IL RUOLO DELLA REGIONE
NELLA
RIFORMA DELLO STATUTO*
Università di Sassari
Sommario: 1. Premessa.
– 2. Il principio partecipativo.
– 3. Il principio partecipativo
e la specialità. – 4. L’esclusione del
referendum nazionale.
Le
regioni speciali partecipano alla revisione del proprio statuto in forza delle
previsioni disposte ultimamente dalla legge costituzionale 2/2001 [1].
Le principali innovazioni introdotte da questa legge costituzionale sono il
parere del consiglio regionale sui progetti di revisione dello statuto e
l’esclusione del referendum ex art. 138 Cost. sulle leggi di revisione
statutaria. Su di esse e, in particolare, sul significato e sulla portata
dell’esclusione di tale referendum si è svolto un dibattito[2].
Qui non ho il tempo di dar conto della discussione in proposito, né di
esaminare direttamente le posizioni sostenute, molte delle quali divergono in
più punti rilevanti dal ragionamento che ora mi accingo a svolgere. Mi
limiterò ad argomentare la tesi che la regione speciale deve partecipare
alla determinazione della propria particolare posizione costituzionale in
virtù di un principio costituzionale, dal quale deriva la conseguenza
importante che la legge costituzionale (tipica) deve disciplinare la forma, ma
non il contenuto dello statuto speciale (legge atipica).
La
legge costituzionale 2/2001 ha modificato le disposizioni di ciascuno statuto
delle cinque regioni speciali, riguardanti la revisione statutaria, disponendo
un procedimento di formazione atipico rispetto a quello previsto
dall’art. 138 della Costituzione, così da consentire la
partecipazione della regione alla determinazione della propria, specifica
posizione costituzionale. Lo scopo partecipativo del procedimento atipico di
revisione statutaria è evidente, per quanto riguarda l’iniziativa,
il parere regionale e il referendum consultivo (peraltro previsto soltanto
dallo Statuto sardo). E’ più difficile ricondurre a questa ratio l’esclusione del referendum
nazionale. Ma come dirò più avanti, anche questa atipicità
si inserisce coerentemente all’interno del procedimento di revisione
volto ad assicurare la partecipazione regionale.
Siccome
gli statuti speciali sono leggi costituzionali, le leggi costituzionali
successive possono abrogare, anche tacitamente, la norma che prevede un
procedimento atipico per la revisione statutaria. Non avrebbe dunque senso la
previsione secondo cui occorre la fonte atipica per disciplinare
l’autonomia speciale, se la legge costituzionale tipica la potesse
modificare senza alcun vincolo.
Bisogna
perciò spiegare che cosa impedisca alla legge costituzionale tipica di
modificare la legge atipica. Per fare questa operazione, bisogna risalire al
principio che informa le disposizioni dell’art. 116 della Costituzione e degli
statuti speciali relative al procedimento di revisione statutaria.
Al
riguardo, è assai significativo l’ultimo comma dell’art. 116
della Costituzione introdotto dalla legge costituzionale 3/2001. Anche esso
infatti prevede una legge (ordinaria) atipica per attribuire alla regione
funzioni legislative in alcune materie di potestà statale esclusiva:
l’iniziativa è assunta dalla regione, sentiti gli enti locali; la
proposta di legge è approvata a maggioranza assoluta, sulla base
dell’intesa tra lo Stato e la regione interessata. Pure tale procedimento
legislativo atipico è rivolto ad assicurare il concorso regionale (il
consenso, in questo caso) alla decisione di modificare la posizione
costituzionale della singola regione. Anche esso riguarda il regime di una
regione e non di tutte le regioni, cioè una disciplina singolare e non
generale.
Da
tale nuova disposizione dell’art. 116 dettata dalla riforma
costituzionale del 2001 e da quella relativa alla revisione degli statuti
speciali, stabilita dalla legge costituzionale n. 2, anch’essa del 2001,
è facile risalire a questo principio: la posizione costituzionale
singolare va stabilita col concorso della regione interessata. La fonte
abilitata a disciplinare lo status
speciale è perciò necessariamente atipica. Può essere la
legge costituzionale oppure quella ordinaria. In ogni caso, essa deve essere
così atipica da consentire il contributo della singola regione alla
disciplina della posizione costituzionale speciale.
