ds_gen N. 8 – 2009 – Memorie//Africa-Romana

 

Paola Zanovello

Università di Padova

 

Produzione e commerci:

aspetti del culto di Mercurio nel Nord-Africa romano

 

 

(pubblicato in L’Africa romana. Le ricchezze dell’Africa. Risorse, produzioni, scambi. Atti del XVII convegno di studio. Sevilla, 14-17 dicembre 2006, a cura di J. González, P. Ruggeri, C. Vismara, R. Zucca, Roma, Carocci editore, 2008, II, pp. 793-810)

 

 

Sommario: 1. Mercurio a Roma: dio dei Negotia e del lucrum. – 2. Mercurio in Africa. – 2.1. Mercurio e lo scorpione. – 2.2: Mercurio e l’acqua. – Bibliografia

 

 

La complessità della figura di Mercurio nel mondo romano è nota, sia per quanto riguarda gli aspetti più strettamente storico-religiosi che quelli iconografici[1]. Nella divinità romana confluiscono elementi propri dell’Hermes greco, ma si sono notate anche molte affinità con divinità indigene, in particolare nelle aree vicino-orientale ed egiziana ed in quelle etrusco-italica e celtica[2]. Anche in Mercurio quindi si assommano, come in molti altri casi, tradizioni ed esigenze connesse alle stratificazioni socio-culturali che vanno a formare la storia di ciascun territorio.

In Grecia, Hermes[3] è in origine dio che sovrintende alla riproduzione animale (l’Hermes crioforo), dio delle strade e degli incroci, dei viaggiatori e dei confini e quindi anche psicopompo, araldo ed interprete, dio dell’ingegno e dell’astuzia, dio del commercio, inventore del linguaggio e di strumenti musicali, come la lira, ottenuta dal guscio di una tartaruga, e del flauto: proprio a questo proposito la tradizione ricorda che in cambio della lira fu perdonato dal fratello Apollo per avergli rubato del bestiame, ma da lui ottenne anche la verga d’oro che utilizzava per radunare il bestiame, in cambio dello strumento a fiato appena inventato. La verga fu perciò oggetto di scambio, divenendo poi nell’iconografia il principale simbolo che contraddistingue e identifica il dio: il caduceo[4]. A questo nella ricca iconografia del dio greco si aggiungono di solito il copricapo ed i calzari alati, segno efficace della rapidità [p. 794] con cui egli si muove tra i mondi divino, umano ed infero, ma anche animali quali l’ariete e la tartaruga, con un riferimento alle tradizioni pastorali e mitologiche nate intorno alla sua figura.

 

 

1. – Mercurio a Roma: dio dei negotia e del lucrum

 

Le fonti antiche ricordano che Mercurio fu tra le prime divinità di origine greca accolte nel mondo romano[5], probabilmente tra vi e v secolo a.C. Questo dio però, a differenza di altre figure divine greche importate a Roma e il cui nome fu semplicemente latinizzato, come Apollo ed Eracle/Ercole, cambia radicalmente denominazione: ciò rappresenta una rottura con la tradizione ed è indizio del fatto che a Roma il greco Hermes assume nuovi ruoli, probabilmente più confacenti alla società romana. Tito Livio (ii, 21, 7) afferma che a Roma nell’anno del consolato di Appio Claudio e Publio Servilio, il 495 a.C., alle Idi di maggio fu dedicato a Mercurio un tempio[6]; poco oltre (ii, 27, 5-7) l’autore fornisce maggiori dettagli sul complesso contesto socio-politico in cui ciò era avvenuto, in particolare sottolineando il contrasto esistente tra i due consoli, anche in merito alla dedica del tempio: il Senato demandò perciò al popolo la decisione, stabilendo inoltre che il dedicante prescelto sarebbe stato a capo dell’annona, avrebbe istituito il collegio dei mercanti e celebrato il rito al cospetto del pontefice[7] (Senatus a se rem ad populum reiecit: utri eorum dedicatio iussu populi data esset, eum praeesse annonae, mercatorum collegium istituire, sollemnia pro pontifice iussit suscipere). Si fissano in questo modo degli elementi fondamentali per la comprensione del ruolo di Mercurio nella gestione dei traffici commerciali, in particolare in relazione all’approvvigionamento pubblico del grano. Ovidio aggiunge una rapida indicazione sul luogo in cui si trovava il tempio: di fronte al circo (Ov., Fasti, v, 669), sull’Aventino, come confermano fonti tarde, ad esempio Apuleio (met., vi, 8)[8]. Era quindi tra i più [p. 795] antichi edifici di culto eretti nella città ed in una zona caratterizzata per la sua vicinanza al Tevere e alle aree a vocazione commerciale, come il Foro Boario. Le Idi di maggio divennero non solo dies natalis del dio, ma anche dies festus mercatorum.

