ds_gen N. 6 – 2007 – Memorie//Scienza-giuridica

 

gloria viarengo3Gloria Viarengo

Università di Genova

 

Il caso e la legge in Nov. 97.5*

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. Il caso. – 3. I riferimenti normativi. – 4. Prassi e legislazione.

 

 

1. – Premessa

 

La ricerca dei casi concreti nelle Novelle e nelle relative epitomi ci ha posto di fronte ad un compito difficile: analizzare parti di questa legislazione perlopiù neglette dagli studiosi. Solo ad alcuni di essi il legislatore ha dato un ampio spazio, illustrandoli con descrizioni dettagliate: ciò è avvenuto, solitamente, quando costituivano essi stessi l’occasio legis, il motivo che aveva dato luogo all’intervento legislativo; la maggior parte dei riferimenti a processi, a consultazioni di funzionari o a richieste di privati sono inseriti usualmente in contesti normativi molto ampi, nell’ambito dei quali rappresentano delle brevi parentesi, delle esemplificazioni episodiche il cui contesto è descritto sommariamente dall’estensore della legge. Proprio per questi casi – che, tra quelli che sono stati identificati nel corso del lavoro del nostro gruppo di ricerca, costituiscono la parte più cospicua - le difficoltà interpretative sono notevoli, in quanto il tentativo di generalizzazione compiuto dall’estensore non è giunto a cancellare il riferimento alla singola vicenda, né, d’altra parte ne aveva l’intenzione, ma ne ha oscurato molte parti importanti.

E’, comunque, un dato evidente che i riferimenti alla prassi facciano parte della tecnica legislativa del tardo impero, così come le leggi generali che li contengono.

La scuola genovese ha dato importanti contributi allo studio delle tecniche legislative giustinianee e pregiustinianee dei quali sarebbe troppo lungo fare l’elenco, ma, soprattutto, ha aperto la strada all’attuale ricerca con lo studio dei casi nella legislazione del Codice Teodosiano e in quella novellare. Mi riferisco in particolare ai numerosi studi compiuti dal responsabile locale e coordinatore del nostro gruppo di lavoro, Mariagrazia Bianchini, che hanno fornito gli strumenti e il modello per compiere la ricerca[1].

 

2. – Il caso

 

Renderò conto nella mia relazione del caso descritto nella Novella 97 di Giustiniano. La costituzione, risalente all’agosto del 539, è una legge generale inviata al prefetto del pretorio Giovanni. Con questo intervento il legislatore tendeva ad un riesame unitario della normativa concernente la dote e la sua restituzione. Le norme ivi contenute costituiscono una sorta di completo coordinamento delle diverse fonti che regolavano la materia, ma introducono anche significative riforme. Nei sei capitoli di cui è composta la legge vengono regolati i seguenti punti: i patti dotali e l’equivalenza di dote e donazione nuziale (c. 1); gli aumenti della dote (c. 2); i privilegi della dote (c. 3); l’obbligo di dote nelle seconde nozze (cc. 4-5); la collatio dotis (c. 6).

Al caput 5, si fa specificatamente riferimento ad un caso che è stato sottoposto all’attenzione dell’imperatore[2]. Anche nelle epitomi di Teodoro e Atanasio gli estremi della situazione e della decisione imperiale sono brevemente sintetizzati; il secondo epitomatore, inoltre, esordisce ricordando che la regola che sta per esporre proviene da una specifica vicenda[3].

