La Libertà informatica: brevi note
sull’attualità di una teoria giuridica*
Università di Napoli “Suor Orsola
Benincasa”
Sommario: 1. La
teoria del diritto di libertà informatica. – 2. La libertà
informatica nelle Costituzioni: una breve rassegna comparata.
– 3. Libertà
informatica e democrazia elettronica.
La dottrina della libertà informatica nacque
nell’ormai lontano 1981 con l’intento di dare un respiro teorico al
problema che allora impegnava maggiormente il giurista coinvolto nelle tematiche
di diritto dell’informatica, che era quello della protezione della
riservatezza con riferimento alle banche dei dati[1].
Innanzitutto, va sottolineato come la dottrina della libertà informatica
aveva la sua matrice ideologica nella concezione di un nuovo liberalismo,
inteso come fermento lievitante di una civiltà liberale promossa dalla
rivoluzione tecnologica; e si sviluppava sulla base di una nuova dimensione del
diritto di libertà personale, in una fase storica della civiltà
industriale caratterizzata dall’avvento dei calcolatori elettronici.
Tipico nuovo diritto scaturito dalla evoluzione della civiltà
tecnologica, il diritto di libertà informatica manifesta un nuovo
aspetto dell’antica idea della libertà personale e costituisce
l’avanzamento di una nuova frontiera della libertà umana verso la
società futura. Questa nuova forma di libertà personale deriva
dall’esigenza di salvaguardare la persona umana dalla minaccia e
dall’insidia rappresentate dalla degenerazione del nuovo potere sociale,
economico e giuridico, che è il potere informatico; e quindi, la
capacità di accumulazione, memorizzazione, elaborazione e trasmissione
dei dati informatici personali, che conferisce un potere conoscitivo prima
sconosciuto e che consente di attuare una sorveglianza occulta, onnipresente,
pervasiva dei comportamenti privati.
Nella sua originaria versione, quella esposta nel 1981, la
libertà informatica veniva raffigurata – al pari di quella
politica – come positiva e negativa. La libertà informatica
negativa, esprime «il diritto di non
rendere di dominio pubblico certe informazioni di carattere personale, privato,
riservato (qualifiche queste, che potrebbero in certi casi non coincidere tra
loro)»; la libertà informatica positiva, invece, esprime la
facoltà «di esercitare un diritto di controllo sui dati
concernenti la propria persona che sono fuoriusciti dalla cerchia della privacy per essere divenuti elementi di input di un programma elettronico; e
dunque libertà informatica positiva, o diritto soggettivo riconosciuto,
di conoscere, di correggere, di togliere o di aggiungere dati in una scheda
personale elettronica»[2].
Ecco che così il diritto di libertà informatica
assume una nuova forma del tradizionale diritto di libertà personale,
come diritto di controllare le informazioni sulla propria persona, come diritto
dello habeas data. L’evoluzione
giurisprudenziale ha riconosciuto e affermato questo nuovo diritto di
libertà nei termini di protezione dell’autonomia individuale, come
pretesa passiva nei confronti dei detentori del potere informatico, dei privati
o delle autorità pubbliche. Con la nuova legislazione sulla tutela delle
persone rispetto al trattamento dei dati personali (in Italia, la l. n. 675 del
1996), arricchita da una normazione europea, la nozione del diritto di
libertà informatica ha trovato riconoscimento nel diritto positivo; ma
nel frattempo ha subìto una trasformazione, giacché il diritto di
tutelare i propri dati si attua nei confronti di qualunque trattamento di essi,
anche non elettronico; e ha subìto altresì un mutamento del suo
carattere, prima ispirato al principio della difesa dinanzi al potere
informatico, ora considerato come un diritto attivo di partecipazione del
cittadino al circuito delle informazioni. Emerge così il problema del
riconoscimento di un diritto all’identità personale come nuovo
diritto della personalità, costituito dalla proiezione sociale della
personalità dell’individuo cui si correla un interesse del
soggetto a essere rappresentato nella vita di relazione con la sua vera
identità. La libertà di custodire la propria riservatezza
informatica è divenuta anche libertà di comunicare ad altri le
informazioni trasmissibili per via telematica, per esercitare così la
libertà di espressione della propria personalità avvalendosi dei
sistemi di comunicazione automatizzata.
