Cap. VI della monografia: Loredana
Mura, Gli
accordi delle regioni con soggetti esteri e il diritto internazionale,
Torino, G. Giappichelli Editore, 2007, pp. XIV-640. Indice
Sommario
Università
di Brescia
I modelli e le tecniche di
accordo utilizzati dalle Regioni alla luce delle indicazioni della prassi
Sommario: 1. I
modelli e le tecniche di accordo utilizzati dalle Regioni alla luce delle
indicazioni della prassi. – 2. Gli
accordi-quadro. – 3. I pacta de negotiando
e i pacta de contrahendo. – 4. Gli accordi di esecuzione.
– 5. Gli altri modelli
negoziali.
I requisiti e i limiti formali e sostanziali (anche ulteriori rispetto a quelli accennati nel capitolo precedente) cui risulta essere sottoposta l’autonomia di concludere accordi delle Regioni, nel loro insieme possono, talora, dare vita ad un modello o tipo o schema o tecnica negoziale; quest’ultima definizione risulta preferita nel caso in cui la particolarità dei detti requisiti riguardi, in misura prevalente, la formulazione delle norme di un accordo[1]. Talché, si ritiene che gli accordi realizzati conformemente a questi modelli (che si contraddistinguono per la “tipicità” e la “predeterminazione” dei loro aspetti formali e sostanziali) siano idonei a produrre determinati “effetti”.
Al riguardo occorre precisare, che nel diritto internazionale – a differenza che nel diritto interno[2] – la piena applicazione del principio della libertà degli Stati di concludere accordi[3] si esprime anche nei termini di scelta ed elaborazione dell’insieme dei requisiti, di forma e di sostanza, che essi ritengono maggiormente vicini a soddisfare le proprie esigenze di cooperazione, purché complessivamente idonei a rendere manifesta la propria volontà e a realizzare scopi leciti e meritevoli di tutela da parte di tale ordinamento. Quest’ultimo, quindi, non impone ai suoi soggetti l’osservanza di particolari modelli di accordo per il conseguimento di determinati effetti. Ciò, del resto, appare del tutto consono alla struttura di un ordinamento, qual è quello internazionale, che si contraddistingue come comunità inter pares, superiorem non recognoscentes e che basa la sua produzione normativa sulla regola del consenso da parte dei soggetti destinatari della stessa. L’unica eccezione a questa regola strutturale dell’ordinamento internazionale è pertanto ammessa, in applicazione del principio pacta sunt servanda, nel caso in cui gli Stati si siano obbligati all’osservanza di determinati requisiti e limiti che, potendo arrivare ad incidere anche in misura rilevante sulla propria libertà di scelta circa la forma e il contenuto da dare ai propri accordi, sono suscettibili di configurare dei veri e propri modelli negoziali.
Proprio il moltiplicarsi di queste eccezioni[4] ha dato adito alla convinzione che la prassi di cooperazione fra gli Stati – sia quella consistente in una fedele e sistematica riproduzione di intere parti del testo di accordi precedenti, ma anche quella caratterizzata da una ripetizione semplice e spontanea (sganciata, dunque, da qualsiasi condizionamento giuridico) di talune procedure, formule e tecniche di manifestazione della volontà consensuale – fosse sottoposta ad una disciplina analoga a quella che contraddistingue l’attività contrattuale dei privati negli ordinamenti statali, con la conseguenza di ritenerla tutta, indistintamente, produttiva di “effetti internazionali” per il solo fatto di essersi concretata in accordi conclusi secondo modalità e con contenuti, per così dire, “tipici” in quanto, appunto, ricorrenti nella pratica internazionale[5]. E’ noto, ad esempio, che il ricorso alla tecnica dell’accordo-quadro[6] nella prassi degli accordi fra Stati ha indotto taluno[7] ad attribuire agli accordi così conclusi valore di «diritto internazionale», anche indipendentemente dal fatto che essi fossero effettivamente espressione di una volontà statale diretta a vincolarsi giuridicamente nei rapporti con le controparti estere.
Per altro verso, il progressivo sviluppo del diritto internazionale uniforme con l’introduzione di nuovi tipi contrattuali ha posto il problema[8] di stabilire la natura degli accordi conclusi sulla scorta di quei modelli e, in primis, il carattere facoltativo o vincolante dell’obbligo di riprodurre, nella pratica, quei modelli al fine di realizzare gli “effetti” ad essi ricollegati. Vengono in ipotesi, al riguardo, i modelli introdotti dalla citata Convenzione di Madrid del 1980 sulla cooperazione transfrontaliera.
Infine,
l’osservanza di determinati modelli
negoziali può essere imposta da una legge statale che, in tal senso,
viene a condizionare lo svolgimento dell’attività istituzionale
degli enti pubblici rendendo a volte, come si è visto, alquanto
difficile stabilire la portata di un siffatto condizionamento sulla
libertà di concertazione e, anche, sull’autonomia privata e
pubblica dei medesimi enti. Un esempio recente in tal senso è
rappresentato dalla citata legge n. 131 del 2003 che, nel disciplinare i casi e le forme degli «accordi» che le Regioni sono abilitate a
concludere «con altri Stati», ha stabilito (art. 6, 3° co.) che
questi possono assumere le caratteristiche degli: «accordi esecutivi ed applicativi di accordi
internazionali regolarmente entrati in vigore» oppure quelle degli
«accordi di natura programmatica finalizzati a favorire il loro
sviluppo economico, sociale e culturale»[9].
Si avrà modo di soffermarsi con
attenzione su queste due specifiche categorie di accordi allorché si
procederà allo studio delle figure dell’“accordo di
esecuzione”[10]
e
dell’“accordo-quadro”[11] delle quali, rispettivamente, i detti
accordi sembrano ricalcare le caratteristiche tecniche più salienti.
Limitandoci, in questa sede, a rintracciare le caratteristiche di veri e propri
“modelli” negli accordi
in questione, alla luce del regime stabilito dalla legge n. 131 del 2003, va
detto che questa non si è limitata a determinare, sulla scorta del
mandato costituzionale, le controparti
regionali (gli accordi in parola possono, infatti, essere stipulati solo
con «altri Stati»), l’oggetto
(deve trattarsi di accordi conclusi «nelle materie di […]
competenza legislativa» delle Regioni) e la forma che i detti accordi devono assumere (in virtù delle
loro caratteristiche tecniche e materiali, essi si prestano ad essere conclusi
in forma semplificata), bensì anche il contenuto (si tratta, infatti, di accordi che le cui norme debbono
rispettare i limiti derivanti dagli accordi ad essi precedenti e/o dalle
istruzioni del Governo centrale) e, perfino, il valore giuridico degli
effetti che essi producono dato che la loro efficacia
internazionale appare
legislativamente subordinata alla delega dei «pieni poteri di
firma» da parte del Governo centrale[12]. Cosicché, in caso di mancata
concessione dei «pieni poteri di firma», sarebbe legittimo
chiedersi se e in quali termini (al di là del diverso livello istituzionale
che, formalmente, contraddistingue le controparti regionali) i tipi di «accordo» che le
Regioni possono concludere con altri Stati ai sensi del 3° comma
dell’art. 6, legge n. 131 del 2003 possano essere considerati differenti
dalle «intese dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e
culturale» che le Regioni sono abilitate a concludere con enti
territoriali interni ad altri Stati a sensi del 2° comma del medesimo
articolo[13].
Si rende in tal senso evidente che attraverso la regolamentazione del potere estero regionale, nel senso della
determinazione dei casi e delle forme attinenti al suo esercizio (spinta
fino all’imposizione di veri e propri modelli
alla cooperazione estera regionale) si sia tentato di rimettere in discussione
l’attribuzione stessa di tale potere che la riforma costituzionale aveva
stabilito a favore delle Regioni.
Non potendo disporre, al momento attuale, di una prassi di cooperazione regionale con l’estero applicativa della legge ora menzionata nel prosieguo dell’indagine, giocoforza, ci si limiterà a prendere in esame i modelli che, di fatto, caratterizzano la pratica di cooperazione regionale ad oggi esistente. Conviene precisare, al riguardo, che l’attenzione sarà focalizzata non solo sulle caratteristiche salienti o “tipiche” di questi modelli, che li rendono così diffusi nella pratica, ma anche ad accertare la natura degli effetti che “in conseguenza” degli stessi sembrerebbero derivare. Poiché, inoltre, fin dal suo primo manifestarsi la pratica di cooperazione delle Regioni è apparsa ampiamente ispirata alla parallela attività di cooperazione degli Stati – al punto da mutuarne progressivamente lo stile, il contenuto e ogni altro carattere che il tempo e l’esperienza avevano reso utili e funzionali – sarà opportuno far precedere l’analisi di ogni singolo modello da un sintetico richiamo ai commenti della dottrina sull’uso dello stesso nei rapporti fra gli Stati, verificando se, e in quale misura, sia dato coglierne corrispondenze o diversità.
La figura dell’accordo-quadro (nota anche come accordo-cornice o accordo-programma o framework agreement) merita una particolare attenzione nell’ambito di questo studio. Appartengono, infatti, a questa categoria una fitta serie di accordi conclusi a livello regionale. Circa la natura giuridica di questi accordi conclusi attraverso l’utilizzo di questa specifica tecnica negoziale, essa varia da caso a caso, anche se assai raramente (come si avrà modo di dimostrare) si tratta di “accordi” nel senso del diritto internazionale.
Le motivazioni che inducono le Regioni ad orientarsi verso la scelta di questa particolare figura di accordo coincidono, per molti versi, con quelle che hanno portato gli Stati[14] ad avvalersi di essa per esprimere il proprio consenso ad obbligarsi. Sommariamente, esse vanno ricercate nell’attitudine di questo tipo di accordo a soddisfare le diverse esigenze di coinvolgimento delle parti, in particolare, attraverso una modulazione dell’intensità dei vincoli di cooperazione e il differimento del momento relativo alla determinazione e all’assunzione di veri e propri obblighi (quelli previsti dall’accordo definitivo).
Avuto riguardo alle materie, agli interessi e agli obiettivi di volta in volta presi in considerazione, dunque, la tecnica dell’accordo-quadro favorisce sicuramente la disponibilità a cooperare da parte delle diplomazie statali, ma soprattutto evita loro di assumere obblighi rigidamente definiti o immediatamente vincolanti ed efficaci[15].
Questa,
più di ogni altra, sembra essere la ragione che ha indotto il
legislatore nazionale, con la legge n. 131 del
Nel riprendere la descrizione delle attitudini e proprietà tecniche che il modello dell’accordo-quadro può assumere nella pratica, va aggiunto che non essendo suscettibile di produrre effetti immediati ovvero concreti ed direttamente applicabili, l’accordo-quadro spesso dà vita a regole strumentali, istitutive di procedimenti, organi o ulteriori fonti di produzione normativa diretti ad integrare o a specificare gli obblighi in esso contenuti e a dargli, quindi, effettiva attuazione[18]. Proprio per questa particolare soluzione che esso offre, oltre che per la sua versatilità nella formulazione delle norme negoziali, l’accordo-quadro si configura come lo strumento principe per realizzare l’ipotesi di “trasferimento del potere estero” tramite il diritto internazionale, a suo tempo prefigurata, a favore di organi, quali quelli decentrati, che normalmente non esercitano tale potere, al fine di coinvolgerli in una fase secondaria della produzione giuridica internazionale. In tal senso, con la conclusione di accordi-quadro gli Stati possono concordare l’attribuzione (in termini di delega) di poteri ad hoc e, in particolare, del potere di concludere accordi internazionali così da consentire che la precisazione e l’effettiva esecuzione degli obblighi in esso previsti possano realizzarsi sul piano giuridico internazionale, secondo regole e criteri preventivamente stabiliti.
