N. 8 – 2009 – Memorie//Africa-Romana
Università di Padova
Produzione
e commerci:
aspetti
del culto di Mercurio nel Nord-Africa romano
(pubblicato in L’Africa romana. Le
ricchezze dell’Africa. Risorse, produzioni, scambi. Atti del XVII
convegno di studio. Sevilla, 14-17 dicembre 2006, a cura di J.
González, P. Ruggeri, C. Vismara, R. Zucca, Roma, Carocci editore, 2008,
II, pp. 793-810)
Sommario: 1. Mercurio a Roma: dio dei Negotia
e del lucrum. – 2. Mercurio in
Africa. – 2.1. Mercurio e lo
scorpione. – 2.2: Mercurio e
l’acqua. – Bibliografia
La complessità della figura di
Mercurio nel mondo romano è nota, sia per quanto riguarda gli aspetti
più strettamente storico-religiosi che quelli iconografici[1]. Nella divinità
romana confluiscono elementi propri dell’Hermes greco, ma si sono notate
anche molte affinità con divinità indigene, in particolare nelle
aree vicino-orientale ed egiziana ed in quelle etrusco-italica e celtica[2]. Anche in Mercurio
quindi si assommano, come in molti altri casi, tradizioni ed esigenze connesse
alle stratificazioni socio-culturali che vanno a formare la storia di ciascun
territorio.
In Grecia, Hermes[3]
è in origine dio che sovrintende alla riproduzione animale
(l’Hermes crioforo), dio delle strade e degli incroci, dei viaggiatori e
dei confini e quindi anche psicopompo, araldo ed interprete, dio
dell’ingegno e dell’astuzia, dio del commercio, inventore del
linguaggio e di strumenti musicali, come la lira, ottenuta dal guscio di una
tartaruga, e del flauto: proprio a questo proposito la tradizione ricorda che
in cambio della lira fu perdonato dal fratello Apollo per avergli rubato del
bestiame, ma da lui ottenne anche la verga d’oro che utilizzava per
radunare il bestiame, in cambio dello strumento a fiato appena inventato. La
verga fu perciò oggetto di scambio, divenendo poi nell’iconografia
il principale simbolo che contraddistingue e identifica il dio: il caduceo[4]. A questo nella ricca
iconografia del dio greco si aggiungono di solito il copricapo ed i calzari
alati, segno efficace della rapidità [p. 794] con cui egli si muove tra
i mondi divino, umano ed infero, ma anche animali quali l’ariete e la
tartaruga, con un riferimento alle tradizioni pastorali e mitologiche nate
intorno alla sua figura.
Le fonti antiche ricordano che Mercurio fu
tra le prime divinità di origine greca accolte nel mondo romano[5], probabilmente tra vi
e v secolo a.C. Questo dio però, a differenza di altre figure divine
greche importate a Roma e il cui nome fu semplicemente latinizzato, come Apollo
ed Eracle/Ercole, cambia radicalmente denominazione: ciò rappresenta una
rottura con la tradizione ed è indizio del fatto che a Roma il greco
Hermes assume nuovi ruoli, probabilmente più confacenti alla
società romana. Tito Livio (ii, 21, 7) afferma che a Roma
nell’anno del consolato di Appio Claudio e Publio Servilio, il 495 a.C.,
alle Idi di maggio fu dedicato a Mercurio un tempio[6];
poco oltre (ii, 27, 5-7) l’autore fornisce maggiori dettagli sul
complesso contesto socio-politico in cui ciò era avvenuto, in particolare
sottolineando il contrasto esistente tra i due consoli, anche in merito alla
dedica del tempio: il Senato demandò perciò al popolo la
decisione, stabilendo inoltre che il dedicante prescelto sarebbe stato a capo
dell’annona, avrebbe istituito il collegio dei mercanti e celebrato il
rito al cospetto del pontefice[7] (Senatus a se rem
ad populum reiecit: utri eorum dedicatio iussu populi data esset, eum praeesse
annonae, mercatorum collegium istituire, sollemnia pro pontifice iussit
suscipere). Si fissano in questo modo degli elementi fondamentali per la
comprensione del ruolo di Mercurio nella gestione dei traffici commerciali, in
particolare in relazione all’approvvigionamento pubblico del grano.
Ovidio aggiunge una rapida indicazione sul luogo in cui si trovava il tempio:
di fronte al circo (Ov., Fasti, v, 669), sull’Aventino, come confermano
fonti tarde, ad esempio Apuleio (met., vi, 8)[8]. Era quindi tra i
più [p. 795] antichi edifici di culto eretti nella città ed in
una zona caratterizzata per la sua vicinanza al Tevere e alle aree a vocazione
commerciale, come il Foro Boario. Le Idi di maggio divennero non solo dies
natalis del dio, ma anche dies festus mercatorum.
