N. 7 – 2008 – Memorie//MMD-Giuramento-plebe-Monte-Sacro
Università di Roma “Tor Vergata”
Plebiscita
et leges Antiusura.
Leges fenebres, ius civile ed
‘indebitamento’
della plebe: a
proposito di
Tac. Ann. VI, 16, 1-2
Sommario:
1. Problema dei debiti e
istanze plebee. – 2. Il
sesto libro degli ‘annales’
di Tacito ed il richiamo al ‘vetus
urbi fenebre malum’. – 3. Antichità
delle leggi limitatrici. – A. Faenus unciarium e Legge delle XII
Tavole. – B. Il plebiscito Duilio Menenio del
357 a.C. e il suo rapporto con Tac. ann.
VI, 16, 2. – C. Riduzione
del limite alla semioncia in un plebiscito del 347 a.C. – D. Divieto assoluto
d’usura e plebiscito Genucio. – 4. Conseguenze giuridiche del
divieto: poena quadrupli e manus iniectio. – 5. Limite del tasso
d’interessi. – 6. Ius civile e legge pubblica.
Nella storiografia antica il
problema dell’aes alienum si
intreccia fin dalla prima secessione della plebe del
Al riguardo reputo utile
tenere distinti due profili. Da un lato, quello degli schemi giuridici
attraverso i quali il ius civile
arcaico permetteva al pater familias
‘creditore’ di prevenire – a livello di garanzia – o di
reagire – a livello di responsabilità – alla mancata
restituzione dell’aes suum.
D’altro lato, quello degli schemi giuridici idonei a formalizzare
l’aes alienum. I due profili,
peraltro, avrebbero potuto interagire nella concretezza delle cose.
Credo che non si possa
dubitare, allo stato delle fonti, che, dal primo punto di vista, si sia ricorso
al nexum[3].
Esso, infatti, determinava sulla persona del nexus una qualche ‘forma’ di controllo da parte del pater familias erogante[4],
pur essendo uno strumento giuridico alternativo per funzione
all’assoggettamento alla potestas
di un altro pater familias[5].
Il quadro è ulteriormente complicato dal rapporto tra nexum e manus iniectio, e dal rapporto tra la condizione dei nexi e degli iudicati da un lato, e quella degli addicti dall’altro lato[6].
Il tutto all’interno della già rilevata problematicità
della terminologia giuridica delle fonti letterarie[7].
Esse, peraltro, ricordano che la lotta plebea si orientò essenzialmente
verso la fissazione di limiti all’entità degli
‘interessi’ (faenus)[8]
sul ‘debito’ (aes alienum),
ricorrendo soprattutto allo strumento – come vedremo – della legge
e del plebiscito.
Credo che al riguardo si
debba tornare a pesare l’attendibilità di una testimonianza tratta
dagli annales di Tacito, la quale
rappresenta in materia quasi una somma storiografica[9]
dei passaggi salienti della problematica qui discussa e che – come
vedremo – dimostra di affondare solidamente su elementi storici che
trovano conferma nelle tradizioni presenti in altre fonti.
Nel sesto libro dei suoi annales, Tacito scrive degli anni dal 32
fino al 37 d.C. Si tratta degli anni del principato di Tiberio, morto il 15
marzo del 37 d.C. In relazione al 33 d.C., egli ricorda una agitazione dei
delatori contro i feneratores che
continuavano a prestare denaro ad interessi adversum
legem[10] dictatoris Caesaris[11].
A questo punto Tacito fa un excursus sull’antico male
cittadino dell’usura, partendo dall’età predecemvirale:
Tac. ann.
VI, 16, 1: Sane vetus urbi faenebre malum et seditionum discordiarumque creberrima
causa, eoque cohibebatur antiquis quoque et minus corruptis moribus.
L’antichità
nell’Urbs del fenebre malum è accentuazione
ricorrente nella tradizione tardorepubblicana (Liv. 2, 32, 7 ss.; Cic. de rep. 2, 33, 58; Dion. 6, 41 ss.),
confermata da quanto sappiamo da Livio sulle agitazioni plebee precedenti alla
prima secessione del 494 a.C. (propter
nexos ob aes alienum Liv. 2, 23, 1; 2, 27, 1; sul rifiuto, dopo la vittoria
sui Sabini e sugli Equi, della proposta de
nexis del dittatore Manio Valerio come concordiae
auctor 2, 31, 8-9)[12]
e sulle ripetute agitazioni plebee che in età postdecemvirale porteranno
alla emanazione di provvedimenti contro i feneratores.
Significativo a mio avviso è il richiamo alla causa seditionum discordiarumque, che evoca non solo le secessioni
plebee, ma anche le prospettive ideologiche – così care alla nobilitas tardorepubblicana –
della concordia ordinum[13]
e della esaltazione degli antiqui minus
corrupti mores.
Si è ipotizzato in
dottrina, rispetto alle forme giuridiche dell’indebitamento di età
predecemvirale, che con l’introduzione della manus iniectio iudicati con la legge delle XII Tavole si sarebbe
determinata una situazione di ‘responsabilità’ più
gravosa per i nexi. In età
predecemvirale, il nexum verrebbe in
sostanza a concretizzare una forma spontanea di ‘assoggettamento’
del nexus al pater familias erogante[14]
che, al di là di una più concreta determinazione della forma di
‘responsabilità’ da essa generata[15],
non avrebbe assunto le caratteristiche dell’esecuzione scandita in XII tab. III, 1-3, come poi invece
accadrà anche per il nexus
insolvente assoggettato, come damnatus,
alla manus iniectio iudicati causa
delle XII Tavole[16].
In ogni caso, anche per
questa ipotesi, nexum e addictio producono effetti ben distinti,
che portano i plebei a preferire il nexum
inire, piuttosto che aspettare la manus
iniectio del ‘creditore’ e l’addictio conseguente[17].
Ciò peraltro lascia
ancora aperta la questione delle forme giuridiche con le quali
l’‘indebitamento’ plebeo veniva a realizzarsi. È stato
notato che la terminologia di Livio è univoca, parlando, fino alle XII
Tavole, di nexi[18].
Questa univocità
è a mio avviso confermata dalla terminologia tecnica che per il periodo
arcaico fa uso dell’uncia per
indicare quanto si aggiunge all’aes
prestato. Questo rapporto tra quanto ricevuto e quanto a questo si aggiunge
nella restituzione è configurato in un rapporto di proporzione con
l’asse librale quale unità di peso (uncia)[19].
Ciò non è in astratto scontato, né irrilevante,
perché ci cala concretamente in una realtà[20]
nella quale il valore di scambio ‘convenzionale’ riposa sull’aes prima rude poi signatum e sulla
pesatura con la bilancia (libra) come
momento irrinunciabile e di significativa rilevanza (libripens) non soltanto dello ‘scambio’ delle res pretiosiores (mancipatio), ma anche della quantificazione esatta dell’aes alienum[21].
