Chavez,
il presidente nel suo labirinto
Università di Napoli Suor Orsola Benincasa
Piaccia
oppure no, se c’è un Paese che oggi si presenta come un vero e
proprio “laboratorio costituzionale” questo è il Venezuela.
Dal 6 dicembre 1998, giorno in cui Hugo Chavez viene eletto dal popolo
presidente della Repubblica, è stato un susseguirsi di atti e fatti
costituzionali. A cominciare dall’elezione di un’Assemblea
costituente, voluta per il tramite di un referendum
dall’esito plebiscitario, la cui prima iniziativa fu quella di proclamare
lo “stato di emergenza nazionale”, e quindi sciogliere il
Parlamento e
Va
ricordato, che la dottrina politica di Bolìvar pone al centro del suo
progetto di cambiamento l’impegno sociale in favore del popolo
latinoamericano, con l’intenzione di attuare una vera e propria
rivoluzione sociale attraverso la costruzione di un percorso di crescita
economica che realizzi una distribuzione più equa delle risorse. Il
costituzionalismo bolivariano, tra l’altro, propone il superamento della
teoria tradizionale della tripartizione del potere aggiungendo ai poteri
classici il potere morale
e il potere elettorale: così la nuova Costituzione venezuelana
introduce – oltre al potere legislativo, esecutivo e giudiziario –
il potere cittadino (poder ciudadano) e quello elettorale (poder
electoral). L’obiettivo è quello di volere innescare un
meccanismo di partecipazione costituzionale, che metta in condizione il popolo
di venire coinvolto nelle scelte e nelle decisioni politiche e istituzionali.
“Una democrazia decentrata e partecipata. Un popolo padrone del proprio
destino”, per dirla con lo slogan di Hugo Chavez.
Uno dei provvedimenti che vengono subito varati, che incidono se
non altro a livello di costituzione materiale per così dire, è
quello che dispone la nazionalizzazione del petrolio e della maggiore compagnia
petrolifera, la PDVSA: questo intervento comporta subito rilevanti conseguenze
nell’assetto economico venezuelano e nei rapporti con le potenze
straniere, specialmente gli Stati Uniti d’America.
Tutto si tiene: la nuova Costituzione nasce “rumbo al socialismo”, cioè
verso il socialismo del XXI secolo, secondo un progetto di rivoluzione
bolivariana socialista fortemente perseguito da Chavez: fin da quando
tentò, fallendolo, un colpo di stato nel 1992, che gli costò la
prigione, da cui uscì nel 1994 grazie all’indulto.
Corsi e ricorsi storici: nel 2002, Chavez è vittima di un
colpo di stato da parte dei militari, che dura però l’espace du matin. Intanto, il malumore
cresce e si gonfia: seguono numerosi scioperi generali contro la politica
economica di Chavez, che lo mettono in difficoltà. Non appena
però la situazione si stabilizza, il governo provvede al licenziamento
di molti degli impiegati della maggiore azienda petrolifera, che avevano
aderito allo sciopero, ed emette decreti che dispongono il controllo
legislativo del valore di cambio della moneta, e conferiscono al Banco
Central de Venezuela il potere di attuare un controllo diretto sui
tassi di interesse tramite la fissazione di tasso massimo che le banche devono
obbligatoriamente applicare.
Continuano, intanto, a susseguirsi atti
e fatti costituzionali. Alla fine del 2003 viene presentata una richiesta di recall
presidenziale. L’art. 233 della Costituzione dispone che, nel caso in cui
il Presidente venga revocato prima della scadenza dei primi quattro anni di
mandato, si debba provvedere alla convocazione di nuove elezioni presidenziali
nell’arco di 30 giorni. Perché il referendum abbia esito
positivo è necessario che 3,8 milioni di persone votino a favore della
revoca presidenziale, sempre che venga raggiunto il quorum di
partecipazione del 25% dei votanti iscritti ai registri elettorali. Dopo numerose difficoltà burocratiche
e non solo, dovute soprattutto all’incerto computo delle firme per la
richiesta del recall, il 15 agosto
2004 si svolge il referendum
revocativo.
Il quorum del 25% è abbondantemente superato, e a favore della
riconferma di Chavez vengono espressi circa cinque milioni di suffragi, pari al
58% dei votanti. Una grande vittoria per Chavez, che lo rafforza notevolmente.