In
conseguenza, la legge costituzionale nonostante sia una fonte sovraordinata ad
ogni altra, non può tuttavia disciplinare la posizione costituzionale
singolare. E’ obbligata ad assicurare la partecipazione della regione
interessata, dunque, a seguire un procedimento atipico.
Tale
principio, in altri termini, richiedendo il concorso specifico della regione,
impone che la legge costituzionale (tipica) non vada oltre la previsione del
procedimento partecipato attraverso il quale si stabilisce il regime
differenziato. Dunque deve attribuire ad un’altra fonte il potere di
disciplinare la posizione costituzionale della singola regione; una fonte che
essa stessa costituisce, senza che ciò generi un rapporto di
subordinazione gerarchica. Può essere una fonte di rango costituzionale,
quindi una legge costituzionale atipica, oppure una legge ordinaria atipica. In
fondo cambia poco, dato che tra queste e quella non c’è un
rapporto gerarchico. Quindi, da questo punto di vista, serve a poco chiedersi
se gli statuti speciali siano oppure no leggi costituzionali: quand’anche
fossero ritenuti fonti subcostituzionali[3],
comunque non potrebbero essere revisionati da una legge costituzionale tipica.
Il
principio dunque è che la regione speciale concorre a stabilire la
propria posizione costituzionale singolare. Da esso non si può ricavare
alcuna norma intorno alla modalità collaborativa e
all’intensità della collaborazione (parere, intesa o altro).
Insomma, prescrive genericamente il procedimento atipico; non detta uno
specifico procedimento atipico. Obbliga la legge costituzionale a prevedere un
procedimento formativo collaborativo. Non le sottrae la disciplina di questo
procedimento. Semmai impone un vincolo procedimentale, tale per cui toglie alla
legge costituzionale tipica il potere di stabilire la disciplina sostanziale
del regime speciale. Quindi spetta alla legge costituzionale tipica stabilire
il presupposto di tale regime, cioè il riconoscimento della
specialità, e le regole del procedimento partecipato attraverso il quale
si definisce la particolare autonomia.
Il
potere di modificare tali regole varia secondo che la legge atipica abbia rango
costituzionale oppure subcostituzionale. In quest’ultimo caso la
disciplina procedimentale stabilita dalla legge costituzionale evidentemente
non può essere modificata dalla legge ordinaria atipica.
Nell’altro caso, invece il rango costituzionale della fonte dovrebbe
consentire alla legge atipica di intervenire sulla disciplina del procedimento
della propria formazione. La preminenza logica e giuridica della legge tipica,
in quanto fonte sulla produzione, non lo esclude. Comunque la preminenza
implica il potere della legge costituzionale tipica di modificare il
procedimento di revisione statutaria, nel rispetto ovviamente del principio
partecipativo.
Per
quanto riguarda in particolare gli statuti speciali, la conclusione è
che essi, secondo le disposizioni dell’art. 116 della Costituzione e
della legge costituzionale 2/2001, sono adottati col procedimento di revisione
costituzionale atipico previsto dagli stessi statuti. La disciplina di questo
procedimento può essere modificata dalla legge costituzionale tipica (e
forse anche da quella atipica), nel rispetto del principio partecipativo che si
è detto. Quindi la previsione secondo cui lo statuto speciale è
una fonte costituzionale atipica si impone alla legge costituzionale (tipica e
atipica)[4].
Resta
da spiegare come mai la definizione della posizione costituzionale singolare
debba essere improntata a questo principio partecipativo.
Il
principio partecipativo che ho descritto non è completamente nuovo: era
già presente nelle disposizioni sulla revisione dello Statuto sardo del
1948; inoltre tutti gli statuti speciali prevedono la possibilità di
modificare parzialmente lo statuto speciale con la legge ordinaria atipica[5].