L’antichità del
sintagma fenus unciarium è
espressiva di una tale realtà e fissando il rapporto suddetto in termini
di 1/12 del peso dell’asse librale (as)
risulta con evidenza più acconcia al nexum,
quale negozio con cui il metallo (aes) veniva pesato e consegnato (prima
realmente e poi solo simbolicamente) attraverso la libra[22]
– producendo un ‘assoggettamento’ del pater familias ricevente (nexus)
a favore del pater familias erogante
– che ad un indebitamento realizzato attraverso lo schema dell’oportere ex sponsione[23].
La lotta plebea per la
liberazione dei nexi si orienta fin
dall’inizio – e sarà la linea politica preponderante fino
alla lex Poetelia Papiria[24]
– a fissare limiti quantitativi al faenus.
Ciò è confermato appunto dalla emanazione di leges publicae o di plebiscita
che, entro un sistema del ius civile
essenzialmente modellato e guidato dalla interpretatio
dei pontifices, fissano dei limiti
massimi al tasso d’interesse. La scelta plebea sembra dimostrare che non
fosse possibile porre in discussione la giuridicità degli atti compiuti[25],
ma che si ritenesse come unica strada percorribile quella di prevedere poenae in un multiplo di quanto imposto
al nexus più del limite legale
(vd. § 4), prevedendo quindi una forma indiretta di dissuasione con la
minaccia della sanzione.
Che le XII Tavole abbiano
sancito il limite del faenus unciarium
è esplicitamente ricordato soltanto da Tac. ann. VI, 16, 2:
Nam primo duodecim tabulis sanctum, ne quis
unciario fenore amplius exerceret, cum antea ex libidine locupletiorum
agitaretur.
I dubbi avanzati in dottrina
sulla testimonianza[26],
pur nell’autorevolezza dei loro sostenitori, non mi sembrano insuperabili[27].
Innanzitutto, allo
«scettico» Tacito[28],
proprio per la sua ‘diffidenza’ nell’accettare
quiescentemente la tradizione consolidata, è riconosciuta una certa
affidabilità nel ricordare tradizioni minoritarie per l’età
arcaica[29].
D’altronde, proprio su
àmbiti giuridici la cosa è abbastanza evidente nell’excursus sull’origine del diritto.
Per quel che riguarda ann. III, 26, 3-4 [30],
se da un lato si sentono elementi comuni ad altre tradizioni[31],
d’altro lato da esse Tacito si discosta notevolmente rivendicando un
ruolo fondamentale a Servio Tullio come sanctor
legum, in contrasto con la tradizione liviana[32].
Le conclusioni che potrebbero trarsi, però, più che a un
discredito nei confronti di Tacito, devono orientarsi verso la valorizzazione
di una tradizione diversa (che echeggia ancora in Dion. 4, 13, 1)[33],
che ricorda Servio Tullio come il re che fece approvare alle curiae un corpo di nómoi che poi daranno vita ad una serie di leges regiae (il ius civile Papirianum in senso proprio, secondo una recente
ipotesi)[34],
distinte dal ius Papirianum che
raccoglieva le leggi di Numa de ritu
sacrorum.
In relazione ad ann. III, 27, 1 [35],
dove si ricorda la costituzione dei decemviri
come diretta al perseguimento della concordia
e della libertas e si qualificano
le XII Tavole come finis aequis iuris,
anche in questi casi è individuabile in Tacito una valorizzazione di
tradizioni minoritarie[36].
In dottrina si è
soliti coordinare Tac. ann. IV, 16, 2
con quanto risulta da:
Cat. de agri cult. Praef. I: Maiores nostri
sic habuerunt et ita in legibus posiverunt, furem dupli condemnari, feneratorem
quadrupli; quanto peiorem civem existimarent feneratorem quam furem, hinc licet
existimare.
La testimonianza di Catone,
nella considerazione del faenerator
quale peggiore cittadino del ladro, riflette bene il distacco della concezione
romana da quella odierna[37].
In dottrina, si è
ritenuto che l’in legibus di
Catone ed il ricordo della poena del
quadruplo confermassero la notizia di Tacito[38].
Al contrario, si è voluta dedurre, proprio dall’in legibus, una possibile inconciliabilità tra le due testimonianze[39],
inconciliabilità che, tenendo in conto Liv. VII, 16, 1 sul plebiscito
Duilio Menenio del
A mio avviso in Catone vi
è una indicazione stratificata della realtà delle cose.
Innanzitutto, hanno ragione coloro che negano all’in legibus di essere una costruzione idonea ad indicare la legge
delle XII Tavole nell’immaginario degli ultimi due secoli della
Repubblica. Ciò è confermato a
contrario proprio per Catone, il quale in orig. [M. Chassignet]
IV, 15 [IV, 13 Jordan = 90 Peter][41],
usava espressamente la costruzione lex
publica[42].
Il plurale generico del testo del de agri
cultura è più consono a richiamare una realtà
legislativa complessa che si era venuta sedimentando sul problema del faenus. In sostanza, dietro l’in legibus catoniano si intravedono le
varie leggi che via via hanno fissato limiti al faenus. L’affermazione è d’altronde confermata
proprio dalla tradizione in materia.
In secondo luogo,
l’accostamento ideologicamente significativo che Catone imputa ai maiores, tra il fur ed il faenerator,
tendenziosamente orientato a stigmatizzare la posizione del secondo[43],
è fondato sul confronto tra la pena della duplio applicata al fur nec
manifestum (tab. VIII, 16) e
quella del quadruplo applicata al faenerator
(sul punto vd. infra § 5). Un
tale accostamento, se esistente in
legibus, è immaginabile in concreto nella tradizione legislativa
arcaica soltanto nel corpus
decemvirale[44].
Di qui la
plausibilità, a mio avviso, che nell’in legibus catoniano il Censore evocasse anche – ma non
soltanto – il precetto decemvirale ricordato da Tacito. È
un’immagine che racchiude uno svolgimento, quello della damnatio in legibus nel quadruplum degli interessi esatti oltre
il limite legale (prima fenus unciarium,
poi semunciarium, poi divieto
assoluto), senza momenti salienti di protagonismo, che invece sono
preponderanti nella tradizione accolta da Livio sul plebiscito Duilio Menenio
come prima vittoria della lotta plebea nella fissazione di limiti al faenus e sugli sviluppi successivi,
anche quelli meno sicuri come il divieto assoluto che dubitatamente si collega
ai Genucii (vd. infra). Catone,
invece, anche in questo caso, pone l’accento sul momento istituzionale e
sulla continuità (maiores nostri
sic habuerunt et ita in legibus posiverunt), in aperta polemica con
«l’ispirazione gentilizia e celebrativa... dell’annalistica;
e verso ogni credenza eroica»[45].
Secondo una parte della
dottrina, il limite decemvirale del faenus
unciarium ricordato in Tacito ann.
IV, 16, 2, sarebbe un’anticipazione del plebiscito Duilio Menenio del 357
a.C. ricordato da Livio[46].
Liv. VII, 16, 1: Haud aeque laeta patribus
insequenti anno C. Marcio Cn. Manlio consulibus [357 a.C.] de unciario fenore a
M. Duilio L. Menenio tribunis plebis rogatio est perlata; et plebs aliquanto
eam cupidius scivit.