Il diritto di libertà informatica acquisisce oggi un
ulteriore significato a seguito dell’avvento dell’Internet, e
ciò vale a dimostrare la sua attualità teorica. Infatti, con
l’Internet, il diritto di libertà informatica «è
diventato una pretesa di libertà in senso attivo, non libertà da ma libertà di, che è quella di valersi degli
strumenti informatici per fornire e ottenere informazioni di ogni genere.
E’ il diritto di partecipazione alla società virtuale, che
è stata generata dall’avvento degli elaboratori elettronici nella
società tecnologica: è una società dai componenti mobili e
dalle relazioni dinamiche, in cui ogni individuo partecipante è sovrano
nelle sue decisioni»[3].
Ci troviamo di fronte, indubbiamente, a una nuova forma di libertà, che
è quella di comunicare con chi si vuole, diffondendo le proprie
opinioni, i propri pensieri e i propri materiali, e la libertà di
ricevere. Libertà di comunicare, quindi, come libertà di
trasmettere e di ricevere. Non è più soltanto l’esercizio
della libera manifestazione del pensiero dell’individuo, ma piuttosto la
facoltà di questi di costituire un rapporto, di trasmettere e richiedere
informazioni, di poter disporre senza limitazioni del nuovo potere di
conoscenza conferito dalla telematica: di poter esercitare, insomma, il proprio
diritto di libertà informatica. Appare chiaro, allora, come in questa
nuova concezione “tecnologizzata” della libertà di
comunicazione, fanno fatica ad affermarsi i contenuti delle tradizionali libertà
costituzionali, in particolare quella di comunicazione e quella di
manifestazione del pensiero. Pertanto, è la libertà informatica a
rappresentare la nuova libertà costituzionale della società
tecnologica, come dimostrano alcune esperienze di Costituzioni recenti e come
lo si può senz’altro ricavare attraverso una interpretazione
evolutiva delle Costituzioni meno recenti.
Nel collocare la libertà informatica sotto il prisma del
diritto comparato, e volgendo così lo sguardo verso alcune recenti Carte
costituzionali, si può osservare come la elaborazione della normativa
costituzionale abbia tenuto conto dello sviluppo tecnologico informatico e
abbia, pertanto, provveduto a scrivere delle norme costituzionali dalle quali
si può dedurre il principio di libertà informatica in senso attivo e passivo. Mi limito a fare soltanto alcuni esempi, tra i più
significativi. Prima però non si possono non ricordare le due
Costituzioni europee, che hanno introdotto il principio della libertà
informatica (sia pure non ancora nella versione attiva e passiva). Si tratta,
come noto, della Costituzione spagnola e quella portoghese, entrambe varate
verso la fine degli anni Settanta[4].
Ma veniamo all’esame di alcune recenti Costituzioni. La
Costituzione della Repubblica del Sudafrica[5],
che è del 1993, prevede tre articoli, che in combinato disposto tra loro
fanno emergere il diritto di libertà informatica. L’art. 13
intitolato Privacy: «Ogni
persona avrà diritto alla propria privacy;
il che includerà il diritto a non essere assoggettato a perquisizioni
della propria persona, della casa o della proprietà, a non subire il
sequestro di beni privati o la violazione delle proprie comunicazioni
private»; l’art. 15 dedicato alla Libertà di espressione, in particolare il primo comma:
«Ogni persona avrà diritto alla libertà di parola e di
espressione: comprendente la libertà di stampa e di uso degli altri media e la libertà di
creatività artistica e di ricerca scientifica»; e, infine,
l’art. 23 sull’Accesso alle
informazioni: «Ogni persona avrà diritto di prendere
conoscenza delle informazioni possedute dallo Stato o da qualsiasi suo organo
ad ogni livello di governo, in quanto tali informazioni siano richieste per
l’attuazione della protezione dei propri diritti».
Assai interessanti, in quanto più esplicite, sono le
norme costituzionali a tutela del diritto di libertà informatica
previste nella Costituzione della Federazione di Russia del 1993 [6].
