ds_gen N. 6 – 2007 – Tradizione Romana

 

image002Franco Vallocchia

Università di Roma “La Sapienza”

 

Silentium’ nei documenti sacerdotali. Le interpretazioni di Veranio e di Ateio Capitone*

 

 

SOMMARIO: 1. Il ‘silentium’ in Cicerone e Festo. – 2. Silentio surgere’ nel “De verborum significatione” di Festo. – 3. Alcune ipotesi su Veranio. – 4. Alcune ipotesi su Ateio Capitone. – 5. Brevi considerazioni sulle trattazioni de iure pontificio e de iure augurali fino a Tiberio. – 6. Silentio surgere’ nelle interpretazioni di Ateio Capitone e di Veranio. – 7. I documenti sacerdotali e le interpretazioni dei giuristi.

 

 

1. – Il ‘silentium’ in Cicerone e Festo

 

Nel “De divinatione” di Cicerone e nel “De verborum significatione” di Festo è contenuta la definizione della parola ‘silentium’, come espressione tecnica in uso nel diritto augurale:

 

id enim silentium dicimus in auspiciis, quod omni vitio caret[1];

 

hoc enim est prope silentium, omnis vitii in auspiciis vacuitas[2];

 

at silentium, ubi dumtaxat vacat vitio[3].

 

Tutti e tre i testi, basandosi sull’aspetto negativo dell’assenza di ‘vitia’, mostrano il valore tecnico della parola ‘silentium’ e indicano, tramite essa, la presenza di un ordine delle cose privo di segni che possano in qualche modo rivelarne un turbamento. Il ‘silentium’, quindi, costituisce la condizione necessaria per poter osservare la eventuale presenza di segni divini, nella totale assenza di interferenze tra questi ultimi e l’osservatore.

La mia attenzione, però, non è attratta tanto dalla definizione di ‘silentium’, per la quale infatti le fonti non evidenziano alcun contrasto, quanto da altri due aspetti, rilevabili dai passi di Festo e riconducibili alle articolazioni degli studi condotti dalla giurisprudenza in materia di ius sacrum:

 

a)   il problema dell’autore della prima delle due definizioni riportate in Festo (quella relativa alla voce ‘silentio surgere’);

 

b)   il ruolo dei prudentes nella interpretazione ed applicazione del formulario sacerdotale.

 

2. – ‘Silentio surgere’ nel “De verborum significatione” di Festo

 

Il primo passo di Festo, da me citato, nella sua completezza appare così:

 

silentio surgere ait dici, ubi qui post mediam noctem auspicandi causa ex lectulo suo silens surrexit, et liberatus a lecto, in solido se posuit, sedetque, ne quid eo tempore deiciat, cavens, donec se in lectum reposuit: hoc enim est prope silentium, omnis vitii in auspiciis vacuitas. Veranius ait, non utique ex lecto, sed ex cubili, ne+ rursus se in lectum reponere necesse est[4].

 

Accettando la ricostruzione di Müller, il quale restituisce senso alla prima parte del passo, integrando nel primo rigo la parola ‘ait’, ci si rende conto che comunque la frase mantiene una sua incompletezza di fondo, perché manca il soggetto stesso del predicato ‘ait’; quel soggetto grammaticale cui attribuire le descritte caratteristiche del ‘silentium surgere’ e la definizione stessa di ‘silentium’. Soggetto che non può in alcun modo esser fatto coincidere con il Veranius della chiusa finale del passo, considerata la netta contrapposizione tra l’interpretazione di Veranio e quella del nostro soggetto sconosciuto.

Tuttavia, Veranio è l’unico nome citato nel brano e, quindi, può aiutarci a capire chi si cela dietro l’anonimo ‘ait dici’ del frammento festino.

 

3. – Alcune ipotesi su Veranio

 

Le notizie che le fonti ci tramandano su Veranius sono scarsissime; tanto che non abbiamo certezza del suo nome completo[5] e neppure con certezza sappiamo in quale epoca sia vissuto né quali e quante opere abbia scritto.

Macrobio riferisce a Veranio la composizione di libri de iure pontificio, contraddistinti da titoli diversi[6]; nell’opera di Festo, invece, gli si attribuisce la composizione di un’opera dedicata agli auspicia, probabilmente anch’essa distinta in più libri recanti titoli diversi[7].