Si riscontra, a volte, l’uso dell’espressione di accordo di copertura (o di umbrella agreement o ad hoc covering agreement )[19] come sinonimo di accordo-quadro per attribuire ad esso la funzione di abilitare altri soggetti alla conclusione di accordi c.d. esecutivi o definitivi, in quanto attuativi degli obblighi in esso fissati e gerarchicamente ad esso subordinati. Occorre, tuttavia, fare attenzione nell’uso di questi concetti onde evitare indebite forme di generalizzazione. Nel diritto internazionale, infatti, con la definizione di accordo-quadro, nella funzione ora vista, si intende fare riferimento ad una specifica figura di accordo preliminare[20] con la quale gli Stati dettano preventivamente le condizioni che devono caratterizzare la conclusione dei loro accordi successivi: una funzione questa che, come sopra accennato, può essere assolta anche da soggetti diversi da quelli che hanno proceduto alla stipula dell’accordo di base e che, a tal fine, verranno muniti dei necessari poteri. L’accordo di copertura, invece, non è tecnicamente un accordo preliminare, non tanto perché la sua funzione di “copertura” (o di legittimazione o di autorizzazione) possa intervenire anche successivamente alla stipula di un accordo da parte dei soggetti che mira ad “abilitare”, quanto perché le condizioni “di fondo” che esso stabilisce in relazione alla competenza a concludere “accordi successivi”, non sono di per sé predisposte ad assicurare una continuità giuridica, un collegamento di tipo gerarchico, fra le norme che esso introduce e quelle degli accordi che esso autorizza a concludere[21]. In sostanza, esso non è strumentalmente finalizzato a qualificare (rivestendo, appunto, una funzione “preliminare”) l’accordo destinato a dare ad esso esecuzione, come forma di integrazione o specificazione della medesima volontà normativa di cui esso stesso è espressione. Non ogni accordo di copertura costituisce, pertanto, per il diritto internazionale, un accordo-quadro nel senso anzidetto, con la conseguenza che esso autorizzi alla stipulazione di accordi internazionali “supplementari e definitivi” (c.d. “di esecuzione”), ad esso funzionalmente collegati in quanto derivazioni della medesima manifestazione di volontà oltre che della medesima funzione giuridica[22].
Quella da ultimo segnalata, peraltro, costituisce un’ipotesi di “attribuzione del potere estero” che (seppur variamente prospettata dalla dottrina[23], tuttavia non è stata mai attuata a favore delle Regioni (meno che mai di quelle italiane) e, pertanto, come si è già avuto modo di accennare, non si registrano casi di accordi-quadro conclusi dagli Stati che contengano una “delega a stipulare” a favore di questi enti.
Esistono,
è vero, nell’ambito della prassi straniera alcuni rari esempi di
accordo-quadro di livello interstatale che hanno ricevuto attuazione attraverso
il “coinvolgimento” degli organi decentrati dello Stato; ad un
attento esame della prassi emerge, tuttavia, che questo risultato non sia stato
affatto realizzato tramite l’istituto della delega. Fra questi rari esempi di accordo-quadro
interstatale figurano: l’«Accord
entre le Gouvernement de
Un altro
esempio di questo genere di accordo-quadro è rappresentato dalla
Convenzione di Madrid del
Se si passa poi, agli accordi-quadro che, a loro volta, le Regioni concludono con soggetti esteri, va osservato che, data la difficoltà per questi enti di acquisire il “potere di concludere accordi internazionali” (indicativo è il caso italiano), è chiaro che difficilmente tali accordi avranno valore internazionale; la loro attuazione, inoltre, non potrà che realizzarsi sul piano dei rapporti regolati dall’ordinamento statale o di quello dei rapporti personali fra le parti.
Risulta in tal caso compromessa la possibilità che l’accordo-quadro di livello regionale svolga la “funzione” di “atto preliminare” o “di delega” che, come si è visto, può caratterizzare la prassi degli accordi-quadro di livello statale: risulta evidente, infatti, che, se non sono titolari di una competenza estera, non è nemmeno pensabile – come recita l’antico brocardo secondo cui nemo transferre potest quod ipse non habet – che le Regioni, tramite questo tipo di accordi, possano trasferirne ad altri l’esercizio[25].
D’altro canto, non bisogna dimenticare che vi sono accordi-quadro di valore internazionale, conclusi fra gli stessi Stati, che pur presentando i caratteri tipici dell’incompletezza e dell’indeterminatezza non dispongono affatto la loro esecuzione sul piano internazionale: in tal caso essi si limiteranno ad assumere una funzione di “copertura”, nei limiti della loro portata materiale, nei confronti di quegli accordi successivi che si propongano di dare ad essi applicazione. Ciò non significa – è bene precisarlo – che a questo tipo di accordi-quadro sia preclusa la possibilità di svolgere una funzione “preliminare”, ma solo che una tale possibilità sia meramente “eventuale” (anziché, come di solito accade, “programmata”), essendo subordinata alla condizione che tutti gli Stati che tali accordi hanno sottoscritto convengano sulla necessità di dare ad essi attuazione sul piano internazionale (direttamente o tramite altri soggetti appositamente delegati); salvo poi, che gli stessi Stati non decidano di derogare o estinguere gli accordi-quadro di cui si tratta, con la conseguenza che gli accordi internazionali a questi successivi seguiranno il principio della successione degli accordi internazionali nel tempo, anziché quello della derivazione e subordinazione gerarchica innanzi richiamato.
Fatte queste opportune premesse, va detto che il modello di accordo-quadro più utilizzato dalle istituzioni regionali presenta un carattere “scarsamente impegnativo”, “promozionale” delle potenzialità del territorio delle parti e le attività in esso “programmate” sono, generalmente, quelle “di governo” disciplinate dallo statuto degli enti pubblici contraenti: in tal senso, gli accordi conclusi sulla base di questo modello mirano a facilitare i contatti e le comunicazioni fra le realtà sociali, culturali, economiche e produttive interessate, nonché a incentivare e a favorire lo svolgimento di quel tipo di attività conformi alla politica di sviluppo che in tali accordi risulta concordata.
Nel passare ad esaminare i casi di accordi delle Regioni conclusi secondo la tecnica dell’accordo-quadro, conviene osservare che proprio le particolari doti di versatilità e flessibilità della tecnica in esame, tali da rendere possibile il soddisfacimento delle più svariate esigenze di manifestazione di volontà delle parti, pongono il problema di distinguere una vasta gamma di combinazioni e implicazioni pratiche cui gli accordi-quadro possono dare origine, a seconda delle particolarità attinenti alla loro sfera soggettiva, al tipo di clausole presenti, al loro tenore normativo, nonché agli strumenti e alle modalità prescelti per la loro attuazione. Pertanto, una volta richiamata l’attenzione sulla loro natura giuridica, si avrà cura di distinguere gli accordi-quadro delle Regioni a seconda che essi prevedano: a) gli ulteriori atti normativi e le altre attività che le parti originarie dell’accordo sono chiamate a svolgere (può trattarsi, ad esempio, di leggi o provvedimenti interni da adottarsi per iniziativa degli organi competenti; oppure di attività bi- o multi-laterali, fra cui quelle di riunione fra le parti originarie o quelle finalizzate alla conclusione di contratti) ai fini dell’attuazione dell’accordo di base; b) la designazione dei soggetti locali (generalmente diversi da quelli che hanno concluso l’accordo e che operano nei settori da questo presi in oggetto: es. operatori economici locali) chiamati a definire e realizzare le iniziative e i progetti indicati nell’accordo principale; c) l’istituzione ex novo di organi comuni incaricati di promuovere, predisporre e coordinare gli strumenti diretti a dare concreta attuazione agli standard di cooperazione concordati dagli originari contraenti; d) gli strumenti di verifica dei risultati delle attività di attuazione. A queste categorie di accordi-quadro delle Regioni ne va aggiunta una ulteriore (decisamente più ampia) che si caratterizza: e) per la previsione di forme e mezzi di attuazione diversi da quelli fin qui elencati o per l’assenza di indicazioni circa la sua esecuzione. Si avverte, peraltro, che in un gran numero di casi le ipotesi fin qui prospettate possono trovarsi variamente combinate fra loro nell’ambito di un medesimo accordo.
a) Accordi-quadro
da attuarsi mediante l’adozione di atti normativi e lo svolgimento di
ulteriori attività da parte dei contraenti originari.
In quest’ambito, va innanzitutto menzionato
un accordo internazionale: la «Convention
portant nouvelle réglementation de la pêche dans les eaux
frontalières relevant de leur souveraineté entre le
Grand-Duché de Luxembourg d’une part et les Länder de
Rhénanie-Palatinat et de
Il gruppo
più numeroso di accordi-quadro del tipo qui considerato si registra,
senza dubbio, fra le intese concluse dalle Regioni: fra queste,
innanzitutto, quelle che prevedono di dare attuazione ai propositi di
collaborazione concordati attraverso la definizione di programmi, piani
operativi, ecc. oppure ad attività di tipo bilaterale quali iniziative
congiunte, scambi, incontri, visite ecc. Si pensi, innanzitutto, allo «Schema di Accordo di amicizia e
collaborazione fra il Presidente della Regione Umbria ed il Presidente della
Regione di Potsdam» siglato a Perugia il 19 settembre 1973, nel quale
le parti dichiarano che «sulla base di questo accordo verrà annualmente formulato un programma
di attività», inoltre, che si darà luogo a incontri fra le proprie delegazioni,
all’allestimento di mostre ed esposizioni sulla scienza e la cultura dei
due Paesi, allo scambio di
informazioni soprattutto, «sulle reciproche esperienze di governo locale
nei campi della vita economica, sociale e culturale», «sulle reciproche
esperienze nei vari campi di attività sociale, quali in particolare
l’agricoltura, l’istruzione pubblica, la sanità,
l’urbanistica», «circa le esperienze sui sistemi per la
prevenzione delle malattie sociali, la protezione della maternità e dell’infanzia,
la protezione e il miglioramento dell’ambiente di lavoro». Fra
gli ulteriori esempi di intese
regionali, si pensi al «Comunicado
de colaboración entre el Consejero de Ordenación del Territorio y
Medio Ambiente de
Un ulteriore
esempio di intesa che rientra nella
categoria di atti qui presa in esame è dato dal «Protocollo di collaborazione fra
In casi
diversi da quelli fin qui considerati, le intese
“programmatiche” delle Regioni possono impegnare le parti ad
adottare atti, provvedimenti o altri tipi di misure o iniziative unilaterali
per dare attuazione ai propositi di collaborazione concordati. Un primo esempio
in questo senso è rappresentato dalla «Prima dichiarazione di intenti per una cooperazione commerciale fra
b) Accordi-quadro da attuarsi mediante lo svolgimento di ulteriori attività da parte dei soggetti (privati o pubblici) da essi designati.
Come nell’ipotesi
precedente va, innanzitutto, accennato ad un trattato: la «Convention
sur la coopération transfrontalière des collectivités ou
autorités territoriales et autres organismes publics, conclue entre
Un cenno merita qui anche un altro accordo internazionale concluso a
livello regionale: l’«Accord entre le Land de Rhénanie du
Nord-Westfalie, le Land de Rhénanie Palatinat,
Nell’ambito
della presente categoria di accordi-quadro, che registra come la precedente un
elevato numero di intese, figura
il citato[29] «Protocollo di
collaborazione fra
Nel caso, poi,
della «Dichiarazione di intenti
fra
Vanno
altresì citati in questa sede: l’«Accordo per intenti fra il Presidente della Giunta Regionale delle
Marche e il Direttore dell’Ufficio delle patenti della Provincia dello
Shandong della Repubblica popolare della Cina» stipulato ad Ancona il 16 aprile 1986
il quale, fra le varie attività individuate in vista di dare attuazione
a «quanto definito in questo accordo per intenti», prevede (lett.
I) che «per la parte operativa degli scambi commerciali e di tecnologie e
brevetti il presente accordo sarà
integrato dall’accordo fra
c) Accordi-quadro da attuarsi mediante lo svolgimento di ulteriori attività da parte degli organismi comuni da essi istituiti.
Fra gli
accordi delle Regioni istitutivi di organismi comuni (di gran lunga prevalenti
su tutti gli altri tipi di accordi-quadro conclusi dalle Regioni) va segnalato,
innanzitutto, un accordo internazionale che si è
già avuta occasione d citare in questa sede: la «Convention portant nouvelle
réglementation de la pêche dans les eaux frontalières
relevant de leur souveraineté entre le Grand-Duché de Luxembourg
d’une part et les Länder de Rhénanie-Palatinat et de
Fra i contratti,
invece, va menzionato lo «Statuten
der Regio Basiliensis» concluso a Basilea il 25 febbraio 1963 il cui
art. 1 recita: «unter dem Namen “Regio Basiliensis” besteht ein Verein im sinne art. 60 ff ZGB
auf unbestimmte Dauer mit Sitz in Basel» e il cui art. 9 aggiunge
«für die Bearbeitung spezieller Probleme kann der Vorstand
Projektgruppen ernennen. Er bestimmt deren Aufgabe und regelt deren Organisation
von Fall zu Fall. Die Projektgruppen lösen sic nach Erfüllung ihres
Auftrages wieder auf».