La descrizione del caso è preceduta, all’inizio del caput, dal richiamo di una regola generale contenuta in una precedente costituzione di Giustiniano, regola che, però, può essere individuata solo in via congetturale, in quanto il testo presenta una lacuna nella sua parte finale[4]. Se si accetta l’integrazione proposta da Haloander, il contenuto del testo prevedrebbe che sia il pater familias, nei confronti della figlia in potestate, sia il padre naturalis nei confronti della figlia sui iuris devono costituirle la dote, ma possono garantirsi la restituzione tramite un patto che la preveda espressamente, in caso di scioglimento del matrimonio[5]. Riguardo alla costituzione, è da respingere la proposta fatta nell’apparato critico dell’edizione di Shöll-Kroll, che la identifica con C.5.13.1.13-14, del 530, in quanto tale legge si occupa soprattutto dei profili processuali della restituzione della dote[6].  Non sono riuscita a trovare, negli studi che si sono occupati di questa parte di Nov. 97.5, la formulazione di altre ipotesi alternative, che, invece, possono essere individuate. Mi sembra, ad esempio,  che potrebbe corrispondere meglio al contesto della Novella in esame il riferimento ad una legge del 531, che sancisce l’obbligo di costituzione della dote sia per il pater familias, che per il padre non titolare di patria potestà[7]. Questa opzione si adatterebbe molto bene anche al tipo di problema che il legislatore deve affrontare e risolvere - e che è stato sollevato da molti – che riguarda l’interrogativo se i padri sono obbligati a costituire la dote anche nell’eventualità che la figlia sia rimasta vedova e voglia contrarre un secondo matrimonio[8].

Non si apprende dal testo in maniera precisa la via attraverso la quale il caso è pervenuto all’imperatore, né a quale titolo. Il Toàto g¦r nàn ¹m‹n proshggšlqh[9], con cui se ne introduce la descrizione, traducibile con “Ci è ora stato comunicato” rimanda, come in altre situazioni, frequenti nelle leggi di Giustiniano, ad una informazione che non è stata fornita ufficialmente. Questo dato è significativo in quanto l’imperatore non è stato chiamato in veste ufficiale ad esprimere un giudizio, ma è stato informato ufficiosamente. Il contenuto del caso però, rimanda inequivocabilmente, come vedremo, ad una causa davanti ad un giudice. Si può pensare ad una richiesta di consultazione inviata alla cancelleria, e quindi portata all’attenzione di Triboniano, che è anche l’estensore della Novella.

La controversia è sorta tra un padre e sua figlia in merito alla costituzione della dote per le seconde nozze della stessa, che è vedova e si vuole risposare. In occasione del primo matrimonio il padre aveva dato in dote alla figlia 30 libbre d’oro con un patto di restituzione in caso di scioglimento del matrimonio, ma in occasione delle seconde nozze aveva deciso di dare dal suo patrimonio 15 libbre d’oro, mentre le altre 15 sarebbero state conteggiate dal patrimonio della figlia, la quale aveva lucrato la metà della donazione nuziale del precedente matrimonio, ammontante esattamente a 15 libbre d’oro. La decisione paterna aveva scontentato la figlia, dando luogo alla controversia[10].

Viene espressa a questo punto l’opinione dell’imperatore, che individua nel comportamento del padre l’intento di danneggiare sua figlia. Segue la decisione vera e propria, che nel testo viene espressa con il tipico verbo nomoqetšin, con cui usualmente si indica l’atto di emanare una legge: l’imperatore stabilisce che il padre deve dare l’intero ammontare della dote già costituita per il primo matrimonio, a meno che le sue condizioni patrimoniali non siano mutate. Sarà onere del padre però dimostrare che le sue sostanze sono diminuite. I proventi della donazione ante nuptias spettanti alla vedova sono invece considerati alla stregua di beni parafernali, cioè come complesso di beni non costituiti in dote[11].

 

3. – I riferimenti normativi

 

Nel caso descritto è seguito il criterio dell’equivalenza dell’ammontare di dote e donatio, criterio che in realtà è fissato come regola generale proprio dalla Novella 97 in praefatio e ai capitoli 1-2[12]. E dunque  in esso alle 30 libbre auree di dote corrispondono 30 libbre della donatio ante nuptias, non in virtù della legge, quanto di una prassi in qualche modo consolidata[13]. Alla vedova invece spettavano 15 libbre della donatio del marito, cioè la metà dell’ammontare, in virtù di un patto de lucranda donatione, fatto prima o dopo il matrimonio, che usualmente prevedeva questa suddivisione (l’altra metà rimaneva alla famiglia del marito)[14]. La regolamentazione in vigore riguardo all’ammontare dei lucri sulla dote e sulla donazione obnuziale, quantificati nei patti dotali, era stata fissata da Giustiniano con una costituzione risalente al 529, inserita nel primo Codice[15], normativa ripresa poi in una costituzione del 531-533[16]: in queste leggi si riprendevano le disposizioni emanate da Leone I nel 468, che prevedevano l’uguaglianza delle quote previste per dote e donatio (il marito doveva lucrare dalla dote la stessa parte o quota che la moglie lucrava dalla donatio)  e la nullità dei patti che avessero ad oggetto frazioni diverse da quelle previste[17].

