N. 8 – 2009 – Memorie//Africa-Romana
Università di Messina
Immagini
tardoantiche dell’Africa a confronto:
note di
lettura
(pubblicato in L’Africa romana. Le
ricchezze dell’Africa. Risorse, produzioni, scambi. Atti del XVII convegno
di studio. Sevilla, 14-17 dicembre 2006, a cura di J. González, P.
Ruggeri, C. Vismara, R. Zucca, Roma, Carocci editore, 2008, II, pp. 1091-1110)
Se è vero che in nessun altro
settore della storia provinciale romana è possibile registrare negli
ultimi decenni uno sviluppo delle ricerche, una ricchezza e vivacità di
dibattito storiografico, un progresso delle conoscenze, paragonabili agli studi
sull’Africa romana anche in epoca tardoantica[1],
è altrettanto vero che inesplorate piste investigative sono state
battute grazie ai sempre più numerosi ritrovamenti archeologici[2], alla ricca
documentazione epigrafica[3], [p. 1092] alla
valorizzazione di opere come, ad esempio, le epistole Divjak[4], i 26 nuovi sermoni di
Agostino oppure gli Acta Gallonii e dei martiri africani[5];
senza contare i risultati a cui sono giunti alcuni studiosi[6]
con la rilettura più equilibrata delle testimonianze agiografiche[7] relative alle vicende
africane di v e vi secolo.
Grazie ancora alle ricerche sulla
proprietà imperiale e sui latifondi privati[8],
alle indagini sulla gestione della terra e sul sistema agrario[9], [p. 1093]
all’analisi del rapporto terra-lavoro[10],
agli studi sulle città e sulla classe curiale africana[11], è stata
ribaltata la visione storiografica tradizionale intorno a una crisi economica
generalizzata dell’Africa tardoantica, acclarando l’ipotesi che la
prosperità economica africana non subì arresti né danni
irreversibili con l’invasione dei Vandali[12]
e neppure con il successivo dominio bizantino, come peraltro è affiorato
dalle relazioni di alcuni dei partecipanti[13]
a questo stesso convegno.
In verità, l’Africa durante la
Spätantike non conosce crisi economiche particolarmente rilevanti, anzi
proprio in questo periodo [p. 1094] registra un’ancor vivace
attività produttiva e commerciale, rintracciabile nell’efficiente
viabilità e nel correlato servizio dei trasporti[14],
e soprattutto nel potenziamento del servizio dei trasporti marittimo, come
traspare dalla presenza di rotte mediterranee nell’Itinerarium Maritimum,
aggiornato, secondo Giovanni Uggeri[15],
in epoca vandalica. Ma sono soprattutto gli assetti amministrativi provinciali,
le opere pubbliche e private, il persistente e diffuso fenomeno evergetico a
rivelare i segni di una continuità istituzionale e civica di longue
durée.
A ben guardare, Christian Courtois[16] nel noto saggio
<<Les Vandales et l’Afrique>>, alle due Afriche distinte da
un punto di vista propriamente geografico e territoriale, ne aggiungeva una
terza dal duplice volto di Giano che era: «une Afrique indépendant
et par conséquent berbère, mais en même temps une Afrique
dépositaire de biens de Rome: la vie urbaine et le Christianisme».
Ma poi precisava: «il faut aller au-delà de cette
détermination [...] il faut admettre la survie d’institutions
romaines». Notazione importantissima, quest’ultima, a cui fece
seguito l’altra altrettanto importante: «il n’est pas vrai
que les Vandales auraient ruiné l’Afrique»[17], che ha avuto un
notevole peso sull’orientamento degli studi successivi[18].
Courtois scriveva nel 1955, lo stesso anno
in cui Petit[19] pubblicava il suo
studio sulla vita municipale ad Antiochia: i due lavori analizzano
realtà lontane, diverse e complesse, l’una più ampia,
l’altra più circoscritta, comune in ogni caso la volontà
dei due di illustrare alcuni aspetti del processo di romanizzazione con gli
esiti [p. 1095] che noi tutti conosciamo. Da allora è trascorso
più di mezzo secolo. E l’idea della permanenza della civilisation
romaine in Africa, come pure quella di una visione più equilibrata del
periodo vandalico a favore di una continuità istituzionale ed economica
sono state sviluppate e approfondite in vario modo da Lepelley[20], da Duval[21] e da Yves
Modéran[22], per fare qualche
nome.
Lepelley,
inoltre, nel saggio The perception of Latin Roman Africa from decolonization to
the re-appraisal of Late Antiquity, scrive:
the transformations of the cities in late antiquity were both
deep-rooted and undeniable [...] the evidence of continuity appears
predominant, the regular operation of the traditional Roman municipal institutions,
the existence of a ruling class willing to take on burdens for the
administration of the cities and continue to dispense the usual largesse [...].
All of this was based on an ongoing economic prosperity[23].
Lo studioso non rimarca solo la
continuità istituzionale romana collegandola alla floridezza economica,
ma discute anche dell’influsso del cristianesimo sul processo di
romanizzazione dell’Africa tardoantica e dell’atteggiamento dei
Vandali nei confronti dei cristiani. Attenzione rivolge inoltre alle vicende
amministrative che in qualche misura hanno investito questa terra prima e
durante la conquista vandala.
Della dominazione vandala si sono occupati
in tempi più recenti tra gli altri anche Aiello[24]
e Castrizio[25], segnalandone aspetti
burocratici e finanziari che pongono la stessa non in opposizione, ma in linea
di continuità con quella romana.
Orbene: è proprio la
continuità istituzionale strettamente correlata alla prosperità
economica, che costituisce il fil rouge delle immagini dell’Africa che sto
per presentare. Sono immagini di diversa [p. 1096] origine e provenienza,
testimonianze iconologiche e giuridiche, rappresentazioni musive e monumentali,
sequenze letterarie che riproducono e/o descrivono l’Africa tra il iv e
il vi secolo.
Esse riflettono l’orientamento
politico e l’ideologia ufficiale dell’Impero d’Occidente e
del regno dei Goti che ad esso subentrò dopo il 476; rivelano il punto
di vista di autori africani e occidentali; nel loro insieme consentono di ridisegnare
il profilo di questa terra.
Si tratta di un profilo che, da una parte,
è il risultato dell’elaborazione di un modello ufficiale,
dall’altra, è espressione della complessa e variegata
realtà socio-economica coeva. Esso, inserito in un’ottica squisitamente
occidentale[26], è imperniato
sull’asse Cartagine-Roma e poi su quello Cartagine-Ravenna, e pur
proiettato in qualche caso sulla traiettoria di Costantinopoli, Nea Roma, vede
alla fine il ritorno alla città eterna.
Tale ritorno postulato anche da persistenti
temi e motivi pagani, rintracciabili nel perdurare, ad esempio, del flaminato e
del sacerdozio, viene fatto poggiare non solo sul recupero e sulla
conservazione delle tradizioni e delle istituzioni romane, ma anche sulla
massiccia ristrutturazione urbanistica di molte città realizzata dalle
comunità municipali, anzi dai notabili locali che così riescono a
mettersi nuovamente in gioco ponendo in evidenza se stessi e il loro status
sociale.
