N. 7 – 2008 – Memorie//MMD-Giuramento-plebe-Monte-Sacro
Università
di Roma “
Manio
VALERio Massimo,
Dittatore e
augure*
Sommario: 1. Manio
Valerio Maximus, augure e dittatore. – 2. La prima secessione
della plebe nelle narrazioni di Livio e di Dionigi di Alicarnasso.
– 3. Manio Valerio in C.I.L. VI
40920 e XI 1826, Cicerone, Valerio Massimo e Plutarco. – 4. Valerio
Anziate e l’odierna storiografia. Mommsen aveva ragione.
– 5. La questione dei nexi. – 6. La discesa dei plebei dal
Monte Sacro ed il ruolo dell’augure Manio Valerio.
«Non placeo concordiae auctor.
Optabitis, mediusfidius, propediem, ut mei similes Romana plebis patronos
habeat. Quod ad me attinet, neque frustrabor ultra ciues meos neque ipse
frustra dictator ero. Discordiae intestinae, bellum externum fecere ut hoc
magistratu egeret res publica: pax foris parta est, domi impeditur; priuatus
potius quam dictator seditioni interero» (Liv., 2,31,9-10). Manio
Valerio, dittatore nell’anno
Secondo
la narrazione di Livio, Manio Valerio sembra così uscire dalla storia
della secessione che, proprio in conseguenza della sua abdicazione dalla
dittatura, la plebe attuerà in quello stesso anno. La storiografia
contemporanea, fatte poche eccezioni (seppure di grande rilievo, come si
vedrà), sembra voler trascurare l’importante ruolo che Manio
Valerio ebbe anche per tutta la durata della secessione; ruolo che possiamo
ricavare da un buon numero di fonti: un elogium epigrafico ed alcuni
testi di Cicerone, di Dionigi di Alicarnasso, di Valerio Massimo e di Plutarco.
Da queste si ricavano anche altre informazioni che mettono in luce la grande
importanza di Manio Valerio nella storia di Roma. Per primo, egli
ricoprì contemporaneamente la dittatura e l’augurato, come solo
Quinto Fabio Massimo, Lucio Cornelio Silla e Caio Giulio Cesare dopo di lui
faranno[3];
e per primo egli ricevette l’onore della speciale denominazione di Maximus (Cic., Brut., 54; Plut., Pompeius,
13,11), della quale solo molto tempo dopo sarà insignito anche Quinto
Fabio.
Livio e
Dionigi di Alicarnasso mostrano una particolare attenzione per gli avvenimenti
relativi alla secessione plebea del
Quanto
alle possibili ragioni delle differenze tra le narrazioni di Livio e di
Dionigi, Theodor Mommsen scrisse brevemente: «contra Livius solo opinor
brevitatis studio ductus in his rebus narrandis et Valerii nomen plane
suppressit et de fenore levato verbum nullum fecit»[4].
In
effetti, ponendo a confronto il testo di Livio con quello di Dionigi sugli
eventi collegati all’inizio ed alla fine della detta secessione, si
ricava che: a) sia Livio (2,31,11) sia Dionigi (6,45,1) evidenziano il nesso
tra l’abdicazione di Manio Valerio dalla dittatura e l’inizio della
secessione plebea; b) sia Livio (2,32,12) sia Dionigi (6,83,2) evidenziano il
nesso tra l’apologo di Menenio Agrippa e la fine della secessione; c)
Livio (2,32,8) mette in luce solo il ruolo svolto da Menenio Agrippa sul Monte
Sacro; ma non lo fa in modo tale da escludere quanto rileva nel racconto di
Dionigi (6,69,3), nel quale è detto che sul Monte Sacro erano stati
inviati dieci pršsbeij[5], tra i quali Menenio Agrippa e Manio
Valerio; d) Livio, pur avendo chiaramente indicato nel peso dei debiti la causa
principale della secessione, evidenzia, tra le condizioni poste dai plebei per
la fine della stessa, la sola istituzione del tribunato della plebe (Liv.,
2,33,1); nella sua narrazione, però, non vi sono elementi che possano
escludere anche l’accoglimento di istanze relative ai debiti, come
esposto da Dionigi (6,88,3).
Pertanto, come evidenziato da Mommsen, non
vi è contrapposizione tra i testi dei due storici; le poche differenze
sono dovute ad una minor quantità di notizie riferite dallo storico
latino. Differenze più importanti, invece, vi sono tra Livio ed altre
fonti.
In una iscrizione marmorea di età
augustea[6],
rinvenuta ad Arezzo nel 1688, è riportato l’elogium di
Manio Valerio:
M/
· Valerius
Volusi
· f
Maximus
dictator
· augur primus · quam
ullum
· magistratum · gereret
dictator · dictus · est ·
triumphavit
de Sabinis · et · Medullinis
· plebem
de sacro · monte · deduxit
· gratiam
cum · patribus · reconciliavit
· fae
nore · gravi · populum ·
senatus · hoc
eius · rei · auctore ·
liberavit · sellae
curulis · locus · ipsi ·
posterisque
ad
Murciae · spectandi · caussa · datus
est
· princeps · in senatum · semel
lectus
· est.