Circa la collocazione cronologica di Veranio[8], la mancanza di notizie certe da parte delle fonti autorizza la dottrina a dividersi tra due ipotesi che, comunque, pongono l’autore in un’età compresa tra Cesare e Tiberio: Veranio vive ed opera nella metà del I secolo a.C.[9], ovvero nella prima metà del I secolo d.C.[10]

Riassumendo, Veranio è sicuramente un giurista e scrive almeno due opere dedicate allo ius pontificium ed agli auspicia; esso lavora e scrive in un’epoca compresa tra Cesare e la metà del I secolo d.C.

Sulla base di queste notizie e del passo di Festo sopra riportato, relativo a ‘silentio surgere’, mi sembra che:

 

1)   l’anonimo autore, di cui nel testo festino è riprodotto il pensiero sul ‘silentium’, sia da intendere come antecedente rispetto a Veranio o, al più, suo contemporaneo[11];

 

2)   quello che l’anonimo scrive, sia da ricondurre ad un’opera dal contenuto analogo a quelle composte da Veranio[12].

 

4. – Alcune ipotesi su Ateio Capitone

 

Ora andiamo ad esaminare nella sua interezza il secondo passo di Festo, quello relativo alla voce ‘sinistrum’, di cui sopra ho riportato un brano:

 

sinistrum in auspicando significare ait Ateius Capito laetum et prosperum auspicium, at silentium, ubi duntaxat vacat vitio[13].

 

Nell’opera di Festo, nella spiegazione del significato della parola ‘sinistrum’, è utilizzato il pensiero del giurista augusteo Ateio Capitone. La particolarità del passo non risiede tanto nel significato dato a ‘sinistrum’, quanto nel fatto che si ritorna sul concetto di ‘silentium’ e sul significato di ‘silentio surgere’, secondo una ricostruzione già evidenziata altrove in Festo, ma, per le lacune del testo, rimasta anonima. Per evitare di attribuire a Capitone la spiegazione di ‘silentio surgere’, occorre imputare all’autore della voce compresa nell’opera di Festo la parte del passo che va da ‘at’ a ‘vitio’; questa operazione, però, mi sembra una vera forzatura: perché l’autore della voce avrebbe dovuto presentare una sua personale sintesi del concetto di ‘silentium’, ponendola sotto il significato della parola ‘sinistrum’, per il quale si avvale di un importante giurista di età augustea?

Il passo festino mi sembra razionale nella sua costruzione. La relazione tra ‘sinistrum’ e ‘silentium’ non costituisce una aggiunta esplicativa del testo, perché la sua funzionalità appartiene al testo stesso: essa passa attraverso la differenza tra il ‘laetum et prosperum auspicium’ (sinistrum) e l’assenza di turbative durante l’auspicio (silentium)[14].

Il fatto che Ateius Capito possa essere l’autore della interpretazione dell’espressione ‘silentio surgere’, rimasta anonima a causa delle lacune del citato passo festino, non contraddice le conclusioni sopra raggiunte:

 

1) non è possibile escludere che Capitone e Veranio siano contemporanei[15];

 

2) Capitone, come Veranio, scrive un’opera sullo ius pontificium e non è escluso che si occupi anche di ius augurale[16].

 

Quest’ultimo punto mi sembra interessante, soprattutto alla luce delle difficoltà mostrate dalla dottrina moderna circa l’ordinata ricostruzione delle opere scritte da Capitone.

Ebbene, quanto al pensiero di Capitone su ‘silentio surgere’, due possono essere le ipotesi[17]:

 

a)       Capitone espone la sua interpretazione dell’espressione ‘silentio surgere’ in uno dei libri ‘De iure pontificio’;

 

b)       Capitone tratta del ‘silentio surgere’ in un’opera espressamente dedicata allo ius augurale.

 

c)       Allo stato attuale delle fonti, non è possibile definire la questione in modo certo ed incontrovertibile.

 

5. – Brevi considerazioni sulle trattazioni de iure pontificio e de iure augurali fino a Tiberio

 

Fermo restando quanto fin qui detto, ritengo che qualunque tentativo di ricostruire la complessa vicenda delle trattazioni de iure pontificio e de iure augurali fino a Tiberio, debba tener conto delle seguenti considerazioni, basate esclusivamente sui dati forniti dalle fonti:

·             quattro sono i giuristi che scrivono de iure pontificio: Pittore, Veranio, Labeone e Capitone[18];

·             tre sono i giuristi che scrivono de iure augurali: Cesare, Messalla e Veranio[19];

·             solo Veranio scrive con certezza due opere dedicate rispettivamente allo ius pontificium ed allo ius augurale[20];

·             le fonti non permettono una completa ricostruzione delle opere di questi sei autori[21];

·             sia i testi de iure pontificio che quelli de iure augurali interpretano e commentano formule sacerdotali ed espressioni tecniche dal contenuto giuridico-religioso[22];

·             almeno in un caso, è evidente la trattazione di materia iuris auguralis in un testo iuris pontificii[23];

·             Cesare e Messalla sono stati auguri; di Pittore e Veranio non si hanno notizie certe; non risulta dalle fonti che Labeone e Capitone siano stati auguri o pontefici[24].