Il legame di Mercurio con il commercio è dichiarato da un’etimologia “trasparente”, come indica Festo (De verborum significatu, 123-124 M), che ne fa derivare il nome da merx: Mercurius a mercibus est dictus. Hunc etenim negotiorum omnium aestimabant esse deum. Non è però il dio delle merci[9], ma piuttosto colui che sovrintende ai negotia; il dio romano apparterrebbe quindi a quella fase in cui la ricchezza comincia ad essere calcolata non più in natura, ma attraverso il denaro, come sembra dichiarare anche l’origine del termine pecunia da pecus cioè il bestiame[10].

Significativa è la testimonianza di Ovidio (Fasti, v, 663-692), che definisce Mercurio «mediatore di pace e di guerra tra gli dei»; a lui gli uomini devono l’apprendimento di un efficace linguaggio, necessario per la mediazione commerciale, e a lui si rivolgono affinché sia loro concesso il guadagno (lucra) attraverso la vendita delle merci, che a Roma vengono purificate alla fonte di Mercurio presso Porta Capena. Come afferma Apuleio (met., vi, 8, 1, 2, 3), il tempio si trovava retro metas Murtias, cioè presso il lato curvo del Circo Massimo[11], in relazione con l’aqua Mercurii situata vicino a Porta Capena[12] e quindi con gli assi viari che mettevano in comunicazione [p. 796] ne il Lazio con Roma e il Tevere. Da questo accesso attraverso le mura serviane entrava in città la via Appia, in cui, poco più a sud, confluiva anche la via Latina: Porta Capena quindi si configurava come un punto di passaggio obbligato per tutte le merci che entravano a Roma provenienti dal Lazio meridionale e dalla Campania e, come ricorda Ovidio, l’acqua sacra permetteva la purificazione dei mercanti e delle merci che entravano in città. Qui, con l’accondiscendenza divertita del dio, si purificavano anche gli inganni, che sembrano far parte naturalmente dello “spirito” del commercio: lo stesso Hermes/Mercurio, che aveva rubato le vacche di Apollo, era considerato protettore dei ladri. Come osserva Combet-Farnoux, il culto di Mercurio sottolinea il passaggio dal semplice rapporto di scambio all’economia mercantile[13]: in una dimensione mediterranea del capitalismo mercantile nasce il lucrum e Mercurio, mediatore ed interprete[14], assume un nuovo ruolo di garante, ma soprattutto di “purificatore” dell’operazione lucrosa dello scambio. Le notizie che Ovidio riporta sui riti che si svolgevano presso l’aqua Mercurii confermano l’importanza ed il ruolo fondamentale che l’acqua aveva nelle transazioni commerciali, non solo per ragioni di carattere pratico ed igienico, ma soprattutto per la garanzia rituale necessaria al tipo di operazione che si svolgeva[15]. Alla sorgente andavano infatti i mercanti, “cinti di tunica” e quindi in veste ufficiale, recando con sé urne per raccogliere l’acqua con cui poi avrebbero purificato, irrorandole con un ramo d’alloro, le cose che “avranno un nuovo padrone”; il rito prevedeva anche la purificazione dei mercatores, mediante lo spargimento dell’acqua sacra sul capo.