Theodor
Mommsen (in C.I.L. I, 1, 186 ss.) affermava che questa iscrizione era stata
posta da Augusto all’interno del Foro fatto da lui costruire a Roma e che
una copia di essa era stata collocata anche ad Arezzo, unitamente ad altri sei elogia tratti da iscrizioni presenti in
quel Foro. Un parziale riscontro di queste affermazioni è costituito dal
rinvenimento, nel
In
questo elogium è posto in
risalto il ruolo di conciliatore avuto da Manio Valerio in occasione della
prima secessione plebea; nelle linee 8 e 9 si legge: «gratiam / cum
· patribus · reconciliavit». Questo ruolo di Manio
Valerio è evidenziato anche in altre fonti, pur con vari intendimenti
politici.
a) In un passo
di un’opera retorica di Cicerone, il Brutus,
è posta in risalto l’attività fondamentale di Manio Valerio
nella fine della secessione plebea; nel sottolinearne la capacità
oratoria, l’Arpinate afferma che Manio Valerio «aveva sedato le discordie»:
videmus item paucis annis
post reges exactos, cum plebes prope ripam Anionis ad tertium miliarium
consedisset eumque montem, qui Sacer appellatus est, occupavisset, M. Valerium
dictatorem dicendo sedavisse discordias, eique ob eam rem honores amplissumos
habitos et eum primum ob eam ipsam causam Maxumum esse appellatum (Cic., Brut., 54).
Nel passo, Cicerone sembra supporre esservi
contemporaneità tra la carica di dittatore di Manio Valerio e la sua salita
al Monte Sacro; invece, tanto Livio quanto Dionigi riferiscono
dell’abdicazione di Manio Valerio dalla dittatura prima della secessione.
Pertanto, o Cicerone è incorso in un errore, oppure egli ha voluto
semplicemente richiamare l’attenzione sul fatto che Manio Valerio era
stato dittatore. Del resto, la citazione di Manio Valerio non ha
finalità di ricostruzione storica, ma esclusivamente di esaltazione
della retorica. Vero è, comunque, che nei testi in cui Cicerone tratta
di attività compiute da dittatori, è evidente che queste
attività sono svolte in una stretta contestualità con la carica
rivestita[8].
b) Valerio
Massimo, sottolineando l’eloquenza di Manio Valerio come già aveva
fatto Cicerone, ne mette in luce l’attività di persuasione verso
la plebe; Manio Valerio fu colui che “sottomise il popolo al
senato”:
regibus exactis plebs dissidens a patribus iuxta ripam fluminis
Anienis in colle, qui sacer appellatur, armata consedit, eratque non solum
deformis, sed etiam miserrimus rei publicae status, a capite eius cetera parte
corporis pestifera seditione diuisa. ac ni Valeri subuenisset eloquentia, spes
tanti imperii in ipso paene ortu suo corruisset: is namque populum noua et
insolita libertate temere gaudentem oratione ad meliora et saniora consilia reuocatum
senatui subiecit, id est urbem urbi iunxit. uerbis ergo facundis ira,
consternatio, arma cesserunt (Val.
Max., 8,9,1).
Come nell’elogium epigrafico, così nel passo di Valerio Massimo,
successivo di qualche anno, si passa da uno specifico riferimento al rapporto plebs-patres
ad un generale riferimento al populus.
Peraltro, Valerio Massimo (4,4,2) riporta
anche la tradizione di Menenio Agrippa, riferendo altresì alcuni
particolari già oggetto della narrazione di Livio; egli infatti, dopo
aver affermato che il senato e la plebe avrebbero scelto Menenio Agrippa come
conciliatore, narra che il suo funerale sarebbe stato garantito con il denaro
raccolto «a populo».
c) Plutarco
evidenzia l’opera di convincimento posta in essere da Manio Valerio; questi
fu colui che «aveva riconciliato il senato e la plebe»:
dÚo
goàn Max…mouj, Óper ™stˆ meg…stouj,
¢nhgÒreusen Ð dÁmoj: OÙalšrion me\n
™pˆ tù diall£xai stasi£zousan aÙtù
t¾n sÚgklhton...
(Plut., Pompeius,
13,11).
Dunque: mentre in Livio è narrata la
mediazione del solo Menenio Agrippa, nell’elogium epigrafico, in Cicerone, in Valerio Massimo (che ricorda,
però, anche Menenio Agrippa) ed in Plutarco è indicata la sola
attività di convincimento posta in essere da Manio Valerio; in una
posizione intermedia tra questi due gruppi di fonti si pone la narrazione di
Dionigi di Alicarnasso, nella quale trovano spazio tanto Menenio Agrippa quanto
Manio Valerio, pur se al primo è riservata un’attenzione maggiore.
Tutto ciò conduce a pensare che esistano due tradizioni, nelle quali il
merito della fine della secessione medesima è attribuito rispettivamente
a Menenio Agrippa ovvero a Manio Valerio.
Le posizioni assunte dagli storici
contemporanei circa queste tradizioni, sono sostanzialmente quattro. a) La
grande maggioranza di essi raccoglie solo la tradizione di Menenio Agrippa; b)
pochissimi riportano la sola tradizione di Manio Valerio[9];
c) alcuni riferiscono ambedue le tradizioni senza prendere posizione, oppure,
più spesso, criticano la tradizione di Manio Valerio[10];
d) altri hanno una visione ipercritica di tutta la tradizione delle secessioni
plebee[11].
Le accuse di non veridicità rivolte
alla tradizione di Manio Valerio derivano da una più generale critica
alle fonti annalistiche romane. Hirschfeld aveva sostenuto che il testo
dell’elogium epigrafico di
Manio Valerio non sarebbe dipeso da una antica tradizione annalistica, ma dagli
Annali di Valerio Anziate[12].