L’art. 23 dispone che: «Ognuno ha diritto
all’inviolabilità della vita privata, al segreto personale e
familiare, alla difesa del proprio onore e del proprio nome. Ognuno ha diritto
al segreto della corrispondenza epistolare, delle conversazioni telefoniche,
delle comunicazioni postali, telegrafiche e di altro tipo. La limitazione di
questo diritto è ammessa esclusivamente sulla base di una decisione
giudiziaria»; il successivo articolo, il 24, al primo comma afferma che:
«Non è ammessa la raccolta, la conservazione, l’utilizzo e
la diffusione di informazioni sulla vita privata di una persona senza il suo
consenso»; infine, il quarto comma dell’art. 29: «Ognuno ha
il diritto di cercare, ricevere, trasmettere, produrre e diffondere liberamente
con ogni mezzo legittimo. Un elenco delle informazioni che costituiscono
segreto di Stato è stabilito dalla legge federale».
Merita poi senz’altro ricordare la Costituzione Federale
della Confederazione Svizzera, profondamente modificata nel 1993 [7].
Una serie di articoli danno chiaramente il senso del diritto di libertà
informatica. L’art. 13, relativo alla Protezione
della sfera privata, afferma che: «Ognuno ha diritto al rispetto
della sua vita privata e familiare, della sua abitazione, della sua
corrispondenza epistolare nonché delle sue relazioni via posta e
telecomunicazioni. Ognuno ha diritto d’essere protetto da un impiego
abusivo dei suoi dati personali». All’art. 16, terzo comma, dopo il
riconoscimento della libertà di opinione e di informazione, viene scritto
che: «Ognuno ha diritto di ricevere liberamente informazioni,
nonché di procurarsele presso fonti accessibili a tutti e di
diffonderle». Ancora: l’art. 17, che disciplina la Libertà dei media, sostiene che:
«La libertà della stampa, della radio e della televisione
nonché di altre forme di telediffusione pubblica di produzioni e
informazioni è garantita».
Per avere un maggiore riscontro dell’avvenuta
costituzionalizzazione del principio di libertà informatica bisogna
senz’altro volgere lo sguardo verso il continente dell’America
Latina, che rappresenta un interessante laboratorio costituzionale dei nuovi
diritti. E dove la dottrina della libertà informatica è stata
molto influente[8],
al punto da essere stata recepita e quindi costituzionalizzata in molti
ordinamenti di quel continente.
In molte Costituzioni latinoamericane troviamo diverse norme che
fanno chiaro ed esplicito riferimento alla tutela di situazioni soggettive
derivanti dalla tecnologia informatica. Si è così affermato lo Habeas data costituzionale, quale nuova garanzia giurisdizionale del diritto
pubblico latinoamericano; scopo dello habeas
data costituzionale è quello – come ha sostenuto Eduardo Rozo
Acuña in uno studio dedicato a questo tema – di assicurare, tra
gli altri proprio «la libertà informatica, come garanzia personale
a conoscere e accedere alle informazioni personali esistenti nelle banche dati,
a controllare il loro contenuto e quindi a poterle modificare in caso di
inesattezza o indebita archiviazione o trattamento, nonché a decidere
sulla loro circolazione»[9].
Le diverse esperienze sullo habeas
data costituzionale in America Latina si possono dividere in tre categorie:
a) Paesi dove la Costituzione ha
previsto in forma diretta, completa e precisa lo habeas data (Guatemala, Brasile, Colombia, Paraguay, Perù,
Ecuador, Argentina, Venezuela); b)
Paesi che prevedono la garanzia attraverso la legislazione o in forma indiretta
attraverso il ricorso di amparo
costituzionale (Cile, Costa Rica, Bolivia, Nicaragua, Honduras); c) le altre esperienze, che prevedono
una tutela indiretta dello habeas data
(Panama, Messico, Uruguay e Salvador).
Tra le Costituzioni latinoamericane che consacrano il principio
della libertà informatica, mi limito a ricordare qui la Costituzione
della Repubblica Federale del Brasile[10],
che è del 1999, il cui art. 5, comma settantadue (LXXII) afferma che
«è concessa l’azione della habeas data: a) per
assicurare la conoscenza di informazioni relative alla persona del richiedente,
risultanti da registri o banche dati di enti governativi o di carattere
pubblico; b) per la rettifica di
dati, quando non si preferisca farlo tramite procedimento segreto, giudiziario
o amministrativo». Così pure vale la pena ricordare l’art.
