LA
RESPONSABILITÀ PER I DANNI DA URTO
FRA AEROMOBILI
(*)
Università di
Sassari
Sommario: 1. Cenni
introduttivi alla disciplina dell’urto fra aeromobili nel diritto vigente. – 2. La
linea di demarcazione fra urto e danni a terzi in superficie. – 3. Assicurazione
obbligatoria e limite risarcitorio. – 4. Carenza
di previsioni sulla decadenza dell’esercente dal beneficio del limite. – 5. Abrogazione
del limite risarcitorio ad hoc per i danni alle persone. – 6. L’individuazione della legge applicabile. – 7. Applicabilità della disciplina di diritto
speciale ai soli aeromobili in volo. – 8. Le peculiarità della disciplina
dell’urto aeronautico rispetto alla disciplina di diritto comune della
responsabilità aquiliana. – 9. Alla
ricerca di un «deep pocket». – 10. Le
prospettive aperte dai due schemi di convenzione sui danni a terzi. – 11. Le
interferenze con la disciplina della responsabilità vettoriale.
Se dovessi limitare la mia
trattazione alla disciplina de jure condito,
potrei risolvere il mio contributo in un richiamo dei precedenti infruttuosi
tentativi di addivenire ad un regime di diritto uniforme dell'urto, a partire
dai primi studi del CITEJA, risalenti al 1931 ([1]),
di cui peraltro ha tenuto conto (in particolare per quanto concerne
l'individuazione della fattispecie) anche il legislatore del codice della
navigazione italiano del 1942 ([2]),
ricordando lo schema di convenzione elaborato nel 1964 ed esaminato nell'ambito
della quindicesima sessione del comitato legale dell'ICAO ([3]).
Credo, invece, di non poter ignorare le prospettive aperte dal
possibile diritto uniforme prossimo venturo (mi riferisco in particolare alle
ipotesi di nuova disciplina dei danni a terzi per le attività
aeronautiche oggi allo studio dell'ICAO, con l’ipotesi di adozione delle
due convenzioni sui rischi «di carattere generale» e su quelli
derivanti da interferenze illecite).
D’altra parte, sui progetti di disciplina uniforme
dell’urto fra aeromobili, non aveva certo mancato di operare la sua
influenza la Convenzione sull’urto marittimo, così come
l’aveva operata sui testi in materia di urto in acque interne ([4]).
Al di là di ciò, salvo valutare le interferenze
con la disciplina del trasporto aereo e con altri regimi di diritto uniforme
relativi ad ipotesi di responsabilità extracontrattuale e così in
particolare di quello dettato dalla Convenzione di Roma del 7 ottobre 1952, che
ha sostituito la precedente convenzione di Roma del 19 maggio 1933 (mai entrata
in vigore), in tema di danni a terzi in superficie, senza peraltro incontrare
un particolare successo di ratifiche ([5]),
potrei circoscrivere il mio discorso, facendo riferimento al diritto interno,
ed eventualmente prendere in considerazione i connessi problemi di diritto
internazionale privato.
A prescindere dagli argomenti che si possono trarre sulla
valutazione delle condotte dei comandanti di aeromobili, non mi pare che abbia
conseguenze particolari sull'essenza della disciplina che qui ci interessa la
considerazione della diffusione degli apparati anticollisione ([6]).
E la medesima considerazione credo possa essere svolta per l’impiego dei
velivoli a pilotaggio remoto, nella misura in cui essi possano essere
considerati alla stregua di aeromobili, secondo l'impostazione fatta propria dall'art.
743, comma 2, del c. nav., nel testo introdotto dall'art. 5 del d. lgs. 9
maggio 2005, n. 96, come modificato dall'art. 8 del d. lgs. 15 marzo 2006, n.
151 ([7]).
Per inciso, va puntualizzato come fra gli effetti di quest’ultima riforma
certamente rilevanti sul tema di cui sono stato chiamato ad occuparmi
c’è quello della disciplina applicabile alle collisioni che
coinvolgano gli apparecchi per il volo da diporto o sportivo di cui alla l. 25
marzo 1985, n. 106 ([8]):
la loro espressa inclusione nella nozione di «aeromobile» porta
finalmente a superare per l’urto (come per i danni a terzi in superficie)
ingiustificate difformità di disciplina ([9]),
ed anche le incertezze che avrebbero potuto registrarsi rispetto
all’ipotesi della collisione fra uno di tali mezzi ed un altro
apparecchio, che fosse stato da considerare «aeromobile» ([10]).
L'asse centrale di un
discorso così concepito sarebbe verosimilmente costituito dall'esame
della linea di confine tra le ipotesi che ricadono nell'ambito della disciplina
dell'urto, rispetto a quelle che, viceversa, ricadono nel regime dei danni a
terzi in superficie.
Il corpus centrale della
disciplina dell'urto fra aeromobili e dell'urto misto (ovvero dell'urto fra una
nave ed un aeromobile) ([11]),
dettata dal codice della navigazione ([12]),
su cui non ha sostanzialmente inciso la recente riforma del 2005-2006 ([13]),
si incentra su un rinvio alle disposizioni del medesimo codice in materia di
urto di navi (artt. 482-487). Inoltre è prevista espressamente
l'estensione di tale disciplina anche alle ipotesi in cui l'urto non si sia
concretizzato in una collisione materiale (come, ad esempio, nel caso in cui il
danno si sia verificato in conseguenza dello spostamento d'aria od altra causa
analoga, situazioni che si suole indicare cumulativamente con l'etichetta del
cosiddetto «urto equiparato»: art. 967) ([14]).
Infine, sono dettate alcune specificazioni in tema di danni a terzi in
superficie in seguito ad urto (art. 968) ([15])
e di limitazione risarcitoria (art. 972) ([16]).
Peraltro, sembra interessante puntualizzare che, già nel
testo originario del codice della navigazione, il legislatore aveva assoggettato
alla medesima limitazione risarcitoria sia un regime di responsabilità
per colpa, qual è quello per urto,
sia un regime di c.d. responsabilità oggettiva, in tal modo
smentendo quelle tesi che pretendono di individuare necessariamente una
connessione fra aggravamento del meccanismo di imputazione risarcitoria e
compressione quantitativa del risarcimento in concreto ottenibile dal
danneggiato ([17]).
In quest'ultimo ambito, a
prescindere dai dubbi circa la rispondenza dei decreti legislativi in concreto
adottati ai confini tracciati dalla delega conferita con la l. 9 settembre 2004
n. 265 ([18]),
all'art. 2, comma 2, sembra interessante sottolineare come il testo vigente
dell'art. 971 c. nav. determini il limite risarcitorio a carico dell'esercente,
anche per le ipotesi di danno derivante da urto, come per quelle di danni a
terzi in superficie, con riferimento «alle
somme previste dalla normativa comunitaria come copertura assicurativa minima
della responsabilità verso i terzi per incidente per ciascun aeromobile»,
ovvero ai massimali di cui all'art. 7 del regolamento del Parlamento europeo e
del Consiglio relativo ai requisiti assicurativi applicabili ai vettori aerei e
agli esercenti di aeromobili 04/785/CE del 21 aprile 2004 ([19]).
In astratto potrebbe forse formularsi qualche riserva circa l'inversione logica
che vede il massimale di assicurazione obbligatoria condizionare il limite
risarcitorio, piuttosto che l'inverso, come in genere si riscontra rispetto ad
altre ipotesi di responsabilità in analoghi contesti.
Mi sembra invece oltremodo
più significativo che non sia prevista alcuna ipotesi di decadenza
dell'esercente dal beneficio di tale limitazione, non essendo stata riprodotta
una norma di contenuto analogo a quella dell'originario art. 971 c. nav., e del
richiamo ad essa di cui all'art. 977 c. nav., nel testo antecedente alla
novella dettata dall'art. 15 del d. lgs. 15 marzo 2006, n. 151.