Lo scetticismo è
però a mio modo di vedere infondato. Innanzitutto deve rilevarsi che il
plebiscito del
Nel 352 a.C., cioè dopo
pochi anni dal plebiscito Duilio Menenio, si tenterà una ulteriore
strada diversa, con il provvedimento de
creandis quinqueviris mensariis[48].
Sono anni nei quali il
problema dell’indebitamento della plebe è grave e si sente
l’esigenza di fissare per iscritto, ribadendolo nel plebiscito, il
divieto di superare il faenus unciarium,
senza che ciò implichi l’inaffidabilità della tradizione
che riporta il limite ai Decemviri.
Non è questa la sede
per aprire un discorso più ampio sul problema della reiterazione delle
leggi, che non andrebbe semplicemente risolto sul piano di una analisi puntuale
di eventuali circostanze anche minime di differenziazione nei contenuti
precettivi, come nel caso evidente delle leggi de provocatione[49],
ma a mio avviso imporrebbe anche la riconsiderazione dello stesso in chiave di
rapporto tra lex e ius come rapporto in movimento. Rapporto
caratterizzato dialetticamente tra spinte dinamiche della plebe, la quale
ricorre politicamente allo strumento del plebiscito e della legge, e interesse
alla conservazione della status quo
del patriziato, che si realizza nella forza di resistenza del ius civile e nella interpretatio pontificale[50].
La ‘conflittualità’ tra patrizi e plebei viene, ad un certo
momento – prima col fallito tentativo del Decemvirato[51],
poi con le leggi Valerie Orazie del 449 a.C. –
‘istituzionalizzata’. Essa, lungi dal rappresentarsi quale
conflitto tra ‘ordine’ (diritto) e ‘disordine’ (fatto),
diviene un forte fattore dinamico di sviluppo istituzionale interno al ius. Nella costruzione contemporanea si
insinua, talvolta, una latente invadenza del momento dell’ordine come
congruo al sistema ed una incapacità di considerare il disordine ed il
conflitto se non come una rottura dell’ordine ed un suo possibile
rovesciamento (rivoluzione)[52].
Roma sembra, invece, aver tentato – nella concretezza della storia e
nelle sue contraddizioni – di ‘vestire’ di ius anche il conflitto tra patrizi e
plebei, innestando dinamiche di alto significato storico politico e giuridico,
come quella tra imperium consulare e
‘potere negativo’ dei tribuni della plebe, attraverso una delle
leggi Valerie Orazie nel 449 a.C.[53]
Va poi evidenziato il fatto
che la tradizione alla quale attinge Livio è chiara nell’indicare
il divieto come introdotto da un plebiscito (plebs... scivit) su rogatio dei
tribuni della plebe Marco Duilio e Lucio Menenio, con la netta opposizione dei patres (Haud aeque laeta patribus). È ipotizzabile, quindi, da una
parte la resistenza degli schemi giuridici del ius civile che formalizzavano il ‘debito’ e la
restituzione dell’aes alienum e
la conforme interpretatio pontificale
e, dall’altra parte, la volontà politica dei plebei di limitare
questa forma di assoggettamento.
Opto quindi per la sicura
storicità del plebiscito Duilio Menenio e ritengo che essa non sia
antitetica alla tradizione ricordata da Tacito.
Ancora Tacito segnala
l’esistenza di una non meglio precisata rogatio tribunicia che avrebbe dimezzato il limite del tasso
d’interessi[54].
Tac. VI, 16, 2: dein rogatione tribunicia
ad semuncia redactum.
La notizia è
confermata da Liv. VII, 27, 3-4 per il 347 a.C.:
Semunciarium tantum ex unciario faenus factum
et in pensiones aequas trienni, ita ut quarta praesens esset, solutio aeris
alieni dispensata. et sic quoque parte plebis adfecta, fides tamen publica
privatis difficultatibus potior ad curam senatui fuit. Levatae maxime res, quia
tributo ac dilectu supersessum.
Anche in questo caso è
significativo che il limite venga sancito da un plebiscito, al quale si collega
anche una rateizzazione del debito come aveva già fatto una delle leggi
Licinie Sestie. Il confronto con Livio non scioglie il dubbio se in questo caso
si sia trovato un accordo coi patres,
sebbene quest’ultimo potrebbe indirettamente dedursi dalla precisazione
liviana che il provvedimento non sia comunque riuscito ad alleviare
l’indebitamento di buona parte della plebe (forse per l’imposizione
di un pagamento immediato della quarta parte del debito), a conferma per lo
storico patavino che la preoccupazione maggiore del senato fosse il rispetto
della fides publica a scapito delle
difficoltà plebee.
In ogni caso, il dimezzamento
dell’oncia quale unità di misura del tasso d’interessi
conferma – più che smentisce – la computazione di essa nel faenus unciarium in termini di prestiti
in metallo all’8,33% annuo[55].
Più discusso è
il divieto assoluto d’usura ricordato da Tacito[56].
Tac. VI, 16, 2: postremo vetita versura.
Che la tradizione su questo
punto non fosse sicura, si evince chiaramente da quanto Livio afferma per il
342 a.C.:
Liv. VII, 42, 2: Praeter haec invenio apud
quosdam L. Genucium tribunum plebis tulisse ad plebem, ne fenerare licet.
Anche in questo caso, come
per il plebiscito Duilio Menenio, si tratterebbe esclusivamente di un
plebiscito proposto dal tribuno della plebe L. Genucio, diretto a vietare in
assoluto il faenus (ne faenerare licet).
Lo stesso Appiano (bell. civ. I, 54)[57],
che richiama una ‘qualche antica legge’, sembrerebbe evidenziare un
divieto meno generalizzante di quanto emerge dal suo tenore letterale[58].
In ogni caso, in connessione
anche agli effetti giuridici del divieto, ritengo possa avere significato e
chiarire il complesso rapporto tra le diverse testimonianze la puntualizzazione
della natura di plebiscitum
dell’intervento, prima della exaequatio[59].
Come visto, Cat. de agri cult. Praef. I, ricordava la poena del quadruplum quale connessa ad una azione privata, la quale
più concretamente potrebbe, attraverso una damnatio in legibus, evocare il ricorso diretto contro il faenerator alla esecuzione per manus iniectio.
Il quadruplo è stata
valutato in dottrina come duplum del duplum, in caso di doppia litiscrescenza: dapprima del debitore che
resiste a pagare la quota di faenus
stabilita nel negozio concluso, ma superiore al tasso legale massimo (unciarium, poi semunciarium) e che, data la natura di lex minus quam perfecta della legge che sancisce il divieto,
è tenuto ugualmente a pagare il doppio al creditore usurario; poi, il
debitore stesso, data la damnatio
legale del fenerator, otterrà
da quest’ultimo, in caso si opponga alla diretta esecuzione per la
restituzione degli interessi oltre il tasso permesso, il doppio del doppio,
quindi il quadruplo[60].
