ds_gen N. 8 – 2009 – Memorie//Africa-Romana

 

Lucietta Di Paola

Università di Messina

 

Immagini tardoantiche dell’Africa a confronto:

note di lettura

 

(pubblicato in L’Africa romana. Le ricchezze dell’Africa. Risorse, produzioni, scambi. Atti del XVII convegno di studio. Sevilla, 14-17 dicembre 2006, a cura di J. González, P. Ruggeri, C. Vismara, R. Zucca, Roma, Carocci editore, 2008, II, pp. 1091-1110)

 

 

Se è vero che in nessun altro settore della storia provinciale romana è possibile registrare negli ultimi decenni uno sviluppo delle ricerche, una ricchezza e vivacità di dibattito storiografico, un progresso delle conoscenze, paragonabili agli studi sull’Africa romana anche in epoca tardoantica[1], è altrettanto vero che inesplorate piste investigative sono state battute grazie ai sempre più numerosi ritrovamenti archeologici[2], alla ricca documentazione epigrafica[3], [p. 1092] alla valorizzazione di opere come, ad esempio, le epistole Divjak[4], i 26 nuovi sermoni di Agostino oppure gli Acta Gallonii e dei martiri africani[5]; senza contare i risultati a cui sono giunti alcuni studiosi[6] con la rilettura più equilibrata delle testimonianze agiografiche[7] relative alle vicende africane di v e vi secolo.

Grazie ancora alle ricerche sulla proprietà imperiale e sui latifondi privati[8], alle indagini sulla gestione della terra e sul sistema agrario[9], [p. 1093] all’analisi del rapporto terra-lavoro[10], agli studi sulle città e sulla classe curiale africana[11], è stata ribaltata la visione storiografica tradizionale intorno a una crisi economica generalizzata dell’Africa tardoantica, acclarando l’ipotesi che la prosperità economica africana non subì arresti né danni irreversibili con l’invasione dei Vandali[12] e neppure con il successivo dominio bizantino, come peraltro è affiorato dalle relazioni di alcuni dei partecipanti[13] a questo stesso convegno.

In verità, l’Africa durante la Spätantike non conosce crisi economiche particolarmente rilevanti, anzi proprio in questo periodo [p. 1094] registra un’ancor vivace attività produttiva e commerciale, rintracciabile nell’efficiente viabilità e nel correlato servizio dei trasporti[14], e soprattutto nel potenziamento del servizio dei trasporti marittimo, come traspare dalla presenza di rotte mediterranee nell’Itinerarium Maritimum, aggiornato, secondo Giovanni Uggeri[15], in epoca vandalica. Ma sono soprattutto gli assetti amministrativi provinciali, le opere pubbliche e private, il persistente e diffuso fenomeno evergetico a rivelare i segni di una continuità istituzionale e civica di longue durée.

A ben guardare, Christian Courtois[16] nel noto saggio <<Les Vandales et l’Afrique>>, alle due Afriche distinte da un punto di vista propriamente geografico e territoriale, ne aggiungeva una terza dal duplice volto di Giano che era: «une Afrique indépendant et par conséquent berbère, mais en même temps une Afrique dépositaire de biens de Rome: la vie urbaine et le Christianisme». Ma poi precisava: «il faut aller au-delà de cette détermination [...] il faut admettre la survie d’institutions romaines». Notazione importantissima, quest’ultima, a cui fece seguito l’altra altrettanto importante: «il n’est pas vrai que les Vandales auraient ruiné l’Afrique»[17], che ha avuto un notevole peso sull’orientamento degli studi successivi[18].

Courtois scriveva nel 1955, lo stesso anno in cui Petit[19] pubblicava il suo studio sulla vita municipale ad Antiochia: i due lavori analizzano realtà lontane, diverse e complesse, l’una più ampia, l’altra più circoscritta, comune in ogni caso la volontà dei due di illustrare alcuni aspetti del processo di romanizzazione con gli esiti [p. 1095] che noi tutti conosciamo. Da allora è trascorso più di mezzo secolo. E l’idea della permanenza della civilisation romaine in Africa, come pure quella di una visione più equilibrata del periodo vandalico a favore di una continuità istituzionale ed economica sono state sviluppate e approfondite in vario modo da Lepelley[20], da Duval[21] e da Yves Modéran[22], per fare qualche nome.

Lepelley, inoltre, nel saggio The perception of Latin Roman Africa from decolonization to the re-appraisal of Late Antiquity, scrive:

 

the transformations of the cities in late antiquity were both deep-rooted and undeniable [...] the evidence of continuity appears predominant, the regular operation of the traditional Roman municipal institutions, the existence of a ruling class willing to take on burdens for the administration of the cities and continue to dispense the usual largesse [...]. All of this was based on an ongoing economic prosperity[23].

 

Lo studioso non rimarca solo la continuità istituzionale romana collegandola alla floridezza economica, ma discute anche dell’influsso del cristianesimo sul processo di romanizzazione dell’Africa tardoantica e dell’atteggiamento dei Vandali nei confronti dei cristiani. Attenzione rivolge inoltre alle vicende amministrative che in qualche misura hanno investito questa terra prima e durante la conquista vandala.

Della dominazione vandala si sono occupati in tempi più recenti tra gli altri anche Aiello[24] e Castrizio[25], segnalandone aspetti burocratici e finanziari che pongono la stessa non in opposizione, ma in linea di continuità con quella romana.

Orbene: è proprio la continuità istituzionale strettamente correlata alla prosperità economica, che costituisce il fil rouge delle immagini dell’Africa che sto per presentare. Sono immagini di diversa [p. 1096] origine e provenienza, testimonianze iconologiche e giuridiche, rappresentazioni musive e monumentali, sequenze letterarie che riproducono e/o descrivono l’Africa tra il iv e il vi secolo.

Esse riflettono l’orientamento politico e l’ideologia ufficiale dell’Impero d’Occidente e del regno dei Goti che ad esso subentrò dopo il 476; rivelano il punto di vista di autori africani e occidentali; nel loro insieme consentono di ridisegnare il profilo di questa terra.

Si tratta di un profilo che, da una parte, è il risultato dell’elaborazione di un modello ufficiale, dall’altra, è espressione della complessa e variegata realtà socio-economica coeva. Esso, inserito in un’ottica squisitamente occidentale[26], è imperniato sull’asse Cartagine-Roma e poi su quello Cartagine-Ravenna, e pur proiettato in qualche caso sulla traiettoria di Costantinopoli, Nea Roma, vede alla fine il ritorno alla città eterna.

Tale ritorno postulato anche da persistenti temi e motivi pagani, rintracciabili nel perdurare, ad esempio, del flaminato e del sacerdozio, viene fatto poggiare non solo sul recupero e sulla conservazione delle tradizioni e delle istituzioni romane, ma anche sulla massiccia ristrutturazione urbanistica di molte città realizzata dalle comunità municipali, anzi dai notabili locali che così riescono a mettersi nuovamente in gioco ponendo in evidenza se stessi e il loro status sociale.

