Conferencia magistrale: II Seminario en el Caribe. Derecho romano y Latinidad [La Habana-Cuba, 12 al
14 de febrero de 2004]. Memorias, coordinadores y compiladores Pietro Paolo
Onida y Eurípides Valdés
Lobán, Sassari 2007, XII-187 pp. Indice Sommario
Professore ordinario di Diritto
romano,
Preside della Facoltà di
Giurisprudenza
della Università di Sassari
Sommario: Premessa.
La sintesi di federazione e di societas
nella cittadinanza municipale romana. – 1. La divaricazione
medievale tra societas e persona ficta vel repraesentata e
l’insorgere della contrapposizione dialettica tra federazioni comunali
repubblicane e regni nazionali parlamentari. – 2. La continuità
moderna nel “federalismo societario”
dell’“impero” del Sindaco di Emden Johannes Althusius (Politica
Methodice Digesta, 1603-14) e nel “principio” del
“contratto di società” della “repubblica” del
Cittadino di Ginevra Jean–Jacques Rousseau (Contratto sociale,
1762). – 3. La rottura contemporanea nel
“federalismo” statual-rappresentativo (anti-societario) di James
Madison (Il federalista, 1787) e di Immanuel Kant (Per la pace
perpetua, 1794). – 4. Il sistema
giuridico latino-americano: ‘cabildos’, confederazione,
‘aldeas’ e municipi (Miranda, Francia, Bolívar e
Martí). – 5. La crisi dello Stato
parlamentare contemporaneo, la rivoluzione dei rapporti ‘politici’
all’interno e all’esterno delle autonomie municipali e la loro
attualità: “Siamo [ri-]entrati nella epoca delle
città” (Giorgio La Pira, 1954).
Le fonti romane sui
Municipi possono sembrare, a volte, contraddittorie e ci imbattiamo in
oscillazioni e problemi termi-nologici ma, dopo il bellum sociale, il sistema giuridico-religioso romano della respublica è (ovverosia:
“si scopre e si manifesta”) esso stesso intrinsecamente federativo. Come scrive persino Mommsen[1]: “Désormais
le peuple romain est plutôt légalement une
confédération de toutes les cités des citoyens”[2]. Grazie – anche – al bellum sociale, nel diritto romano si
produce una sintesi delle categorie (peraltro appartenenti ad una logica unica)
di federato e di cittadino: i federati diventano cittadini ma i cittadini
diventano o si scoprono federati. La categoria unica, di sintesi, è la
categoria di soci.
Il processo di
formazione del sistema municipale proseguirà nei secoli successivi, ma
già nel secolo I a.C. sono presenti gli elementi per una concezione
della repubblica nella quale il “federalismo societario”[3],
essendone l’amalgama più profondo, neppure più è
pensabile come un modo specifico e una variante dell’essere repubblica.
Gli stessi elementi conducono alla realizzazione di una ‘repubblica
dell’impero’ tendenzialmente universale proprio in quanto
essenzialmente municipale. L’impero è “municipale” non
soltanto per il fatto che tutte le
città hanno avuto la cittadinanza e sono state trasformate in municipi
ma anche (se non soprattutto) per il diritto
federativo–societario che sottostà a quel fatto e che: sia
consente/produce il carattere programmaticamente universale dell’Impero
romano, sia tende ad escludere il riproporsi del duali-smo tra città
federate e municipi, perché l’elemento della federazione è,
oramai, compreso nella nozione e nella organizzazione di questi ultimi.
La idea della
federazione come modo specifico e variante dell’essere repubblica
è – come vedremo – una invenzione recente di un pensiero
‘costituzionale’ di fine-Settecento, che è nato e si
è sviluppato in alternativa all’istituto societario, che –
in senso proprio – non è repubblicano (oltre che non
democratico) e che si ‘perfeziona’ – quindi – nello
statualismo ottocentesco.
Il contratto
di società (del quale il foedus è fonte) è la
risposta giuridica romana, sintesi (anche per ragioni cronologiche) della
cultura mediterranea antica, alla questione fondamentale della considerazione unitaria dell’“atto umano
volontario” posto in essere da una
pluralità di persone, in vista (come diciamo noi, giuristi
post-pandettisti) delle “costituzione, modificazione o estinzione di
diritti soggettivi”.
La soluzione
alternativa della stessa questione è la costruzione della “persona ficta vel repraesentata”: sorta durante il secolo XIII, ad opera,
sembra, del giurista Sinibaldo dei Fieschi – Papa Innocenzo IV [†
1254], nel contesto e per le esigenze del diritto canonico[4].
Le due soluzioni
giuridiche alternative innervano due fenomeni altrettanto alternativi,
sviluppatisi in parallelo a partire dal secolo XII. Si tratta del sorgere: 1)
delle federazioni repubblicane di comuni[5],
sulla base dei municipi antichi[6],
e 2) di un nuovo istituto, il ‘Parlamento’, sulla base feudale
della curia regis (il consiglio del re)
dei regni nazionali[7].
