-italo da Chio, maestro Giovanni Canavuza nel Commento al Dionigi di
Alicarnasso composto tra 1431 e 1455 esclama edicicante: “Noi tutti
– cristiani, abbiamo una fede e un battesimo, anche se siamo nati barbari
come Bulgari, Vlacchi, Albanesi, Russi!”
Infine, nella
letteratura post-bizantina, nei poemi in cui si piange la morte di Bizantio
c’è di nuovo il tema della comunanza cristiana e non solo
dell’affratellamento ortodosso, ma anche della concordia di tutti i
cristiani sia all’Oriente che all’Occidente. Nel poema del
Pseudo-Emmanuele Georgillo edito da E. Legrand nella collana della letteratura
greca popolare l’autore esclama che è venuta l’ora quando i
cristiani – Latini e Romei, Russi, Vlachhi e Ughri, Serbi e Alamani -
tutti devono essere in concordia dell’intelligenza, per diventare una
cosa unita e perché tutti i cristiani siano unanimi nei suoi pensieri. I
difensori della capitale bizantina speravano in santissimo papa e cardinali, re
di Franchia, duchi, conti, principi e comuni, imperatore di Alamania, Serbi e
Russi, Vlacchi e Ugri, Peoni, soldi di Venezia e navi di Genova, e quelli da
Catalonia e da tutta l’Italia. “Pax orthodoxa” si trasforma
alla fine del XV – XVI sec. in ecumene “pax christiana”.
Il tema della
sopraelevazione della Rus’ è intrecciata nella corrispondenza
diplomatica bizantina con la sopraelevazione di Mosca nella quale si trasporta
con il benestare del patriarca la cattedra di metropolita “di tutta
Così la “comunanza scita” e la dicotomia
delle comprensioni del popolo eletto di Romei che resista alle orde di rinnegati
ignoranti convive con la categoria mentale “dell’affratellamento
cristiano” che include popoli sia dell’Europa che dell’Asia e
persino dell’Africa (gli etiopi e Copti) nell’amalgama bizzarra
delle tradizioni letterari, comprensioni religiose, norme di Stato di diritto
ed etichetta diplomatica.
[1] D.
OBOLENSKY, The Byzantine Commonwealth, New York 1982; ed. J. SHEPARD, The
Expansion of Orthodox Europe, Aldershot 2007.
[2] D.S. LIKHACEV, L’uomo
nella letteratura della Rus’ antica, Mosca 1970, 35 ss., 52 ss., 100
ss.; A.Y. GUREVIC, Le categorie della cultura medievale, Mosca,
1972, 184 ss.