Renovatio, conservatorismo, recupero della Romanitas occidentale in una terra come quella africana, la cui prosperità conobbe uno splendore eccezionale sotto i Severi, quando Tertulliano con orgoglio poteva dire: ubique domus, ubique populus, ubique respublica, ubique vita?[27]

Difficile trovare la risposta, ancor più difficile scindere i tre aspetti della questione inseriti in una sorta di ring composition che da Roma s’inizia e a Roma finisce.

Prendiamo le mosse dalle immagini “africane”, affidate ai cosiddetti insignia[28] che, com’è noto, accompagnano e corredano ogni [p. 1097] sezione di quell’elenco di cariche che è la Notitia Dignitatum[29], la cui redazione definitiva almeno per la parte occidentale si colloca nella prima metà del V secolo[30]. Nelle illustrazioni attinenti a funzionari dell’amministrazione civile africana, risultano associati i simboli relativi alla prosperità con quelli inerenti a funzioni amministrative. Sono presenti infatti oggetti che alludono a prodotti e oggetti che evocano le prerogative dei funzionari interessati.

La prima illustrazione appartiene alla sezione del prefetto del pretorio d’Italia e riguarda le diocesi poste sotto la sua giurisdizione, una di esse è l’Africa, come emerge dall’iscrizione che sovrasta la personificazione dell’unità amministrativa. Siamo di fronte a una [p. 1098] figura femminile stante, con nimbo, con un cesto nelle mani probabilmente ricolmo di monete o di prodotti annonari. L’illustrazione successiva riguarda il proconsole d’Africa e presenta degli importanti elementi simbolici. La Proconsolare viene rappresentata da una figura femminile stante con nimbo e recante nelle mani delle spighe. Il tavolo in alto a destra allude al potere giudiziario esercitato dal proconsole vice-sacra; la tavoletta sovrapposta al tavolo rappresenta il codicillo di nomina. Il treppiede o calamaio da cerimonia composto da più registri reca in alto due figure di fronte che potrebbero essere i due imperatori e simboleggiare l’unità dell’Impero. Nella parte inferiore sono raffigurate due navi cariche di sacchi di grano: evidente l’allusione alla prosperità economica della provincia basata essenzialmente sulla produzione cerealicola.

[p. 1099] Anche gli insignia del vicarius Africae[31] presentano simboli meritevoli di attenzione. Il tavolo in alto a destra rappresenta le prerogative giudiziarie del funzionario che nella gerarchia burocratica viene collocato dopo il proconsole; la tavoletta sovrapposta indica il codicillo di nomina, l’iscrizione allude forse a una formula augurale o ricorda qualche privilegio del vicario[32]. Nel [p. 1100] registro inferiore sono raffigurate in ordine gerarchico le cinque province sotto la sua giurisdizione, ancora una volta rappresentate dal busto femminile. Nelle illustrazioni ricorrono segni e simboli attinenti a prodotti africani e all’assetto amministrativo di questa provincia nella prima metà del v secolo. Si tratta di una rappresentazione ufficiale dell’Africa, elaborata dalla cancelleria occidentale dell’Impero romano e da essa propagandata. Tale rappresentazione comunque si inserisce nel contesto delle raffigurazioni dell’Africa provenienti da altri documenti di III e IV secolo.

L’Africa sotto forma di figura femminile circondata da fiere e [p. 1101] da simboli di prodotti o di risorse ricorre in una rappresentazione musiva della villa del Casale di Piazza Armerina[33]. Se questo mosaico, come ha affermato Carandini[34] e come anch’io ritengo, riproduce l’Africa di IV secolo, reputo interessanti alcuni suoi elementi decorativi. Non entro in merito alla questione dei caratteri stilistici, come pure dei dettagli artistici presi in considerazione sia da Carandini che da altri specialisti[35]; noto solo che al centro del mosaico c’è una donna seduta su di una roccia, che dovrebbe essere l’Africa, con la parte bassa del corpo coperta da un mantello che gira sulla spalla sinistra: con la mano destra abbraccia un albero e nella sinistra tiene una zanna di elefante. Accompagnano la figura un elefante, una tigre e una fenice, quest’ultima forse per simboleggiare l’eternità dell’Impero di Roma.

Evidente l’allusione ai prodotti dell’Africa, in questo caso costituiti dalle fiere che, come è stato anche sottolineato da altri studiosi[36], erano la risorsa principale dei giochi circensi sia sul posto che a Roma. Prodotti africani sono raffigurati anche in una statuetta in [p. 1102] bronzo del iii d.C., trovata a Lambaesis, che rappresenta l’Africa e si caratterizza per la presenza di spighe e della cornucopia. Spighe e cornucopia ricorrono, com’è noto, nella tipologia monetale imperiale a corredo dell’immagine che rappresenta l’Africa[37] e che qui tralascio.

Le spighe ritornano in un bassorilievo proveniente da un sarcofago di tardo iii secolo. In tunica e mantello, la figura femminile sulla destra ha la testa sormontata dalla pelle di elefante, tiene nella mano destra delle spighe in atto di deporle nel modio ai suoi piedi già pieno di spighe. Al di sopra della figura l’iscrizione: [A]f[rica].

Le spighe e la zanna di elefante, insieme ad altri attributi, costituiscono una costante della tipologia iconologica africana; questi due simboli ricorrono anche in due differenti sequenze narrative che dell’Africa ha lasciato Claudiano. Nel De bello gildonico[38] l’Africa è rappresentata in atteggiamento triste e dimesso: appare nel cielo stellato con le vesti strappate, le spighe gettate a terra, la zanna [p. 1103] d’avorio spezzata, mentre invoca l’intervento di Giove contro Gildone; preferisce essere inghiottita dal mare anziché finire sotto il dominio del tiranno: si mihi Gildonem – chiede a Giove – nequeunt abducere fata / me rapit Gildoni. L’Africa qui viene definita tertia pars mundi; questa nozione geografica correlata alla tradizionale tripartizione dell’ecumene ritorna in Sidonio Apollinare[39].

Nel De consulatu Stilichonis[40], invece, l’Africa riconquistata da Stilicone, rientrata in possesso delle insegne del potere, appare di nuovo in tutto il suo splendore con le spighe e la zanna d’avorio (tum spicis et dente comas inlustris eburneo et calido), pronta a esercitare l’attività giudiziaria: ut fruar praesente – essa dice – conscendentemque tribunal prosequar. Prodotti e attività giudiziario-amministrativa sono ancora una volta ricordati insieme.

