N. 8 – 2009 – Memorie//Africa
Romana
Università
di Bologna
Ai confini dell’impero: mausolei e
romanizzazione del Nord Africa
(pubblicato in L’Africa romana. Ai confini dell’Impero: contatti, scambi conflitti.
Atti del XV convegno di studio. Tozeur, 11-15 dicembre
Con la distruzione di Cartagine, avvenuta
nel
A tale fenomeno diede forte impulso
l’organizzazione delle nuove colonie e lo sfruttamento dei relativi suoli
attraverso la redazione, avvenuta nel 111 a.C., di una lex agraria[2], il cui obiettivo fu quello di [p. 422]
«fissare lo statuto delle terre d’Italia, di Corinto e d’Africa
dopo il fallimento della politica dei Gracchi e dare così nuovo impulso
alla loro vendita»[3]. Il Nord Africa fu così
interessato, fin da subito, da un largo afflusso di popolazioni, principalmente
italiche, le quali, attratte dalla generosa fertilità del suolo,
occuparono la nuova provincia come appaltatori dell’ager publicus, o come veterani stanziati su porzioni di ager adsignatus[4]. A questi due gruppi, si aggiunsero quelli
dei numerosi negotiatores, i quali dopo aver ottenuto dall’imperatore Claudio
la gestione privata del servizio dell’Annona, potenziarono le
esportazioni di prodotti agricoli verso Roma, consolidando un monopolio
già noto in età repubblicana[5]. L’Africa divenne così il
maggior fornitore di grano dell’Impero, garantendo all’Urbe la
copertura per i due terzi dell’anno[6]. Fu soprattutto attraverso la
promulgazione di nuovi strumenti legislativi, quali la lex Manciana[7] e la lex
Hadriana[8], che si ebbe un [p. 423] incremento
sostanziale nello sviluppo della produzione agricola[9], in particolar modo quella
dell’olivicoltura [10].
[p. 424] A questo nuovo ceto sociale
– composto principalmente da due classi: quella della ricca borghesia
municipale e provinciale, e quella dei ricchi proprietari fondiari – va
attribuita la quasi totalità dei mausolei della romanità
africana. Questi s’innalzano spesso in luoghi isolati, lontani dal
disordinato affollamento delle “vie delle tombe”[11] che caratterizza le altre province
dell’Impero, in zone extra-muros[12] o più frequentemente nelle borgate
rurali, dove il legame con il territorio e con le numerose attività
produttive è confermato dalla presenza di villae rusticae.
[p. 425] La visione di un’Africa
“romana” opulenta[13] si riscontra soprattutto tra i numerosi
“servitori” dello Stato, i quali più di altri ambirono
affermare in modo duraturo il ricordo del proprio rango sociale e con esso
quello del gruppo familiare cui si apparteneva. Fra questi individui ve ne sono
alcuni degni di nota, i cui monumenti funerari attestano, ancor prima dei loro
epitaffi, l’ascesa e le ambizioni di una nuova classe sociale che ottenne
la civitas Romana dopo aver trascorso
lunghi anni nei corpi ausiliari dell’esercito. Questi uomini
parteciparono attivamente al processo di romanizzazione delle regioni interne
semiaride, ricoprendo in taluni casi cariche pubbliche di primo livello, come
quelle municipali.
Famosa a tal proposito risulta essere la
vicenda dei Flavii, celebre famiglia di Cillium, vissuta tra la prima
metà del I sec. d.C. e la fine del II sec. d.C., la cui ricchezza
è da ricondursi alla gestione dei sacerdozi e delle magistrature presso
la colonia traianea di Thelepte[14].
