N. 6 – 2007 – Tradizione
Romana
Università di Bari
Consensus e utilitas
come elementi di identificazione del popolo di Dio in Agostino*
SOMMARIO: 1. Precisazioni
terminologiche. – 2. Il
pensiero di Agostino. – 3. Populus Dei e communio mistico-giuridica:
un'alternativa inesistente nel quadro di riferimento storico.
L’ampiezza
dell'oggetto della comunicazione a noi affidata ha suggerito di restringere la
lettura del testo ad alcuni aspetti dell’indagine compiuta e con
specifico riferimento al pensiero di Agostino, che segue e reinterpreta in non
pochi brani le costruzioni ciceroniane. Riteniamo opportuna qualche breve
precisazione, di carattere preliminare, intorno all’uso del termine
“populus” in questo grande, sempre attuale Padre della Chiesa,
anche se molti sono i passi in cui si rinvengono le espressioni “populus Christianus” e/o “populus Dei”; in essi
l’Autore viene a manifestare nitidamente l’originale concezione che
la Chiesa ha del popolo di Dio[1],
costituente la stimolante intitolazione della presente sessione dei lavori del
nostro seminario internazionale.
Sotto
il profilo evidenziato è paradigmatico un discorso pronunciato dal Santo
Vescovo in occasione della solennità dei martiri Maccabei, dove, nel
quadro di una ricostruzione “genealogica” del popolo cristiano, si
afferma:
“… Nec quisquam arbitretur,
antequam esset populus Christianus, nullum fuisse populum Deo. Imo vero …
christianus etiam ille tunc populus fuit. Neque enim post passionem suam coepit
habere populum Christus: sed illius populus erat ex Abraham genitus …”[2].
Esisteva
dunque un popolo di Dio prima che vi fosse un popolo cristiano, anzi fin da
principio si può parlare di popolo cristiano; Cristo, infatti, non
cominciò ad avere un popolo dopo la sua passione in quanto era suo il
popolo che discendeva da Abramo.
Il
ricorso, in questo contesto, alle espressioni “populus Christianus” e “populus Dei”, in una significativa distinzione dei figli di
Dio, sottolinea il compimento delle Scritture in ordine alla costruzione
del regno secondo
“… Haec verba indicant duos quodammodo populos:
alterum ad Vetus, alterum ad Novum Testamentum …”[8];
i precetti, infatti,
imposti al popolo del Vecchio Testamento non devono più essere
osservati, ma solo rettamente intesi (interpretati) dal popolo cristiano:
“… quae multa Veteris Testamenti populo illi facienda
mandata sunt, neque a populo cristiano nunc fiunt, sed tantummodo intelligenda
requiruntur …”[9].
Il
popolo cristiano ha per condizione la dignità e la libertà dei
suoi consociati e tra i principi costitutivi pone la carità e la giustizia.
Agostino fa del popolo cristiano il modello di società civile teorizzato
dalla tradizione sacra e profana, fondato sulla vera giustizia. Analizzando
globalmente il pensiero di Cicerone, che individua la res publica, ossia la res
populi, solo quando si governi bene e con giustizia, egli osserva:
«La vera giustizia non si ha se non in quella repubblica,
di cui Cristo è fondatore e sovrano; se anche piaccia definirla
repubblica, giacché non possiamo negare che appartenga al popolo. Se poi
questo nome, che si usa diversamente nei vari luoghi, è forse meno
adatto al nostro modo di parlare, vi è certamente giustizia in quella
città, di cui
Nella
impostazione fondata sulla preminenza della giustizia, in un’operazione
quasi di “cristianizzazione” della visione ciceroniana, Agostino
viene ad assumere tale virtù quale prerogativa del popolo: la dimensione
trascendente nella quale è collocato il principio condiviso di
giustizia, fonte della civile convivenza dei popoli, ne esalta le
caratteristiche di stabilità per la forza di coesione, che viene ad
instaurarsi all’interno della moltitudine intorno ad un’unica
Verità. Nel sistema delineato la giustizia è insita
nell’idea stessa di Dio quale bene assoluto e nella conformità
alle leggi divine come guide sicure nel percorso terreno verso la redenzione
dal male.
«Il Signore, volendo elevare il popolo alla pace suprema
attraverso la grazia del Vangelo, su questo gradino ne edificò un altro,
affinché chi avesse imparato a non vendicarsi in modo sproporzionato al
torto ricevuto potesse assaporare nel suo animo placato la gioia di perdonare
completamente»[11].
