N. 8 – 2009 –
Memorie//Africa-Romana
Università
di Messina
I Vandali nel Mediterraneo e la cura del limes
(pubblicato in L’Africa romana. Ai confini dell’Impero: contatti, scambi conflitti.
Atti del XV convegno di studio. Tozeur, 11-15 dicembre
Definire i modi attraverso i quali si
è realizzato l’insediamento dei Vandali nell’Africa
occidentale, individuare la loro «strategia mediterranea»[1], non è impresa
agevole. Ancora grave è, per molti aspetti, l’eredità del
pregiudizio antico nato dalla ostilità romana e cattolica verso un
popolo di invasori ariani[2], amplificato poi dalla
storiografica umanistica[3], per cui
l’azione dei Vandali appare quasi esclusivamente qualificata come
brigantaggio.
Infatti, nonostante che le ricerche degli
ultimi cento anni, a partire dai lavori di L. Schmidt[4]
e di C. Courtois[5] e grazie soprattutto
alle campagne di scavo effettuate negli ultimi decenni a Cartagine e negli
altri territori conquistati, abbiano decisamente mutato il quadro
interpretativo di queste vicende, ancora oggi i rapporti dei Vandali con i
territori esterni all’Africa, e soprattutto con l’Italia, appaiono
sottovalutati[6].
[p. 724] Un contributo alla identificazione
di quella ‘strategia’ credo possa venire dal tentativo di
individuare in primo luogo l’esistenza di un limes vandalo, inteso
ovviamente come sistema difensivo attuato a protezione di un territorio, e
quindi i modi in cui è stato realizzato e salvaguardato.
Partiamo dal trattato del 442 d.C.[7]; esso giungeva dopo
quello dell’11 febbraio del 435 d.C. - che aveva assegnato a Genserico,
come federato,
Al di là delle diverse interpretazioni
sul carattere istituzionale del nuovo insediamento[9],
quel trattato del 442 d.C., come ha scritto Courtois[10],
rappresenta in qualche modo la legittimazione della presenza vandala, che si
realizza presumibilmente nella Numidia orientale, nella Proconsolare, nella
Bizacena e nella Tripolitania occidentale[11].
Preoccupazione fondamentale dovette
certamente essere la tutela dell’integrità territoriale[12]. Significativa per i
Vandali era stata l’esperienza maturata nel corso della conquista dei
territori africani, soprattutto il lungo assedio di Ippona, protrattosi per ben
quattordici mesi[13].
[p. 725] Non fu certamente la sola. Narra
Vittore di Vita che quando i Vandali incontravano una città fortificata,
radunavano attorno alle mura una moltitudine di persone che venivano
successivamente uccise, al fine di appestare, con il fetore dei loro corpi, gli
assediati[14]. Al di là del
patologico gusto del macabro presente in tutta l’opera di Vittore,
traspare chiaramente la difficoltà dei Vandali, ma dei barbari in
genere, a porre in atto funzionali tecniche ossidionali.
Proprio in virtù di un tale limite i
Romani avevano potuto realizzare nelle terre di confine di un sistema di difesa
in profondità[15], funzionale a
spezzare e frammentare l’onda d’urto avversaria; tra III e IV
secolo la realizzazione o il rifacimento di cinte murarie presso città
di una qualche importanza, significava appunto costituire, in maniera forse non
sempre del tutto consapevole, una linea di difesa in profondità[16]. Anche l’Africa
ha conosciuto una simile strutturazione difensiva, con città fortificate
e fortezze che non precludevano però il passaggio; presidiata da un
esercito limitaneo di non grandi dimensioni, essa serviva più a regolare
il passaggio alle popolazioni dell’interno che ad impedirlo[17].
Che fine abbia fatto questa linea difensiva
durante il dominio vandalo non è facile a dire. Certo non è
accettabile la notizia di generalizzate distruzioni di centri abitati e
soprattutto delle mura che li circondavano, come riportato da Procopio, intenzionato
a mettere in cattiva luce i Vandali e a dimostrare come le loro azioni fossero
sempre improntate ad una pervicace volontà di distruzione[18] .
Tuttavia se da una parte ha trovato
conferma l’abbattimento delle mura di Sullectum[19]
e Hadrumetum[20] nella Proconsolare, e
forse di Tipasa[21] in Numidia,
dall’altro una cinta muraria rimase a [p. 726] Hippo Regius[22], a Cartagine[23] sulla costa e a
Thamugadi[24] nell’interno ai
piedi delle colline dell’Aurès occupate dai Mauri.
Un passo di Procopio è oltremodo interessante.
In esso[25] si afferma che
Genserico avrebbe, per precauzione, abbattuto le mura delle città
dell’Africa, eccetto Cartagine, giustificando una tale scelta con lo
scopo di non offrire al nemico, Romani o loro alleati che fossero, città
fortificate che potessero diventare loro presidi. Ciò – continua
Procopio – sembrava una saggia decisione al fine di garantire la
sicurezza dei Vandali, ma si sarebbe risolta in una beffa – afferma lo
storico – quando Belisario poté occupare facilmente quelle
città senza mura.