Le iscrizioni funerarie che ricoprono la
facciata e parte del lato destro del mausoleo dei Flavii[15], informano delle importanti cariche
raggiunte da alcuni membri di questa ricca familia
e dei profondi legami che li unirono alle città di Cillium e di
Thelepte. In particolare in CIL VIII, 211 (27-29) si fa cenno
dell’importante ufficio assegnato, a titolo onorifico, alla giovane
Flavia Pacata, [p. 426] ultima discendente dei Flavii, come flaminicae perpetuae presso Thelepte. Sempre all’interno del
CIL VIII, 211 (23-25), si registra un altro flaminato, quello di T. Flavius
Secundus II, padre di Flavia Pacata, di cui tuttavia non è specificato
il luogo ove questi lo esercitò. Molto probabilmente Secundus II,
così come i suoi antenati, «gère ses prêtrises
à Cillium, comme on peut le déduire précisément de
l’absence de mention géographique»[16] all’interno del testo.
Sul lato destro del monumento, sopra un secondo
vano funerario, compare l’iscrizione di T. Flavius Receptus (CIL VIII,
216: 1-5). Questi risulta iscritto nella tribù Papiria; inoltre, dalla
stessa iscrizione [p. 427] apprendiamo che fu magistrato édile presso
l’aerarium di Thelepte.
Come si evince dalle iscrizioni del
mausoleo dei Flavii, s’intuisce l’importanza di una famiglia
indigena profondamente romanizzata, la cui civitas
Romana è da ricondursi a T. Flavius Secundus I[17], ex-veterano dei corpi ausiliari
dell’esercito, arricchitosi grazie al nuovo programma di sviluppo
economico e alle nuove tecnologie applicate in campo agricolo[18].
Non lontano dal monumento funerario dei
Flavii, nella stessa città di Cillium, si trova un secondo mausoleo, meno
grandioso se paragonato al precedente, ma allo stesso tempo rappresentativo
della politica di romanizzazione condotta da Roma nel Nord Africa. Si tratta
del mausoleo dei Petronii[19], altra famiglia di notabili, la cui
fortuna è da mettersi in relazione con la lunga carriera militare
dell’anziano M. Petronius Fortunatus[20], fondatore della stessa. Arruolato nel 172
d.C., come semplice recluta nella Legio I Italica di stanza in Mesia, Petronius
Fortunatus è stato in seguito librarius,
tesserarius, optio e signifer, per poi
essere promosso al grado di centurione[21] e prestare servizio in ben tredici legioni
diverse, compresa quella d’Africa.
La sua carriera dovette terminare con molta
probabilità intorno [p. 428] al 218-220[22] d.C., senza però accedere al
primipilato. Il mancato avanzamento non gli vietò tuttavia di occupare
una posizione di rilievo all’interno della società cillitana e di
riscattare il premio di congedo, con il quale, molto probabilmente,
riuscì a edificare il proprio monumento funerario.
Un’altra brillante carriera fu
certamente quella di C. Iulius Dexter[23], il cui mausoleo, una torre quadrata di
due piani, si trova a metà strada tra Theveste e Thelepte, nei pressi
dello Uadi Sidi Abid, non lontano da Bir Oum Ali[24]. [p. 429] Non sappiamo se il cursus di
Iulius Dexter fu rapido come quello d’altri notabili delle magistrature,
di certo abbiamo notizia che egli trascorse ventisei anni nell’esercito
come cavaliere di un’ala, curatore di squadrone, custode d’armi e
porta insegna[25]. Congedatosi dopo honesta missione con il grado di sottoufficiale di cavalleria[26], si guadagnò la massima
onorificenza nelle magistrature con la carica [p. 430] di duumvir presso la colonia di Thelepte. Il raggiungimento di tali
onori municipali permise a Iulius Dexter di partecipare in prima persona alla
formazione di quell’aristocrazia locale, assegnataria dei poteri di
controllo e vigilanza sulla ricchezza fondiaria. Non a caso la posizione del
suo monumento funerario rispecchia un andamento ideologico comune a molti notabili
e commercianti locali, i quali scelsero come ultima dimora il luogo ove ebbe
origine la loro fortuna economica.
L’edificio, chiamato dai locali con
l’appellativo di Souma el Kheneg, sorge in prossimità di una villa
rustica[27] e domina un vasto altipiano che si estende
fino alle porte di Theveste. L’intera regione doveva presentarsi come una
delle più fertili di tutto il Nord Africa. Prova, ne sono le preziose
testimonianze di una coltura redditizia su larga scala, caratterizzata da
un’alta concentrazione di torchi e impianti per la produzione
dell’olio[28].