Agostino,
come Cicerone[12],
identifica il concetto di giustizia con il precetto dell’amore:
«Allo stesso modo di un solo giusto, così il coetus, il popolo dei giusti vive di
fede, la quale opera mediante l’amore con cui l’uomo ama Dio, come
si deve amare, ed il prossimo come se stesso. Dove dunque non c’è
un simile tipo di giustizia, certamente non vi è l'insieme degli uomini
associati dal consenso del diritto e dalla comunione di
un’utilità. Se così non è, non vi è neanche
il popolo, se è vera questa definizione di popolo. Perciò non vi
è neanche la repubblica: perché non si ha res populi dove non esiste il popolo»[13].
La giustizia diventa, in
realtà, sinonimo di amore e, inevitabilmente, di utilità sociale
nel raggiungimento del fine ultimo.
Dall’interesse
collettivo per la salvezza nascono l’idea e le opere di giustizia. La
solidarietà e il rispetto del fratello alla base della comunità
cristiana implicano, all’interno della struttura visibile del popolo, un
complesso di relazioni concorrenti all’utilità della realizzazione
di un’uniformità anche sotto il profilo “economico”:
il condividere le risorse disponibili esalta l’aspetto sistematico della
ordinazione dei rapporti sociali. Il “senso comune” dei beni materiali
diventa il principio che opera il coordinamento delle azioni all’interno
della comunità. Agostino paragona il popolo cristiano ad una
«società, in cui a nessuno era lecito avere nulla di proprio
essendo tutto in partecipazione comune»[14];
nessuno considerava come proprietà privata i beni di cui disponeva
«ma li poneva tutti in comune»[15];
in altre occasioni il Vescovo definisce Dio nostro
podere o meglio forse (in una traduzione meno letterale, ma più
efficace) possesso pubblico[16].
Agostino riferisce che i giudei, non appena abbracciarono la fede in Cristo,
«vendettero tutto quello che avevano e deposero il ricavato dei campi
alienati ai piedi degli Apostoli per essere utilizzato nelle elargizioni
secondo il bisogno di ciascuno»[17].
Basata sul sentimento positivo della benevolenza, la dottrina agostiniana
consente di evidenziare l’equilibrio armonioso tra i singoli e la Chiesa
come società umana nella generale finalità provvidenziale:
«La conversione di tutte quelle migliaia di persone fu
così radicale che li vediamo vendere i propri beni … migliaia di
persone compiono tale gesto immediatamente»[18].
Sotto
detto profilo, andando anche al di là delle fondamenta ciceroniane, in
questo tipo di società non vi è vero utile per il singolo che non
coincida anche con il bene di tutti; proprio la coincidenza tra il fine (o
utilità) degli individui e il fine (o utilità) della corporazione
istituzionale innalza la comunità cristiana a “popolo”
esemplare alla luce dei parametri della concezione agostiniana. Ricorrendo al
concetto di “utilità comune”, Agostino individua
altresì i soggetti che devono guidare i popoli e in modo particolare
«E’ bene che anche questa vita, man mano che si
conosca, meriti la gloria popolare, ma è ingiusto che la consegua, se
trattiene il suo estimatore nell’ozio quando egli è adatto e
idoneo ad amministrare gli affari della Chiesa e non lo spinge ad occuparsi
dell’utilità comune»[20].
Come
in Cicerone, per il quale l’impegno sociale e politico prevale sulla
ricerca individuale della sapienza[21],
il peso della vita attiva procura, per Agostino, lode alla vita contemplativa,
virtù rappresentate dalle due mogli del Patriarca del popolo di Israele.
L’esigenza della Chiesa è quella di avere dei capi, che come
Giacobbe «sono in grado di generare figli alla fede nella notte di questo
secolo»; tanti sono gli uomini che scelgono di impegnarsi concretamente
per sovvenire alle necessità della Chiesa[22].