Una tale lettura mi sembra complicata e imporre una prima infitiatio del nexus
circoscritta esclusivamente agli interessi oltre il limite legale, il che non
è facilmente ipotizzabile nella concreta restituzione dell’aes alienum.
La originaria poena del quadruplum quale fondativa di una damnatio del fenerator
potrebbe assumere luce, invece, se la si collega alla lex Marcia ricordata da
Gai. IV, 23: Sed aliae leges ex quibusdam
causis constituerunt quasdam actiones per manus iniectionem, sed puram, id est
non pro iudicato, velut lex <Furia> testamentaria...; item lex Marcia
adversus feneratores, ut si usuras exegissent, de his reddendis per manus
iniectionem cum eis ageretur[61].
La manus iniectio pura sarebbe stata riconosciuta contro il faenerator che avesse esatto gli
interessi, per ottenerne la restituzione. Un tale regime, contrastante con la poena del quadruplum, ha però senso quale strumento di recupero degli
interessi comunque pagati a prescindere dal superamento di un tasso limite, il
che è invece coerente ad un regime quale quello che si delinea
successivamente al plebiscito Genucio.
Il ricorso alla manus iniectio pura però è
un indizio che potrebbe essere collegato a quanto ci dice lo Pseudo-Asconio, in
relazione all’uso della parola quadruplator
da parte di Cicerone nell’orazione in
Q. Caecilium (VII, 24):
Alii dicunt quadruplatores esse eorum
reorum accusatores qui convicti quadrupli damnari soleant, ut aleae aut
pecuniae gravioribus usuris feneratae. [Bruns, II, 70]
Il quadrupli damnari conferma a mio avviso che la pena del quadruplo
era connessa ad una damnatio
(legale?)[62]
che legittimava il ‘debitore’ che avesse pagato interessi oltre il
limite legale ad esercitare una manus
iniectio iudicati contro il faenerator.
Conferma si potrebbe trovare in quanto echeggi di reale nel gioco di parole del
Persa di Plauto (70-72): Ubi quadruplator quempiam iniexit manum/
tantindem ille illi rursus iniciat manum/ ut aequa parti prodeant ad trisviros.
Anche rispetto al tasso
d’interessi assunto come limite, i significati dati a fenus unciarium sono diversi; mi sembra,
però, che le considerazioni relative ad un tasso d’interessi annuo
del 100% (uncia = 1/12
dell’asse al mese) che vogliono accentuare le condizioni economiche del V
sec. a.C. e della recenziorità della monetazione[63],
perdano molta della loro forza, se poste in relazione all’aes signatum ed alla tradizione che lo
colloca nell’età di Servio Tullio, notizie ora avvalorate dai
ritrovamenti archeologici[64].
Ciò comporta a mio avviso che all’età delle XII Tavole sia
sostenibile un significato di uncia =
1/12 dell’asse all’anno (di dodici mesi), pari all’8,33 %[65].
D’altronde, pensare ad
un tasso di interessi del 100% vanifica la possibilità di dare senso
alle ragioni della lotta plebea come ricordate da una coerente tradizione e
soprattutto rendono incomprensibile il dimezzamento del limite alla semioncia[66].
Gli schemi giuridici di ius civile attraverso i quali poteva
quindi concretizzarsi l’interesse del fenerator
a rendere redditizio il prestito assumono come caratteristica comune
l’astrattezza: negozi astratti, caratterizzati dalla forma (verbale e/o
gestuale: sponsio e nexum). Le fonti letterarie, come
abbiamo visto, sono unanimi nel riconoscere al nexum il ruolo di atto col quale si realizza
l’‘indebitamento’ plebeo. Non è quindi un caso che la
traduzione in esso della operazione economica sottesa non trovasse adeguati
strumenti eteronomi di intervento sul gestum
per aes et libram quale compiuto dai due patres familias. Né il normale meccanismo mores - interpretatio poteva risultare
idoneo strumento di superamento degli effetti vincolanti del negozio iure civili ritualmente compiuto. Il ricorso alla lex publica o, per lo più, al plebiscito per sanzionare il superamento del limite legale riassume quindi,
da questa prospettiva, una ‘incapacità congenita’ del ius civile[67].
Esso rappresenta il ricorso allo strumento giuridico che viene considerato
l’unico idoneo a riadeguare la realtà del faenus calato nel nexum,
che in materia si traduceva appunto nella imposizione di tassi
d’interessi molto alti alla parte plebea da parte di quella patrizia.
L’unica possibilità di contenere il fenomeno, a fronte di una
società non coesa sul piano sociale, sembra agli occhi della plebe il
ricorso al iussum populi o, con
maggiore frequenza, al iussum plebis, come tentativo di superare il
conflitto e ricercare un eventuale accordo con la parte patrizia. La
delimitazione legale del tasso d’interessi, che come ho detto non
inficiava l’atto giuridico fondante l’aes alienum a cui attraverso il nexum
si collegavano effetti giuridici propri sulla persona del nexus, dava comunque diritto a quest’ultimo di pretendere una
poena del quadruplum del valore degli interessi esatti dal pater familias ‘erogante’
oltre il limite legale (Cat. de agri
cult. Praef. I).
La realtà del faenus che prende la forma giuridica del
nexum non può essere
aggredita, ma solo ridimensionata nei suoi effetti connessi al tasso
d’interessi imposto al ‘debitore’ con la lex publica o con il plebiscitum.
Non è attestato il ricorso a clausole d’annullamento, ma
eliminando le storture connesse al tasso d’interesse convenzionalmente
imposto dalla parte forte del negozio e inducendo il rispetto spontaneo del
limite legale pena la quadriplicazione di quanto richiesto in eccesso. Il
momento di tutela più forte è in ogni caso realizzato attraverso
l’assoggettamento del faenerator
alla manus iniectio, prima iudicati per il pagamento del quadruplo, poi pura per la restituzione degli interessi comunque esatti con la lex Marcia.
Bisogna però
riconoscere che né lo strumento delle leggi limitatrici, né le
altre vie tentate dalla plebe per risolvere il grave problema
dell’indebitamento (rateizzazioni, moratorie, cura pubblica della
rateizzazione ecc.) sembrano riuscire ad estirpare definitivamente la piaga e
ad attutire le tensioni sociali connesse all’‘indebitamento’
della plebe.
Bisognerà aspettare
una soluzione giuridica diversa, che sia in grado di incidere nella struttura
del negozio col quale si realizza l’‘indebitamento’ per dare
una risposta più efficace al problema. Bisognerà cioè
aspettare la lex Poetelia Papiria
che, ancora nella tradizione accolta da Livio 8, 28, 1 è qualificata per
la plebe un aliud initium libertatis.
Si apre cioè con essa, come è stato autorevolmente affermato,
«una nuova stagione del credito e dei negozi di credito»[68].
[1] La
cosa è notata puntualmente in dottrina; vd. ad es. F. De Martino, Riforme del IV secolo, in «BIDR» LXXVIII, 1975, 29 ss.,
39 e F. Serrao, Diritto privato economia e società
nella storia di Roma 1. Dalla società gentilizia alle origini
dell’economia schiavistica, Napoli, 2006, 345, che riabilitano la
tradizione a fronte della critica e dei dubbi avanzati in G. De Sanctis, Storia dei romani, Firenze,
1960, 2a ed., 1 ss., in particolare 6.