Ha
assunto però una portata molto più ampia con la riforma del
Titolo V: la posizione paritaria degli enti costitutivi della Repubblica
disposta dall’art. 114 della Costituzione[6],
ora richiede la ricerca di nuovi e più complessi equilibri
istituzionali. La conciliazione tra le ragioni dell’unità e quelle
della differenziazione, in definitiva l’unità pluralistica, adesso
avanza nuove e maggiori pretese; l’unità non è più
statale, ma repubblicana, non è data, ma costruita con la cooperazione
tra tutti i soggetti costituzionali, ed è quindi comprensiva della
molteplicità. I procedimenti costruttivi dell’unità devono
essere massimamente inclusivi delle differenze rappresentate dagli enti
costitutivi della Repubblica[7].
Devono comprendere il punto di vista specifico della regione sottoposta al
regime speciale, quindi la modalità attraverso la quale si stabilisce
questo regime deve comprendere la partecipazione della stessa regione. La
specialità non può essere più una condizione che la
regione ottiene dallo stato e che lo stato può modificare
unilateralmente; non è più un processo governato interamente
dallo stato.
L’autonomia
speciale non può essere una concessione, né un’imposizione,
che presuppongono la superiorità di chi la impone o la concede. Alla
base del concorso della singola regione alla determinazione della speciale
autonomia sta proprio la necessità di includere nella misura massima
possibile peculiarità regionali riconosciute dalla Costituzione a favore
di enti costitutivi della Repubblica come
lo Stato.
D’altro
canto, l’atto che disciplina la posizione costituzionale particolare non
è un patto tra la singola regione e lo Stato, che è proprio di un
sistema di rapporti soltanto bilaterali, secondo l’idea statocentrica;
è invece un atto plurale appartenente al processo di costruzione
dell’unità repubblicana, nel quale processo ha un ruolo
particolare, differenziato la regione interessata, in conformità alla
peculiarità regionale che è riconosciuta dalla Costituzione.
Nel
nuovo assetto pluralistico e paritario la collaborazione della regione
interessata alla disciplina della sua posizione costituzionale singolare
è dunque un principio costituzionale generale, in quanto inerente ad un
sistema istituzionale paritario; non è più principio particolare
delle relazioni tra lo Stato e la singola regione speciale.
Tale
principio generale in ultima analisi appartiene ad un sistema, che, in base al
dettato dell’art. 114 della Costituzione, è molteplice e
paritario; ad un sistema quindi nel quale la differenza è compresa
nell’unità e non è più una condizione eccezionale
attribuita da un atto statale sovrano.
In
effetti, il principio della disciplina partecipata dell’autonomia
speciale riconosce la peculiarità di soggetti che, nonostante la
specifica posizione costituzionale, costituiscono la Repubblica al pari degli
altri. Nello stesso tempo, soddisfa le esigenze unitarie dell’ordinamento
repubblicano: la condizione di autonomia speciale e la modalità della sua
disciplina (le condizioni e le forme, di cui ragiona il primo comma
dell’art. 116) sono previste con la legge costituzionale tipica; inoltre
il regime differenziato è stabilito con una legge (statale o della
repubblica) e quindi con un atto alla cui determinazione concorrono
paritariamente i soggetti artefici dell’unità politica (generale).
Il ruolo assegnato alla regione interessata al massimo potrebbe impedire la
realizzazione di una condizione di particolare autonomia, ma non potrebbe
incidere sull’ordinamento repubblicano e sui processi
dell’integrazione politica nazionale.