Il legame di Mercurio con il commercio
è dichiarato da un’etimologia “trasparente”, come
indica Festo (De verborum significatu, 123-124 M), che ne fa derivare il
nome da merx: Mercurius a mercibus est dictus. Hunc etenim negotiorum
omnium aestimabant esse deum. Non è però il dio delle merci[9], ma piuttosto colui
che sovrintende ai negotia; il dio romano apparterrebbe quindi a quella
fase in cui la ricchezza comincia ad essere calcolata non più in natura,
ma attraverso il denaro, come sembra dichiarare anche l’origine del
termine pecunia da pecus cioè il bestiame[10].
Significativa è la testimonianza di
Ovidio (Fasti, v, 663-692), che definisce Mercurio
«mediatore di pace e di guerra tra gli dei»; a lui gli uomini
devono l’apprendimento di un efficace linguaggio, necessario per la
mediazione commerciale, e a lui si rivolgono affinché sia loro concesso
il guadagno (lucra) attraverso la vendita delle merci, che a Roma vengono
purificate alla fonte di Mercurio presso Porta Capena. Come afferma Apuleio
(met., vi, 8, 1, 2, 3), il tempio si trovava retro metas Murtias,
cioè presso il lato curvo del Circo Massimo[11],
in relazione con l’aqua Mercurii situata vicino a Porta Capena[12] e quindi con gli assi
viari che mettevano in comunicazione [p. 796] ne il Lazio con Roma e il Tevere.
Da questo accesso attraverso le mura serviane entrava in città la via
Appia, in cui, poco più a sud, confluiva anche la via Latina: Porta
Capena quindi si configurava come un punto di passaggio obbligato per tutte le
merci che entravano a Roma provenienti dal Lazio meridionale e dalla Campania
e, come ricorda Ovidio, l’acqua sacra permetteva la purificazione dei
mercanti e delle merci che entravano in città. Qui, con
l’accondiscendenza divertita del dio, si purificavano anche gli inganni,
che sembrano far parte naturalmente dello “spirito” del commercio:
lo stesso Hermes/Mercurio, che aveva rubato le vacche di Apollo, era
considerato protettore dei ladri. Come osserva Combet-Farnoux, il culto di
Mercurio sottolinea il passaggio dal semplice rapporto di scambio
all’economia mercantile[13]: in una dimensione
mediterranea del capitalismo mercantile nasce il lucrum e Mercurio,
mediatore ed interprete[14], assume un nuovo
ruolo di garante, ma soprattutto di “purificatore”
dell’operazione lucrosa dello scambio. Le notizie che Ovidio riporta sui
riti che si svolgevano presso l’aqua Mercurii confermano
l’importanza ed il ruolo fondamentale che l’acqua aveva nelle
transazioni commerciali, non solo per ragioni di carattere pratico ed igienico,
ma soprattutto per la garanzia rituale necessaria al tipo di operazione che si
svolgeva[15]. Alla sorgente andavano
infatti i mercanti, “cinti di tunica” e quindi in veste ufficiale,
recando con sé urne per raccogliere l’acqua con cui poi avrebbero
purificato, irrorandole con un ramo d’alloro, le cose che “avranno
un nuovo padrone”; il rito prevedeva anche la purificazione dei mercatores,
mediante lo spargimento dell’acqua sacra sul capo.
Nell’iconografia romana il dio
mantiene gli attributi dell’Hermes greco, cui si aggiunge
significativamente la borsa contenente il denaro: essa è simbolo della
circolazione monetaria che alimenta il circuito dell’economia mercantile[16] e quindi efficace
immagine del lucrum.
La compresenza del caduceo e della borsa
del denaro va letta, secondo Combet-Farnoux, come la rappresentazione del
duplice aspetto del culto: da un lato quello ufficiale della regolare
transazione sottoposta a protezione divina, di cui è simbolo questa
sorta di “scettro” carico di significati[17],
dall’altro quello popolare del guadagno concreto.
[p. 797]
Nel Nord-Africa romano Mercurio[18] compare in veste
ufficiale, generalmente accanto alle due divinità principali di
derivazione fenicio-punica: Caelestis e Saturno. È chiaro il ruolo
rappresentato da questa triade divina: la coppia del pantheon semitico e la
personificazione dell’aspetto principale della società e del
territorio nordafricano, quello produttivo-commerciale, fondamentale
nell’economia del mondo romano ma esistente fin dall’epoca
cartaginese.