Renovatio, conservatorismo, recupero della Romanitas occidentale in una terra come
quella africana, la cui prosperità conobbe uno splendore eccezionale
sotto i Severi, quando Tertulliano con orgoglio poteva dire: ubique domus, ubique populus, ubique
respublica, ubique vita?[27]
Difficile trovare la risposta, ancor
più difficile scindere i tre aspetti della questione inseriti in una
sorta di ring composition che da Roma s’inizia e a Roma finisce.
Prendiamo le mosse dalle immagini
“africane”, affidate ai cosiddetti insignia[28] che,
com’è noto, accompagnano e corredano ogni [p. 1097] sezione di
quell’elenco di cariche che è la Notitia Dignitatum[29], la cui redazione
definitiva almeno per la parte occidentale si colloca nella prima metà
del V secolo[30]. Nelle illustrazioni
attinenti a funzionari dell’amministrazione civile africana, risultano
associati i simboli relativi alla prosperità con quelli inerenti a
funzioni amministrative. Sono presenti infatti oggetti che alludono a prodotti
e oggetti che evocano le prerogative dei funzionari interessati.
La prima illustrazione appartiene alla
sezione del prefetto del pretorio d’Italia e riguarda le diocesi poste
sotto la sua giurisdizione, una di esse è l’Africa, come emerge
dall’iscrizione che sovrasta la personificazione dell’unità
amministrativa. Siamo di fronte a una [p. 1098] figura femminile stante, con
nimbo, con un cesto nelle mani probabilmente ricolmo di monete o di prodotti
annonari. L’illustrazione successiva riguarda il proconsole
d’Africa e presenta degli importanti elementi simbolici. La Proconsolare
viene rappresentata da una figura femminile stante con nimbo e recante nelle
mani delle spighe. Il tavolo in alto a destra allude al potere giudiziario
esercitato dal proconsole vice-sacra; la tavoletta sovrapposta al tavolo
rappresenta il codicillo di nomina. Il treppiede o calamaio da cerimonia
composto da più registri reca in alto due figure di fronte che
potrebbero essere i due imperatori e simboleggiare l’unità
dell’Impero. Nella parte inferiore sono raffigurate due navi cariche di
sacchi di grano: evidente l’allusione alla prosperità economica
della provincia basata essenzialmente sulla produzione cerealicola.
[p. 1099] Anche gli insignia del vicarius Africae[31] presentano simboli
meritevoli di attenzione. Il tavolo in alto a destra rappresenta le prerogative
giudiziarie del funzionario che nella gerarchia burocratica viene collocato
dopo il proconsole; la tavoletta sovrapposta indica il codicillo di nomina,
l’iscrizione allude forse a una formula augurale o ricorda qualche
privilegio del vicario[32]. Nel [p. 1100]
registro inferiore sono raffigurate in ordine gerarchico le cinque province
sotto la sua giurisdizione, ancora una volta rappresentate dal busto femminile.
Nelle illustrazioni ricorrono segni e simboli attinenti a prodotti africani e
all’assetto amministrativo di questa provincia nella prima metà
del v secolo. Si tratta di una rappresentazione ufficiale dell’Africa,
elaborata dalla cancelleria occidentale dell’Impero romano e da essa
propagandata. Tale rappresentazione comunque si inserisce nel contesto delle
raffigurazioni dell’Africa provenienti da altri documenti di III e IV
secolo.
L’Africa sotto forma di figura
femminile circondata da fiere e [p. 1101] da simboli di prodotti o di risorse
ricorre in una rappresentazione musiva della villa del Casale di Piazza
Armerina[33]. Se questo mosaico,
come ha affermato Carandini[34] e come anch’io
ritengo, riproduce l’Africa di IV secolo, reputo interessanti alcuni suoi
elementi decorativi. Non entro in merito alla questione dei caratteri
stilistici, come pure dei dettagli artistici presi in considerazione sia da Carandini
che da altri specialisti[35]; noto solo che al
centro del mosaico c’è una donna seduta su di una roccia, che
dovrebbe essere l’Africa, con la parte bassa del corpo coperta da un
mantello che gira sulla spalla sinistra: con la mano destra abbraccia un albero
e nella sinistra tiene una zanna di elefante. Accompagnano la figura un
elefante, una tigre e una fenice, quest’ultima forse per simboleggiare
l’eternità dell’Impero di Roma.
Evidente l’allusione ai prodotti
dell’Africa, in questo caso costituiti dalle fiere che, come è
stato anche sottolineato da altri studiosi[36],
erano la risorsa principale dei giochi circensi sia sul posto che a Roma.
Prodotti africani sono raffigurati anche in una statuetta in [p. 1102] bronzo
del iii d.C., trovata a Lambaesis, che rappresenta l’Africa e si
caratterizza per la presenza di spighe e della cornucopia. Spighe e cornucopia
ricorrono, com’è noto, nella tipologia monetale imperiale a
corredo dell’immagine che rappresenta l’Africa[37]
e che qui tralascio.
Le spighe ritornano in un bassorilievo
proveniente da un sarcofago di tardo iii
secolo. In tunica e mantello, la figura femminile sulla destra ha la
testa sormontata dalla pelle di elefante, tiene nella mano destra delle spighe
in atto di deporle nel modio ai suoi piedi già pieno di spighe. Al di
sopra della figura l’iscrizione: [A]f[rica].
Le spighe e la zanna di elefante, insieme
ad altri attributi, costituiscono una costante della tipologia iconologica
africana; questi due simboli ricorrono anche in due differenti sequenze narrative
che dell’Africa ha lasciato Claudiano. Nel De bello gildonico[38] l’Africa
è rappresentata in atteggiamento triste e dimesso: appare nel cielo
stellato con le vesti strappate, le spighe gettate a terra, la zanna [p. 1103]
d’avorio spezzata, mentre invoca l’intervento di Giove contro
Gildone; preferisce essere inghiottita dal mare anziché finire sotto il
dominio del tiranno: si mihi Gildonem
– chiede a Giove – nequeunt
abducere fata / me rapit Gildoni. L’Africa qui viene definita tertia pars mundi; questa nozione
geografica correlata alla tradizionale tripartizione dell’ecumene ritorna
in Sidonio Apollinare[39].
Nel De
consulatu Stilichonis[40], invece,
l’Africa riconquistata da Stilicone, rientrata in possesso delle insegne
del potere, appare di nuovo in tutto il suo splendore con le spighe e la zanna
d’avorio (tum spicis et dente comas
inlustris eburneo et calido), pronta a esercitare l’attività
giudiziaria: ut fruar praesente
– essa dice – conscendentemque tribunal prosequar. Prodotti e
attività giudiziario-amministrativa sono ancora una volta ricordati
insieme.