[2] Il
che non significa però completa inattendibilità, ma soltanto
maggiore sensibilità dell’osservatore a superare la terminologia
utilizzata e guardare alla sostanza dei rapporti ricordati; il contributo di G.
MacCormack, Nexi, Iudicati and Addicti in Livy, in «ZSS(RA)»
LXXXIV, 350 ss. intravede nella diversa terminologia liviana un possibile
sviluppo storico connesso alla storia del nexum
con l’introduzione nelle XII Tavole della legis actio per manus iniectionem iudicati. Questa ipotesi ha
suscitato perplessità in L. Peppe, Studi sull’esecuzione personale I.
Debiti e debitori nei primi due secoli della repubblica romana, Milano,
1981, 108, al quale si deve un approfondito riesame – su corrette basi
metodologiche (vd. ad es. per la complessità delle tradizioni connesse
alla questione della concordia ordinum,
46 ss.) – delle fonti letterarie in materia: 23 ss.; 99 ss.
[3] Il
problema si intreccia con le diverse ricostruzioni proposte in dottrina del
rapporto tra nexum e manus iniectio iudicati introdotta dalle
XII Tavole e della eventuale complessità dei negozi di credito esistenti
per l’età interessata. Su questi complessi problemi, per un primo
riferimento, con posizioni differenziate, vd. ad es. PH. E. Huschke,
Über das Recht des nexum und das alte römische Schuldrecht,
Leipzig, 1846 [rist. Aalen, 1980]; L. Mitteis,
Ueber das Nexum, in
«ZSS(RA)» XXII, 1901, 96 ss.; O. Lenel,
Das Nexum, in «ZSS(RA)»
XXIII, 1902, 84 ss.; Th. Mommsen,
Nexum, in «ZSS(RA)»
XXIII, 1902, 348 ss.; B. Kübler,
Kritische Bemerkungen zum Nexum, in
«ZSS(RA)» XXV, 1904, 254 ss.; U.
von Lübtow, Das
altrömische nexum als Geiselgeschäft, in «ZSS(RA)»
LVI, 1936, 234 ss.; Idem, Zum Nexumproblem, in
«ZSS(RA)» LXVII, 1950, 112 ss.; H. Levy-Bruhl, Nouvelle
études sur le très ancien droit romain, Paris, 1947, 97 ss.; M. Kaser,
Das altrömische Jus,
Göttingen, 1949, 232 ss.; Idem, Das römische Privatrecht, München, 1971, 2a ed., I,
166-167; Idem, ‘Unmittelbare Vollstreckbarkeit’
und Bürgerregreß, in «ZSS(RA)» C, 1983, 80 ss., in
particolare 110-112; E. Schönbauer,
Mancipium und nexus, in «Iura» 1, 1950, 300 ss.; J. Imbert, Fides et nexum, in Studi in
onore V. Arangio-Ruiz, I, 1953, 339 ss., in particolare 359 ss.; M. I. Finley, La servitude pour dettes, in «RHD» 43, 1965, 159 ss.,
in particolare 172 ss.; C. ST. Tomulescu,
Nexum bei Cicero, in «Iura» XVII, 1966, 39 ss.; O. Behrends, Der Zwölftafelprozess. Zur Geschichte des römischen Obligationenrechts,
Göttingen, 1974, 37-38 n. 32; F. De
Martino, Le riforme del IV secolo
a.C., in «BIDR» LXXVIII, 1975, 39 ss.; F. Horak, Kreditvertrag
und Kreditprozeß in den Zwolftafeln, in «ZSS(RA)» XCIII,
1976, 261 ss.; M. Talamanca, Obbligazioni (dir. rom.), in
«ED» XXIX, 1979, 1 ss., in particolare 4-8; Idem, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, 543-544; B. Albanese, Gli atti negoziali nel diritto privato romano, Palermo, 1982, 37-39; M. Bretone,
Tecniche ed ideologie dei giuristi romani,
Napoli, 1984, 2a ed., 108 e 264-265; Idem,
Storia del diritto romano, Roma-Bari,
1995, 9a ed., 90-93; 453-454; A. Schiavone,
Ius. L’invenzione del diritto in
Occidente, Torino, 2005, 147, 185 nn.
[4] Di
ciò è prova la diversa forma di soggezione della persona del nexus rispetto alle personae in causa mancipii - necessitanti una manumissio per uscire dalla potestas
del pater familias – e agli addicti - vendibili trans Tiberim –, diversità che troverebbe concreta
espressione nell’atto di liberazione specifico per il nexus della solutio per aes et libram.
[5]
Così, per tutti, esattamente M. Kaser,
Das römische Privatrecht cit., 166 n. 5; M. Talamanca, Obbligazioni cit., 6 n. 35.
[6] Per
il mio punto di vista in relazione al ricorso, in via di interpretatio, alla solutio
per aes et libram, che in età predecemvirale ha funzione di liberatio del nexus, per sciogliere il iudicatus
nei trenta dies iusti, prima
dell’addictio, della manus iniectio iudicati in base alle XII
Tavole, si vd. Lege XII tabularum
praeposita iungitur interpretatio, in Homenaje
Hinestrosa, Bogotà, 2003, I, 199 ss., in particolare 219 ss.
[7] Sul
punto vd. L. Peppe, Studi sull’esecuzione personale
cit., I, 102 ss. In relazione ai passi di Livio in materia, anche per M. Talamanca, Obbligazioni cit., 5 n. 27, essi rimarrebbero «abbastanza
generici sui problemi di struttura giuridica».
[8] Dal
punto di vista terminologico, sembra riscontrabile per faenus una maggiore risalenza rispetto ad usura per indicare l’interesse; Pauli excerpta ex l. Pompei Festi de sign. verb. (Lindsay), 76, 9: fenus, feneratores et lex de credita pecunia
fenebris, a fetu dicta, quod crediti nummi alios pariant, ut apud Graecos eadem
res tokÒj dicitur. Il
dato è presupposto nel lungo excursus
di Varr. de l. Lat. V, 36, 169 ss.
sulla pecunia signata ed il suo
rapporto con aes, as ed uncia. Per il problema della indicata derivazione naturalistica (a fetu) e la metafora che ne deriva sul
piano del prestito di denaro, mi permetto di rinviare a quanto ho avuto modo di
precisare in rapporto alla diversa prospettiva dei giuristi antichi rispetto
alla mentalità contemporanea in Il
‘periculum’ e le ‘usurae’ nei giudizi di buona fede,
in S. Tafaro (a cura di), L’usura ieri ed oggi, Convegno Foggia
7-8 aprile 1995, Bari, 1997, 13-19 e, con un percorso più
dettagliato degli svolgimenti storico-dogmatici del problema, Dalla regola romana dell’usura
pecuniae in fructu non est agli interessi pecuniari come frutti civili nei
moderni codici, in Roma e America. Diritto
romano comune, 5, 1998, 3 ss.