 

6. – ‘Silentio surgere’ nelle interpretazioni di Ateio Capitone e di Veranio

 

Torno al passo di Festo relativo a ‘silentio surgere’. Stando al citato testo, l’osservazione auspicale si pone in un preciso contesto temporale, identificato da Ateio Capitone tra due momenti, collocati entrambi dopo la mezzanotte[25] e dipendenti dall’azione svolta dall’osservatore:

 

a) un termine iniziale coincidente con ‘ex lectulo surgere[26];

 

b) un termine finale che coincide con ‘se in lectum reponere[27].

 

È evidente che per Capitone l’inizio e la fine dell’osservazione auspicale non dipendono da una convenzionale quantificazione del tempo, ma da un comportamento concludente dell’osservatore che appare sostanzialmente libero di determinare il lasso temporale della sua indagine. In altre parole, l’attività auspicale costituisce un procedimento dai contenuti sicuramente tipici, ma libera in quanto a durata. Infatti, la tipicità consiste in:

 

1-          gestualità preordinata all’avvio del periodo di osservazione: ‘ex lectulo suo silens surrexit’;

 

2-          gestualità indirizzata ad una corretta osservazione: ‘et liberatus a lecto, in solido se posuit, sedetque’;

 

3-          gestualità diretta ad evitare turbative alla perfezione dell’osservazione: ‘ne quid eo tempore deiciat, cavens’;

 

4-          gestualità destinata a chiudere il periodo dell’osservazione: ‘donec se in lectum reposuit’.

 

La discrezionalità, invece, è individuabile nella collocazione temporale della gestualità sopra esposta, con particolare attenzione ai due estremi, da cui dipendono l’inizio e la fine della stessa osservazione; mentre, una ulteriore limitazione è rappresentata dal fatto che essa deve avere inizio post mediam noctem.

Si potrebbe dire che, nella ricostruzione di Ateio Capitone, l’osservazione auspicale è discrezionale in quanto alla durata, ma vincolata per ciò che concerne le modalità.

Parzialmente diversa, invece, appare l’impostazione data da Veranio alla stessa vicenda.

Dalla interpretazione di Veranio del ‘silentio surgere’, come tramandata da Festo, emerge una osservazione auspicale basata su un livello maggiore di discrezionalità da parte dell’osservatore. Infatti, ferma restando la libertà di questi in quanto alla durata dell’esame, è possibile osservare:

 

1)          un minor grado di tipicità nella gestualità preordinata all’avvio della procedura: ‘non utique ex lecto, sed ex cubili[28];

 

2)          una piena discrezionalità nella gestualità destinata a chiudere il periodo dell’osservazione: ‘ne+ rursus se in lectum reponere necesse est[29].

 

Mi sembra che le interpretazioni di Ateio Capitone e di Veranio costituiscono due modelli tra loro distinti:

 

a)   Capitone limita la discrezionalità dell’osservatore entro ambiti ristretti, descrivendone con precisione l’attività e finanche le caratteristiche del giaciglio dal quale questi si deve ergere;

 

b)   Veranio, invece, riconosce all’autore dell’osservazione una libertà maggiore in quanto alle modalità di esecuzione, identificandone l’inizio nell’atto di ergersi da un qualsivoglia giaciglio e non facendone dipendere la fine da un comportamento specifico.

 

7.I documenti sacerdotali e le interpretazioni dei giuristi

 

Il forte interesse per una corretta applicazione delle procedure augurali, quali, ad esempio, quelle relative all’attività del populus riunito nei comitia, spiega la cura con la quale i giuristi si dedicano alla interpretazione delle formule sacerdotali e delle espressioni tecniche dal contenuto giuridico-religioso.