Che l’Africa occupasse un ruolo di
primaria importanza nell’economia dell’Impero emerge anche dal
Codice teodosiano, in cui rimangono tracce significative della sua ricchezza e
dei suoi [p. 1104] prodotti, nonostante qualche studioso[41],
senza mettere in dubbio la tradizione sulla prosperità africana, abbia
tentato di ridimensionare la portata di talune costituzioni, vedendovi
situazioni ipotetiche più che reali. Io credo che tale giudizio possa
essere rivisto. Sono diverse le costituzioni del Teodosiano che menzionano
l’Africa e i privilegia accordati a questa zona dell’Impero
già a partire da Costantino e non legati necessariamente
all’insorgere di problemi economici. Riporto alcuni esempi: nel 319[42] si dispone che i
fondi patrimoniali imperiali dell’Africa siano esentati dai munera extraordinaria, dal momento che
si sa che essi pagano già auri
species et frumentum plurimum; nel 334[43]
i curiali d’Africa che avevano ricoperto il flaminato o il sacerdotium vengono esonerati dalla praepositura mansionum[44]. Nel 364[45] ai navicularii africani che trasportano
legna vengono riconfermati i privilegi riconosciuti in precedenza. Nel 377[46] si stabilisce che la
Proconsolare, a differenza di tutte le altre province che rinnovano il 25% dei
cavalli delle stazioni di posta, fornirà solo il necessario. Questa
esenzione va sicuramente correlata al rinnovamento del sistema produttivo
africano, allo spostamento dell’asse stradale dalle vie principali a
quelle secondarie, fenomeno attestato anche in Sicilia già sotto
Giuliano, e infine alla preferenza data dal punto di vista della circolazione
delle merci alle vie marittime fino all’epoca vandala. Ancora. Nel 410
viene ricordata l’Africae devotio[47]. Nel 414 viene
disposto l’allontanamento dall’Africa dei curiosi[48], una particolare
categoria di agentes in rebus
a cui erano affidati compiti di controllo cursuale, portuale e fiscale sia per
venire incontro soprattutto ai navicularii
che subivano spesso le loro prevaricazioni sia per agevolare le operazioni [p.
1105] commerciali. Nel 422 [49] viene ordinata la
registrazione nei breves[50] dei tributi
imponibili sui iugera della
Proconsolare e della Byzacena. Nel 428 la Proconsolare viene definita regina
delle province africane[51]: provincia quae omnium intra Africam provinciarum obtinet principatum.
Nel 429 si stabilisce che nessun possessor
africanus debba essere terrorizzato da un compulsor o da un opinator[52]. Nel 430 viene
accolta la richiesta di riaffidare ai curiali gli horrea della Byzacena[53]. Anche nelle novelle
di Valentiniano III, peraltro già studiate e commentate opportunamente[54], c’è
grande attenzione nei confronti dei possessores
africani in occasione dell’occupazione vandala. Penso che ciò sia
un’ulteriore prova della continuità di una tradizione a favore di
questa provincia, potremmo dire dell’antiqua consuetudo, di privilegi e immunità che risale ad epoca
costantiniana.
Vorrei segnalare comunque un comma della
nov. 13 di Valentiniano III, del 445, nel quale è testimoniato il
mantenimento della prassi amministrativa romana nelle province africane dopo
l’occupazione vandala. Infatti al prefetto del pretorio al quale la legge
è indirizzata si ordina di continuare a inviare in tali province i
funzionari abitualmente a ciò deputati e cioè, dux, consularis
e praeses, mentre si vieta
l’invio di curiosi litorum: un
utile e necessario intervento dal punto di vista amministrativo e commerciale?
Probabilmente sì.
L’immagine dell’Africa che
emerge dai testi legislativi esaminati non mi pare sia quella di una provincia
povera, devastata e abbandonata.
Ulteriori spunti sulla continuità
istituzionale romana e sulla prosperità africana emergono dalle opere di
alcuni autori africani. [p. 1106] Dell’amministrazione romana e della
tradizione circense troviamo tracce anzitutto nelle opere di Quodvultdeus[55]. Quest’ultimo,
nell’opuscolo Gloria sanctorum[56],
descrive la cerimonia di nomina dei proconsoli, che si svolgeva a Cartagine, e
che culminava nella proclamazione ufficiale dei governatori che avevano
preceduto il nominando, e il loro inserimento nell’albo, nel senso che
l’onesto veniva acclamato e iscritto all’albo, mentre il disonesto
era ricoperto di ingiurie. Era questa una messinscena del potere del
governatore provinciale che veniva indicata con l’espressione erat sollemnis dies albi citatio. Nel De
tempore barbarico[57], invece, egli si
chiede come il popolo in tempi così tristi possa continuare ad assistere
agli spettacoli del circo: in tantis
angustiis [...] cotidie frequentantur
spectacula et voces insanientium crepitant in circo. La sua riflessione
è interessante, perché riguarda una delle tradizioni romane
più radicate e ancora in vigore ai suoi tempi, quella appunto degli
spettacoli circensi. Questi ultimi sono infatti attestati nell’Anthologia
palatina, espressione di una fervida attività letteraria a Cartagine
durante il secondo periodo del regno vandalo. I segni di tale ripresa
cominciano a notarsi intorno agli anni ottanta del v secolo, quando nella
scuola di Feliciano Romani e Vandali leggono insieme i classici. Ma il
personaggio più rappresentativo del fervore letterario coevo, indicatore
di vitalità economica, è Lussorio[58],
il quale pare che dimorasse alla corte degli ultimi re vandali, anche se non
sappiamo con quali funzioni, pur essendo vir
clarissimus et spectabilis. Senza
entrare in merito alla questione se fosse cristiano o pagano e quali fossero i
suoi rapporti con i sovrani vandali, mi sembra assai [p. 1107] interessante
l’immagine della società cartaginese di cui egli dà uno
spaccato in alcuni epigrammi, nati come egli stesso dice in foro. Sono avvocati
che testimoniano il persistere dell’attività giudiziaria ad praetoria[59],
sacerdoti[60], oppure medici e
filosofi. In altri epigrammi sono descritti i giochi del circo[61] e gli anfiteatri. Nel
descrivere l’anfiteatro cartaginese Lussorio scrive: metuunt omnes sua fata ferae[62].
La tradizione circense di chiara matrice romana poteva essere mantenuta in
Africa solo in condizioni di prosperità; una prosperità a cui fa
riferimento lo stesso Lussorio nell’epigramma 350, allorché si
chiede se la terra africana è sterile e risponde fumantia vernat pascua, luxuriat gramine, cocta silex.
All’epigramma 346 invece affida due splendide immagini
dell’agricoltura e del commercio, le principali fonti dell’economia
africana: l’agrestis turba che arando spectat novos labores; e il nauta che videt de pelago gaudia mixta.
Fervidi di sviluppi interpretativi sono
infine gli indizi “africani” presenti in Ennodio e in Cassiodoro[63], ispirati entrambi
dall’ideologia dei re dei Goti[64]
che si erano fatti custodi della civilitas
[p. 1107] romana[65]. L’epistolario
di Ennodio[66] dà
un’immagine equilibrata dell’Africa vandala. Trasamundo[67] viene presentato come
piissimus dominus (epist. 4, 10); la
persecuzione dei cristiani, a cui si accenna nell’epist. 2, 14, non ha i
toni apocalittici usati da Vittore di Vita con devastazioni, confische e
torture. Ai vescovi africani perseguitati Ennodio suggerisce di continuare ad
essere testimoni di fede contro il nemico, forti del fatto che niente e nessuno
potrà togliere loro le infulae
del sacerdozio. Nell’epistolario, inoltre, viene dato ampio spazio ad
Agnellus[68], destinatario di
sette lettere (7, 4; 11; 15; 16; 26; 8, 20; 9, 19), oltre che del carme 2, 107.