Nell’iconografia romana il dio mantiene gli attributi dell’Hermes greco, cui si aggiunge significativamente la borsa contenente il denaro: essa è simbolo della circolazione monetaria che alimenta il circuito dell’economia mercantile[16] e quindi efficace immagine del lucrum.

La compresenza del caduceo e della borsa del denaro va letta, secondo Combet-Farnoux, come la rappresentazione del duplice aspetto del culto: da un lato quello ufficiale della regolare transazione sottoposta a protezione divina, di cui è simbolo questa sorta di “scettro” carico di significati[17], dall’altro quello popolare del guadagno concreto.

[p. 797]

 

2. – Mercurio in Africa

 

Nel Nord-Africa romano Mercurio[18] compare in veste ufficiale, generalmente accanto alle due divinità principali di derivazione fenicio-punica: Caelestis e Saturno. È chiaro il ruolo rappresentato da questa triade divina: la coppia del pantheon semitico e la personificazione dell’aspetto principale della società e del territorio nordafricano, quello produttivo-commerciale, fondamentale nell’economia del mondo romano ma esistente fin dall’epoca cartaginese.

Ricchissimo è il materiale documentario che riguarda il culto di questa divinità nell’area compresa tra le Mauretanie e la Tripolitania: statuaria, rilievi, bronzi e bronzetti, gemme e monete, lucerne e vasi ma anche mosaici, pitture ed iscrizioni testimoniano una sua diffusa e articolata presenza sia nella religiosità popolare, legata cioè più al territorio rurale, che in quella ufficiale, con monumentali sedi di culto poste spesso nel cuore civile delle città, nei fora o nelle immediate vicinanze, come a Thugga. Si tratta di circa 140 manufatti e altrettante iscrizioni distribuiti prevalentemente tra Numidia e Proconsolare[19]. Per quanto riguarda gli oggetti, in alcuni casi privi di documentazione grafica o fotografica, nonostante oggettive difficoltà per la loro scarsa omogeneità, a livello di classi di materiali, di funzione e di cronologia, che non sempre è rilevabile e abbraccia un periodo compreso tra l’età augustea ed il iv secolo, si possono individuare alcune iconografie maggiormente riprodotte. L’iconografia più diffusa (un centinaio di pezzi) è sicuramente quella che si ricollega ad un modello “classico”, il Mercurio messaggero degli dei e protettore dei commerci, generalmente rappresentato con petaso, clamide e calzari alati, cui si aggiungono caduceo nella mano sinistra e borsa nella destra [p. 798] e spesso animali associati anche ad Hermes, come l’ariete, la tartaruga, cui si aggiunge in molti casi il gallo[20]. Il dio è rappresentato sia da solo che con altre divinità e personaggi, a figura intera o semplice busto o testa (come sulle monete), stante o in posizione diversa. In molti esempi Mercurio è associato alle altre divinità preposte ai giorni della settimana, come a Beja-le Kef, Thuburbo Maius, Cuicul, Civitas Goritana[21]; interessante è la rappresentazione del calendario in un mosaico rinvenuto a Thysdrus nella Casa [p. 799] dei Mesi, dove nel riquadro che rappresenta maggio[22], il mese dedicato a Mercurio, compare una scena di sacrificio di un ariete di fronte ad una statua del dio: scena ufficiale e iconografia “classica”.

Analizzando i materiali si colgono però anche altri aspetti, che riconducono a caratteristiche proprie di Hermes/Mercurio come psicopompo o dio dei viaggiatori e dei confini[23], oppure a legami particolari come ad esempio con lo scorpione oppure con l’acqua, temi sui quali merita ritornare in questa sede.