[9] Così C. Appleton, Contribution
à l’histoire du prêt à intérêt à
Rome. Le taux du
‘fenus unciarium’, in «RHD» XLIII,
1919, 467 ss., in particolare 499.
[10] Qui
Tacito, parlando soltanto di lex,
potrebbe avere semplificato la complessità storica del provvedimento
cesariano del
[11]
Tac., ann. VI, 16, 1: Interea magna vis accusatorum in eos inrupit
qui pecunias faenore auctitabant adversum legem dictatoris Caesaris, qua de
modo credendi possidendique intra Italiam cavetur, omissa<m> olim, quia
privato usui bonum publicum postponitur. Non credo che si possa imputare a
Tacito – per il dictator Caesaris –
una certa sciatteria tecnico-giuridica, perché qui non si fa
necessariamente riferimento alla carica magistratuale al momento del
provvedimento del
[12] Sul punto
vd. ora F. Vallocchia, Manio Valerio ‘Maximus’,
dittatore e augure, in «Index»
35, 2007, 27 ss.
[14] J. Imbert, Fides et nexum cit., 359 ss.; M. I. Finley, La servitude pour
dettes, cit., 172 ss.; F. Horak,
Kreditvertrag und Kreditprozeß
cit., 264; B. Albanese, Gli atti negoziali cit., 38. Sarebbe, a
questo riguardo, interessante verificare se possa esservi un collegamento con
la figura del servire servitutem; sul
punto vd., in rapporto all’addictus,
R. Fiori, Servire servitutem, in Iuris
vincula. Studi in onore M. Talamanca, Napoli, II, 355 ss.
[15] Da
condividere quanto al riguardo ha precisato M. Talamanca, Obbligazioni
cit., 6 n. 35: «Per la mentalità predecemvirale, se il problema
fosse potuto porsi, l’unico ‘oggetto’ possibile sarebbe stato
la persona del nexus stesso»,
in rapporto alla diversa tesi di C. St.
Tomulescu, Nexum cit., 97, che
accentua appunto quale ‘oggetto’ del nexum le operae del
‘debitore’.
[16] In
questa prospettiva non hanno forza le critiche sollevate da J. Imbert, Fides et nexum cit., 362, nei confronti della tesi di M. Kaser, Das altrömische Jus cit., 240 ss., in quanto la
possibilità che il nexum
legittimasse – dopo le XII Tab.
– una manus iniectio iudicati vel
damnati chiaramente modifica anche la funzione della solutio per aes et libram nel processo esecutivo rispetto al suo
ruolo come nexi liberatio
nell’età predecemvirale; sul punto, per la mia prospettiva, vd. Lege XII
tabularum cit., 219 ss.
[18] Sul
punto vd. G. MacCormack, Nexi cit., 351, sebbene poi l’A.
ne deduca precise conseguenze in rapporto all’addictio che non hanno trovato adesione in L. Peppe, Studi sull’esecuzione personale cit., I, 108.
[19] Di
ciò si accorge lo stesso F. De
Martino, Riforme del IV secolo cit.,
53, quando presupponendo per l’età decemvirale solo prestiti in
natura, ne deduce l’inconferenza dell’oncia quale dodicesimo
dell’asse librale per le derrate che avrebbero imposto «una misura
di peso più elevata».
[20] Su
di essa vd. l’interessante excursus
di Gai. I, 122, sul quale cfr. ad es. H. Levy-Bruhl,
Nouvelle études cit., 109 e F.
Serrao, Diritto privato economia e società cit., 112 ss.
[21]
Fondamentale, G. De Sanctis, Storia dei romani cit., II, 457-459. Nel
senso qui seguito, F. Serrao, Diritto privato economia e società
cit., 111 ss. e 348. Sui problemi relativi all’aes nel V sec. significative sono le precisazioni anche di A. Manfredini, Tre leggi nel quadro della crisi del V secolo, in «Labeo» 22, 1976, 198 ss. e di A. Corbino, Il formalismo negoziale nell’esperienza romana, Torino, 2006,
2a ed., 24. Non esprime una posizione del tutto coerente L. Solidoro, Problemi di storia sociale nell’elaborazione giuridica romana
(Appunti dalle lezioni), Napoli, 1994, 13 ss., in particolare 25-
[22]
Così ad es. H. Levy-Bruhl,
Nouvelles études cit., 109; M.
Kaser, Das römische Privatrecht
cit., 167. Per una ipotesi di formulazione che aggiunge il fenus unciarium al quantum da restituire nella nuncupatio del rito librale Idem, Das altrömische Jus cit., 239. Si vd. anche le precisazioni di
B. Albanese, Gli atti negoziali cit., 38 sulla duplice funzione del nexum. Per il collegamento modernizzante
tra nexum aes e pecunia obligata fa fede Fest. De
verb. sign. 162, 4-
[23]
Sull’ipotesi della sponsio come
unico Kreditvertrag dell’epoca
arcaica, proposta da O. Behrends,
Der Zwolftafelprozeß cit., 34
ss.; Idem, Das ‘nexum’ im Manzipationsrecht oder die
Ungeschichtlichkeit des Libraldarlehens, in «RIDA» 1974, 137
ss., vd. i puntuali rilievi e le riserve di F. Horak, Kreditvertrag
cit.,
[24]
Preponderante e non esclusiva perché le fonti attestano anche tentativi
di soluzione diversi, che restano però momenti più circoscritti:
il primo è quello della lex
Licinia Sextia de aere alieno del
[25] Vd., in rapporto alle leges fenebres, le precisazioni di L. Mitteis, Römisches
Privatrecht bis auf die Zeit Diokletians I, Leipzig, 1908 (rist. Aalen,
1994), 246-248 anche in rapporto ai divieti introdotti con plebisciti;
d’obbligo, altresì, M.
Kaser, Über Verbotsgesetze
und verbotswidrige Geschäfte im römischen Recht, Wien, 1977,
33-37.
[26] F. De Martino, Riforme del IV sec. a.C. cit., 53, che argomenta in base ad una
più congrua collocazione della problematica, rispetto ai dati
ricostruiti del quadro economico, nel IV sec. a.C. piuttosto che nel V sec.
a.C.; Idem, Storia economica di Roma antica, Firenze, 1979, 143-144. Per
l’attendibilità della notizia di Tacito, prudente anche F. Wieacker, Zwölftafelprobleme, in «RIDA» 3e S., 3, 1956, 478
n.
[27] Per
l’attendibilità della notizia degli annales G. Billeter, Geschichte des Zinsfußes im griechisch-römischen
Altertum bis auf Justinian, Leipzig, 1898, 119; F. Klingmüller, Streitfragen
aus der römischen Zinsgesetzgebung, in «ZSS(RA)» XXIII,
1902, 68 ss.; Idem, Fenus, in «PWRE» VI, 2,
2188; C. Appleton, Contribution cit., 502 n. 2; S. Riccobono in Fontes iuris romani antejustiniani. I, Leges, Florentiae, 1941.2,
61 (ricordando in nota la dissensio);
O. Behrends, Der Zwölftafelprozess cit., 5 n. 19; M. Kaser, Das
römische Privatrecht cit., I, 167; Idem,
Über Verbotsgesetze cit., 35-36
n. 10; R. Zimmermann, The Law of Obligations,
Deventer-Boston, 1990, 166; L. Solidoro, Problemi
di storia sociale cit., 26-27; D.