Successivamente, altri studiosi affermarono, in riferimento alla prima
secessione plebea, che Valerio Anziate avrebbe apportato ai dati più
risalenti le «falsificazioni, di cui abbonda la pseudostoria romana, a
favore dei Valeri»[13].
Le «falsificazioni» dell’Anziate avrebbero influenzato fortemente,
oltre il citato elogium, anche le
opere di Dionigi, di Valerio Massimo (per di più anch’egli membro
della gens Valeria) e di Plutarco[14].
Il ruolo di Manio Valerio sarebbe stato dunque “inventato” da
Valerio Anziate che, così, avrebbe cercato di contrapporre questa sua
ricostruzione alla tradizione antica[15],
la quale attribuiva a Menenio Agrippa il merito della fine della prima
secessione.
Contro le critiche alla veridicità
della tradizione di Manio Valerio e, in particolare, contro le accuse di scarsa
attendibilità mosse all’elogium
epigrafico di questi, Mommsen affermava che il testo dell’elogium «pendere ab annalibus
antiquis et optimis»[16].
Ritengo che Mommsen avesse ragione. Quattro osservazioni conducono a questa
conclusione.
a) Innanzitutto,
non abbiamo alcuna notizia certa sulla datazione degli Annali di Valerio
Anziate; inoltre, è noto che di quest’opera sono pervenuti solo
alcuni frammenti[17].
b) Non
è possibile appurare se fossero già stati pubblicati gli Annali
di Valerio Anziate nel
c) Non
è possibile provare che il testo dell’elogium di Manio Valerio sia dipeso dagli Annali di Valerio Anziate.
È quindi possibile che l’elogium
sia stato ispirato da altra fonte, forse la stessa di cui si era avvalso
Cicerone qualche decennio prima.
d) È
possibile che lo stesso Valerio Anziate abbia tratto le informazioni
riguardanti Manio Valerio da fonti più antiche[19].
Se così fosse, non avrebbe senso sostenere che il ruolo di Manio Valerio
nella prima secessione plebea sia dipeso da una “invenzione”
dell’Anziate; al più si potrebbe sostenere che questi abbia dato
maggiore risonanza alle narrazioni che ponevano in risalto la figura di Manio
Valerio[20].
È pertanto assai probabile che la
tradizione di Manio Valerio sia stata fondata su narrazioni molto antiche,
quanto quelle che riferivano dell’apologo di Menenio Agrippa. Gli
annalisti successivi, ciascuno secondo le proprie idee ed i propri metodi,
hanno basato le loro ricostruzioni su un nucleo originario che conteneva i
tratti fondamentali di quelle vicende: a) il dittatore Manio Valerio e la
questione dei nexi; b) la secessione
della plebe; c) l’apologo di Menenio Agrippa; d) la nascita del tribunato
della plebe; e) la discesa dei plebei dal Monte Sacro. Del resto, Cicerone,
Dionigi e Livio attingevano le loro notizie da numerosi annalisti, dai
più antichi ai più recenti; tutti e tre, per esempio, conoscevano
gli scritti di Fabio Pittore, il più antico.
Livio e Dionigi sono concordi nel
riconoscere l’occasione della prima secessione plebea nella abdicazione
di Manio Valerio dalla dittatura:
namque Valerius post Vetusi consulis
reditum omnium actionum in senatu primam habuit pro uictore populo, rettulitque
quid de nexis fieri placeret. Quae cum reiecta relatio esset, "non
placeo" inquit, "concordiae auctor. (...) priuatus potius quam
dictator seditioni interero". Ita curia egressus dictatura se abdicauit.
Apparuit causa plebi, suam uicem indignantem magistratu abisse; itaque uelut
persoluta fide, quoniam per eum non stetisset quin praestaretur, decedentem
domum cum fauore ac laudibus prosecuti sunt (Liv., 2,31,8-11);
eÙqÝj de\
met¦ toàto t£de ™g…neto: oƒ me\n
pšnhtej oÙkšti krÚfa oÙde\ nÚktwr
æj prÒteron, ¢ll\¢nafandÕn ½dh
suniÒntej ™boÚleuon ¢pÒstasin ™k
tîn patrik…wn (Dionys.,
6,45,1).
Il dittatore Manio Valerio si dimette dalla
carica perché il senato rifiuta di approvare le sue proposte a favore
dei nexi; il dittatore non riesce ad
imporsi quale “concordiae auctor”.
In conseguenza dell’abdicazione, la plebe attua la secessione.
È di tutta evidenza che sia per
Livio sia per Dionigi la questione dei nexi ha un peso fondamentale
sulle motivazioni che spingono la plebe alla secessione[21];
e non credo che il limitato sviluppo dell’economia monetaria nei primi
decenni del V secolo a.C., possa costituire una prova della scarsa incidenza
dell’indebitamento tra le cause della prima secessione plebea[22].
Peraltro il nexum, sicuramente
antecedente alla legge delle XII Tavole, sarà abolito solo alla fine del
IV secolo a.C.[23]
Tuttavia, se per Livio e Dionigi
l’indebitamento dei plebei è una delle cause della secessione del
494 a.C., il solo Dionigi dice espressamente che la liberazione dai debiti
sarà formalmente deliberata dal senato nel
Come in Dionigi, così nell’elogium epigrafico di Manio Valerio
è richiamata la decisione del senato sulla liberazione dai debiti:
fae/nore · gravi · populum
· senatus · hoc / eius · rei · auctore ·
liberavit.