Tra i due fenomeni si stabilisce una dialettica che coinvolge tutta
l’Europa. I due fenomeni e le soluzioni giuridiche connesse trovano
anche, contemporaneamente, due specie di ‘terre
d’elezione’ in due zone diverse ma egualmente periferiche
del continente: le valli alpine e una isola del mare del nord, dove si
sviluppano separatamente, sino alla epoca contemporanea.
L’inizio della
Confederazione svizzera viene fatto risalire al patto associativo di tre
comunità rurali, Uri, Schwyz (questo paese ebbe la direzione di quel
primo nucleo federativo, da cui l’attuale nome della Svizzera=Schwyzerisch, Schweizerisch) e Unterwalen, le quali, nel 1291, ribadiscono,
aggiungendovi una serie di clausole, un patto anteriore di data non precisata:
“antiquam confederationis formam
iuramento vallatam presentis
innovando”[8].
La confederazione svizzera non utilizza l’istituto della rappresentanza
della volontà ed i deputati dei cantoni vanno alle diete confederali con
mandato imperativo, che funziona per mezzo di un istituto che verrà poi
ripreso a correttivo dell’istituto rappresentativo: il referendum[9].
Solamente tre anni
dopo, nel 1294, Edoardo I d’Inghilterra convoca il primo Parlamento
legale inglese, il “Model Parliament”, con un ‘Bill’,
nel quale già è presente il divieto del mandato imperativo,
chiave di volta del diritto parlamentare inglese e di tutto il parlamentarismo
successivo, entrambi impensabili senza la ‘invenzione’ di Sinibaldo
dei Fieschi[10].
Il carattere anti-societario del fenomeno parlamentare e della soluzione da
esso eletta a proprio principio, sarà reso evidente dai contributi di
Thomas Hobbes, nel secolo XVII, con la teorizzazione del Leviatano, necessario
per disciplinare il bellum omnium erga
omnes, fondato sulla natura dell’uomo homini lupus, e dei cosiddetti Illuministi scozzesi, nel secolo
XVIII, con la invenzione della nuova scienza economica, necessaria a
giustificare ed a interpretare la competizione inter-individuale in un
“mercato” riportato fuori della città[11].
Del complesso
fenomeno municipale, federativo e repubblicano delle epoche medievale, moderna
e contemporanea, menziono ora soltanto due momenti di riflessione teorica,
particolarmente significativi proprio rispetto allo schema di lettura qui
proposto della vicenda municipale nella epoca antica.
Tra la fine del
’500 e l’inizio del ’600, un grande romanista tedesco
Johannes Althusius (Jurisprudentiae
Romanae libri duo, 1586) descrive (Politica Methodice Digesta, 1603-1614) la
natura e ricostruisce la organizzazione, in termini scientifici,
dell’Impero, nell’unico modo che egli (come romanista) conosce:
sulla base del potere sovrano di tutti i cittadini, che, in termini
federativo-societari, cioè attraverso un
sistema di società (“consociationes”)
concentriche costruite pattiziamente, conduce dalla pluralità dei
singoli cittadini alla unità dell’Impero, montando attraverso le
famiglie, le Città e le province.
Il fatto che Althusius non parli di federazione ma di
consociazione non ha – giustamente – impedito di vedere in lui il
grande teorico europeo del federalismo. Ma il suo federalismo è stato definito “societario”[12]
e la importanza di questa definizione si percepisce compiutamente soltanto nel
contesto interpretativo storico–sistematico che qui proponiamo. Occorre,
infatti, intendersi. Il “federalismo” di Althusius è un
federalismo intrinseco, costitutivo in forma essenziale e necessaria della respublica, non una
‘variante’, una forma specifica del genus respublica.
Secondo Althusius, ogni repubblica si
regge su un contratto di società, i cui membri sono non (soltanto)
individui, bensì (anche) collettività. Queste collettività
(membri della repubblica intrinsecamente federale) sono le comunità
territoriali ma anche comunità di interessi settoriali-funzionali. Il
meccanismo di governo (formazione delle decisioni e loro esecuzione) consiste
esclusivamente in negoziazioni (condotte a più livelli dal basso verso
l’alto) le quali mirano a costruire il consenso sulla base della
solidarietà tra una pluralità di attori collettivi autonomi. I
principi essenziali della repubblica (intrinsecamente federale) sono dunque
tre: 1) il sistema ascendente della formazione della volontà pubblica,
2) il consenso, 3) la solidarietà.
Althusius sviluppa la componente
municipale della Politica nella 3a
edizione (1614; 1a ed. 1603), durante la sua lunga esperienza di governo (come
‘sindaco’) della Città di Emden.
Ovviamente, Althusius non ricorre agli
istituti tra loro connessi della personalità giuridica e della
rappresentanza. Sebbene il passaggio della
volontà da un livello all’altro avvenga per
l’inter-mediazione di “rappresentanti” il sistema althusiano
non è ‘rappresentativo’ nel senso ‘parlamentare’
della parola, perché i rappresentanti (“Diener” e non
“Herren” dei rappresentati: Max Weber)[13]
sono soltanto i mezzi attraverso i quali la volontà di tutti i cittadini
perviene al ‘centro’ attraverso sintesi successive.