30, secondo comma, della Costituzione della Repubblica del Paraguay[11]
(1992), che recita: «La legge assicura, con uguaglianza di
opportunità, il libero accesso all’utilizzo dello spettro
elettromagnetico, così come degli strumenti elettronici di accumulazione
ed elaborazione dell’informazione pubblica, senza altri limiti che quelli
imposti dai regolamenti internazionali e dalle norme tecniche. Le
autorità devono provvedere affinché questi elementi non vengano
utilizzati per ferire l’intimità personale o familiare e gli altri
diritti stabiliti in questa Costituzione». La Costituzione,
all’art. 135, determina quelli che sono gli elementi fondamentali del
diritto costituzionale di habeas data:
e quindi, la facoltà di tutti di accedere all’informazione e ai
propri dati che esistono nei registri ufficiali o privati di carattere
pubblico; poi, il diritto di conoscere le finalità della raccolta e
l’uso degli stessi; infine, il diritto della persona di chiedere per via
giudiziaria l’aggiornamento, la rettifica o la cancellazione, qualora le
informazioni o i dati fossero erronei o danneggiassero illegittimamente i suoi
diritti. Per concludere questa (di necessità) breve rassegna sul diritto
di libertà informatica nelle Costituzioni latinoamericane, aggiungo un flash sulla disciplina costituzionale
dello habeas data nella recente
Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela (1999). L’art.
Infine, tornando così in Europa e in particolare
nell’Europa costituzionale che dovrà pur nascere, merita
menzionare il principio della libertà informatica introdotto nella Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, varata a Nizza nel dicembre
del
Quindi, vorrei concludere sul punto con una considerazione di
sintesi. L’unione fra le tecnologie informatiche e le libertà
costituzionali ha generato il nuovo diritto di libertà informatica, il
cui dispiegarsi giuridico ho prima indicato. La libertà informatica
è da ritenersi, pertanto, una libertà costituzionale: che
può essere dedotta costituzionalmente, ovvero ricavata e fatta
così emergere nel tessuto dei principi costituzionali per il tramite
dell’operato delle Corti costituzionali, oppure può essere
costituzionalizzata, e quindi fissata e determinata negli articoli della
Costituzione, così come è avvenuto in numerose Carte
costituzionali di recente emanazione, in Europa e nel continente
latinoamericano.
La libertà informatica non si esaurisce però nella
(rinnovata) dimensione della comunicazione e dell’informazione. Essa
comprende anche la libertà politica e l’organizzazione
istituzionale. E’ noto, infatti, come la tecnologia sia destinata a
mutare sempre più gli assetti istituzionali conosciuti e come il
processo democratico sia profondamente influenzato dal modo in cui circolano le
informazioni, laddove cioè la disponibilità di queste da parte di
tutti i cittadini appare come un prerequisito di quel processo. La libera
circolazione delle informazioni può produrre la formazione di una
coscienza civile e politica più avvertita con un richiamo non più
episodico agli interessi e alla capacità di giudizio del singolo
cittadino, il quale sarebbe piuttosto reso partecipe di un circuito comunitario
di informazione e di responsabilità.
La democrazia nel XXI secolo si prospetta in una forma diversa
da quella che era nei secoli precedenti: mutano i significati di rappresentanza
e di sovranità, avanza una nuova democrazia di massa, che rompe le
cerchie chiuse delle élites al
potere, obbligando per così dire i rappresentanti della volontà
popolare a scendere sulla piazza telematica e a confrontarsi direttamente con i
rappresentanti, nelle nuove forme assunte dalla tecnopolitica[15].
La nuova democrazia ha già ricevuto diverse denominazioni: democrazia
«elettronica» (ma questo termine definisce lo strumento e non
l’agente); «virtuale» (ma in tal modo l’indicazione
politica ne risulta indebolita); «continua» (per il suo carattere
di referendum perenne); ovvero ancora
«nuova democrazia di massa» (con riferimento all’antica
democrazia diretta)[16].