In realtà, al di là del
tentativo di deridere Genserico, e di fronte a precise testimonianze relative
alla persistenza di numerose città fortificate, emerge, credo, una ben
precisa strategia di Genserico, quella di tutelare il limes con il mantenimento di alcune città fortificate,
probabilmente poche, che potevano essere efficacemente presidiate dalle sue
truppe. Un tale impianto difensivo gli avrebbe permesso, con le forze a sua
disposizione, di attuare una efficace difesa in profondità e al contempo,
limitandone il numero, impediva al nemico di poterne utilizzare altre allo
stesso scopo.
Parallela a questa esigenza dovette essere
sentita anche quella di estendere questo limes sul mare. Decisiva fu certamente
la conquista di Cartagine e la cattura della flotta soprattutto commerciale che
in quel porto aveva base, come pure a Rusicade, Hippo Regius, Thabraca, Hippo
Diarrhytus, Neapolis, Hadrumetum, tutte località presso le quali
è attestata la presenza di flotte commerciali[26].
Una flotta fondamentalmente commerciale,
che venne poi incrementata da nuove costruzioni come ricordato da Vittore di
Vita, [p. 727] secondo il quale i vescovi cristiani esiliati in Corsica vennero
costretti a tagliare i tronchi necessari alla costruzione di navi pubbliche (naves
dominicae)[27]. Il possesso di
quelle navi da trasporto significava, quindi, assicurarsi una mobilità
che, in certo qual senso, compensava il non elevato numero di uomini in armi
che Genserico aveva a sua disposizione.
Nel 440 d.C. Genserico allunga lo sguardo
sulla Sicilia. Probabilmente l’attenzione dei Vandali per l’isola
si era già manifestata negli anni precedenti. Prospero Tirone narra di
azioni piratesche, con buona probabilità condotte dai Vandali, che,
iniziate nel 437 d.C. e protrattesi per l’anno successivo, si erano
indirizzate verso
Si tratta di un episodio molto importante;
se veramente fu opera dei Vandali - e in verità non c’è
motivo per pensare che altri ‘pirati’ potessero agire nel
Mediterraneo occidentale in quel momento - si potrebbe pensare che in quella
prima azione al di fuori delle coste africane, subito dopo il trattato del 435
d.C., lungo la rotta che portava in Italia, i Vandali non si siano limitati ad
una semplice razzia, ma abbiano avuto l’occasione di valutare
l’utilità di tenere la costa occidentale della Sicilia.
Nel corso di quella azione, infatti,
potrebbero essersi resi conto delle potenzialità - soprattutto difensive
a vantaggio dell’Africa - che
A queste azioni seguì
l’attacco portato nel giugno del 440 d.C. e protrattasi per alcuni mesi,
probabilmente sino all’autunno[30].
Si trattò di una azione molto violenta, condotta con ostinazione da
parte di chi, probabilmente, non era semplicemente interessato al saccheggio,
ma si rendeva conto del valore strategico di quei territori; una azione che non
interessò tutta la Sicilia[31], bensì la
costa occidentale e precisamente le città di Lilibeo[32]
prima e Palermo dopo.
L’assedio di Palermo, come testimonia
Idazio - peraltro interessato ad evidenziare una motivazione religiosa come
fondamento dell’azione vandala - fu lungo: Gaisericus Siciliam
depraedatus Panormum diu obsedit[33]; una tale
affermazione, pur tesa ad amplificare la resistenza degli assediati,
indubbiamente dichiara l’interesse dei Vandali per la conquista di
Palermo, come prima di Lilibeo, che non poteva certo dipendere dal furore
religioso anticattolico, come Idazio e gli altri cronisti vogliono
sottolineare, né tantomeno una operazione del genere poteva configurarsi
come un atto di saccheggio.
C’è in Genserico,
probabilmente, la consapevolezza del valore strategico di quei territori:
controllare Lilibeo significava controllare un avamposto difensivo importante,
collocata com’era la città, sulla rotta che congiungeva
l’Africa con Puteoli e quindi Roma[34],
quella rotta, ricordiamolo, lungo la quale il vescovo di Cartagine Quodvultdeus
cacciato da Cartagine raggiunse Napoli prospera navigatione, nelle parole di
Vittore di Vita[35]. Un’impresa, quella
del [p. 729] 440 d.C., che non aveva ambizioni territoriali, come credeva Pace[36], ma che era
probabilmente momento di elaborazione di un programma di difesa[37] e certamente di
controllo della rotta che da Cartagine portava all’Italia.
A conferma dell’importanza strategica
di quei luoghi, dai quali sarebbe potuto venire il pericolo per i Vandali,
è il fatto che una forte armata fu inviata nel 441 d.C. da Teodosio II
in Sicilia per rispondere alle richieste di aiuto di Valentiniano III, armata
che tuttavia abbandonò ben presto l’isola richiamata dalla
necessità di affrontare da una parte Attila che aveva invaso Tracia e
Illirico[38] e dall’altra
per fronteggiare la minaccia persiana[39].