Una testimonianza documentaria dell’applicazione della nuova riforma prevista da Nov. 97.5 è riportata da un papiro della collezione milanese dell’Università cattolica (P. Med. INV. 41), studiato dalla papirologa genovese, Livia Migliardi Zingale[18]. Il documento, di età giustinianea, è un instrumentum relativo all’aumento di una donazione nuziale e della relativa integrazione della dote fino al raggiungimento della loro parificazione (l’ammontare arriva a 50 libbre d’oro e 500 d’argento per ciascuna). Si colloca temporalmente dopo il 531-532, perché il linguaggio con cui si indica la donazione, di¦ toÝj g£mouj dwre£, è conforme alle disposizioni emanate in quell’epoca[19]; ma probabilmente è anche posteriore al 539, cioè all’emanazione della Nov. 97, in quanto nel papiro si trovano alcuni termini che sembrano riprodurre le parole stesse della costituzione[20].

Suscita curiosità il fatto che la donatio sia invece detta nel testo novellare prÕ g£mou dwre£, cioè ante nuptias, e non di¦ ga/mon dwre£, propter nuptias, dal momento che la normativa vigente era quella sopra accennata. L’uso improprio del termine si riscontra però sia nelle Novelle greche, sia nell’Authenticum (ricorre 11 volte), come è stato già evidenziato da alcuni studiosi, e si deve attribuire alla disattenzione della cancelleria giustinianea, risulta, invece, difficile pensare ad una scelta consapevole della stessa[21]. Il legislatore non ottempera alle proprie disposizioni, benché recenti!

Poteva il padre aver travisato la normativa in vigore? Oppure il legislatore aveva giudicato troppo rigidamente il suo comportamento? Era veramente il suo un tentativo di interpretazione capziosa delle leggi al fine di ingannare la figlia?

Forse costui aveva tenuto presente una costituzione di Gustiniano risalente al 531, concernente il problema dell’apporto patrimoniale paterno nella donazione nuziale e nella dote in presenza di patrimoni autonomi dei figli, cioè di peculii avventizii. La legge, il cui contenuto presenta alcune oscurità, ammetteva la possibilità che il padre, che non avesse mezzi sufficienti o che intendeva contribuire solo secundum suas vires, costituisse la dote in tutto o in parte con i beni della figlia, e la donazione nuziale con quelli del figlio, ma doveva dichiararlo espressamente[22]. Non abbiamo però sufficienti elementi per stabilire se proprio questa legge avesse suscitato le pretese paterne; possiamo solo richiamare la possibilità che forse proprio a questa legge  faceva riferimento il legislatore all’inizio del caput 5, nella parte preliminare alla descrizione del caso[23]. Il principio che la quantificazione della dote si dovesse basare sulle facoltà del costituente ha radici antiche, e la sua applicazione nella legislazione giustinianea ne rappresenta una continuazione, pur con l’accentuazione dei profili costrittivi relativi all’obbligo di costituzione della dote stessa[24].

E' dubbio se la figlia fosse alieni iuris o sui iuris, e mi pare difficile giungere ad una conclusione sicura su questo interrogativo. Il fatto che la dote sia a disposizione del pater farebbe pensare che la figlia fosse alieni iuris. E’ noto che in caso di morte del marito la dos profecticia andava alla donna, se sui iuris, oppure al padre o all’avente potestà se alieni iuris: in questo caso è tornata al padre, ma in virtù di un pactum che ne prevedeva la restituzione. A favore dell’ipotesi che la donna fosse sui iuris pesa l’identificazione della donazione nuziale a lei spettante con i beni parafernali, che usualmente sono i beni extra dotem personali della donna sui iuris[25].