Nel
’700, il discorso di Althusius è complessivamente ripreso e
– per alcuni versi – perfezionato da Jean-Jacques Rousseau nel Contrat social e nel Projet de
Constitution pour
Rousseau
perfeziona la idea del contratto di società quale fondamento della respublica, definendolo il principio non
soltanto necessario ma anche unico per la costituzione della respublica, ovverosia, di quel populus del quale la res publica ‘è’.
Quando il cittadino di Ginevra, Rousseau, deve tradurre la teoria del Contratto
sociale in una Costituzione, egli propone una costituzione federativa fondata
sulle “pievi” (piccole comunità), mediata dalla esperienza
svizzera[14].
Il
federalismo societario è elemento proprio, necessario ed esclusivo del
‘fenomeno’ comunale sino alla fine del ’700, quando viene
realizzato il connubio – per certi versi ‘mostruoso’ –
tra federalismo e fenomeno parlamentare, per mezzo di una teoria separata
del ‘federalismo’, prodotta abnormemente nel contesto e nel quadro
della riflessione costituzionale anglosassone.
Nel 1787
(riprendendo – nella sostanza – la linea di Edoardo I, che, nel
1294, annulla i Comuni nel ‘Model Parliament’, trasformandoli in
suoi meri collegi elettorali) James Madison (Il Federalista, 1788)[15]
e Kant (Per la pace perpetua, 1795)[16]
costruiscono e teorizzano il “federalismo” come variante estrinseca
dello Stato persona, ponendone come condizione
necessaria la organizzazione su base rappresentativa. A Madison ed a Kant si
deve, infatti, anche la equazione tra Repubblica e sistema rappresentativo,
ciò che costituisce il primo della serie di stravolgimenti contemporanei
dei significati delle parole-chiave del diritto pubblico, con la conseguenza
della anfibologia – oggi imperante – in questa materia[17].
Questo
“federalismo” ha alcune caratteristiche importanti, che vanno
sottolineate. Si tratta di una costruzione tarda, che rompe con tutta la
tradizione federativa precedente, coniugando la federazione con il suo opposto
storico e dogmatico: lo ‘Stato’ parlamentare-rappresentativo.
È, pertanto, un federalismo antisocietario (tant’è che
esso, oltre a produrre divisione anziché unione, risulta porsi in un
rapporto funzionale proporzionalmente inverso con il cosiddetto ‘Stato
sociale’[18])
e contro il ruolo ‘politico’ delle autonomie, ad iniziare dalle
autonomie per eccellenza, che sono i Comuni (tant’è che esso
funziona con la divisione della competenza per materie tra stato federale e
stati federati[19]
ma non con la partecipazione ascendente, lungo i vari livelli della scala delle
autonomie, a materie condivise).
Purtroppo, la perdita, da
parte della scienza storica–giuridica, della memoria del ‘federalismo’
societario-municipale, essenziale per la costruzione della Repubblica,
impedisce ora alla stessa scienza di cogliere (per mancanza di alternativa)
anche gli elementi caratteristici dell’unico federalismo a lei noto e
produce, in luogo della dialettica vera tra le due soluzioni alternative, la confusione tra un numero enorme
(circa 500) di nozioni ‘diverse’ di ‘federalismo’[20].
Nella Rivoluzione Francese, la
combinazione di federalismo e municipalismo è ripresa dai giacobini ma
– in conclusione – viene battuta assieme ai giacobini. Durante
l’’800, tale combinazione resta, tuttavia, presente grazie ad una
serie di (pensatori) politici, dei quali ricordo il sardo Giambattista Tuveri,
il francese Pierre-Josef Proudhon, vari italiani (Carlo Cattaneo, Giuseppe
Ferrari, Carlo Pisacane, Giuseppe Fanelli e Saverio Friscia), i russi Michail
Aleksandrovic Bakunin e Pierre Alexievitch Kropotkin.
Qui voglio, però, ricordare
soprattutto la attenzione attribuita al federalismo municipale nel
costituzionalismo dell’Indipendenza latino-americana.
Gli autori della Indipendenza
latino-americana adottano un costituzionalismo di modello esplicitamente romano
e ricorrono agli istituti propri di quel modello: i municipi e il tribunato,
prima di tutto, ma anche la censura – potere morale e la dittatura[21].
Mi limito ora a un rapido excursus su
municipi e federalismo.
