N. 6 – 2007 – Memorie//Scienza-giuridica
Università di Genova
Il caso e
Sommario: 1. Premessa. – 2. Il caso. – 3. I riferimenti normativi.
– 4. Prassi e legislazione.
La ricerca dei casi concreti nelle Novelle e nelle relative epitomi
ci ha posto di fronte ad un compito difficile: analizzare parti di questa
legislazione perlopiù neglette dagli studiosi. Solo ad alcuni di essi il
legislatore ha dato un ampio spazio, illustrandoli con descrizioni dettagliate:
ciò è avvenuto, solitamente, quando costituivano essi stessi
l’occasio legis, il motivo che
aveva dato luogo all’intervento legislativo; la maggior parte dei
riferimenti a processi, a consultazioni di funzionari o a richieste di privati
sono inseriti usualmente in contesti normativi molto ampi, nell’ambito
dei quali rappresentano delle brevi parentesi, delle esemplificazioni
episodiche il cui contesto è descritto sommariamente dall’estensore
della legge. Proprio per questi casi – che, tra quelli che sono stati
identificati nel corso del lavoro del nostro gruppo di ricerca, costituiscono
la parte più cospicua - le difficoltà interpretative sono
notevoli, in quanto il tentativo di generalizzazione compiuto
dall’estensore non è giunto a cancellare il riferimento alla
singola vicenda, né, d’altra parte ne aveva l’intenzione, ma
ne ha oscurato molte parti importanti.
E’, comunque, un dato evidente che i riferimenti alla prassi
facciano parte della tecnica legislativa del tardo impero, così come le
leggi generali che li contengono.
La scuola genovese ha dato importanti contributi allo studio delle
tecniche legislative giustinianee e pregiustinianee dei quali sarebbe troppo
lungo fare l’elenco, ma, soprattutto, ha aperto la strada
all’attuale ricerca con lo studio dei casi nella legislazione del Codice
Teodosiano e in quella novellare. Mi riferisco in particolare ai numerosi studi
compiuti dal responsabile locale e coordinatore del nostro gruppo di lavoro, Mariagrazia
Bianchini, che hanno fornito gli strumenti e il modello per compiere la ricerca[1].
Renderò conto nella mia relazione del caso descritto nella
Novella 97 di Giustiniano. La costituzione, risalente all’agosto del 539,
è una legge generale inviata al prefetto del pretorio Giovanni. Con
questo intervento il legislatore tendeva ad un riesame unitario della normativa
concernente la dote e la sua restituzione. Le norme ivi contenute costituiscono
una sorta di completo coordinamento delle diverse fonti che regolavano la
materia, ma introducono anche significative riforme. Nei sei capitoli di cui
è composta la legge vengono regolati i seguenti punti: i patti dotali e
l’equivalenza di dote e donazione nuziale (c. 1); gli aumenti della dote
(c. 2); i privilegi della dote (c. 3); l’obbligo di dote nelle seconde
nozze (cc. 4-5); la collatio dotis
(c. 6).
Al caput 5, si fa
specificatamente riferimento ad un caso che è stato sottoposto
all’attenzione dell’imperatore[2].
Anche nelle epitomi di Teodoro e Atanasio gli estremi della situazione e della
decisione imperiale sono brevemente sintetizzati; il secondo epitomatore,
inoltre, esordisce ricordando che la regola che sta per esporre proviene da una
specifica vicenda[3].
La descrizione del caso è preceduta, all’inizio del caput, dal richiamo di una regola
generale contenuta in una precedente costituzione di Giustiniano, regola che,
però, può essere individuata solo in via congetturale, in quanto
il testo presenta una lacuna nella sua parte finale[4].
Se si accetta l’integrazione proposta da Haloander, il contenuto del
testo prevedrebbe che sia il pater
familias, nei confronti della figlia in
potestate, sia il padre naturalis
nei confronti della figlia sui iuris
devono costituirle la dote, ma possono garantirsi la restituzione tramite un
patto che la preveda espressamente, in caso di scioglimento del matrimonio[5].