Questi appare come un personaggio potente, influente e di primo piano, hominum potentissimus, vir sublimis, dominus,
non solo in Italia, ma anche in Africa, ove pare che abbia soggiornato a lungo,
come riferisce anche Cassiodoro. Che Agnellus fosse molto potente emerge da [p.
1109] un’altra lettera di Ennodio con la quale chiede al prefetto Fausto[69] di intervenire presso
di lui in favore di Opilione, affinché venga nominato prefetto
dell’Africa. L’esito della richiesta è positivo. Ancora.
Nella lettera 9, 19, Agnellus riceve le congratulazioni di Ennodio per il
conseguimento di summa honorum. Cosa dobbiamo intendere per summa honorum? La
comitiva sacrarum largitionum? Il
consolato? Il patriziato? Oppure un’altra carica di cui egli fu investito
dopo il suo viaggio in Africa, compiuto per rafforzare i rapporti di Teoderico
con Trasamundo? Jones[70] avrebbe pensato alla
carica di magister officiorum,
suggestione interessante, ma difficilmente dimostrabile.
Nelle Variae[71]
di Cassiodoro sono attestati i rapporti tra Ravenna e l’Africa. In esse
(1, 15; 1, 37; 4, 53; 5, 35; 5, 43; 5, 44; 9, 1; 11, 13; 12, 9) l’autore
appunta l’attenzione su alcuni funzionari teodericiani che hanno avuto a
che fare con l’amministrazione africana, come il potentissimo comes sacrarum largitionum Agnellus, inviato in Africa per cementare i rapporti
gotico-vandali; si sofferma sui rapporti tra il regno gotico e quello vandalo e
sulla loro fine, dopo la morte di Amalafrida; menziona la vendita in partibus Africae del frumento destinato
a Roma; discute di concessione di terre a stranieri emigrati dall’Africa.
Per l’assunto proposto mi sembrano degne di rilievo la lettera 4, 53 e la
11, 13. La prima, riguardante l’assunzione di un aquilegus[72], cioè di un
tecnico della ricerca dell’acqua proveniente dall’Africa, si
colloca nell’ambito dei rapporti di amicizia tra il regno gotico e quello
vandalico[73], la seconda è
un indicatore efficace dell’ottica orientaleggiante dei sovrani di
Ravenna[74]. Il richiamo alla
figura del cercatore d’acqua nella prima lettera consente a Cassiodoro,
com’è sua abitudine, di fare un excursus [p. 1110] sui metodi
dell’idroscopia con un’efficace rielaborazione letteraria. Nella
seconda lettera il Senato per suo tramite chiede l’intervento
dell’imperatore d’Oriente in Italia salutandolo come colui che ha
dato la libertà alla Libia[75], termine
quest’ultimo utilizzato per indicare l’Africa, si direbbe pars pro
toto. È Roma che si rivolge a Giustiniano, è Roma che trovandosi
in pericolo chiede all’imperatore di salvarla. In questa lettera
l’Africa e l’Italia appaiono insieme, e insieme guardano alla Nea
Roma, per la difesa della Roma eterna[76].
In conclusione, attraverso l’esame
combinato e articolato delle immagini dell’Africa desunte da varie fonti
si è tentato di ridisegnarne il profilo economico e istituzionale, un
profilo certamente meno catastrofico e più dinamico di quanto finora non
sia stato descritto, dato che anche questa parte dell’Impero, pur
privilegiata per risorse, ricchezze e prodotti, è stata investita da
episodi di corruzione e dal fenomeno della migrazione di popoli provenienti
dall’interno e dall’esterno. Tuttavia, pur costretta a confrontarsi
e scontrarsi con situazioni e realtà difficili, l’Africa ha
trovato in se stessa quella forza reattiva che altre parti dell’Impero
non hanno saputo o non hanno potuto mostrare.
[1] Le iniziative scientifiche
ed editoriali sono innumerevoli. Per un orientamento sui progressi degli studi,
cfr. gli Atti dell’Africa romana, giunti con l’odierno convegno
alla loro xvii edizione. Un quadro critico aggiornato del dibattito storiografico,
delle più recenti acquisizioni e delle attuali tendenze è in Cl. Lepelley, The perception
of Latin Roman Africa from Decolonization to the Re-appraisal of the Antiquity,
in C. Straw, R. Lim (eds.), The Past before Us. The Challenge of
Historiographies of Late Antiquity, (Bibliothèque Antiquité
Tardive, 6), Paris 2004, pp. 25-32.
[2] Ai resoconti degli scavi condotti da
missioni italiane e internazionali e pubblicati su riviste specializzate vanno
aggiunti gli studi relativi a siti e città dell’Africa, quali, ad
esempio, N. Duval, F. Baratte, Les ruines de Sufetula. Sbeitla, Tunis 1973; J. W. Hayes, Late Roman Pottery, London 1972; Id., A supplement to Late Roman
Pottery, London 1980; A. Mahjoubi,
Permanences et transformations de
l’urbanisme africain à la fin de l’Antiquité.
L’exemple de Belalis Maior, in 150 Jarh-Feier. Deutsches Arch. Inst. Rom.
1979, Roma 1982, pp. 77-83; R. Bruce
Hitchner, The Kasserine
Archeological Survey 1982-1986, «AntAfr», 24, 1988, pp. 7-41;
Id., The Kasserine Archeological Survey
1987, «AntAfr», 26, 1990, pp. 231-60; da ultimo J. Eingartner, Templa cum porticibus, Berlin 2005.
[3] La documentazione epigrafica è
abbondantissima; oltre alle numerose specifiche raccolte di iscrizioni relative
alle singole province, cfr. N. Ferchiou,
Un témoignage de la vie municipale
d’Athungni, in L’Africa romana vii, pp. 753-61; D. Pringle, The defence of Bizantine Africa from Justinian to the Arab conquest,
(BAR Int. Ser., 99), 2 voll., Oxford 1981; J.
Durliat, Les dédicaces
d’ouvrages de défense dans l’Afrique byzantine, Roma
1981; N. Duval, L’état actuel des recherches
sur les fortifications de Iustinien en Afrique, in XXX Corso di cultura
sull’arte Ravennate e Bizantina, Ravenna 1983, pp. 167 ss.; Y. Modéran, La renaissance des cités dans l’Afrique du VIe
siècle d’après une inscription récemment
publiée, in Cl. Lepelley
(éd.), La fine de la cité
antique et le début de la cité médiévale, Bari
1996, pp. 85-114; M. Khanoussi, A. Mastino (a cura di), Uchi Maius 1.