 

2.1. – Mercurio e lo scorpione

 

Il secondo gruppo maggiormente attestato (quasi una ventina di pezzi) riguarda uno schema compositivo solo africano, non attestato altrove, che prevede accanto a Mercurio e ai soliti attributi, anche [p. 800] la presenza di uno scorpione[24]. Dell’associazione a Mercurio di questo animale dà testimonianza Marziano Capella, erudito cartaginese vissuto nel V secolo, nell’accurata descrizione di un pinax (De nuptiis Philologiae et Mercurii, ii, 171-180). Il soggetto del quadro era l’uccello egiziano ibis, personificazione del dio Thot, rappresentato con la testa coperta dal petaso e con il volto lambito dalle spire di due serpenti: intorno erano dipinti in basso il caduceo[25], a destra una tartaruga ed un minaccioso scorpione, a sinistra una capra e un “pennuto dalla doppia cresta”. L’ibis inoltre recava la scritta con il nome di un mese del calendario menfitico, che l’autore non specifica. Il testo non lascia spazio a dubbi sul fatto che questa fosse intesa come una raffigurazione di Mercurio, dio degli affari, nel cui cielo giunge Filologia, rappresentata come “padrona che va a nozze”, in un contesto carico di simbologie e riferimenti astrologici. L’iconografia descritta trova analogie con la raffigurazione del dio Thot/Hermes con lo scorpione in alcune gemme romane di probabile provenienza africana[26].

[p. 801] Su Mercurio e lo scorpione fu condotta in passato un’accurata indagine dal Deonna, che cercava riferimenti nel mondo vicino-orientale ed egiziano, dove lo scorpione, animale legato alla terra, nella quale si insinua e si nasconde, è considerato simbolo della fertilità dei campi e della fecondità umana. Esso è velenoso e può dare la morte e quindi allo stesso tempo indica la vita, la buona sorte, la protezione dal malocchio. In questo senso viene spesso rappresentato associato a divinità come Ishtar (vita/morte), Nebo (vegetazione/destino), Shadrafa (guarigione/fertilità), Serapide (dio dai molteplici aspetti, prodotto da un sincretismo religioso ellenistico-egiziano). In Africa è animale molto diffuso e pericoloso; nella Cartagine romana c’era l’abitudine di seppellire nelle fondazioni delle case riproduzioni di questo animale in bronzo o in piombo, per proteggerle dalla loro invasione[27], ma anche genericamente dalla cattiva sorte. Lo scorpione diviene ad un certo punto anche simbolo dell’Africa: su monete di Adriano viene rappresentata la provincia come una figura femminile con uno scorpione sulla [p. 802] testa o sulla mano aperta[28]. Sulla base di queste osservazioni il Deonna[29] ipotizzò che nel mondo punico-romano fosse avvenuto uno dei numerosi fenomeni di sincretismo religioso tra due figure dalle caratteristiche analoghe: l’orientale Shadrafa, dio della fecondità dagli stretti legami con il dio egiziano Ched, ai quali si associavano scorpioni e serpenti, ed il romano Mercurio, portatore di petaso e caduceo, dio del commercio. L’unica iconografia nota del dio orientale proviene dalla romana Palmira: su due stele databili intorno alla metà del i secolo compare una figura maschile, vestita con l’abbigliamento militare tipico di molte divinità palmirene, recante nella mano destra una lancia e nella sinistra in un caso lo scudo e nell’altro un grosso scorpione; un altro scorpione è presente su entrambe le stele sopra la spalla sinistra del dio. Come già sottolineava il Deonna[30], è notevole la somiglianza tra questi due documenti ed una stele con dedica a Mercurio ritrovata a Mascula in Numidia, dove il dio è abbigliato con una corta tunica, in modo anomalo rispetto alla consueta iconografia, ma soprattutto dove gli si associano uno o forse due scorpioni, scolpiti sotto il piede destro. Va ricordato al riguardo che esisteva in Numidia una vivace comunità palmirena, la cui presenza è attestata soprattutto da iscrizioni rinvenute a Calceus Herculis e a Castellum Dimmidi, databili alla fine del ii secolo: si trattava in particolare di sagittarii entrati a far parte della Legio iii Augusta per difendere il limes di questa regione ed è possibile che in questo contesto sia avvenuto un processo di assimilazione tra le due figure divine [31].