Riguardo alla costituzione, è da respingere la proposta fatta
nell’apparato critico dell’edizione di Shöll-Kroll, che la
identifica con C.5.13.1.13-14, del
Non si apprende dal testo in maniera precisa la via attraverso la
quale il caso è pervenuto all’imperatore, né a quale
titolo. Il Toàto g¦r nàn
¹m‹n proshggšlqh[9], con
cui se ne introduce la descrizione, traducibile con “Ci è ora
stato comunicato” rimanda, come in altre situazioni, frequenti nelle
leggi di Giustiniano, ad una informazione che non è stata fornita
ufficialmente. Questo dato è significativo in quanto l’imperatore
non è stato chiamato in veste ufficiale ad esprimere un giudizio, ma
è stato informato ufficiosamente. Il contenuto del caso però,
rimanda inequivocabilmente, come vedremo, ad una causa davanti ad un giudice.
Si può pensare ad una richiesta di consultazione inviata alla
cancelleria, e quindi portata all’attenzione di Triboniano, che è
anche l’estensore della Novella.
La controversia è sorta tra un padre e sua figlia in merito
alla costituzione della dote per le seconde nozze della stessa, che è
vedova e si vuole risposare. In occasione del primo matrimonio il padre aveva
dato in dote alla figlia
Viene espressa a questo punto l’opinione
dell’imperatore, che individua nel comportamento del padre
l’intento di danneggiare sua figlia. Segue la decisione vera e propria,
che nel testo viene espressa con il tipico verbo nomoqetšin, con
cui usualmente si indica l’atto di emanare una legge: l’imperatore
stabilisce che il padre deve dare l’intero ammontare della dote
già costituita per il primo matrimonio, a meno che le sue condizioni
patrimoniali non siano mutate. Sarà onere del padre però
dimostrare che le sue sostanze sono diminuite. I proventi della donazione ante nuptias spettanti alla vedova sono
invece considerati alla stregua di beni parafernali, cioè come complesso
di beni non costituiti in dote[11].
Nel
caso descritto è seguito il criterio dell’equivalenza dell’ammontare
di dote e donatio, criterio che in
realtà è fissato come regola generale proprio dalla Novella
Una
testimonianza documentaria dell’applicazione della nuova riforma prevista
da Nov. 97.5 è riportata da un papiro della collezione milanese
dell’Università cattolica (P. Med. INV. 41), studiato dalla
papirologa genovese, Livia Migliardi Zingale[18].
Il documento, di età giustinianea, è un instrumentum relativo all’aumento di una donazione nuziale e della
relativa integrazione della dote fino al raggiungimento della loro
parificazione (l’ammontare arriva a
Suscita
curiosità il fatto che la donatio
sia invece detta nel testo novellare prÕ g£mou dwre£, cioè
ante nuptias, e non di¦ ga/mon dwre£, propter nuptias, dal momento che la normativa vigente era quella
sopra accennata. L’uso improprio del termine si riscontra però sia
nelle Novelle greche, sia nell’Authenticum
(ricorre 11 volte), come è stato già evidenziato da alcuni
studiosi, e si deve attribuire alla disattenzione della cancelleria
giustinianea, risulta, invece, difficile pensare ad una scelta consapevole
della stessa[21].
Il legislatore non ottempera alle proprie disposizioni, benché recenti!
Poteva il padre aver travisato la normativa in vigore? Oppure il
legislatore aveva giudicato troppo rigidamente il suo comportamento? Era
veramente il suo un tentativo di interpretazione capziosa delle leggi al fine
di ingannare la figlia?
Forse costui aveva tenuto presente una costituzione di Gustiniano
risalente al 531, concernente il problema dell’apporto patrimoniale
paterno nella donazione nuziale e nella dote in presenza di patrimoni autonomi
dei figli, cioè di peculii
avventizii. La legge, il cui contenuto presenta alcune oscurità,
ammetteva la possibilità che il padre, che non avesse mezzi sufficienti
o che intendeva contribuire solo secundum
suas vires, costituisse la dote in tutto o in parte con i beni della
figlia, e la donazione nuziale con quelli del figlio, ma doveva dichiararlo
espressamente[22].