Fra le
numerose intese, predisposte secondo
il modello di accordo-quadro qui in esame, figura la «Convention-cadre entre le Conseil
Général des Alpes-Maritimes et le Conseil Provincial de Cuneo»
adottata
dal Dipartimento delle Alpi marittime il 3 febbraio 1986 e dalla Provincia di
Cuneo il 5 giugno 1988 che reca un titolo di per sè emblematico e
significativo. Le parti, a questo proposito, hanno cura di precisare che
«la présente convention a valeur de convention-cadre pour
l’ensemble des relations qui pourraient s’établir et se
développer entre les parties dans la préparation et la mise en
oeuvre du programme». Con l’accordo in esame le parti, poi,
concordano (art. 1) l’istituzione di «une Commission
transfrontalière de développement qui a pour mission
d’assurer, à titre consultatif, la concertation et la coordination
des différentes initiatives que les parties seront amenées à
prendre afin de définir, d’un commun accord, les objectifs de
développement et les actions de développement de ce programme
transfrontalier». Con riguardo ai limiti dei compiti affidati
all’istituenda Commissione si precisa (art. 4) altresì che
«les avenants à la présente convention, que la Commission pourrait
être amenée à proposer à la décision des
parties au titre de l’élargissement et de
l’approfondissement de leur coopération devront
impérativement s’inspirer des principes de concertation
systématique, de parité dans l’organisation et la
délibération, et s’inscrire dans la perspective de
l’action transfrontalière et européenne».
Anche il
«Protocolo de Colaboración
entre
Nel caso, poi,
della «Dichiarazione di intenti fra
Fra gli
ulteriori accordi appartenenti alla categoria di accordi-quadro in esame figura
anche la «Dichiarazione di intenti fra
l’Assessore del turismo, sport, spettacolo, comunicazioni e
trasporti della Regione Sicilia e il Ministro del turismo e
dell’artigianato della Repubblica di Tunisia» firmata a Palermo il
19 maggio 1993. L’istituzione di un organismo comune rappresenta, in tal
caso, uno dei molteplici strumenti concordati dalle parti per dare concreta
attuazione agli impegni presi. Nella prospettiva di favorire i contatti fra i
rispettivi operatori turistici, di migliorare e potenziare i mezzi di trasporto
(particolarmente di quello marittimo) fra gli stessi territori, le parti
prevedono (art. 5), infatti, di concludere nuove intese, di realizzare
programmi speciali e strategie comuni, nonché di adottare misure di
carattere unilaterale. Affinché, tuttavia, un siffatto programma possa
ricevere effettiva attuazione, le parti si impegnano (art. 6) a «creare
una Commissione mista con il compito di studiare le modalità tecniche ed
i mezzi necessari per concretizzare gli obiettivi di cui all’articolo
precedente» (art. 6).
Con riguardo
al «Protocollo di collaborazione
tra
Accordi su cui
conviene richiamare in questa sede l’attenzione sono, inoltre, quelli
istitutivi dell’argealp, dell’alpeadria, e della cotrao. Si tratta, rispettivamente, del
«Verbale dell’incontro
svoltosi a Mösern presso Seefeld (Tirolo) (argealp)»
concluso a Mosern il 12 ottobre 1972, istitutivo della «Comunità di lavoro delle regioni
alpine - Alpi centrali»; del «Protocollo d’intesa istitutivo della Comunità di
Lavoro dei Länder e delle Regioni delle Alpi orientali (alpeadria)»
concluso a Venezia il 20 novembre 1978; e del «Protocollo
d'intesa per Comunità di lavoro delle Alpi Occidentali (cotrao)» firmato a Marsiglia il 2
aprile 1982. Seppur privi di valore giuridicamente rilevante, gli accordi in
parola, oltre che per la loro notorietà (in quanto hanno fatto da
“apripista” alla cooperazione transfrontaliera di livello
decentrata e, in particolare, di quella finalizzata ad istituire durevoli
canali di cooperazione fra le realtà frontaliere che vi hanno aderito
attraverso l’istituzione delle citate «Comunità di
lavoro»), rilevano in questa sede per le particolarità attinenti
al loro contenuto. Innanzitutto, nell’accordo dell’alpeadria figura una clausola generica,
ma il cui contenuto appare analogo a quello delle clausole che, negli accordi
internazionali fra gli Stati, vengono definite «di compatibilità»[32].
L’art. 1 del «Protocollo»
del 20 novembre 1978, infatti, recita: «l’attività della
Comunità di lavoro non deve nuocere ai contatti bilaterali e
multilaterali esistenti tra i Länder
e le Regioni». Lungi dall’introdurre un principio di disciplina dei
rapporti fra norme internazionali pregresse e successive, una siffatta clausola[33]
si limita a stabilire una linea di continuità nella politica di
cooperazione intrapresa fra le parti. In secondo luogo, lo stesso accordo
disciplina i poteri normativi della Comunità di lavoro, stabilendo che
«
Si osservi,
inoltre, che stesse Comunità di lavoro hanno dato vita, a loro volta, ad
un accordo destinato ad avviare una forma di cooperazione fra le stesse: si
tratta della «Déclaration
comune sur la coopération des trois Communautés de travail de
l’Arc Alpin» conclusa a Sion il 15 gennaio 1988, peraltro
formulata secondo il modello dell’accordo-quadro che, al fine di
assecondare gli obiettivi di cooperazione concordati dalle parti, istituisce
«
Altro accordo sul quale è opportuno soffermarsi è l’«Accordo costitutivo del Gruppo delle Isole del Mediterraneo Occidentale (imedoc)», concluso il 9 maggio 1995 dalla Regione Autonoma della Sardegna, dalla Collettività della Corsica e della Comunità Autonoma delle Isole Baleari. Si tratta di un’intesa con la quale le tre Isole, in virtù della prossimità geografica e dei loro rapporti storici, si propongono di istituire uno spazio di collaborazione comune, nella prospettiva di contribuire attivamente allo sviluppo del processo di unificazione europea e comunitaria. «Consapevoli» pertanto «[...] che la formazione di un gruppo di Regioni che cooperino per la difesa dei loro interessi in Europa e per il ravvicinamento delle loro comunità, possa rappresentare un importante contributo per assicurare il progresso delle rispettive popolazioni» «le Regioni delle Baleari, della Corsica e della Sardegna approvano l’istituzione di uno spazio di cooperazione stabile per lo scambio di esperienze e la promozione dei loro interessi comuni nella Unione Europea. Il gruppo di Regioni che nasce da questo processo di cooperazione assume la denominazione di imedoc, Isole del Mediterraneo Occidentale». Fra gli «ambiti prioritari di cooperazione del gruppo» figurano: «gli scambi di esperienze e di know how tra le differenti Amministrazioni regionali partecipanti; lo sviluppo della cooperazione economica, sociale e culturale tra le rispettive comunità; la promozione degli interessi comuni delle Isole e dello spazio mediterraneo». Con riferimento, infine, alle modalità di funzionamento del Gruppo l’accordo prevede che «le attività di imedoc saranno disciplinate da un regolamento interno che terrà conto dell’ordinamento giuridico di ciascuna regione partecipante»[34].
d) Accordi-quadro
che prevedono strumenti di verifica delle attività dirette alla loro
attuazione.
Vi sono casi
in cui le istituzioni regionali si limitano a prevedere anche solo
l’istituzione di meccanismi di controllo e di valutazione delle
attività di attuazione delle forme di cooperazione concordata. Fra i
casi di intese che rilevano in questo
senso figura il «Protocollo di
collaborazione fra
Nel caso invece del «Protocolo de colaboración entre
e) Accordi-quadro che prevedono mere “facoltà” di attuazione per le parti o che non prevedano indicazioni esplicite circa le modalità della loro attuazione.
L’estrema variabilità di contenuto e di portata delle norme previste negli accordi-quadro può manifestarsi anche nel senso che esse possono fare riferimento, anziché a “veri e propri obblighi”, a “mere facoltà” che lasciano libere le parti non solo sui mezzi e sui tempi della loro attuazione ma, altresì, sulla opportunità di dare ad esse un effettivo seguito. Nei casi-limite può anche accadere che un accordo-quadro non contenga indicazioni in ordine alla sua attuazione.
Tanto per cominciare, si pensi ad un accordo internazionale, il «Traité
entre le Grand-Duché de Luxembourg et le Land de
Rhénanie-Palatinat concernant l’accomplissement en commun par les
communes et autres personnes juridiques de fonctions dans le domaine de
l’économie des eaux» concluso a Echternach il 17 ottobre
1974. Così recita l’art. 1 di questo accordo: «dans la
région frontalière des Etats contractants des mesures communes
concernant l’économie des eaux et en particulier
l’approvissionnement en eau et l’élimination des eaux
d’écoulement sont encouragées dans
l’intérêt rèciproque et rendues possibles dans la
mesure des articles suivants»; e il suo art. 2 aggiunge: «en vue de
l’accomplissement en commun de leurs fonctions concernant
l’économie des eaux, les communes et autres personnes juridiques
de droit publiques dans les dans les Etats contractants peuvent former des
syndacats, conclure des arrangements de droit public ou constituer de groupes
de travail communaux».
Va citato, in questa sede, anche un contratto, l’«Agreement between the Land
Baden-Württemberg […] and the
Fra le intese, si segnala innanzitutto l’«Acuerdo
de Amistad y cooperación entre Catalunya y
Va in questa
sede citato anche un accordo fra organismi comuni, l’«Agreement establishing the Sajo-Rima
Euroregion» firmato a Putnok il 7 luglio
Vanno infine
menzionati il «Comunicado de
colaboración entre el Consejero de Ordenación del Territorio y
Medio Ambiente de
Pur presentando un certo grado di affinità con la categoria, precedentemente vista, degli accordi-quadro – in quanto accomunata dalla circostanza di appartenere alla figura dell’“accordo preliminare”[37] – quella dei pacta de negotiando e dei pacta de contrahendo, qui presa in esame, se ne differenzia, in ragione di alcuni caratteri del tutto autonomi e originali[38]. Se, per l’accordo-quadro, l’assenza di indicazioni e di riferimenti di dettaglio con riguardo agli obblighi conclusi è, infatti, una condizione necessaria e indispensabile ai fini della sua stessa esistenza, diversamente, per le due figure di accordo in esame una tale circostanza è considerata del tutto ininfluente ai fini dell’esistenza degli stessi[39]. Anzi, con riferimento agli accordi di questo tipo conclusi dagli Stati, si è avuta cura di precisare che, ove requisiti, dettagli e ogni altro genere di indicazioni fossero state in precedenza stabilite – ai fini, rispettivamente, della conclusione dell’accordo definitivo o dello svolgimento delle trattative - le parti, in virtù della loro volontà sovrana, possono concordemente decidere di osservarli quanto di derogarli[40], restando unicamente vincolate dall’obbligo, chiaro e incontestato, di avviare i negoziati previsti o, a seconda dei casi, di stipulare l’accordo definitivo[41].
Quella ora evidenziata costituisce una caratteristica che si configura del tutto compatibile con i pacta de negotiando e de contrahendo delle Regioni e, pertanto, la portata degli obblighi in essi previsti potrà concretamente variare anche in misura consistente: posto che la volontà delle parti risulti inequivocabilmente diretta a vincolarsi nel senso indicato, essa potrà finanche consistere nella semplice enunciazione dell’obbligo delle parti di svolgere le trattative (in un settore determinato e senza, peraltro, aver l’obbligo di pervenire alla conclusione di un accordo) o a concludere un accordo.
D’altro canto, è plausibile ritenere che (fatta salva l’esistenza di un divieto di delega nella materia e sia pur in condizioni che non necessariamente debbono ricalcare quelle precedentemente viste per l’accordo-quadro[42]), anche nel caso dei due modelli di accordo qui presi in esame l’assolvimento dell’obbligo di negoziare o di stipulare un “accordo definitivo” può essere realizzata per il tramite di organi diversi da quelli che hanno proceduto alla stipula dell’“accordo preliminare”: una possibilità questa che imporrebbe, agli organi delegati, una stretta e rigorosa osservanza, nello svolgimento del loro mandato, delle disposizioni previamente stabilite al livello degli organi centrali deleganti. Anche in questo caso, si tratta, tuttavia, di un’ipotesi teorica che non si è mai realizzata a favore delle Regioni italiane.
Non è comunque, sotto gli aspetti, strettamente tecnici, fin qui descritti che vanno ricercate le eventuali differenze fra i pacta degli Stati e quelli delle Regioni: è, piuttosto, sotto profilo del loro valore giuridico che tali differenze si rendono evidenti, dato che la prassi di livello regionale dimostra che i pacta da queste conclusi non assumono mai il valore di accordi di diritto internazionale e, pertanto, l’obbligo di negoziare o di concludere ha unicamente l’effetto di creare, fra le parti, un vincolo “morale”, “personale” o, preferibilmente, “politico” di negoziare o di concludere un accordo[43].