Il senato liberò il populus dai debiti, essendo Manio
Valerio “auctor” della
deliberazione senatoria. Orbene, circa questo aspetto, sono due i punti sui quali
si confrontano l’elogium e
Dionigi: a) la liberazione dai debiti ad opera del senato; b) la persona cui
attribuire il merito di questa iniziativa. Sul primo punto c’è
totale concordanza; sul secondo, invece, potrebbe sembrare che vi sia
contrasto; infatti, dal racconto dello storico greco parrebbe che il merito di
tale liberazione debba essere attribuito a Menenio Agrippa. Questi, nella
ricostruzione di Dionigi, si rivolge una volta al senato e quattro volte alla
plebe secessionista[25];
al senato, per convincerlo ad inviare oƒ pršsbeij ai plebei con pieni poteri nelle
trattative (Dionys., 6,67,2), alla plebe, nella prima parte del suo primo
discorso, per garantire espressamente la liberazione dai debiti, descrivendo
nei dettagli il contenuto della deliberazione che il senato avrebbe approvato
una volta raggiunto l’accordo con i plebei secessionisti (Dionys.,
6,83,4-5). Il racconto di Dionigi, però, è complesso ed una sua
attenta lettura ci permette di pervenire ad una conclusione più
articolata.
Innanzitutto, è evidente che, prima
ancora che avvenga la secessione, l’indebitamento è tra le
principali preoccupazioni del dittatore Manio Valerio, tanto che lo stesso
dittatore prevede la futura seditio
cagionata dalla mancata risoluzione del problema dei nexi; e questo, come ho già avuto modo di osservare,
è chiaro tanto per Livio quanto per Dionigi. Inoltre, con la secessione
in corso e prima che Menenio Agrippa pronunci il suo primo discorso alla plebe,
già Manio Valerio aveva assicurato che il senato era pronto ad accettare
le condizioni dettate dai plebei (Dionys., 6,71); infine, dopo l’apologo
di Menenio Agrippa e l’assicurazione che tutti i pršsbeij saranno garanti degli accordi raggiunti, è
Manio Valerio colui che ritorna a Roma per convincere il senato, contro
l’accanita opposizione di Appio, ad accettare tutte le condizioni poste
dalla plebe, compresa la “novità” dei tribuni (Dionys.,
6,88,2-3).
Pertanto, nella narrazione di Dionigi
è evidente il doppio ruolo di Manio Valerio; questi: a) garantisce
(insieme agli altri pršsbeij)
l’accordo tra plebei e senato; b) convince il senato ad accogliere le
richieste dei plebei. Il termine “auctor”,
con cui nell’elogium è
qualificata l’attività di Manio Valerio nella liberazione dai
debiti, può indicare ambedue i ruoli evidenziati.
La parola “auctor”, con riferimento all’attività del
senato, indica l’azione di colui che propone una deliberazione senatoria[26].
Peraltro, il termine è connesso
all’istituto della mancipatio e
della conseguente auctoritas da parte
del mancipio dans, detto appunto auctor. Orbene, il mancipio dans-auctor, sulla base di una norma delle XII Tavole
(Cic., Top., 4,23: usus auctoritas fundi biennium est;
Cic., De off., 1,12,37: adversus hostem aeterna auctoritas),
«in caso di minacciata evizione avrebbe dovuto intervenire nella
rivendica promossa dal terzo contro l’acquirente»[27];
in altri termini, in caso di trasferimento della res tramite mancipatio,
l’auctoritas costituiva per il mancipio accipiens una garanzia per l’evizione[28].
Dunque, la parola “auctor”
si addice al ruolo di Manio Valerio, come emerge dal racconto di Dionigi, tanto
se interpretata secondo il significato di garante (per l’evizione),
quanto se interpretata secondo il significato di proponente un senatoconsulto.
La prima accezione è riconducibile al ruolo di garante (¢n£docoj)[29]
della non modificabilità (in peius) delle disposizioni relative
alla liberazione dai debiti, che in uno dei discorsi di Menenio Agrippa
è attribuito a tutti i pršsbeij
(Dionys., 6,84,2). La seconda accezione ha fondamento sul fatto che è
Manio Valerio, sempre secondo il racconto di Dionigi, ad esporre per primo al
senato il suo parere favorevole all’approvazione di tutte le richieste
avanzate dalla plebe (Dionys., 6,88,3).
Manio Valerio, secondo l’elogium, oltre che dittatore fu anche
augure. Livio riporta la notizia della morte di un augure Manio Valerio nel
Altro problema è stabilire se Manio
Valerio fosse già augure nel 493, quando, secondo il racconto di
Dionigi, fu inviato dal senato al Monte Sacro. In più punti delle sue
storie Dionigi attira l’attenzione sull’età avanzata di
Manio Valerio (Dionys., 6,39,2; 6,41,2; 6,43,4; 6,71,1); in considerazione di ciò,
è del tutto plausibile che Manio Valerio fosse augure già
precedentemente[31].
Ora, occorre capire quale relazione vi
possa essere tra l’augurato e la fine della secessione plebea.
L’elogium
epigrafico di Manio Valerio, sul punto specifico della fine della secessione
plebea, recita:
plebem / de sacro
· monte · deduxit;
l’elogio che Livio fa di Menenio Agrippa, sullo stesso punto
riferisce:
Huic
(Menenio Agrippa) ... reductori plebis Romanae in urbem (Liv., 2,33,11).