Non abbiamo però sufficienti elementi per stabilire se proprio questa
legge avesse suscitato le pretese paterne; possiamo solo richiamare la
possibilità che forse proprio a questa legge faceva riferimento il legislatore
all’inizio del caput 5, nella
parte preliminare alla descrizione del caso[23].
Il principio che la quantificazione della dote si dovesse basare sulle
facoltà del costituente ha radici antiche, e la sua applicazione nella
legislazione giustinianea ne rappresenta una continuazione, pur con
l’accentuazione dei profili costrittivi relativi all’obbligo di
costituzione della dote stessa[24].
E' dubbio se la figlia fosse alieni
iuris o sui iuris, e mi pare
difficile giungere ad una conclusione sicura su questo interrogativo. Il fatto
che la dote sia a disposizione del pater
farebbe pensare che la figlia fosse alieni
iuris. E’ noto che in caso di morte del marito la dos profecticia andava alla donna, se sui iuris, oppure al padre o all’avente potestà se alieni iuris: in questo caso è
tornata al padre, ma in virtù di un pactum
che ne prevedeva la restituzione. A favore dell’ipotesi che la donna
fosse sui iuris pesa
l’identificazione della donazione nuziale a lei spettante con i beni
parafernali, che usualmente sono i beni extra
dotem personali della donna sui iuris[25].
Giustiniano, dunque, sancisce con
Alcune caratteristiche delle tecniche legislative di età
giustinianea si possono ricondurre al metodo casistico dei giuristi romani,
cioè a quella modalità di evoluzione del diritto romano legata
alla risoluzione del caso, che ha caratterizzato per secoli
l’attività della giurisprudenza e che continua a influenzare il
legislatore tardo[28].
L’utilizzo dei casi concreti può trovare una collocazione in
questa modalità di approccio nei confronti dell’atto normativo; si
ricordi che essa ricorre soprattutto nelle leggi create nel periodo in cui
Triboniano ricopriva la carica di quaestor
sacri palatii[29].
Prendere spunto dai casi che, direttamente o indirettamente,
arrivavano all’imperatore per emanare leggi generali serviva anche a
perseguire l’intento «di individuare con assoluta precisione e di
descrivere in modo analitico tutte le fattispecie in cui la norma poteva
trovare applicazione» per prevenire le infinite interpretazioni della
prassi[30].
* Il presente lavoro è una rielaborazione ampliata della
comunicazione Profili di tecnica
legislativa in Nov. 97.5, effettuata a Modena il 31/8/07 nell’ambito
delle giornate di studio su La scienza
giuridica dopo la compilazione. Novelle e interpreti. Ho preferito mutare il titolo originario
per adattarlo alle tematiche approfondite.
[1]
Numerosi sono gli studi condotti da MARIAGRAZIA BIANCHINI su queste tematiche.
Segnalo, senza alcuna pretesa di essere esaustiva: Caso concreto e «lex generalis». Per lo studio della tecnica
e della politica normativa da Costantino a Teodosio II, Milano 1979; Caso concreto e norma generale tra IV e V
secolo: verifica di un’ipotesi, in Atti del II seminario romanistico gardesano, Milano 1980, 509-523; Osservazioni sul testo delle Novelle
giustinianee. A proposito di Nov.