Ricchissimo è il materiale
documentario che riguarda il culto di questa divinità nell’area
compresa tra le Mauretanie e la Tripolitania: statuaria, rilievi, bronzi e
bronzetti, gemme e monete, lucerne e vasi ma anche mosaici, pitture ed
iscrizioni testimoniano una sua diffusa e articolata presenza sia nella
religiosità popolare, legata cioè più al territorio
rurale, che in quella ufficiale, con monumentali sedi di culto poste spesso nel
cuore civile delle città, nei fora o nelle immediate vicinanze, come a
Thugga. Si tratta di circa 140 manufatti e altrettante iscrizioni distribuiti
prevalentemente tra Numidia e Proconsolare[19].
Per quanto riguarda gli oggetti, in alcuni casi privi di documentazione grafica
o fotografica, nonostante oggettive difficoltà per la loro scarsa
omogeneità, a livello di classi di materiali, di funzione e di
cronologia, che non sempre è rilevabile e abbraccia un periodo compreso
tra l’età augustea ed il iv secolo, si possono individuare alcune
iconografie maggiormente riprodotte. L’iconografia più diffusa (un
centinaio di pezzi) è sicuramente quella che si ricollega ad un modello
“classico”, il Mercurio messaggero degli dei e protettore dei
commerci, generalmente rappresentato con petaso, clamide e calzari alati, cui
si aggiungono caduceo nella mano sinistra e borsa nella destra [p. 798] e
spesso animali associati anche ad Hermes, come l’ariete, la tartaruga,
cui si aggiunge in molti casi il gallo[20].
Il dio è rappresentato sia da solo che con altre divinità e
personaggi, a figura intera o semplice busto o testa (come sulle monete),
stante o in posizione diversa. In molti esempi Mercurio è associato alle
altre divinità preposte ai giorni della settimana, come a Beja-le Kef,
Thuburbo Maius, Cuicul, Civitas Goritana[21];
interessante è la rappresentazione del calendario in un mosaico
rinvenuto a Thysdrus nella Casa [p. 799] dei Mesi, dove nel riquadro che
rappresenta maggio[22], il mese dedicato a
Mercurio, compare una scena di sacrificio di un ariete di fronte ad una statua
del dio: scena ufficiale e iconografia “classica”.
Analizzando i materiali si colgono
però anche altri aspetti, che riconducono a caratteristiche proprie di
Hermes/Mercurio come psicopompo o dio dei viaggiatori e dei confini[23], oppure a legami
particolari come ad esempio con lo scorpione oppure con l’acqua, temi sui
quali merita ritornare in questa sede.
Il secondo gruppo maggiormente attestato
(quasi una ventina di pezzi) riguarda uno schema compositivo solo africano, non
attestato altrove, che prevede accanto a Mercurio e ai soliti attributi, anche
[p. 800] la presenza di uno scorpione[24].
Dell’associazione a Mercurio di questo animale dà testimonianza
Marziano Capella, erudito cartaginese vissuto nel V secolo, nell’accurata
descrizione di un pinax (De nuptiis
Philologiae et Mercurii, ii,
171-180). Il soggetto del quadro era l’uccello egiziano ibis,
personificazione del dio Thot, rappresentato con la testa coperta dal petaso e
con il volto lambito dalle spire di due serpenti: intorno erano dipinti in
basso il caduceo[25], a destra una
tartaruga ed un minaccioso scorpione, a sinistra una capra e un “pennuto
dalla doppia cresta”. L’ibis inoltre recava la scritta con il nome
di un mese del calendario menfitico, che l’autore non specifica. Il testo
non lascia spazio a dubbi sul fatto che questa fosse intesa come una raffigurazione
di Mercurio, dio degli affari, nel cui cielo giunge Filologia, rappresentata
come “padrona che va a nozze”, in un contesto carico di simbologie
e riferimenti astrologici. L’iconografia descritta trova analogie con la
raffigurazione del dio Thot/Hermes con lo scorpione in alcune gemme romane di
probabile provenienza africana[26].