Che l’Africa occupasse un ruolo di primaria importanza nell’economia dell’Impero emerge anche dal Codice teodosiano, in cui rimangono tracce significative della sua ricchezza e dei suoi [p. 1104] prodotti, nonostante qualche studioso[41], senza mettere in dubbio la tradizione sulla prosperità africana, abbia tentato di ridimensionare la portata di talune costituzioni, vedendovi situazioni ipotetiche più che reali. Io credo che tale giudizio possa essere rivisto. Sono diverse le costituzioni del Teodosiano che menzionano l’Africa e i privilegia accordati a questa zona dell’Impero già a partire da Costantino e non legati necessariamente all’insorgere di problemi economici. Riporto alcuni esempi: nel 319[42] si dispone che i fondi patrimoniali imperiali dell’Africa siano esentati dai munera extraordinaria, dal momento che si sa che essi pagano già auri species et frumentum plurimum; nel 334[43] i curiali d’Africa che avevano ricoperto il flaminato o il sacerdotium vengono esonerati dalla praepositura mansionum[44]. Nel 364[45] ai navicularii africani che trasportano legna vengono riconfermati i privilegi riconosciuti in precedenza. Nel 377[46] si stabilisce che la Proconsolare, a differenza di tutte le altre province che rinnovano il 25% dei cavalli delle stazioni di posta, fornirà solo il necessario. Questa esenzione va sicuramente correlata al rinnovamento del sistema produttivo africano, allo spostamento dell’asse stradale dalle vie principali a quelle secondarie, fenomeno attestato anche in Sicilia già sotto Giuliano, e infine alla preferenza data dal punto di vista della circolazione delle merci alle vie marittime fino all’epoca vandala. Ancora. Nel 410 viene ricordata l’Africae devotio[47]. Nel 414 viene disposto l’allontanamento dall’Africa dei curiosi[48], una particolare categoria di agentes in rebus a cui erano affidati compiti di controllo cursuale, portuale e fiscale sia per venire incontro soprattutto ai navicularii che subivano spesso le loro prevaricazioni sia per agevolare le operazioni [p. 1105] commerciali. Nel 422 [49] viene ordinata la registrazione nei breves[50] dei tributi imponibili sui iugera della Proconsolare e della Byzacena. Nel 428 la Proconsolare viene definita regina delle province africane[51]: provincia quae omnium intra Africam provinciarum obtinet principatum. Nel 429 si stabilisce che nessun possessor africanus debba essere terrorizzato da un compulsor o da un opinator[52]. Nel 430 viene accolta la richiesta di riaffidare ai curiali gli horrea della Byzacena[53]. Anche nelle novelle di Valentiniano III, peraltro già studiate e commentate opportunamente[54], c’è grande attenzione nei confronti dei possessores africani in occasione dell’occupazione vandala. Penso che ciò sia un’ulteriore prova della continuità di una tradizione a favore di questa provincia, potremmo dire dell’antiqua consuetudo, di privilegi e immunità che risale ad epoca costantiniana.

Vorrei segnalare comunque un comma della nov. 13 di Valentiniano III, del 445, nel quale è testimoniato il mantenimento della prassi amministrativa romana nelle province africane dopo l’occupazione vandala. Infatti al prefetto del pretorio al quale la legge è indirizzata si ordina di continuare a inviare in tali province i funzionari abitualmente a ciò deputati e cioè, dux, consularis e praeses, mentre si vieta l’invio di curiosi litorum: un utile e necessario intervento dal punto di vista amministrativo e commerciale? Probabilmente sì.

L’immagine dell’Africa che emerge dai testi legislativi esaminati non mi pare sia quella di una provincia povera, devastata e abbandonata.

Ulteriori spunti sulla continuità istituzionale romana e sulla prosperità africana emergono dalle opere di alcuni autori africani. [p. 1106] Dell’amministrazione romana e della tradizione circense troviamo tracce anzitutto nelle opere di Quodvultdeus[55]. Quest’ultimo, nell’opuscolo Gloria sanctorum[56], descrive la cerimonia di nomina dei proconsoli, che si svolgeva a Cartagine, e che culminava nella proclamazione ufficiale dei governatori che avevano preceduto il nominando, e il loro inserimento nell’albo, nel senso che l’onesto veniva acclamato e iscritto all’albo, mentre il disonesto era ricoperto di ingiurie. Era questa una messinscena del potere del governatore provinciale che veniva indicata con l’espressione erat sollemnis dies albi citatio. Nel De tempore barbarico[57], invece, egli si chiede come il popolo in tempi così tristi possa continuare ad assistere agli spettacoli del circo: in tantis angustiis [...] cotidie frequentantur spectacula et voces insanientium crepitant in circo. La sua riflessione è interessante, perché riguarda una delle tradizioni romane più radicate e ancora in vigore ai suoi tempi, quella appunto degli spettacoli circensi. Questi ultimi sono infatti attestati nell’Anthologia palatina, espressione di una fervida attività letteraria a Cartagine durante il secondo periodo del regno vandalo. I segni di tale ripresa cominciano a notarsi intorno agli anni ottanta del v secolo, quando nella scuola di Feliciano Romani e Vandali leggono insieme i classici. Ma il personaggio più rappresentativo del fervore letterario coevo, indicatore di vitalità economica, è Lussorio[58], il quale pare che dimorasse alla corte degli ultimi re vandali, anche se non sappiamo con quali funzioni, pur essendo vir clarissimus et spectabilis. Senza entrare in merito alla questione se fosse cristiano o pagano e quali fossero i suoi rapporti con i sovrani vandali, mi sembra assai [p. 1107] interessante l’immagine della società cartaginese di cui egli dà uno spaccato in alcuni epigrammi, nati come egli stesso dice in foro. Sono avvocati che testimoniano il persistere dell’attività giudiziaria ad praetoria[59], sacerdoti[60], oppure medici e filosofi. In altri epigrammi sono descritti i giochi del circo[61] e gli anfiteatri. Nel descrivere l’anfiteatro cartaginese Lussorio scrive: metuunt omnes sua fata ferae[62]. La tradizione circense di chiara matrice romana poteva essere mantenuta in Africa solo in condizioni di prosperità; una prosperità a cui fa riferimento lo stesso Lussorio nell’epigramma 350, allorché si chiede se la terra africana è sterile e risponde fumantia vernat pascua, luxuriat gramine, cocta silex. All’epigramma 346 invece affida due splendide immagini dell’agricoltura e del commercio, le principali fonti dell’economia africana: l’agrestis turba che arando spectat novos labores; e il nauta che videt de pelago gaudia mixta.