[2] Toàto g¦r nàn ¹m‹n
proshggšlqh, Óti tri£konta crus…ou litrîn
pat»r tij ™pšdwke pro‹ka, eta tÁj
qugatrÕj chreuqe…shj kaˆ deutšroij Ðmilhs£shj
g£moiv oÙk œti t¦j tri£konta taÚtaj
™pidšdwken, ¢ll¦ penteka…deka mÒnon,
™peid»per œtucen ¹ gun¾ kerd£nasa tÕ
¼misu tÁj progamia…aj dwre©j mšroj ™n
penteka…deka crus…ou l…traij Ôn, kaˆ Ð
pat¾r oÙk œti ™k tîn ˜autoà
t¦j tri£konta ™pidšdwke l…traj, ¢ll¦
penteka…deka mn aÙtÒj, penteka…deka d
™k toà kšrdouj tÁj gunaikÒj. OÙ
d…kaion to…nun ¹ghs£meqa toàto kaqest£nai,
¢ll' Ðmo…wj ™n tÍ dianomÍ œcein mn
aÙt¾n ™xa…reton tÕ tÁj
progamia…aj dwre©j kšrdoj, ™k d tîn
patrówn t¦j penteka…deka labe‹n t¦j leipomšnaj,
æj speÚsantoj toà patrÕj ¢dikÁsai
t¾n qugatšra. T… g¦r ¥n œpraxen, e„
m¾ sunšbh deutšroiv aÙt¾n ÐmilÁsai
g£moij, ¢ll¦ me‹nai tÕn aÙtoà
gambrÕn periÒnta; À pîj ½mellen
™lattoàn t¾n pro‹ka t¾n ½dh par'
aÙtoà dedomšnhn, À tÕ ‡dion
aÙtÁj kšrdoj o„keioàsqai kaˆ e„j
pro‹ka toà deutšrou ¢ndrÕj ¥gein;
ka…toi dšon aÙt¾n ™n parafšrnoij
taàta œcein, kaˆ ‡swj di¦ taÚthn
t¾n a„t…an eÙporwtšrJ sunoike‹n ¢ndr…, oÙ mÒnon
tri£konta litrîn kur…an ginomšnhn, tîn te
penteka…deka tÁj progamia…aj dwre©j kaˆ tîn
penteka…deka tîn par¦ toà patrÕj
™pidedomšnwn, ¢ll¦ pšnte kaˆ
tessar£konta, toà mn ™n parafšrnoij
aÙtÍ kaqestîtoj toà par¦ tÁj
tÚchj aÙtÍ dedomšnou kšrdouj, toà d
™k filotim…aj patróaj ™pidedomšnou kaˆ
mšnontoj ¢kera…ou. Taàta d nomoqetoàmen,
e‡per kaˆ ¹ toà patrÕj perious…a
me…neie ™pˆ toà aÙtoà sc»matoj
™f' oáper prÒteron Ãn.
[4] 'Epeid¾ d ½dh nÒmon ™gr£yamen,
éste tÕn patšra ¤pax ™pidÒnta
pro‹ka Øpr qugatrÕj Øpexous…aj, À
aÙtexous…aj mšn, t¾n d ™pan£dosin
e„j ˜autÕn pepoihkÒta <........>.
[5]
L’integrazione proposta è dialuqe/ntoj toà ga/mou
t¾n pro‹ka ™panalabe‹n. Si veda
l’apparato critico dell’edizione Shöll-Kroll, ad loc. cit.
[6]
Sulla costituzione, che occupa un posto di rilievo nell’ambito delle
riforme in materia dotale, P. BONFANTE, Corso
di diritto romano, 1, Milano 1963 (rist. corretta I ed. 1925), in partic.
477-478; C. FAYER, La
«familia» romana, 2, Roma 2005, 734-738.
[7]
C.5.11.7 pr., 2, Iust. Iohanni pp.: Si pater dotem pro filia simpliciter dederit
vel pro filio ante nuptias donationem fecerit, habeat autem filius vel in
potestate constitutus vel forte emancipatus res maternas vel ex alio modo
tales, quae adquisitionem effugiunt, quarum usus fructus solus apud patrem
remanet, vel quocumque modo poterat quasdam actionem contra patrem habere,
dubitabatur apud veteres, utrumne videatur pater ex ipso debito dotis vel ante
nuptias donationis fecisse promissionem vel dationem, ut sese ab huiusmodi nexu
liberet, an debitum quidem remanet in sua natura, liberalitas autem paterna
dotem vel ante nuptias donationem dare suggessit….Neque enim leges
incognitae sunt, quibus cautum est omnimodo paternum esse officium dotes vel
ante nuptias donationes pro sua dare progenie. Sul generale obbligo di dotare
sancito nella legge G. CASTELLI, Intorno
all’origine dell’obbligo di dotare in diritto romano, (BIDR 1913) in Scritti giuridici, Milano 1923, 138-139; P. BONFANTE, Corso cit., 407; E. VOLTERRA, Diritto di famiglia, Bologna 1946,
265-266.