Nel caso specifico, non mi sembra azzardato pensare che Ateio Capitone e Veranio abbiano analizzato la ratio del ‘silentium in auspiciis’ in una prospettiva pontificale, cioè sotto il profilo delle competenze del pontifex in ordine alla corretta applicazione delle procedure sacerdotali. Stabilire la correttezza di una osservazione auspicale effettuata alzandosi da terra, piuttosto che da un letto, e conclusa in modo diverso dal ‘se reponere in lectum’, può sicuramente avere riflessi, nel sistema giuridico-religioso romano, sulla legittimità delle operazioni compiute, ad esempio, dalle assemblee popolari[30].

Pertanto, il caso del ‘silentio surgere’ attesta la presenza di interpretazioni e commenti da parte dei giuristi in ordine ai documenti sacerdotali; interpretazioni e commenti fondati su riflessioni puntuali e di grande rilievo giuridico. Da una parte il documento sacerdotale, dall’altra le interpretazioni applicative.

Tutto ciò fa riflettere, soprattutto sotto il profilo delle operazioni palingenetiche condotte nel passato o programmate per il futuro. Se ormai è innegabile l’insufficienza del pur grandioso lavoro compiuto da Lenel, a causa della deliberata esclusione di tutto ciò che attiene il diritto augurale e non solo, rischia di apparire incompleto anche un progetto di palingenesi, pur innovativo nella sua impostazione, che comprenda i documenti sacerdotali, ma che trascuri le riflessioni effettuate dalla giurisprudenza sugli stessi[31].

 

 



 

* Questo studio costituisce un approfondimento delle tematiche trattate in un intervento da me svolto il 21 aprile 2005, nell’ambito dei lavori del XXV Seminario di Studi Internazionali “Da Roma alla Terza Roma”, tenutosi in Campidoglio.

 

[1] Cic., De div. 2.34.71. La spiegazione data da Cicerone del termine ‘silentium’ è inserita in un contesto di formule augurali: Q.FABI, TE MIHI IN AUSPICIO ESSE VOLO; respondet: AUDIVI. Hic apud maiores nostros adhibeatur penitus, nunc quilibet. Peritum autem esse necesse est eum, qui, silentium quid sit, intellegat; id enim silentium dicimus in auspiciis, quod omni vitio caret. Hoc intelligere perfecti auguris est; illi autem, qui in auspicium adhibetur, cum ita imperavit is, qui auspicatur: DICITO, SI SILENTIUM ESSE VIDEBITUR, nec suspicit nec circumspicit; statim respondet silentium esse videri.

 

[2] Fest., De verb. signif., 348.33-35, s.v. Silentio surgere (ed. Müller)=474.7-15 (ed. Lindsay). Nel Codice Farnesiano, attraverso cui l’opera di Festo è pervenuta, la frase riportata appare così: hoc enim est .......lentium, omnis vitii in auspiciis vacuitas. Tanto l’edizione di Müller quanto quella di Lindsay integrano il passo come indicato supra, nel testo.

 

[3] Fest., De verb. signif., 351.19-22, s.v. Sinistrum (ed. Müller)=476.29-34 (ed. Lindsay). Ambedue le edizioni citate integrano il passo che appare nel Codice Farnesiano trasformando ‘at’ in ‘aut’ ed ‘ubi’ in ‘dubi’; queste integrazioni rendono così il testo: aut silentium, dubi dumtaxat vacat vitio. Nell’edizione curata da Lindsay, comunque, si riconosce che le parole ‘aut’ e ‘dubi’ sono una variante alla ricostruzione tramandata da Antonius Augustinus, pubblicata nel 1559 a Venezia, nella quale si riporta ‘at’ e ‘ubi’.

 

[4] Fest., De verb. signif., 348.33-35, s.v. Silentio surgere (ed. Müller); le parti in neretto costituiscono le integrazione del testo mancante. Lo stesso passo, nella edizione Lindsay dell’opera di Festo, appare così riportato, ove i segni di interpunzione indicano le lacune del testo e le parti tra cunei rappresentano le integrazioni: <Silentio surgere>..t dici, ubi qui post mediam <noctem>......tandi causa ex lectulo suo si<lens surr>exit et liberatus a lecto, in solido ......<se>detque, ne quid eo tempore deiciat, <cavens, donec s>e in lectum reposuit: hoc enim est <proprie sil>entium, omnis vitii in auspiciis vacuitas. Veranius ait, non utique ex lecto, sed ex cubili, ne<c> rursus se in lectum reponere necesse esse (Fest., De verb. signif., 474.7-15, s.v. Silentio surgere, ed. Lindsay). Le differenze tra le due versioni sono costituite: dalla lettera ‘-t’ nel primo rigo, riprodotta dall’edizione di Lindsay come finale di una parola caduta ed assente nel testo di Müller, il quale invece presenta la parola ‘ait’, cui la ‘t’ dovrebbe appartenere, in funzione pienamente integrativa; dalla parola ‘auspicandi’, frutto di una integrazione accettata da Müller e non recepita da Lindsay, secondo il quale nel Codice Farnesiano appare ‘-tandi’ e non ‘-candi’, rendendo la citata ipotesi di integrazione non suffragata dall’evidenza testuale. Per ciò che riguarda la prima differenza, mi sembra che l’edizione di Lindsay non escluda, anzi avvalori la ricostruzione operata da Müller.