Scavi e ricerche epigrafiche in Tunisia, Sassari 1997; A. Ibba (a cura di), Uchi
Maius 2, Sassari 2006, con una ricchissima appendice epigrafica.
[4] J.
Divjak, Sancti Aurelii Augustini
Opera: Epistulae ex duobus codicibus nuper in lucem prolatae, rec. J. Divjak, CSEL, 88, Wien 1981; Oeuvres
de Saint Augustin, 46B, Lettres 1*-29*, nouv. éd. par J. Divjak, Institut d’études augustiniennes, Paris 1987.
[5] P.
Chiesa, Un testo agiografico africano ad Aquileia: gli Acta di Gallonio
e dei Martiri di Timida Regia, «Analecta Bollandiana», 114, 1996, pp.
241-68.
[6] Degne di rilievo sono soprattutto le
proposte interpretative di Y.
Modéran, L’établissement
territorial des Vandales en Afrique, «AntTard», 10, 2002, pp.
87-122; Cl. Lepelley, L’administration d’Afrique avant
la conquête vandale, ivi, pp. 61-72; V. Aiello, Che fine ha
fatto l’élite burocratica romana nel regno dei Vandali?, in R.
Lizzi Testa (a cura di), Le trasformazioni delle élites in età
tardoantica, Atti del Convegno Internazionale, (Perugia, 15-16 marzo 2004),
Roma 2006, pp. 15-40.
[7] Mi riferisco in particolare alle
testimonianze di ispirazione anti-ariana e di conseguenza anti-vandalica di
Vittore di Vita e di Fulgenzio di Ruspe, i quali hanno interpretato le vicende
dei Vandali in chiave negativa sottolineando la crudeltà e la ferocia con
cui essi perseguitarono i cristiani e principalmente i vescovi. Sulla posizione
dei due autori e relativa bibliografia cfr. Aiello, Che fine ha fatto
l’élite burocratica romana, cit., p. 16, note 3-6.
[8] L’estensione della proprietà
imperiale e dei latifondi privati in Africa è attestata da diverse
fonti, come, ad esempio, Plin., nat.,
18, 7, 35; Lact., mort. pers., 8, 3;
Vie de sainte Mélanie, éd. par D. Gorce (= SC, 90), pp. 169-70.
Negli atti della conferenza di Cartagine, 1, 4 (ed. S. Lancel), SC, 195, pp.
562-4, inoltre l’Africa è detta regni nostri maxima pars. Enorme la bibliografia
sull’argomento; impossibile una rassegna esaustiva; si ricordano pertanto
solo alcuni saggi, L. Cracco Ruggini,
Coloni e inquilini: «miseri et
egeni homines», «AARC», 8, 1990, pp. 199 ss.; E. Lo Cascio, Forme dell’economia imperiale romana, in Storia di Roma, ii. 2, Torino 1991, pp. 313-65; Id. (a
cura di), Terre, proprietari e contadini
dell’impero romano: dall’affitto agrario al colonato tardoantico,
Roma 1997; D. Vera, Conductores
domus nostrae, conductores privatorum. Concentrazione
fondiaria e redistribuzione della ricchezza nell’Africa tardoantica,
in Institutions, société et
vie politique dans l’Empire romain au ive
siècle ap. J.C., Actes de la table ronde autour de
l’œuvre d’André Chastagnol (Paris 1989), Rome 1992, pp.
465-90; A. Marcone, Storia dell’agricoltura romana. Dal
mondo arcaico all’età imperiale, Roma 1997; P. Rosafio, Studi sul colonato, Bari 2002.
[9] D.
Vera, Strutture agrarie e
strutture patrimoniali nella tarda Antichità: l’aristocrazia
romana fra agricoltura e commercio, «Opus», 2, 1983, pp.
489-580; Id., Simmaco e le sue proprietà: struttura
e funzionamento di un patrimonio aristocratico del iv secolo d.C., Colloque
gènevois sur Symmaque, Paris 1986, pp. 231-76; Id., Enfiteusi,
colonato e trasformazioni agrarie nell’Africa proconsolare del Tardo
Impero, in L’Africa romana iv, pp. 285-326. Per riferimenti e
paralleli tra l’Africa romana e altre zone dell’Occidente cfr. D. Vera, Paesaggi e insediamenti rurali del Meridione tardoantico: bilancio
consuntivo e preventivo, in G. Volpe, M. Turchiano (a cura di), Paesaggi e
insediamenti rurali in Italia meridionale fra Tardoantico e Altomedioevo, Atti
del Primo Seminario sul Tardoantico e l’Altomedioevo in Italia
Meridionale, (Foggia, 12-14 febbraio 2004), Bari 2005, pp. 75 ss.
[10] Dopo gli studi di P. Romanelli, Le
condizioni giuridiche del suolo in Africa, in I diritti locali nelle province
romane con particolare riguardo alle condizioni giuridiche del suolo, Atti
del Convegno Internazionale (Roma 1971), Firenze 1974, pp. 171-225 = In Africa
e a Roma. Scripta minora selecta, Roma 1981, pp. 319-63; Ch. R. Whittaker, Land and Labour in North Africa, «Klio», 60, 1978, pp.
331-62; cfr. D. Vera, Terra e lavoro nell’Africa Romana,
«StudStor», 29, 1988, pp. 967-92; E.
Caliri, Praedia pistoria e possessores africani in età vandalica: a proposito di Valentiniano iii,
Nov. 34, in L’Africa romana xv, pp. 1693-710. Sui rapporti
dell’Africa vandalica con la Sicilia, cfr. le notazioni di M. Mazza, I Vandali, la Sicilia e il Mediterraneo, «Kokalos»,
43-4, 1997-98, 1, pp. 118 ss.; E. Caliri,
Il cubiculario Lauricio e la gestione dei
praedia nella Sicilia di v secolo, Messina 2001; Ead., Il cubiculario
Lauricio. Squarci di storia agraria siciliana nel v secolo d.C.,
«MedAnt», vi, 1, 2003, pp. 429-68.
[11] Sulle città dell’Africa, cfr.
Cl. Lepelley, Les citès de l’Afrique romaine
au Bas-Empire, i-ii, Paris 1979-81; Modéran,
La renaissance des cités dans
l’Afrique du vie siècle, cit., pp. 85 ss.; sulla classe
curiale africana, oltre a Lepelley,
Les citès de l’Afrique
romaine au Bas-Empire, cit., pp. 243 ss., cfr. R. Soraci, Il curialato
nella legislazione di Onorio, «AARC», 13, 2001, pp. 537-604, in
part. p. 586 e nota 214; L. Di Paola,
I curiales nella legislazione di Valentiniano e Valente, in Le Code
Théodosien et l’histoire sociale de l’Antiquité
tardive, Neuchâtel 15-17 febbraio 2007, (cds.).
[12] Cfr. supra, nota 6.
[13] Cfr. i contributi di C. O. Tommasi Moreschini, Splendore e
ricchezza dell’Africa vandalica nel giudizio delle testimonianze
letterarie coeve, e V. Aiello,
La marina vandala e il commercio
mediterraneo, in questi stessi Atti, rispettivamente alle pp. 1073-80 e
1111-26.