Peraltro, va detto che, nella pratica, è facile che i modelli di accordo in esame si combinino con altre tecniche di manifestazione del consenso dando vita ad accordi che seguono uno schema, per così dire, “misto”. Così spesso accade, anche nella prassi di cooperazione regionale, che un accordo-quadro risulti integrato da clausole concernenti un pactum de negotiando o un pactum de contrahendo, con la conseguenza che la negoziazione o la stipulazione di un accordo verranno a rappresentare il contenuto di uno dei tanti obblighi sanciti (tuttavia, in modo chiaro e inequivocabile) dall’accordo-quadro[44].
Va infine accennato al fatto che la tecnica del pactum de contrahendo risulta applicabile anche ai “contratti” con la conseguenza di impegnare i contraenti alla conclusione di un accordo successivo. Anzi, la scienza civilistica proprio con la denominazione di pactum de contrahendo[45] (alternativa a quella di «contratto preliminare») suole definire quello strumento «mediante il quale una o entrambe le parti si obbligano alla stipulazione di un successivo contratto, detto definitivo»[46]. Si avrà modo di osservare che non mancano nella prassi di livello regionale anche esempi di contratti formulati sulla base di questo specifico tipo negoziale.
Fra gli esempi
di accordi che meritano di essere esaminati in questa sede, figurano alcune intese, del calibro dell’«Acuerdo
general de coordinación y colaboración entre
Anche l’accordo stipulato in epoca
successiva dagli stessi enti, e cioè l’«Acuerdo entre la delegación de
Nel continuare l’elenco degli accordi privi di efficacia giuridica (intese) che vengono in rilievo in questa parte specifica dell’indagine, va citato anche l’«Accordo di cooperazione nel campo del Turismo tra il Ministero del Turismo della Repubblica di Malta e l’Assessorato del turismo, sport, spettacolo, comunicazioni e trasporti della Regione Siciliana» concluso a Malta il 17 marzo 1997[48]. Le parti contraenti, nella consapevolezza di aver dato vita ad un accordo di carattere provvisorio e nell’intento «di allargare ulteriormente le [...] relazioni di amicizia», «concordano di attivarsi nelle rispettive sedi per favorire la creazione e lo scambio di borse di studio così come programmi per corsi professionale ed addestramento sul campo, nel settore del turismo, con modi, tempi e mezzi che saranno stabiliti in seguito con apposito protocollo» (Articolo cinque); le parti, inoltre, «ritengono necessario per un pieno successo nel campo del turismo proiettare, sviluppare e consolidare la loro collaborazione operativa a livello internazionale e a tal fine attueranno uno scambio permanente di informazioni anche per mezzo di un protocollo di alleanza per la penetrazione sui mercati esteri» (Articolo sei).
A chiusura di
questo elenco, va menzionato l’«Accordo
operativo fra l’Assessorato al territorio ed Edilizia residenziale
pubblica della Regione Lombardia e l’Oficina dell’Historiador de
L’impegno delle parti a concludere o a negoziare un accordo definitivo può altresì figurare, come si è accennato nella premessa al presente paragrafo, anche in un contratto, definito perciò come «preliminare». Si pensi al «Convenio de cooperación transfronteriza suscrito entre la comunidad foral de Navarra y el Consejo general del Departamento francés de Pirineos Atlánticos para la contratación de un Estudio sobre la conveniencia de implantación de un eje de transporte Navarro-Francés de gran capacitad» firmato a Pamplona il 3 febbraio 1998. L’accordo in questione (il cui titolo è di per sé eloquente sotto l’aspetto che qui interessa) stabilisce (clausula primera) che «este Acuerdo tiene por objeto establecer las condiciones que van a regir la contratación y financiación de un estudio sobre la oportunidad de un eje viario de gran capacidad en el corredor navarro-francés». Nel contratto in parola si definiscono, specificamente, gli aspetti essenziali che devono caratterizzare la formazione del detto «estudio»: si stabilisce, in tal senso, che «el estudio será único, pero se realizará en dos fases» la prima delle quali «de redacciòn obbligatoria» e la seconda «de redacciòn condicionada» ad una «validación política intermedia» e «cuyo contenido básico se encluye», con riferimento a ciascuna delle due fasi, «en el anexo a este acuerdo».
Ulteriori
esempi di contratti, da segnalare in
questa sede, sono rappresentati dal «Public-Law
Contract between the Land Baden-Württemberg […] and the Municipality
of Rhinau» concluso a Rhinau il 22 dicembre 1982 e dall’«Agreement between the Land
Baden-Württemberg […] and the Municipality of Rhinau, Department of
Bas-Rhin […]» concluso a Freiburg/Breisgau-Rhinau-Stuttgart il
22 dicembre 1982[49].
Innanzitutto, con riguardo ad entrambi i suddetti contratti, va menzionata una clausola che rinvia ad un separato
contratto la definizione degli strumenti di soluzione delle controversie fra le
parti, suscettibili di derivare dall’interpretazione e
dall’applicazione delle norme contrattuali: in proposito, rilevano
l’art. 7, 2° co. del primo degli accordi citati (che recita:
«an arbitration agreement is set forth in separate contract»); e l’art. 10, 2° co. del
secondo degli accordi citati (che, in termini speculari al primo, stabilisce:
«an arbitration agreement is set forth in a separate contract»). La clausola in discorso impegna
dunque le parti a concludere uno specifico accordo in vista di risolvere i
problemi relativi all’interpretazione e applicazione dei due contratti in
esame tramite un procedimento arbitrale. Con riguardo al secondo dei contratti
sopra menzionati, vanno segnalate due ulteriori disposizioni che sanciscono
l’impegno delle parti a concludere nuovi accordi: in tal senso vanno,
infatti, interpretati il 3° comma dell’art. 4 del contratto in
questione secondo cui «in order to control the spreading of fertilisers and determine any damage to
the poor pastures, each year during the first five years after conclusion of
the agreement and thereafter at the end of every five-year period by joint agreement between the Land and
municipality soil samples shall be
taken […]; ed inoltre il 4° comma del medesimo articolo secondo cui
«if the results of the analyses imply that too much fertiliser has been
spread or that the poor pasture land has been damaged, measures to offset this shall be agreed jointly».
Nella premessa a questo capitolo e, successivamente, in occasione dello studio dei modelli di accordo fin qui presi in esame (“accordo-quadro”, pactum de contrahendo e pactum de negoziando che, nel diritto internazionale, si usa ricondurre alla figura unitaria dell’«accordo preliminare»)[50], si è avuto modo di accennare ad alcune caratteristiche fondamentali dei c.d. “accordi di esecuzione”. Nell’intento di approfondire e completare ora quanto in quella sede accennato con riferimento a questa ulteriore tecnica di cooperazione utilizzata dalle Regioni, è opportuno osservare che, normalmente, nella pubblicistica internazionale il concetto di “accordo di esecuzione” pare accedere ad un ampio significato, tanto da ricomprendere, genericamente, tutti quegli accordi (di varia natura) che si caratterizzano per una qualsiasi forma di collegamento con un accordo precedentemente concluso di cui, appunto, si propongono l’attuazione[51].
Secondo questo modo di pensare, in sostanza, è sufficiente che un accordo venga concluso nell’ambito di applicazione di un precedente accordo internazionale affinché esso possa qualificarsi, senza eccezioni (e anche in mancanza di un’espressa previsione delle parti), come “esecutivo” di questo, con la conseguenza che fra i due accordi venga a crearsi un rapporto di derivazione o dipendenza gerarchica (o funzionale o strumentale), tipico delle norme appartenenti ad un medesimo sistema normativo. I pericoli insiti in un siffatto modo di pensare si rendono tanto più evidenti, in sede di classificazione della prassi di cooperazione regionale, allorché ci si trovi di fronte a casi di “esecuzione” di un accordo internazionale realizzata per il tramite di atti che sono espressione dell’autonomia privata delle Regioni (e cioè attraverso la conclusione di contratti ed intese): l’esperienza maturata con riguardo agli State’s contracts[52] costituisce un precedente estremamente eloquente e significativo in questo senso.
In realtà, nell’ordinamento internazionale, non ogni accordo che si proponga di dare applicazione ad un accordo ad esso anteriore può essere qualificato come “accordo di esecuzione”, con il risultato di far derivare da quest’ultimo tutte quelle conseguenze che questo ordinamento ricollega a questa specifica figura negoziale. Si dice, in proposito, che affinché possa parlarsi di «accordo di esecuzione» ai sensi del diritto internazionale, occorre che questo tragga la sua origine ovvero derivi la sua forza vincolante (e, quindi, il suo fondamento giuridico) da un apposito “accordo preliminare” concluso fra soggetti internazionali[53]. Occorre peraltro intendersi sul significato del concetto di “derivazione” dell’accordo di esecuzione dall’accordo preliminare. Così, come non tutti gli accordi cronologicamente antecedenti possono essere qualificati come “preliminari”, non tutti gli accordi che si propongono di dare attuazione ad un accordo precedente possono, per ciò stesso, essere considerati forme “di esecuzione” e quindi “derivazioni” del medesimo. Anzi, nel diritto internazionale il concetto di “accordo di esecuzione” appare meno flessibile di quello di “accordo-quadro”. Ci troviamo, cioè, di fronte ad uno di quei casi in cui un uso improprio della terminologia può creare confusione circa la determinazione degli aspetti e dei principi giuridici applicabili alla materia.
Sicuramente, non privo di importanza, al riguardo, sarà il fatto che i soggetti chiamati a concludere gli “accordi di esecuzione” siano gli stessi soggetti che hanno proceduto alla conclusione dell’accordo principale o, invece, soggetti “diversi” rispetto a questi[54], con la conseguenza che, nel primo caso, le eventuali deroghe concordate dalle parti possono interrompere il rapporto di continuità normativa[55] fra le stesse e le norme precedentemente concordate (pur potendo, tuttavia, dimostrarsi compatibili con una volontà delle parti di continuare a sottoporre la regolamentazione dei reciproci rapporti al diritto internazionale)[56]; nel secondo caso, invece, lo scambio dei consensi può ritenersi internazionalmente rilevante e valido solo se effettuato, tassativamente, nel rispetto dei limiti (inderogabili) e secondo le modalità prescritte dall’accordo preliminare. Un peso decisivo, tuttavia, in quest’ultimo caso, rivestirà la circostanza che l’accordo precedente (che, in tal senso, svolge una funzione “preliminare”[57]) non solo preveda la conclusione di un accordo “supplementare”, ma qualifichi quest’ultimo come integrazione o specificazione della medesima manifestazione di volontà da cui esso stesso ha avuto origine, disponendo, quindi, nei confronti dei soggetti da esso designati quel trasferimento di poteri idoneo a creare, fra i due accordi, un rapporto di continuità normativa di tipo funzionale e gerarchico, così come fin qui definito. Detto in altri termini, non basta che l’accordo successivo provveda a dare applicazione al comando o al precetto contenuto in una norma internazionale ad esso precedente, nel pieno rispetto delle condizioni in questa previste, bensì è necessario che esso rappresenti il completamento in termini giuridici delle norme stabilite al livello di produzione normativa internazionale gerarchicamente superiore, in quanto espressione non soltanto della medesima funzione, ma anche della stessa volontà normativa[58].
Alla luce di queste osservazioni, risulta evidente che l’interprete, di volta in volta, sarà chiamato ad accertare quale sia il piano normativo nel quale il principio pacta sunt servanda impone che una norma pattizia riceva “esecuzione” (se, cioè, quello interno o quello internazionale) e, in definitiva, quale siano la natura e le finalità del “potere” dal cui esercizio le norme di esecuzione derivano: in particolare, se si tratti del potere estero in base al quale l’organo statale risulti legittimato a svolgere la propria attività di esecuzione nell’ordinamento internazionale. Per altro verso, egli sarà tenuto a verificare se la medesima manifestazione di volontà, posta in essere attraverso l’esercizio del suddetto potere, risulti articolata su due livelli normativi: quello preliminare della “definizione” degli “obblighi di base” a carico delle parti e quello successivo della “concreta esecuzione” degli stessi.
Un problema di questo tipo, si è posto, come si
è visto[59],
con riferimento agli accordi conclusi in base al dettato della Convenzione di
Madrid del 1980 sulla cooperazione transfrontaliera. In particolare, ci si
è chiesti se gli accordi che essa consentiva di concludere agli enti
statali decentrati, potessero essere classificati o meno, rispetto ad essa,
come accordi “di esecuzione” con la conseguenza che, fra le norme
cui essi davano origine e quelle poste in essere a livello della detta
Convenzione, si venisse a generare lo stesso tipo di rapporto (di subordinazione
gerarchica o di derivazione o di dipendenza funzionale) che si è visto
caratterizzare, nel diritto internazionale, la figura dell’“accordo
di esecuzione” rispetto a quella dell’“accordo
preliminare”[60].