 

4. – Prassi e legislazione

 

Giustiniano, dunque, sancisce con la Novella 97 l’obbligo di costituire alla figlia, in caso di seconde nozze, una dote uguale a quella costituita nelle prime nozze. Come abbiamo precedentemente detto si può ipotizzare che il parere dato su questo caso sia poi stato inviato dalla cancelleria al giudice. Proprio al cattivo funzionamento dei tribunali si fa riferimento nella parte finale di Nov. 97, all’inizio del paragrafo 2 del VI capitolo, dove si afferma che la legge, nel suo complesso, è stata motivata, oltreché dalla moltitudine di norme sulla materia, che vanno ricondotte alla taxis (uno dei principi a cui Triboniano fa frequentemente ricorso[26]), dalle sentenze contraddittorie dei giudici[27]. I due motivi mi sembrano in stretta connessione: quando le leggi mutano rapidamente, aumenta la confusione dei giudici, ed anche i relativi tentativi di abuso.

Alcune caratteristiche delle tecniche legislative di età giustinianea si possono ricondurre al metodo casistico dei giuristi romani, cioè a quella modalità di evoluzione del diritto romano legata alla risoluzione del caso, che ha caratterizzato per secoli l’attività della giurisprudenza e che continua a influenzare il legislatore tardo[28]. L’utilizzo dei casi concreti può trovare una collocazione in questa modalità di approccio nei confronti dell’atto normativo; si ricordi che essa ricorre soprattutto nelle leggi create nel periodo in cui Triboniano ricopriva la carica di quaestor sacri palatii[29].

Prendere spunto dai casi che, direttamente o indirettamente, arrivavano all’imperatore per emanare leggi generali serviva anche a perseguire l’intento «di individuare con assoluta precisione e di descrivere in modo analitico tutte le fattispecie in cui la norma poteva trovare applicazione» per prevenire le infinite interpretazioni della prassi[30].

 

 



 

* Il presente lavoro è una rielaborazione ampliata della comunicazione Profili di tecnica legislativa in Nov. 97.5, effettuata a Modena il 31/8/07 nell’ambito delle giornate di studio su La scienza giuridica dopo la compilazione. Novelle e interpreti.  Ho preferito mutare il titolo originario per adattarlo alle tematiche approfondite.

 

[1] Numerosi sono gli studi condotti da MARIAGRAZIA BIANCHINI su queste tematiche. Segnalo, senza alcuna pretesa di essere esaustiva: Caso concreto e «lex generalis». Per lo studio della tecnica e della politica normativa da Costantino a Teodosio II, Milano 1979; Caso concreto e norma generale tra IV e V secolo: verifica di un’ipotesi, in Atti del II seminario romanistico gardesano, Milano 1980, 509-523; Osservazioni sul testo delle Novelle giustinianee. A proposito di Nov. 93, in Studi bizantini e neogreci, Galatina 1983, 267-276; Matrimonio e disparità sociali. Nov. Anth. 1 fra interpretazione e innovazione, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 36.1, 2006, 11-14. Colgo inoltre l’occasione per ringraziarla dei preziosi suggerimenti elargiti generosamente nel corso delle nostre discussioni.

 