Con una descrizione morfologica del regno di Dio, Agostino riconduce i monti e
le colline ad un unico àmbito prospettico: le comuni caratteristiche
della giustizia e della pace rendono armonioso il paesaggio, pur nella dissonanza
delle alture. All’interno del popolo di Dio i monti rappresentano quegli
uomini capaci di istruire gli altri sia con le parole sia con gli esempi;
questi devono vegliare sulla pace con attento zelo per evitare che,
comportandosi superbamente nella ricerca dei loro onori, si abbiano a creare
scismi e si spezzi la compagine dell’unità. I colli invece seguono
i monti con docilità per il conseguimento della medesima
finalità. Ad entrambi sono necessarie la giustizia e la pace[23].
L’appartenenza
del popolo a Dio (felice il popolo, di
cui Dio è il Signore) fa sì che nella comunità dei
credenti ci sia l’autentica giustizia; la città degli empi
(traduciamo dei non credenti), in realtà, per il fatto che Dio non le
ingiunge obbedienza, offerta a lui soltanto di sacrifici, «caret justitiae veritate»[24].
In quest’ ordine, in cui la norma s’informa a giustizia, agire
secondo diritto significa agire secondo giustizia.
Non
è sufficiente l’esistenza della virtù della giustizia per
garantire il rispetto da parte dei consociati. È necessario che il
popolo si dia delle regole e adotti misure disciplinari, onde evitare e
contenere pericolosi danni alla giustizia. L’esigenza
dell’unità giustifica lo sviluppo e l’applicazione di un
diritto penitenziale ispirato dalla carità; il ricorso alla disciplina e
agli strumenti “leciti ed autorizzati” risponde alla
necessità di recuperare il singolo alla collettività e ciò
corrisponde, a sua volta, al dovere di vigilanza del popolo sul comportamento
dei singoli membri:
«In tal modo la disciplina salvaguarda la pazienza e la
pazienza tempera la disciplina; sia l’una sia l’altra sono
finalizzate alla carità per evitare che la pazienza senza la disciplina
favorisca l’iniquità o la disciplina senza la pazienza dissolva
l’unità. … Neppure separiamo dal popolo di Dio coloro che
abbiamo relegato, in seguito a degradazione o a scomunica, al posto più
umile della penitenza»[25].
L’esclusiva
comunanza di un disegno favorisce la formazione di un ius proprium, di un apparato di norme nell’organizzazione di
una formazione sociale, che trova il proprio principio costitutivo e aggregante
nel consenso personale (torna lo iuris consensus ciceroniano). La libera
scelta del singolo di aderire alla corporazione è, in concreto, il vero
ed unico elemento di coesione, che si manifesta anche dopo l’atto d’iniziazione
nella compartecipazione e corresponsabilità delle scelte di ciascun
membro. Nel sistema agostiniano la società cristiana è costruita
idealmente intorno ai saldi pilastri della conversione e della fede da un
gruppo di individui associati dall’adesione ad un comune credo[26].
Solo in virtù della grazia divina e non della consanguineità
terrena si diventa fratelli:
«Quando si dice che la Chiesa è sorella di Cristo
per parte di padre e non di madre, si fa riferimento non alla parentela
derivante dalla nascita terrena, che passerà, ma a quella che deriva
dalla grazia celeste, che rimarrà in eterno. Secondo tale grazia, noi
non saremo più una razza mortale, avendo ricevuto il potere di essere
chiamati figli di Dio e di esserlo realmente»[27].
Il popolo cristiano è
la realizzazione della libertà dalla schiavitù del peccato
secondo il concetto della volontà ricondotta al fine universale della
salvezza. La natura sacramentale dell’incardinazione in Ecclesia rende unico il regno di Cristo
(qui, visibilmente, Agostino si distacca dalla legge ed, ancor più, dal
mondo dei romani): «… noi siamo il popolo di colui che fu chiamato
Gesù proprio per la ragione che salvò il suo popolo dai peccati»[28].
La
comunanza degli interessi legati alla generalità del fine ultraterreno
unisce i membri legati da uno specifico vincolo. A coadunarli è un
rapporto di tipo organico, di natura partecipativa e finalizzato al
perseguimento di un interesse superiore, coinvolgente l’intero gruppo, il
popolo, anche se qui Agostino utilizza i termini “gens” e “gentes”:
«Tutte le genti nell’unico Signore sono una sola
gente e costituiscono l’unità. Come ci sono la Chiesa e le Chiese,
e quelle Chiese sono la Chiesa, così quelle genti sono la gente.