Davanti ad un tale dilemma, la dottrina è giunta ad affermare che
l’«Accordo istitutivo
dell’Associazione Gruppo di studio Regione Alpina (Euregio)» del 20 ottobre 1994 sia un «atto internazionale»[61] ai sensi, in particolare, del «Protocollo
aggiuntivo alla Convenzione quadro di Madrid» e che l’Euregio,
che esso istituisce, costituisca «un’organizzazione internazionale». In realtà, l’accordo
ora menzionato non è un accordo internazionale «di
esecuzione» della Convenzione di Madrid del 1980 e, tantomeno, del citato
«Protocollo aggiuntivo» che (per ammissione della stessa dottrina
sopra richiamata) all’epoca non era ancora entrato in vigore; né
Va peraltro osservato che gli accordi di
cooperazione transfrontaliera fra enti decentrati non sono gli unici accordi di
cui la Convenzione di Madrid disciplina la conclusione. Vengono in rilievo, a
questo proposito, alcuni esempi di accordi
internazionali conclusi a livello regionale, che si è già
avuta occasione di menzionare in sede di esame della Convenzione di Madrid[63], e che in questa sede possono fornire utili chiarimenti con riguardo agli aspetti
fondamentali cui si è qui accennato. Si tratta della «Convention sur la coopération transfrontalière des
collectivités ou autorités territoriales et autres organismes
publics entre la République fédérale d’Allemagne, le
Land de Basse-Saxe, le Land de Rhénanie-Westphalie et le Royaume des
Pays-Bas» conclusa a Isselburg-Anholt il 23 maggio 1991 e
dell’«Accord entre le Land de
Rhénanie du Nord-Westphalie, le Land de Rhénanie Palatinat, la
Région wallonne et la Communauté germanophone de Belgique sur la
coopération transfrontalière entre les collectivités
territoriales et d’autres instances publiques» concluso a
Mayence l’8 marzo 1996. A ben guardare, entrambi
gli accordi citati sono stati conclusi in applicazione dell’art. 3 della
Convenzione di Madrid del 1980 che prevede la facoltà, a favore dei suoi
Stati contraenti, di concludere ulteriori accordi diretti a «fixer le
cadre, les formes et les limites dans lesquelles ont la possibilité
d’agir les collectivités et autorités territoriales
concernées par la coopération transfrontalière»,
nonchè a «déterminer les collectivités ou
organismes» abilitati a dar vita a tale forma di cooperazione. E’ in vista di dare
“specificazione” e “completamento” alle norme
“generali” sulla cooperazione transfrontaliera decentrata stabilite
dalla Convezione di Madrid del 1980, dunque, che i due accordi internazionali
in esame sono stati conclusi: la normativa che essi introducono si colloca,
infatti, in una linea di continuità rispetto a quella
“preliminarmente” stabilita da tale Convenzione. Entrambi questi
accordi, pertanto, possono essere correttamente qualificati come accordi
(internazionali) di esecuzione di
quest’ultima Convenzione. Quanto ora appena osservato permette
altresì di approfondire il concetto, sopra enunciato, secondo cui
affinché possa crearsi un rapporto di gerarchia e derivazione fra norme
internazionali “precedenti” e “successive” è
necessario, non soltanto che queste siano espressione della medesima funzione giuridica statale
(quella estera), ma inoltre che esse siano espressione della stessa volontà o procedimento di produzione
normativa. E’ evidente che entrambi questi presupposti ricorrano nel
caso in cui (come quello dei due accordi in esame) organi diversi dello stesso
Stato, titolari della competenza estera, si avvicendino, nel rispetto dei
limiti della rispettiva competenza, nell’attività di
manifestazione della volontà dello Stato-soggetto internazionale,
articolando su due livelli (o stadi o fasi) normativi la formulazione degli
obblighi che vincolano quest’ultimo nei rapporti internazionali[64].
Una situazione analoga a quella ora esaminata ricorre, come si è visto[65], nel caso dell’«Accord entre le Gouvernement du Land Nordrhein-Westfalen, le Gouvernement du Land Rheinland-Pfalz et le Gouvernement du Royaume de Belgique sur la coopération en vue de la création et de l’aménagement d’un parc naturel dans les zones Nordeifel/Schneifel/Hautes-Fagnes-Eifel» concluso a Gemünd il 3 febbraio 1971 e dell’«Accord entre le Gouvernement du Land de Rhénanie du Nord-Westphalie et le Gouvernement du Royaume des Pays-Bas sur la coopération en vue de la création et l’aménagement d’un parc naturel Meuse-Schwalm-Nette» concluso a Dusseldorf il 30 marzo 1976: si tratta, infatti, di due accordi che si qualificano come forme di esecuzione sul piano internazionale, rispettivamente, degli accordi conclusi, dagli organi centrali dello Stato, a Gemünd il 3 febbraio 1971 e a Bonn il 30 marzo 1976 che sono stati precedentemente esaminati nell’ambito dello studio degli accordi-quadro.
L’unica
differenza fra gli accordi di Isselburg-Anholt del 1991 e di Mayence del 1996
sopra citati, e i due accordi di Gemünd del 1971 e di Dusseldorf del 1976
ora menzionati, consiste nel fatto che in quest’ultimo caso la
ripartizione di competenza, fra organi centrali e decentrati dello Stato, ai
fini dell’esecuzione degli accordi di base, assume “rilevanza
internazionale” in quanto sancita, rispettivamente, dagli artt. 4 e 8
degli accordi precedentemente conclusi a livello centralizzato; pertanto, la
violazione di un tale riparto di competenze, oltre che violazione delle norme
di diritto interno sulla competenza a stipulare, costituisce anche violazione
delle norme di diritto internazionale sopra individuate.
A parte questi rari esempi di
“accordi internazionali di esecuzione” conclusi a livello regionale
non si registrano, invece, almeno con riferimento all’Italia (e
ciò nonostante questi tipi di accordo si prestino, per le loro
caratteristiche, a soddisfare le esigenze di controllo e di gestione unitaria
del potere estero avanzate dal
Governo centrale nei confronti dell’attività estera regionale),
casi di delega a
stipulare “accordi di esecuzione”, da parte delle Regioni, che
possano essere definiti tali per il diritto internazionale. Vi è,
invero, chi[66]
riconduce
a questa figura l’«Intesa fra
il Comune di Gorizia e il Comune di Nova Goriça» conclusa il 9
maggio 1978 e recepita nell’«Accordo
fra l’Italia e la Jugoslavia» del 9 maggio 1979, qualificandola
come un esempio di accordo internazionale concluso in virtù di una
«delega al sindaco di Gorizia e al presidente dell’assemblea del
comune di Nova Goriça» conferita da parte della «Commissione
mista italo-jugoslava per l’idroeconomia, costituita ai sensi
dell’art. 2 dell’accordo sulla cooperazione economica del 10
novembre 1975»; in realtà, vi sono validi motivi che portano a
dubitare dell’esattezza di una siffatta classificazione, non fosse altro
per il fatto che nello Statuto della
citata Commissione non figurasse alcuna norma diretta ad abilitare
quest’ultima allo svolgimento delle attività (di delega) di cui si
tratta.
Ci si potrebbe chiedere se una norma di questo tipo possa essere rappresentata dall’art. 6, ° co. della legge n. 131 del 2003 nella parte in cui essa abilita le Regioni a concludere, «[…] con altri Stati», «accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore». A parte i dubbi a suo tempo sollevati circa la conformità della legge n. 131 del 2003 al novellato art. 117, 9° co. Cost. nella parte in cui disciplina il treaty making power regionale, non pare che questo articolo possa essere considerato attributivo di un potere estero alle Regioni sia pure diretto ad “eseguire” precetti internazionali preventivamente entrati in vigore. Dovrebbe essere chiaro, infatti, a questo punto, che non ogni norma che regola un’attività delle Regioni con enti esteri possa, per ciò stesso, essere considerata attributiva di un “potere estero” regionale sia pure in forma delegata; quest’ultimo, invero, appare il risultato di una “volontà”, chiara e inequivocabile, con cui l’organo titolare consente che altri soggetti possano esercitare, in casi determinati o determinabili, il proprio potere di vincolarsi ai sensi del diritto internazionale. La legge n. 131 del 2003, come è noto, non segue questo tracciato. è ragionevole ritenere che il suo contenuto, comunque, non sia di ostacolo alla possibilità che le Regioni, nel futuro, possano concludere accordi di “esecuzione” che si qualifichino come forme di integrazione e specificazione di obblighi internazionali precedentemente concordati[67]. Da ciò consegue, inoltre, che l’efficacia internazionale degli “accordi di esecuzione” eventualmente conclusi dalle Regioni italiane non dipenderà dalla conformità di questi alle prescrizioni (sul controllo e le autorizzazioni del Governo) della legge in esame riguardanti questa particolare figura di accordo, posto che questo risultato discenderà unicamente dall’applicabilità agli accordi di cui si tratta dei principi vigenti in materia di diritto internazionale dei trattati.
In mancanza di una prassi di cooperazione di livello regionale che sia applicativa della normativa di cui si discute, non resta che passare in rassegna i casi di accordi conclusi in epoca ad essa precedente in relazione ai quali la qualificazione di “accordi esecuzione” può apparire controversa.
Tenuto conto che – per le ragioni anzidette, legate alla difficoltà che questi enti riescano, in concreto, ad esercitare il potere estero e a parte l’eccezioni sopra esaminate – il bilancio degli accordi regionali suscettibili di rivestire il valore di “accordi di esecuzione” nel senso del diritto internazionale, sarà sicuramente negativo, si potrà provare a identificare negli stessi quelle caratteristiche tecniche e sostanziali “tipiche” che li portano ad essere ricondotti alla figura in esame, nonostante essi si sostanzino in attività “di esecuzione” destinate a produrre effetti su piani differenti da quello internazionale (e cioè, sul piano giuridico interno o su quello morale relativo ai rapporti fra le parti) e tenuto presente che il rapporto che si instaura fra questi e l’accordo-quadro che li ha preceduti va inteso nell’ottica di una “copertura” e “legittimazione” del secondo nei confronti dei primi.
A questo scopo, si avrà cura di distinguere gli accordi delle Regioni a seconda che essi si presentino: a) come forme di “esecuzione” (si tratterà tanto di contratti quanto di intese) di precedenti accordi conclusi a livello interstatale; oppure b) come forme di “esecuzione” di precedenti accordi conclusi a livello interregionale. In questo contesto si analizzeranno anche casi di contratti “esecutivi” di precedenti contratti regionali.
a) Nell’ambito
di questa prima categoria, vanno presi in considerazione gli accordi di
cooperazione transfrontaliera conclusi dalle Regioni “in
esecuzione” della Convenzione di Madrid del 1980 e dei suoi Protocolli
applicativi. Si riscontrano un discreto numero sia di contratti che di intese,
spesso conclusi sulla base dei modelli
che, come si è detto[68],
Vanno altresì richiamati, in
questa sede, quegli accordi (contratti
ed intese) conclusi nell’ambito
degli accordi di livello interstatale applicativi, a loro
Per altro verso, un
cenno meritano, in questa parte dell’indagine, quegli accordi delle
Regioni conclusi sulla base di una specifica normativa comunitaria. Si
pensi, innanzitutto, agli accordi conclusi nell’ambito di applicazione
dei Regolamenti relativi all’Iniziativa comunitaria Interreg, fra i quali l’«Accordo di cooperazione transfrontaliera
nell’ambito dell’Iniziativa comunitaria Interreg ii» concluso dalle Regioni del Kent e del
Nord-Pas-de Calais nel 1996; l’«Accordo
di cooperazione transfrontaliera lungo il confine continentale tra Italia e
Francia nell’ambito dell’Iniziativa comunitaria Interreg iii» concluso dalle Regioni Piemonte, Liguria
e Valle d’Aosta e
Si pensi, altresì, agli accordi conclusi in base al Regolamento (cee) n° 2137/85 del Consiglio del 25 luglio 1985 relativo all’istituzione di un gruppo europeo di interesse economico (geie)[69]: fra questi il «Contratto istitutivo del geie-Euro Institut de Kehl» del 23 aprile 1993 concluso dallo Stato francese, dalla Regione Alsazia, dal Dipartimento del Basso-Reno, dalla Comunità Urbana di Strasburgo e dall’Università “Robert Schuman” di Strasburgo da un lato, e dal Land del Baden-Württemberg, dalla Città di Kehl, dalla “Fachhochschule Kehl/Hochschule für öffentliche Verwaltung”, dall’“Ortenaukreis” dall’altro; il «Contratto istitutivo dell’Eurocin-geie» del 19 maggio 1994 (modificato nel 1999) concluso fra enti locali del Piemonte, della Liguria e della Provence-Côte d’Azur; il «Contratto istitutivo del geie-tmb» del 18 maggio 2000 concluso fra due società a partecipazione pubblica, la atmb francese (che fra i suoi membri annovera lo Stato francese, il Dipartimento dell’Alta Savoia, il Dipartimento di Francia, la Città di Ginevra e altri) e la simtb italo-svizzera (che fra i suoi membri annovera la Regione Autonoma della Valle d’Aosta, il Cantone di Ginevra, la Città di Ginevra e altri).