[2] Toàto g¦r nàn ¹m‹n proshggšlqh, Óti tri£konta crus…ou litrîn pat»r tij ™pšdwke pro‹ka, eta tÁj qugatrÕj chreuqe…shj kaˆ deutšroij Ðmilhs£shj g£moiv oÙk œti t¦j tri£konta taÚtaj ™pidšdwken, ¢ll¦ penteka…deka mÒnon, ™peid»per œtucen ¹ gun¾ kerd£nasa tÕ ¼misu tÁj progamia…aj dwre©j mšroj ™n penteka…deka crus…ou l…traij Ôn, kaˆ Ð pat¾r oÙk œti ™k tîn ˜autoà t¦j tri£konta ™pidšdwke l…traj, ¢ll¦ penteka…deka mn aÙtÒj, penteka…deka d ™k toà kšrdouj tÁj gunaikÒj. OÙ d…kaion to…nun ¹ghs£meqa toàto kaqest£nai, ¢ll' Ðmo…wj ™n tÍ dianomÍ œcein mn aÙt¾n ™xa…reton tÕ tÁj progamia…aj dwre©j kšrdoj, ™k d tîn patrówn t¦j penteka…deka labe‹n t¦j leipomšnaj, æj speÚsantoj toà patrÕj ¢dikÁsai t¾n qugatšra. T… g¦r ¥n œpraxen, e„ m¾ sunšbh deutšroiv aÙt¾n ÐmilÁsai g£moij, ¢ll¦ me‹nai tÕn aÙtoà gambrÕn periÒnta; À pîj ½mellen ™lattoàn t¾n pro‹ka t¾n ½dh par' aÙtoà dedomšnhn, À tÕ ‡dion aÙtÁj kšrdoj o„keioàsqai kaˆ e„j pro‹ka toà deutšrou ¢ndrÕj ¥gein; ka…toi dšon aÙt¾n ™n parafšrnoij taàta œcein, kaˆ ‡swj di¦ taÚthn t¾n a„t…an eÙporwtšrJ sunoike‹n ¢ndr…, oÙ mÒnon tri£konta litrîn kur…an ginomšnhn, tîn te penteka…deka tÁj progamia…aj dwre©j kaˆ tîn penteka…deka tîn par¦ toà patrÕj ™pidedomšnwn, ¢ll¦ pšnte kaˆ tessar£konta, toà mn ™n parafšrnoij aÙtÍ kaqestîtoj toà par¦ tÁj tÚchj aÙtÍ dedomšnou kšrdouj, toà d ™k filotim…aj patróaj ™pidedomšnou kaˆ mšnontoj ¢kera…ou. Taàta d nomoqetoàmen, e‡per kaˆ ¹ toà patrÕj perious…a me…neie ™pˆ toà aÙtoà sc»matoj ™f' oáper prÒteron Ãn.

 

[3] Theod. 97.7; Ath. 10.6; cfr. anche Jul. 90.5.

 

[4] 'Epeid¾ d ½dh nÒmon ™gr£yamen, éste tÕn patšra ¤pax ™pidÒnta pro‹ka Øpr qugatrÕj Øpexous…aj, À aÙtexous…aj mšn, t¾n d ™pan£dosin e„j ˜autÕn pepoihkÒta <........>.

 

[5] L’integrazione proposta è dialuqe/ntoj toà ga/mou t¾n pro‹ka ™panalabe‹n. Si veda l’apparato critico dell’edizione Shöll-Kroll, ad loc. cit.

 

[6] Sulla costituzione, che occupa un posto di rilievo nell’ambito delle riforme in materia dotale, P. BONFANTE, Corso di diritto romano, 1, Milano 1963 (rist. corretta I ed. 1925), in partic. 477-478; C. FAYER, La «familia» romana, 2, Roma 2005, 734-738.

 

[7] C.5.11.7 pr., 2, Iust. Iohanni pp.: Si pater dotem pro filia simpliciter dederit vel pro filio ante nuptias donationem fecerit, habeat autem filius vel in potestate constitutus vel forte emancipatus res maternas vel ex alio modo tales, quae adquisitionem effugiunt, quarum usus fructus solus apud patrem remanet, vel quocumque modo poterat quasdam actionem contra patrem habere, dubitabatur apud veteres, utrumne videatur pater ex ipso debito dotis vel ante nuptias donationis fecisse promissionem vel dationem, ut sese ab huiusmodi nexu liberet, an debitum quidem remanet in sua natura, liberalitas autem paterna dotem vel ante nuptias donationem dare suggessit….Neque enim leges incognitae sunt, quibus cautum est omnimodo paternum esse officium dotes vel ante nuptias donationes pro sua dare progenie. Sul generale obbligo di dotare sancito nella legge G. CASTELLI, Intorno all’origine dell’obbligo di dotare in diritto romano, (BIDR 1913) in Scritti giuridici, Milano 1923, 138-139; P. BONFANTE, Corso cit., 407; E. VOLTERRA, Diritto di famiglia, Bologna 1946, 265-266.