Più a nord, nel sito di Ksar el
Ahmar, non lontano dalla colonia di Madauros, si trova il mausoleo eretto per
commemorare la figura di M. Anniolenus Faustus[29]. L’edificio si presenta come una
torre a pianta quadrata di due piani, il secondo dei quali occupato da
un’edicola funeraria priva di copertura. Sopra la falsa porta si nota una
grande iscrizione funeraria mutila[30], in cui sono incisi i nomi di alcuni
personaggi legati alla famiglia di Anniolenus, senza tuttavia porre alcun
accenno sulla natura della loro ricchezza, né tanto meno sugli incarichi
pubblici da loro esercitati. Tale lacuna è colmata da una seconda
iscrizione funeraria rinvenuta presso la città di Thagura, circa
I cornicularii,
durante l’epoca imperiale, erano assegnati al servizio [p. 431] di
legati, tribuni e prefetti. In parole povere essi erano assistenti fidati e
come tali svolgevano compiti di tipo funzionario presso i tribunali o gli
uffici amministrativi come i tabularia.
A un altro veterano sembra debba
appartenere il mausoleo a torre di Thuburnica[32], al confine tra Tunisia e Algeria.
L’attribuzione a Q. Anneus Balbus[33] é già da qualche tempo del
[p. 432] tutto ipotetica[34] poiché l’iscrizione
funeraria, nota fin dal secolo scorso, non fu ritrovata in prossimità
della sepoltura, ma a circa due chilometri di distanza, nei pressi dello Uadi
Endja[35]. Per di più nulla ci vieta di pensare
che essa possa appartenere a uno dei quattro monumenti funerari, le cui rovine
fiancheggiano la strada che da Thuburnica conduce a Ad Acquas[36].
Indubbio appare invece il trasferimento di
Q. Anneus Balbus, [p. 433] ex veterano della V Legio, nella nuova provincia
d’Africa durante le operazioni condotte da Cesare e la successiva
colonizzazione giulio-claudia. Tale considerazione è stata ampiamente
dimostrata dallo studio che il Lassère ha condotto sull’iscrizione
funeraria CIL, VIII 14697: «la graphie meiles et l’absence de
cognomen pour
Fra gli uomini che beneficiarono di elevati
privilegi, vi fu certamente C. Verrius Rogatus, triumvir quinquennalis[41] di Mactaris ancor prima della promozione
della città al rango di colonia, avvenuta alla fine del regno di Marco Aurelio,
tra il 176 e il 180 d.C.[42] La stessa menzione di un triumvirato
quinquennale come magistratura suprema della civitas, reca con sé memoria della precedente istituzione
punica dei sufeti. Tale indicazione è dimostrata da un’iscrizione
neopunica proveniente dal tempio di Hathor Miskar, datata agli inizi del II
sec. d.C., in cui al posto di due sufeti ne compaiono tre[43], secondo una tradizione attribuita ai
Numidi[44]. Questa mescolanza interessò
soprattutto gli istituti coloniali e municipali, favorendo
l’inquadramento di elementi locali nei ranghi più alti della
società mediante la latinizzazione dei nomi.
Il monumento funerario di Rogatus[45], uno dei più importanti [p. 434]
della colonia[46], risalente all’epoca Antonina[47], conferma l’influenza esercitata da
questi notabili locali, i quali detenevano una cospicua parte
dell’importante ricchezza fondiaria[48]. Il potere di controllo era quindi
esercitato da una ristretta cerchia di individui, i quali facevano parte di una
élite locale rappresentata, soprattutto nelle province, da una o due
famiglie dominanti.