Essa ha ricevuto opposte valutazioni, dividendosi i suoi interpreti in due
schiere, l’una di sostenitori e l’altra di detrattori, divisi sulla
risposta alla questione di fondo, che può essere così formulata:
l’impatto politico delle tecnologie informatiche su quei fragili sistemi
complessi che sono le democrazie contemporanee favorirebbe la costruzione di un
agorà o di un totalitarismo
elettronici?[17]
La dialettica dei giudizi sulla nuova forma di democrazia è però
fondata su un presupposto comune di discussione: il superamento
dell’attuale democrazia di tipo rappresentativo-parlamentare[18].
Anche la cosiddetta democrazia elettorale – quella fondata
sul meccanismo del voto – sta già subendo delle trasformazioni in
seguito allo sviluppo tecnologico delle società contemporanee. Per
adesso, le trasformazioni riguardano essenzialmente le tecniche di votazione,
ovvero il come si vota. La scheda elettorale cartacea sulla quale si appone la
propria scelta politica è prossima ad essere messa da parte. E’
già in fase di sperimentazione, e anche in fase avanzata[19],
il cosiddetto voto elettronico, che prevede l’effettuazione del voto per
il tramite dei computers.
Anziché porre un segno con la matita sulla scheda elettorale, si potrà
pigiare il tasto di una tastiera del computer,
all’interno della cabina elettorale, nel cui video verrebbe riprodotta la
scheda elettorale elettronica, ed esprimere così il proprio voto e la
propria preferenza politica. Questa tecnica di votazione – che si
presenta semplice da realizzarsi nel caso del voto per i referendum, dovendo scegliere solo tra un “si” o un
“no” – consentirebbe di avere i risultati elettorali in
brevissimo tempo una volta chiuse le votazioni, e di evitare defatiganti
calcoli e scrutini peraltro sempre soggetti al rischio di brogli elettorali.
Esempi di sperimentazioni del voto elettronico – e quindi le procedure di
votazioni sostituite in tutto o in parte con strumenti tecnologici – si
sono già effettuate in Germania: l’art. 35 della legge elettorale
per il Bundestag prescrive la
possibilità di utilizzare «macchine» al posto delle schede
elettorali e quindi delle relative urne, qualora ciò consenta una
semplificazione delle procedure elettorali. In Belgio, poi, è già
dal 1991 che sono state introdotte forme di voto elettronico: e infatti, nelle
elezioni politiche del 1999 il 44% dei votanti ha utilizzato la nuova tecnica
elettorale informatica. In Italia, invece, la sola sperimentazione dello
scrutinio elettronico, e quindi solamente il computo dei voti effettuato
elettronicamente, non ha dato i risultati sperati; al punto, che a causa di
vari disguidi tecnici – imputabili a errori commessi
dall’organizzazione preposta al controllo e all’applicazione della
nuova tecnica di scrutinio elettronico – si è dovuto procedere a
un conteggio supplementare, da parte del Parlamento, per ben quattro milioni di
voti!
C’è da dire, che gli scenari futuri della
democrazia elettorale non si arrestano al voto elettronico. Infatti, si
potrebbe inoltre prevedere il voto attraverso il proprio home computer[20],
oppure addirittura attraverso il televisore con l’ausilio del
telecomando. Certo, questa tecnica di votazione “casalinga” se da
un lato potrebbe ridurre l’astensionismo (oltre alle spese elettorali),
dall’altro lato però imporrebbe la fissazione di tutta una serie
di garanzie (anche di carattere tecnico) per la salvaguardia della
libertà di voto. Che anche – e forse soprattutto –
nell’epoca della politica “tecnologizzata” e
“globalizzata” rimane sempre un valore costituzionale da custodire
gelosamente. Ma di fronte al futuro dobbiamo mostrarci ottimisti e concorrere a
un rinnovato progresso della civiltà. Allora, ben venga la nuova
democrazia tecnologica del XXI secolo, che si fonda sulla libera iniziativa
individuale, sulla responsabilità del cittadino come persona, sulla sua
facoltà di scelta e di decisione. Il voto individuale viene ad essere
protetto e potenziato nella sua collocazione telematica, che elimina le
manipolazioni, gli errori e i brogli dei sistemi cartacei, che consente una
possibilità di scelta con il voto disgiunto, o alternativo, o di
riserva, che può essere controllato e calcolato con l’ausilio del computer. E’ una democrazia non
delegante ma partecipativa, che manifesta una nuova forma di libertà
segnata dalla partecipazione del cittadino alla vita della collettività
in forma di partecipazione al potere politico. Nasce così una
«libera repubblica dell’informazione automatizzata [che] equivale,
per la sua funzionalità di comunicazione e quindi anche di suggerimenti,
di rivelazioni, di accordi e di deleghe, ad una nuova forma democratica di
società: essa instaura le condizioni tecniche per l’attuazione
pratica di un regime politico della democrazia di massa»[21].