Dapprima c’erano molte genti; ora c’è una gente sola …
Perché una sola è la fede, una sola la speranza, una sola la
carità, una sola l’attesa. Infine, perché non dovrebbe
essere una sola gente, se una sola è la patria? La patria è
celeste, la patria è Gerusalemme. Chiunque non è suo cittadino
non appartiene a questa gente; ma chiunque è suo cittadino appartiene
all’unica gente di Dio. E questa gente si estende da Oriente ad
Occidente, da settentrione fino al mare, nelle quattro parti del mondo
intero»[29].
Tale
concetto di popolo va indubbiamente oltre la definizione filosofica di
Cicerone, ma è opportuno evidenziare le importanti convergenze,
consistenti nella mancanza di rilievo degli elementi etnici e territoriali.
L'universalismo politico romano è certamente differente
dall'universalismo religioso cristiano, ma il popolo resta un insieme di cui i
cittadini sono le parti, che si oppone sia al concetto di “Volk”
sia a quello di “nazione” o di “Staat”, la cui base
è etnica-nazionale o razziale, quantunque possa rivestirsi di una
colorazione religiosa. Contrariamente all'uso di Agostino, tuttavia, nella
lingua latina, che la Chiesa pian piano trasformerà nel c.d. latino
perenne, non è dato assimilare populus ad altre espressioni,
quali natio ed appunto gens[30].
Una domanda potrebbe sorgere, guardando al corpo basilare di
leggi oggi in vigore per la Chiesa latina e le Chiese orientali cattoliche. In
esso è certamente presente e viva la categoria di “popolo di
Dio”, ma qualcuno si è chiesto se questa possa esprimere, da sola,
l’intima natura della Chiesa o se, invece, sia necessario un recupero non
solo ecclesiologico, ma anche ermeneutico e storico, della categoria di
“comunione” nella sua rilevanza teologico-biblica[31].
Per
quanto è possibile ritenere, a nostro convincimento, non si tratta di
riproporre due prospettive fra loro confliggenti nel quadro del rinnovamento
conciliare, quella giuridica di “populus” e quella di comunione.
Fra gli elementi, che contraddistinguono l’immagine genuina della Chiesa,
facendo riferimento al lungo cammino che ne ha caratterizzato l'esistenza nel
corso dei secoli, la Costituzione Sacrae
disciplinae leges, di promulgazione del nuovo codice di diritto canonico
per la Chiesa latina, ha posto in evidenza tanto la dottrina, secondo cui la
Chiesa viene presentata come popolo di Dio (Lumen
Gentium, 2) e l’autorità gerarchica come servizio (ibidem, 3), quanto la dottrina per la
quale la Chiesa viene riguardata quale “comunione” sia a livello
istituzionale, anche interecclesiale, sia a livello individuale dei rapporti
fra i fedeli cristiani o le loro associazioni.
Tale
imprescindibile criterio, che, come abbiamo visto, vale a meglio chiarire lo
stesso concetto di populus Dei,
è immanente alla vita della Chiesa e perciò formalmente idoneo a
distinguere, in maniera inimitabile, il diritto del popolo di Dio e a definire
la Chiesa stessa, comunità spirituale di credenti «quae in gloria
Dei consummabitur»[32].
In questo senso il principio di comunione è illuminante rispetto
a molteplici settori della vita della Chiesa e nella Chiesa[33],
incluso il fine della salus animarum, data l'interpretazione riduttiva e solo escatologica
tuttora dominante nella dottrina canonistica[34].
Come
il concetto di popolo di Dio, anche nella specificazione di popolo cristiano
(magistralmente scolpito da Agostino), così quello di communio offre interessantissimi spunti
al giurista, specialmente agli inizi della vita della Chiesa[35].
Un’approfondita indagine, estesa al periodo pre-costantiniano, potrebbe
anzi fornire molteplici dati circa la prevalenza degli aspetti giuridici su
quelli teologici della communio o,
quanto meno, potrebbe servire a spiegare la compenetrazione, senza confusione,
dei due aspetti[36].
In
conclusione la prospettiva comunionale, se ben intesa dall'angolo visuale
teologico e giuridico, anche e principalmente nell'angolazione della Lumen
Gentium, non si
oppone alle altre, note immagini della Chiesa, Corpo di Cristo, tempio dello
Spirito, popolo di Dio,
«una plebe adunata dall'unità del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo»[37].