Il cognomen
Rogatus, assai frequente in Nord Africa, compare sui mausolei di Gemellae (Sidi
Aïch), a poca distanza dal municipium
di Capsa, subito dietro al fossatum che
divideva le zone desertiche dai numerosi centri abitati. Entrambi i monumenti
rimandano alla forma più semplice della tipologia a torre,
caratterizzata da un forte sviluppo verticale e dalla copertura a piramide,
presente soprattutto nel sud della Tunisia e nella vicina Libia.
Sia quello di Iunius Rogatus[49], che quello Iulius Rogatus [50], presentano un corredo epigrafico poco
“generoso”, incapace di restituirci il curriculum di questi due
individui e delle loro famiglie. Di sicuro sappiamo che si tratta di due
cittadini africani che ricevettero la cittadinanza romana. Prova n’è
la latinizzazione del cognomen[51], il quale risulta fortemente
caratterizzato dal persistere di elementi linguistici punici. Per tanto
è ipotizzabile che i due mausolei risalgano al II sec. d.C., quando,
sotto Traiano molti cittadini ottennero, a seguito di una lunga carriera
trascorsa nelle fila dell’esercito, o tramite la conversione di una parte
della loro ricchezza in beni “onorevoli”, la cittadinanza romana[52].
In questo periodo, nella regione di Capsa
erano attive numerose [p. 435] fabbriche di ceramica[53], che producevano sigillata e contenitori
per l’olio. É molto probabile dunque, che i proprietari di questi
mausolei fossero degli imprenditori strettamente collegati a tali
attività produttive[54]. Inoltre la stessa città era
attraversata da un nodo stradale di fondamentale importanza per lo sviluppo
economico della regione predesertica, che collegava le città interne di
Theveste, Ammaedara o Thala al porto di Tacapes nella piccola Sirte[55].
I monumenti funerari di questi ricchi
individui sono perciò da considerarsi come vistose testimonianze di
quell’omogeneità culturale che [p. 436] caratterizzò
profondamente, a partire dall’epoca dei Flavii[56] e per tutta la durata del principato degli
Antonimi e dei Severi, la vita delle numerose borgate e dei territori interni
del Nord Africa. Le loro sagome disegnano un paesaggio fortemente antropizzato;
dove i fattori economici e insieme culturali segnarono, ancor prima di quelli
strategico-militari, il lungo processo di romanizzazione che vide affermarsi
una nuova élite locale nella gestione delle magistrature e nel controllo
delle grosse proprietà fondiarie. Numerosi sono a tal proposito gli
esempi di assimilazione del sistema onomastico del popolo conquistatore in
quello conquistato, come testimoniano i vari cognomina d’origine africana latinizzati come nel caso di
Verrius, Iunius e Iulius Rogatus. Altri [p. 437] invece, esprimono idee di
successo, fortuna, buona sorte[57] come quelli di Fortunatus, Faustus.
Ho pertanto voluto porre l’accento su
questi Neo-Romani[58] e sul prezioso ruolo che ciascuno di loro
ha esercitato all’interno del vasto programma di colonizzazione condotto
da Roma nel Nord Africa.
[1] Per una rassegna
sulle tematiche della romanizzazione : J. mesnage, Romanisation
de l’Afrique, Tunisie, Algérie, Maroc, Paris, 1913; T.R.S. broughton, The Romanization of Africa Proconsularis, Baltimore, 1929; R. syme, Tacfarinas, the Musulamii and Thubursicu, in Studies in Roman
Economic and Social History in Honor of A.-C. Johnson, Princeton, 1951, pp.
113-130 (= Roman Papers, I, Oxford, 1979, pp. 218-30); g.-ch.
picard, Les religions de
l’Afrique antique, Paris, 1954; ID., La civilisation de l’Afrique romaine, Paris, 1959; p. romanelli, Storia delle province romane dell’Africa, Roma, 1959; m. le glay, Saturne Africain, Paris, 1966; ID., Les Flaviens et l’Afrique, «MEFR» 80, 1968, pp. 201-46;
A. deman, Die Ausbeutung Nordafrikas durch Rom und ihre Folgen, «Jahrbuch für Wirtschaftgeschichte»
3, 1968, pp. 341-53; f. millar, Local Cultures in the Roman Empire: Libyan,
Punic and Latin in Roman Africa, «JRS» 58, 1968, pp.