Se Mercurio con lo scorpione è attestato solo in Africa, si rileva che ciò avviene quasi esclusivamente su stele, con unica eccezione una statua frammentaria da Madauros[32], in cui è rappresentato il dio stante, con la gamba appoggiata ad un tronco su cui si arrampica uno scorpione.

Marcel Le Glay sottolinea che proprio sulle stele si esprime pienamente la religiosità popolare[33]; esse inoltre provengono prevalentemente da regioni interne e quindi le meno toccate dalla romanizzazione. Potrebbero quindi indicare un Mercurio locale, un [p. 803] culto popolare legato alla fertilità soprattutto in quelle regioni dell’interno in cui prevale l’aspetto dell’economia rurale: numerosi esempi provengono da Bou-Arada, Sidi Er-Rais, Sed-el-Youdi, Madauros, Mascula, Thamugadi, Mastar, Sitifis, Rapidum, tutte località situate nell’area centrale del Nord-Africa, tra Numidia e Proconsolare[34]. L’iconografia è schematica e ripetitiva, con il dio stante, nudo o abbigliato con clamide, circondato dai consueti attributi, cui si aggiunge lo scorpione, raffigurato nella maggior parte dei casi a destra della figura, anche se non in una posizione fissa.

Un riferimento simbolico a Mercurio, genericamente protettore anche in chiave “magica”, può essere visto anche nel rilievo apotropaico da una strada di Leptis Magna dove un malocchio stilizzato è accerchiato in modo minaccioso da un centauro itifallico [p. 804] armato di tridente, da un gallo, un serpente ed uno scorpione[35]. In modo analogo potrebbe essere letto un riferimento al dio protettore nella stele funeraria da Auzia (Aumale in Algeria), dove accanto al defunto e ai suoi familiari è scolpito un occhio, “aggredito” ancora da gallo, scorpione e serpente[36].

Con riferimenti più o meno espliciti, in questi documenti appare un Mercurio quasi “privato”, legato ad esigenze personali e più vicino ad un ruolo di protettore, di dio tutelare nel senso più ampio del termine.

[p. 805]

 

2.2. – Mercurio e l’acqua

 

Come a Roma, anche in Africa il ruolo dell’acqua in relazione alla figura di Mercurio risulta molto importante: ciò appare quasi scontato quando si tratti dei templi eretti nel cuore dei centri urbani, come a Thugga, dove gli edifici dedicati a questa divinità si trovano nelle vicinanze del foro e spesso in diretta relazione con il macellum, dove consueta è la presenza di fontane e di acqua corrente. In alcuni casi però esiste un collegamento diretto tra Mercurio e l’acqua, sia per la vicinanza del santuario a corsi d’acqua o sorgenti come a Cirta-Costantina, sia per il dichiarato collegamento con l’approvvigionamento idrico, come a Thysdrus o nel Municipium Giufitanum; tra l’altro, secondo Giovanni Lydus (De mensibus, iv, 76), funzionario imperiale ed erudito del vi secolo, «il dio Hermes è preposto anche alle acque e per questo motivo all’interno dei suoi santuari vengono consacrate delle sorgenti o vengono scavati dei pozzi». A Cirta, sulla sponda sinistra dell’oued Rhummel, l’antico Ampsaga, furono rinvenuti cinque gradini ciascuno con iscrizioni[37]: in esse il riferimento ad un collegium Mercuri, ad un Genius Amsige (il genio del fiume), a scamna, cioè gradini donati al collegio o ai suoi membri, ha fatto pensare all’esistenza qui oltre che di un tempio a Mercurio, citato anche in altre epigrafi provenienti da Cirta e dal territorio[38], anche di particolari rituali purificatori, simili forse a quelli che avvenivano a Roma presso Porta Capena. È curioso che sia riportato in due casi che il dono era stato ispirato da un sogno (viso, ex viso), quasi con un riferimento mitologico all’uso tipicamente divino di manifestarsi agli uomini. Da Cirta inoltre proviene un bacino marmoreo, oggi al Louvre, anch’esso riportante nell’iscrizione il riferimento ad un sogno che ne richiedeva il dono ai membri di un collegio, con ogni probabilità lo stesso legato al culto di Mercurio[39]. A Mastar, località vicina a Cirta, fu rinvenuto poi un cippo-fontana raffigurante l’ingresso di un tempio, con due colonne in facciata e frontone triangolare, al cui interno è rappresentato Mercurio con i suoi attributi, tra cui lo scorpione[40]; un’iscrizione ne dichiara l’appartenenza: templum [p. 806] Mercuri[41]. A riti purificatori erano destinati con ogni probabilità anche impianti idraulici attestati nel tempio di Mercurio a Gightis[42], sotto la cui cella esiste una cisterna che alimentava una fontana, oggi scomparsa, mentre ad Henchir Bab-Khaled, presso Djebel Oust nella Proconsolare, il Gauckler[43] segnalava un complesso apparato per la circolazione dell’acqua all’interno del tempio dedicato probabilmente a Mercurio Silvio, cui è da riferirsi un’iscrizione rinvenuta nelle vicinanze.