A prescindere da quelle che possono essere implicazioni e
conseguenze sul regime di responsabilità per danni a terzi di
superficie, che è comunque basato su un rinvio dinamico al diritto
uniforme, credo che qualche perplessità possa e debba sorgere rispetto
ad una limitazione che si applica sempre e comunque ad un regime di
responsabilità sostanzialmente ancorato al criterio della colpa (in
virtù del richiamo alla disciplina dell'urto fra navi), senza alcun
aggravamento della posizione del soggetto che se lo vede imputato.
Se anche possa ritenersi soddisfatto il vincolo della certezza
del risarcimento, a suo tempo evidenziato, sia pure con riferimento ad un
regime di responsabilità contrattuale qual è quello del vettore
aereo, dalla Corte costituzionale nella nota pronunzia n. 132 del 1985 ([20]),
almeno sotto quest'ultimo profilo andrebbe forse messa in dubbio la
legittimità della previsione, o quantomeno la sua opportunità.
Può invece certamente
convenirsi in via di principio sull'opportunità dell'abrogazione
(operata dal già menzionato art. 15 del d. lgs. 15 marzo 2006, n. 151)
della norma contenuta nel testo dell'originario art. 976 c. nav., che prevedeva
un limite risarcitorio per i danni alle persone in caso di
responsabilità per urto determinato nel medesimo importo del limite
risarcitorio che era accordato al vettore aereo per i danni da morte e lesioni
personali subite dai passeggeri, alla stregua del precedente testo dell'art.
943 c. nav. ([21]),
e dunque in misura inferiore a quella cui era commisurato il limite per i danni
subiti da ciascuna persona dal testo originario dell'art. 968, comma 1, c. nav.
(oggi sostituito per effetto dell'art. 15 del d. lgs. 15 marzo 2006 n. 151). La
limitazione ad hoc per tale categoria
di danni era evidentemente intesa a scoraggiare un'amplificazione del
contenzioso, con la promozione di giudizi dei passeggeri danneggiati (e
più probabilmente dei loro aventi causa) contro l'esercente dell'altro
aeromobile coinvolto nel sinistro, nel tentativo di eludere i limiti
risarcitori nel trasporto aereo di persone ([22]):
una volta che, con il regolamento del Consiglio 97/2027/CE sulla
responsabilità del vettore aereo con riferimento al trasporto aereo dei
passeggeri e dei loro bagagli del 9 ottobre 1997 (oggi vigente nel testo
emendato dal successivo regolamento 02/889/CE del 13 maggio 2002) e la
Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999, tali limiti non sussistono più
([23]),
era venuta meno anche la ragione di mantenere una corrispondente previsione
nell'ambito della disciplina dei danni da urto.
Nell’attuale carenza di
un quadro normativo vigente di diritto uniforme l'ipotesi di urto fra
aeromobili, sotto il profilo dell’individuazione della legge applicabile,
ricade oggi nell’ambito della previsione di cui all’art. 12 c. nav.
(legge nazionale comune degli aeromobili, se comune, altrimenti legge
italiana), che peraltro contempla soltanto il caso dell’urto che si
verifichi al di fuori del territorio o dello spazio assoggettato alla
sovranità di uno Stato. Viceversa, per il danno che si produca in un
ambito assoggettato alla sovranità di uno Stato si è a suo tempo
ritenuta applicabile la lex loci commisi
delicti, ai sensi dell’art.
25 disp. prel. cod. civ. ([24]).
Il criterio è stato sostituito, nel sistema vigente, dal
riferimento al luogo in cui si verifica l’evento (salvo che il
danneggiato invochi la legge del luogo in cui si è verificato il fatto
che ha causato il danno), ai sensi dell’art. 62, comma 1, della l. 31
maggio 1995, n. 218; è fatta salva l’ipotesi (comma 2) del fatto
illecito che coinvolga soltanto cittadini di un medesimo Stato in esso
residenti, la cui legge potrà in tal caso essere applicata.
Alla medesima ratio si
ispira la disciplina del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio
sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali 07/864/CE
dell’11 luglio 2007, che entrerà in vigore dall’11 gennaio
2009: è affermata la prevalenza in generale (ai sensi dell’art. 4)
della legge del luogo in cui si verificano le conseguenze del fatto dannoso,
con estensione di tale disciplina anche alle ipotesi di limitazione della
responsabilità, ex art. 15,
lett. c del medesimo regolamento
comunitario ([25]).
Va però evidenziato che anche tale disciplina non considera
l’ipotesi in cui il danno si sia prodotto in un ambito non assoggettato
alla sovranità di alcuno Stato, come potrebbe essere (nel caso che qui
ci interessa) lo spazio aereo internazionale: rispetto ad una siffatta
collocazione, quindi, sembrerebbe ritenersi ancora applicabile l’art. 12
c. nav.
Ipotizzando
l'applicabilità della legge italiana, il quadro normativo oggi vigente
richiede, analogamente ad altre legislazioni aeronautiche, per l'integrazione
dell'ipotesi di urto fra aeromobili o di urto misto il requisito del movimento
di entrambi i mobili della navigazione coinvolti (art. 966 c. nav.), condizione
viceversa non richiesta per l’urto fra navi: gli aeromobili dovranno
poter essere considerati in volo, così come le navi coinvolte in un urto
con un aeromobile devono essere in movimento ([26]).
Peraltro, va puntualizzato che, conformemente ad analoga (e
più dettagliata) disciplina contenuta nella Convenzione di Roma del 1952
(art. 1, § 2) ([27]),
l’aeromobile, ai sensi del secondo comma dell’art. 966 c. nav., si
considera in volo «dall'inizio
delle manovre per l'involo al termine di quelle di approdo».
Tale formula, secondo la lettura più accreditata
(riferita peraltro alla corrispondente previsione che nel testo originario del
codice della navigazione delimitava l’ambito di applicazione della
responsabilità per danni a terzi in superficie: art. 965 c. nav. v.s.),
va «interpretata in
conformità della più ... precisa norma» della
Convenzione di Roma ([28]).
Da ciò deriva che la disciplina speciale vigente in
Italia per l’urto aeronautico si applica anche, per gli aeromobili a
motore, dal momento dell’accensione al momento dello spegnimento
dell’apparato propulsivo per le finalità del volo e, dunque, anche
nella fase in cui l’apparecchio si trova a contatto con il suolo.
Al di là di quella che può essere la valutazione
sull’efficienza della soluzione adottata dal legislatore,
l’inclusione delle fasi in cui l’aeromobile si trova in tale
specifica condizione nell’ambito di applicazione della disciplina
speciale è giustificata dalla sua (relativa) rischiosità:
è stato esattamente sottolineato che si tratta di uno dei momenti
più critici della navigazione aerea ([29]).
Tale considerazione è suffragata da una casistica di incidenti
catastrofici che vede coinvolti proprio aeromobili in tale fase, in particolare
con episodi di «runway incursions»,
come è accaduto anche, in Italia, nella nota vicenda di Linate
dell’8 ottobre 2001 ([30]),
e nell’aeroporto di Tenerife il 27 marzo
La collisione fra un aeromobile in volo ed un altro fermo
rientra nella disciplina dei danni a terzi in superficie. Peraltro,
poiché la limitazione risarcitoria di cui può avvalersi
l’esercente è riferita alla sola responsabilità per urto,
che appunto richiede il movimento di entrambi i mobili coinvolti, nella misura
in cui la collisione sia da ascrivere a colpa imputabile all’esercente
dell’aeromobile fermo (tale da far ricadere su di lui la
responsabilità sulla base delle regole di diritto comune e, al contempo,
escludere la responsabilità per danni a terzi in superficie
dell’altro esercente), non si potrà far luogo ad alcuna
limitazione ([32]).