Intende, infatti, tale nuova ed antica prospettiva unicamente donare ad esse
«il contenuto e il riferimento teologico sorgivo, singolare e originale,
e permette di comprendere il mistero della Chiesa all'interno della relazione,
essenziale e rivelata, con il mistero di Dio»[38].
*
Relazione presentata nel XXVII Seminario
Internazionale di Studi Storici “Da Roma alla Terza Roma” «Il Popolo nella storia e nel diritto. Da
Roma a Costantinopoli a Mosca» (Roma, Campidoglio, 19-21 aprile
2007); seminario organizzato dall’Unità
di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con
il contributo dell’Università
di Roma “La Sapienza”.
[1] Con
attenzione alle fonti patristiche ed intorno alle diverse espressioni
utilizzate, fra le quali plebs Dei,
che non assume una connotazione negativa nel latino paleo-cristiano,
fra gli altri cfr. M.P. BACCARI, Cittadini popoli e comunione nella
legislazione dei secoli IV-VI, Torino
1996, 179 ss.
[3] «… Ipse enim populus, aliis decedentibus, aliisque nascentibus, idem est
populus. Sacramenta
sunt mutata, non fides. Signa mutata sunt quibus aliquid significabatur, non
res quae significabatur…» (Sermo XIX, in PL 38, 3,
col. 133).
[6] «…
Per illos sanctos patriarchas et
prophetas carnali populo Israel, qui postea etiam Iudaei appellati sunt, et
visibilia beneficia ministrabantur quae carnaliter a Domino desiderabant …»
(De catechizandis rudibus, cap. XIX,
[7] «…
Haec et ad Jacob nepotem Abrahae…,
qui etiam Israel appellatus est, ex quo universus ille populus et propagatus et
nominatus est, ut hujus populi Deus appellaretur Deus Israel: non quod ipse non
sit Deus omnium Gentium, sive nescientium, sive jam scientium: sed quia in isto
populo voluit manifestius apparere virtutem promissorum suorum. Ille enim
populus primo in Aegypto multiplicatus, et de illa servitute per Moysen in
multis signis portentisque liberatus, debellatis plurimis Gentibus terram etiam
promissionis accepit, in qua regnavit per regos suos de tribu Juda
exortos… Ecce nunc fit, ecce nunc gentes ab extremo terrae veniunt ad
Christum ita dicentes, et simulacra frangentes. Et hoc enim magnum est, quod
Deus praestitit Ecclesiae suae ubique diffusae, ut gens Judaea merito debellata
et dispersa per terras, ne a nobis haec composita putarentur, codices
prophetiarum nostrarum ubique portaret…» (De consensu evangelistarum, liber
I, cap. XXV, 39, cap. XXVI,
[10] «…
Vera autem justitia non est, nisi in ea
republica, cujus conditor retorque Christus est; si et ipsam rempublicam placet
dicere, quoniam eam rem populi esse negare non possumus. Si autem
hoc nomen, quod alibi aliterque vulgatum est, ab usu nostrae locutionis est
forte remotius; in ea certe civitate est vera justitia, de qua Scriptura sancta
dicit, Gloriosa dicta sunt de te, civitas Dei …» (De civitate Dei contra paganos, liber
II, cap. XXI,
[11] «Unde Dominus jam per Evangelii gratiam ad
summam pacem populum deducens, huic gradui superaedificavit alterum; ut qui jam
audierat non ampliorem vindictam, quam quisque laesus esset, reddere, placata
mente totum se donare gauderet» (Contra
Adimantum Manichaei discipulum, cap. VIII, in PL 42, col. 139).
[12] «...
natura propensi sumus ad diligendos
homines, quod fundamentum iuris est» (De Legibus 1.43).
[13] «…
ut quemadmodum justus unus, ita coetus
populusque justorum vivat ex fide, quae operatur per dilectionem, qua homo
diligit Deum, sicut diligendus est Deus, et proximum sicut semetipsum: ubi ergo
non est ista justitia, profecto non est coetus
hominum juris consensu et utilitatis communione sociatus. Quod si
non est, utique populus non est, si vera est haec populi definitio. Ergo nec
respublica est: quia res populi non est, ubi ipse populus non est» (De
civitate Dei contra paganos, liber XIX, cap. XXIII,
[14] «…
in ea societate viveret, ubi nemini
licebat dicere aliquid suum, sed essent illis omnia communia …» (Sermo
CCCLVI,
[15] «…
quorum nemo dicebat aliquid proprium, sed
erant illis omnia communia» (Enarratio
in psalmum LXXVIII,
[16] «Fac
nos beatos de te, quia Beatus populus, cujus est Dominus Deus ipsius. Nec irascitur si dixerimus de Deo, Fundus
noster. Legimus enim quoniam Dominus pars haereditatis meae”
» (Sermo CXIII, cap. VI, in PL 38, col. 651).