* Scritto destinato al fascicolo
speciale della rivista “Informatica&Diritto”,
dedicato alla memoria di Isabella D’Elia Ciampi.
[1] Cfr.
la relazione di V. FROSINI, La protezione
della riservatezza nella società informatica, nel vol. Privacy e banche dei dati, a cura di N. Matteucci,
Bologna 1981, 37 ss. (poi compresa nel vol. ID., Informatica diritto e società, 2a ed., Milano 1992, 173
ss.).
[3]
Così V. FROSINI, L’orizzonte
giuridico dell’Internet, in “Il diritto dell’informazione
e dell’informatica”, n. 2, 2002, 275.
[4] Mi
riferisco, come noto, all’art. 35 della Costituzione portoghese, che
è del 1976, e all’art. 18.4 della Costituzione spagnola del 1978.
Su quest’ultimo, in particolare, v. A.E. PEREZ LUÑO, Informatica y Libertad. Comentarios
al artìculo 18.4 de la Costituciòn espanola, in “Revista de Estudios Politicos”, n. 24,
1981, 46 ss.
[5]
Leggila nel vol. Costituzioni straniere
contemporanee, vol. II: Le
Costituzioni di sette Stati di recente ristrutturazione, a cura di P.
Biscaretti di Ruffia con la collaborazione di M. Ganino, VI ed. interamente
rifatta, Milano 1996, 25 ss.
[6]
Leggila nel vol. Costituzioni straniere
contemporanee, vol. II: Le
Costituzioni di sette Stati di recente ristrutturazione, cit., 255 ss.
[7] V. il
testo della Costituzione Federale della Confederazione Svizzera nel vol. La revisione della Costituzione federale
svizzera, a cura di A. Reposo, Torino 2000.
[8] Per
la dottrina della libertà informatica nella cultura giuridica
latinoamericana, V. FROSINI, Informatica
y Derecho, Bogotà 1988; su cui v. E. SANCHEZ JIMENEZ, Los derechos humanos de la tercera
generaciòn: la libertad informàtica, (comunicazione
presentata al III Congresso Iberoamericano di Informatica e diritto), in “Informàtica y
Derecho”, n. 3, 1992, 85 ss.; ma v. ora la monografia di C. CASTILLO
JIMENEZ, Las nuevas tecnologias de la
informacion y el derecho. De Vittorio Frosini a Internet, Sevilla 2003.
[9] Cfr.
E. ROZO ACUÑA, Habeas Data costituzionale:
nuova garanzia giurisdizionale del diritto pubblico latinoamericano, in
“Diritto pubblico comparato ed europeo”, n. 4, 2002, 1923 (ivi, nelle note allo scritto, numerosi
riferimenti bibliografici, legislativi e giurisprudenziali).
[10]
Leggila nel vol. Le Costituzioni
dell’America Latina. Vol. I: I
Paesi dell’area del Mercosur, a cura di E. Rozo Acuña e G.
Donati, Roma (ed. Senato della Repubblica) 2000, 108 ss. Ma v. pure
l’art. 5, comma XIV, dove viene garantito anche l’accesso
all'informazione e la tutela della segretezza delle fonti, come parte fondamentale
del diritto d’informazione e all’informazione.
[11]
Leggila nel vol. Le Costituzioni
dell’America Latina. Vol. I: I
Paesi dell’area del Mercosur, cit., 372 ss. Ma v. altresì
l’art. 33 per la tutela del diritto alla riservatezza e l’art. 135
sugli aspetti fondamentali del diritto-garanzia costituzionale di habeas data. Sul punto, v. E. ROZO
ACUÑA, op. cit., 1932-1933.