Tale conseguenza, secondo avvertita dottrina, sarebbe da
considerare come un «inconveniente»
([33]).
A me sembra però che, al di là della non agevole
verificabilità in concreto dell’ipotesi considerata ([34])
(e a prescindere dall'opportunità dei limiti in generale), la questione
dovrebbe essere impostata in termini in parte diversi da quelli suggeriti dalla
dottrina qui ricordata, che, se non si è mal inteso, lamenta la
sperequazione della posizione dell’esercente dell’aeromobile fermo
in ordine all’applicazione della limitazione. Da un lato, a mio avviso,
occorrerebbe chiedersi se il supposto «inconveniente» non si risolva in un’ingiustificata
disparità di trattamento rispetto a situazioni omogenee (tale, insomma,
da integrare una violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.); dall’altro, andrebbe valutato se il
problema non sia a monte, ovvero se sia da mantenere il campo di applicazione
odierno della responsabilità per urto (ed eventualmente chiedersi se
l’«inconveniente» o l’ipotetico contrasto con il
principio di uguaglianza non sia da individuare proprio sotto questo profilo).
Analogamente, la collisione fra aeromobile in volo e nave non in
movimento rientra nella disciplina dei danni a terzi in superficie. Come ha a
suo tempo avvertito autorevole dottrina non si tratta di «danno da urto per il solo fatto che si
abbia, oltre ad un aeromobile in volo, una nave in movimento (ben potendo
esservi danno in superficie a carico di una nave in movimento» ([35]).
In realtà, per «potersi
parlare di urto tra aeromobile in volo e nave in movimento dovrà
intervenire un incidente, che possa farsi rientrare nell’ambito
dell’urto, sia pure latamente inteso ...; non vi sarebbe, viceversa
ragione di non considerare danno sulla superficie quello arrecato da aeromobile
in volo a nave in navigazione» ([36]).
L'ipotesi opposta di collisione fra nave in movimento ed
aeromobile fermo (nella pratica, da un punto di vista probabilistico,
immaginabile più agevolmente rispetto ad un idrovolante alla fonda)
sarebbe viceversa destinata a ricadere nell'ambito della disciplina di diritto
comune ([37]).
A ben guardare, però,
la disciplina speciale della responsabilità per danni da urto, come
recata nella parte prima del codice della navigazione, relativa alla
navigazione per acqua, non reca deroghe particolarmente significative al regime
generale della responsabilità extracontrattuale recato dal codice civile
([38]).
L’urto aeronautico è, inoltre, caratterizzato dalla limitazione
risarcitoria in favore dell’esercente (oggi ex art. 972 c. nav., come sostituito dall’art. 15 del d. lgs.
15 marzo 2006, n. 151).
In effetti, come è esplicitamente affermato nella
Relazione accompagnatoria del Ministro Guardasigilli al codice della
navigazione, ha risposto all’intento di trasporre nel nostro codice della
navigazione la disciplina dettata dalla Convenzione di Bruxelles del 23
settembre 1910 ([39]),
al di là della volontà di dettare regole che caratterizzassero in
maniera particolare la relativa disciplina rispetto a quella della
responsabilità aquiliana di diritto comune ([40]).
Il regime della Convenzione di Bruxelles del
A tale disciplina, non ravvisando ragioni per distaccarsene in
materia aeronautica ([43])
è stato improntato anche il trattamento riservato all’urto nella
parte II del codice della navigazione, salvo avvertire l’esigenza di
delineare il campo di applicazione, per distinguerlo da quello della
responsabilità per danni a terzi in superficie, seguendo le indicazioni
recate dal Progetto di convenzione di diritto uniforme elaborato
nell’ambito del CITEJA ([44]):
il movimento di tutti i mobili della navigazione coinvolti traccia la linea di
demarcazione fra l'urto di aeromobili e misto, da un lato, e l'urto fra nave
dall'altro ([45]).
Come per l'urto fra navi, alla stregua del rinvio di cui
all'art. 974 c. nav., occorre distinguere fra urto per colpa unilaterale, urto
per colpa comune ed urto fortuito ([46]),
e valgono le medesime presunzioni di non imputabilità della causa e di
uguaglianza della colpa. Si tratta quindi di una disciplina dettata
prevalentemente per ragioni storiche (non riferibili, come tali, alla
navigazione aerea) ([47]),
che non apporta elementi diversi da quelli che potrebbe essere ricavati alla
stregua del diritto comune ([48]),
se non per la presunzione dell'equivalenza della colpa di cui non possa
determinarsi la proporzione ([49])
e per l'affermazione della responsabilità in solido per i danni alle
persone nell'urto per colpa comune, contenute entrambe nell’art. 484 c.
nav. ([50]).
D'altra parte, la mancata individuazione della necessità
di apportare deroghe rispetto ai comuni principi della responsabilità
civile, in assenza comunque di un regime vigente di diritto uniforme, ha
condotto vari legislatori nazionali ad astenersi dal dettare regole specifiche
per la responsabilità per i danni da urto fra aeromobili ([51]),
o a risolvere la disciplina in un semplice rinvio alle norme generali sulla
responsabilità aquiliana ([52]).
Per il medesimo ordine di ragioni, non sembra che la scelta del
legislatore italiano della riforma del 2005-2006 di non estendere agli
aeromobili di Stato ed equiparati ([53])
la disciplina della responsabilità per urto contenuta dal codice della
navigazione (con soluzione diversa da quella affermata, rispetto ai danni a
terzi in superficie, dall'art. 965, u.c., c. nav., nel testo sostituito
dall'art. 15 del d. lgs. 15 marzo 2006, n. 151) possa indurre a valutazioni
diverse per le collisioni che coinvolgano tali aeromobili, rispetto a quelle
che coinvolgono gli aeromobili civili, dovendosi assumere tali ipotesi come
assoggettate al diritto comune ([54]).
Va incidentalmente ricordato
come la prospettiva di trovare scarsa soddisfazione, in particolare in ragione
delle limitazioni di cui potevano avvalersi i soggetti che più
immediatamente potevano individuarsi come responsabili di sinistri aeronautici,
ha richiamato in vari casi giudiziari l’attenzione degli avvocati delle
parti danneggiate sugli enti di controllo, o comunque su altri soggetti che di
quelle limitazioni non potevano avvalersi ([55])
alla ricerca del «deep pocket»
in cui affondare la mano per ottenere un risarcimento adeguato ([56]).
La questione è in parte decantata in ragione di quella che è
stata l’evoluzione della responsabilità vettoriale per il
trasporto di persone, che ha avuto il suo momento più significativo con
l’adozione, a livello di diritto uniforme, della già menzionata
Convenzione di Montreal del 1999 ([57]).
Resta in ogni caso attuale la questione delle azioni di rivalsa che le
compagnie aeree potrebbero vedersi indotte a proporre, anche contro le
organizzazioni di controllo del traffico aereo, dopo aver dovuto risarcire i
propri passeggeri o i terzi, in conseguenza di incidenti che siano
ricollegabili all’attività di queste ultime.
Il quadro così
delineato sarebbe destinato ad essere sovvertito, se dovesse concludersi
l’iter di adozione dei due strumenti di diritto uniforme oggi allo studio
in ambito ICAO a cui ho fatto riferimento nella parte iniziale del mio
discorso. Incidentalmente è da avvertire come l'eventuale ratifica ed
entrata in vigore da parte dell'Italia di strumenti di diritto uniforme di
contenuto coincidente con quelli a cui stiamo qui riferendoci mostra un lato
debole del pur interessante meccanismo di rinvio dinamico al diritto uniforme
introdotto con la recente revisione della parte aeronautica del codice della
navigazione ([58]):
tale tecnica di intervento è stata, fra l'altro, seguita con riferimento
alla responsabilità dell'esercente per i danni a terzi in superficie
dall’art. 965 c. nav., nel testo introdotto dall’art. 15 del d.
lgs. 15 marzo 2006, n. 151, con norma che non ha, però, alcuna
corrispondenza nella disciplina dell’urto di aeromobili. Come si è
accennato i due testi di diritto uniforme sui danni a terzi finiscono per
coprire anche il campo della responsabilità per urto.