Nella notizia di Prospero Tirone[40], già alla fine
del 440 d.C. Genserico aveva lasciato
[p. 730] In realtà ci è
ignota l’estensione dell’azione di Genserico; non sappiamo se oltre
Lilibeo e Palermo vennero interessati altri centri dell’isola. È
vero che Valentiniano III, secondo una costituzione lacunosa comunemente datata
al 440/441 d.C., concesse in considerazione della barbarica vastitas la
riduzione ad un 1/7 del canone tributario dovuto dai Siculi possessores,
compresi quanti risiedevano nelle circumiectae insulae[45];
in realtà non sappiamo con certezza se le disposizioni di Valentiniano
siano riferibili agli avvenimenti del 440 d.C. - concentrati nei luoghi - o se
piuttosto siano da riferire alle azioni del 438 d.C.[46],
allorquando, come notava Prospero, furono devastate dai pirati multae insulae
fra le quali
Torniamo al trattato del 442 d.C. Procopio
ce ne ha conservato una clausola importante, che prevedeva il versamento
annuale di tributi dall’Africa e l’invio del figlio di Genserico,
Unerico, quale ostaggio a Roma[47]. Superata ogni
perplessità sul fatto che queste clausole si riferiscano al trattato del
442 d.C. e non a quello del 435 d.C.[48],
appare interessante l’ipotesi secondo cui Procopio definisce [p. 731]
tributo (dasmo@v) quella che dovette essere probabilmente una sorta di garanzia
dell’esportazione di grano verso Roma[49].
In realtà Genserico, nella stipula
di quel trattato, aveva agito probabilmente da una posizione di forza. Esso
giungeva a tre anni di distanza dalla conquista di Cartagine e a due anni dall’attacco
a Lilibeo e Palermo, dopo cioè che erano state dimostrate in concreto le
potenzialità militari dei Vandali; dalla parte opposta Valentiniano,
privo, in quel momento e in quel contesto, di forze militari sufficienti[50] non aveva potuto fare
altro che emanare
Una posizione di forza quella tenuta da
Genserico quando stipulò con Valentiniano III il trattato del 442 d.C.,
che fu resa esplicita anche dalla promessa di legame matrimoniale tra Unerico e
la piccola Eudocia, figlia di Valentiniano, presentata però da Procopio
nei termini di cui si è detto, con Unerico ostaggio di Valentiniano, al
fine di permettere all’Occidente di salvare la faccia, secondo la felice
formulazione di Clover[51].
Certo la situazione a Roma e in Italia era
grave. La perdita del grano della Proconsolare, solo in parte compensato da quello
proveniente dalle altre province africane, dalla Sicilia e dalla Sardegna,
doveva aver messo in grosse difficoltà l’economia della penisola.
Già nella primavera dello stesso 440 d.C., quando il quadro della
situazione africana appariva già compromesso, Valentiniano aveva abolito
il divieto per i mercanti greci di stabilirsi a Roma, una misura che è
apparsa motivata dalla volontà di assicurare l’approvvigionamento
alimentare della città[52].
Risulta difficile stabilire in quale
quantità e per quanto tempo [p. 732] Genserico abbia continuato a
rifornire Roma, e soprattutto è difficile stabilire con esattezza cosa
sia accaduto della proprietà romana nei territori soggetti ai Vandali.
Procopio, in un passo molto noto[53], narra che Genserico
aveva ridotto in schiavitù tutti i Romani più in vista per
autorità e ricchezza, attribuendo i loro beni ai suoi figli. Avrebbe
anche tolto le terre agli altri Romani, terre vaste e fertili, e le avrebbe
distribuite alla popolazione vandala, immuni da ogni contribuzione fiscale; lo
storico ammette, tuttavia, che non tutte le terre vennero divise fra i Vandali:
alcune (quelle meno produttive) rimasero ai rispettivi proprietari, anche se
gravate da una pesante tassazione.
Tuttavia, se da alcuni è stata
considera attendibile l’ampiezza di queste requisizioni, anche di recente
ne è stata ridimensionata la portata[54],
a fronte del fatto che molti proprietari rimasero in possesso delle loro terre,
che, come dimostrato dalle <<Tablettes Albertini>>[55], conservarono il
precedente regime giuridico romano. Per questo appare ipotizzabile che
l’attività agricola nell’Africa vandala rimase per buona
parte attiva, con una significativa produzione di grano ed orzo, e poi
certamente di olio e vino[56].
L’indagine archeologica ha mostrato
come la diffusione di ceramica fine da mensa realizzata in sigillata africana,
ben testimoniata nel bacino del Mediterraneo, assieme a quella dei nuovi
contenitori per il trasporto delle derrate, come le anfore cilindriche di
grandi dimensioni, siano il segno di un dinamismo produttivo e di una
intraprendenza commerciale che in piena età vandala contraddistingue i
territori africani, che evidentemente sono in grado di avere un surplus di
prodotti da destinare all’esportazione; una vitalità commerciale
certamente inferiore a quella che si riscontra sino alla fine del IV e agli
inizi del V secolo d.C. ma che continua ad apparire significativa[57].
[p. 753] La stessa politica monetaria
africana - largamente basata sull’argento e sul bronzo, nell’ambito
di una protetta circolazione interna, ma che raccoglie l’oro dai
territori romani[58] - è indizio di
una consistente politica di esportazione[59].
Una intensità di rapporti economici,
e presumibilmente di forniture alimentari, che però subì una
riduzione nella seconda metà del V secolo d.C., allorquando un
incremento nel flusso di derrate alimentari, soprattutto olio, di provenienza
micro-asiatica e siro-palestinese comincia ad essere significativamente
attestato verso Roma[60].