Il
principio partecipativo riguarda soltanto la definizione della posizione
costituzionale speciale. Quindi lo statuto speciale non può incidere
neppure indirettamente sull’ordinamento generale. In particolare, non
può modificare la disciplina relativa alle altre regioni; e questo
è ovvio. Ma può disciplinare l’autonomia costituzionale dei
comuni e delle province della regione speciale? La risposta è in linea generale
negativa: i comuni e le province, ovviamente anche quelli delle regioni
speciali, sono enti costitutivi della Repubblica. Anche ad essi si applica il
principio partecipativo che vale per la regione speciale. Quindi devono
contribuire alla determinazione della posizione costituzionale particolare che
li riguarda specificamente. Pertanto, lo statuto speciale può incidere
sulla posizione costituzionale dei comuni e delle province soltanto se il suo
procedimento di formazione contempla la partecipazione dei comuni e delle
province. Del resto, l’art. 116, ultimo comma, pur avendo ad oggetto una
disciplina che non riguarda immediatamente il comune e la provincia, tuttavia
prevede che gli enti locali siano sentiti dalla regione proponente.
Spostando
per un attimo il discorso su un altro piano, cioè su quello della
riforma del procedimento formativo degli statuti speciali, tale disposizione
dovrebbe essere il modello del procedimento di formazione degli statuti
speciali, in quanto al momento è la realizzazione più avanzata
del principio partecipativo di cui ragiono. Il concorso regionale dunque
dovrebbe spingersi sino all’intesa. La modifica dello statuto speciale,
cioè, dovrebbe essere proposta dalla regione interessata e approvata col
consenso della medesima regione e del comune e della provincia, se modifica
l’autonomia costituzionale di questi. Il comune e la provincia comunque
dovrebbero essere almeno sentiti dalla regione.
La
configurazione che propongo del principio partecipativo alla disciplina dello status costituzionale singolare non implica,
né presuppone la presenza delle regioni nel procedimento di revisione
costituzionale. Quindi lascia impregiudicata la questione se la disciplina
dell’art. 138 della Costituzione consenta di qualificare la legge
costituzionale un atto della Repubblica, come dovrebbe essere secondo il
principio formulato dall’art. 114 della Costituzione, oppure solamente
statale. Il principio collaborativo varrebbe infatti anche se le regioni
fossero presenti, in quanto tali, nel procedimento di revisione costituzionale,
poiché esso richiede la partecipazione specifica della singola regione
interessata e inoltre riguarda soltanto la posizione costituzionale della
regione, non tutta la Costituzione. Non è dunque l’anticipazione
dell’intervento regionale nel procedimento di revisione costituzionale,
una eccezione alla regola di esclusione delle regioni dalla revisione
costituzionale, come tale precaria, destinata a venir meno se e quando dovesse
affermarsi la regola opposta. E’ invece un principio permanente, proprio
di un sistema pluralistico, che riconosce una particolare autonomia ad alcune
regioni.
Tale
principio è dunque un connotato essenziale della specialità.
E’ il principio del rapporto bilaterale, tra lo Stato e la regione.
Tuttavia non fonda relazioni singolari tra lo Stato e la regione differenziata,
secondo la tradizionale concezione centralistica della specialità[8].
Il rapporto bilaterale si svolge infatti nel contesto di relazioni
multilaterali, alle quali la regione speciale partecipa come gli altri enti costitutivi
della Repubblica (sarebbe meglio dire, parteciperà quando verrà
stabilito un procedimento di revisione costituzionale repubblicano).
Detto
in estrema sintesi e molto semplicemente, il principio di cui parlo è il
seguente: ciò che riguarda tutti (l’ordinamento generale della
Repubblica) va deciso col concorso paritario di tutti (art. 114 Cost.),
ciò che attiene al singolo soggetto (l’ordinamento particolare) va
deciso con la partecipazione specifica del singolo (art. 116, terzo comma, e
statuti speciali). Il primo, comprende, per quel che qui interessa, il
riconoscimento dell’autonomia speciale e la conseguente disciplina del
procedimento partecipato (legge tipica); il secondo la determinazione
dell’ordinamento costituzionale particolare della singola regione (legge
atipica). In definitiva, la legge costituzionale tipica stabilisce la
condizione e la forma di particolare autonomia, che sono proprie di alcune
regioni, secondo la previsione del primo comma dell’art. 116, quella
atipica revisiona il singolo statuto speciale.