Il problema si porrebbe, nell'ipotesi formulata, se, entrato in
vigore anche a livello di diritto interno tale futuro diritto uniforme, fosse
possibile ipotizzare un margine in cui esso non fosse applicabile ex se in ambito nazionale. In effetti,
la questione della definizione dell'ambito di applicazione delle due future
convenzioni non sembra ancora pacifico. Ad una prima stesura che
(inopportunamente) lasciava fuori dal campo di applicazione delineato nei due
schemi di convenzione (art. 2 convenzione sulle interferenze illecite; art. 2
convenzione sul rischio generale) i casi in cui non ricorresse un elemento di
estraneità rispetto allo Stato in cui i danni si siano prodotti, ne sono
seguite altre che prevedono la possibilità di un'applicazione a prescindere
da tale elemento, su decisione di ciascun Stato parte, chiamato peraltro, ove
intenda operare tale estensione, a formalizzare una dichiarazione in tal senso
([59]).
In effetti, è auspicabile per un regime di
responsabilità extracontrattuale, seguire quella tendenza di massima
estensione del campo di applicazione degli strumenti di diritto uniforme che, a
partire dal secondo dopoguerra, ha in prevalenza caratterizzato l’operato
del legislatore internazionale nel campo della navigazione, con
l’adozione di discipline applicabili anche a rapporti che si esaurivano
integralmente in un unico ordinamento ([60]).
Rispetto a tale tendenza, però, va registrata anche come faccia
significativamente eccezione la disciplina del trasporto e della
responsabilità vettoriale ([61]),
così come anche quella adottata per i danni a terzi in superficie con la
Convenzione di Roma del 1952 ([62]).
Occorrerebbe allora chiedersi se il richiamo dall’art. 965
c. nav., possa essere tale da modificare la qualificazione della fattispecie
«danni a terzi» e ad includervi quindi anche i danni conseguenti
all'urto, con effetto abrogativo della disciplina incentrata sull'oggi vigente
art. 966 c. nav., o se, viceversa, il richiamo alla disciplina di diritto
uniforme vada inteso in maniera frammentaria, basandosi sulle norme definitorie
del codice della navigazione (escludendo, quindi, l'estensione della disciplina
all'urto). Si porrebbe peraltro in generale il problema dell'efficacia
dell'eventuale estensione unilaterale da parte dell'Italia nell'ambito di
intervento del Fondo integrativo previsto dallo schema di convenzione sul
rischio da interferenze illecite.
Occorre partire dalla constatazione che il regime di
responsabilità introdotto in entrambi i testi in questione, ai sensi
delle disposizioni contenute nei rispettivi art. 2, § 1, si applica ai
danni ai terzi che si verifichino nel territorio di uno degli Stati contraenti
causati da un aeromobile in volo, tenuto conto della definizione di
«terzo» contenuta nei rispettivi art. 1 (art. 1, lett. h schema di convenzione sulle
interferenze illecite; art. 1, lett. f,
schema di convenzione sul rischio generale) che comprende (esplicitamente per
il caso di urto) anche l’operator, il proprietario e l'equipaggio
dell'altro aeromobile coinvolto, nonché i passeggeri, il mittente e
destinatari della merce a bordo dell'altro aeromobile coinvolto. Peraltro, la
previsione di responsabilità solidale fra gli operator di più aeromobili che fossero coinvolti nel
medesimo sinistro che cagioni danni a terzi (art. 5 schema di convenzione sulle
interferenze illecite; art. 4 schema di convenzione sul rischio generale), in
ragione della definizione di «terzo» più sopra evocata
implica in generale che in caso di urto sia comunque la responsabilità
solidale verso tutti tali soggetti terzi di ogni operator coinvolto.
Il regime di
responsabilità che emerge dai due progetti ICAO sui danni a terzi si
fonda su un criterio di imputazione che non richiede un collegamento alla colpa
del soggetto su cui ricade (art. 3 convenzione sulle interferenze illecite;
art. 3, § 1, schema di convenzione sul rischio generale), assistita
però da un meccanismo di limitazione risarcitoria (art. 4 schema di
convenzione sulle interferenze illecite; art. 3, § 2, schema di
convenzione sul rischio generale).
Per i danni da interferenze illecite è previsto
l'intervento integrativo di un fondo risarcitorio (art. 19 schema di
convenzione sulle interferenze illecite), con finanziamento a carico dei
passeggeri e delle merci in partenza dagli Stati aderenti ([63]),
sul modello di quello introdotto in campo marittimo per il risarcimento dei
danni da inquinamento da idrocarburi non coperti dalla responsabilità
del proprietario, nel sistema delle convenzioni CLC-FUND (Convenzione di
Bruxelles del 29 novembre 1969 sulla responsabilità civile del
proprietario di navi per inquinamento da idrocarburi e Convenzione di Bruxelles
del 18 dicembre 1971 sul fondo internazionale per il risarcimento dei danni da
idrocarburi e relativi protocolli modificativi) ([64]),
seguito peraltro anche dalla (non ancora vigente) Convenzione di Londra del 3
maggio 1996 sulla responsabilità nel trasporto marittimo di sostanze
nocive e pericolose (c.d. HNS) ([65]).
Per i danni da rischio generale è altresì previsto
un secondo livello risarcitorio con possibilità di prova liberatoria
dell’operator, deliberatamente
ispirato al two-tier system a carico
del vettore nella Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 ([66]).
Va al di là dei confini del tema affidatomi, ma credo interessante
richiamare l'attenzione sulla tendenza del diritto uniforme aeronautico ad
adottare il medesimo paradigma per regimi che (almeno nella nostra ottica di
sistemi giuridici di civil law) vanno ricondotti alla responsabilità
contrattuale, come nel caso della responsabilità vettoriale, e regimi di
responsabilità extracontrattuale, com'è comunque la
responsabilità per i danni a terzi di superficie e quella per i danni da
urto ([67]).
Interessante appare poi l'affermazione della canalizzazione
dell'imputazione, contenuta espressamente in entrambi gli schemi di convenzione
di diritto uniforme, con l'evocazione del principio dell'esclusività
dell'azione (art. 27 schema di convenzione sulle interferenze illecite; art. 10
schema di convenzione sul rischio generale); si tratta di previsioni che
sbarrano la strada rispetto alla possibile ricerca di soggetti da aggredire in
via giudiziale che non possono avvalersi delle medesime difese (eccezioni e
limiti risarcitori) dei soggetti su cui viene canalizzata la
responsabilità. È da chiedersi se l’espressa formulazione
in tal senso di una norma specifica in un contesto destinato comunque ad
interagire con la Convenzione di Montreal del 1999 non debba indurre ad una
maggiore prudenza nell'interpretazione (nel senso di norma introduttiva di un
sistema di canalizzazione) della previsione contenuta nell'art. 29 di tale
ultimo testo di diritto uniforme, nonché della corrispondente previsione
dell’art. 24 della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929,
trattandosi in realtà di previsioni ab
origine formulate (esclusivamente) al fine di escludere il concorso tra
responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale,
in quegli ordinamenti in cui in astratto ciò fosse possibile, al fine di
ottenere con la propria azione un risultato più vantaggioso di quello
che si sarebbe altrimenti ottenuto ([68]).