126-34 ; h.-g. pflaum, La romansation de l’ancien territoire
de la Carthage punique à la lumière des découvertes
épigraphiques récentes, «AntAfr» 4, 1970, pp.
75-117; ID., La romanisation de l'Afrique,
in Akten des VI Internationalen Kongrresses für Griechische und
Lateinische Epigraphik, München 1972 (= Vestigia XVII), München,
1973, pp. 55-72; j. gascou, La politique municipale de l’Empire
romain en Afrique Proconsulaire de Trajan à Septime-Sévère,
Coll. E.F.R. 8, Rome, EFR, 1972; m.
benabou, La résistance
africaine à la romanisation, Paris, Maspero, 1976; ID., Les romains ont-ils conquis l’Afrique ?,
«AnnEconSocCiv» 1, 1978, pp. 83-8; j.-m. lassère, Vbique
populus. Peuplement et mouvements de population dans
l’Afrique romaine de la chute de Carthage à la fin de la dynastie
des Sévères
(
[2] CIL I, 200 = 12, 585
= FIRA 12, 8, lin. 77 et 81; t. mommsen,
Gesammelte Schriften, I, Berlin,
1905, pp. 96-145; ch. saumagne,
Sur la loi agrarie de 111, essai de
restitution des lignes 19 et 20, «RevPhil» 1, 1927, pp. 50-80; j. carcopino, Autour des Gracches: études critiques, Paris, 1928; p. romanelli, Storia delle province, cit.,
pp. 56-71; k. Johannesen, Die Lex agraria des Jahres 111,
München, 1971; j.-m. Lassère,
Vbique populus, cit., pp. 103-14.
[3] s.
bullo, Provincia Africa. Le
città e il territorio dalla caduta di Cartagine a Nerone, Roma,
2002, p. 20.
[4] g.-i.
luzzatto – g.-a. mansuelli,
Roma e le Province, in Storia di
Roma, 17, I/II, Istituto di Studi Romani, Bologna, 1985, p. 238.
[5] sallustio,
Bell. Iug., XXVI, I; j.-m. lassère, Vbique populus, cit., pp. 69-72, ivi
precedente bibliografia.
[6] s.
bullo, Provincia Africa, cit.,
p. 39; flavio giuseppe, Bell. Iud, II, 16, 4.
[7] CIL, VIII 25902 =
FIRA 100; j. carcopino, Sur quelques passages controversés du
règlement d’Henchir Mettich (CIL VIII, 25902), in Memorial R.
Basset, Paris, 1923, pp. 129-40; ID., Remarques sur la communication de M.
Charles Saumagne à propos de l’inscription de Jenan ez
Zaytoûna et de
[8] CIL VIII, 26416 =
FIRA 102; j. carcopino, La législation sociale
d’Hadrien interprétée à la lumière des
tablettes latines de l’époque vandale dites Tablettes Albertini,
Wiss. Zeitschr. der Univ. Leipzig, V, 1955-1956, pp. 403-5; a. piganiol, La politique agraire
d’Hadrien, Les Empereurs romains d’Espagne, Coll. C.N.R.S.,
Madrid-Italica, 31 mars – 6 avril 1964, Paris, 1965, pp. 135-46.
[9] Quanto al razionale sfruttamento delle
risorse agricole, contrariamente ad altre regioni dell’impero, le
province africane hanno restituito una documentazione epigrafica di
prim’ordine e non trascurabile quantitativamente: penso alle tavolette
Alberini, o alle cosiddette «grandes inscriptions» (CIL VIII, 10570
= ILS 6870 = FIRA 103; CIL VIII, 25902 = FIRA 100; CIL VIII, 25943 = FIRA 101;
CIL VIII, 26416 = FIRA 102), che ci fanno intravedere l’interesse
dell’autorità politica nel settore della messa a coltura di vaste
aree, cfr. c. vismara, L’organizzazione dello spazio rurale
nel Nord Africa, in L’Africa romana 12, Sassari, 1998, p. 53.