Nel 1798, 1801 e 1808, Francisco de Miranda
produce tre pro-getti di costituzione, i quali (salvo il primo, ispirato al
modello inglese) sono costruiti in forma federale sul nucleo organizzativo
offerto dalle città (“cabildos”,
“ayuntamientos”)[22]. La convinzione
– tanto diffusa quanto erronea – del ‘centralismo’
giacobino, fa apparire sorprendente che “el proyecto de Miranda,
impregnado de ideas afrancesadas, defiende también una tesi comunera y federalista que organizaba a
toda
Il contributo che viene dalla città
di Asunción è partico-larmente interessante. Già un secolo
prima, nel
1721, questa città era stata la sede di un
movimento indipendentista, che si richiamava al movimento
‘rivoluzionario’ municipale dei ‘Comuneros’, sorto in
Spagna nel 1520 e presso il quale la categoria di ‘comunidades’
significava le comunità locali (i municipi-comuni, anzi tutto) ed
evocava il ruolo della massa popolare e il bene comune contro élites e
privilegi[24]. I ‘Comuneros’
di Asunción costituiscono anteprima non soltanto della Indipendenza
latino-americana, ma anche dei movimenti europei in materia di diritti del
popolo. Nel 1810 (24 luglio), José Gaspar
Rodriguez de Francia, in quanto sindaco della Città di Asunción,
sostiene la tesi della caducità del potere monarchico spagnolo ed il
ritorno al popolo della sua sovranità originaria e sempre immanente; in
quanto membro (in realtà, capo) del Governo della nuova Repubblica
indipendente, egli propone (nota del 20 luglio 1811, “opera magistrale di
diplomazia estremamente raffinata”) un sistema confederale complesso
della “nuestra America” che è stato riconosciuto come
totalmente differente (per i suoi antecedenti nella seconda Scolastica) dal
federalismo nord-americano ed il cui primo livello è costituito da
repubbliche – popoli – città ed il secondo da nazioni
– province[25].
Particolarmente
significativo, per ragioni molteplici e ovvie, è, quindi, il contributo
di riflessione scientifica e di proposizione legislativa di Simón
Bolívar[26].
Questi, nel proprio pensiero costi-tuzionale, fa riferimento sistematico ai
modelli inglese moderno e romano antico per
concludere a favore del diritto romano, da lui definito “base de la
legislación universal” e il cui studio egli raccomanda. Nel Discorso al Congresso costituente di Bolivia (1826),
ove prende più chiaramente partito a favore del sistema giuridico romano
antico, egli raccomanda “Tened presente, Legisladores, que las Naciones se
componen de las ciudades y de las aldeas; y que del bienestar de éstas
se forma la felicidad del Estado”. Al Congreso de Panamá
(22/06-15/07/1826), Bolívar propone il Tratado de Unión, Liga y Confederación perpetua delle
Repubbliche Americane, che costituisce documento basico della dottrina
costituzionale bolivariana[27].
Nel 1871, il costituzionalista e
costituente argentino Juan Bautista Alberdi (Peregrinación de Luz del Día o
viajes y aventuras de la verdad en el Nuevo Mundo) individua il dilemma
costituzionale americano nella scelta (che egli definisce “razziale”)
tra la “libertà moderna anglo-americana” (che egli definisce
“parlamentare”) e la “libertà antica
romana–latina”[28].
In uno scritto
del 1891, il padre della Indipendenza della Repubblica di Cuba, José
Martí, risolve questo dilemma indicando nella istituzione municipale
romana la radice e la vita della libertà della “América
nuestra”: “El municipio es lo más tenaz de la
civi-lización romana, y lo más humano de la España
colonial … por los municipios, en las más de las colonias,
entró en la libertad la América. Esa es la raíz y esa es
la sal de la libertad: el municipio. El templa y ejercita los caracteres, él
habitúa al hombre al estudio de la cosa pública, y a la
participación en ella, y a aquel empleo diario de la autoridad por donde
se aquilata el temple individual, y se salvan de sí propios los
pueblos”[29].
Meritano, inoltre, una
menzione i contributi del presidente della Repubblica dell’Uruguay,
Bernardo Prudencio Berro (1860-1868), sulla “necesidad del régimen
municipal”, i quali ruotano attorno ad un suo notevole progetto di legge
(appunto sul “régimen municipal”) del 1861[30].
Negli ultimi
anni la scienza giuridica (ma anche quella economica e quella politologica)
hanno denunziato la “crisi dello Stato”. La bibliografia connessa
è troppo vasta e troppo nota perché un romanista si faccia carico
di ricostruirla[31].
Occorre, piuttosto, osservarne, dal punto di vista del Diritto romano,
l’approccio limitato ed equivoco.
Approccio
‘limitato’ perché vede una parte sola della crisi: quella
sostanzialmente economica della rottura dell’‘involucro’
degli Stati nazionali, che si manifesta nei fenomeni – soltanto
apparentemente opposti – della “globalizzazione” e della
frammentazione[32].
In realtà, sono colpiti (se possibile, ancora più profondamente)
dalla crisi anche gli istituti giuridici essenziali dello Stato: il processo di
formazione della volontà ‘pubblica’ (soggetti ed iter)[33]
e gli strumenti di difesa della libertà dal potere[34].
Approccio,
inoltre, ‘equivoco’ perché, in realtà, in crisi
è non lo Stato ma una forma di Stato, precisamente quella
parlamentare anti-associativa, utilizzata da Madison e da Kant e sviluppata da
Hegel e da Mommsen, nella quale, in luogo dei municipi, troviamo dipartimenti
di un potere che, per definizione, è esclusivamente centrale. In
questo contesto, l’elemento federativo non soltanto ha un carattere
estrinseco ed accidentale ma anche ambiguo e contraddittorio.