 

[5] Un Veranio Flacco appare in Suet., Aug. 86. Un Quinto Veranio appare negli Annales di Tacito, durante l’impero di Tiberio (Ann. 2.56.4; 2.74.2; 3.10.1; 3.13.2; 3.17.2; 3.19.1), di Claudio (sotto il quale ricopre il consolato nel 49: Ann. 12.5.1) e di Nerone (sotto il quale muore nel 59: Agricola 14.2; Ann. 14.29.1). Tuttavia, le notizie riferite da Svetonio e Tacito non sono di per sé sufficienti a provare l’identificazione di Veranio Flacco o di Quinto Veranio con il Veranio esperto di ius sacrum.

 

[6] Macrob., Sat. 3.5.6: Veranius enim in pontificalibus quaestionibus docet; Sat. 3.6.14: Veranius Pontificalium eo libro quem fecit de supplicationibus; Sat. 3.20.2: ait enim Veranius de verbis pontificalibus. P.E. HUSCHKE, Iurisprudentiae anteiustinianae quae supersunt, Lipsiae 1874, 106 s., include questi passi tra le testimonianze di una generica opera scritta da Veranio e dedicata a ‘quaestiones pontificales’; la stessa provenienza avrebbe un ‘primus liber Pictoris’ citato da Macrob., Sat. 3.2.3. Analoga ricostruzione in F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, II,1, Lipsiae 1898, 6 ss., il quale distingue, nell’ambito delle ‘quaestiones pontificales’, un testo ‘De verbis pontificalibus’ (Macrob., Sat. 3.20.2), un testo ‘De supplicationibus’ (Macrob., Sat. 3.6.14) ed altri libri dal titolo incerto (tra i quali inserisce quelli citati in Macrob., Sat. 3.5.6 e Sat. 3.2.3).

 

[7] Fest., De verb. signif., 289, s.v. Referri (ed. Müller): ...ut ait Veranius in eo, qui est auspiciorum de comitiis. La riconduzione di questo testo agli ‘auspiciorum libri’ composti da Veranio è accettata da P.E. HUSCHKE, Iurisprudentiae anteiustinianae quae supersunt, cit., 106, come da F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, II,1, cit., 5. Inoltre, occorre osservare che entrambi gli autori inseriscono nell’ambito di quest’opera quanto scritto dallo stesso Veranio in merito a ‘silentio surgere’ (per il quale si veda il già citato Fest., De verb. signif., 348.33-35, s.v. Silentio surgere (ed. Müller) = 474.7-15 (ed. Lindsay).

 

[8] Vedasi la dottrina meno recente in E.A. GORDON, v. Veranius, 1, in PWRE, VIII, A.1, 1955, 937. Le più recenti opere generali sui giuristi romani non fanno alcun cenno a Veranio; si vedano, per citarne alcune, W. KUNKEL, Die römischen Juristen, Köln-Weimar-Wien 2001, e AA.VV., Juristas universales, 1, Madrid-Barcelona 2004.

 

[9] Si tratterebbe, allora, del Veranio Flacco citato da Suet., Aug. 86. Si vedano P.E. HUSCHKE, Iurisprudentiae anteiustinianae quae supersunt, cit., 106, e M. SCHANZ - C. HOSIUS, Geschichte der römischen Literatur, I, 4a ediz., München 1927, 600. R. DEL PONTE, Documenti sacerdotali in Veranio e Granio Flacco: problemi lessicografici, Comunicazione presentata nel XXV Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma” «Diritto e religione da Roma a Costantinopoli a Mosca. Persona. Città. Impero universale» (Campidoglio, 21-23 aprile 2005) [pubblicata con lo stesso titolo in Diritto @ Storia. Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana 4 (novembre 2005) = http://www.dirittoestoria.it/4/Tradizione-Romana/Del-Ponte-Documenti-sacerdotali-Veranio-Granio-Flacco.htm ] ritiene Veranio persona vicina a Cesare, al pari di Servio Sulpicio Rufo e Trebazio Testa.