Altrettanto numerose sono le iscrizioni
funerarie nelle quali il defunto si gloria di aver ottenuto la sua ricchezza
con l’accurata amministrazione del latifondo. Indicativa in tal senso
è l’iscrizione proveniente dalla bassa valle della Medjerda (AE
1975, 883), nella quale si loda l’operosità di un conductor che
ripristinò la sua proprietà, il Fundus Aufidianus, nel modo migliore impiantando molti olivi. Allo
stesso modo celebre appare quella del mietitore di Mactar (CIL VIII, 11824 =
ILS 7457), il quale proprio grazie al lavoro agricolo acquistò un
vistoso patrimonio tanto da essere onorato con un seggio nel Senato locale. E
ancora quella del bonus agricola Q. Vetidio Giovenale di Thubursicum Numidarum (ILS 7742c).
Sull’iscrizione
di Fundus Aufidianus: j. peyras, Le Fundus Aufidianus: étude d’un grand domaine romani
de la ragion de Mateur (Tunisine du Nord), «AntAfr» 9, 1975, pp.
181-222; ph. leveau, L’agricola de Biha Bilta. A
propos d’une inscription récemment découverte dans la
région de Mateur,
«CahTun» 26, 1978, n. 101-102, pp. 7-13; d.-p. kehoe, The
Economics of Agricolture on Roman Imperial Estates in North Africa,
Hypomnemata 89, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1988, pp. 230-4; f. ghedini, L’Africa Proconsolare, in S. settis (a cura di), Storia di Roma, 3, II, Torino, 1992, p.
318; j. kolendo, La continuità delle strutture agrarie
in Africa romana?, in e. lo cascio
(a cura di), Terre, proprietari e
contadini dell’impero romano, Roma, 1997, p. 152.
Sull’iscrizione del mietitore di Mactar: p. desideri, L’iscrizione
del mietitore (CIL VIII, 11824): un
aspetto della cultura mactaritana del III secolo, in L’Africa romana
4, Sassari, 1987, pp. 137-49, ivi precedente bibliografia.
[10] Le regioni maggiormente interessate da
tale produzione furono quelle della Proconsularis settentrionale, in altre
parole quelle dell’alta e media valle della Medjerda fino a Madauros, la
regione compresa fra Capo Bon e Gabès e quella delle steppe, che da
Thelepte si estendono fino a Theveste. Per
[11] Per il Nord Africa sono da ricordare
quelle di Ammaedara e Thaenae nella Proconsolare, di Lambaesis e Timgad in
Numidia, di Cesarea e Tipasa in Mauretania: r.
cagnat, Guide de Lambèse, Paris, 1893, pp. 23-4, 46-7 et 61; Lt. barrier – lt. benson, Fouilles à Thina,
«BAParis», 1908, pp. 22-58, figg. 1-10; j. baradez, Tipasa.
Ville de Maurétanie, Alger, 1952, pp. 67-8; s. lancel, Tipasitana
IV. La nécropole romaine occidentale de
[12] n. ferchiou, Architecture funéraire, cit., pp.
128-9.
[13] Cfr. j.-m. lassère et alii, Les Flavii de Cillium. Étude
architecturale, épigraphique, historique et littéraire du
mausolée de Kasserine (CIL VIII, 211-216), Groupe de Recherche sur
l’Afrique Antique, Coll. E.F.R. 169, Rome, EFR, 1993, p. XII.
[14] CIL VIII, 211-216; j. toutain, Les cités romaines de
[15] AATun 2, feuille 48,
Kasserine, n. 92; j.-m. lassère,
Vbique populus, cit., p. 316, n. 30; g. hallier, Étude architecturale, in j.-m.
lassère et alii, Les Flavii
de Cillium, cit., pp. 37-58, figg. 3, 7-44, ivi precedente bibliografia; n. ferchiou, Histoire
antique et architecture dans
[16] m.-s.
bassignano, Il flaminato nelle
province, cit., p. 72; j.-m.
lassère et alii, Les Flavii
de Cillium, cit., p. 225.