Va qui
accennato anche agli accordi delle Regioni conclusi in
conformità ai principi stabiliti da normative internazionali (derivanti
da accordi conclusi a livello interstatale) diverse da quelle fin qui
menzionate: con riguardo alle intese, si
tratta del «Protocole
d’entente entre le Commissariat général aux relations
internationales de
b) Altri esempi di accordi delle Regioni da citare in questa sede, sono quelli conclusi nell’ambito di applicazione di un precedente accordo di livello regionale. Si tratta, vale ribadirlo, di accordi che nulla hanno in comune con gli “accordi di esecuzione” regolati dal diritto internazionale, salvo il fatto di collocarsi su una “linea di continuità materiale” rispetto ad accordi di collaborazione precedentemente conclusi al medesimo livello istituzionale.
Fra le intese, meritano qui di essere citate la
«Carta de intención entre:
Nuova Autovox S.p.A. y Grupo de industriales sonorenses y Gobierno del Estado
de Sonora» e l’«Acuerdo entre la delegación
de
Nel caso poi del
«Primo protocollo riguardante
l’Accordo di cooperazione nel campo del turismo tra il Ministero del
turismo della Repubblica di Malta e l’Assessorato del turismo, sport,
spettacolo, comunicazioni e trasporti della Regione Siciliana»
concluso a Malta il 17 marzo 1997 sembra proprio che sia in vista di
qualificare il rapporto esistente fra quest’ultimo e l’accordo da
esse in precedenza concluso, che le parti affermano (Preambolo) che «poiché il Ministero del turismo di
Malta e l’Assessorato Turismo, Sport, Spettacolo, Comunicazioni e
Trasporti della Regione Siciliana […] hanno in data odierna stilato e
firmato un Accordo di Cooperazione nel campo del Turismo […] e
poiché le Parti sono desiderose di radicare
tangibilmente i termini dell’Accordo stesso, ora e per il futuro si
stabilisce quanto segue […]».
Va altresì accennato
in questa sede: all’«Avenant
n°1 à la Convention-cadre
entre le Conseil Général des Alpes-Maritimes et le Conseil
Provincial de Cuneo» adottata dal Dipartimento delle Alpi marittime
il 3 febbraio 1986 e dalla Provincia di Cuneo il 5 giugno 1988 in cui si
dichiara che «le Président du Conseil Général des
Alpes-Maritimes et le Président du Conseil Provincial de Cuneo ont
decidé de conclure un avenant, conformément
aux disposition de l’article 4 de la Convention-cadre du 1988»;
al «Protocolo Anexo al Protocolo de
Colaboración entre la Comunidad Autónoma Vasca y la Región
de Aquitania» concluso a Irún il 30 settembre 1990 che
espressamente si ricollega al «Protocolo
de Colaboración entre la Comunidad Autónoma Vasca y la
Región de Aquitania» concluso a Burdeos il 3 ottobre
1989»; inoltre, alla «Clausola
aggiuntiva» del 3 aprile 1995 mediante la quale i Presidenti
dell’Emilia-Romagna e dei Pays de la Loire dichiarano l’intenzione
di «proseguire ed ampliare» la cooperazione avviata con il «Protocollo di collaborazione fra la Regione
Emilia-Romagna e la Regione Pays de la Loire» sottoscritto il 3
dicembre 1991 allo scopo di precisare e di integrare i propositi di
collaborazione in questo concordati; ed infine all’«Accordo operativo fra l’Assessorato al
territorio ed Edilizia residenziale pubblica della Regione Lombardia e
l’Oficina dell’Historiador de la Ciudad de La Habana»
sottoscritto a L’Avana il 15 aprile 1999 che le parti hanno inteso
concludere «alla luce del protocollo
d’intesa sottoscritto il 13 ottobre 1998 fra la Regione Lombardia e la Provincia de la
Ciudad de La Habana, Repubblica de Cuba».
Molti degli accordi che rientrano nella categoria qui presa in esame sono rappresentati dagli “statuti” dei gruppi di lavoro, organismi comuni o misti che sono stati in precedenza istituiti con apposito accordo: fra tutti, si pensi alla «Charte de la Communauté de travail du jura» adottata dai membri della ctj a Morez il 25 novembre 1993 dalla Regione Franche-Comté e dai Cantoni di Berne, Vaud, Neuchâtel, Jura che in proposito precisa: «vu la convention instituant la Communauté de travail du Jura signé à Delémont il 3 mai 1985 […]» le parti «adoptent la charte développée ci-après, en vue de renforcer les lien transfrontaliers et de faire de la ctj un institution opérationnelle»; le «Rules of Procedure for Organisation and Financing within the Alps Adriatic Working Community» adottate a Maribor il 22 novembre 1995 in allegato alla «Joint Declaration» sottoscritta a Venezia il 20 novembre 1978 della quale costituiscono parte integrante, così come si evince dall’art. 1 (General Principles) secondo cui «the rules of procedure for meetings and collaboration between the members of Alps Adriatic at the governmental level Working Community are contained in the Joint Declaration of Venice (1978)».
Fra
i contratti, invece, cui conviene
accennare in questa sede figurano: l’«Arbitration Agreement» concluso a Rhinau il 22 dicembre
La prassi di cooperazione di livello regionale dimostra che le Regioni utilizzano ulteriori modelli negoziali, oltre quelli illustrati nelle pagine precedenti. Si tratta, in prevalenza, di contratti conclusi sulla scorta di fattispecie “tipiche” regolate dagli ordinamenti interni. Non mancano, tuttavia, casi di intese concluse in osservanza di questi schemi negoziali regolati dal diritto interno, in vista del conseguimento degli “effetti” che esse sono predisposte a realizzare.
A volte molti di questi
modelli vengono distinti per categorie: si pensi alla categoria dei
«contratti di diritto pubblico», dei «contratti
commerciali», o ancora degli «accords infraétatiques»
o «transfrontalières», ecc. Tali denominazioni, se mettono
efficacemente in evidenza l’aspetto caratteristico e peculiare di tali
modelli di accordo (attinente all’oggetto, alla fonte di regolamentazione
dello stesso, ecc.), non giungono tuttavia ad influire, di per sé, sulla
loro natura giuridica. Si è già avuto modo di verificare la
confusione che, sotto quest’ultimo aspetto, può suscitare la
tendenza delle parti a conformarsi, in sede di formazione di un accordo, ai
requisiti di una data fattispecie pattizia giuridicamente regolata.
Un primo modello di accordo che si riscontra abbastanza frequentemente nella prassi regionale è quello relativo al contratto di associazione. Sulla base di questo modello è stato formulato lo «Statuts de l’Euregio Saarlorluxrhi» adottato il 4 maggio 2000 e modificativo del precedente statuto adottato il 23 marzo 1995. Si tratta di un contratto di associazione elaborato sul modello stabilito dalla «loi modifié du 21 avril 1928 sur les associations et le fondations sans but lucratif»[73]. La sua struttura, infatti, riproduce lo schema tipico del contratto di associazione così come regolato dall’art. 2[74] della citata «loi modifié du 21 avril 1928» (cui peraltro fa riferimento lo stesso contratto in esame nel suo «Préambule») assolvendo, in particolare, a quei requisiti di forma e di contenuto dallo stesso richiesti ai fini della sua efficacia. Fra questi, anche quelli riguardanti la struttura e il funzionamento dell’istituenda associazione – così come stabilito dagli articoli 3, 9 e 26 della citata legge[75] – affinché questa possa ritenersi validamente costituita.
Fra gli ulteriori esempi di contratti di associazione va citato lo «Statut de
Più laconico, con riguardo ai riferimenti che appaiono
rilevanti in questa sede, appare lo «Statuts
de
[2] Il concetto di “modello” negoziale richiama alla mente alcune fattispecie contrattuali fra le più comuni che, dimostratesi maggiormente funzionali alla vita di relazione, sulla scorta di una costante e consolidata pratica sociale, il legislatore statale ha ritenuto di dovere disciplinare per facilitare la regolamentazione degli interessi fra privati. Talché questi sono tenuti ad osservare la specifica disciplina relativa a questi modelli (c.d. contratti tipici o nominati) nel caso in cui intendano conseguire gli effetti che ad essi l’ordinamento ricollega; e se, giuridicamente, non è escluso un comportamento diverso (cfr. Torrente, Schlesinger, Manuale cit., p. 208.), è assai raro nella pratica che, per il conseguimento di determinati effetti, le parti non si conformino ad uno di questi tipi legali. I modelli di cui si tratta rappresentano, come si è detto, una forma di garanzia e tutela nei confronti dei privati; è anche vero, tuttavia, che gli stessi finiscono per restringere l’autonomia contrattuale attraverso la predeterminazione del c.d. “voluto” dalle parti (v. supra, Cap. IV, par. 2). In tal senso, le norme speciali che danno vita a questi modelli contrattuali si aggiungono a quelle generali cui sono sottoposti tutti i contratti. Sulla tendenza del diritto internazionale a disciplinare modelli o tipi analoghi a quelli disciplinati dal diritto statale v. Reuter P., Principes de droit international public, in Recueil des Cours, 1961, II, t. 103, 431 ss., spec. 567-568.
[3] Osserva in proposito Durante (Trattato cit., 1377) che «a differenza degli atti giuridici previsti dal diritto interno, le parti contraenti dei quali sono tenute a rifarsi agli schemi predisposti da norme generali in relazione al raggiungimento di risultati perseguiti (in quanto tipici degli atti rispondenti a quegli schemi), i soggetti internazionali attraverso i trattati possono prefiggersi il raggiungimento di qualsiasi scopo (lecito) utilizzando le più disparate configurazioni e combinazioni dei rispettivi diritti ed obblighi, in modo tale da garantirsi la scelta tra le più varie formulazioni di fattispecie normative». In proposito v. anche infra nel presente paragrafo.
[4] La tendenza alla “tipizzazione” – con la regolamentazione di “atti tipici” per il conseguimento di determinati effetti – si è resa alquanto evidente in altri settori del diritto internazionale, come quello comunitario: in quest’ambito sono stati definiti “atti tipici”, i regolamenti, le direttive e le decisioni.
[5] In particolare, si è ritenuto che la semplice ripetizione, sistematica e costante nel tempo, di determinate formule e tecniche nella elaborazione del testo negoziale (tali da renderle “tipiche”) fosse di per sé idonea a conferire valore giuridico alla fattispecie concreta: in tal senso v. Fernández De Casadevante, La acción exterior cit., 180-181; Kraus, Système et fonctions cit., 353, 355, 365-366; Levrat, Le droit applicable cit., 270, lett. B) spec. nota 45.
[6] Su questo specifico modello negoziale v. infra, par. 2. Anche l’accordo-quadro può considerarsi un vero e proprio modello negoziale ricorrente nella prassi internazionale, posto che le sue caratteristiche tecniche (per una descrizione delle quali v., in particolare, Lang W., Schally H., La Convention Cadre sur les changements climatiques, in Rev. gén dr. int. pub., 1993, 330-332) riguardano un insieme di elementi – quali la sfera soggettiva, la struttura, la forma, la presenza di alcune clausole, la portata delle stesse, ecc. –che concorrono a determinarne la sua composizione.
[7]
V., in particolare, Decaux, La Convention-cadre
européenne cit., 571, 589, 592; Fawcett
J.E.S., The legal Character of
International Agreements, in British Yearbook,
1953, 49 ss.; Lang, Schally, La Convention Cadre sur les changements cit.,
321 ss. spec. 229-330;
Münch F., La distinction entre textes internationaux
de portée juridique et textes internationaux dépouvus de
portée juridique, in Annuaire
de l’Institut de droit international, 1983, vol. 60, I, 323; Prevost J.-F., Observations sur la nature de l’Acte final de
In senso critico nei cfr. di questa tendenza v. Fois P., Ambiente (tutela dell’) nel diritto internazionale, in Digesto, Disc. pubbl., 1987, 219; Id., La questione della transizione dal Trattato-Costituzione alla Costituzione europea, in Labriola S. (a cura di), Ripensare lo Stato, Atti del Convegno di Studi di Napoli, 22-23 marzo 2002, Milano, 2003, 113 ss.; Marchisio, Gli atti di Rio, 619 ss.