[14] L. Di
Paola, La “reparatio
veredorum”: il caso della
proconsolare, in L’Africa romana xi, pp. 425-35.
[15] G. Uggeri,
Relazioni tra Nord Africa e Sicilia in
età vandalica, in L’Africa romana xii, pp. 1457-67; Id., Portolani romani e carte nautiche: problemi
e incognite, in G. Laudizi, C. Marangio (a cura di), Porti, approdi e linee
di rotta nel Mediterraneo antico, Galatina 1998, pp. 31-78, in part. pp. 52-6,
afferma che alcune rotte mediterranee presenti nell’Itinerarium Maritimum
rifletterebbero gli interessi politico-commerciali dei Vandali.
[16] . C. Courtois, Les Vandales et l’Afrique, Paris 1955, rist. Darmstadt
1964, pp. 65-91, 112 ss., 320.
[17] Ivi, p. 358.
[18] Cfr. ad es. Cl. Lepelley, Quelques
aspects de l’administration des
provinces d’Afrique avant la
conquête vandale, «AntTard», 10, 2002, pp. 61-72; Aiello, Che fine ha fatto l’élite
burocratica romana, cit., nota 6.
[19] P. Petit, Libanius et la vie municipale
à Antioche au ive siècle après J.-C., Paris 1955.
[20] Cl. Lepelley, Aspects de l’Afrique romaine. Les cités, la vie
rurale, le Christianisme,
Bari 2001.
[21] N. Duval, Influences byzantines sur la civilisation chrétienne de
l’Afrique du Nord, «REG», 401-3, 1971, p. xxvi; Id.,
Rapport, in Cl. Lepelley, Hommes et richesses dans l’Empire
byzantin, iv-viie siècle, i, Paris 1989, pp. 32-3.
[22] Modéran,
La renaissance des cités dans
l’Afrique du vie siècle, cit., pp. 100 ss.
[23] Lepelley, The perception of Latin Roman Africa,
cit., p. 30.
[24] V. Aiello,
I Vandali nel Mediterraneo e il problema
del limes, in L’Africa romana xv, pp. 723-40.
[25] D. Castrizio,
Per una rilettura del sistema monetario
vandalo (note preliminari), in L’Africa romana xv, pp. 741-56.
[26] Il punto di vista orientale è stato
preso in considerazione da G. Traina,
L’Africa secondo Costantinopoli: il
vi libro del «De Aedificiis» di Procopio di Cesarea, in
L’Africa romana vii, pp. 341-6.
[27] Tert., anim., 30, 3, cfr. Lepelley, Aspects de l’Afrique, cit., pp. 47 ss.
[28] Sulle
illustrazioni, oltre a E. Böcking,
Über die «Notitia
Dignitatum», Berlin 1834; Id., Notitia
Dignitatum, i, Bonn 1839, pp. 371 s.; O.
Seeck, Notitia Dignitatum et
Administrationum tam civilium quam militarium. Accedunt Notitia Urbis Constantinopolitanae et Laterculi provinciarum, Berlin
1876, rist. an. Frankfurt 1962; cfr. H.
Stern, Le Calendier de 354;
Étude sur son texte et ses illustrations, Paris 1953; E. Kitzinger, The Role of Miniature Painting in Mural Decoration, in K. Weitzmann et al., The Place of
Book Illumination in Byzantine Art, Princeton 1975, pp. 99-142; R. Grigg, Portrait-bearing Codicils in the Illustrations of the Notitia
Dignitatum, «JRS», 69, 1979, pp. 107-24; Id., Illustrations and Text in the lost Codex
Spirensis, «Latomus», 46, 1987, pp. 204-10; P. D. A. Harvey, The History of Topographical Maps: Symbols, Pictures and Surveys,
London 1980; H. Omont, Le plus ancien Manuscrit de la Notitia
Dignitatum, «MSAF», 51, 1980, pp. 225-44; P. G. Berger, The insignia of the Notitia Dignitatum: A Contribution to the Study of
Late Antique Illustrated Manuscripts, New York-London 1981; K. M. Jenerette, A re-Examination of the Insignia of the Notitia Dignitatum, University South-Caroline 1998; S. Maddalo, In Figura Romae. Immagini di Roma nel libro medioevale, Roma 1990; F. Kolb, Herrscherideologie
in der Spätantike, Berlin 2001; B. M.
Di Dario, La Notitia Dignitatum.
Immagini e Simboli del Tardo Impero Romano, Padova 2006, pp. 7 ss., ove
viene affrontato il problema dell’ermeneutica del simbolo.
[29] Cfr. E.
Böcking, Notitia Dignitatum,
I-III, Bonn 1839-53; Seeck, Notitia Dignitatum et Administrationum tam
civilium quam militarium, cit.; G. Clemente,
La Notitia Dignitatum, Cagliari 1968;
C. Neira Faleiro, Nueva Edición de la Notitia
Dignitatum y commentario historico, Madrid 2005, con utili riferimenti
bibliografici.
[30] Sulla cronologia del documento i pareri
degli studiosi sono divergenti, essendo legati gli uni alla tesi
dell’unitarietà e gli altri a quella della stratificazione.
Tuttavia l’ipotesi più convincente per la parte occidentale ci
sembra quella che considera il documento work in progress con aggiornamenti fino
alla prima metà del v secolo, periodo della redazione definitiva. Sulla vexata quaestio, cfr. Böcking, Ueber die Notitia Dignitatum, cit., pp. 1-32; Id., Notitia Dignitatum, cit., i, pp. 380
ss.; O. Seeck, Quaestiones de Notitia Dignitatum,
Berlin 1872, pp. 1-32; F. S. Salisbury,
On the date of the Notitia Dignitatum,
«JRS», 17, 1927, pp. 217-20; Clemente, La Notitia Dignitatum, cit., pp. 26
ss.; J. M. Ward, The Notitia Dignitatum,
«Latomus», 33, 1974, pp. 397 ss.; L. Di Paola, I curiosi e
la datazione della Notitia Dignitatum, «AAPel», 55, 1979, pp.
249 ss.; J. C. Mann, The Notitia Dignitatum: dating and survival,
«Britannia», 22, 1991, pp. 215 ss.; G. Purpura, Sulle origini
della Notitia Dignitatum, «ASGP», 42, 1992, pp. 469 ss.; M. E. Kulikowski, The Notitia Dignitatum as a historical source, «Historia»,
49, 2000, pp. 358 ss.; Neira Faleiro,
Nueva Edición de la Notitia
Dignitatum, cit., p. 589; da ultimo Di
Dario, La Notitia Dignitatum,
cit., pp. 23 ss.
[31] Su questo funzionario e sul suo ufficio
cfr. P. Barrau, À propos de l’officium du
vicarie d’Afrique, in L’Africa romana iv, pp. 79-100.
[32] L’iscrizione F. L/INTAL/COM.ORD./PR.