Fervidi di sviluppi interpretativi sono infine gli indizi “africani” presenti in Ennodio e in Cassiodoro[63], ispirati entrambi dall’ideologia dei re dei Goti[64] che si erano fatti custodi della civilitas [p. 1107] romana[65]. L’epistolario di Ennodio[66] dà un’immagine equilibrata dell’Africa vandala. Trasamundo[67] viene presentato come piissimus dominus (epist. 4, 10); la persecuzione dei cristiani, a cui si accenna nell’epist. 2, 14, non ha i toni apocalittici usati da Vittore di Vita con devastazioni, confische e torture. Ai vescovi africani perseguitati Ennodio suggerisce di continuare ad essere testimoni di fede contro il nemico, forti del fatto che niente e nessuno potrà togliere loro le infulae del sacerdozio. Nell’epistolario, inoltre, viene dato ampio spazio ad Agnellus[68], destinatario di sette lettere (7, 4; 11; 15; 16; 26; 8, 20; 9, 19), oltre che del carme 2, 107. Questi appare come un personaggio potente, influente e di primo piano, hominum potentissimus, vir sublimis, dominus, non solo in Italia, ma anche in Africa, ove pare che abbia soggiornato a lungo, come riferisce anche Cassiodoro. Che Agnellus fosse molto potente emerge da [p. 1109] un’altra lettera di Ennodio con la quale chiede al prefetto Fausto[69] di intervenire presso di lui in favore di Opilione, affinché venga nominato prefetto dell’Africa. L’esito della richiesta è positivo. Ancora. Nella lettera 9, 19, Agnellus riceve le congratulazioni di Ennodio per il conseguimento di summa honorum. Cosa dobbiamo intendere per summa honorum? La comitiva sacrarum largitionum? Il consolato? Il patriziato? Oppure un’altra carica di cui egli fu investito dopo il suo viaggio in Africa, compiuto per rafforzare i rapporti di Teoderico con Trasamundo? Jones[70] avrebbe pensato alla carica di magister officiorum, suggestione interessante, ma difficilmente dimostrabile.

Nelle Variae[71] di Cassiodoro sono attestati i rapporti tra Ravenna e l’Africa. In esse (1, 15; 1, 37; 4, 53; 5, 35; 5, 43; 5, 44; 9, 1; 11, 13; 12, 9) l’autore appunta l’attenzione su alcuni funzionari teodericiani che hanno avuto a che fare con l’amministrazione africana, come il potentissimo comes sacrarum largitionum Agnellus, inviato in Africa per cementare i rapporti gotico-vandali; si sofferma sui rapporti tra il regno gotico e quello vandalo e sulla loro fine, dopo la morte di Amalafrida; menziona la vendita in partibus Africae del frumento destinato a Roma; discute di concessione di terre a stranieri emigrati dall’Africa. Per l’assunto proposto mi sembrano degne di rilievo la lettera 4, 53 e la 11, 13. La prima, riguardante l’assunzione di un aquilegus[72], cioè di un tecnico della ricerca dell’acqua proveniente dall’Africa, si colloca nell’ambito dei rapporti di amicizia tra il regno gotico e quello vandalico[73], la seconda è un indicatore efficace dell’ottica orientaleggiante dei sovrani di Ravenna[74]. Il richiamo alla figura del cercatore d’acqua nella prima lettera consente a Cassiodoro, com’è sua abitudine, di fare un excursus [p. 1110] sui metodi dell’idroscopia con un’efficace rielaborazione letteraria. Nella seconda lettera il Senato per suo tramite chiede l’intervento dell’imperatore d’Oriente in Italia salutandolo come colui che ha dato la libertà alla Libia[75], termine quest’ultimo utilizzato per indicare l’Africa, si direbbe pars pro toto. È Roma che si rivolge a Giustiniano, è Roma che trovandosi in pericolo chiede all’imperatore di salvarla. In questa lettera l’Africa e l’Italia appaiono insieme, e insieme guardano alla Nea Roma, per la difesa della Roma eterna[76].

In conclusione, attraverso l’esame combinato e articolato delle immagini dell’Africa desunte da varie fonti si è tentato di ridisegnarne il profilo economico e istituzionale, un profilo certamente meno catastrofico e più dinamico di quanto finora non sia stato descritto, dato che anche questa parte dell’Impero, pur privilegiata per risorse, ricchezze e prodotti, è stata investita da episodi di corruzione e dal fenomeno della migrazione di popoli provenienti dall’interno e dall’esterno. Tuttavia, pur costretta a confrontarsi e scontrarsi con situazioni e realtà difficili, l’Africa ha trovato in se stessa quella forza reattiva che altre parti dell’Impero non hanno saputo o non hanno potuto mostrare.

 

 



 

[1] Le iniziative scientifiche ed editoriali sono innumerevoli. Per un orientamento sui progressi degli studi, cfr. gli Atti dell’Africa romana, giunti con l’odierno convegno alla loro xvii edizione. Un quadro critico aggiornato del dibattito storiografico, delle più recenti acquisizioni e delle attuali tendenze è in Cl. Lepelley, The perception of Latin Roman Africa from Decolonization to the Re-appraisal of the Antiquity, in C. Straw, R. Lim (eds.), The Past before Us. The Challenge of Historiographies of Late Antiquity, (Bibliothèque Antiquité Tardive, 6), Paris 2004, pp. 25-32. 

 

[2] Ai resoconti degli scavi condotti da missioni italiane e internazionali e pubblicati su riviste specializzate vanno aggiunti gli studi relativi a siti e città dell’Africa, quali, ad esempio, N. Duval, F. Baratte, Les ruines de Sufetula. Sbeitla, Tunis 1973; J. W. Hayes, Late Roman Pottery, London 1972; Id., A supplement to Late Roman Pottery, London 1980; A. Mahjoubi, Permanences et transformations de l’urbanisme africain à la fin de l’Antiquité. L’exemple de Belalis Maior, in 150 Jarh-Feier. Deutsches Arch. Inst. Rom. 1979, Roma 1982, pp. 77-83; R. Bruce Hitchner, The Kasserine Archeological Survey 1982-1986, «AntAfr», 24, 1988, pp. 7-41; Id., The Kasserine Archeological Survey 1987, «AntAfr», 26, 1990, pp. 231-60; da ultimo J. Eingartner, Templa cum porticibus, Berlin 2005.

 

[3] La documentazione epigrafica è abbondantissima; oltre alle numerose specifiche raccolte di iscrizioni relative alle singole province, cfr. N. Ferchiou, Un témoignage de la vie municipale d’Athungni, in L’Africa romana vii, pp. 753-61; D. Pringle, The defence of Bizantine Africa from Justinian to the Arab conquest, (BAR Int. Ser., 99), 2 voll., Oxford 1981; J. Durliat, Les dédicaces d’ouvrages de défense dans l’Afrique byzantine, Roma 1981; N. Duval, L’état actuel des recherches sur les fortifications de Iustinien en Afrique, in XXX Corso di cultura sull’arte Ravennate e Bizantina, Ravenna 1983, pp. 167 ss.; Y. Modéran, La renaissance des cités dans l’Afrique du VIe siècle d’après une inscription récemment publiée, in Cl. Lepelley (éd.), La fine de la cité antique et le début de la cité médiévale, Bari 1996, pp. 85-114; M. Khanoussi, A. Mastino (a cura di), Uchi Maius 1. Scavi e ricerche epigrafiche in Tunisia, Sassari 1997; A. Ibba (a cura di), Uchi Maius 2, Sassari 2006, con una ricchissima appendice epigrafica.