[p. 801] Su Mercurio e lo scorpione fu
condotta in passato un’accurata indagine dal Deonna, che cercava
riferimenti nel mondo vicino-orientale ed egiziano, dove lo scorpione, animale
legato alla terra, nella quale si insinua e si nasconde, è considerato
simbolo della fertilità dei campi e della fecondità umana. Esso
è velenoso e può dare la morte e quindi allo stesso tempo indica
la vita, la buona sorte, la protezione dal malocchio. In questo senso viene
spesso rappresentato associato a divinità come Ishtar (vita/morte), Nebo
(vegetazione/destino), Shadrafa (guarigione/fertilità), Serapide (dio
dai molteplici aspetti, prodotto da un sincretismo religioso
ellenistico-egiziano). In Africa è animale molto diffuso e pericoloso;
nella Cartagine romana c’era l’abitudine di seppellire nelle
fondazioni delle case riproduzioni di questo animale in bronzo o in piombo, per
proteggerle dalla loro invasione[27], ma anche
genericamente dalla cattiva sorte. Lo scorpione diviene ad un certo punto anche
simbolo dell’Africa: su monete di Adriano viene rappresentata la
provincia come una figura femminile con uno scorpione sulla [p. 802] testa o
sulla mano aperta[28]. Sulla base di queste
osservazioni il Deonna[29] ipotizzò che
nel mondo punico-romano fosse avvenuto uno dei numerosi fenomeni di sincretismo
religioso tra due figure dalle caratteristiche analoghe: l’orientale
Shadrafa, dio della fecondità dagli stretti legami con il dio egiziano
Ched, ai quali si associavano scorpioni e serpenti, ed il romano Mercurio,
portatore di petaso e caduceo, dio del commercio. L’unica iconografia
nota del dio orientale proviene dalla romana Palmira: su due stele databili
intorno alla metà del i secolo compare una figura maschile, vestita con
l’abbigliamento militare tipico di molte divinità palmirene,
recante nella mano destra una lancia e nella sinistra in un caso lo scudo e
nell’altro un grosso scorpione; un altro scorpione è presente su
entrambe le stele sopra la spalla sinistra del dio. Come già
sottolineava il Deonna[30], è notevole la
somiglianza tra questi due documenti ed una stele con dedica a Mercurio
ritrovata a Mascula in Numidia, dove il dio è abbigliato con una corta
tunica, in modo anomalo rispetto alla consueta iconografia, ma soprattutto dove
gli si associano uno o forse due scorpioni, scolpiti sotto il piede destro. Va
ricordato al riguardo che esisteva in Numidia una vivace comunità
palmirena, la cui presenza è attestata soprattutto da iscrizioni
rinvenute a Calceus Herculis e a Castellum Dimmidi, databili alla fine del ii
secolo: si trattava in particolare di sagittarii entrati a far parte
della Legio iii Augusta per difendere il limes di questa regione ed
è possibile che in questo contesto sia avvenuto un processo di
assimilazione tra le due figure divine [31].
Se Mercurio con lo scorpione è
attestato solo in Africa, si rileva che ciò avviene quasi esclusivamente
su stele, con unica eccezione una statua frammentaria da Madauros[32], in cui è
rappresentato il dio stante, con la gamba appoggiata ad un tronco su cui si
arrampica uno scorpione.
Marcel Le Glay sottolinea che proprio sulle
stele si esprime pienamente la religiosità popolare[33];
esse inoltre provengono prevalentemente da regioni interne e quindi le meno
toccate dalla romanizzazione. Potrebbero quindi indicare un Mercurio locale, un
[p. 803] culto popolare legato alla fertilità soprattutto in quelle
regioni dell’interno in cui prevale l’aspetto dell’economia
rurale: numerosi esempi provengono da Bou-Arada, Sidi Er-Rais, Sed-el-Youdi, Madauros,
Mascula, Thamugadi, Mastar, Sitifis, Rapidum, tutte località situate
nell’area centrale del Nord-Africa, tra Numidia e Proconsolare[34]. L’iconografia
è schematica e ripetitiva, con il dio stante, nudo o abbigliato con
clamide, circondato dai consueti attributi, cui si aggiunge lo scorpione,
raffigurato nella maggior parte dei casi a destra della figura, anche se non in
una posizione fissa.
Un riferimento simbolico a Mercurio,
genericamente protettore anche in chiave “magica”, può
essere visto anche nel rilievo apotropaico da una strada di Leptis Magna dove
un malocchio stilizzato è accerchiato in modo minaccioso da un centauro
itifallico [p. 804] armato di tridente, da un gallo, un serpente ed uno
scorpione[35]. In modo analogo
potrebbe essere letto un riferimento al dio protettore nella stele funeraria da
Auzia (Aumale in Algeria), dove accanto al defunto e ai suoi familiari è
scolpito un occhio, “aggredito” ancora da gallo, scorpione e
serpente[36].
Con riferimenti più o meno
espliciti, in questi documenti appare un Mercurio quasi “privato”,
legato ad esigenze personali e più vicino ad un ruolo di protettore, di
dio tutelare nel senso più ampio del termine.