[8]
…™zht»qh par£ tisin,
e„ prosÁkÒn ™sti teleut»santoj toà
gambroà kaˆ ™panelqoÚshj e„j tÕn
patšra tÁj par' aÙtoà dedomšnhj proikÕj
taÚthn tÕn patšra tÕn ¤pax
™pidedwkÒta dÚnasqai e„j deutšrouj
¢fiknoumšnhj tÁj paidÕj g£mouj
™lattoàn, À toàto m¾ poie‹n,
™nqumoÚmenon æj ¤pax ™kpepo…htai
tÁj aØtoà perious…aj, ¢ll¦ tù
aÙtù mštrJ aÙtÍ
gamoumšnV p£lin didÒnai, ésper ¨n e„ mhd
œtuce chreÚsasa.
[9] Il
testo è riportato alla nt. 2.
[10]
Diversa è l’interpretazione di N. VAN DER WAL, Manuale Novellarum Justiniani, Groningue
1998, 81, n. 610, che però non mi pare trovi riscontri nel testo: il
padre che ha ottenuto per la dissoluzione del primo matrimonio il lucrum convenuto sulla donatio (con la stipulatio con cui ha dotato la figlia sui iuris), deve costituire una dote uguale a quella del primo
matrimonio e deve rendere il lucrum
che ha ricevuto.
[11]
Così V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni
di diritto romano, rist. an. 14ª ed. (1978), Napoli 1985, 458.
Sull’interpretazione della configurazione di tali beni nel contesto del
caso esaminato ci sono pareri non unanimi: M. García
GARRIDO,
Ius uxorium. El regimen patrimonial de la
mujer casada en derecho romano, Madrid 1958, 31-37,
non si sbilancia sul significato del termine adoperato: esso può
indicare sia il complesso dei beni extra
dotem in proprietà della donna, sia i beni che la donna può
consegnare al marito, in caso di un secondo matrimonio, allo specifico titolo
di beni parafernali. Per la distinzione tra le due categorie G. CASTELLI, I PARAFERNA nei papiri greco-egizi e nelle fonti romane, in Scritti cit., 88-89; cfr. anche E.
GERNER, Beiträge zum Recht der
Parapherna, München 1954, 56, 58, che nel contesto della Nov. 97
attribuisce al termine un significato generico, differente da quello usato nei
papiri greco-egizi, nei quali è usato sempre per indicare un apporto
della moglie che si aggiunge alla dote. La menzione dei beni parafernali nel
diritto giustinianeo è piuttosto rara e si reperisce, oltreché
nella nostra Novella, in C.5.14.11, Iohanni pp.
a. 530, che ne fissa il regime, e in Ed. 9.7, Triboniano pu.: P. BONFANTE, Corso cit., 510-512.
[12] Sulla riforma introdotta da
Nov.
[13]
F. BRANDILEONE, Sulla storia cit.,
74: ritiene che sia stata la prassi a imporre che la dote e la donazione
obnuziale fossero della stessa entità.
[14] Sui pacta de lucranda donatione A.S. Scarcella, Il regime pattizio dei beni vedovili nel diritto giustinianeo, in Labeo 39, 1993, in partic. 378 ss. I
patti erano indispensabili per garantire alla vedova il proprio mantenimento.
Su questo aspetto si veda ampiamente anche F. BRANDILEONE, Sulla storia cit., 77 ss.
[15]
C.5.14.10, Iust. Menae pp.
a. 529: Lege Leonis divae memoriae pacta
lucrorum dotis et ante nuptias donationis paria esse sanciente nec adiciente,
quid fieri oporteat, si hoc minime observatum sit, nos omnia clara esse
cupientes praecipimus disparibus eis factis maiorem lucri partem ad minorem
deduci, ut eo modo uterque minorem partem lucretur.
[16] C.5.3.20.7,
Iust. Iohanni pp.,
531-533: Ita tamen, ut
Leoniana constitutio, quae super exaequatione pactionum loquitur non in
quantitate, sed in partibus, maneat in his casibus intacta, et non solum ea
immutilata custodiatur, sed etiam nostra, quam de interpretatione eius fecimus
ambiguitatem eius tollentes: disparibus etenim pactionibus factis maiorem lucri
partem ad minorem deducendam esse censemus, ut eodem modo uterque minorem
partem lucretur.