[17] «…
Iudaei…quando crediderunt in
Christum, attende quid fecerint. Quidquid habuerunt, vendiderunt, et posuerunt
pretia praediorum suorum ante Apostolorum pedes: et distribuebatur unicuique,
prout cuique opus erat …» (Sermo
CCLII, cap. III,
[18] «..Sic autem omnia illa conversa sunt millia
hominum, ut res suas venderent, et pretia rerum suarum ante pedes Apostolorum
ponerent … hoc fecerunt subito tot millia eorum hominum …»
(Enarratio in psalmum XCIV,
[19] «…
eos qui in mediis turbis agendo ac
suadendo populis praesunt, non ut praesint, sed ut prosint: quia dum isti
actuosi et negotiosi homines, per quos multitudinis administratur utilitas, et
quorum auctoritas populis chara est …» (Contra Faustum Manichaeum, liber
XXII, cap. LVI, in PL 42, col. 436).
[20] «Sed quia bonum est ut etiam haec vita latius
innotescens popularem gloriam mereatur, injustum est autem ut eam consequatur ,
si amatorem suum administrandis ecclesiasticis curis aptum et idoneum in otio
detinet, noc gubernationi communis utilitatis impertit …» (ibidem, cap. LVII, col. 436).
[22] «Quis non videat hoc geri toto orbe terrarum,
venire homines ex operibus saeculi et ire in otium cognoscendae et
contemplandae veritatis, tanquam in amplexum Rachel; et excipi de transverso
ecclesiastica necessitate, atque ordinari in laborem, tanquam Lia dicente, Ad
me intrabis? Quibus caste mysterium Dei
dispensantibus, ut in nocte hujus saeculi filios generent fidei …»
(ibidem, cap. LVIII, col. 437).
[23] «Excellenti ergo sanctitate eminentes in
Ecclesia, montes sunt; qui idonei sunt et alios docere, sic loquendo ut
fideliter instruantur, sic vivendo ut salubriter imitentur: colles autem sunt
illorum excellentiam sua obedientia subsequentes. Quare
ergo montes pacem, et colles justitiam? An forte nihil interesset, etiamsi ita
diceretur: Suscipiant montes justitiam populo, et colles pacem? Utrisque enim
justitia, et utrisque pax necessaria est: et fieri potest ut alio nomine pax
appellata sit ipsa justitia; haec est enim vera pax, non qualem injusti inter
se faciunt…Excellentes quippe in Ecclesia, paci debent vigilanti
intentione consulere; ne propter suos honores superbe agendo schismata faciant,
unitatis compage disrupta. Colles autem ita eos imitando et obediendo
subsequantur, ut eis Christum anteponant …» (Enarratio in psalmum LXXI,
[24] «Generaliter quippe civitas impiorum, cui non
imperat Deus obedienti sibi, ut sacrificium non offerat, nisi tantummodo
sibi…, caret justitiae veritate» (De civitate Dei contra paganos, liber XIX, cap. XXIV in PL
41, col. 656).
[25] «
… ita sane ut nec emendationis
vigilantia quiescat, corripiendo, degradando, excommunicando, caeterisque
coercitionibus licitis atque concessis, quae salva unitatis pace in Ecclesia
quotidie fiunt secundum praeceptum apostolicum charitate servata…Sic enim
et disciplina servat patientiam, et patientia temperat disciplinam; et utrumque
refertur ad charitatem, ne forte aut indisciplinata patientia foveat
iniquitatem, aut impatiens disciplina dissipet unitatem… Neque … a
populo Dei separamus, quos vel degradando vel excommunicando ad humiliorem
poenitendi locum redigimus» (Ad
Donatistas post collationem, capp. IV, 6, XX,
[26] Si
entra a far parte di questo popolo non per legami di sangue ma per comunione di
fede: «… nos promerendo Deum,
de genere Abrahae facti sumus, non pertinentes ad carnem, sed pertinentes ad
fidem. Imitati enim fidem, filii facti sumus: illi autem degenerando a fide,
exhaeredari meruerunt …» (Enarratio
in psalmum LXXXIV,
[27] «Cum autem dicitur de patre esse sororem
Christi Ecclesiam, non de matre, non terrenae generationis quae evacuabitur,
sed gratiae coelestis quae in aeternum manebit, cognatio commendatur. Secundum
quam gratiam genus mortale non erimus, accepta protestate ut filii Dei vocemur
et simus …» (Contra
Faustum Manichaeum, Liber XXII, cit., capp. XXXIX, col. 425).