[p. 805]
Come a Roma, anche in Africa il ruolo
dell’acqua in relazione alla figura di Mercurio risulta molto importante:
ciò appare quasi scontato quando si tratti dei templi eretti nel cuore
dei centri urbani, come a Thugga, dove gli edifici dedicati a questa
divinità si trovano nelle vicinanze del foro e spesso in diretta relazione
con il macellum, dove consueta è la presenza di fontane e di
acqua corrente. In alcuni casi però esiste un collegamento diretto tra
Mercurio e l’acqua, sia per la vicinanza del santuario a corsi
d’acqua o sorgenti come a Cirta-Costantina, sia per il dichiarato
collegamento con l’approvvigionamento idrico, come a Thysdrus o nel
Municipium Giufitanum; tra l’altro, secondo Giovanni Lydus (De mensibus,
iv, 76), funzionario imperiale ed erudito del vi secolo, «il dio Hermes
è preposto anche alle acque e per questo motivo all’interno dei
suoi santuari vengono consacrate delle sorgenti o vengono scavati dei
pozzi». A Cirta, sulla sponda sinistra dell’oued Rhummel,
l’antico Ampsaga, furono rinvenuti cinque gradini ciascuno con iscrizioni[37]: in esse il riferimento
ad un collegium Mercuri, ad un Genius Amsige (il genio del fiume), a
scamna, cioè gradini donati al collegio o ai suoi membri, ha fatto
pensare all’esistenza qui oltre che di un tempio a Mercurio, citato anche
in altre epigrafi provenienti da Cirta e dal territorio[38],
anche di particolari rituali purificatori, simili forse a quelli che avvenivano
a Roma presso Porta Capena. È curioso che sia riportato in due casi che
il dono era stato ispirato da un sogno (viso, ex viso), quasi con un
riferimento mitologico all’uso tipicamente divino di manifestarsi agli
uomini. Da Cirta inoltre proviene un bacino marmoreo, oggi al Louvre,
anch’esso riportante nell’iscrizione il riferimento ad un sogno che
ne richiedeva il dono ai membri di un collegio, con ogni probabilità lo
stesso legato al culto di Mercurio[39].
A Mastar, località vicina a Cirta, fu rinvenuto poi un cippo-fontana
raffigurante l’ingresso di un tempio, con due colonne in facciata e
frontone triangolare, al cui interno è rappresentato Mercurio con i suoi
attributi, tra cui lo scorpione[40]; un’iscrizione
ne dichiara l’appartenenza: templum [p. 806] Mercuri[41]. A riti purificatori
erano destinati con ogni probabilità anche impianti idraulici attestati
nel tempio di Mercurio a Gightis[42], sotto la cui cella
esiste una cisterna che alimentava una fontana, oggi scomparsa, mentre ad
Henchir Bab-Khaled, presso Djebel Oust nella Proconsolare, il Gauckler[43] segnalava un
complesso apparato per la circolazione dell’acqua all’interno del
tempio dedicato probabilmente a Mercurio Silvio, cui è da riferirsi
un’iscrizione rinvenuta nelle vicinanze.
Accanto a queste testimonianze di carattere
cultuale, non va tralasciata un’importante iscrizione[44],
che attesta a Thysdrus il ruolo di Mercurio, genio protettore della
città, per l’opera di deduzione dell’acquedotto, azione
fondamentale per l’economia di un territorio arido come quello di questa
importante città oleicola. Curioso è il fatto che anche in questo
caso l’operazione fosse stata ispirata dal dio stesso (instinctu
Mercurii potentis), genius della colonia. In modo simile anche altri
interventi idraulici erano stati dedicati a Mercurio presso il Municipium
Giufitanum (Bir-Mcherga nella Proconsolare), dove ad un bacino di pietra era
stata condotta l’acqua, probabilmente in pressione, mediante una fistula
plumbea con applicato un rubinetto di bronzo[45]
(fistula plumbea cum epitonio aereo ad labrum lapideum aqua ut saliret).
Non è certamente casuale la
collocazione di questi siti in relazione alla viabilità nord-africana e
in quest’ottica va rivista la connessione tra il dio protettore delle
attività commerciali e le operazioni di controllo, che avvenivano lungo
assi viari preferenziali, in punti strategici dove dovevano essere collocati i
dazi. Un esempio significativo può essere Gightis[46],
il cui tempio a Mercurio, eretto in età giulio-claudia, si trovava non
in città, ma in area suburbana, nei pressi della grande via di
collegamento tra Cartagine e Leptis Magna. Lungo il lato posteriore del tempio
si trovava una serie di vani, con ogni probabilità adibiti proprio a
questo tipo di operazioni.
[p. 808] Come dimostra l’abbondanza
dei toponimi, Mercurio in Africa è protettore dei commerci, ma è
in particolare legato alle vie e ai transiti commerciali[47].
L’esistenza di toponimi come Ad Mercurios, al plurale, la presenza di
dediche ai due Mercurii, come a Cirta-Costantina, oppure a Mercurio con diversi
epiteti, come Mercurius Sobrius, Mercurio Silvio, oppure con associazioni
Mercurio-Silvano o Mercurio-Serapide, danno testimonianza della complessità
del suo culto in un territorio vastissimo e aperto a culture e tradizioni
diverse. Il legame con l’acqua si connette probabilmente al ruolo
ufficiale del controllo e della gestione dei traffici commerciali, posti sotto
la tutela e la garanzia del dio, che è però anche un protettore
personale, che “assiste” l’uomo nelle sue attività
quotidiane, legate prevalentemente al mondo rurale e alla produttività.