Tutto questo naturalmente non significa che
per Roma e per l’Italia nulla fosse cambiato. Non sappiamo in che termini
Genserico abbia regolato questo flusso di merci e soprattutto di grano verso
Roma e l’Italia. Certamente la situazione alimentare dovette divenire
grave, come testimonia
Certamente una evoluzione nella politica di
Genserico si ebbe nel 455 d.C. dopo la morte di Valentiniano III. La scomparsa
dell’ultimo erede della dinastia teodosiana e l’assunzione del
potere da parte del senatore Petronio Massimo, capo dell’opposizione a
Valentiniano, era ragione più che sufficiente per far comprendere a
Genserico che si era rotto il fragile accordo fra Romani d’occidente e
Vandali[63].
[p. 734] L’azione compiuta da
Genserico il 2 giugno 455 d.C. con il saccheggio di Roma e il sequestro
dell’imperatrice Edossia assieme alle figlie Eudocia e Placidia[64] - una azione
drammatica, che peraltro ricevette non grande attenzione dai cronisti
costantinopolitani[65] - non dovette,
presumibilmente, perseguire soltanto un fine economico[66],
quanto piuttosto quello di effettuare una dimostrazione di potenza, nei modi in
cui Genserico era nelle condizioni di fare.
Interessante è infatti la notazione
che possiamo leggere in Prospero, secondo il quale ad essere portati via da
Roma furono migliaia di prigionieri, selezionando però quique aut aetate
aut arte placuerunt, e dunque operando una accurata scelta[67].
Genserico non si fermò a questo:
diede inizio ad una serie di azioni a lungo raggio lungo quattro diverse direttive:
occupazione dei territori africani che erano rimasti soggetti a Roma, attacco
alla Sardegna, alla Corsica, alle Baleari, ad Ibiza, attacco alla Sicilia
meridionale sino allo stretto di Messina e all’Italia meridionale[68], attacco
all’Illirico, al Peloponneso, al resto della Grecia[69];
un’attività che appare sostanzialmente confermata anche da un
passo di Vittore di Vita[70]. Si tratta,
ovviamente, di azioni che ebbero luogo in tempi diversi, con esiti diversi[71] e che non portarono
certamente ad ampie conquiste territoriali.
Per
Al di là di questo, emerge, a mio
parere, un dato interessante. [p. 736] Le direttrici lungo le quali si muovono
le azioni vandale dopo il 455, al di là dell’espansione nei
territori africani, sono sostanzialmente due.
Una è la direttrice Sardegna,
Corsica, Baleari, che occupa punti strategici su alcune rotte del mediterraneo
occidentale: una era quella che dalla Spagna (Cadice, Nova Carthago) attraverso
le Baleari raggiungeva le Bocche di Bonifacio e poi
L’altra direttrice delle azioni
vandale è rappresentata da Sicilia, Italia meridionale, Illirico,
Peloponneso, Grecia; una direttrice che segue perfettamente la rotta segnalata
dall’Itinerarium Maritimum, che mette in comunicazione l’Africa con
la provincia di Achaia attraverso
Al centro di queste due direttrici è
[p. 437] Certo, le azioni vandale si
muovevano lungo quelle che erano le rotte note, che erano anche, però,
le direttrici lungo le quali le merci africane continuano a muoversi lungo
tutto il V e VI secolo d.C.[82]. Appare possibile,
quindi, ipotizzare che le azioni di Genserico, che agli occhi dei Romani non
potevano che apparire come razzie e saccheggi - perché anche questo
dovettero essere - rispondessero nello stesso tempo ad altre esigenze,
certamente quella di costituire un limes marittimo e forse, contemporaneamente,
quella di garantire il controllo delle rotte commerciali.
Si trattava di una linea difensiva in
profondità nel Mediterraneo, che vedeva come fulcro
Controllare quelle rotte, costituire
lì un limes marittimo significava certo realizzare una politica di
blocco economico dell’Italia e delle province che dal Mediterraneo
traevano linfa vitale[87]; ma forse c’era
anche l’intento di controllare quei mercati imponendo le proprie merci,
che, ricordiamolo, continuano a percorrere quelle rotte.
Come osservava Giunta, Genserico - che come
molti capi barbari rifuggì da miraggi imperialistici a favore di una
politica concreta, [p. 738] attuata però, aggiungo, in modo
spregiudicato - non mirava alla conquista dell’impero, bensì ad
impedire che Roma potesse riprendere possesso dei territori africani[88]. Era sostanzialmente
una politica di difesa, messa in atto però da un numero limitato di
uomini (in 80.000 circa di cui
Proprio lo strumento principale per un
controllo delle coste e dei mari, una consistente flotta da guerra, forse non
è mai stata nelle disponibilità dei Vandali, che peraltro ben
difficilmente in poco tempo avrebbero potuto acquisire le tecniche proprie
della guerra sul mare. Quella che ebbero a disposizione fu una flotta composta
da navi commerciali, in buona sostanza quella presente nei porti africani[90]. La controprova, come
è stato notato[91], è nel fatto
che nel 468 d.C. la flotta di Basilisco sia stata affrontata non con navi da
guerra, bensì piccole lance infiammate.