Non vi è contraddizione tra i due
elogi, perché Manio Valerio condusse la plebe giù dal Monte Sacro[32],
mentre Menenio Agrippa ricondusse la plebe a Roma. Orbene, l’azione di
Menenio Agrippa fu di natura politica; quella di Manio Valerio ebbe
implicazioni giuridico-religiose ed almeno quattro sono le argomentazioni che lo
chiariscono.
a) Il rapporto tra Iuppiter
e l’augur.
Gli auguri sono definiti da Cicerone, egli
stesso augure, quali interpretes Iovis
Optumi Maximi (Cic., De leg.,
2,8,20).
b) Il rapporto tra Iuppiter
e la plebe sul Mons Sacer.
Dionigi racconta che i plebei bwmÕn
kateskeÚasan sulla cima
del monte su cui si erano accampati, che chiamarono di ZeÚj
Deimat…oj (Iuppiter Territor)[33]
(Dionys., 6,90,1). In questa notizia, è implicito il nesso tra la
secessione ed il timore di Iuppiter, diffuso tra i plebei sul Monte
Sacro.
Nell’opera di Festo, sotto la voce Sacer mons, si legge che i plebei
consacrarono il mons a Iuppiter:
sacer
mons appellatur trans Anienem, paullo ultra tertium miliarum: quod eum plebes,
cum secessisset a patribus, creatis tribunis plebis, qui sibi essent auxilio,
discendentes Iovi consecraverunt (Festo, v. Sacer mons,
422 e 424 - ed. Lindsay).
Nel passo di Festo è chiaramente
detto che oggetto della consecratio fu il mons sul quale i plebei
si erano ritirati dopo la secessione. Ora, nelle fonti sono indicate, quali
oggetti di consecratio, res dai termini ben individuati e,
soprattutto, agevolmente individuabili[34];
il mons, invece, si divide in più parti (radices, latera,
iuga, vertices)[35],
tanto da renderne problematica una precisa delimitazione ai fini della consecratio,
per non parlare dell’evidente problema della estensione territoriale.
Tutto ciò potrebbe far pensare ad una imprecisione terminologica di
Festo, che, forse, intendeva indicare con il termine mons la parte della
sommità, ove nell’antichità non era raro che fossero
costruiti altari agli dèi[36].
Pertanto, è possibile che la consecratio di cui parla Festo abbia
avuto ad oggetto non l’intero mons, ma la sua sommità (™pˆ tÁj ¢krwre…aj), dove era stato edificato il bwmÕj di cui parla Dionigi. Peraltro, in altre due fonti si trova il
riferimento alla consecratio di un mons; si tratta di un
frammento delle orazioni perdute di Cicerone e di un passo di Valerio Massimo.
Il testo di Cicerone (pro Cornelio, 49) è relativo proprio al mons
sacer: montem illum trans Anienem, qui hodie mons sacer nominatur, in
quo armati consederant, aeternae memoriae causa consecrarent. Il passo di
Valerio Massimo (2,2,9) è invece riferito al monte Palatino: Lupercalium
enim mos a Romulo et Remo inchoatus est tunc, cum laetitia exultantes, quod his
auus Numitor rex Albanorum eo loco, ubi educati erant, urbem condere permiserat
sub monte Palatino, hortatu Faustuli educatoris sui, quem Euander Arcas
consecrauerat. In ambedue i casi è dubbio se gli autori usino il
verbo consecrare in un senso tecnico o lato; né è chiaro
se oggetto di consecratio sia il mons nel suo complesso o sue
parti. Certo è che lo stesso Cicerone usa consecrare anche in una
accezione lata, come si può constatare nel seguente passo: insulam
Siciliam totam esse Cereri et Liberae consecratam (Cic., Verr.,
5,106).
c) Il rapporto tra l’augur
e l’inaugurazione e consacrazione dei luoghi[37].
L’augure è il solo sacerdote
che possa procedere alla inauguratio dei
luoghi, pur se questo potere presuppone un’apposita richiesta del
magistrato. Il luogo inaugurato è definito templum e può trovarsi sia all’interno del pomerio sia
fuori; in ogni caso, esso è destinato allo svolgimento di
attività magistratuali e sacerdotali. Per ciò che concerne il
rapporto tra inauguratio e consecratio, le fonti testimoniano
l’esistenza di luoghi inaugurati e non consacrati, ma anche di luoghi
consacrati e non inaugurati. Comunque, la consecratio
di un luogo deve avvenire in templo,
cioè in un luogo inaugurato (si vedano Cic., De dom., 53,136-137; Serv., ad
Aen., 1,446).
Ora, occorre considerare che sul mons della prima secessione sono
compiute, dai plebei o per i plebei, attività che, se compiute dal populus o pro populo in Roma,
avrebbero dovuto essere generalmente effettuate in templo: riunione di un’assemblea di cives per eleggere i magistrati; riunione di un’assemblea di cives per deliberare un nÒmoj; edificazione di un’ara; consacrazione di un luogo ad una
divinità. Limiterò la mia attenzione agli ultimi due punti: i
plebei bwmÕn
kateskeÚasan[38] a Iuppiter
(Dionys., 6,90,1) ed alla stessa
divinità consacrano il mons
della secessione (Dionys., 6,90,1; Festo, v. Sacer mons, 422 e 424, ed. Lindsay). Orbene, come ho già
detto, gli atti di consecratio
dovevano avvenire in un luogo inaugurato. È noto che la consecratio di un luogo era competenza
dei pontefici; non si può, però, stabilire con certezza se sul
Monte Sacro fosse presente anche un pontefice. È comunque possibile che
vi fosse, considerato che sappiamo pochissimo sui nomi dei componenti i collegi
sacerdotali di questo periodo e che tra i pršsbeij inviati dal senato sul Monte Sacro, oltre all’augure Manio
Valerio, vi era probabilmente almeno un altro sacerdote, Servio Sulpicio
Camerino (Dionys., 6,69,3), di cui Livio dice che era curio maximus nel
d) Religio e
plebe.