A fronte di
questo fenomeno negativo complesso di crisi di una certa forma di Stato,
assistiamo ad un fenomeno positivo altrettanto complesso di risorgere di
elementi di organizzazione politico-giuridica alternativa, i quali tendono
quasi naturalmente a ricomporsi in sistema; più precisamente: in quel
sistema municipale societario-federativo che era (che è?) la repubblica
imperiale romana.
Uno di
questi ‘elementi’ è, certamente, la domanda rinnovata di
federazione e il ruolo, in essa, delle Città. È noto il rinnovato
ruolo politico-economico delle “reti di città”, per il quale
è stato coniato il neologismo “glocalismo” e segnalo i
progetti della ‘Commissione bicamerale’ italiana (1998) di riforma
federale della Costituzione su base municipale e del governo sardo (1995) di
riforma della programmazione regionale sempre su base municipale. Senza
dimenticare le innovazioni corrispondenti, all’interno
dell’ordinamento dei singoli Comuni, introdotte dalla legge italiana (n.
81 del 1993) che ridisciplina con mandato imperativo la elezione del Sindaco e,
soprattutto il fenomeno – tuttora non perfettamente istituzionalizzato
– dell’“orçamento participativo” nella
Città di Porto Alegre, in Brasile, che rinnova la tradizione municipale
latino-americana.
Cinquanta
anni or sono, quando questi fenomeni ancora dove-vano manifestarsi, il
romanista italiano Giorgio La Pira, con capacità profetica, già
aveva affermato: “Siamo entrati nella epoca delle città” [35].
[1] Il quale però – occorre ricordare
– fa uso, oramai della nozione madisoniana e kantiana del
“federalismo”, su cui vedi, infra,
paragrafo 3.
[4] Apparatus (Commentaria)
in quinque libros decretalium, su cui
v. F. Ruffini, “La
classificazione delle persone giuridiche in Sinibaldo dei Fieschi (Innocenzo
IV) ed in Federico Carlo di Savigny”, in Scritti in onore di Francesco Schupfer, II, Torino 1898, pp. 313
ss. (=Id., Scritti giuridici minori, II, Milano 1936, pp. 5 ss.); A. Rota, “La persona giuridica
collettiva nella concezione di Sinibaldo dei Fieschi (Papa Innocenzo
IV)”, in Archivio storico sardo di
Sassari, 3 (1977), pp. 5 ss.; R. Feenstra,
“L’histoire des fondations (à propos de quelques
études récentes)”, in Tijdschrift
vor Rechtsgeschiedenis, 24.1 (1956); cfr. G.
Lobrano, “Dell’homo
artificialis – deus mortalis
dei Moderni comparato alla societas
degli Antichi”, in Aa.Vv., Giovanni Paolo II. Le vie della giustizia.
Itinerari per il terzo millennio. Omaggio dei giuristi a Sua Santità nel
XXV anno di Pontificato (a cura di A.
Loiodice-M. Vari),
Roma 2003, pp. 161 ss.
[5] W. Mager,
“Res publica chez les juristes,
théologiens et philosophes à la fin du Moyen Age”, in Théologie et droit dans la science
politique de l’Etat moderne, Actes de
[6] Si noti che, già nel lessico giuridico romano
antico, l’aggettivo communis
concerne specificatamente i bona dei municipia: cfr. Th. Mommsen, Droit public romain cit., VI.II. 427 nt.
1: “Ulpien, Dig. 50,16,15: Bona civitatis abusive publica dicta sunt;
sola enim ea publica sunt quae populi Romani sunt. Inscription de Pompéi, C.I.L. X, 787. C’est pourquoi communis est toujours employé pour la
propriété communale aussi bien par Varron (5,21) et
Cicéron (Ad fam. 13,11,1; cfr.
tome IV, la théorie de
[7] I quali si oppongono alla logica repubblicana,
associativa e augescens dei
municipi/comuni sia in quanto regna
sia per la loro chiusura ‘nazionale’.
[8] La espressione è all’art. 2 del
patto, il cui testo originale si trova nell’Archivio dei patti federali
di Svitto. In proposito, v. Storia della
Svizzera (a cura di M. Ducrest),
tr. it. di C. Biasca e G. Tignola, Locarno 1989; cfr. Il medioevo nelle carte. Documenti di storia ticinese e Svizzera dalle
origini al secolo XVI (a cura di G.
Chiesi), edito dallo Stato del Cantone Ticino 1991; L. Kern, “Notes pour servir
à un débat sur le pacte de
[9] I delegati potevano prendere decisioni valide su
argomenti per i quali avevano istruzioni precise. Se i delegati avevano
soltanto un mandato generale, ne discutevano e votavano, ma ad ratificandum (ossia con riserva di
ratifica dai loro governi). Oppure i delegati portavano con sé la
deliberazione cantonale (o un riassunto detto Abschied) consegnando il tutto a chi di dovere ad referendum. Vedi La
costituzione federale Svizzera cit., p. 12 n. 1; E.R. Papa, Storia della
Svizzera. Dall’antichità ad oggi. Il mito del federalismo,
Milano 1993, p. 44.