Un limes mediterraneo che venne realizzato
e protetto in forme forse non ortodosse. Procopio racconta che, dopo la morte
di Valentiniano III, ogni anno i Vandali con l’aiuto di altre popolazioni
africane dell’interno (definite genericamente Mauri), all’inizio
della primavera facevano incursioni in Sicilia e in Italia, da alcune
città prendendo schiavi tutti gli abitanti, altre radendole al suolo, e
saccheggiando in ogni dove[92].
Ciò che appare singolare è la
sistematicità delle azioni (ogni anno) e il periodo (la primavera) in
cui si svolgono. Certo, ciò è [p. 739] da porre in relazione alla
opportunità di una agevole navigazione offerta dalla buona stagione[93]; tuttavia se tali
azione miravano esclusivamente al saccheggio, si svolgevano nel periodo
sbagliato perché l’oggetto delle spoliazioni, presumibilmente
prodotti agricoli, in primavera erano lungi dall’essere disponibili.
Tali azioni potevano invece avere lo scopo
di disturbare le produzioni, di danneggiare le coltivazioni, in maniera tale da
tenere sotto un giogo durissimo le popolazioni italiche e Roma, ma soprattutto
Che questi saccheggi avessero una funzione
‘politica’ traspare da una notizia di Prisco[94],
secondo il quale nel 461 d.C. Genserico intensificò il saccheggio
dell’Italia e della Sicilia allo scopo di sostenere al seggio imperiale
Olibrio, sposo di Placidia, sua ospite in Africa[95].
Un limes marittimo che aveva
Nel 477 d.C. moriva Genserico; moriva colui
che non fu certamente «il pirata descritto dai cronisti bizantini»[97] bensì il capo
barbaro con decisione e in maniera spregiudicata, coerente e continua[98], riuscì a
creare, con gli strumenti a propria disposizione, uno Stato autonomo in Africa e
a controllare tutto il Mediterraneo occidentale, un mare che prima i Goti e poi
i Germani non senza ragione potevano chiamare in antico tedesco Wentilseo, Mare
Vandalo[99].
[1] La definizione è in M. Mazza, I Vandali,
[2] Cfr., fra gli ultimi, le osservazioni di P. Delogu, Un bilancio delle ’invasioni’, in Le invasioni
barbariche nel meridione dell’impero: visigoti,
vandali, ostrogoti. Atti del Convegno svoltosi alla Casa delle Culture di
Cosenza, 24-26 luglio 1998, Soveria Mannelli (CZ) 2001, pp. 377-88.
[3] Cfr. le osservazioni di C. Bourgeois, Les Vandales, le vandalisme et l’Afrique,
«AntAfr» 16, 1980, pp. 213-28 e Mazza,
I Vandali cit., pp. 118-20.
[4] L. Schmidt, Geschichte der Wandalen, München
19422; Histoire des Vandales, Paris 1953.
[5] Chr. Courtois, Les Vandales et l’Afrique, Paris 1955.
[6] C.
Azzara, L’Italia dei barbari,
Bologna 2002, spec. p.37, dove ai vandali di Genserico sono dedicate appena
sette righe, nelle quali si pone l’accento esclusivamente
sull’attività piratesca che partiva da diverse basi del
Mediterraneo.
[7] In generale cfr. F. Ausbüttel, Die Verträge zwischen den Vandalen und
Römern, «RomBarb» 11, 1992, pp. 1-20.
[8] Cfr. Courtois, Les Vandales, cit., pp. 171-85. Si vedano anche le osservazioni di E. Stein, Histoire du
Bas-Empire, par J.-R. Palanque, Paris 1959, I, pp. 319-25. Sul valore
simbolico della conquista di Cartagine cfr., fra gli ultimi, N. Duval, Les systèmes de datation dans l’Est de l’Afrique du
Nord à la fin de l’Antiquité et à
l’époque byzantine, «Ktema» 18, 1993, pp.189-211.
[9] Non è mia intenzione discutere in
questa sede un problema molto dibattuto, che vede, da una parte, quanti
ritengono che i Vandali abbiano costituito uno stato del tutto autonomo e
quanti, invece, li considerano semplici foederati alla stregua della altre
popolazioni barbariche insediatesi sul territorio romano. Per un aggiornato
esame del problema cfr. Y.
Modéran, L’établissement
territorial des Vandales en Afrique, «AntTar» 10, 2002, 87-122.
[10] Courtois, Les Vandales, cit., p. 173.
[11] Sulla precarietà delle nostre
informazioni a proposito dei reali confini del regno vandalo cfr. Y. Modéran, Les frontières mouvantes du royaume vandale, in
Frontières de l’Afrique du Nord antique, Paris 1999, pp. 241-63.
[12] Cfr.
H.-J. Diesner, Grenzen und Grenzverteidigung
des Vandalenreiches, in Studi in onore di E. Volterra, 3, Milano 1971, pp.
481-90.
[13] Possid. Vita Aug. 28,12. Cfr. Courtois, Les
Vandales, cit. , p. 163.
[14] Vict. Vit., 1,9.
[15] Sulla definizione cfr. E. N. Luttwak, La grande strategia dell’impero romano, tr. it. Milano 1986,
pp. 171 ss.
[16] E.
Gabba, Le strategie militari, le
frontiere imperiali, in Storia di Roma, 4, Torino 1989, pp. 487-513, spcec.
pp. 509-10.
[17] C.