[28] Il
battesimo contraddistingue il popolo cristiano. Così Agostino: «…
populus ejus sumus, qui propterea est
appellatus Jesus, quia salvum facit populum suum a peccatis eorum …»
(Operis imperfecti contra Julianum, liber
II, cap. II, in PL 45, col.
1143).
[29] «…
omnes gentes in uno una; ipsa est unitas.
Quomodo enim Ecclesia et Ecclesiae, illae Ecclesiae quae Ecclesia; sic illa
gens quae gentes: antea gentes, multae gentes; modo una gens. Quare una gens? Quia
una fides, quia una spes, quia una charitas, quia una exspectatio. Postremo
quare non una gens, si una patria? Patria coelestis est, patria Jerusalem est:
qui quis inde civis non est, ad istam gentem non pertinet; quisquis autem inde
civis est, in una gente Dei est. Et haec gens ab oriente in occidentem, ab
aquilone et mari distenditur per quatuor partes totius orbis …» (Enarratio in psalmum LXXXV,
[31] Cfr.
G. CALABRESE, Quaestiones disputatae: Chiesa come “popolo di Dio” o Chiesa come
“comunione”? Ermeneutica e recezione della Lumen Gentium, in Rassegna di teologia (46) 2005, 695-717.
[33] Cfr.
R. BACCARI, La comunione ecclesiale, sintesi di accentramento e
decentramento, in Scritti
minori di Renato Baccari, a
cura di R. COPPOLA, Bari, I, 1997, 105-114.
[34] Cfr.
le anticipazioni di A. ROUCO VARELA - E. CORECCO, Sacramento e diritto:
antinomia nella Chiesa? Riflessioni per una teologia del diritto canonico, Milano 1971, 59.
[35] Cfr. i
magisteriali approfondimenti sul pensiero di Sant'Agostino circa la Chiesa,
tornati alla ribalta dopo la visita pastorale di Benedetto XVI a Pavia, presso
il sepolcro del Doctor gratie (21-22 aprile 2007, all'indomani della
sessione dei lavori del nostro seminario dedicata al populus Dei),
davanti alla penna di J. RATZINGER, Popolo e casa di Dio in Sant'Agostino, Milano 2005. Cfr.
altresì, per uno sguardo d'insieme sui problemi di fondo
dell'ecclesiologia, ID, Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1992.
[36] Cfr.
R. COPPOLA, La non esigibilità nel
diritto penale canonico. Dottrine generali e tecniche interpretative, Bari
1992, passim. Per i concetti di communio, mistica e societaria, cfr.
G. D'ERCOLE, Communio – Collegialità - Primato e sollicitudo
omnium ecclesiarum, Roma
1964, 59-66; ID., L'essenza del Vangelo nel tempo. Il fine individuale nella
costituzione dell'”esse
christianum” e il fine sociale della Chiesa, Roma
1969, 135 ss.; Acta conventus internationalis de historia sollicitudinis
omnium Ecclesiarum. “Comunione interecclesiale - Collegialità -
Primato - Ecumenismo, Roma 1972. Dopo la recezione codiciale della dottrina
della communio cfr., in particolare, G. SARACENI, Riflessioni
preliminari a una costituzione giuridica della Chiesa in quanto comunione, in AA.VV., Scienza
giuridica e diritto canonico, a
cura di R. BERTOLINO, Torino 1991, 189 ss. Sull'utilizzazione del termine communio
nella Bibbia, specialmente nel Nuovo Testamento, cfr. R. COPPOLA, La non
esigibilità cit.,
180 s.
[37] «... de unitate Patris, et Filii, et Spiritus sancti, plebs adunata»
(CYPRIANUS, De oratione Dominica, cap. XXIII,
in PL 4, col. 553).