Semmai, occorre riflettere proprio sul fatto che le due
convenzioni allo studio implicano proprio la possibilità di un concorso
di responsabilità (contrattuale, almeno nella nostra prospettiva) del
vettore con quella che ricade su di lui come operator dell’aeromobile coinvolto in una collisione, in
solido con l'altro o gli altri operator
i cui velivoli siano implicati nel medesimo incidente. Certamente, la
previsione della possibilità di agire quale terzo sulla base dei
meccanismi di imputazione previsti dai due schemi di convenzione a cui si
è fatto riferimento, lascia al passeggero o ai suoi aventi causa un
margine per ottenere un risarcimento maggiore di quello che potrebbe ottenere
alla stregua dell'art. 21, § 2, della Convenzione di Montreal, agendo
contro il proprio vettore, lì dove ricorrano (e siano provate) le
circostanze evocate dalle lettere a) e
b) di tale previsione.
Va, infine, posta in luce la non esclusione assoluta del danno
meramente psicologico (art. 3, § 5, convenzione sulle interferenze
illecite; art. 3, § 6, convenzione sul rischio generale), la cui
risarcibilità nell'ambito delle azioni contro il vettore alla stregua
della Convenzione di Montreal del 1999, secondo la maggior parte dei
commentatori, non è ammessa ([69]).
Ciò implica che, attraverso il ricorso (ammesso, in deroga al già
menzionato art. 29 della Convenzione di Montreal) all’azione
extracontrattuale, il passeggero (o il suo avente causa) potrebbe ottenere un
risarcimento più ampio non solo sotto il punto di vista quantitativo di
quello che potrebbe ottenere sulla base dell’azione alla stregua della
Convenzione di Montreal (risarcimento non limitato ai 100000 DPS pure nei casi
in cui ricorrano le circostanze evocate dalle lettere a) e b) dell’art.
21, § 2, della Convenzione di Montreal), ma anche qualitativo
(risarcimento dei danni da pure emotional
distress).
* Relazione al Convegno
«Nuovi profili di responsabilità e di assicurazione nel diritto
aeronautico» - Università di Roma «La Sapienza» -
28/29 maggio 2008.
[1]
Seguì l’elaborazione dello schema di Antonio Ambrosini, che
costituì la base del testo approvato nell’XI sessione del CITEJA
del 1936, sottoposto (senza esito, per le riserve di alcune delegazioni, e
l’opposizione netta di quella statunitense) alla IV Conferenza
internazionale di diritto privato aeronautico del
[2] Cfr.
Rel. min. c. nav., § 612 ss. Il Progetto di Convenzione sull’urto
esaminato nella IV Conferenza internazionale di diritto privato aeronautico
tenutasi a Bruxelles nel 1938 è in Giannini,
L’urto fra aeromobili alla
Conferenza di Bruxelles, ora in Nuovi
Saggi di diritto aeronautico, II, Milano, 1940, 413.
[3] Il
testo è riprodotto in Mateesco
Matte, Treatise on Air-Aerial Law,
Montreal - Toronto, 1981, 780. V. in
generale Mankiewics, Le project de Convention relative à
l’àbordage aérien elaborè par le Comité
Juridique dell’O.A.C.I. en
[4]
Convenzioni di Ginevra, del 9 dicembre 1930 e del 15 marzo 1960
sull’unificazione delle regole in materia di urto in acque interne: cfr. Righetti, Trattato di diritto marittimo, III, Milano, 1994,
[5]
Già agli albori della codificazione del diritto aeronautico si era
pervenuti alla consapevolezza che «se nella navigazione marittima
l’urto comprende tutti i possibili danni, che vengono arrecati da una
nave in corso di navigazione, fino ad una zona marginale — quella dei danni
ad una costruzione galleggiante o fissa ... — in cui una disciplina
adeguata è costituita dal diritto comune; nella navigazione aerea, per
le differenze che sono facilmente intuibili, al di fuori dell’urto rimane
una larghissima zona, cui non si è ritenuta confacente la disciplina,
del diritto comune, e relativamente alla quale sono stati stabiliti regolamenti
internazionali, dei quali il legislatore italiano deve necessariamente tener
conto»: Spasiano, Sulla disciplina della responsabilità
per danni da urto e per danni a terzi sulla superficie, cit., 1054.
[6] In
tema, da ultimo, v. Comenale Pinto,
Sistemi di bordo anticollisione e
relative problematiche giuridiche, in Sicurezza,
Navigazione e trasporto, a cura di Tranquilli Leali e Rosafio, Milano, 2008,
37.
[7] Cfr.,
nella letteratura italiana recente: La
Torre, Gli UAV: mezzi aerei senza
piloti, in Sicurezza, Navigazione e
trasporto, cit., 93. Per la rispondenza degli aeromobili senza pilota al
tipo dell’«aeromobile», sulla base dell’art. 8 della
Convenzione di Chicago del 7 dicembre 1944, v. da ultimo Kaiser, Legal Aspects of Unmanned Aerial Vehicles, in ZLW 2006, 344,
[8] Ai
sensi dell’art. 1 del testo originario di tale legge, gli apparecchi in
questione, in quanto «compresi nei
limiti indicati nell'allegato annesso» alla medesima legge, non erano
«considerati aeromobili ai sensi
dell'art. 743 del codice della navigazione».
[9] Per
l’affermazione espressa dell’applicabilità, in conseguenza
della novella operata dal d. lgs. 15 marzo 2006, n. 151, della disciplina
dell’urto di aeromobile anche agli apparecchi per il volo da diporto o
sportivo, v. Franchi, La nuova disciplina del volo da diporto o
sportivo dopo la riforma del codice della navigazione, in Resp. civ. prev. 2007, 4,
[10]
Questa ipotesi era considerata da Antonini,
Responsabilità ed
assicurazione, cit., 62, con soluzione che non sembra incontrovertibile,
come assoggettata comunque al diritto comune. A me non sembra così
pacifica l’esclusione dal campo di applicazione della disciplina della
responsabilità per danni a terzi in superficie dell’esercente
dell’aeromobile considerato come tale dal legislatore dell’epoca,
almeno per l’ipotesi in cui la collisione avvenga a terra, salvo che non
fosse avvenuta per colpa ascrivibile a colpa nell’impiego
dell’apparecchio per il volo da diporto o sportivo (ai sensi
dell’art. 965, comma 2, lett. b, nel testo originario). Più complessa
appare, sulla base della disciplina precedentemente in vigore, la valutazione
delle collisioni in aria, se si ritiene che il riferimento alla
«superficie» delimiti l’ambito spaziale di applicazione del
vecchio testo dell’art. 965 c. nav. (peraltro la medesima espressione
è presente anche nel testo odierno dell’art. 965 c. nav.), fermo
restando che l’apparecchio per il volo da diporto o sportivo,
ancorché in movimento, non poteva essere giuridicamente considerato un
aeromobile e non era una nave.
[11]
Occorre segnalare che si tratta di una soluzione che non ha corrispondenza in
tutti gli ordinamenti. Così, ad esempio, in Francia, in assenza di una
previsione ad hoc, l’ipotesi in
questione sembra ricondotta ai danni a terzi in superficie: De
Juglart, Traité de
droit aérien, I, Paris, 1989, 756. Peraltro, la soluzione da dare al
caso, prima dell’entrata in vigore del codice della navigazione, era
assai controversa: cfr. Spasiano, Sulla disciplina della responsabilità
per danni da urto, cit., 1074 ss.
[12]
Anteriormente all’emanazione del codice della navigazione l’urto
aeronautico era sommariamente disciplinato dagli artt. 39 e 44 del r.d.l. 20
agosto 1923 n. 2207 che si applicava anche in caso di collisione con un
aeromobile fermo e che, tra l’altro, imponeva l’onere della
protesta entro tre giorni per l’ammissibilità dell’azione.