Daniels, Le Frontiere. Africa,
in J. Wacher (a cura di), Il mondo di Roma imperiale, Roma-Bari 1989, pp.
147-295, spec. p. 295.
[18] Proc., Vand., 1,5; 15; 21.
[19] Proc. , Vand., 1, 16
[20] Proc., Aed. 6, 5, 3; 6, 6, 2.
[21] Così riteneva P.-M. Duval , Cherchel et Tipasa. Recherches sur deux villes fortes de
l’Afrique romaine, Paris 1946, p. 66. Di parere diverso Courtois, Les Vandales, cit., p. 177 nota 9.
[22] Proc.,
Vand., 2, 4; Cfr. Courtois, Les
Vandales, cit., p. 311 nota 3.
[23] Proc.,
Vand., 1,5; 15; 21. Cfr.
Courtois, Les Vandales, cit., p. 311 nota 2.
[24] Proc.,
, Vand., 13, secondo cui le
fortificazioni della città, ancora in piedi al momento dello
stanziamento dei Vandali, sarebbe state distrutte dai Mauri, probabilmente dopo
i dissidi scoppiati con i successori di Genserico.
[25][25] Proc., Vand., 1, 5.
[26] L. De Salvo, Economia
privata e pubblici servizi nell’impero romano. I corpora
naviculariorum, Messina 1992, 421-28. Sul porto di Hippo Regius cfr. K. Mansouri, Réflexions sur les activités portuaires d’Hippo
Regius (Hippone-Annaba) pendant l’Antiquité, in L’Africa
romana XIV, pp. 509-24. Cfr. B.
Sirks, Food for Rome,
Amsterdam 1991, spec. pp. 178-80.
[27] Vict.
Vit., 3,20. Cfr. Courtois, Les Vandales, cit., p. 203 nota 4. Sul legname dell’isola
particolarmente utilizzato per le costruzioni navali cfr. R. Zucca,
[28] Prosp.
Chron. 1330 (a. 437); 1032 (a. 438). Cfr. F. Giunta, Genserico e
[29] Giunta,
Genserico, cit., pp. 122-3, «la
confessione più esplicita di un imperatore consapevole della propria
debolezza». Su questo cfr. F. Elia, Valentiniano III, Catania 1999, pp.
76-82. Nello stesso anno furono emanate altre disposizioni tutte tese a
fronteggiare il pericolo rappresentato dai Vandali: Nov. 4 (24 gennaio), 5 (3
marzo), 6 (20 marzo); anche la ricostruzione delle mura di Napoli (CIL X, 1485)
sembra rientrare fra queste iniziative (cfr. Elia,
Valentiniano, cit., p. 22).
[30] Giunta, Genserico,
cit., pp. 123-4, riteneva che l’azione si fosse svolta immediatamente dopo
l’emanazione di Nov. 9 di Valentiniano III del 24 giugno 440 d.C. - nella
quale vengono avvisati i sudditi del pericolo rappresentato dalle navi vandale
che hanno lasciato il porto di Cartagine - per concludersi nell’autunno
dello stesso 440 d.C. Per una durata più lunga propendeva B. Pace, Arte e civiltà della Sicilia antica, IV, Roma-Città
di Castello 1949, pp. 86-96, per il quale l’azione avrebbe avuto inizio
nell’inverno fra il 439 d.C. e il 440 d.C. per concludersi dopo circa un
anno. Cfr. Mazza, I Vandali, cit., pp. 122-4.
[31] Così Giunta, Genserico,
cit., p. 124, con discussione delle diverse ipotesi.
[32] Leo M. ep. 3, 1.
[33] Hyd.
Chron. 120 (a. 440).
[34] De
Salvo, Economia privata, cit.,
p. 38. Cfr. da ultimo A. Mosca, Aspetti della rotta Roma-Cartagine, in
L’Africa romana XIV, pp. 481-90.
[35] Vict.
Vit. 1, 15.
[36] Pace, Arte e civiltà, cit., p. 93.
[37] Così Giunta, Genserico,
cit., p. 112.
[38] Su un presunto accordo fra Genserico e
Attila cfr. F.M. Clover, Geiseric and Attila,
«Historia» 21, 1973, pp. 104-17. Su questo cfr. Mazza, I Vandali, cit. p. 124 e E.
Caliri, Il cubiculario Lauricio e
la gestione dei praedia nella Sicilia di V secolo, Messina 2001, p.11.
[39] Giunta,
Genserico, cit., pp. 126-7; Mazza , I Vandali, cit., pp. 123-4.
[40] Prosp.,
Chron. 1342 (a. 440).
[41] Su questo cfr. Stein, Histoire,
cit., I, p. 322; Giunta, Genserico, cit., p.
[42] Courtois,
Les Vandales, cit., p. 191 nota 4,
sostiene un abbandono totale dell’isola da parte dai Vandali per
l’arrivo della flotta inviata da Teodosio, sulla base della Nov. Valent.
1, 2, sulla cui datazione, tuttavia, cfr. infra p. 730.
[43] Stein,
Histoire, cit., I, p. 325.
[44] Prosp.