[12] V. il
testo costituzionale venezuelano nel vol. A.R. BREWER CARIAS, La
Constituciòn de 1999, Caracas 2000.
[13] V.
l’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
con il commento di F. DONATI, nel vol. L'Europa
dei diritti, a cura di R. Bifulco-A. Celotto-M. Cartabia, Bologna 2001, 83
ss.
[14] Si
ricorda il primo tentativo compiuto dal Consiglio d’Europa con la risoluzione
del 25 settembre 1995: cfr. Risoluzione
dell’Assemblea parlamentare sulla democrazia informatica, in
“Il diritto dell’informazione e dell’informatica”, n.
1, 1996, 173 ss. (ivi, la nota di R.
Sapienza). V. ora la decisione della Corte di Giustizia delle Comunità
europee (sentenza 6 novembre 2003, Lindqvist, causa C-101/01), la quale ha
stabilito che l’inserimento in una pagina Internet di dati personali da
parte di una persona che si trovi in uno Stato membro costituisce un «trattamento
di dati personali interamente o parzialmente automatizzato» ai sensi
dell’art. 3, n. 1, della direttiva CE 95/46, nel cui ambito di
applicazione, pertanto, ricade. Le disposizioni della direttiva 95/46 non
determinano, in ogni caso, una restrizione di per sé incompatibile con
la libertà di espressione, come garantita, tra l’altro,
dall’art. 10 CEDU, ma spetta alle autorità e ai giudici nazionali
ricercare il giusto equilibrio tra la libera circolazione dei dati personali,
la tutela della vita privata e la libertà di espressione.
[15] Sulla
questione, v. S. RODOTA’, Tecnopolitica.
La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Roma-Bari 1997;
ID., Libertà, opportunità,
democrazia e informazione, in Internet
e Privacy: quali regole? Atti del convegno organizzato dal Garante per la
protezione dei dati personali, Roma 1998, 12 ss. il quale, con riferimento a
Internet, la definisce come «una forma che la democrazia può
assumere, è una opportunità per rafforzare la declinante
partecipazione politica. E’ un modo per modificare i processi di
decisione democratica» (p. 15).
[16] Per
le varie definizioni citate nel testo, v. nell’ordine i seguenti studi:
L.K. GROSSMAN, The Eletronic Repubblic.
Reshaping Democracy in the Information Age, New York 1995; P. COSTANZO, La democrazia elettronica (note minime sulla
cd. e-democracy), in “Il
diritto dell’informazione e dell’informatica”, n. 3, 2003,
465 ss.; L. SCHEER, La democrazia
virtuale, tr. it. Genova 1997; AA.VV., La
démocratie continue, sous la direction de D. Rousseau, Paris-Bruxelles
1995; V. FROSINI, La democrazia nel XXI
secolo, Roma (ed. Ideazione) 1997 (ID., La
democrazia informatica non è autoritaria, ma di massa, in
“Telèma”, n. 14, 1998, 105 ss.).
[17]
Così A. DI GIOVINE, Democrazia
elettronica: alcune riflessioni, in “Diritto e società”,
n. 3, 1995, 399 ss. (ora anche nel vol. ID., Democrazia diretta e sistema politico, Padova 2001, 55 ss.).
[18] V. I.
BUDGE, The new Challenge of Direct
Democracy, Cambridge (UK), 1996, il quale ritiene che la nuova sfida della
democrazia diretta fornirà ai cittadini gli strumenti informativi e
formativi per una consapevole partecipazione alla vita politica della
comunità a cui appartengono e porterà altresì a
rivitalizzare gli organismi rappresentativi.
[19] Per
una rassegna delle diverse esperienze, v. ora L. CUOCOLO, Voto elettronico e postdemocrazia nel diritto costituzionale comparato,
in “Diritto pubblico comparato ed europeo”, n. 1, 2008, 258 ss.
[20] Il
voto elettronico a distanza è stato introdotto in Svizzera con la legge federale
sui diritti politici del 21 giugno 2002; in particolare, a Ginevra gli elettori
possono esprimere il proprio voto da qualsiasi postazione Internet,
semplicemente utilizzando un codice di identificazione e una password preventivamente inviata da parte
degli uffici elettorali. Sul punto, notizie e dettagli in L. CUOCOLO, op. ult. cit., 261 ss.