[10] Come i Parlamenti che lo hanno preceduto, anche
il Parlamento inglese si costituisce fondamentalmente per mezzo
dell’inserimento dei ‘rappresentanti’ dei Comuni (la futura
Camera dei Comuni) nella Curia regis
feudale. Il Parlamento inglese differisce dai Parlamenti precedenti proprio per
il ricorso originario e mai venuto meno al divieto di mandato imperativo
(ovverosia: obbligo alla plena potestas)
di tali rappresentanti, ciò che determina la dequalificazione dei Comuni
da enti ‘politici’ in meri collegi elettorali. Tale operazione,
resa possibile sul piano teorico dalla novità giuscanonistica della persona ficta vel repraesentata,
è agevolata dal fatto della mancata risorgenza dei Comuni inglesi
dell’epoca (su cui v. R. Villari,
Storia medievale, 6a ed., Bari 1988,
pp. 171 ss.). In generale, v. J.P. Galvao
De Sousa, “Sulla rappresentanza politica. VI”, in Cristianità (1992), p. 212.
[11] Una caratteristica di questo filone economicista
è proprio la alterazione della nozione di società, sia da parte
della sua componente originaria liberista (Adam
Ferguson, Saggio sulla storia
della società civile, 1767) sia da parte della componente
derivata dei vari “socialismi”: “utopico”,
“scientifico”, “reale”.
[12] Th.O. Hüglin, Sozietaler
Föderalismus: die politische Theorie des Johannes Althusius, Berlin-New York 1991.
[13] M. Weber,
Wirtschaft und Gesellschaft. Grundriss
der verstehenden Soziologie (1922), 5a ed., (hrsg. von J. Winckelmann),
III, prgf. 22, Tübingen 1976, p.
[14] L. Hecketsweiler,
“Lex et populus: ‘enracinement’ par Rousseau de deux concepts
de droit romain dans l’identité agraire corse. I”
(comunicazione presentata al “128e congrès national des
sociétés historiques et scientifiques” sul tema
“Relations, échanges et coopérations en
Méditerranée”, Bastia avril 2003, i cui atti non sono stati
ancora pubblicati): “Rousseau reprend ici le modèle de la
démocratie rustique fournit par les cantons primitifs de
[15] Come noto, Madison non è l’unico
autore del Federalista. Terminata la
redazione della costituzione degli Stati Uniti, restava da acquisire la
approvazione da parte dei singoli Stati. In particolare, appariva restio lo
Stato di New York e, al fine di motivare la opinione pubblica di questo Stato,
Alexander Hamilton, segretario di Washington, James Madison, il futuro
presidente, e John Jay, ex-presidente del Congresso, pubblicarono durante il
1788, sotto il comune pseudonimo di ‘Publio’, ben ottantacinque
articoli nei giornali nuovaiorchesi. Attualmente, si ritiene che Hamilton abbia
scritto 51 articoli, Madison 29 e Jay 5 ma vi è anche chi crede che il
solo Hamilton abbia scritto 63 articoli. In ogni caso, condivido la opinione
per cui l’autore di maggiore spessore giuridico è Madison.
[16] I. Kant,
“Zum ewigen Frieden. Ein philosophischer Entwurf” (in Id., Werke [hrsg. von E. Cassirer], VI, “Schriften von
1790-
[17] Kant, dopo Madison, sviluppa il fortunato quanto
ingannevole paradigma della contrapposizione (in luogo della distinzione, invece corretta) tra
‘democrazia’ e ‘repubblica’, sul postulato del
carattere intrinsecamente rappre-sentativo di questa ultima. Anzi, secondo
Kant, poiché la categoria di ‘repubblica’ coincide, in senso
proprio con la ‘forma regiminis’
rappresentativa, le repubbliche degli antichi sono “sogennanten
Republiken” (Kant, loc. cit.). Sulla storia sette- e
ottocentesca della mutevole relazione tra le categorie di democrazia e di
repubblica, v. G. Lobrano, Res
publica res populi. La legge e la limitazione del potere, Torino 1994,
pp. 223 ss.; cfr. ora, R.J. Ribeiro,
“Democracia versus república”, in Pensar a República [organizador N. Bignotto], Belo Horizonte 2000, pp. 13 ss.; N. Bignotto, Origens do republicanismo moderno, Belo Horizonte 2001; P. Dubouchet, De Montesquieu le moderne à Rousseau l’ancien. La
démocratie et la république en question, Paris-Montreal-Budapest-Torino 2001.
[18] Vedi T.
Martines, Diritto costituzionale,
9a ed., Milano 1997, p. 940 e, con riferimento specifico all’ordinamento
americano, per il quale sono stati teorizzati inizialmente i concetti di federalismo cooperativo e ‘dual federalism’ ad opera di
Corwin (prima della seconda guerra mondiale) e di Grodzing (negli anni
’60), vedi G. Morbidelli-L.
Pegoraro-A. Reposo-M. Volpi,
Diritto costituzionale italiano e comparato, 2a ed., Bologna 1995, p.
401.
[20] W.H. Stewart,
Concepts of Federalism, Lanham (MD)
1984; cfr. Ugo M. Amoretti, “Il Federalismo e le
sue conseguenze”, in Aa.Vv.,
Statuti regionali e federalismi.