 

[10] Si tratterebbe, invece, del Quinto Veranio citato più volte da Tacito. Si vedano F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, II,1, cit., 5; F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, Firenze 1968, (History of Roman Legal Science, Oxford 1953), 80 nt. 1; A. GUARINO, L’esegesi delle fonti del diritto romano, I, Napoli 1968, 199.

 

[11] Nel passo di Festo il pensiero di Veranio è posto in opposizione a quello dell’anonimo: ait dici ... ex lectulo suo silens surrexit ...... donec se in lectum reposuit. Veranius ait, non utique ex lecto, sed ex cubili, nec rursus se in lectum reponere necesse esse. Da ciò sembrerebbe che Veranio conosca la tesi cui si contrappone; quindi, non è l’autore della voce ‘silentio surgere’ che mette in contrasto le opinioni dei due autori, ma è proprio uno di questi ultimi che tiene a rimarcare la diversità della propria interpretazione rispetto a quella formulata dall’altro.

 

[12] L’anonimo avrebbe, pertanto, elaborato la propria ricostruzione in merito a ‘silentio surgere’ in un testo dedicato alle quaestiones pontificales, ovvero agli auspicia. Stando a Huschke ed a Bremer, come si è visto, quest’opera coinciderebbe con i libri auspiciorum.

 

[13] Fest., De verb. signif., 351,19-22, s.v. Sinistrum (ed. Müller)=476,29-34 (ed. Lindsay). È qui appena il caso di rammentare quanto già detto supra circa le parole ‘at’ e ‘ubi’.

 

[14] Semmai, potrebbe essere intesa quale commento spurio la parte successiva del passo: igitur silentio surgere cum dicitur significat non interpellari, quo minus rem gerat; at sinistrum, hortari quoque auspicia ad agendum, quod animo quis proposuerit (Fest., De verb. signif., 351.19-22, s.v. Sinistrum - ed. Müller = 476.29-34 - ed. Lindsay). Infatti, F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, II,1, cit., 280, attribuisce queste parole a Verrio Flacco.

 

[15] Come già evidenziato, parte della dottrina ritiene che i due giuristi siano contemporanei.

 

[16] P.E. HUSCHKE, Iurisprudentiae anteiustinianae quae supersunt, cit., 120 nt. 3, si basa proprio sul passo festino concernente la parola ‘sinistrum’ per congetturare la composizione, da parte di Capitone, di testi de iure augurali. Ancor più esplicito appare F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, II,1, cit., 280, attribuendo a Capitone un’opera con tale titolo e comprendendovi il passo relativo alla parola ‘sinistrum’. Maggiore cautela manifesta F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, cit., 245 nt. 8; mentre R. ORESTANO, v. Capitone, in NND, II, Torino 1958, 929 s., ritiene che testi de iure augurali siano stati scritti da Capitone nell’ambito dell’opera ‘De iure pontificio’.

 

[17] Non mi risulta che l’anonima interpretazione di ‘silentio surgere’ contenuta nel passo di Festo sia mai stata attribuita a Capitone; di questo testo, infatti, non v’è traccia nei lavori di Huschke e di Bremer che, pure, riconoscono al giurista augusteo la paternità di scritti de iure pontificio e de iure augurali. Neppure in P. REGELL, Commentarii in librorum auguralium fragmenta specimen, Hirschberg 1893, 5 ss. (in particolare 14 nt. 25 e 16 nt. 39), il frammento festino relativo a ‘silentio surgere’ è riferito a Capitone.

 

[18] F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, I, cit., 28, sostiene che Q. Fabius Maximus Servilianus, console nel 142 a.C., avrebbe composto un’opera de iure pontificio, divisa in almeno 12 libri. L’ipotesi di Bremer è fondata esclusivamente su un passo di Macrobio (Sat. 1.16.25), il quale, in verità, non riporta il titolo dell’opera a cui farebbe riferimento la citazione tratta dal XII libro: Fabius Maximus Servilianus pontifex in libro duodecimo negat.... Infatti, P.E. HUSCHKE, Iurisprudentiae anteiustinianae quae supersunt, cit., 5 nt. 1, ritiene che Serviliano avrebbe più probabilmente scritto Annales piuttosto che un’opera sul diritto pontificio. Pittore è identificato da P.E. HUSCHKE, Iurisprudentiae anteiustinianae quae supersunt, cit., 2, con Numerius Fabius Pictor, vissuto tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C., mentre per F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, I, cit., 9, si tratterebbe di Quintus Fabius Pictor, vissuto nella seconda metà del III secolo a.C.