[17] C.5.14.9, Leo
et Anth. Nicostrato pp.:
Ex morte cuiuscumque personae sive mariti
sive mulieris eandem partem, non pecuniae quantitatem, tam virum ex dote quam
mulierem ex ante nuptias donatione lucrari decernimus. Veluti si maritus mille
solidorum ante nuptias donationem confecerit, licebit mulieri et minoris et
amplioris quantitatis dotem offerre et marito similiter ante nuptias
donationem: hoc tamen observandum est, ut quantam partem mulier stipuletur sibi
lucro cedere ex ante nuptias donatione, si priorem maritum mori contigerit,
tantam et maritus ex dote partem, non pecuniae quantitatem, stipuletur sibi, si
constante matrimonio prior mulier in fata collapsa fuerit. Et si pactum contra
vetitum fuerit subsecutum, infirmum atque invalidum hoc esse , ut nulla ex eo
procedere possit exactio, praecipimus. Eadem custodiri censemus, sive pater pro
filio sive mater sive ipse ducturus uxorem sui iuris constitutus sive quilibet
alius pro eo ante nuptias donationem nupturae dederit. Simili quoque modo, sive
pater pro filia sive mater sive ipsa pro se, sui iuris videlicet constituta,
sive quilibet alius pro ea uxorem ducturo dotem dederit seu promiserit, quoniam
et alio pro ea offerente dotem ipsa eam pro se videtur offerre. Quod adeo verum
est, ut et ipsa ab alio pro se oblatam dotem in lucrum suum reposcat, nisi forte
is qui eam obtulit statim (id est tempore oblationis seu promissionis)
stipulatus vel pactus sit, ut sibi dos praedicta reddatur. La costituzione
di Leone è la prima in ordine temporale che fa riferimento ai pacta: F. BRANDILEONE, Sulla storia cit., 56; in merito al
contenuto 64-66. Sulla legge e sul suo recupero nella legislazione di
Giustiniano P. BONFANTE, Corso cit.,
527-528; G. VISMARA, La donazione
cit., 403; 405; e più recentemente A.S. SCARCELLA, La legislazione di Leone I, Milano 1997, 105-113. Con le nuove
disposizioni di Nov. 97 la politica legislativa giustinianea ripropone le
regole già presenti nella normativa di Valentiniano III (Nov. Val. 35 [34].9, a. 452) e di
Maioriano (Nov. Maior. 6.9, a. 458): E. LOZANO CORBÍ, Las donaciones nupciales en el Derecho
Romano, in RIDA 42, 1995,
226-229.
[18] Il
papiro è stato pubblicato da S. DARIS in Aegyptus 29, 1979, 85-87 ed è riedito in SB XVI 12230. Lo studio citato è
L. MIGLIARDI ZINGALE, Rileggendo P. Med.
Inv. 41: legislazione giustinianea e prassi in tema di dote e donazione nuziale,
in JJP. 20, 1990, 109-112.
[19]
La costituzione è in C.5.3.20 pr., Iust. Iohanni pp., 531-533: Cum multae nobis interpellationes factae sunt adversus maritos, qui
decipiendo suas uxores faciebant donationes, quas ante nuptias antiquitas nominavit,
insinuare autem eas actis intervenientibus supersedebant, ut ineffectae maneant
et ipsi quidem commoda dotis lucrentur, uxores autem sine nuptiali remedio
relinquantur, sancimus nomine prius emendato ita rem corrigi et non ante
nuptias donationem eam vocari, sed propter nuptias donationem. Cfr.
anche I.2.7.3. Un commento del testo in P. FERRETTI, Le donazioni cit., 227-233.
[20]
L. MIGLIARDI ZINGALE, Rileggendo
P. Med. Inv. 41, 109-112: l’A. sottolinea, in partic. a pag. 112,
come il redattore del documento mostri di conoscere bene le normativa
giustinianea in tema di dote e donazione e di saper adoperare lo stile della
cancelleria imperiale.
[21] Sul
ruolo della cancelleria nella ripetizione dell’errore F. BRIGUGLIO, L’«Epitome Iuliani» e il
«Legum Iustiniani imperatoris vocabolarium», in Rivista di Diritto Romano 1, 2001, 7-9.