[13]
Così Turco Bulgherini, La riforma del codice della navigazione
parte aerea, in N.L.C.C. 2006,
1341, 1363.
[14] Con conclusione analoga a quella cui
può pervenirsi in altri ordinamenti (v. in tal senso De Juglart, Traité de droit aérien, I, cit., 757; Tosi, Responsabilité aérienne, Paris, 1978, 260; Morsello,
Responsabilidade civil no transporte
aéreo, São Paulo, 2006, 268; Videla Escalada, Manual
de derecho aeronáutico, Buenos Aires, 1996, 504) e che trova il suo antecedente storico
nell’art. 2 del Progetto del CITEJA. Circa la specifica disposizione
italiana (con riferimento al testo originario dell’art. 974, comma 1, c.
nav.), v. Grigoli, L’esercizio dell’aeromobile,
Milano, 1988,
[15] La
previsione corrisponde a quella dell’art. 978 c. nav., nel testo
precedente alla novella apportata dall’art. 15 del d. lgs. 15 marzo 2006,
n. 151. Rispetto ad essa, v. a suo tempo Romanelli,
I danni da aeromobile sulla
superficie, Milano, 1970, 182 ss., che da tale previsione argomentava
l’irrilevanza, nel regime dei danni a terzi in superficie, del fatto
illecito altrui.
[16]
Antecedentemente alla novella apportata dall’art. 15 del d. lgs. 15 marzo
2006, n. 151 la materia era regolata dagli artt. 975 ss.; oggi si risolve in un
richiamo della corrispondente disciplina dettata per i danni a terzi in
superficie.
[17] V. amplius
Romanelli - Comenale Pinto, Urto di aeromobili, in IV Digesto ital., Sez. commerciale, XVI, Torino, 1999, 318.
[18] V. Comenale Pinto,
La novella del codice della navigazione italiano, in Estudios de derecho aerónautico y espacial - XXXI
Jornadas Latinoamericanas de derecho aerónautico y espacial, a cura di Folchi, Guerrero
Lebrón e Parra, Madrid, 2008, 205, 215. Analoghe
perplessità sono espresse (rispetto ad un pur marginale intervento
sull’art. 493 c. nav. operato dal medesimo legislatore della riforma
della parte aeronautica) da Camarda, Il
soccorso in mare, Milano,
2006, X, nota alla premessa. Per una lettura ampia della legge di delega (ma
che non sembra comunque poter giustificare l’operato del legislatore
delegato sul punto specifico qui in esame) v. Rosafio,
Il trasporto aereo di cose –
Riflessioni sul nuovo regime legale, Milano, 2007, 21.
[19] Nella
dottrina italiana, v. Grigoli, Un incisivo intervento del legislatore
comunitario per integrare le garanzie assicurative richieste al vettore aereo
ed all'esercente dell'aeromobile, in Assic.
2005, I, 34. Sugli aspetti connessi alla riforma del codice, v. Mastrandrea – Tullio, Il compimento della revisione della parte
aeronautica del codice della navigazione, in Dir. mar. 2006, 699, 734; cfr. anche Vernizzi, Brevi note
sul nuovo assetto delle assicurazioni aeronautiche a seguito dei decreti
legislativi nn. 96/2005 e 151/2006, in Resp.
civ. e prev. 2006, 1946.
[20] C.
cost., 6 maggio 1985, n.
[21] Rel.
min. c. nav., § 614. Sul punto, v. Grigoli,
L’esercizio, cit., 460 (che pone tuttavia in dubbio
l’opportunità di quella che era la soluzione allora vigente, in
ragione con la difformità del limite invece allora in vigore per il
danno alle persone rispetto alla responsabilità per danni a terzi in
superficie: ivi, 461).
[22]
Nell’ambito dei lavori del CITEJA sull’urto si era ampiamente
discusso circa l’opportunità di escludere comunque la rivalsa fra
esercenti, al fine di non incidere sul limite risarcitorio accordato al vettore
aereo per i danni ai passeggeri alla stregua della Convenzione di Varsavia:
cfr. Drion, Limitation of Liabilities in International Air Law, The Hague, 1954, 105.
[23] Sul
regolamento n. 2027 del 1997, v. in generale Romanelli,
Il regime di responsabilità
del vettore aereo per infortunio al passeggero in base al regolamento CE del
Consiglio n. 2027/97, in Studi in
memoria di Maria Luisa Corbino, Milano, 1999, 749; Silingardi, Reg. CE
2027/97 e nuovo regime di responsabilità del vettore aereo di persone,
in Dir. trasp. 1998, 621; Capotosti, Criteri di «ragionevolezza» e obbligo di assicurazione
della responsabilità civile del vettore aereo comunitario per i danni ai
passeggeri, in Assic. 1997, II, 244; Guerrero
Lebrón, La responsabilidad
contractual del porteador aéreo en el transporte de pasajeros,
Valencia, 2005, 51 ss. Sulla Convenzione di Montreal, v. Antonini, La
responsabilità del vettore aereo per il trasporto di persone e cose
nella più recente evoluzione normativa: Protocolli di Montreal,
Varsavia-Montreal, Regolamento comunitario, in Dir. trasp. 2000, 615; Comenale
Pinto, Riflessioni sulla nuova
convenzione di Montreal del 1999 sul trasporto aereo, in Dir. mar. 2000, 798; Id., La responsabilità del vettore aereo dalla Convenzione di
Varsavia del 1929 alla Convenzione di Montreal del
[25] In
generale, su tale regolamento, v. Tonolo,
La nuova disciplina di conflitto delle
obbligazioni extra-contrattuali nel regolamento (CE) Roma II, in Studium Juris 2008, 1.
[26]
Un’analoga condizione è richiesta in diritto francese per
l’urto fra aeromobili: v. De Juglart, Traité de droit aérien, I, cit.,
[27] «Aux
fins de la présente Convention, un aéronef est
considéré comme en vol depuis le moment où la force
motrice est employée pour décoller jusqu'au moment où
l'atterrissage a pris fin. Lorsqu'il s'agit d'un aérostat, l'expression
"en vol" s'applique à la période comprise entre le
moment où cet aérostat est détaché du sol et celui
où il y est à nouveau fixé». Peraltro la medesima definizione era
stata ripresa anche nell’art. 1, § 2, del più sopra
menzionato schema ICAO di convenzione del 1964.
[29] Da ultimo: Ricchiuti,
La modernización del
Convenio de Roma de 1952 sobre daños a terceros en la superficie, in
Liber Amicorum en Honor al Dr. Enrique
Mapelli López, a cura di M. O. Folchi, Buenos Aires, 2007, 537, 546.
Sulle ragioni tecniche, v. Thomas, The Increasing Risk of Runway Incursions - the Most Dangerous Part of
Air Travel May be the Time Spent on the Ground, in J. Air L. & Com. 67/2002, 545.
[30]
Proprio a seguito di quell’incidente venne insediata una Commissione
parlamentare per un'indagine conoscitiva sulla sicurezza del trasporto aereo,
che elaborò a sua volta un documento che indicava le linee guida per la
riforma dell'aviazione civile in Italia. Successivamente, venne insediata
presso il ministero delle infrastrutture e dei trasporti una nuova Commissione
di studio per la riforma della parte nel corso della navigazione, i cui lavori
subirono tuttavia un'interruzione a seguito della presentazione in Parlamento
di una proposta di legge sullo stesso oggetto; infine la l. 9 settembre 2004 n.
265, all'art. 2, comma 2, conferiva al Governo una delega ad emanare uno o
più decreti legislativi per la revisione della parte aeronautica del
codice della navigazione, in base alla quale è stata adottata la riforma
del 2005-
[31] Su
tale incidente, v. a suo tempo Damiano,
L'incidente di Tenerife: una lezione di
incomunicabilità?, in Dir.
aereo 1979, 17.