 

[4] J. Divjak, Sancti Aurelii Augustini Opera: Epistulae ex duobus codicibus nuper in lucem prolatae, rec. J. Divjak, CSEL, 88, Wien 1981; Oeuvres de Saint Augustin, 46B, Lettres 1*-29*, nouv. éd. par J. Divjak, Institut d’études augustiniennes, Paris 1987.

 

[5] P. Chiesa, Un testo agiografico africano ad Aquileia: gli Acta di Gallonio e dei Martiri di Timida Regia, «Analecta Bollandiana», 114, 1996, pp. 241-68.

 

[6] Degne di rilievo sono soprattutto le proposte interpretative di Y. Modéran, L’établissement territorial des Vandales en Afrique, «AntTard», 10, 2002, pp. 87-122; Cl. Lepelley, L’administration d’Afrique avant la conquête vandale, ivi, pp. 61-72; V. Aiello, Che fine ha fatto l’élite burocratica romana nel regno dei Vandali?, in R. Lizzi Testa (a cura di), Le trasformazioni delle élites in età tardoantica, Atti del Convegno Internazionale, (Perugia, 15-16 marzo 2004), Roma 2006, pp. 15-40.

 

[7] Mi riferisco in particolare alle testimonianze di ispirazione anti-ariana e di conseguenza anti-vandalica di Vittore di Vita e di Fulgenzio di Ruspe, i quali hanno interpretato le vicende dei Vandali in chiave negativa sottolineando la crudeltà e la ferocia con cui essi perseguitarono i cristiani e principalmente i vescovi. Sulla posizione dei due autori e relativa bibliografia cfr. Aiello, Che fine ha fatto l’élite burocratica romana, cit., p. 16, note 3-6.

 

[8] L’estensione della proprietà imperiale e dei latifondi privati in Africa è attestata da diverse fonti, come, ad esempio, Plin., nat., 18, 7, 35; Lact., mort. pers., 8, 3; Vie de sainte Mélanie, éd. par D. Gorce (= SC, 90), pp. 169-70. Negli atti della conferenza di Cartagine, 1, 4 (ed. S. Lancel), SC, 195, pp. 562-4, inoltre l’Africa è detta regni nostri maxima pars. Enorme la bibliografia sull’argomento; impossibile una rassegna esaustiva; si ricordano pertanto solo alcuni saggi, L. Cracco Ruggini, Coloni e inquilini: «miseri et egeni homines», «AARC», 8, 1990, pp. 199 ss.; E. Lo Cascio, Forme dell’economia imperiale romana, in Storia di Roma, ii. 2, Torino 1991, pp. 313-65; Id. (a cura di), Terre, proprietari e contadini dell’impero romano: dall’affitto agrario al colonato tardoantico, Roma 1997; D. Vera, Conductores domus nostrae, conductores privatorum. Concentrazione fondiaria e redistribuzione della ricchezza nell’Africa tardoantica, in Institutions, société et vie politique dans l’Empire romain au ive siècle ap. J.C., Actes de la table ronde autour de l’œuvre d’André Chastagnol (Paris 1989), Rome 1992, pp. 465-90; A. Marcone, Storia dell’agricoltura romana. Dal mondo arcaico all’età imperiale, Roma 1997; P. Rosafio, Studi sul colonato, Bari 2002.

 

[9] D. Vera, Strutture agrarie e strutture patrimoniali nella tarda Antichità: l’aristocrazia romana fra agricoltura e commercio, «Opus», 2, 1983, pp. 489-580; Id., Simmaco e le sue proprietà: struttura e funzionamento di un patrimonio aristocratico del iv secolo d.C., Colloque gènevois sur Symmaque, Paris 1986, pp. 231-76; Id., Enfiteusi, colonato e trasformazioni agrarie nell’Africa proconsolare del Tardo Impero, in L’Africa romana iv, pp. 285-326. Per riferimenti e paralleli tra l’Africa romana e altre zone dell’Occidente cfr. D. Vera, Paesaggi e insediamenti rurali del Meridione tardoantico: bilancio consuntivo e preventivo, in G. Volpe, M. Turchiano (a cura di), Paesaggi e insediamenti rurali in Italia meridionale fra Tardoantico e Altomedioevo, Atti del Primo Seminario sul Tardoantico e l’Altomedioevo in Italia Meridionale, (Foggia, 12-14 febbraio 2004), Bari 2005, pp. 75 ss.

 

[10] Dopo gli studi di P. Romanelli, Le condizioni giuridiche del suolo in Africa, in I diritti locali nelle province romane con particolare riguardo alle condizioni giuridiche del suolo, Atti del Convegno Internazionale (Roma 1971), Firenze 1974, pp. 171-225 = In Africa e a Roma. Scripta minora selecta, Roma 1981, pp. 319-63; Ch. R. Whittaker, Land and Labour in North Africa, «Klio», 60, 1978, pp. 331-62; cfr. D. Vera, Terra e lavoro nell’Africa Romana, «StudStor», 29, 1988, pp. 967-92; E. Caliri, Praedia pistoria e possessores africani in età vandalica: a proposito di Valentiniano iii, Nov. 34, in L’Africa romana xv, pp. 1693-710. Sui rapporti dell’Africa vandalica con la Sicilia, cfr. le notazioni di M. Mazza, I Vandali, la Sicilia e il Mediterraneo, «Kokalos», 43-4, 1997-98, 1, pp. 118 ss.; E. Caliri, Il cubiculario Lauricio e la gestione dei praedia nella Sicilia di v secolo, Messina 2001; Ead., Il cubiculario Lauricio. Squarci di storia agraria siciliana nel v secolo d.C., «MedAnt», vi, 1, 2003, pp. 429-68.

 

[11] Sulle città dell’Africa, cfr. Cl. Lepelley, Les citès de l’Afrique romaine au Bas-Empire, i-ii, Paris 1979-81; Modéran, La renaissance des cités dans l’Afrique du vie siècle, cit., pp. 85 ss.; sulla classe curiale africana, oltre a Lepelley, Les citès de l’Afrique romaine au Bas-Empire, cit., pp. 243 ss., cfr. R. Soraci, Il curialato nella legislazione di Onorio, «AARC», 13, 2001, pp. 537-604, in part. p. 586 e nota 214; L. Di Paola, I curiales nella legislazione di Valentiniano e Valente, in Le Code Théodosien et l’histoire sociale de l’Antiquité tardive, Neuchâtel 15-17 febbraio 2007, (cds.).

 

[12] Cfr. supra, nota 6.

 

[13] Cfr. i contributi di C. O. Tommasi Moreschini, Splendore e ricchezza dell’Africa vandalica nel giudizio delle testimonianze letterarie coeve, e V. Aiello, La marina vandala e il commercio mediterraneo, in questi stessi Atti, rispettivamente alle pp. 1073-80 e 1111-26.

 

[14] L. Di Paola, La “reparatio veredorum”: il caso della proconsolare, in L’Africa romana xi, pp. 425-35.