L’auctoritas
dell’augure Manio Valerio permette alla plebe di lasciare il mons della secessione senza aver turbato
la pax deorum o, comunque, in pace con essi. Pur in un clima
indubbiamente rivoluzionario, nel racconto di Dionigi è evidente la
volontà dei plebei di seguire il più possibile il modello
organizzativo della civitas di
appartenenza, soprattutto per ciò che concerne l’osservanza delle caerimoniae. Iuppiter è al centro tra plebei e senato:
l’augure, interprete (patrizio) della volontà di Giove, pone le
condizioni giuridico-religiose necessarie perché la plebe non violi
L’incontro tra i due ordines della civitas (plebs
e gentes patriciae sono indicate quali ordines civitatis dal
giurista dell’età augustea Ateio Capitone in Gell., Noctes Att.,
10,20,5) nel culto di Iuppiter
è molto importante per la religio, tanto da richiedere l’intervento dei feziali (Dionys., 6,89,1),
segno evidente della unità del sistema giuridico-religioso romano: nella
narrazione di Dionigi, tra senato e plebe vengono conclusi t¦j
sunq»kaj, parola greca che traduce il termine latino foedus[39].
La particolare attenzione da parte dei
plebei per la religio apparirà
evidente anche quarantaquattro anni dopo, in occasione della seconda secessione
plebea, quando la riconciliazione con i patres sarà resa
possibile, anche in questo caso, grazie all’opera di un sacerdote: il pontifex maximus. Da questi sarà
infatti presieduta nel
* Questo testo contiene alcune integrazioni
rispetto a quello già pubblicato, con lo stesso titolo, in Index. Quaderni camerti di studi romanistici,
35, 2007, 27 ss.
È un approfondimento delle tematiche
trattate in una comunicazione da me tenuta il 15 dicembre 2006
sull’Aventino, presso la sede dell’Istituto Nazionale di Studi
Romani, nell’ambito dei lavori per la celebrazione del MMD anniversario
della Secessione della plebe al Monte Sacro.
Ringrazio
il dott. Mario Buonocore della Biblioteca Apostolica Vaticana per i preziosi
suggerimenti in materia epigrafica.
[1] Sui
«dittatori favorevoli alla plebe e al popolo» e sul «dictator
quale concordiae auctor»,
vedasi G. MELONI, Dictatura popularis,
in Dictatures. Actes de la table ronde,
Paris 27-28/02/1984, Paris 1988, 79 ss. e 84 s.; cfr. Id., Dottrina romanistica, categorie
giuridico-politiche contemporanee e natura del potere del
“dictator”, in AA.VV., Dittatura degli antichi e dittatura
dei moderni, a cura di G. MELONI (Biblioteca di Storia antica,
Collana diretta da L. Capogrossi Colognesi e L. Labruna. A cura del Gruppo di
ricerca sulla diffusione del diritto romano, 16), Roma 1983, 90; 108 nt. 84-85.
[2]
Dionigi di Alicarnasso scrive che Manio Valerio fece delle profezie al senato
che si rifiutava di accogliere le sue proposte in merito ai debiti; Dionigi
utilizza il verbo ¢poqesp…zein che, appunto, indica
l’attività di chi fa profezie (vedasi H.G. LIDDELL - R. SCOTT, Greek-English
Lexicon, I, Oxford 1940).
[5] La
parola greca pršsbeij traduce il termine latino legati. Si vedano D. MAGIE, De Romanorum iuris publici sacrique
vocabulis solemnibus in Graecum sermonem conversis, Lipsiae 1905, 87 s.;
H.J. MASON, Greek Terms for Roman
Institutions, Toronto 1974,
[6] Per
il testo dell’epigrafe e per un suo commento, si vedano C.I.L. I, 1, 189
e XI 1826, Inscriptiones Italiae, XIII, 3 (Elogia), 57 ss.
[7] Il
testo dell’iscrizione rinvenuta a Roma (C.I.L. VI, 8, 4920) inizia dalla
parola populum, presente nella linea 10 dell’iscrizione aretina
(C.I.L. XI 1826): populum · sen[atus] / hoc auctore [liberavit] /
sellae curuli[s locus] / ipsi posteri[sque ad] / Murciae · s[pectandi] /
caussa · pu[blice datus] / est · prin[ceps in senatum] / semel
l[ectus est]. Le differenze tra i due testi sono solo due: nella iscrizione
di Roma non appare eius rei che invece è presente nella linea 11
dell’epigrafe aretina ed in quest’ultima non appaiono le lettere pu,
integrate in publice dal C.I.L., che sono invece incise nella linea 6
dell’iscrizione romana.
[8] Si
vedano, ad esempio, Cic., Pro Quinctio, 24,76; De dom., 79; De
off., 2,29; Brut., 312; Brut., 328.
[9]
Vedasi Th. MOMMSEN, Storia di Roma antica,
I, 2, Firenze 1960 (Römische
Geschichte, Berlin 1888), 336 s., il quale dava spazio al solo Manio
Valerio, affermando che questi convinse la plebe a tornare a Roma ed il senato
ad accettare le richieste plebee sulla liberazione dai debiti e sulla creazione
dei tribuni.