Chron. 1344 (a. 441). È probabile che il fiscus barbaricus di cui
si parla nel Papiro Marino 73 del 444/445 d.C. (G. Marini, I papiri
diplomatici, Roma 1805), non più pagato in quel momento, sia da
riferire non ad una tassa corrisposta ai Vandali (Pace, Arte e civiltà,
cit., p. 94) e neppure ad una prestazione in natura offerta a Genserico per non
attaccare più
[45] Nov. Valent. 1,
[46] La datazione al 440/441 d.C. della Novella
considerata posteriore a Nov. Valent. 9 del giugno 440 d.C., è stata
proposta sulla base della datazione al 440 d.C. della spedizione di Genserico
in Sicilia fornita da Prospero (P.M.
Meyer, Leges Novellae ad
Theodosianum pertinentes, Berlin 1905, p. 74; cfr. O. Seeck, Regesten der Kaiser und Päpste, Stuttgart
1919, p. 370). Tuttavia se è vero che l’attacco del 440 d.C.
è stato preceduto da quello del 438 d.C., che interessò
[48]
Così O. Seeck, Geschichte des Untergangs des antike Welt,
6, Stuttgart 1920, pp. 120 ss; 420 ss.; STEIN, Histoire, cit., I, p. 578 nota 49*; Courtois, Les Vandales,
cit., p. 173 nota 10; cfr. F. M. Clover,
Flavius Merobaudes, Philadelphia
1971, p. 53. Di parere diverso
era Giunta, Genserico, cit., p. 127 nota 94.
[49] L’ipotesi è in SCHMIDT , Geschichte, cit., p. 171. Cfr. anche K. Hannestad, L’évolution des Ressources agricoles de l’Italie du
4ème au 6ème siècles de notre ère, København
1962, p. 100. Cfr. Clover, Flavius Merobaudes, cit., p. 53.
[50] Su questo cfr. Elia, Valentiniano,
cit., pp. 74-84.
[51] Clover,
Flavius Merobaudes, cit., p. 53 e
note.
[52] Nov. Valent., 5, 1 (3.3.440). Su questo
cfr. Hannestad, L’evolution, cit., p. 100; Elia, Valentiniano, cit., pp. 172-3.
[53] Procop.,
Vand., 1, 5.
[54] Cfr. Modéran,
L’établissement, cit.,
con discussione delle tesi precedenti.
[55] Chr. Courtois et al., Tablettes Albertini. Actes privés de
l’époque vandale (fin de Ve siècle), Paris s.d. [1952].
Cfr. F. Vitrone, Aspetti controversi e dati economico-sociali
nelle tavolette Albertini, «Romabarb» 13, 1994-95, pp. 235-58.
[56] Courtois, Les Vandales, cit., pp. 316-24.
[57] C.
Panella, Le merci: produzioni,
itinerari e destini, in A. Giardina, (a. cura di), Società romana e
impero tardoantico, Roma – Bari 1986, 3, pp. 431-59 e pp. 843-5, spec. pp.446-54;
S. Tortorella, La sigillata africana in Italia nel VI e nel
VII se. d.C.: problemi di cronologia e distribuzione, in A. Saguì (a
cura di), La ceramica in Italia: VI-VII secolo, Firenze 1998, pp. 41-69 con
ampia bibliografia precedente. Cfr. anche Hannestad,
L’évolution, cit., p.
100-1.
[58] Cfr. D.
Castrizio, Per una rilettura del
sistema monetale vandalo (note preliminari), in L’Africa
romana XV, pp. 741-55.
[59] Cfr. C.
Morrison, Caratteristiche ed uso della moneta protovandalica e
vandalica, in Le invasioni barbariche, cit., pp. 151-80.
[60] F. Pacetti, S. Sfrecola, Ceramiche
africane di VI secolo provenienti da una domus tardoantica del Celio. Sintesi
storica e indagine mineralogica, in L’Africa romana VI, pp. 486-503.
[61] Nov. Valent., 33 (31.1.451). Cfr. L. Cracco Ruggini, Economia e società nell’«Italia annonaria»,
Milano 1961, rist. Bari 1995, p.175; Elia,
Valentiniano, cit., p. 151. Sulla
situazione dell’Italia cfr. E.
Caliri, “Praedia pistoria”
e “possessores” africani in età vandalica: a proposito di Valentiniano III, Nov.
[62] Vict. Vit. 1, 15. Su questo cfr. Courtois, Les vandales, cit., pp. 281-3.
[63] Cfr. Stein, Histoire, cit., I, pp. 361-2.
[64] Cfr. Stein, Histoire, cit., I, p. 366.
[65] V, Von
Falkenhausen, I barbari in Italia
nella storiografia bizantina, in G.
Pugliese Carratelli (a cura di), Magistra barbaritas. I barbari in Italia, Milano 1984, pp.
301-16, spec. p. 304.
[66] Così Giunta, Genserico,
cit., p. 131.
[67] Prosp. Chron. 1375 (a. 455).
[68] Vict. Vit., 1,14.
[69] Proc.,
Vand., 1, 5
[70] Vict.
Vit., 1,
[71] Non mi soffermo in questa sede sui
tentativi romani, prima con Ricimero, magister militum paresentalis di Avito,
poi con Maggioriano e quindi con il generale Basilisco, di opporsi a questa
forte espansione, su cui cfr. Stein,
Histoire, cit., I, pp. 358-91; Courtois, Les Vandales, cit., pp. 198-205.