è stata variamente interpretata; Böcking,
Notitia Dignitatum, cit., i, p. 283,
propone F(oelix) l(iber) i(niunctus) t(ribunis) a l(aterculo) c(ontinens)
m(andata) o(rdine) p(rimicerii), oppure ritiene COMORD PR = c(ivitates) o(mnes)
m(aiestati) o(bediant) r(egiae) d(omini) p(opuli) r(omani); per Seeck, La
Notitia Dignitatum, cit., p. 52, nota 1, COMORD PR = c(ivitates) o(mnes) m(aiestati)
o(bediant) r(ecte) n(ostrae) d(ignitati); W.
D. Jr. Burguess, The Isaurians in
the Fifth Century, University Microfilms International, Ann Arbor
(Michigan) 1985, p. 58, propone la seguente lettura: FL(AVIVS) INTALL(ICVS)
COM(ES) ORD(INIS) PR(IMI); V. Marotta,
Liturgia del potere: documenti di nomina
e cerimonie di investitura fra principato e tardoimpero romano,
«Ostraka», 8, 1, 1999, pp. 148 ss., condivide quest’ultima
lettura; anche la Neira Faleiro, La Notitia Dignitatum, cit., n. 29, p.
589, accetta l’ultima proposta ma ritiene che la lettera F della prima
linea sia da sciogliere con floreas adducendo altri esempi. Per conto nostro
riteniamo più convincente l’ipotesi della Neira Faleiro.
[33] L. Di
Paola, Problemi cronologici e
decorazione musiva nella villa del Casale di Piazza Armerina,
«Messana», 3, 1990, pp. 281-7; Ead.,
Per la storia degli occhi del re. I
servizi ispettivi nella Tarda Antichità, (Pelorias, 12), Messina
2005, pp. 118 ss.
[34] A. Carandini,
La personificazione dell’Africa,
«Studi Miscellanei», 7, 1962, pp. 43 ss.
[35] B. Pace,
Arte e civiltà della Sicilia
antica, Genova-Città di Castello 1935-38, 2, pp. 185-6 (fig. 173),
ha visto in questa immagine la rappresentazione di una Ghe-Nubia; G. V. Gentili, I mosaici della villa romana del Casale di Piazza Armerina,
«BA», 37, 1952, pp. 33 ss., ritiene che si tratti della
personificazione dell’Africa o dell’Egitto.
[36] C. Gebbia,
Le ferae: una ricchezza dell’Africa, in questi stessi Atti, alle pp.
195-202.
[37] Monete di Adriano, di
Antonino Pio, di Settimio Severo, di Massimiano e di Costantino riproducono
spesso la testa o il busto dell’Africa secondo una tipologia ricorrente
(quale ad esempio la provincia capta, la provincia inginocchiata e la provincia
fidelis, o il tipo militare) e con attributi di pace e di dominio (excuviae
elephantis, proboscis, spighe, cornucopia, leone ecc.), cfr. LIMC, 1, s.v. Africa, pp. 250-5; 2, pp. 184-9, tavv.
1-56; anche M. Jatta, Le rappresentanze figurate delle province
romane, Roma 1908, pp. 9 ss., 51 ss.
[38] Claud., carm. 15, 135-60.
[39] Sidon., carm. 5, 56.
[40] Claud., carm. 22, ii, 256 ss.
[41] M. Cataudella,
L’economia africana del Basso
Impero: realtà di una crisi?, in L’Africa romana vi, pp.
373-85.
[42] CTh., 11, 16, 1.
[43] CTh., 12, 1, 21.
[44] Sulla prepositura, cfr. L. Di Paola, Viaggi, trasporti e istituzioni. Studi sul cursus publicus, (Pelorias,
5), Messina 1999, pp. 41 ss.
[45] CTh., 13, 5, 10.
[46] CTh., 8, 5, 34; cfr. Di Paola, La reparatio veredorum: il
caso della proconsolare, cit., pp. 429 ss.
[48] CTh., 6, 29, 11. Sui privilegi ai navicularii, cfr. L. De Salvo, Economia privata e pubblici servizi nell’impero romano, I
corpora naviculariorum, (Kleio, 5), Messina 1992, pp. 412 ss.; sul
provvedimento e sui curiosi cfr. Di
Paola, Per la storia degli occhi
del re, cit., pp. 45 ss.
[49] CTh., 11, 28, 13. Sul testo cfr. Cl. Lepelley, Déclin ou stabilité de l’agriculture africaine au
Bas-Empire?, «AntAfr», 1, 1967, pp. 135-44; Id., Les
cités, cit., I, pp. 31-3.
[50] Sui breves, cfr. L. Di Paola, Sull’uso dei ‘breves’ nell’amministrazione
romana tardoantica, in G. Lanata
(a cura di), Il Tardoantico alle soglie
del Duemila, Atti del v convegno dell’Associazione di Studi
Tardoantichi, Genova 1999, Pisa 2000, pp. 189-204.
[52] CTh., 11, 1, 34; sugli opinatores cfr. Soraci, Il curialato
nella legislazione di Onorio, cit., pp. 588 ss.
[53] CTh., 12, 6, 33.
[54] F. Elia,
Valentiniano iii, Catania 1999, pp. 76 ss.; Caliri, Praedia pistoria e possessores africani in età vandalica, cit., pp. 1698 ss.
[55] Sulle opere di questo vescovo e sulla
paternità delle stesse cfr. P. Schepens,
Un traité à restituer
à St. Quodvultdeus, «RecSR», 9, 1919, pp. 230-43; Id., Les œuvres de St. Quodvultdeus,
ivi, 13, 1923, pp. 76-8; M. Simonetti,
Studi sulla letteratura cristiana
d’Africa in età vandalica, «RIL», 83, ser. iii,
14, 1950, pp. 407-24; A. Nazzaro,
Promesse e predizioni di Dio, Roma 1989.
[56] Quodv.,
glor. sanct., 13, 15, in SC, 102, pp. 665-6.
[57] Quodv., temp. barb.,
1, 11, in CSEL, 60, p. 424; Lepelley,
Quelques aspects de
l’administration des provinces d’Afrique, cit., p. 61 e nota 1.
[58] Su Lussorio, oltre all’edizione
critica con commento di H. Happ, Luxurius, Text und Untersuchungen,
Kommentar, i-ii, Stuttgart 1986, cfr. gli studi di M. Rosenblum, Luxorius, a Latin poet among the Vandals, New York 1961; V. Tandoi, Luxoriana, «RFIC», 98, 1970, pp. 37-63; D. Romano, Letteratura e storia nell’età tardoromana, Ritratto di
Lussorio, Palermo 1979, pp. 223-51; F. Bertini
(a cura di), Luxoriana, Genova 2002;
M. Giovini, Ancora su Lussorio: lettura dei Carmi 292, 297, 312, 317, Shackleton Bailey, «Silvae di Latina Didaxis», 2000, 1, pp.
19-41; Id., Velut iocosa si
theatra pervoles, «Maia», 55, 2, 2003, pp. 325-59; Id., Studi su Lussorio, Genova 2004; Tommasi Moreschini, Splendore e ricchezza dell’Africa,
cit.
[59] Lux., anth. 350.
[60] Lux., anth. 303
[61] Lux., anth. 334-5; 353-54; cfr. inoltre G. Laville, La vita del circo ed altri spunti di realtà quotidiana negli
epigrammi di Lussorio, «AAP», 23, 1974, pp. 271-86.