Accanto a queste testimonianze di carattere cultuale, non va tralasciata un’importante iscrizione[44], che attesta a Thysdrus il ruolo di Mercurio, genio protettore della città, per l’opera di deduzione dell’acquedotto, azione fondamentale per l’economia di un territorio arido come quello di questa importante città oleicola. Curioso è il fatto che anche in questo caso l’operazione fosse stata ispirata dal dio stesso (instinctu Mercurii potentis), genius della colonia. In modo simile anche altri interventi idraulici erano stati dedicati a Mercurio presso il Municipium Giufitanum (Bir-Mcherga nella Proconsolare), dove ad un bacino di pietra era stata condotta l’acqua, probabilmente in pressione, mediante una fistula plumbea con applicato un rubinetto di bronzo[45] (fistula plumbea cum epitonio aereo ad labrum lapideum aqua ut saliret).

Non è certamente casuale la collocazione di questi siti in relazione alla viabilità nord-africana e in quest’ottica va rivista la connessione tra il dio protettore delle attività commerciali e le operazioni di controllo, che avvenivano lungo assi viari preferenziali, in punti strategici dove dovevano essere collocati i dazi. Un esempio significativo può essere Gightis[46], il cui tempio a Mercurio, eretto in età giulio-claudia, si trovava non in città, ma in area suburbana, nei pressi della grande via di collegamento tra Cartagine e Leptis Magna. Lungo il lato posteriore del tempio si trovava una serie di vani, con ogni probabilità adibiti proprio a questo tipo di operazioni.

[p. 808] Come dimostra l’abbondanza dei toponimi, Mercurio in Africa è protettore dei commerci, ma è in particolare legato alle vie e ai transiti commerciali[47]. L’esistenza di toponimi come Ad Mercurios, al plurale, la presenza di dediche ai due Mercurii, come a Cirta-Costantina, oppure a Mercurio con diversi epiteti, come Mercurius Sobrius, Mercurio Silvio, oppure con associazioni Mercurio-Silvano o Mercurio-Serapide, danno testimonianza della complessità del suo culto in un territorio vastissimo e aperto a culture e tradizioni diverse. Il legame con l’acqua si connette probabilmente al ruolo ufficiale del controllo e della gestione dei traffici commerciali, posti sotto la tutela e la garanzia del dio, che è però anche un protettore personale, che “assiste” l’uomo nelle sue attività quotidiane, legate prevalentemente al mondo rurale e alla produttività. Lo scorpione, sorta di talismano, ancora oggi presente nella cultura nordafricana (come l’occhio porta-fortuna), si associa quindi in modo naturale alla figura divina, soprattutto in quei manufatti più legati alla sfera privata, come le stele, sia votive che funerarie, e le gemme.

 

 

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[1] Combet-Farnoux (1980); Siebert (1991); Simon (1992).