Lo scorpione, sorta di talismano, ancora oggi presente nella cultura
nordafricana (come l’occhio porta-fortuna), si associa quindi in modo
naturale alla figura divina, soprattutto in quei manufatti più legati
alla sfera privata, come le stele, sia votive che funerarie, e le gemme.
Andreussi M. (1996), s.v. Mercurius, Aedes, in LTUR,
iii, pp. 245-7.
Arnaud A. e P. (1994), De la toponymie
à l’histoire des religions. Réflexions sur Mercure africain,
in Y. Le Bohec (éd.), L’Afrique, la Gaule, la Religion
à l’époque romaine, Mélanges à la
mémoire de Marcel Le Glay, Bruxelles, pp. 142-53.
Bartoloni P. (1988), Le navi e la navigazione, in I
Fenici, Catalogo della Mostra, Milano, pp. 72-7.
Ben Abdallah Z. B. (1986), Catalogue
des inscriptions latines païennes du Musée du Bardo, Roma.
Berthier A. (1942), Le culte de Mercure
à Cirta, «Recueil des notices et mémoires de la
Société archéologique du Département de
Constantine», lxv, pp.
131-40.
Berthier A. (1956), Renier: bas-relief
figurant Mercure, «Libyca», iv,
p. 337.
Bianchi Bandinelli
r., Caputo g., Vergara Caffarelli E. (1964), Leptis Magna,
Milano.
Bullo S. (1994), Le indicazioni di Vitruvio sulla localizzazione dei templi urbani (De
Arch., i, 7, 1): il caso africano,
in L’Africa romana x,
pp. 515-58.
[p. 809]
Bullo S. (2002), Provincia Africa. Le città e il territorio dalla caduta di
Cartagine a Nerone, Roma.
Caquot A. (1952), Chadrapha. A propos de
quelques articles récents, «Syria», xxix, pp. 74-88.
Combet-Farnoux B. (1980), Mercure
romain. Le culte public de Mercure et la fonction mercantile à Rome, de
la République archaïque à l’époque
augustéenne, (Coll. EFR, 238), Roma.
Constans L. A. (1916), Gigthis. Étude
d’histoire et d’archéologie sur un emporium de la Petite
Syrte, Paris.
Deonna W. (1959), Mercure et le scorpion,
Bruxelles.
Drappier M. L. (1908), Métaux, in Catalogue des Musées et Collections
Archéologiques de l’Algérie et de la Tunisie,
Musée Alaoui, Supplement, Paris.
Farges A. (1901), Inscriptions
inédites 1901, «Recueil des notices et mémoires de la
Société archéologique du Département de
Constantine», xxxv, pp.
298-314.
Ferchiou N. (1988), A propos de trois
inscriptions inédites provenant de la Tunisie centrale, in L’Africa romana v, pp. 145-51.
Ferchiou N. (1988a), Le temple de Mercure
à Gightis. Recherches sur le décor architectonique,
«Africa», x, pp.
174-96.
Gasperini L. (1988), Note di epigrafia lepcitana, in L’Africa
romana v, pp. 153-66.
Gauckler P. (1910), Inventaire des
mosaïques, Tunisie, Tunis.
Gsell S. (1900), Notes sur diverses
antiquités d’Algérie, «BCTH», pp. 376-87.
Gsell s., Joly Ch. (1922), Khamissa,
Mdaourouch, Announa, Alger-Paris.
Kahn L. (1979), Hermès, la
frontière et l’identité ambiguë,
«Ktema», 4, pp. 201-11.
Khanoussi M. (1990), Mercure
psychopompe en Afrique romaine, «MEFRA», 102, pp. 647-9.
Le Glay M. (1961), Saturne africain,
Monuments i, Paris.
Le Glay M. (1966), Saturne africain,
Monuments ii, Paris.
Le Glay M. (1986), Iconographies classiques
et sculptures africaines, in Iconographie
classiques et identités régionales (Paris 1983),
«BCH», Suppl. xiv,
Athenes-Paris, pp. 219-314.
Legrand A. (s.d.), s.v. Mercurius, in DA
iii, pp. 1802-23.
Lenoir M. (1993), Ad Mercuri templum. Voies
et occupation antiques du Nord du Maroc, «RM», 100, pp. 507-20.
Mahjoubi A. (1959), Découvertes
archéologiques a Beja, «CT», vii, 25, pp. 481-7.