 

[15] G. Uggeri, Relazioni tra Nord Africa e Sicilia in età vandalica, in L’Africa romana xii, pp. 1457-67; Id., Portolani romani e carte nautiche: problemi e incognite, in G. Laudizi, C. Marangio (a cura di), Porti, approdi e linee di rotta nel Mediterraneo antico, Galatina 1998, pp. 31-78, in part. pp. 52-6, afferma che alcune rotte mediterranee presenti nell’Itinerarium Maritimum rifletterebbero gli interessi politico-commerciali dei Vandali.

 

[16] . C. Courtois, Les Vandales et l’Afrique, Paris 1955, rist. Darmstadt 1964, pp. 65-91, 112 ss., 320.

 

[17] Ivi, p. 358.

 

[18] Cfr. ad es. Cl. Lepelley, Quelques aspects de l’administration des provinces d’Afrique avant la conquête vandale, «AntTard», 10, 2002, pp. 61-72; Aiello, Che fine ha fatto l’élite burocratica romana, cit., nota 6.

 

[19] P. Petit, Libanius et la vie municipale à Antioche au ive siècle après J.-C., Paris 1955.

 

[20] Cl. Lepelley, Aspects de l’Afrique romaine. Les cités, la vie rurale, le Christianisme, Bari 2001.

 

[21] N. Duval, Influences byzantines sur la civilisation chrétienne de l’Afrique du Nord, «REG», 401-3, 1971, p. xxvi; Id., Rapport, in Cl. Lepelley, Hommes et richesses dans l’Empire byzantin, iv-viie siècle, i, Paris 1989, pp. 32-3.

 

[22] Modéran, La renaissance des cités dans l’Afrique du vie siècle, cit., pp. 100 ss.

 

[23] Lepelley, The perception of Latin Roman Africa, cit., p. 30.

 

[24] V. Aiello, I Vandali nel Mediterraneo e il problema del limes, in L’Africa romana xv, pp. 723-40.

 

[25] D. Castrizio, Per una rilettura del sistema monetario vandalo (note preliminari), in L’Africa romana xv, pp. 741-56.

 

[26] Il punto di vista orientale è stato preso in considerazione da G. Traina, L’Africa secondo Costantinopoli: il vi libro del «De Aedificiis» di Procopio di Cesarea, in L’Africa romana vii, pp. 341-6. 

 

[27] Tert., anim., 30, 3, cfr. Lepelley, Aspects de l’Afrique, cit., pp. 47 ss.

 

[28] Sulle illustrazioni, oltre a E. Böcking, Über die «Notitia Dignitatum», Berlin 1834; Id., Notitia Dignitatum, i, Bonn 1839, pp. 371 s.; O. Seeck, Notitia Dignitatum et Administrationum tam civilium quam militarium. Accedunt Notitia Urbis Constantinopolitanae et Laterculi provinciarum, Berlin 1876, rist. an. Frankfurt 1962; cfr. H. Stern, Le Calendier de 354; Étude sur son texte et ses illustrations, Paris 1953; E. Kitzinger, The Role of Miniature Painting in Mural Decoration, in K. Weitzmann et al., The Place of Book Illumination in Byzantine Art, Princeton 1975, pp. 99-142; R. Grigg, Portrait-bearing Codicils in the Illustrations of the Notitia Dignitatum, «JRS», 69, 1979, pp. 107-24; Id., Illustrations and Text in the lost Codex Spirensis, «Latomus», 46, 1987, pp. 204-10; P. D. A. Harvey, The History of Topographical Maps: Symbols, Pictures and Surveys, London 1980; H. Omont, Le plus ancien Manuscrit de la Notitia Dignitatum, «MSAF», 51, 1980, pp. 225-44; P. G. Berger, The insignia of the Notitia Dignitatum: A Contribution to the Study of Late Antique Illustrated Manuscripts, New York-London 1981; K. M. Jenerette, A re-Examination of the Insignia of the Notitia Dignitatum, University South-Caroline 1998; S. Maddalo, In Figura Romae. Immagini di Roma nel libro medioevale, Roma 1990; F. Kolb, Herrscherideologie in der Spätantike, Berlin 2001; B. M. Di Dario, La Notitia Dignitatum. Immagini e Simboli del Tardo Impero Romano, Padova 2006, pp. 7 ss., ove viene affrontato il problema dell’ermeneutica del simbolo.

 

[29] Cfr. E. Böcking, Notitia Dignitatum, I-III, Bonn 1839-53; Seeck, Notitia Dignitatum et Administrationum tam civilium quam militarium, cit.; G. Clemente, La Notitia Dignitatum, Cagliari 1968; C. Neira Faleiro, Nueva Edición de la Notitia Dignitatum y commentario historico, Madrid 2005, con utili riferimenti bibliografici.

 

[30] Sulla cronologia del documento i pareri degli studiosi sono divergenti, essendo legati gli uni alla tesi dell’unitarietà e gli altri a quella della stratificazione. Tuttavia l’ipotesi più convincente per la parte occidentale ci sembra quella che considera il documento work in progress con aggiornamenti fino alla prima metà del v secolo, periodo della redazione definitiva. Sulla vexata quaestio, cfr. Böcking, Ueber die Notitia Dignitatum, cit., pp. 1-32; Id., Notitia Dignitatum, cit., i, pp. 380 ss.; O. Seeck, Quaestiones de Notitia Dignitatum, Berlin 1872, pp. 1-32; F. S. Salisbury, On the date of the Notitia Dignitatum, «JRS», 17, 1927, pp. 217-20; Clemente, La Notitia Dignitatum, cit., pp. 26 ss.; J. M. Ward, The Notitia Dignitatum, «Latomus», 33, 1974, pp. 397 ss.; L. Di Paola, I curiosi e la datazione della Notitia Dignitatum, «AAPel», 55, 1979, pp. 249 ss.; J. C. Mann, The Notitia Dignitatum: dating and survival, «Britannia», 22, 1991, pp. 215 ss.; G. Purpura, Sulle origini della Notitia Dignitatum, «ASGP», 42, 1992, pp. 469 ss.; M. E. Kulikowski, The Notitia Dignitatum as a historical source, «Historia», 49, 2000, pp. 358 ss.; Neira Faleiro, Nueva Edición de la Notitia Dignitatum, cit., p. 589; da ultimo Di Dario, La Notitia Dignitatum, cit., pp. 23 ss.

 

[31] Su questo funzionario e sul suo ufficio cfr. P. Barrau, À propos de l’officium du vicarie d’Afrique, in L’Africa romana iv, pp. 79-100.