Flach, Die Gesetze der frühen
römischen Republik. Text und Kommentar, Darmstadt, 1994, 180; W. Kunkel - R. Wittmann, Staatsordnung und Staatspraxis der
römischen Republik, II, München, 1995, 608 n. 169; con
approfondimenti ed argomenti convincenti, ora, F. Serrao, Diritto
privato economia e società cit., 345 e 347-349. Dà la cosa per presupposta, St. Mrozek, Faenus: Studien zu Zinsproblemen zur Zeit des Prinzipats,
Stuttgart, 2001, 29-30. Con
prudenza M. H. Crawford (ed. by),
Roman Statutes, II, London, 1996,
686.
[29]
Fondamentale R. Syme, Tacitus cit., I, 378; 397 ss. (dove si
ricorda anche l’esempio emblematico della diversa tradizione su Porsenna
in Tac. hist. III, 72, 1: Porsenna dedita urbe), che parla di
«distrust» come di
qualità fondamentale dello storico (398).
[30] At postquam exui aequalitas et pro modestia
ac pudore ambitio et vis incidebat, provenere dominationes multosque apud
populos aeternum mansere. Quidam statim, aut postquam regum pertaesum, leges
maluerunt. Hae primo rudibus hominum animis simplices erant; maximeque fama
celebravit Cretensium, quas Minos, Spartanorum, quas Lycurgus, ac mox
Atheniensibus quaesitiores iam et plures Solo perscripsit. Nobis
Romulus, ut libitum, imperitaverat; dein Numa religionibus et divino iure
populum devinxit, repertaque quaedam a Tullo et Anco. Sed praecipuus Servius
Tullius sanctor legum fuit, quis etiam reges obtemperarent.
[31] Cic. de re publ. II, 1, 2: Is [scil. Cato] dicere solebat ob hanc
causam praestare nostrae civitatis statum ceteris civitatibus, quod in illis
singuli fuissent fere, qui suam quisque rem publicam constituisset legibus
atque institutis suis, ut Cretum Minos, Lacedaemoniorum Lycurgus, Atheniensium,
quae persaepe commutata esset, tum Theseus, tum Draco, tum Solo, tum Clishenes,
tum multi alii, postremo exsanguem iam et iacentem doctus vir Phalereus
sustentasset Demetrius, nostra autem res publica non unius esset ingenio, sed
multorum, nec una hominis vita, sed aliquot constituta saeculis et aetatibus.
Nam neque ullum ingenium tantum extitisse dicebat, ut, quem res nulla fugeret,
quisquam aliquando fuisset, neque cuncta ingenia conlata in unum tantum posse
uno tempore providere, ut omnia complecterentur sine rerum usu ac vetustate.
[32] Liv.
I, 42, 1 che distingue tra un Numa come divini
auctor iuris e un Servio Tullio come conditor
omnis in civitate discriminis ordinumque, in base alla istituzione del
censo. Per la particolarità del giudizio di Tacito su Servio vd. anche
E. Koestermann in Cornelius
Tacitus, Annalen cit., Band I, 466.
[33] œpeita toÝj nÒmouj toÝj te
sunallaktikoÝj kaˆ toÝj perˆ tîn
¢dikhm£twn ™pekÚrwse ta‹j fr£traij.
[34]
È l’ipotesi proposta, convincentemente, da D. Mantovani, Le due serie di ‘leges
regiae’, in Istituto Lombardo
(Rend. Lett.), 136, 2002, 59 ss., in particolare su Servio Tullio, 66.
[35] Pulso Tarquinio adversum patrum
factiones multa populus paravit tuendae libertatis et firmandae concordiae,
creatique decemviri et, accitis quae usquam egregia, compositae duodecim
tabulae, finis aequis iuris.
[36] E. Koestermann in Cornelius Tacitus, Annalen cit., I, 467. Per i decemviri vd. qualcosa nel mio I Decemviri legibus scribundis come
‘poteri costituenti straordinari’ in Theodor Mommsen, in Fides Humanitas Ius. Studii in onore L.
Labruna, Napoli, 207, II, 756 ss., in particolare sulla complessità
delle tradizioni 762 ss. In dottrina è stato ipotizzato un rapporto tra
il finis aequis iuris di Tacito con
Liv. 3, 34, 3 (iura aequasse); A. Schiavone, Ius. L’invenzione del diritto in occidente cit., 419 n. 52.
[37] Vd.
sul punto P. Catalano, Princípios gerais do direito, direito
à vida e dívida externa, in «Revista Forense» 353, (Rio de Janeiro), 2001, 209 ss. a cui
può esser utile aggiungere il mio Fenus,
usurae e interessi pecuniari come ‘frutti civili’, in P. Catalano - A. Sid Ahmed (dir.), La dette contre le développement:
quelle strategie pour les peuples méditerranéens?, Paris,
2002, 15 ss.
[38] G. Billeter,
Geschichte des Zinsfußes cit.,
117; F. Klingmüller, Fenus cit., 2188; S. Riccobono
in Fontes iuris romani antejustiniani. I,
Leges cit., 61 (ricordando in nota la dissensio);
O. Behrends, Der Zwölftafelprozess cit., 5 n. 19; M. Kaser, Über
Verbotsgesetze cit., 35-36 n. 10; D.
Flach, Die Gesetze der frühen
römischen Republik cit., 180.
[40] Dubitano
che Catone si riferisca alle XII Tavole, oltre a C. Appleton, Contribution
cit., 534 ss.; F. De Martino, Riforme del IV sec. a. C. cit., 49-50;
M. H. Crawford (ed. by), Roman Statutes cit., II, 686.
[42] Era
questa l’ipotesi di Th. Mommsen, Dwdek£deltoj, in Mél.
Boissier,
1903, 1-3 [= Gesamm. Schriften II.
Juristische Scriften, II B. rist. dell’ed. 1905, Zürich -
Hildesheim, 1994, 141-143]; sul punto, con precisazioni anche M. Bretone, Storia del diritto romano cit., 37 e n. 1.
[43] Il
che però non significa che l’accostamento debba essere svalutato,
ma anzi che esso riflette una concezione dell’usura che solleva oggi
problemi e mette in crisi le odierne costruzioni; sul punto vd. supra n. 37.
[44]
Secondo la ricostruzione tematica fatta dalle moderne edizioni nella tabula VIII; vd. ad es. S. Riccobono in FIRA, 2a ed., I, cit.,
60-61.
[45]
Fondamentale, M. Bretone, Tecniche ed ideologie dei giuristi romani
cit., 8-9.