Merlin A. (1906), Découvertes
à Sed-el-Youdi, près de Kalaat-es-Snam, «Bulletin de la
Société Archéologique de Sousse», iv, pp. 123-6.
Palombi D. (1993), s.v. Aqua Mercurii, in LTUR i, p. 69.
Picard G. (1951-52), L’archéologie
romaine en Tunisie, «BCTH», pp. 93-105.
[p. 810]
Picard G. Ch. (1949), Castellum Dimmidi, Alger-Paris.
Reinach S. (1912), Répertoire des
reliefs, ii, Paris.
Rizzato A. (1997-98), Mercurio in Africa. Testimonianze archeologiche, epigrafiche,
letterarie, tesi di laurea, Università di Padova, Facoltà di
Lettere e Filosofia, a.a. 1997-98.
Sabbatucci D. (1971), La religione romana, in Storia
delle Religioni, iii, Torino,
pp. 1-80.
Siebert G. (1990), s.v. Hermes, in LIMC,
v, 1, pp. 285-387.
Siebert G. (1991), D’Hermes à
Mercure, in Hellenismòs.
Quelques jalons pour une histoire de l’identité grecque, Actes du
Colloque de Strasbourg 1989, Leiden, pp. 101-17.
Simon E.,
Bauchhness G. (1992), s.v. Mercurius, in LIMC, vi, 1, pp.
500-55.
Trousset P. (1986), Mercure et le limes: a
propos des inscriptions de Kriz (Sud Tunisie), in Studien zu den Militärgrenzen Roms, iii, Vorträge des
Internationalen Limeskongresses (Aalen 1983), Stuttgart, pp. 661-9.
Yacoub M. (1993), Le Musée du Bardo
(Départements antiques), Tunis.
Yacoub M. (1995), Splendeurs des
mosaïques de Tunisie, Tunis.
Zevi F. (1987), I santuari di Roma agli inizi della Repubblica, in Etruria e Lazio
arcaico, Roma, pp. 121-32.
[2] Siebert (1990 e 1991).
[3] Un intero Inno Omerico, il iv, è
dedicato ad Hermes e alle sue imprese.
[4] Secondo la tradizione Hermes lo
gettò a terra per separare due serpenti che cercavano di divorarsi e da
allora la verga acquisì l’immagine dei due rettili intrecciati
sulla sua sommità.
[5] Secondo Zevi (1987, pp. 121-32) Mercurio non fu
mai considerato dio straniero a Roma; cfr. Andreussi
(1996), p. 246.
[6] Nello stesso capitolo ricorda anche la
dedica di un tempio a Saturno e l’istituzione delle feste dei Saturnalia
(ii, 21, 2).
[7] Livio riferisce che la scelta era caduta
su un plebeo, il centurione primipilo Marco Letorio: ciò aggiungerebbe
nuovi elementi sui rapporti tra le classi sociali in conflitto, ma questo
aspetto non è considerato verosimile da molti commentatori.
[8] . Cfr. Andreussi
(1996); l’autrice sottolinea (p. 246) che la data indicata è
particolarmente significativa in quanto coincide con la morte di Tarquinio il
Superbo e quindi rappresenta anche una svolta nella storia politica e sociale
di Roma, eliminando di fatto l’eventualità che potesse essere
restaurata la monarchia. Nella topografia sacra di Roma non è casuale la
localizzazione del tempio sull’Aventino, compreso nella cinta muraria ma
non nel pomerio: esso rappresenta, secondo D. Sabbatucci
(1971, pp. 39-40), la non-Roma di Remo contrapposta alla Roma romulea del
Palatino e la vallis Murcia collocata tra i due colli
è una specie di “terra di nessuno”, luogo d’incontro
tra Romani e stranieri, sacra ad Ercole e dedicata a riti e ludi,
dall’epoca regia gravitanti sul Circo Massimo.
[10] Siebert (1991), pp.
112-4.
[11] Cfr. Combet-Farnoux (1980), p. 267.
[12] Palombi (1993). La fonte è localizzata
nell’attuale Villa Celimontana, tra le numerose sorgenti presenti sul
Celio. Nelle raccolte alto-medievali di “curiosità” è
ricordato un balneum Mercuri (Itinerarium
Einsiedeln 172, Valentini-Zucchetti ii),
mentre più dettagliata notizia vi è nei Mirabilia 29 (Valentini-Zucchetti iii,
61): In Aventino templum Mercurii
aspiciens in Circo, et templum Palladis, et fons Mercurii, ubi mercatores
accipiebant responsa.
[13] Combet-Farnoux (1980),
pp. 383-432.
[14] Ivi, pp. 219-49
[15] Sul ruolo purificatorio dell’acqua
si veda ivi, pp. 300-10.