L’esclusione
del referendum approvativo nazionale, nonostante sia la più importante
atipicità della revisione statutaria, è soltanto una
modalità del principio partecipativo. Quindi è un elemento
accidentale, per così dire, del procedimento di formazione dello Statuto
speciale. Comunque si inquadra bene all’interno di questo principio.
E’ una forma di tutela della specificità regionale, appartenente
ad un procedimento decisionale particolare della singola regione. Poiché
la decisione non incide sull’ordinamento generale della Repubblica,
è giustificato escludere il pronunciamento del corpo elettorale
nazionale. Semmai su di essa si potrebbe pronunciare il corpo elettorale della
singola regione coinvolta, se lo statuto prevede il referendum. La disciplina
di questa consultazione popolare spetta alla legge costituzionale tipica, in
quanto è una parte del procedimento formativo della legge atipica.
* Relazione presentata
al convegno I nodi tecnici della
revisione degli statuti speciali, Udine, 12 ottobre 2007.
[1]
Peraltro lo Statuto sardo prevedeva già l’intervento della regione
nel procedimento di revisione statutaria: oltre all’iniziativa del
consiglio regionale, prescritta da tutti gli statuti speciali, contemplava
inoltre l’iniziativa di ventimila elettori, il parere del consiglio
regionale sui progetti di modifica governativi e parlamentari, il referendum
consultivo indetto dal Presidente nei confronti degli stessi progetti che fossero
approvati in prima deliberazione, nonostante il parere contrario del consiglio
regionale.
[2] Sul
quale cfr.: S. PAJNO, G. VERDE, Gli Statuti-leggi costituzionali delle
Regioni speciali, in P. CARETTI (a cura di), Osservatorio sulle fonti 2005,
Giappichelli, Torino, 2006, 299 ss.; S. PAJNO, La revisione degli statuti speciali nel sistema delle fonti, in Le Regioni, 2007, 93 ss.
[4]
E’ problematica la compatibilità di questa regola con la clausola
di adeguamento automatico disposta – col procedimento tipico di revisione
- dall’art. 10 della legge costituzionale 3/2001. Quest’ultima
disposizione non modifica gli statuti speciali, anzi si applica fintanto che gli
stessi statuti non siano adeguati al nuovo Titolo V della Costituzione. Quindi
presuppone che la revisione degli statuti speciali debba avvenire col
procedimento atipico stabilito da ciascuno statuto. Tuttavia, sia pure
provvisoriamente, incide sulla disciplina dettata dallo Statuto speciale.
Verosimilmente dipende dalla portata delle innovazioni introdotte dalla legge
costituzionale del 2001. Le trasformazioni infatti attengono alla struttura
della Repubblica (ad es. art. 114 Cost.), quindi coinvolgono necessariamente le
regioni speciali. Costituiscono perciò il nuovo punto di riferimento,
alla stregua del quale si individuano le norme speciali dello statuto,
cosicché quelle generali prevalgono su queste se prevedono forme di
autonomia più ampia. Questa anomala prevalenza della disciplina generale
sulla speciale è la conseguenza della formula dell’adeguamento
automatico. Ma questa formula presuppone la regola secondo cui gli statuti
speciali devono essere adeguati al nuovo sistema delineato dalla legge 3/2001.
La regola fondamentale è dunque l’adeguamento, che
provvisoriamente viene realizzato col meccanismo automatico, perché
altrimenti le regioni speciali immediatamente sarebbero rimaste ai margini
della struttura repubblicana se non addirittura estranee ad essa. Questo dunque
è strumentale a quella. Se l’osservazione è esatta, ne
discende che bisogna interrogarsi sulla compatibilità col principio
partecipativo della regola non tanto dell’automatismo, quanto
dell’adeguamento. In altri termini, spetta alla legge costituzionale
tipica prevedere che gli statuti speciali devono essere adeguati? La risposta
è positiva. Infatti la norma secondo cui gli statuti speciali devono
essere adeguati alla nuova struttura repubblicana attiene alla condizione
dell’autonomia speciale e non alla posizione peculiare della singola
regione, la cui disciplina – insieme alla forma - spetta alla legge
costituzionale tipica.