 

[32] L’iscrizione F. L/INTAL/COM.ORD./PR. è stata variamente interpretata; Böcking, Notitia Dignitatum, cit., i, p. 283, propone F(oelix) l(iber) i(niunctus) t(ribunis) a l(aterculo) c(ontinens) m(andata) o(rdine) p(rimicerii), oppure ritiene COMORD PR = c(ivitates) o(mnes) m(aiestati) o(bediant) r(egiae) d(omini) p(opuli) r(omani); per Seeck, La Notitia Dignitatum, cit., p. 52, nota 1, COMORD PR = c(ivitates) o(mnes) m(aiestati) o(bediant) r(ecte) n(ostrae) d(ignitati); W. D. Jr. Burguess, The Isaurians in the Fifth Century, University Microfilms International, Ann Arbor (Michigan) 1985, p. 58, propone la seguente lettura: FL(AVIVS) INTALL(ICVS) COM(ES) ORD(INIS) PR(IMI); V. Marotta, Liturgia del potere: documenti di nomina e cerimonie di investitura fra principato e tardoimpero romano, «Ostraka», 8, 1, 1999, pp. 148 ss., condivide quest’ultima lettura; anche la Neira Faleiro, La Notitia Dignitatum, cit., n. 29, p. 589, accetta l’ultima proposta ma ritiene che la lettera F della prima linea sia da sciogliere con floreas adducendo altri esempi. Per conto nostro riteniamo più convincente l’ipotesi della Neira Faleiro.

 

[33] L. Di Paola, Problemi cronologici e decorazione musiva nella villa del Casale di Piazza Armerina, «Messana», 3, 1990, pp. 281-7; Ead., Per la storia degli occhi del re. I servizi ispettivi nella Tarda Antichità, (Pelorias, 12), Messina 2005, pp. 118 ss.

 

[34] A. Carandini, La personificazione dell’Africa, «Studi Miscellanei», 7, 1962, pp. 43 ss.

[35] B. Pace, Arte e civiltà della Sicilia antica, Genova-Città di Castello 1935-38, 2, pp. 185-6 (fig. 173), ha visto in questa immagine la rappresentazione di una Ghe-Nubia; G. V. Gentili, I mosaici della villa romana del Casale di Piazza Armerina, «BA», 37, 1952, pp. 33 ss., ritiene che si tratti della personificazione dell’Africa o dell’Egitto.

 

[36] C. Gebbia, Le ferae: una ricchezza dell’Africa, in questi stessi Atti, alle pp. 195-202.

 

[37] Monete di Adriano, di Antonino Pio, di Settimio Severo, di Massimiano e di Costantino riproducono spesso la testa o il busto dell’Africa secondo una tipologia ricorrente (quale ad esempio la provincia capta, la provincia inginocchiata e la provincia fidelis, o il tipo militare) e con attributi di pace e di dominio (excuviae elephantis, proboscis, spighe, cornucopia, leone ecc.), cfr. LIMC, 1, s.v. Africa, pp. 250-5; 2, pp. 184-9, tavv. 1-56; anche M. Jatta, Le rappresentanze figurate delle province romane, Roma 1908, pp. 9 ss., 51 ss.

 

[38] Claud., carm. 15, 135-60.

 

[39] Sidon., carm. 5, 56.

 

[40] Claud., carm. 22, ii, 256 ss.

 

[41] M. Cataudella, L’economia africana del Basso Impero: realtà di una crisi?, in L’Africa romana vi, pp. 373-85.

 

[42] CTh., 11, 16, 1.

 

[43] CTh., 12, 1, 21.

 

[44] Sulla prepositura, cfr. L. Di Paola, Viaggi, trasporti e istituzioni. Studi sul cursus publicus, (Pelorias, 5), Messina 1999, pp. 41 ss.

 

[45] CTh., 13, 5, 10.

 

[46] CTh., 8, 5, 34; cfr. Di Paola, La reparatio veredorum: il caso della proconsolare, cit., pp. 429 ss.

 

[47] CTh., 11, 28, 6.

 

[48] CTh., 6, 29, 11. Sui privilegi ai navicularii, cfr. L. De Salvo, Economia privata e pubblici servizi nell’impero romano, I corpora naviculariorum, (Kleio, 5), Messina 1992, pp. 412 ss.; sul provvedimento e sui curiosi cfr. Di Paola, Per la storia degli occhi del re, cit., pp. 45 ss.

 

[49] CTh., 11, 28, 13. Sul testo cfr. Cl. Lepelley, Déclin ou stabilité de l’agriculture africaine au Bas-Empire?, «AntAfr», 1, 1967, pp. 135-44; Id., Les cités, cit., I, pp. 31-3.

 

[50] Sui breves, cfr. L. Di Paola, Sull’uso dei ‘breves’ nell’amministrazione romana tardoantica, in G. Lanata (a cura di), Il Tardoantico alle soglie del Duemila, Atti del v convegno dell’Associazione di Studi Tardoantichi, Genova 1999, Pisa 2000, pp. 189-204.

 

[51] CTh., 7, 13, 22.

 

[52] CTh., 11, 1, 34; sugli opinatores cfr. Soraci, Il curialato nella legislazione di Onorio, cit., pp. 588 ss.

 

[53] CTh., 12, 6, 33.

 

[54] F. Elia, Valentiniano iii, Catania 1999, pp. 76 ss.; Caliri, Praedia pistoria e possessores africani in età vandalica, cit., pp. 1698 ss.

 

[55] Sulle opere di questo vescovo e sulla paternità delle stesse cfr. P. Schepens, Un traité à restituer à St. Quodvultdeus, «RecSR», 9, 1919, pp. 230-43; Id., Les œuvres de St. Quodvultdeus, ivi, 13, 1923, pp. 76-8; M. Simonetti, Studi sulla letteratura cristiana d’Africa in età vandalica, «RIL», 83, ser. iii, 14, 1950, pp. 407-24; A. Nazzaro, Promesse e predizioni di Dio, Roma 1989.

 

[56] Quodv., glor. sanct., 13, 15, in SC, 102, pp. 665-6.

 

[57] Quodv., temp. barb., 1, 11, in CSEL, 60, p. 424; Lepelley, Quelques aspects de l’administration des provinces d’Afrique, cit., p. 61 e nota 1.

 

[58] Su Lussorio, oltre all’edizione critica con commento di H. Happ, Luxurius, Text und Untersuchungen, Kommentar, i-ii, Stuttgart 1986, cfr. gli studi di M. Rosenblum, Luxorius, a Latin poet among the Vandals, New York 1961; V. Tandoi, Luxoriana, «RFIC», 98, 1970, pp. 37-63; D. Romano, Letteratura e storia nell’età tardoromana, Ritratto di Lussorio, Palermo 1979, pp. 223-51; F. Bertini (a cura di), Luxoriana, Genova 2002; M. Giovini, Ancora su Lussorio: lettura dei Carmi 292, 297, 312, 317, Shackleton Bailey, «Silvae di Latina Didaxis», 2000, 1, pp. 19-41; Id., Velut iocosa si theatra pervoles, «Maia», 55, 2, 2003, pp. 325-59; Id., Studi su Lussorio, Genova 2004; Tommasi Moreschini, Splendore e ricchezza dell’Africa, cit.

 

[59] Lux., anth. 350.

 

[60] Lux., anth. 303

 

[61] Lux., anth. 334-5; 353-54; cfr. inoltre G. Laville, La vita del circo ed altri spunti di realtà quotidiana negli epigrammi di Lussorio, «AAP», 23, 1974, pp. 271-86.