[17] CIL
VIII, 211, 4 - 7.
[18] h. camps-fabrer, L’olivier et l’huile, cit.,
p. 27; r. bruce hitchner, The organization of rural settlement in the
Cillium-Thelepte region (Kasserine, central Tunisia), in L’Africa
romana 6, 1989, pp. 387-402; r. bruce
hitchner et alii, The Kasserine
archaeological survey 1987, «AntAfr» 26, 1990, pp. 231-60; R. bruce hitchner – d.-j. mattingly,
Ancient agriculture, cit., pp. 36-55;
r. bruce hitchner, Image and reality. Pastoralism in the
Tunisian High Steppe, in j. carlsen
ed., Landuse in the Roman empire,
«AnalRom» 22, 1994, pp. 27-43.
[19] t. shaw, Voyages de Monseigneur Shaw dans plusieurs
provinces de
[20] CIL VIII, 217 (= ILS 2658) – 218;
ILT 332.
[21] Sul centurionato di M. Petronius: ch. saumagne, «BAParis»,
1928-1929, p. 395; e. birley, Promotions and Transfer in the Roman Army.
II, The centurionate, «CarnuntumJb», 1963-1964 (= Römische
Forschungen in Niederösterreich, Beiheft 8, 1965), p. 23; v.-a. maxfield, The military Decorations of the Roman Army, Univ. of California
Press, 1981, pp. 198-9; j.-m.
lassère, Biographie
d’un centurion, cit, pp. 53-68.
[22] j.-m. lassère, Biographie d’un centurion, cit, p.
65.
[23] CIL VIII, 2094 ( =
ILA¹ 3834).
[24] AAAlg: feuille 40, Fériana,
p. 4, n. 99; l. de bosredon, Notice sur quelques monuments de
l’occupation romaine dans le cercle de Tébessa,
«RecConstantine» 16, 1873-74, pp. 54-5, pl. II, fig.
2; a. héron de villefosse,
Rapport sur une mission
archéologique en Algérie, «Archives des Missions
Scientifiques et Littéraires», 3ª série, 2, 1895, p.
494, n. 227; S. gsell, Les monuments antiques de
l’Algérie, 2, Monuments romains, Paris, 1901, pp. 90-1, n. 56;
p. Castel, Tébessa.
Histoire et description d’un territoire algérien, Paris, 1905,
fig. p. 66; a. berthier,
L’Algérie et son passé, Paris, 1951, pp. 90-1, fig. 51.
[25] A.
Berthier, L’Algérie,
cit., p. 91.
[26] S. Gsell, Les monuments antiques, cit., p. 91.
[27] L. De Bosredon, Notice sur quelques monuments, cit., p.
55.
[28] Sulla distribuzione di queste strutture
agricole, cfr. supra, nota 10.
[29]
AAAlger, feuille 19, El Kef, p. 5, n. 142; J.
Lewal, Les Romains dans le sud de
l’Algérie, «Revue Africaine»
2, 1857-58, pp. 288-94 ; S. Gsell,
Les monuments antiques, cit., p. 70,
fig. 96; J.M.C. Toynbee, Death
and Burial in the Roman World, Baltimore-London, 1971, pp. 138-9; J.-M. Lassère, Vbique populus, cit., p. 322, n.
109.
[30] CIL VIII, 4656 = ILA
I 1095; J. Lewal, Les Romains dans le sud, cit., p. 291.
[31] CIL
VIII, 4642 = ILA I 1027; J.-M.
Lassère, Vbique populus,
cit., p. 286.
[32] AATun, feuille 33, Ghardimaou, p. 1, n. 7;
Ch. Tissot, Géographie comparée, cit., p. 284; L. Carton – Chenel, Thuburnica, «BAParis», 1891, pp. 170-2, fig. 6; L. Carton, Fouilles
à Thuburnica en
[33] CIL VIII, 14697.
[34] N.