 

[19] Cesare è identificato da P.E. HUSCHKE, Iurisprudentiae anteiustinianae quae supersunt, cit., 102, con L. Iulius Caesar, console nel 64 a.C., mentre per F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, I, cit., 106, si tratterebbe di L.Iulius Caesar console nel 90 a.C. Messalla è M.Valerius Messalla Rufus, console nel 53 a.C. (v. F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, I, cit., 263).

 

[20] Richiamo qui quanto già detto a proposito della produzione scientifica di Capitone, con particolare riferimento ai problemi legati ai libri de iure pontificio.

 

[21] Di Capitone e Veranio già si è detto. Su Pittore, osservo che BREMER (cit., 12) attribuisce ad incertis libris due testi che HUSCHKE (cit., 2 ss.) riconosce iuris pontificii. Per ciò che concerne Cesare, BREMER (cit., 107) attribuisce ad incertis libris tre testi che HUSCHKE (cit., 102) riconosce de auspiciis. Di Messalla, BREMER (cit., 264 s.) attribuisce ad incertis libris dieci testi che HUSCHKE (cit., 103 ss.) riconosce de auspiciis. Infine, in riferimento a Labeone, BREMER (cit., 260 s.) ritiene incerta l’attribuzione ai libri de iure pontificio fatta da HUSCHKE (cit., 113) del passo in Gell., Noc. Att., 15.27.1-2. Di questi 16 casi, ben 13 sono risolti sulla base della pura interpretazione, non fornendo le fonti alcun indizio per una certa collocazione del testo all’interno di un’opera piuttosto che di un’altra.

 

[22] Numerosi casi in Pittore e Labeone, autori de iure pontificio, ed in Cesare e Messalla, autori de iure augurali. In Pittore, sono evidenti le formule ‘exta porriciunto’, ‘aquam manibus’ e ‘muries fit’; in Labeone le formule ‘sporcum vinum’, ‘prox bona vox’. In Cesare è possibile osservare le formule ‘si sincera pecus erat’ e ‘certaeque res augurantur’; in Messalla ‘bene sponsis’ e ‘serpula serpserit’.

 

[23] Si tratta di un passo di Festo (De verb. signif., 290.9-12, s.v. Remisso - ed. Müller=368.27-30 - ed. Lindsay), nel quale è riprodotta una riflessione di Labeone in materia di augures, che tanto HUSCHKE (cit., 112) quanto BREMER (cit., 78) pongono all’interno dell’opera de iure pontificio del giurista augusteo: [a quo prius se]cures habitae [sunt, eum et in augure legendo priorem] esse ait Antis[tius Labeo] ... [qu]oque lege signi[fic...]... [auspi]cando dicitur, ut.... Il testo festino, pur essendo molto rovinato, evidenzia che l’oggetto del discorso di Labeone concerne gli auguri e la loro attività; del resto, l’intero brano di Festo è dedicato a questo aspetto ed infatti Huschke integra il passo secondo questa prospettiva: [a quo prius se]cures habitae [sunt, eum et in augurem legendo priorem] esse ait Antis[tius Labeo, et in auspiciorum qu]oque lege signi[ficari, cum a maiore iussus in auspi]cando dicitur, ut [ei augur in auspicio sit].

 