L’espressione donatio ante nuptias
ricorre frequentemente anche nell’Epitome
Iuliani (27 vv). Sul problema
linguistico e sulla datazione della costituzione che impone il mutamento
lessicale G. LUCHETTI, Il matrimonio
‘cum scriptis’ e ‘sine scriptis’ nelle fonti giuridiche
giustinianee, in BIDR 92-93,
1989-1990, 332, nt. 9; Id., La legislazione imperiale nelle Istituzioni
di Giustiniano, Milano 1996, 176, nt. 70.
[22]
C.5.11.7, Iust. Iohanni
pp. a. 531.
Ai fini della nostra riflessione è particolarmente importante il
paragrafo 5 della costituzione: Si
vero et ipse substantiam idoneam possidet, et in hoc casu de suo patrimonio
dotem vel ante nuptias donationem dedisse intellegatur. Poterat enim secundum suas vires dotem pro filia
vel ante nuptias donationem pro filio dare et consentire filiis suis, quando
voluerint partem vel forte totam suam substantiam quam habent paternae
liberalitati pro dote et ante nuptias donatione adgregare, ut re vera appareat,
quid ipse vult dare et quid de substantia filiorum proficiscitur, ne, dum
effuso sermone sese iactet, in promptum incidat sui periculum. Sulla
costituzione BONFANTE, Corso
cit.,
410-411.
[24] In
particolare è presente in Celso (D.23.3.60, 11 dig.; Idem, D.32.43, 15 dig.)
e in Papiniano (D.23.3.69.4-5, 4 resp.).
Per la legislazione giustinianea si veda C.1.5.19.3, Demostheni pp. a. 529: secundum vires patrimonii huiusmodi liberalitatibus aestimandis;
C.5.11.7.5, Iohanni pp. a. 531: secundum suas vires.
[26] Su
questo come sugli altri principi reiterati nella legislazione novellare G.
LANATA, Legislazione e natura nelle
Novelle Giustinianee, Napoli 1984, 94 ss.
[27]
N.97.6.2: 'All' ™peid»per ™n
pl»qei tîn nÒmwn Ôntwn, prˆn aÙtoÝj
katast»saimen kaˆ e„j eÙsÚnopton
¢g£goimen t£xin, poll¦ kaˆ tîn ¢nagka…wn
ºgnoe‹to kaˆ yÁfoi t¢nant…a boulÒmenoi
par¦ tîn dikastîn ™tšqhsan, †na m»
tij ™xap£th perˆ taàta gšnoito, di¦
toàto ¢nagka‹on ™nom…samen, ¥llwj te kaˆ
™n mšsJ tÁj ¹metšraj
teqe…shj diat£xewj tÁj kaˆ sunestètwn tîn
g£mwn tÍ gunaikˆ bohqoÚshj, ™pˆ
kall…ona kaˆ m©llon ¢kÒlouqon ÐdÕn ™lqÒntej
tÕn parÒnta qšsqai nÒmon.
[28] La
riflessione è in F. SITZIA, Norme
imperiali e interpretazioni della prassi, in Il diritto fra scoperta e creazione. Giudici e giuristi nella storia
della giustizia civile, Atti del
Convegno Internazionale della Società di storia del diritto, Napoli
2003, 308; 310-311. Sul rapporto tra caso concreto e norme generali si veda
anche dello stesso autore Novella 19: fra
problemi di tecnica legislativa e cavilli della prassi, in Nozione formazione e interpretazione del
diritto dall’età romana alle esperienze moderne, Napoli 1997,
319-336; in particolare 332.
[29] M.
BIANCHINI, Osservazioni cit., 275:
«E’ da notare…..come la presenza, in una lex, di riferimenti specifici a fatti o persone ovvero a pronunzie
imperiali su singoli casi, cui si riannoda una disciplina di più
generale portata, sia fenomeno essenzialmente circoscritto agli anni della quaestura di Triboniano». Sui
cambiamenti riscontrabili nello stile legislativo dopo la scomparsa di
Triboniano R. BONINI, Introduzione allo
studio dell’età giustinianea, Bologna 1977, 71-72.