 

[2] Siebert (1990 e 1991).

 

[3] Un intero Inno Omerico, il iv, è dedicato ad Hermes e alle sue imprese.

 

[4] Secondo la tradizione Hermes lo gettò a terra per separare due serpenti che cercavano di divorarsi e da allora la verga acquisì l’immagine dei due rettili intrecciati sulla sua sommità.

 

[5] Secondo Zevi (1987, pp. 121-32) Mercurio non fu mai considerato dio straniero a Roma; cfr. Andreussi (1996), p. 246.

 

[6] Nello stesso capitolo ricorda anche la dedica di un tempio a Saturno e l’istituzione delle feste dei Saturnalia (ii, 21, 2).

 

[7] Livio riferisce che la scelta era caduta su un plebeo, il centurione primipilo Marco Letorio: ciò aggiungerebbe nuovi elementi sui rapporti tra le classi sociali in conflitto, ma questo aspetto non è considerato verosimile da molti commentatori.

 

[8] . Cfr. Andreussi (1996); l’autrice sottolinea (p. 246) che la data indicata è particolarmente significativa in quanto coincide con la morte di Tarquinio il Superbo e quindi rappresenta anche una svolta nella storia politica e sociale di Roma, eliminando di fatto l’eventualità che potesse essere restaurata la monarchia. Nella topografia sacra di Roma non è casuale la localizzazione del tempio sull’Aventino, compreso nella cinta muraria ma non nel pomerio: esso rappresenta, secondo D. Sabbatucci (1971, pp. 39-40), la non-Roma di Remo contrapposta alla Roma romulea del Palatino e la vallis Murcia collocata tra i due colli è una specie di “terra di nessuno”, luogo d’incontro tra Romani e stranieri, sacra ad Ercole e dedicata a riti e ludi, dall’epoca regia gravitanti sul Circo Massimo.

 

[9] Ampia discussione sull’origine etimologica in Combet-Farnoux (1980), pp. 59-252.

 

[10] Siebert (1991), pp. 112-4.

 

[11] Cfr. Combet-Farnoux (1980), p. 267.

 

[12] Palombi (1993). La fonte è localizzata nell’attuale Villa Celimontana, tra le numerose sorgenti presenti sul Celio. Nelle raccolte alto-medievali di “curiosità” è ricordato un balneum Mercuri (Itinerarium Einsiedeln 172, Valentini-Zucchetti ii), mentre più dettagliata notizia vi è nei Mirabilia 29 (Valentini-Zucchetti iii, 61): In Aventino templum Mercurii aspiciens in Circo, et templum Palladis, et fons Mercurii, ubi mercatores accipiebant responsa.

 

[13] Combet-Farnoux (1980), pp. 383-432.

 

[14] Ivi, pp. 219-49

 

[15] Sul ruolo purificatorio dell’acqua si veda ivi, pp. 300-10.

 

[16] Ivi, pp. 424-5.

 

[17] Il caduceo, una verga d’oro con due serpenti intrecciati, è un simbolo estremamente complesso, presente nell’iconografia di diverse civiltà con connotazioni non lontane tra loro: nel mondo mesopotamico compare su sigilli e kudurru, insegna di potere e di protezione di varchi, passaggi e confini; nella mitologia greca è attributo di Apollo, che lo cede ad Hermes in cambio del flauto da lui inventato e diviene poi l’insegna dell’araldo, cui si ricollega anche l’etimologia; nel mondo punico si trova in particolare sulle stele, ma è anche rappresentato sulla prua delle pentere cartaginesi, grandi navi di linea per i trasporti commerciali (Bartoloni, 1988, p. 76).

 

[18] Si vedano soprattutto Deonna (1959); Trousset (1986); Arnaud (1994).

 

[19] Rizzato (1997-98).

 

[20] Siebert (1990); Simon, Bauchhness (1992). 21.