[5]
L’art. 1, comma 2, della legge costituzionale 2/1948 (conversione in
legge costituzionale dello Statuto siciliano), dichiarato incostituzionale
dall’Alta corte della Sicilia, contemplava addirittura la modifica
dell’intero Statuto mediante legge ordinaria, udita l’Assemblea
regionale della Sicilia.
L’art.
54, comma 4, dello Statuto sardo consente la modifica delle disposizioni statutarie
relative alle finanze, demanio e patrimonio con leggi ordinarie della
Repubblica su proposta del Governo o della Regione, in ogni caso sentita la
Regione.
L’art.
50, comma 3, dello Statuto della Valle d’Aosta prevede la modifica delle
disposizioni finanziarie dello Statuto con legge dello Stato, in accordo con la
Giunta regionale.
Anche
le disposizioni finanziarie dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia possono
essere modificate con leggi ordinarie, su proposta di ciascun membro delle
Camere, del Governo e della Regione, e, in ogni caso, sentita la Regione (art.
63, comma 2 Statuto).
L’art.
104 dello Statuto del Trentino-Alto Adige prevede la modifica di varie norme
statutarie con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e
della Regione o delle due Province, secondo i casi.
[6] La
giurisprudenza della Corte costituzionale tende a sminuire la portata
dell’equiparazione disposta dall’114 Cost. (cfr. le sentenze
274/2003 e 365/2007). Peraltro l’orientamento espresso nelle due sentenze
citate appare non univoco. Nella sentenza del 2003 la Corte sostiene che lo
Stato ha una posizione costituzionale peculiare, in quanto è
l’ente cui spetta la tutela delle esigenze unitarie (per una critica di
questa tesi rinvio al mio Il diritto
costituzionale della Sardegna, seconda
edizione, Torino, Giappichelli, 2007,
43 ss.). Quindi, sia pure con qualche ambiguità, sembra si riferisca a
una peculiarità statale di carattere funzionale, cioè nega la
sussistenza dell’equiparazione totale fra gli enti costitutivi della
Repubblica basandosi sulla funzione unitaria e sulle diverse competenze
attribuite allo Stato. Nella sentenza del 2007 la tesi dell’equiparazione
non totale disposta dall’art. 114 Cost. – ribadita espressamente
– è sostenuta invece da una argomentazione che fa leva sul rilievo
che «la sovranità interna dello Stato conserva intatta la propria
struttura essenziale, non scalfita dal pur significativo potenziamento di
molteplici funzioni che la Costituzione attribuisce alle Regioni ed agli enti territoriali».
Quindi stavolta la Corte asserisce che lo Stato è qualitativamente
diverso dalle regioni, dalle province e dai comuni, rispolverando l’idea
tradizionale della sovranità statale che è stata archiviata dalla
dottrina e dalla stessa giurisprudenza costituzionale, perché
contrastante con la disposizione dell’art. 1 Cost., secondo cui la
sovranità appartiene al popolo (cfr. O. CHESSA, Corte costituzionale e trasformazioni della democrazia pluralistica,
in V. TONDI DELLA MURA, M. CARDUCCI, R. G. RODIO (a cura di), Corte costituzionale e processi di decisione
politica, Giappichelli, Torino, 2005, 69 ss.
[7]
Altrove ho argomentato più diffusamente questa tesi. Cfr. Il diritto, cit., 7 ss.; I conflitti di attribuzione, relazione
introduttiva al Convegno “Le zone d’ombra della giustizia
costituzionale”, Modena, 13 ottobre 2006, i cui atti, a cura di G. Gemma,
R. Pinardi, stanno per essere pubblicati da Giappichelli. Del principio di
massima inclusione tratta nello stesso convegno S. PARISI, Parametro e oggetto nei conflitti di attribuzione – Pluralismo
comprensivo e conflitti costituzionali.