[8] In senso così problematico v. Levrat, Le droit applicable cit., 225-226. Circa la natura dei modelli di accordo offerti dalla Convenzione di Madrid del 1980 e, in particolare, dei «modèles 2.4. et 2.5» questo A., premesso (ivi, 225-226) che «[…] il s’agit dans les deux cas de “contrat de fourniture ou de prestation de service», afferma che il criterio distintivo fra i due «est l’usage de la puissance publique, comme le montre la note liminaire de ces accords».
[9]
La legge n. 131 del
[12] Per alcuni spunti dottrinali v. Daniele L. (a cura di), Regioni e autonomie territoriali nel diritto internazionale ed europeo, X Convegno SIDI, Trieste - Gorizia, 23-24 giugno 2005, passim.
[13] Il dubbio ora prospettato pare alimentato dal fatto che entrambe le menzionate categorie di atti che l’art. 117 Cost. consente alle Regioni di concludere, continuano ad essere classificate dal Governo e dalla Corte costituzionale italiana come espressioni del «potere estero» statale attribuito, a titolo di «deroga», alle Regioni. Nel senso, invece, che tanto la prima (accordi) quanto la seconda (intese) delle citate categorie di accordi consentiti alle Regioni escludono il «diretto» esercizio del “potere estero” da parte delle stesse v. Sciso, I nuovi poteri cit., 667-668. Su questi aspetti cfr. inoltre Id., I poteri delle Regioni di concludere ed eseguire accordi internazionali secondo il Titolo V della Costituzione, in Daniele, Regioni e autonomie territoriali cit., 67 ss.; COnetti G., Alcune considerazioni sull’esercizio del potere estero delle Regioni, ibidem, 127-128.
[14]
Sull’uso risalente e diffuso fra gli Stati di questo tipo di tecnica
negoziale al fine di obbligarsi nei rapporti internazionali v. Benoît-Rohmer F., Les
minorités, quel droits?, Editions du Conseil de l’Europe,
Strasbourg, 1999, 38; Buirette
P., Genèse d’un droit
fluvial international général, in Rev. gén dr. int. pub., 1991, 5 ss.; Fois P., Il Trattato
CEE come “accordo quadro”: la posizione della Corte di Giustizia
delle Comunità europee, in Riv.
dir. int. priv. proc., 1978, 61 ss.; Id.,
Le Conferenze al vertice dei paesi della
C.E.E. e il diritto comunitario, in Riv.
dir. int. priv. proc., 1982, 703-704; Francioni
F., La conservation et la gestion
des ressources de l’Antartique, in Recueil des Cours, t. 260, 1996, 239 ss. spec. p. 256; Gautier, Essai cit., 238; Kraus,
Système et fonctions cit.,
353, 355 ss. In particolare, sulle caratteristiche tecniche dell’accordo-quadro
v. Lang, Schally,
[18] In tal senso, la dottrina (v. Fois, Sulla competenza delle Regioni cit., 289) ha osservato che «il rinvio ad ulteriori accordi può risultare da un’espressa previsione del trattato iniziale, come anche essere resa necessaria dal contenuto e dagli scopi del medesimo, tali da richiedere una specificazione o un’integrazione a mezzo di ulteriori accordi»: su quest’ultima ipotesi v. specificamente infra, nel corso del presente paragrafo. Più in generale, sulla necessità che gli accordi-quadro siano seguiti da ulteriori atti finalizzati a dare ad essi concreta applicazione v. Id., Il trattato C.E.E. come “accordo quadro” cit., 61 ss.; Id., Ambiente cit., 209, 210, 211 (e nota 6) ss.
[19] V. in proposito Beltrán García, Los acuerdos cit., 52; Bernard álvarez de Eulate, La coopération cit., 383; Donnarumma, Il decentramento regionale cit. 29-30.
[20] Sul carattere “preliminare” dell’accordo-quadro v. Fois, Le Conferenze al vertice cit., 704; in generale, sulla figura dell’accordo preliminare v. Id., L’accordo preliminare nel diritto internazionale, Milano, 1974.
[21] La forma di abilitazione che l’accordo di copertura prevede non è finalizzata a completare o a specificare gli obblighi preliminarmente assunti, bensì a legittimare o a convalidare attività in precedenza illecite o invalide, anche con l’introduzione di norme di diritto internazionale privato o di diritto uniforme, ma non anche ad istituire fonti di produzione normativa internazionali: su questi aspetti v. le osservazioni svolte sulla Convenzione-quadro di Madrid del 1980.
[23] Per l’Italia vi rientrano anche alcuni sostenitori della tesi “statalista” fra i quali Donnarumma, Il decentramento cit., 29-30; Lippolis, La Costituzione italiana cit., 275.
[25] In tal senso appaiono infondate le
preoccupazioni di Seidl-Hohenveldern (Le droit applicable
cit., 2-3) che, nell’esaminare la prassi contrattuale di alcuni enti
pubblici territoriali, vi ha intravisto casi di “abuso di potere”
da parte di questi: «ces sous-divisions etc. abusent même parfois
de cette faculté en essayant de confier,
à des entreprises qu’elles viennent de créer, des tâches à la limite au
moins d’actes jure imperii
(par exemple la planification du tracé d’autoroutes
internationales par l’association «Interalpe»)».
[26] Ulteriori casi di intese
appartenenti alla categoria di cui si tratta sono: 1) Il «Protocollo di
collaborazione fra
Esempi di intese
analoghe a quelle fin qui menzionate si registrano anche fra gli accordi di
livello infraregionale come il «Cooperation
Agreement between Panevezys County Governor’s Administration and
Kalingrad District Administration» firmato a Kalingrad il 23 febbraio
1996 e l’«Intention Agreement
between Utena County Governor’s Administration and Hedmark County
Municipality» firmato ad Utena il 20 giugno 1997. Con riguardo agli
aspetti che qui interessano il primo stabilisce che «Article 1. Field of cooperation. The Parties will cooperate in the above
mentioned field based on coordinated and
mutual programs, cooperation plans and will supply adequate support while
elaborating and implementing them at the organisations, institutions and
economical entities in Panevezys County and Kalingrad District»; mentre
il secondo degli accordi citati dispone che «concrete contents and forms
of co-operation between Utena and Hedmark Counties are realized in form of
concrete plans, programmes and agreements».
[30] Attività
analoghe a quelle ora viste sono concordate nei seguenti accordi: 1) lo «Schema di Accordo di amicizia e
collaborazione fra il Presidente della Regione Umbria ed il Presidente della
Regione di Potsdam» siglato a Perugia il 19 settembre 1973 dove si
dichiara di «appoggiare
concretamente l’attività dell’Associazione per
l’amicizia tra i popoli
dell’Italia e della Repubblica Democratica tedesca nelle rispettive
regioni, promuovendone la costituzione e lo sviluppo». 2) L’«Acuerdo general de coordinación y
colaboración entre
[32] Si tratta
di quelle clausole generalmente ritenute «indicative del valore
internazionale di un accordo»: in tal senso Roucounas E., Engagements
parallèles et contradictoires, in Recueil des Cours, 1987, t. 206, p. 9 ss.; Sciso E., Gli accordi
internazionali confliggenti, Bari, 1986.
[33] Una clausola «di compatibilità», analoga a
quella ora vista, è contenuta anche nei due seguenti contratti: l’«Agreement between the Land
Baden-Württemberg […] and the Municipality of Rhinau, Department of
Bas-Rhin […]» concluso a Freiburg/Breisgau - Rhinau - Stuttgart il 22 dicembre 1982
che sul punto stabilisce che «the agreement
shall not affect the rights of the
municipality under the international
contracts of 28 June 1919 and 14 August 1925»; ed il «Public-Law Contract between the Land Baden-Württemberg […]
and the Municipality of Rhinau» concluso a Rhinau il 22 dicembre 1982
(v. supra, Cap. IV, par. 9) che recita
«the right to enter the forest and the right of the inhabitants of Rhinau
to gather lily of the valley, morels and snails in accordance with existing regulations shall not be affected by these measures».
[34] In quest’ambito vanno menzionate anche le seguenti intese: 1) la «Dichiarazione congiunta della Regione
Lombardia e del Land Baden-Württemberg» sottoscritta a Stoccarda
il 30 maggio 1988. E’ allo scopo di promuovere e far ulteriormente
progredire il vasto progetto di cooperazione da esse concordata che le parti
manifestano l’intenzione «di nominare i componenti di un gruppo di
lavoro che dovrà coordinare le attività bilaterali e informare
direttamente i Presidenti». 2) Il «Protocollo di intenti tra
[35] Questa intesa come la precedente, sono state già citate supra, rispettivamente alle lett. a) e b).
[37] Cfr. Fois, L’accordo preliminare cit., 7 ss., 24-61. Per una ricostruzione del concetto di “accordo preliminare”, anche in relazione alla distinzione dei pacta in esame rispetto alla figura dell’accordo-quadro, v. anche ivi, 24-61; e anche Id., L’accordo preliminare cit., 24-61; Id., Le conferenze al vertice cit., 704 nota 42; Id., Aspetti giuridici dell’Unione economica e monetaria nel sistema della cee, in Riv. dir. int., 1976, 22.
[38] In particolare, si osserva (così Fois, L’accordo preliminare cit., 67) che è «l’impossibilità o la difficoltà di pervenire subito ad un regolamento definitivo di una data questione che induce le parti a limitarsi a stipulare un accordo di questo tipo».
[39] Così Fois, L’accordo preliminare, cit., 68 secondo cui: «un pactum de contrahendo è stato riconosciuto esistente sulla scorta anche del solo impegno di concludere il trattato definitivo» (ivi, 68, nota 8); «[...] non pare che un contenuto sufficientemente determinato costituisca una condizione essenziale per poter configurare un pactum de contrahendo» (ivi, 18, nota 38); infine, determinante al fine di provare l’esistenza di un obbligo di negoziare o di stipulare è che «[...] a ciò tenda la volontà delle parti».
[40] Cfr. Fois, op. loc. ult. cit., 101 «si tratta [...] di applicare alla figura dell’accordo preliminare un principio generalissimo, quello secondo cui le parti contraenti hanno – se consenzienti – il potere di modificare anche nella sostanza quanto tra esse inizialmente convenuto».
[41] Sulla circostanza che, con l’insorgere di un obbligo di negoziare o di stipulare, si riducano i margini di libertà negoziale delle parti v. Fois, op. ult. cit., 105.
[43] Circa la possibilità che le
Regioni possano concludere pacta de
contrahendo alla luce della recente riforma costituzionale cfr. Conetti, The New External cit., 134: «more uncertain appears to be the
category of treaties of a planning nature, in that they cannot produce legally
binding obligations but can only set out common aims and shared principles or
plans, at most taking the forms of pacta de
contrahendo or, when appropriate, lay down ways and procedures for
permanent institutional cooperation».
[44] Con riguardo alla prassi di cooperazione interstatale Fois, L’accordo preliminare cit., 7: «il più delle volte gli accordi preliminari sono contenuti in trattati di più ampia portata, sottostando quindi, per quanto attiene al profilo procedurale, alle regole da applicarsi al trattato nel suo insieme»; in senso conforme Mc Nair, Law of Treaties cit., 27-29.
[46] Così Bianca, Il contratto cit., 185; nello stesso senso v. Torrente, Schlesinger, Manuale cit., 489 ss.: «si dice preliminare il contratto con cui le parti si obbligano a stipulare un successivo contratto definitivo, di cui, peraltro, devono avere già determinato nel preliminare il contenuto essenziale». Circa poi la ragione che induce le parti concludere questo tipo di contratto, questa «può variare da caso a caso, ma va sempre ricercata in una qualche incertezza delle parti, che suggerisce di rinviare nel tempo la stipulazione del regolamento definitivo», ad esempio perché «le parti vogliono riservarsi la possibilità di apportare aggiunte o modifiche (naturalmente consensuali) a quanto previsto dal preliminare» (ivi, 491); la stessa dottrina osserva che «in ogni caso il preliminare, per non essere invalido per indeterminatezza, deve già precisare in modo sufficiente il contenuto del contratto definitivo che le parti si impegnano fin da ora a stipulare successivamente: vale a dire che – salva la possibilità di modifiche o aggiunte consensuali – la conclusione del definitivo non deve richiedere nessuna ulteriore discussione per decidere punti essenziali dell’accordo da sottoscrivere» (ibidem).