[72] Sulla Sardegna cfr. Courtois, Les Vandales, cit., pp. 187-90 e più recentemente G. Lilliu, Presenze barbariche in Sardegna dalla conquista dei vandali, in
Magistra barbaritas, cit., pp. 559-70; A.
Mastino,
[73] Cfr. Courtois
, Les Vandales, cit., pp. 185-6, R. Zucca, Insulae Baliares. Le isole
Baleari sotto il dominio romano, Roma 1998, pp.113-5.
[74] R.J.A. Wilson, Sicily
under the Roman Empire, Warminster 1990, pp. 331 ss. Sulla Sicilia vandalica, oltre alle pagine
di A. Holm, Storia della Sicilia nell’antichità, tr. it. , 3,
Torino 1901, pp. 505 ss., cfr. Giunta,
Genserico, cit.; B. Saitta,
[75] Un abbandono dei centri urbani sulla costa
o comunque in pianura e in collina, segno di una insicurezza delle zone aperte,
avviene solo nel X secolo, dopo la conquista normanna, con
l’accentramento della popolazione in grossi centri fortificati posti in
montagna, naturalmente difendibili. Cfr. A.
Molinari, Il popolamento rurale in
Sicilia, in La storia dell’alto medioevo italiano (VI-X secolo) alla
luce dell’archeologia. Atti del convegno, Siena 2-6 dicembre 1992,
Firenze 1994, pp. 361-77
[76] Giunta,
Genserico, cit., p. 104-15 con ampia
presentazione delle diverse opinioni e pp. 117, 120-1, dove nega per
[77] Cfr. C. Panella, Le anfore tardoantiche: centri
di produzione e mercati preferenziali, in Società romana e impero
tardoantico, cit., pp. 251-84, spec. pp. 261-2. Procopio (Vand., 1, 24) narra
che nell’immediatezza dell’ingresso a Cartagine delle truppe di
Belisario, una nave mercantile era partita per
[78] Cfr. De
Salvo, Economia privata, cit.,
p. 38;. G. VOLPE, Relitti e rotte
commerciali nel Mediterraneo tardoantico, in L’Africa Romana XIV, pp.
239-50.
[79] It. Mar., 487,5-493,3; cfr. G. Uggeri, Relazioni tra Nord Africa e Sicilia in età vandalica, in
L’Africa romana XII, pp. 1457-67, secondo il quale la redazione, o forse
un rifacimento, dell’Itinerarium Maritimum potrebbe essere collocata fra
il 450 e il
[80] Sulla portata di questa iniziativa cfr. Mazza, I Vandali, cit., pp.119-21.
[81] Volpe,
Relitti e rotte commerciali, cit.
[82] Courtois,
Les Vandales, cit., pp. 208-9,
appariva scettico sulla possibilità di identificare i luoghi delle
incursioni vandale come scali marittimi; egli tuttavia partiva dall’idea
di un blocco delle esportazioni africane e dunque sull’assenza di una
attività commerciale. Tuttavia una testimonianza di Procopio appare
significativa. Questi racconta di aver incontrato a Siracusa un concittadino
che commerciava con Cartagine (Vand., 1, 14).
[84] courtois, Les Vandales, cit., pp. 201-3. Cfr. Mazza,
I Vandali, cit., pp. 127 ss.
[85] Sull’impresa cfr. Stein, Histoire, cit., II, pp. 311-8.
[86] Proc.,
Goth., 2, 6.
[87] Mazza,
I Vandali, cit., p. 116.
[88] Giunta,
Genserico, cit., p. 112. Cfr. Cracco Ruggini,
[89] Stein,
Histoire, cit., I, p. 320; Courtois, Les Vandales, cit., p. 216 ss. pensava ad una cifra più
alta.
[90] Courtois,
Les Vandales, cit., p. 207; M. Reddé, Mare nostrum, Rome 1986, pp. 648-50.
[91] Courtois,
Les Vandales, cit., pp. 206-9; P.M. Giunteschi Conti, Barbari e navi nel Mediterraneo, in A.
Zironi (a cura di), Wentilseo: i germani sulle sponde del Mare Nostrum.
Atti del convegno di Padova 13-15 ottobre 1999, Padova 2001, pp. 7-23, spec.
pp. 16-7.
[92] Proc., Vand., 1, 5. Cfr. Prisc., Frg. 30. Sul
passo Mazza, I Vandali, cit., pp.119-21 che considera l’episodio
esemplificativo della tattica della ‘guerra di corsa’ messa in atto
da Genserico.
[93] Sul concetto di mare clausum nel periodo
dall’11 novembre al 10 marzo cfr. E.
De Saint-Denis, Mare clausum ,
«REL» 25, 1947, pp. 196-214; J.
Rougé, La navigation
hivernale sous l’empire romain, «REA» 54, 1952, pp.
316-25.
[94] Prisc. Frg. 29.
[95] Stein, Histoire, cit., I, pp. 380-2.
[96] Proc.,
Vand., 1,10-11. Sull’episodio
cfr. i testi citati supra alla nota 72.
[97] Giunta,
Genserico, cit., p. 118.
[98] Il giudizio è in Mazza, I Vandali, cit. p. 114.
[99] N.
Francovich Onesti, I Vandali,
Roma 2000, p. 58.