 

[62] Lux., anth. 346; G. Uggeri, Per l’iconografia della Cavaspina di Lussorio, «Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Palermo», 1, 1968, pp. 8 ss.

 

[63] Su Cassiodoro cfr. L. Di Paola, I censitores provinciae Siciliae (Cassiod. Var. 9, 11; 9, 12), in “Ad contemplandam sapientiam”, Studi di Filologia, Letteratura e Storia in memoria di S. Leanza, Soveria Mannelli 2004, pp. 213-23, note 1-2; e, soprattutto, A. Giardina, Cassiodoro politico, Roma 2006; V. Fauvinet-Ranson, Decor civitatis, decor Italiae, Bari 2006.

 

[64] Su Teoderico e sui Goti, oltre ai classici lavori di W. Ensslin, Theoderic der Grosse, München 1947, e di P. Lamma, Teoderico, Brescia 1951, cfr. E. Stein, Histoire du Bas-Empire, trad. fr. par J. R. Palanque, Paris-Bruges 1948, rist. Amsterdam 1968; P. Vaccari, Concetto ed ordinamento dello Stato in Italia sotto il governo dei Goti, in I Goti in Occidente, Settim. 3, Spoleto 1955, Spoleto 1956, pp. 585 ss.; G. Vismara, Romani e Goti di fronte al diritto nel regno ostrogotico, ivi, pp. 409 ss.; M. Lecce, La vita economica dell’Italia durante la dominazione dei Goti nelle “Variae” di Cassiodoro, «Economia e Storia», 3, 1956, pp. 354 ss.; L. Cracco Ruggini, Economia e società nell’Italia annonaria. Rapporti tra agricoltura e commercio dal iv al vi sec. d. C., Milano 1961, rist. agg. Bari 1995, pp. 205 ss.; Ead., Ticinum dal 476 alla fine del regno gotico, in Storia di Pavia, i, Milano 1984, pp. 272 ss.; P. Scardigli, Die Goten. Sprache und Kultur, München 1973; R. Soraci, Aspetti di storia economica italiana nell’età di Cassiodoro, Catania 1974; Th. Bruns, A History of the Ostrogoths, Bloomington 1983; W. C. Schneider, Animal laborans, in CISAM, Spoleto 1983, Spoleto 1985, pp. 457 ss., in part. pp. 568 ss.; H. Wolfram, Die Goten, Leipzig 1990; B. Luiselli, Storia culturale dei rapporti tra mondo romano e mondo germanico, Roma 1992, pp. 700 ss.; B. Saitta, La ‘civilitas’ di Teodorico. Rigore amministrativo, “tolleranza” religiosa e recupero dell’antico nell’Italia ostrogota, (Studia Historica, 128), Roma 1993, pp. 98 ss.; G. Coppola, Cultura e potere. Il lavoro intellettuale nel mondo romano, Milano 1994, pp. 362 ss.; P. Stoffel, Über die Staatspost, die Ochsengenspanne und die requirierten Ochesengenspanne. Eine Darstellung der römischen Postwesens auf Grund der Gesetze des Codex Theodosianus und des Codex Iustinianus, Frankfurt 1994, pp. 157 ss.; Di Paola, Viaggi, trasporti e istituzioni. Studi sul cursus publicus, cit., pp. 104 ss.; Ead., Roma caput mundi e natalis scientiae sedes. Il recupero della centralità di Roma in epoca tardoantica, in F. Elia, Politica Retorica e Simbolismo del Primato: Roma e Costantinopoli (secoli iv-vii d.C.), in Atti del Convegno Int., (Catania, 4-7 ottobre 2001), Catania 2002, pp. 140 ss.; M. Vitiello, Teodorico a Roma. Politica, amministrazione e propaganda nell’adventus dell’anno 500 (Considerazioni sull’“Anonimo Valesiano II”), «Historia», 53, 2004, pp. 73-120; Giardina, Cassiodoro politico, cit., pp. 46 ss.

 

[65] P. Martino, Gothorum laus est ciuilitas custodita (Cassiod. 9, 14, 18), «Sileno», 8, 1982, pp. 31-45; A. Marcone, A proposito della “civilitas” nel Tardo Impero: una nota, «RSI», 97, 1985, pp. 969-82; Saitta, La civilitas di Teodorico, cit., pp. 102 ss.; Di Paola, Roma caput mundi e natalis scientiae sedes, cit., pp. 135 ss.; E. Malaspina, La civilitas romana nell’ottica delle nazioni barbariche, «RomBarb», 2003-5, pp. 31-46.

 

[66] Per la bibliografia su quest’autore si rinvia agli esaustivi riferimenti in F. Gasti (a cura di), Atti della prima Giornata Ennodiana, Pisa 2001; S. Rota, Magno Felice Ennodio, Panegirico del clementissimo re Teoderico, Roma 2002; L. Di Paola, Ennodio e l’Italia teodericiana, in Atti del vi convegno internazionale dell’Associazione di Studi Tardoantichi, (Napoli, S. Maria Capua Vetere, 29 settembre 2 ottobre 2003), «Koinonia», 36-37, 2006-07, ii, pp. 257-87, in part. p. 277, nota 13.

 

[67] Stein, Histoire du Bas-Empire, i, cit., pp. 456 ss.

 

[68] PLRE, 2, s.v. Agnellus, pp. 35-6.

 

[69] Ennod., epist. 4, 18. 

 

[70] PLRE, 2, s.v. Agnellus, p. 35.

 

[71] A. Giardina, Cassiodoro politico e il problema delle Variae, in Teoderico il Grande e i Goti d’Italia, Atti del xiii Convegno internazionale di Studi sull’Alto Medioevo (Milano 1992), Spoleto 1993, pp. 45-73, ora in Id., Cassiodoro politico, cit., pp. 15-46.

 

[72] Cfr. ThLL, s.v. aquilex; CIL ii, 2694. Per la traduzione e il commento di Var., 4, 53, riguardante l’aquilegus, ringrazio il collega V. Neri per avermi dato la possibilità di leggere il manoscritto dell’una e dell’altro, facente parte di un progetto di traduzione e commento delle lettere di Cassiodoro, coordinato da A. Giardina, in corso di stampa.

 

[73] Ennod., paneg., 70; J. Moorhead, Theoderic in Italy, Oxford 1992, pp. 63 s.

 

[74] A. Gaudenzi, Sui rapporti tra l’Italia e l’impero d’Oriente tra il 476 e il 554 d.C., Bologna 1888, pp. 36 ss; P. Lamma, Oriente e Occidente nell’Alto Medioevo. Studi storici sulle due civiltà, Padova 1968.

 

[75] A. Mastino, R. Zucca, La Libia dai Garamanti a Giustiniano, in L’Africa romana xv, pp. 1995-2024. 

 

[76] Traina, L’Africa secondo Costantinopoli, cit., pp. 341 ss.