Il suo
successo trova conferma nelle elezioni presidenziali del dicembre del 2006, che
vedono la conferma di Chavez, per altri sei anni, con uno scarto di
ventitré punti di percentuale sul suo avversario. Nel discorso di
insediamento Chavez dedica la vittoria a Fidel Castro e al popolo cubano, attacca “el diablo” Gorge W. Bush, e annuncia che il Venezuela non
sarà mai “una colonia nordamericana”, e che “ora
comincia la costruzione di una società nuova, socialista, cristiana e
bolivariana”. Per dare forma e sostanza a questo programma, come prima
cosa viene negato il rinnovo della concessione di trasmissione al
network televisivo privato Radio Caracas
Television (Rctv) – la seconda rete radiotelevisiva venezuelana
– accusata di essere palesemente schierata contro il governo, di avere
appoggiato attivamente il golpe del 2001 e di trasmettere programmi
“immorali”. Le frequenze di RCTV vengono sostituite da una tv filo-governativa.
Si tratta di un duro colpo alla libertà di manifestazione del pensiero.
Da qui
in avanti è un crescendo di iniziative, che non mancano certo di
fantasia e creatività, tutte nel segno della rivoluzione socialista.
Primo obiettivo, il tempo: ed ecco che viene deciso che, a partire dal 2008, le
lancette dell’orologio del Venezuela verranno spostate di mezz’ora,
e il suo fuso diventerà così di tre ore e mezza antecedente a
quello di Greenwhich. Motivo? La giornata dei venezuelani così
sarà più lunga, e in tal modo il popolo avrà più
tempo per contribuire al progresso del Paese. Ancora: viene ordinato di non
esporre babbi natali né addobbi natalizi, perché sono contrari
alla tradizione venezuelana. E poi: viene presentato un progetto di legge,
ispirato da Chavez, in cui si proibisce la registrazione “di nomi che
espongano al ridicolo, stravaganti o di difficile pronuncia”, e pertanto
viene previsto un elenco di 100 nomi consigliati da dare ai bambini. Inoltre,
cambia la bandiera del Venezuela spostando il cavallo da destra a sinistra,
perché così non è più “un cavallo infiltrato
dalla destra, dall’oligarchia”. Infine, vengono esportate
scatolette di tonno in Perù con impresso il faccione sorridente di
Chavez insieme a quello del leader
dell’opposizione peruviana, con la scritta “contro saccheggio,
disperazione e caos, solidarietà coi nostri compagni”.
Non
è finita. E qui viene il bello, si fa per dire. Viene annunciata la
presentazione di una nuova modifica costituzionale che abolisce il limite ai
mandati presidenziali (oggi sono ammessi solo due mandati). Si potrebbe
così venire a delineare la figura del “Presidente continuo”,
pericolosa bizzarria per una democrazia. Si propone, poi, una riforma della
Costituzione volta a favorire la “proprietà collettiva o sociale gestita”,
ponendo anche fine al ruolo dello Stato per la promozione dell’iniziativa
privata. Ovvero la fine del capitalismo e dell’economia di mercato. Si
vorrebbe poi cambiare il nome di Caracas in quello, certamente suadente, di «Culla
di Bolìvar»; e si lavora, con convinzione e pervicacia, alla
nascita di un partito unico socialista.
Va
anche detto che, durante la presidenza Chavez, si registra una significativa
diminuzione del tasso di povertà, che è passato dal 42,8% del
1999 al 33,9% del 2006; e così pure una sensibile decrescita della
disoccupazione. Certo, l’economia venezuelana è nel pieno di una
fase espansiva, alimentata dall’aumento dei prezzi internazionali del
petrolio, che nell’ultimo quinquennio sono quintuplicati. Nonostante
ciò il Venezuela ha accumulato un deficit
fiscale che ha raggiunto il 2,3% nel 2006: perciò un calo dei prezzi del
greggio, potrebbe far emergere difficili problemi.
Torniamo alle questioni costituzionali. Sarebbe
quantomeno ingeneroso dare un giudizio tranchant
su Chavez e il suo laboratorio costituzionale, come si sarebbe tentati di fare,
stando seduti comodamente davanti al nostro computer;
certe realtà – in particolare quelle latinoamericane - vanno
conosciute direttamente e, soprattutto, vissute per potere esprimere su di esse
valutazioni e svolgere delle comparazioni. A meno di non volere fare del
giornalismo, sia pure raffinato, come quello dell’editorialista del Corriere della sera che a metà
agosto poteva scrivere di Chavez e del chavismo come di «un dispotismo
solare, caldo, esotico. Un nuovo castrismo che incatena il Venezuela ma che
elettrizza i cuori dei sempre inappagati turisti della rivoluzione
mondiale». L’immagine che a noi piace utilizzare, e che può
descrivere al meglio la situazione di Chavez, riteniamo possa essere quella
ispirata proprio al suo eroe prediletto, Simon Bolìvar, quale reso
immortale nelle pagine del romanzo di “Gabo” Màrquez: il presidente nel suo labirinto.