Riflessioni e proposte (=Presente e
futuro. Periodico semestrale dell’Associazione tra ex Consiglieri
regionali della Sardegna, [14 dicembre 2002) Cagliari 2002, p. 22.
[21] Vedi Aa.Vv., Dittatura degli antichi e dei moderni (a
cura di G. Meloni), “Introduzione” di C. Nicolet, Roma 1983; Aa.Vv.,
Garibaldi. Esperienza americana e
repubblica romana, Sassari 1991 [volume VIII.1 della serie dei
“Materiali” del Progetto speciale CNR di ricerca su
“Italia-America Latina”].
[22] Vedi I progetti costituzionali di Francisco de Miranda (1798-1808) Testi e index verborum (a cura di Paola Mariani-L. Parenti), Roma 1998; cfr. M. Batllori S.J.-P. Catalano, “Acerca de los proyectos constitucionales del general Miranda: conceptos jurídicos romanos y realidad americana”, comunicazione presentata al III Congreso Latinoamericano de Derecho romano, Bogotá 1981.
[23] A. Colomer Viadel, Constitución Estado y Democracia en el umbral del siglo XXI, Valencia 1995, p. 77, il quale osserva che l’“empeño [di Miranda] en adaptarse al modelo francés fue incluso rechazado por Bolívar”. Colomer (ibidem, pp. 76 s.) ricorda che anche un altro ‘afrancesado’, il cileno Francisco Bilbao, propagandista, nei primi anni del secolo XIX, delle idee della Rivoluzione francese in America, difende “la independencia de todos los intereses y derechos locales en lo relativo a sus localidades; movimiento federalista en un principio anulado después por la reacción unitaria en todo América y que hoy vuelve a continuar triunfante” (F. Bilbao, El evangelio américano y paginas selectas, Barcelona s.a.; cfr. J. Delgado, La inde-pendencia hispanoamericana, Madrid 1960, pp. 38 ss.).
[24] M. Briceño, Los comuneros, Bogotá 1977; J. Pérez, Los comuneros, Madrid
[25] V. Frankl, “El jusnaturalismo
tomista de fray Francisco de Vitoria como fuente del plan de confederación hispanoamericana del dr.
José Gaspar de Francia”, in Revista
de historia de América (dell’Instituto Panamericano de geografía e historia, México), nn.
37-38 Ene. Dic. (1954), pp. 162 ss. Per la
verità, Frankl, nel connettere il federalismo di Francia al pensiero
della ‘seconda Scolastica’, lo differenzia anche dal pensiero
rousseauiano. A me sembra, invece, che Rousseau sviluppi e perfezioni il
pensiero di autori della ‘seconda Scolastica’, quali, ad esempio,
il gesuita Suárez, che con il suo De
legibus ac Deo legislatore (1612)
di chiara ispirazione nella dottrina ciceroniana, afferma la sovranità
popolare sulla base della conformazione societaria del popolo. Non vanno, per
altro, dimenticati i precedenti costituiti – nel secolo XIV – da
Bartolo da Sassoferrato (autore della formula “civitas sibi princeps superiorem non
recognoscens”) e da
Marsilio da Padova (che afferma la fonte della legge e, quindi, della
sovranità, nella volontà popolare) entrambi dipendenti dalle
dottrine gius-romanistiche in materia di populus
(anche attraverso giuristi quali Irnerio e Bulgaro) ed entrambi legati alla
esperienza comunale. A questi autori faranno capo tanto Francisco Suárez
quanto Johannes Althusius.
Su Francia, vedi P. Catalano,
Modelo institucional romano e
Independencia: República del Paraguay. 1813–1870,
Asunción 1986; cfr. il n. 1 dell’Anuario dell’‘Instituto de Investigaciones
Históricas’ del Paraguay, Asunción 1979, dedicato a Dr. José Gaspar Rodriguez de Francia;
il n. V/I dei Rendiconti delle Ricerche giuridiche e politiche del Progetto
Italia-America Latina del CNR su Pensiero
e azione del Dr. Francia. Aspetti di diritto pubblico. I, Sassari 1991
(ivi: la “Nota introduttiva” di P. Catalano e G. Recchia
e l’articolo di M.S. Al’perovič,
“Influencia de los institutos de Roma antigua sobre la estructura del
Estado del Paraguay”) e la raccolta Cartas
y decretos del dictador Francia (a cura di A. Viola), edita dalla Universidad Católica di
Asunción e giunta al tomo IV, Asunción 1991. Sulle concezioni
‘societarie’ della cosiddetta ‘seconda Scolastica’, v. Teresa Rinaldi, “Origine e finalità della
società politica nel De Legibus
di Francisco Suárez”, in Rivista
internazionale di filosofia del diritto, 78 n. 2 (2001), pp. 169 ss.