[32] Cfr. Lefebvre d’Ovidio - Pescatore –
Tullio, Manuale di diritto della
navigazione, XI ed., Milano, 2008, 600; in senso analogo Fanara, Le assicurazioni
aeronautiche, I, cit., 486 e, sembrerebbe, Grigoli,
L’esercizio,
cit., 460, sub nota
[33]
Così, in particolare, Lefebvre
d’Ovidio - Pescatore – Tullio, Manuale di diritto della navigazione, loc. cit., ma, nella sostanza, sembra considerazione condivisa
anche dagli altri autori richiamati nella nota precedente.
[34] Come
già a suo tempo osservato: Romanelli
- Comenale Pinto, Urto di
aeromobili, cit., 324, ed ivi nota 46.
[36] Romanelli, I danni da aeromobile sulla superficie, cit., 143, sub nota 47 (ove
si evidenzia altresì un argomento testuale traibile dall’art. 23
della Convenzione di Roma del 1952).
[38] V.
fra gli altri Antonini, Responsabilità ed assicurazione nel
volo da diporto o sportivo, cit.,
61; Romanelli - Comenale Pinto, Urto di aeromobili, cit., 320; Romanelli - Silingardi, Urto di navi o aeromobili, in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, 906, 907.
[39] Tale
convenzione fu resa esecutiva in Italia con legge 12 giugno 1913, n. 606. Sulla
tendenza del legislatore italiano del codice della navigazione del
[41] Il
principio della proporzionalità della colpa nel caso di urto per colpa
comune non era conosciuto nemmeno dal diritto marittimo inglese. Con il Maritime Convention Act del 1911, con
l’introduzione della Convenzione di Bruxelles, tale principio venne
introdotto esclusivamente per quei casi in cui la convenzione si applicava; per
tutti gli altri casi continuava ad applicarsi il diverso principio della contributory negligence, in base al quale anche il più
lieve concorso di colpa determinava la ripartizione in parti uguali del danno
(c.d. principio della «divided
damages rule», emersa
chiaramente in un caso del 1815, The
Woodrop-Sims, 2 Dods. 83, 165 Eng.Rep. 1422). Tale
situazione venne superata soltanto con il Law
Reform (Contributory Negligence) Act del 1945, che estese a tutto il
diritto marittimo inglese il principio della proporzionalità della
colpa. Analogamente negli Stati Uniti, che non avevano (e per quanto mi consta
non hanno a tutt’ora ratificato la Convenzione del 1910) il principio
della divided damage rule ha
continuato ad essere applicato fino al 1975, quando venne superato con la
decisione della Corte Suprema del 1975 sul caso United
States v. Reliable Transfer Co.,
421 U.S. 397 (v. in generale Healy,
The Basis of Apportionment of Damages in Both-To-Blame Collision Cases, 47 Loy. L. Rev. 993 [2001]; Sweeney,
Proportional Fault in Both to Blame
Collisions, in Dir. mar. 1964,
numero speciale, Studi in onore di G. Berlingieri,
549).
[42]
Aspetto, questo, evidenziato in Rel. min. c. civ., § 572. Per la
riconduzione dell’art. 484 c. nav. alla medesima ratio dell’art. 1227 c. civ., v. De Cupis, Il danno
– Teoria generale della responsabilità civile, I, Milano,
1979, 268. All’epoca della codificazione, per l’esigenza di
adeguare la disciplina a quella che si riteneva emergere dal codice civile
(allontanandosi dall’ipotesi di regolamentazione formulata
nell’art. 396 del Progetto di codice marittimo del 1931), v. Spasiano, Sulla disciplina della responsabilità per danni da urto,
cit.,
[46]
Distinzione che si rinviene anche nelle legislazioni che hanno espressamente e
specificamente disposto sull’urto aeronautico, sebbene le conseguenze
sulla responsabilità non coincidano integralmente con quelle del diritto
italiano. Così, ad esempio, per l’art. 123 della LNA (Ley 48/1960
de 21 de julio, sobre Navegación Aérea) nel caso di urto per
colpa comune (a prescindere dalla responsabilità solidale nei confronti
dei terzi) il risarcimento verrà imputato in proporzione del peso degli
aeromobili coinvolti: cfr. Arroyo,
Curso de derecho aéreo,
Madrid, 2006, 232; Parada
Vázquez, Derecho
aeronáutico, Madrid, 2000, 329. Per l’art. 157 del Proyecto de codigo aeronautico
latinoamericano, cit., in tali casi l’imputazione verrebbe
distribuita in proporzione del valore di ciascun aeromobile coinvolto.
[47] Romanelli - Comenale Pinto, Urto di aeromobili, in IV Digesto ital., Sez. commerciale, XVI, Torino, 1999, 318, 320.
[48] In
tal senso (limitatamente all’urto fortuito ed all’urto per colpa
unilaterale) v. De Cupis, Il danno, I, cit., 266.
[49] Va
peraltro rilevato come non si tratti di una soluzione eccezionale
nell’ambito del nostro ordinamento: sembrano applicazione del medesimo
principio, nel codice civile, la regola per la distribuzione interna del
risarcimento fra condebitori solidali, dettata dall'ultimo comma dell'art.
2055, nonché, quella dell'art. 2054, comma 2, c. civ., nell'ambito della
disciplina della responsabilità per la circolazione di veicoli senza
guida di rotaia, nel concorso di responsabilità in causo di urto.
[50] Rel.
min. c. nav., § 291. Nel senso che la disciplina dell’urto per colpa
comune costituirebbe una deroga rispetto al principio dell’art. 2055 c.
civ., che postulerebbe la solidarietà fra gli autori del danno, v. De Cupis, Il danno, I, cit., 278.
[51] Nel
senso che, rispetto ai rapporti fra esercenti, nel caso di urto di aeromobili,
in assenza di una norma specifica, debba ricorrersi alle regole del diritto
comune per quanto concerne l’entità del risarcimento (con
esclusione, quindi, dell’applicazione di limitazioni) v. Videla
Escalada, Manual de derecho
aeronáutico, cit., 621;
conf. Morsello, Responsabilidade
civil, cit., 276.
[52]
È la soluzione seguita, ad esempio, in Francia, con l’art. L.-141-1 del Code de l’aviation civil: cfr. De Juglart, Traité de droit aérien, I,
cit., 759. Nel medesimo segno operava l’art. 39 del r.d.l. 20 agosto
1923 n. 2207.
[53] Per i
quali vale in generale il principio di esclusione, salvo le eccezioni
specificamente poste (come, ad esempio, nel citato nuovo testo dell'art. 965,
u.c., c. nav., su cui v. Mastrandrea -
Tullio, Il compimento della
revisione della parte aeronautica del codice della navigazione, cit., 734)
delle norme del codice della navigazione, oggi formulato dall'art. 748 c. nav.,
nel testo introdotto dall'art. 5 del d. lgs. 9 maggio 2005, n. 96.
[54] In
tal senso, con l’esclusione in particolare della disciplina dei danni a
terzi in superficie agli aeromobili militari, prima dell’entrata in
vigore dell’odierno testo dell’art. 965 c. nav., v. ad esempio
Cass., 19 luglio 2001, n.
[55] Su
tali premesse, a suo tempo si è discusso dell’opportunità di
adottare una disciplina di diritto uniforme ad
hoc sulla responsabilità nel controllo del traffico aereo: il testo
del rapporto svolto sulla questione dal Prof. Guido Rinaldi Baccelli alla
Conferenza di Varsavia del 1988, che ha concluso i lavori intrapresi, fin dal
1985, dal Comitato di diritto aereo dell’International Law Association
è in Dir. prat. av. civ. I/1988,
69.