[24] L. Giulio Cesare, il console del 64 a.C., è sicuramente augure (J. RÜPKE - A. GLOCK, Fasti sacerdotum: die Mitglieder der Priesterschaften und das sakrale Funktionspersonal römischer, griechischer, orientalischer und judisch-christlicher Kulte in der Stadt Rom von 300 v. Chr. bis 499 n. Chr., 2, Stuttgart 2005, 1061); invece, di L. Giulio Cesare, console nel 90 a.C., non sono pervenute notizie sulla sua appartenenza a collegi sacerdotali. Per ciò che concerne Messalla, Macrobio (Sat. 1.9.14) dice che questi ricopre la carica di augure per 55 anni (v. anche J. RÜPKE - A. GLOCK, Fasti sacerdotum, 2, cit., 1353). Su Pittore non è possibile stabilire nulla di preciso; tuttavia, è interessante osservare che Macrobio (Sat. 3.2.3) indica con il nome di Pittore uno dei libri de iure pontificio scritti da Veranio (su Quintus Fabius Pictor, Flamen Quirinalis nel 190 a.C., v. J. RÜPKE - A. GLOCK, Fasti sacerdotum, 2, cit., 973). Per ciò che concerne Veranio, se si ipotizza l’identificazione con il Q. Veranio più volte citato da Tacito, occorre ricordare che fin dai tempi di Tiberio questi rivestì un sacerdozio, anche se la fonte non chiarisce quale (J. RÜPKE - A. GLOCK, Fasti sacerdotum, 2, cit., 1361, ipotizza l’appartenenza di Q. Veranio al collegio degli auguri, sulla base del fatto che un Q. Veranio, forse figlio del precedente Quinto, è tra gli auguri alla metà del I secolo d.C.); v. Tacito, Ann. 3.19.1.

 

[25] ...post mediam noctem auspicandi causa....

 

[26] Silentio surgere..., ubi qui ... auspicandi causa ex lectulo suo silens surrexit.

 

[27] ... donec se in lectum reposuit.

 

[28] Ateio Capitone, nella sua interpretazione, associa sempre ‘surgere’ e ‘se reponere’ al lectus o al lectulus, intendendo comunque evidenziare che il giaciglio dell’osservatore deve avere caratteristiche specifiche, deve cioè trattarsi di una struttura identificabile con un letto, pur dalle dimensioni variabili. Si vedano, infatti, le voci ‘lectulus’ e ‘lectus’ in Thesaurus linguae Latinae, VII.2, 1094 ss. Veranio, invece, oppone al ‘lectus’ il ‘cubile’, designando con questa parola un qualsivoglia giaciglio e ponendo l’attenzione sulla posizione di partenza dell’osservatore, piuttosto che sulla struttura su cui la posizione è assunta. Mi sembra che il Thesaurus linguae Latinae, IV, s.v. Cubile, 1269 ss., non tenga nella dovuta considerazione l’opposizione dialettica tra Veranio e Capitone, laddove attribuisce alla parola ‘cubile’ usata da Veranio un senso ristretto, e quindi vicino a ‘lectus’, piuttosto che il senso più ampio che il tenore della frase sembrerebbe conferirgli.

 

[29] Occorre notare una contraddizione nelle parole di Veranio. Se dapprima afferma che non è necessario alzarsi ‘ex lecto, sed ex cubili’, poi invece torna a parlare di lectus laddove asserisce che la fine dell’osservazione auspicale non deve obbligatoriamente coincidere con il ‘se in lectum reponere’ dell’augure. La precisione con cui il cubile è distinto dal lectus nella prima parte del pensiero di Veranio, mi fa pensare che nella seconda parte sia intervenuto il commentatore che, nello sforzo di sintesi, non ha fatto altro che porre al negativo l’azione già descritta come necessaria da Capitone: ...donec se in lectum reposuit... Veranius ait... ne+ rursus se in lectum reponere necesse est.

 

[30] Si pensi alla vigenza delle leges Aelia et Fufia nei confronti delle attività dei concilia plebis (mi pare corretta l’ipotesi avanzata in tal senso da F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, II, Napoli 1973, 432). È opinione pressoché concorde della dottrina che le due leggi, approvate alla metà del II secolo a.C., abbiano regolato l’obnuntiatio, cioè «la facoltà di notificare al presidente dell’assemblea l’esistenza di segni celesti sfavorevoli» (F. SERRAO, Classi partiti e legge nella repubblica romana, Pisa 1974, 79 s.).

 

[31] In proposito, si veda il fondamentale lavoro di F. SINI, Documenti sacerdotali di Roma antica, I. Libri e commentarii, Sassari 1983. Si vedano anche i recentissimi contributi di F. SINI, Diritto e documenti sacerdotali romani: verso una palingenesi, e di L. KOFANOV, Verso una palingenesi dei documenti sacerdotali romani, entrambi Comunicazioni presentate nel XXV Seminario Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma” «Diritto e religione da Roma a Costantinopoli a Mosca. Persona. Città. Impero universale» (Campidoglio, 21-23 aprile 2005); pubblicati con lo stesso titolo in Diritto @ Storia. Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione Romana 4 (novembre 2005): = http://www.dirittoestoria.it/4/Tradizione-Romana/Sini-Diritto-documenti-sacerdotali-palingenesi.htm.