[46] Per
tutti F. De Martino, Riforme del IV sec. a.C. cit., 49 ss.,
che opta per l’inattendibilità di Tacito in base a considerazioni
di natura economica. Il grande studioso riconosceva peraltro che in materia
«Livio» valesse «quanto Tacito» e che quindi la
questione non potesse risolversi «in forza di pure considerazioni
testuali». In dottrina è stata avanzata anche l’ipotesi
della obsolescenza del divieto decemvirale. Non mi sembra peraltro percorribile
una interpretazione che ipotizzi che tra le XII Tavole ed il plebiscito Duilio
Menenio si fosse fissato ex lege un
limite più alto, imponendo la reiterazione del divieto; vd. gli autori
ricordati in F. Klingmüller,
Fenus cit., 2188. Riprende questa ipotesi più di recente L. Savunen, Debt Legislation in the Fourth Century BC, in U. Paananen et alii (ed. by), Senatus PopulusQue Romanus. Studies in Roman
Republican Legislation, Helsinki, 1993, 143 ss., in particolare 148. Questa
interpretazione è infatti riflesso di un rapporto tra diritto e legge
condizionata dalla concezione oggi dominante del primato della legge, ma
inadeguata a cogliere la realtà romana, tanto più quella
dell’età arcaica, nella quale gli svolgimenti del ius e il rapporto di esso con la lex sono di natura profondamente
differente; per tutti vd. F. Gallo,
Interpretazione e formazione consuetudinaria
del diritto. Lezioni di diritto romano, Torino, 1971 (ed. completata 1993),
92 ss. e 121 ss. da leggersi insieme a F. Serrao,
Ius e lex nella dialettica costituzionale
della prima Repubblica, in Nozione
formazione e interpretazione del diritto dall’età romana alle
esperienze moderne. Ricerche dedicate a F. Gallo, Napoli, 1997, I, 279 ss.
[47] Vd.
sul punto ora D. Flach, Die Gesetze cit., 283-285; F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 346 e 349.
[48] Sul
provvedimento vd. A. Pollera, Un intervento di politica economica nel IV
sec. a. C. cit., 447 ss.
[50] Vd.
per il mio modo di vedere le cose, Lege
XII tabularum praeposita iungitur interpretatio cit., I, 201 ss.
[51] Ho
provato ad evidenziarne le possibili differenti tradizioni in I Decemviri legibus scribundis come
‘poteri costituenti straordinari’ in Th. Mommsen cit., 755 ss.
[52]
Fondamentale P. Catalano, A proposito dei concetti di
‘rivoluzione’ nella dottrina romanistica contemporanea (tra
‘rivoluzione della plebe’ e dittature rivoluzionarie), in
«SDHI» XLIII, 1977, 440 ss., in particolare 447.
[53] P. Catalano, Tribunato e resistenza, Torino, 1971; Idem, Sovranità
della multitudo e potere negativo: un aggiornamento, in Studi in onore S. Ferrara, I, Torino,
2005, 641 ss.; G. Lobrano, Il potere dei tribuni della plebe, Milano, 1983; F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 96.
[54] Vd.
al riguardo G. Rotondi, Leges publicae populi Romani cit., 224;
ed ora M. Kaser, Über Verbotsgesetze cit., 36; L. Savunen, Debt Legislation cit., 149; F.
Serrao, Diritto privato economia e
società cit., 346.
[55] Ben
si avvede del problema F. DE Martino,
Riforme del IV sec. a.C. cit., 64,
quando lucidamente osserva che non si riuscirebbe «a comprendere quale
sia stato il sollievo della plebe se l’interesse fu prima stabilito nella
misura del 100% e poi del 50% trasferendo in valori monetari gli usi del
prestito in cose dell’età più antica».
[56] Vd.
al riguardo G. Rotondi, Leges publicae populi Romani cit., 226;
ed ora F. DE Martino, Riforme del IV sec. a.C. cit., 65 ss.;
M. Kaser, Über Verbotsgesetze cit., 36; G. Tilli, .... Postremo
vetita versura, in «BIDR» LXXXVI-LXXXVII, 1984, 147 ss.; L. Savunen, Debt Legislation cit., 149-150; L. Fascione, La
legislazione di Genucio, in F. Serrao
(a cura di), Legge e
società nella repubblica romana, II, Napoli, 2000, 179 ss., in
particolare 182-185; F. Serrao, Diritto privato economia e società
cit., 346 e 349-350.
[57] toà d/aÙtoà crÒnou kat¦
tÕ ¥stu oƒ crÁstai prÕj ¢ll»louj
™stas…asan, oŠ men pr£ttontej t¦ crša
sÝn tÒkoij, nÒmou tinÕj palaioà
diagoreÚontoj m¾ dane…zein ™pˆ tÒkoij
À zhm…an tÕn oÛtw dane…santa prosfle‹n.
[58] Con
approfondimenti vd. G. Tilli, ... Postremo vetita versura cit., 147 ss.;
F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 349-350.
[59] Vd.
ad es., in rapporto all’assenza di una clausola di annullamento, L. Mitteis, Römisches Privatrecht cit., I, 248.
[60] Vd. ad es. PH. E. Huschke, Über das
Recht des nexum cit., 143 n. 198; G. Billeter, Geschichte cit., 218.
[61] Sul punto, con posizioni diverse, O. Behrends, Der Zwölftafelprozess cit. 209 nn. 9-10; M. Kaser, ‘Unmittelbare Vollstreckbarkeit’ cit., 123; F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 351. Per la
estensione della poena anche nei
rapporti coi socii e al nomen Latinum vd. Liv. XXXV, 7, 1-2, su
cui vd. Di Lella, Il plebiscito Sempronio del
[62] F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 351, pensa, invece,
esclusivamente alla legis actio
sacramenti in personam, ma forse, proprio il parallelismo tra faenerator e fur potrebbe avvalorare ulteriormente la lettura qui proposta.
[63]
È la tesi sostenuta con vigore da C. Appleton,
Le taux du ‘fenus unciarium’
cit., 467 ss.; F. Wieacker, Zwölftafelprobleme cit., 478; vi
aderisce, ponderandone le argomentazioni e arricchendole F. De Martino, Riforme cit., 62-65; di recente anche L. Solidoro, Problemi di
storia sociale cit., 26.
[64]
Esattamente B. Albanese, Gli atti negoziali cit., 34 n. 20; F. Serrao, Diritto privato economia e società cit., 111 ss.
[65] G. Billeter,
Geschichte cit., 160 ss.; F. Klingmüller, Streitfragen aus der römischen Zinsgesetzgebung, in
«ZSS(RA)» 23, 1902, 68 ss.; Idem,
Fenus cit., 2191-2192; O. Behrends, Der Zwölftafelprozess cit., 5 n. 19.
[66]
Così anche F. De Martino, Riforme del IV sec. a.C. cit., 64. che
parla del limite della semioncia nell’àmbito della teoria
dell’Appleton come di «un aspetto misterioso del processo
storico».
[67] Puntuale R. von
Jhering, Geist des römischen Rechts auf den
verschiedenen Stufen seiner Entwicklung, 2.1, Leipzig, 1894 5a ed. [rist.
Aalen, 1993], 152-153.