[16] Ivi, pp. 424-5.
[17] Il caduceo, una verga d’oro con due
serpenti intrecciati, è un simbolo estremamente complesso, presente
nell’iconografia di diverse civiltà con connotazioni non lontane
tra loro: nel mondo mesopotamico compare su sigilli e kudurru, insegna di
potere e di protezione di varchi, passaggi e confini; nella mitologia greca
è attributo di Apollo, che lo cede ad Hermes in cambio del flauto da lui
inventato e diviene poi l’insegna dell’araldo, cui si ricollega
anche l’etimologia; nel mondo punico si trova in particolare sulle stele,
ma è anche rappresentato sulla prua delle pentere cartaginesi, grandi
navi di linea per i trasporti commerciali (Bartoloni,
1988, p. 76).
[18] Si vedano soprattutto Deonna (1959); Trousset (1986); Arnaud
(1994).
[19] Rizzato
(1997-98).
[20] Siebert
(1990); Simon, Bauchhness (1992).
21.
[21] Stele da Beja-le Kef (Le Glay, 1961, pp. 292-3) e da Cuicul (Le Glay, 1966, pp. 211-3); rilievo da
Thuburbo Maius (Ben Abdallah, 1986, p. 132); mosaico da Civitas Goritana -
Bir-Chana (Yacoub, 1993, pp. 152-3).
[22] Interessante è anche il mese di
novembre, mese dello Scorpione, con la celebrazione delle feste di Iside, che
vede protagonisti tre personaggi probabilmente sacerdoti del culto, tra i quali
uno, che indossa la maschera di Anubi a testa di sciacallo, tiene nella destra
il caduceo (Yacoub, 1995, pp.
123-4).
[23] Si vedano al riguardo i lavori di Khanoussi (1990), su Mercurio
psicopompo e di Kahn (1979), Trousset (1986), Ferchiou (1988), Arnaud (1994), su Mercurio delle strade
e dei confini.
[24] Deonna
(1959). Sul Mercurio africano e la presenza dello scorpione cfr. Combet-Farnoux (1980), p. 486.
[25] La verga era d’oro nella parte
sommitale, verde-azzurra nella mediana e nera come la pece in basso, quasi a
rappresentare i diversi mondi, dal divino all’infero.
[26] Simon,
Bauchhness (1992), nn. 178, 180, p. 515. Un legame con l’Egitto si
riscontra anche nel citato calendario del mosaico di Thysdrus, dove il mese di
novembre, legato al segno zodiacale dello scorpione, viene rappresentato con un
riferimento alle feste in onore di Iside, cui era sacro l’ibis.
[28] Deonna
(1959), p. 36.
[29] Ivi, pp. 38-43.
[30] Ivi, pp. 41-2.
[31] Picard
(1949), pp. 102-10; sulla stessa linea Le
Glay (1986).
[32] Deonna
(1959), p. 7.
[33] Le
Glay (1986), pp. 219-20.
[34] Picard
(1951-52), p. 210 (Bou-Arada); Mahjoubi
(1959), pp. 484-5 (Sidi ErRais); Merlin (1906), pp. 123-6 (Sed-el-Youdi); Gsell, Joly (1922), pp. 42-3
(Madauros); Farges (1901), p. 304
(Mascula); LE GLAY (1986), p. 227
(Thamugadi); Berthier (1942), pp.
139-40 (Mastar); Deonna (1959),
pp. 6-7 (Sitifis e Rapidum); Berthier
(1956), p. 337 (Renier).
[35] Bianchi
Bandinelli, Caputo, Vergara Caffarelli (1964), p. 112. La scritta MAL-ER
è di significato controverso (ILTrip., 768; Gasperini, 1988, pp.
164-6).
[36] Deonna (1959), p. 43;
cfr. Reinach (1912), fig. p. 1.
[37] Berthier (1942), pp.
131-6; AE, 1942-43, nn. 28-32.
[38] CIL viii, 6962, 19490; Gsell (1900), p. 386.
[39] CIL viii, 6970; cfr. Berthier (1942), pp. 135-6.
[40] Da Renier, località nel territorio
di Cirta e Mastar, proviene anche un piccolo frontone riferibile ad
un’edicola o cappella (Berthier,
1956, p. 337) o fontana (?), con rappresentazione del busto di Mercurio con
petaso, caduceo, capride e gallo, mentre sul petto è scolpito lo scorpione.
[41] Berthier (1942), pp.
139-40; CIL viii, 6355. Cfr. Combet-Farnoux
(1980), pp. 303-5.
[42] Constans (1916), p. 109.
[43] Gauckler (1910), p. 157.
[44] CIL viii, 51.
[45] CIL viii,
23991.
[47] Arnaud
(1994).