[62] Lux.,
anth. 346; G. Uggeri, Per
l’iconografia della Cavaspina di Lussorio, «Annali della
Facoltà di Magistero dell’Università di Palermo», 1,
1968, pp. 8 ss.
[63] Su Cassiodoro cfr. L. Di Paola, I censitores provinciae Siciliae (Cassiod. Var. 9, 11; 9, 12), in
“Ad contemplandam sapientiam”, Studi di Filologia, Letteratura e
Storia in memoria di S. Leanza, Soveria Mannelli 2004, pp. 213-23, note 1-2; e,
soprattutto, A. Giardina, Cassiodoro politico, Roma 2006; V. Fauvinet-Ranson, Decor civitatis, decor Italiae, Bari 2006.
[64] Su Teoderico e sui Goti, oltre ai classici
lavori di W. Ensslin, Theoderic der Grosse, München 1947,
e di P. Lamma, Teoderico, Brescia 1951, cfr. E. Stein, Histoire du Bas-Empire, trad. fr. par J. R. Palanque, Paris-Bruges
1948, rist. Amsterdam 1968; P. Vaccari,
Concetto ed ordinamento dello Stato in
Italia sotto il governo dei Goti, in I Goti in Occidente, Settim. 3,
Spoleto 1955, Spoleto 1956, pp. 585 ss.; G. Vismara,
Romani e Goti di fronte al diritto nel
regno ostrogotico, ivi, pp. 409 ss.; M. Lecce,
La vita economica dell’Italia
durante la dominazione dei Goti nelle “Variae” di Cassiodoro,
«Economia e Storia», 3, 1956, pp. 354 ss.; L. Cracco Ruggini, Economia e società nell’Italia annonaria. Rapporti tra
agricoltura e commercio dal iv al vi sec. d. C., Milano 1961, rist. agg.
Bari 1995, pp. 205 ss.; Ead., Ticinum
dal 476 alla fine del regno gotico, in Storia di Pavia, i, Milano 1984, pp. 272
ss.; P. Scardigli, Die Goten. Sprache und Kultur,
München 1973; R. Soraci, Aspetti di storia economica italiana
nell’età di Cassiodoro, Catania 1974; Th. Bruns, A History of the Ostrogoths, Bloomington 1983; W. C. Schneider, Animal laborans, in CISAM, Spoleto 1983, Spoleto 1985, pp. 457 ss.,
in part. pp. 568 ss.; H. Wolfram,
Die Goten, Leipzig 1990; B. Luiselli, Storia culturale dei rapporti tra mondo romano e mondo germanico,
Roma 1992, pp. 700 ss.; B. Saitta,
La ‘civilitas’ di Teodorico. Rigore amministrativo,
“tolleranza” religiosa e recupero dell’antico
nell’Italia ostrogota, (Studia Historica, 128), Roma 1993, pp. 98
ss.; G. Coppola, Cultura e potere. Il lavoro intellettuale
nel mondo romano, Milano 1994, pp. 362 ss.; P. Stoffel, Über die
Staatspost, die Ochsengenspanne und die requirierten Ochesengenspanne. Eine Darstellung der römischen Postwesens
auf Grund der Gesetze des Codex Theodosianus und des Codex Iustinianus, Frankfurt
1994, pp. 157 ss.; Di Paola, Viaggi, trasporti e istituzioni. Studi sul cursus publicus, cit., pp. 104 ss.; Ead., Roma caput mundi e natalis scientiae sedes. Il recupero della centralità di Roma in epoca tardoantica,
in F. Elia, Politica Retorica e Simbolismo del Primato: Roma e Costantinopoli
(secoli iv-vii d.C.), in Atti del Convegno Int., (Catania, 4-7 ottobre 2001),
Catania 2002, pp. 140 ss.; M. Vitiello,
Teodorico a Roma. Politica,
amministrazione e propaganda nell’adventus dell’anno 500 (Considerazioni sull’“Anonimo
Valesiano II”), «Historia», 53, 2004, pp. 73-120; Giardina, Cassiodoro politico, cit., pp. 46 ss.
[65] P. Martino,
Gothorum laus est ciuilitas custodita (Cassiod. 9, 14, 18),
«Sileno», 8, 1982, pp. 31-45; A. Marcone,
A proposito della
“civilitas” nel Tardo Impero:
una nota, «RSI», 97, 1985, pp. 969-82; Saitta, La
civilitas di Teodorico, cit., pp. 102
ss.; Di Paola, Roma caput mundi e
natalis scientiae sedes, cit., pp. 135 ss.; E. Malaspina, La
civilitas romana nell’ottica delle
nazioni barbariche, «RomBarb», 2003-5, pp. 31-46.
[66] Per la bibliografia su quest’autore
si rinvia agli esaustivi riferimenti in F. Gasti
(a cura di), Atti della prima Giornata Ennodiana, Pisa 2001; S. Rota, Magno Felice Ennodio, Panegirico del clementissimo re Teoderico,
Roma 2002; L. Di Paola, Ennodio e l’Italia teodericiana,
in Atti del vi convegno internazionale dell’Associazione di Studi
Tardoantichi, (Napoli, S. Maria Capua Vetere, 29 settembre 2 ottobre 2003),
«Koinonia», 36-37, 2006-07, ii,
pp. 257-87, in part. p. 277, nota 13.
[67] Stein, Histoire du Bas-Empire, i, cit., pp. 456 ss.
[68] PLRE, 2, s.v. Agnellus, pp. 35-6.
[69] Ennod., epist. 4, 18.
[70] PLRE, 2, s.v. Agnellus, p. 35.
[71] A. Giardina,
Cassiodoro politico e il problema delle
Variae, in Teoderico il Grande e i
Goti d’Italia, Atti del xiii Convegno internazionale di Studi
sull’Alto Medioevo (Milano 1992), Spoleto 1993, pp. 45-73, ora in Id., Cassiodoro politico, cit., pp. 15-46.
[72] Cfr. ThLL, s.v. aquilex; CIL ii, 2694. Per la traduzione e il
commento di Var., 4, 53, riguardante
l’aquilegus, ringrazio il collega V. Neri per avermi dato la
possibilità di leggere il manoscritto dell’una e dell’altro,
facente parte di un progetto di traduzione e commento delle lettere di
Cassiodoro, coordinato da A. Giardina,
in corso di stampa.
[73] Ennod.,
paneg., 70; J. Moorhead, Theoderic in Italy, Oxford 1992, pp. 63 s.
[74] A. Gaudenzi,
Sui rapporti tra l’Italia e
l’impero d’Oriente tra il 476 e il 554 d.C., Bologna 1888, pp.
36 ss; P. Lamma, Oriente e Occidente nell’Alto
Medioevo. Studi storici sulle due civiltà, Padova 1968.
[75] A. Mastino,
R. Zucca, La Libia dai Garamanti a Giustiniano, in L’Africa romana xv,
pp. 1995-2024.
[76] Traina,
L’Africa secondo Costantinopoli,
cit., pp. 341 ss.