[10]
Vedasi E. PAIS, Storia di Roma, III, Roma
1927, 21 s., il quale richiamava tanto Menenio Agrippa quanto Valerio Massimo
(che lo studioso chiama Marco e non Manio) e poneva in evidenza il fatto che
Dionigi «trova modo di fondere le diverse narrazioni e di assegnare una
parte tanto a Manio Valerio quanto a Menenio Agrippa». Vedasi anche J.-C.
RICHARD, Les origines de la plèbe romaine, Rome 1978, 542, il
quale, pur riportando sia le fonti che tramandano la tradizione di Menenio
Agrippa sia quelle che ricordano il ruolo di Manio Valerio, pone su queste
ultime l’accusa di dipendere dall’opera di Valerio Anziate.
[11]
Vedasi G. DE SANCTIS, Storia dei Romani,
II, Milano-Torino-Roma 1907, 6 s.: «quali precisamente tra i moventi
della lotta siano stati quelli che determinarono la secessione o le secessioni,
che cosa per l’appunto si sia ottenuto per questa via dai patrizi, se la
plebe si sia ritirata sull’Aventino soltanto una volta o più,
quando esattamente ciò abbia avuto luogo, son quesiti a cui sarebbe pura
illusione il credere che la tradizione, come a noi è pervenuta, possa
dar modo di rispondere». Vedasi anche H.H. SCULLARD, Storia del mondo romano, I, Milano 1983 (A History of the Roman World 753-146 BC, London 1980), 108, il
quale ricorda il ruolo di Menenio Agrippa, mettendo però in dubbio la
veridicità stessa di tutta la tradizione relativa alla prima secessione
plebea.
[13]
Così G. DE SANCTIS, v. Valerio Anziate, in Enciclopedia
Italiana, XXXIV, Roma 1937, 916. Sulle falsificazioni di cui si sarebbe
reso responsabile Valerio Anziate per dare lustro alla gens Valeria si vedano altresì H. VOLKMANN, v. Valerius Antias, in PWRE, VIII, A2, 1948, 2312 ss., e, più recentemente, F.X.
RYAN, The subsequent magistracy of
M’ Valerius Volusi f. Maximus, in Acta
Antiqua Academiae Scientiarum Hungaricae, 38, 1998, 353 ss.
[14] G.
DE SANCTIS, Storia dei Romani, I,
cit., 41, sostiene che Dionigi, «non riuscendo a giudicare rettamente del
valore delle fonti e ad avvertire quanto di menzognero era, per esempio, in
Valerio Anziate, scelse a guida gli annalisti che meglio si prestavano a
fornirgli gli elementi di un racconto prammatico, cioè i più
mendaci e recenti, di cui appunto pel desiderio d’essere compiuto accolse
assai di più di Livio le invenzioni». L’influenza
dell’opera dell’Anziate in Dionigi, Livio e Plutarco è
altresì evidenziata da L. PARETI, Storia
di Roma e del mondo romano, I, Torino 1952, 37 s. La dottrina più
recente, soprattutto i giuristi, è meno critica nei confronti della
attendibilità dell’opera di Dionigi; si vedano S. TONDO, Profilo di storia costituzionale romana,
Milano 1981, 10 ss.; L. FASCIONE, Il mondo nuovo. La costituzione romana
nella ‘Storia di Roma arcaica di Dionigi di Alicarnasso, I, Napoli
1988, 7 ss.; F. SERRAO, Diritto privato
economia e società nella storia di Roma, I, Napoli 1999, 36 s.
[15]
Sull’antichità della tradizione relativa a Menenio Agrippa e, allo
stesso tempo, sulla impossibilità di stabilire con certezza
l’epoca in cui essa sarebbe stata formata, vedasi la ricognizione delle
opinioni espresse dalla dottrina contemporanea in J.-C. RICHARD, Les origines de la plèbe romaine,
cit., 542 nt. 344.
[18] Valerio
Anziate non è mai menzionato, neppure indirettamente, da Cicerone (al
riguardo, vedasi G. DE SANCTIS, v. Valerio Anziate, cit., 916). L.
PARETI, Storia di Roma e del mondo romano,
I, cit., 37, sostiene che «il fatto che vari autori lo (scilicet Valerio Anziate) dicono coevo
di Sisenna, e che la sua storia si proponeva, a quanto sembra, di giungere fino
alla morte di Silla, pare testimoniare che il silenzio di Cicerone su di lui
non dipende dall’aver Valerio Anziate pubblicato i suoi Annali dopo il
[19] Si
vedano O. HIRSCHFELD, Das Elogium des M.
Valerius Maximus, cit., 85 ss., e H. VOLKMANN, v. Valerius Antias, cit., 2312 ss.
[20]
Vedasi L. PEPPE, Studi
sull’esecuzione personale, I, Milano 1981, 65 nt. 94, il quale non
esclude che Valerio Anziate abbia ripreso ed ampliato una tradizione più
antica.
[21]
Vedasi F. SERRAO, Diritto privato
economia e società nella storia di Roma, I, cit., 111 e 241, il
quale insiste sulle motivazioni economiche della prima secessione plebea.
[22]
Sulle motivazioni di natura economica della prima secessione plebea e,
soprattutto, sulla monetazione e sulla natura dei debiti in età arcaica,
vedasi F. DE MARTINO, Storia economica di
Roma antica, I, Firenze 1979, 13 ss.; 29 ss.; 45 ss. Per una ricognizione
della dottrina sul problema dell’indebitamento in età arcaica,
vedasi C. GABRIELLI, Contributi alla
storia economica di Roma repubblicana. Difficoltà politico-sociali,
crisi finanziarie e debiti fra V e III sec. a.C., Como 2003, 11 ss.