 

[21] Stele da Beja-le Kef (Le Glay, 1961, pp. 292-3) e da Cuicul (Le Glay, 1966, pp. 211-3); rilievo da Thuburbo Maius (Ben Abdallah, 1986, p. 132); mosaico da Civitas Goritana - Bir-Chana (Yacoub, 1993, pp. 152-3).

 

[22] Interessante è anche il mese di novembre, mese dello Scorpione, con la celebrazione delle feste di Iside, che vede protagonisti tre personaggi probabilmente sacerdoti del culto, tra i quali uno, che indossa la maschera di Anubi a testa di sciacallo, tiene nella destra il caduceo (Yacoub, 1995, pp. 123-4).

 

[23] Si vedano al riguardo i lavori di Khanoussi (1990), su Mercurio psicopompo e di Kahn (1979), Trousset (1986), Ferchiou (1988), Arnaud (1994), su Mercurio delle strade e dei confini.

 

[24] Deonna (1959). Sul Mercurio africano e la presenza dello scorpione cfr. Combet-Farnoux (1980), p. 486.

 

[25] La verga era d’oro nella parte sommitale, verde-azzurra nella mediana e nera come la pece in basso, quasi a rappresentare i diversi mondi, dal divino all’infero.

 

[26] Simon, Bauchhness (1992), nn. 178, 180, p. 515. Un legame con l’Egitto si riscontra anche nel citato calendario del mosaico di Thysdrus, dove il mese di novembre, legato al segno zodiacale dello scorpione, viene rappresentato con un riferimento alle feste in onore di Iside, cui era sacro l’ibis.

 

Deonna (1959), p. 18; cfr. Drappier (1908), p. 131, n. 130, tav. lviii, 10; p. 137, tav. lxx, 4-5.

 

[28] Deonna (1959), p. 36.

 

[29] Ivi, pp. 38-43.

 

[30] Ivi, pp. 41-2.

 

[31] Picard (1949), pp. 102-10; sulla stessa linea Le Glay (1986).

 

[32] Deonna (1959), p. 7.

 

[33] Le Glay (1986), pp. 219-20.

 

[34] Picard (1951-52), p. 210 (Bou-Arada); Mahjoubi (1959), pp. 484-5 (Sidi ErRais); Merlin (1906), pp. 123-6 (Sed-el-Youdi); Gsell, Joly (1922), pp. 42-3 (Madauros); Farges (1901), p. 304 (Mascula); LE GLAY (1986), p. 227 (Thamugadi); Berthier (1942), pp. 139-40 (Mastar); Deonna (1959), pp. 6-7 (Sitifis e Rapidum); Berthier (1956), p. 337 (Renier).

 

[35] Bianchi Bandinelli, Caputo, Vergara Caffarelli (1964), p. 112. La scritta MAL-ER è di significato controverso (ILTrip., 768; Gasperini, 1988, pp. 164-6). 

 

[36] Deonna (1959), p. 43; cfr. Reinach (1912), fig. p. 1.

 

[37] Berthier (1942), pp. 131-6; AE, 1942-43, nn. 28-32. 

 

[38] CIL viii, 6962, 19490; Gsell (1900), p. 386.

 

[39] CIL viii, 6970; cfr. Berthier (1942), pp. 135-6.

 

[40] Da Renier, località nel territorio di Cirta e Mastar, proviene anche un piccolo frontone riferibile ad un’edicola o cappella (Berthier, 1956, p. 337) o fontana (?), con rappresentazione del busto di Mercurio con petaso, caduceo, capride e gallo, mentre sul petto è scolpito lo scorpione.

 

[41] Berthier (1942), pp. 139-40; CIL viii, 6355. Cfr. Combet-Farnoux (1980), pp. 303-5.

 

[42] Constans (1916), p. 109.

 

[43] Gauckler (1910), p. 157.

 

[44] CIL viii, 51.

 

[45] CIL viii, 23991.

 

Constans (1916), pp. 104-10; Ferchiou (1988a); Bullo (1994), pp. 516-7; Bullo (2002), pp. 204-6.

 

[47] Arnaud (1994).