[51]
Per questo orientamento dottrinale v. spec. Burdeau, Les
accords cit., 122 ss.; Donnarumma, Il decentramento regionale cit., 30-31; Gautier, Essai
cit., 283; Levrat, Le droit applicable cit., 89, 95, 297.
[53] Secondo Fois,
Sulla competenza delle Regioni cit., 290 «trattasi in concreto, di quegli
accordi che, restando entro i limiti della cornice delineata dall’accordo
iniziale, realmente regolino materie meramente tecniche o amministrative da
quest’ultimo contemplate»; Id.,
L’accordo preliminare cit., 21-22, 103. Sull’argomento cfr. McNair, The Law of Treaties cit., 23 che, nel descrivere uno degli atti
formali con cui gli Stati generalmente danno esecuzione ad un accordo di base,
osserva che esso sovente assume il nome di “protocollo” e
cioè di un «treaty» «amending, or supplemental to,
another treaty [...]. Sometimes it is used in the same sense as
procès-verbal or the minutes of a conference, called by Rousseau
[…] “protocole
de
[54] Secondo la dottrina (Fois, Sulla competenza delle Regioni cit., 294) affinché l’ultima delle ipotesi citate possa realizzarsi è sufficiente che gli Stati, nell’accordo preliminare «non abbiano riservato a se stessi […] la facoltà di concludere siffatti accordi». Altri A. (Curti Gialdino, Commento all’art. 4, 2° comma del dPR 616 cit., 99) sottolineano, invece, la necessità che l’accordo preliminare contenga indicazioni espresse agli effetti qui ipotizzati.
[55] Viceversa, un tale rapporto di continuità normativa non subisce interruzione nel caso in cui le stesse parti, anziché derogare l’accordo in precedenza concluso diano ad esso “esecuzione” (in senso giuridico internazionale) con l’adozione di norme complementari ed accessorie: sul rapporto di derivazione e gerarchia esistente fra norme che appartengano ad uno stesso ordinamento giuridico ed anche ad un medesimo procedimento di produzione giuridica articolato su più livelli normativi (che da vita ad un vero e proprio sistema o apparato normativo) cfr., per l’ordinamento internazionale, Buirette, Genèse d’un droit fluvial cit., 9, 12 ss.; e per l’ordinamento statale, Martines, Diritto costituzionale cit., 72 ss. e 455 ss. che definisce il rapporto esistente fra la legge di delega e il decreto legislativo nei termini di «interdipendenza» ovvero di «connessione procedimentale» che discende «dalla loro connessione sostanziale», posto che i due atti «sono preordinati al raggiungimento del medesimo fine, fermo restando tuttavia che, mentre la legge delega condiziona la validità del decreto legislativo, questo condiziona l’efficacia sostanziale della prima» (ivi, 456-457); Paladin L., Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1977, secondo cui «legge delegante e legge delegata possono considerarsi momenti di uno specialissimo procedimento legislativo» che configura una «compartecipazione» del Parlamento all’esercizio del potere legislativo da parte del Governo. Sulla circostanza, inoltre, che il meccanismo della delega non attenga alla «competenza» dell’organo (determinandone uno spostamento), bensì all’«esercizio» della stessa (in capo ad un organo diverso v. Martines, op. ult. cit., 455 ss.; Miele, Delega cit., 908, 910, 914.
[56] Più esattamente, nel caso di specie i rapporti fra l’accordo precedente e quello successivo saranno disciplinati dal principio che regola la successione delle norme internazionali nel tempo, anziché dal principio che regola i rapporti di gerarchia fra le norme, di uno stesso ordinamento giuridico, che danno vita ad un sistema normativo.
[58] Se nel primo caso
l’accordo successivo presenta caratteri di originarietà e di
autonomia (che determinano un rapporto di separazione
fra questo e l’accordo che lo ha preceduto); nel secondo caso, invece,
l’accordo successivo avrà carattere derivato, si tratterà
cioè, di “accordo di esecuzione” collegato da un rapporto di
accessorietà e di dipendenza funzionale all’accordo
di base. Quelle ora descritte costituiscono, evidentemente, conseguenze dirette
dell’applicazione di due diversi principi del diritto internazionale:
rispettivamente, il principio della
separazione e pari ordinazione delle norme internazionali e il principio di derivazione e di
subordinazione gerarchica della norma successiva rispetto a quella precedente. Sui principi internazionali qui
richiamati (anche con riguardo alla distinzione fra il citato principio di
subordinazione e la clausola c.d. di subordinazione) v. Conforti, Diritto
internazionale cit., 91, 94, 133 ss.
Per un confronto con il diritto interno (anche con riguardo alla gerarchia formale e sostanziale delle fonti del diritto interno) v. Martines, Diritto costituzionale cit., 72-73, 76, 78 ss., 449 ss. Si osservi altresì che nel caso in cui l’attività di cooperazione diretta a dare “esecuzione” alle norme di diritto internazionale (che ne disciplinano la conclusione) abbia natura “privata”, non si applicano più i principi che regolano i rapporti fra le norme dell’ordinamento internazionale, bensì quelli che regolano i rapporti fra le norme di ordinamenti diversi e indipendenti.
[60] Va peraltro osservato che la categoria degli accordi di esecuzione deve essere tenuta distinta da quella degli accordi in forma semplificata (noti anche come executives agreements): se, infatti, gli accordi di esecuzione risultano generalmente stipulati in forma semplificata, non sempre è vero il contrario e, pertanto, non tutti gli accordi in forma semplificata risultano collegati ad un trattato principale (cui risulterebbero gerarchicamente “subordinati”): su questi aspetti, con posizioni diverse, v. Conforti, Diritto internazionale cit., 189-191; Lippolis, La Costituzione italiana cit., 190, 191-192 e ivi nota 10 (secondo cui sia gli accordi in forma semplificata che gli accordi di esecuzione sono adatti alla conclusione di «accordi che necessitano di una esecuzione immediata» in quanto suscettibili di entrare immediatamente in vigore: ivi, 190); Marchisio, La competenza cit., 550; Smets, La conclusion des accords en forme simplifiée cit., 26 ss.; Wildhaber L., Treaty-making Power and Constitution, Basel-Stuttgard, 1971, 135 ss.
[61] Così Karl, La natura giuridica cit., 92 ss. In senso analogo Beltrán García, Los acuerdos exteriores cit., spec. 112.
[62]
Sulla diversa ipotesi relativa agli accordi di
livello regionale conclusi in esecuzione della Convenzione di Madrid del 1980
ai sensi dell’art.
[64] Sul punto v.
anche quanto detto supra al par.
[66] Così Donnarumma, Il decentramento, cit. 23, nota 19 secondo cui una conferma del valore internazionale dell’accordo in esame proviene dal fatto che lo stesso sia stato recepito «nell’accordo tra i due Stati del 9 maggio 1979 (legge di autorizzazione alla ratifica 29 novembre 1980, n. 841».
[67] Un aspetto, quello ora accennato nel testo, che riapre manifestamente il problema del coordinamento della competenza estera regionale con quella attribuita agli altri organi statali ponendo la questione, in particolare, se le Regioni possano concludere (per effetto di una delega) accordi esecutivi in materie rientranti nella competenza legislativa (esclusiva o concorrente) di altri organi di rilevanza estera. Ove non fosse diretta ad ampliare la competenza estera delle Regioni al fine di includervi anche materie originariamente ad esse non attribuite, la disciplina della categoria degli accordi di esecuzione da parte della legge n. 131 del 2003 non avrebbe senso, in quanto risulterebbe pleonastico e superfluo affermare che le Regioni, nelle materie di propria competenza legislativa, possono concludere accordi esecutivi di precedenti accordi da esse sottoscritti.
[68] In proposito, va ricordato che, con riguardo ai detti modelli,
[69]
In questa sede merita di essere osservato che nel
commentare il modello contrattuale fornito in allegato al citato Regolamento geie, la
Commissione (v. Commission européenne, Le geie: un
instrument de coopération transnationale, Luxembourg, 1999) ha precisato che, se da un lato, esso
ha un valore puramente indicativo posto che debba servire le parti contraenti
nella redazione del contratto istitutivo di un geie , dall’altro, tuttavia, vi sono «certaines parties» dello stesso
che «ne doivent pas être
changées, mais reprises telles quelles: ces parties ne prévoient
donc pas d’espace pour les rédacteurs du contrat» (ivi, p. 28). La Commissione ha
altresì precisato che «il contenuto del presente contratto risulta
principalmente dagli obblighi imposti dal Regolamento (cee) n°
2137/85» e che lo stesso «non tiene conto di tutte le disposizioni
che risultano dall’applicazione dei regolamenti nazionali». Fra le
norme del Regolamento in parola, che vengono maggiormente in rilievo, ai fini
della valida conclusione del contratto istitutivo di un geie,
figurano l’art. 1 del detto Regolamento, che recita: «i gruppi europei di interesse economico
sono costituiti secondo le condizioni, le modalità e con gli effetti
previsti dal presente regolamento. A questo scopo, coloro che intendono
costituire un gruppo devono stipulare un contratto e procedere alla iscrizione
prevista all’articolo 6»; inoltre, l’art. 5 del medesimo
regolamento secondo cui: «devono figurare nel contratto istitutivo del
gruppo, almeno: a) la denominazione del gruppo preceduta o seguita, sia dalle
parole “gruppo europeo di interesse economico”, sia dalla sigla
“geie”, a meno che tali parole o tale sigla non figurino
già nella denominazione; b) la sede del gruppo; c) l’oggetto in
vista del quale il gruppo è formato; d) i nomi, la ragione o
denominazione sociale, la forma giuridica, il domicilio o la sede sociale e,
all’occorrenza, il numero e il luogo d’immatricolazione di ciascun
dei membri del gruppo; e) la durata del gruppo, allorché essa non sia
indeterminata».
[70] Con riguardo a questo accordo v. quanto detto supra, nel presente capitolo, par. 2 lett. a) nota 47 e par. 3.
[73] Vedila nel Mémorial, Journal Officiel du Grand-Duché de Luxembourg, Recueil de Législation: Mém. 23 du 5 mai 1928, 521. La legge in questione è stata modificata dalla «loi du 22 février 1984» (Mém. A - 20 du 10 mars 1984, 260; doc. parl. 2614) e dalla «loi du 4 mars 1994» (Mém. A - 17 du 4 mars 1994, 300; doc. parl. 2978).
[74] Questo in particolare, ai fini che qui interessano,
stabilisce: «Art. 2. Les statuts d’une association sans but lucratif
doivent mentionner: 1° la dénomination et le siège de
l’association. Ce siège doit être fixé dans le
Grand-Duché; 2° l’objet ou les objet en vue desquels elle est
formée; 3° le nombre minimum des associés. Il ne pourra
être inférieur à trois; 4° le noms, prénoms, professions,
domiciles et nationalités des associés; 5° les conditions
mises à l’entrée et à la sortie des membres; les
attributions et le mode de convocation de l’assemblée
générale ainsi que les condition dans lesquelles ses
résolutions seront portées à la connaissance des
associés et des tiers; 7° le mode de nomination et les pouvoirs des
administrateurs; 8° le taux maximum des cotisation ou de versements
à effectuer par les membres de l’association; 9° le mode de règlement
des comptes; 10° les règles à suivre pour modifier les
statuts; 11° l’emploi du patrimoine de l’association dans les
cas ou celle-ci serait dissoute. Ces mentions sont constatées dans un
acte authentique ou sous seing privé».
[75] Vengono in rilievo, in
proposito, i seguenti articoli della citata legge lussemburghese: l’art.
3 secondo cui «La
personnalité civile est acquise à l’association à
compter du jour où ses statuts sont publiés au Mémorial,
Recueil des Sociétés et Associations, conformément
à l’article 9 de la loi modifiée du 10 août 1915. Au
moment du dépôt des statuts auprès du préposé
au registre de commerce et des sociétés, l’indication des
noms, prénoms, professions et domiciles des administrateurs désignés
en conformité des statuts ainsi que de l’adresse du siège
social est requise. Toute modification doit être signalé ou
proposé»; l’art. 9 secondo cui «Toute modification aux statuts doit
être publié, dans le mois de sa date, au Mémorial, Recueil
des Sociétés et Associations»; e, infine, l’art.
26 secondo cui «En cas
d’omission des publications et formalités prescrites par les
article 2, 3 alinéa 1er et 9, l’association ne pourra se
prévaloir de la personnalité juridique à
l’égard des tiers, lesquels auront néanmoins la
faculté d’en faire état contre elle […]».