[23] Per
una precisa ricostruzione storico-giuridica nel nexum, vedasi F. SERRAO, Diritto
privato economia e società nella storia di Roma, I, cit., 230 ss.
L’abolizione del nexum avviene
tra il 326 ed il
[24]
Riferendosi alla spiegazione data da Mommsen circa la differenza tra la
narrazione di Livio e quella di Dionigi (per la quale vedasi supra, nel testo), L. PEPPE, Studi sull’esecuzione personale,
I, cit., 64, sostiene che «una tesi siffatta, a parte la sua
indimostrabilità, è banale e in fondo gratuita». Tuttavia,
lo stesso Peppe pretende di dimostrare che le omissioni di Livio sarebbero
prove della inesistenza del problema dell’indebitamento nel V secolo a.C.
[25] Per
pronunciare il famoso apologo (Dionys., 6,83,3-5 e 6,84-86); per chiedere a
Giunio Bruto di manifestare quale garanzia voglia la plebe (Dionys., 6,87,3);
per chiedere che una parte dei pršsbeij
torni a Roma per presentare al senato le richieste plebee (Dionys., 6,88,1-2);
per consigliare ai plebei di inviare in città degli uomini per ricevere
dal senato assicurazioni (Dionys., 6,88,4).
[28]
Nelle fonti giuridiche di età successiva alle XII Tavole, il termine
“auctor” è
impiegato anche nel significato più generale di dante causa; si veda il Vocabularium
Iurisprudentiae Romanae, I, v. Auctor, 513 s. Su auctoritas
ed auctor si vedano anche L. AMIRANTE, Sul concetto unitario
dell’auctoritas, in Studi in onore di S. Solazzi, Napoli 1948,
375 ss., e, soprattutto per ciò che concerne l’età arcaica,
F. SERRAO, Diritto privato economia e
società nella storia di Roma, I, cit., 309 s.
[29] In
H.G. LIDDELL - R. SCOTT, Greek-English Lexicon, I, cit., la parola ¢n£docoj, con specifico riferimento a Dionys., 6,84,
è tradotta con il termine inglese “surety”, che in italiano
significa anche “garante”.
[30]
Così G.J. SZEMLER, The Priests of
the Roman Republic, Bruxelles 1972, 52 s., per le opinioni espresse in
dottrina sulla identificazione tra i due Valeri. Szemler, seguendo Mommsen,
propende a credere che l’augure morto nel 463 sia lo stesso Manio Valerio
della prima secessione plebea.
[31] Secondo J. RÜPKE - A. GLOCK, Fasti
sacerdotum: die Mitglieder der Priesterschaften und das sakrale
Funktionspersonal römischer, griechischer, orientalischer und
judisch-christlicher Kulte in der Stadt Rom von 300 v. Chr. bis 499 n. Chr.,
II, Stuttgart 2005, 1351, Manio Valerio sarebbe già augure dal 495 a.C.
[32] Sul
significato di deducere, vedasi la voce Deduco, in Lexicon
totius Latinitatis, II, 600, ed in Thesaurus linguae Latinae, V,1,
272 e 277.
[33] R.
BARTOCCINI, v. Iuppiter, in Dizionario
epigrafico di antichità romane, II, 2, rist. Roma 1961, 245, cita solo un’epigrafe che
indica Territor come attributo di Iuppiter: sancto Iovi
territori sacrum (C.I.L. XIV 3559).
[34] Per
una elencazione delle res consacratae indicate nelle fonti, si veda v. Consecro,
Thesaurus linguae Latinae, IV, 379 ss. Si vedano anche E. POTTIER, v. Consecratio,
in Daremberg-Saglio, Dictionnaire
des antiquités grecques et romaines, I, 2, rist. Graz 1969, 1448 ss.; G. WISSOWA, v. Consecratio,
in PWRE, IV, Stuttgart 1900, 896 ss.; E. DE RUGGIERO, v. Aedes,
in Dizionario epigrafico di
antichità romane, I,
rist. Roma 1961; G. LUZZATTO, v. Consecratio, in NNDI, IV, Torino
1959, 110; C. FRATEANTONIO, v. Consecratio, in Der Neue Pauly, 3,
Stuttgart-Weimar 1997, 128.
[36] Vedasi, infatti, F. LENORMANT, v. Montes
divini, in Daremberg-Saglio,
Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, III, 2, rist. Graz 1963, 1995.
[37]
Sulla inauguratio dei luoghi e sul
rapporto con la consecratio, si veda
P. CATALANO, Contributi allo studio del
diritto augurale, I, Torino 1960, 248 ss.
[38] Il
verbo kataskeÚazein
indica un’attività di edificazione. Il termine bwmÕj traduce il latino ara;
vedasi E. SAGLIO, v. Ara, in Daremberg-Saglio,
Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, I, 1, rist. Graz 1969, 347.
[39] Vedasi H.J. MASON, Greek Terms for Roman Institutions, cit., 90. Sul foedus tra senato e plebei nel
[40]
Vedasi C.M.A. RINOLFI, Livio 1.20.5-7:
pontefici, sacra, ius sacrum, in Diritto
@ Storia, 4, 2005, 15 ss. < http://www.dirittoestoria.it/4/Tradizione-Romana/Rinolfi-Pontefici-sacra-ius-sacrum.htm
>.