[26] Sulla dottrina costituzionale bolivariana, ricordo, prima di tutto, i tre volumi di Anna Maria Bartoletti Colombo-L. Brusual Afonso-L. Zelkovich Perera, Léxico constitucional bolivariano (a cura di ASSLA–Associazione di Studi Sociali Latino-Americani e di Sociedad Bolivariana de Venezuela), 3 voll., Napoli 1983, con “Prefazione” di P. Catalano e vari volumi dei Quaderni Latinoamericani (Serie di studi e ricerche sociali edita per iniziativa dell’ASSLA) in particolare, i volumi: VIII, Rivoluzione Bolivariana. Istituzioni, lessico, ideologie, Napoli 1981 (ivi P. Catalano, “Tribunado, censura, dictadura: conceptos constitucionales bolivarianos y continuidad en América Latina” [già Mérida, s.a. ma 1978]); IX-X, Rivoluzione Bolivariana. Prospettive italiane, Napoli 1983; XI, Modello romano e formazione del pensiero politico di Simón Bolívar. Testi costituzionali (a cura di Manuela Sassi), I, Napoli 1994 (ivi P. Catalano, “Conceptos y principios del derecho público romano de Rousseau a Bolívar”). Ricordo inoltre Aa.Vv., Pensamiento constitucional de Simón Bolívar, Bogotà 1983; J.J. Corderos Ceballos, Bolívar y la vigencia del poder moral, Caracas 1988; Aa.Vv., Il “potere morale” tra politica e diritto. L’esempio di Simón Bolívar, Sassari 1993, pp. 181 [Materiali de Progetto speciale “Italia-America Latina” XI – ASSLA]; P. Catalano, “Principios constitucionales bolivarianos: origen y actualidad”, en El nuevo Derecho Constitucional Latinoamericano (R. Combellas coord.), II, Caracas 1996.
[27] E su cui esiste una ricca bibliografia. Ricordo: D.F. O’Leary,
El Congreso Internacional de Panamá en 1826: desgobierno y anarquía
de
[28] Vedi G. Lobrano,
Diritto pubblico romano e
costituzionalismi moderni, Sassari 1989 (versione in lingua spagnola edita
a Bogotá nel 1990), pp. 61 ss.
[29] J. Martí,
“Un libro del Norte sobre las Instituciones Españolas en los
Estados que fueron de México”, in El Partido Liberal, México 25-11-1891, ora in Id., Obras completas, 7, Nuestra
América,
[30] Id., Escritos selectos (a cura di Juan E. Pivel Devoto, Ministro de Instrucción pública), Montevideo 1966, pp. 284 ss.
[31] Faccio una eccezione per il contributo di N. Irti-F. Margiotta Broglio, La crisi dello Stato moderno, Firenze
1992. È interessante, infatti, nella produzione di Irti, la
sensibilità per una serie di problemi che il romanista coglie come
centrali nella attualità; ad esempio, oltre la crisi dello Stato
“moderno”, la questione del nesso diritto-luoghi e la questione del
rapporto tra diritto ed economia (N.
Irti, L’ordine giuridico del
mercato, Roma 1998; N. Irti-E. Baffi ed altri, Diritto ed economia: problemi e orientamenti
teorici, Padova 1999).
[32] Cfr. M.
Luciani, “L’antisovrano e la crisi delle Costituzioni”, in
Scritti in onore di Giuseppe Guarino, II, Padova 1998, pp. 731 ss.
[33] In due ondate successive, che si collocano dopo
la prima e dopo la seconda guerra mondiale, la scienza giuridica del ’900
rimette progressivamente in discussione la dottrina della rappresentanza, che
fonda la istituzione parlamentare, con un ‘crescendo’, che giunge
sino alla sua negazione. Max Weber, nel 1922, Hans Kelsen, nel 1925 e Carré de
Malberg, nel 1931,
ri–constatano la inconciliabilità della partecipazione democratica
con la rappresentanza politica. Costantino Mortati, nel 1975, afferma lo
stesso a proposito della nostra costituzione. Tra gli anni ’50 e gli anni
’70, arriva la ri–constatazione della stessa inconsistenza–inesistenza
della rappresentanza politica. La prima ad operarla è la filosofa
tedesca di origine ebraica, Hannah Arendt, la quale, riflettendo sulle
istituzioni dello Stato moderno ri–scopre la inconsistenza logica della
dottrina della rappresentanza politica e
la attualità delle istituzioni politiche antiche, con la loro dimensione
“spaziale” nella ‘città’. I giuristi arrivano,
più tardi, alle stesse conclusioni critiche. L’argentino Jorge
Reinaldo Vanossi, nel 1972, lo statunitense Heinz Eulau, nel 1978, lo spagnolo
Torres del Moral, nel 1982, l’italiano Domenico Fisichella, nel 1983,
quindi, gli stessi dizionari giuridici (almeno quelli italiani:
[34] Il politologo ed economista
austriaco/statounitense Friedrich August von Hayeck, nel 1973, dichiara
“evidentemente fallito” il tentativo di assicurare la
libertà individuale con lo strumento, di modello inglese, della
separazione dei poteri e l’estensore della relazione della Commissione
bicamerale italiana per la riforma del Titolo V della Costituzione, nel 1993,
afferma che “il principio della divisione dei poteri è
completamente esaurito e non serve più”. Cfr. G. Lobrano, “Del Defensor del pueblo al Tribuno de la
plebe: regreso al futuro”, in Roma
e America. Diritto romano comune, 14 (2002).
[35] Nel discorso “Valeur des Villes”,
pronunziato da