[56] Vale
il rilievo per cui, nella misura in cui il livello risarcitorio ottenibile
dall’esercente sia particolarmente basso, appare probabile che qualche
danneggiato possa tentare di agire direttamente nei confronti del gestore
dell’assistenza al volo, se il danno è in qualche misura
ascrivibile anche al suo operato: v. Comenale
Pinto, Obblighi e
responsabilità del controllore del traffico aereo, in Aeroporti
e responsabilità, atti del Convegno di Cagliari del 24-25 ottobre
[57] Comenale Pinto, Organizzazione e responsabilità nei servizi di traffico aereo,
relazione al Convegno di Trieste del 26 e 27 settembre 2003 “Il diritto
aeronautico a cent’anni dal primo volo: profili evolutivi e problematiche
giuridiche attuali”, in Dir. trasp. 2004, 41, 54.
[58] Sulla
particolare tecnica di rinvio seguita dal legislatore della riforma della parte
aeronautica del codice della navigazione v. per tutti Rosafio, Il trasporto
aereo di cose – Riflessioni sul nuovo regime legale, cit., 23 ss.;
non pare dubbia la legittimità dal punto di vista del diritto
internazionale di un'estensione dell'applicazione delle convenzioni di diritto
uniforme al di là del loro campo di applicazione: cfr. Berlingieri, Le convenzioni internazionali di diritto marittimo e la loro attuazione
nel diritto interno, in Dir. mar. 1999,
54, 79 ss.
[59] Cfr.
sul punto il documento di lavoro del Comitato giuridico ICAO, XXXIII Sessione,
LC/33-WP/3-3, sub § 3.2 (p. 6).
[60] Sulla
ritenuta opportunità dell’equiparazione operata dal legislatore
della riforma, v. Mastrandrea - Tullio, Il compimento della revisione della parte
aeronautica del codice della navigazione, cit., 734. Sulla tendenza
espressa da vari testi di diritto uniforme del secondo dopoguerra ad affermare
un ambito di applicazione che prescinda dalla ricorrenza di elementi di
estraneità v. Malintoppi, Diritto uniforme e diritto internazionale
privato in materia di trasporto, Milano, 1955, 39 ss.; v. anche Comenale Pinto, La
responsabilità per inquinamento da idrocarburi nel sistema della C.L.C.
1969, Padova, 1993, 46. Sui
vantaggi che tale soluzione comporta (anche nell’ottica di disincentivare
il forum shopping) v. Camarda, Il soccorso in mare, cit., 4.
[61]
Così, per limitare il discorso al trasporto aereo, non rientra in tale tendenza
la Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999. Sulla nozione di trasporto aereo
«internazionale» con riferimento alla corrispondente previsione
della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, v. Arena, Il concetto di
trasporto aereo internazionale ai fini della responsabilità del vettore
nella Convenzione di Varsavia e nel Protocollo dell'Aja, in Scritti in onore di Salvatore Pugliatti,
Milano, 1978, 29; Giannini, Il contratto di trasporto internazionale
secondo la Convenzione di Varsavia, in Nuovi
Saggi di diritto aeronautico, I, Milano, 1940, 94; Romanelli, Il trasporto
aereo di persone, cit., 171 ss.; Ivaldi,
Diritto uniforme dei trasporti e
diritto internazionale privato, Milano, 1990, 110 s.; nei lavori per la
Convenzione di Montreal non è stata ripresa la proposta (formulata,
senza successo, già nei lavori che hanno portato all'adozione del
Protocollo dell'Aja del 1955, e ricordata da Romanelli,
Il trasporto aereo di persone,
Padova, 1959, 169 s., nota 36) di estendere l'ambito di applicazione della
Convenzione anche a tutti i trasporti aerei che abbiano il solo punto di
partenza od il solo punto di arrivo nel territorio di uno degli Stati
contraenti.
[62] E
rispetto alla soluzione seguita dalla Convenzione di Roma del 1952, richiamando
il suo preambolo, che afferma il desiderio di garantire un risarcimento
adeguato (soltanto) per i danni a terzi in superficie cagionati da un
aeromobile straniero, v. le perplessità di Drion, Limitation of
Liabilities in International Air Law, cit., 88, sub nota 3.
[63] Kjiellin, The New International Regime
for Third Party Liability, in Air
& Sp. Law 2008,
63, 66.
[64] Cfr.
(sia pure con la puntualizzazione di alcune supposte specificità del
sistema delle convenzioni CLC/FUND) Caplan,
Modernization of the 1952 Rome Convention, in Air & Sp. Law 2007, 19, 29. Su tali strumenti
del diritto marittimo, a cui si è ispirato la legislazione aeronautica
uniforme in itinere v. in generale Comenale Pinto, La responsabilità,
cit., da ultimo Carbone, Strumenti
internazionalistici e privatistici internazionali relativi al risarcimento dei
danni provocati da idrocarburi all'ambiente marino, in Riv. dir. int. priv. proc. 2006, 623. Il sistema
è stato peraltro ulteriormente integrato da un Protocollo di Londra del
16 maggio 2003, che ha istituito un fondo di terzo livello, scongiurando
l'ipotesi che la Commissione europea aveva formulato nel c.d. pacchetto
Erika-II di istituire unilateralmente un proprio fondo complementare: cfr. Comenale Pinto, Il meccanismo dei
fondi e la proposta di istituzione di un fondo europeo di terzo livello
(Relazione al convegno «Inquinamento del mare e sicurezza della
navigazione», Santa Severina, 14-15 giugno 2002), in Riv. giur. amb. 2003,
197.
[65] V. in
generale Zunarelli, La Convenzione di Londra sulla
responsabilità nel trasporto marittimo di sostanze pericolose e nocive
(HNS 1996), in Dir. trasp. 1996, 727 (ed ivi, 742 ss.,
sull'aspetto specifico della prevista istituzione di un fondo per il
risarcimento dei danni coperti da tale convenzione sul modello dello IOPCF
previsto dalla Convenzione FUND).
[66] La
necessità di un coordinamento fra i due regimi era considerazione
frequente nei commenti sulle prospettive della riforma dei danni a terzi in
superficie: cfr. Ricchiuti, La modernización del Convenio de Roma
de 1952 sobre daños a terceros en la superficie, cit., 543.
[67] Per
(giustificate) perplessità circa l'adozione di un regime di limitazione
per i danni a terzi ispirato al paradigma della responsabilità del
vettore aereo di persone, v. Caplan, Modernization
of the 1952 Rome Convention, cit.,
26; in generale sull’inopportunità di interfacciare la
responsabilità per danni a terzi con quella vettoriale v. da ultimo Tompkins, Some
Thoughts to Ponder when Considering Whether to Adopt the New Aviation General
Risks and Unlawful Interference Conventions, in Air & Sp. Law 2008, 81. Circa il rilievo che in generale i
limiti vengono ad esplicare in sistemi di responsabilità extracontrattuale,
che trascendono dalla sfera di prevedibilità del soggetto danneggiato,
v. Comenale Pinto, La
responsabilità, cit.,
141.
[68] Sulla
portata di tale disciplina, v. Folchi,
sub Art.
[69] Antonini, Il danno risarcibile nel trasporto di persone, in La nuova disciplina del trasporto aereo
– Commento alla Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999, cit., 81,
88; Field, Air Travel, Accidents and Injuries: Why the New Montreal Convention is
Already Outdated, in Dalhousie L.J.
28/2005, 69, 84; Hermida, The
New Montreal Convention: The International Passenger’s Perspective - One
airline’s merit is another passenger’s shortcoming, in Air & Sp. Law 2001, 150, 153;
Mendes De Leon - Eyskens, The Montreal Convention: Analysis of Some
Aspects of the Attempted Modernization and Consolidation of the Warsaw System, in J. Air L. & Com. 66/
2001, 1155, 1167; Sarmiento Garcia, Estructura de la responsabilidad del
transportador aéreo en el Convenio de Montreal de