Ferchiou, Le mausolée
anonyme, cit., pp. 676-7; ID., Architecture
funéraire, cit., p. 112; S.
Bullo, Provincia Africa, cit.,
p. 148.
[35] R. Cagnat, Rapport sur une mission en Tunisie
(1881-1882), «Archives des Missions Scientifiques et
Littéraires» 11, 1885, p. 95, n. 169.
[36] L. Carton, Suite a l’épigraphie
funéraire de la colonia Thuburnica, «BAParis», 1915, pp. 209-21.
[37] J.-M. Lassère, Vbique populus, cit., p. 121 et 217.
[38] Ivi, p. 156.
[39] RE, s.v. Legio [ E. RITTERLING ], XII, 2,
1925, col. 1566.
[40] L. Teutsch, Das römischen Städtewesen in
Nordafrika in der Zeit von C. Gracchius bis zum des Kaisers Augustus,
Berlin, 1962, p. 17, n. 79.
[41] CIL VIII, 630 = 11827; G.-T. Temple, Excursion in the Mediterranean, cit., p. 344, n. 140; E. Pellissier, Lettre à M. Hase,
«RA» 4, 1849, p. 285; V.
Guérin, Voyage
archéologique, cit., p. 414, n. 184.
[42] G.-Ch.
Picard, Civitas Mactaritana,
«Karthago» 8, 1957, pp. 25-76; J.
Gascou, La politique municipale, cit., pp. 147-51.
[43] Ph. Berger, «Mémoires de l’Académie
des Inscription et Belles-Lettres» 36, 1896, p. 170.
[44] G.-Ch. Picard, Civitas Mactaritana, cit., p. 61.
[45] R. Cagnat, Rapport sur une mission en Tunisie
(1885), «Archives des Missions Scientifiques et
Littéraires», 2e série, 14, 1888, p. 58; G.-Ch. Picard, Civitas Mactaritana, cit., pp. 54-5, pl. XXI, b; ID., La chronologie et l’évolution
stylistique des monuments funéraires de Mactar (Tunisie),
«BAParis», 1965-66, n.s. 1-2, p. 159; N. FERCHIOU, Architecture
funéraire, cit., p. 114.
[46] J. Gascou, La politique municipale, cit., p. 151,
nota 5.
[47] G.-Ch.
Picard, La chronologie et
l’évolution, cit., p. 159.
[48] La ricchezza agricola della regione
è confermata dall’iscrizione del “mietitore” di
Mactar, cfr. supra, nota 9.
[49] H.
Saladin, Rapport sur la mission
faite en Tunisie de novembre 1882 à avril 1883, «Archives des
Missions Scientifiques et Littéraires» 13, 1887, pp. 131-4; S. Stucchi, L’architettura funeraria suburbana cirenaica in rapporto a quella
della chora viciniore ed a quella Libya ulteriore, con speciale riguardo
all’età ellenistica, «QuadAlibya» 12, 1987, pp.
278-9, fig. 62; N. Ferchiou, Architecture funéraire, cit., p.
115; ID., Histoire antique,
cit., p. 8, fig. 17.
[50] H.
Saladin, Rapport sur la mission,
cit., pp. 111-2; S. Stucchi, L’architettura funeraria, cit.,
pp. 278-9, fig. 62; N. Ferchiou, Architecture funéraire, cit., p.
115; ID., Histoire antique,
cit., p. 9, fig. 21.
[51] N.
Ferchiou, Histoire antique,
cit., p. 14.
[52] CIL VIII, 127; 143; 11232; J. Gascou, La politique municipale, cit., p. 90.
[54] Ferchiou, Architecture funéraire, cit., p.
115.
[55] P. Salama, Les voies romaines d’Afrique,
Alger, 1951, p. 26; J. Gascou, La
politique municipale, cit., pp. 90-1.
[56] M. Le Glay, Les Flaviens et l’Afrique, cit.,
p. 246.
[57] J.-M. Lassère, Vbique populus, cit., pp. 439-66.
[58] Ivi, p. 280.