 

[8]™zht»qh par£ tisin, e„ prosÁkÒn ™sti teleut»santoj toà gambroà kaˆ ™panelqoÚshj e„j tÕn patšra tÁj par' aÙtoà dedomšnhj proikÕj taÚthn tÕn patšra tÕn ¤pax ™pidedwkÒta dÚnasqai e„j deutšrouj ¢fiknoumšnhj tÁj paidÕj g£mouj ™lattoàn, À toàto m¾ poie‹n, ™nqumoÚmenon æj ¤pax ™kpepo…htai tÁj aØtoà perious…aj, ¢ll¦ tù aÙtù mštrJ aÙtÍ gamoumšnV p£lin didÒnai, ésper ¨n e„ mhd œtuce chreÚsasa.

 

[9] Il testo è riportato alla nt. 2.

 

[10] Diversa è l’interpretazione di N. VAN DER WAL, Manuale Novellarum Justiniani, Groningue 1998, 81, n. 610, che però non mi pare trovi riscontri nel testo: il padre che ha ottenuto per la dissoluzione del primo matrimonio il lucrum convenuto sulla donatio (con la stipulatio con cui ha dotato la figlia sui iuris), deve costituire una dote uguale a quella del primo matrimonio e deve rendere il lucrum che ha ricevuto.

 

[11] Così V. ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto romano, rist. an. 14ª ed. (1978), Napoli 1985, 458. Sull’interpretazione della configurazione di tali beni nel contesto del caso esaminato ci sono pareri non unanimi: M. García GARRIDO, Ius uxorium. El regimen patrimonial de la mujer casada en derecho romano, Madrid 1958, 31-37, non si sbilancia sul significato del termine adoperato: esso può indicare sia il complesso dei beni extra dotem in proprietà della donna, sia i beni che la donna può consegnare al marito, in caso di un secondo matrimonio, allo specifico titolo di beni parafernali. Per la distinzione tra le due categorie G. CASTELLI, I PARAFERNA nei papiri greco-egizi e nelle fonti romane, in Scritti cit., 88-89; cfr. anche E. GERNER, Beiträge zum Recht der Parapherna, München 1954, 56, 58, che nel contesto della Nov. 97 attribuisce al termine un significato generico, differente da quello usato nei papiri greco-egizi, nei quali è usato sempre per indicare un apporto della moglie che si aggiunge alla dote. La menzione dei beni parafernali nel diritto giustinianeo è piuttosto rara e si reperisce, oltreché nella nostra Novella, in C.5.14.11, Iohanni pp. a. 530, che ne fissa il regime, e in Ed. 9.7, Triboniano pu.:  P. BONFANTE, Corso cit., 510-512.

 

[12] Sulla riforma introdotta da Nov. 97 F. BRANDILEONE, Sulla storia e la natura della «donatio propter nuptias», Bologna 1892, 67; G. VISMARA, La donazione nuziale nel diritto romano, in Cristanesimo e diritto romano, Milano 1935, 405, P. BONFANTE, Corso cit., 529. l’A., ibid. nt. 1, però ritiene che l’uguaglianza aritmetica di dote e donatio, limitatamente alla donazione che si effettua durante le nozze, risalga ad una costituzione del 531-33, C.5.3.20.5: Si igitur dote iam praestita maritus nulla ante nuptias facta donatione donare mulieri res maluerit, ita tamen, ut dotis quantitatem non excedant, et hoc ipsum significaverit, quod non simplicem faciat donationem, sed propter dotem iam conscriptam et ipse ad donationem venerit, licebit ei hoc facere et supponatur pactis dotalibus huiusmodi donatio. Et si quidem hoc fuerit specialiter expressum, pacta conventa servari oportet. In realtà la legge dispone che la donatio non può superare l’ammontare della dote, e non che deve uguagliarla: sul testo P. FERRETTI, Le donazioni tra fidanzati nel diritto romano, Milano 2000, 231-232. Lo scopo del provvedimento era quello di distinguere la donatio propter nuptias dalle semplici donazioni che non erano consentite dopo il matrimonio.

 

[13] F. BRANDILEONE, Sulla storia cit., 74: ritiene che sia stata la prassi a imporre che la dote e la donazione obnuziale fossero della stessa entità.

 

[14] Sui pacta de lucranda donatione A.S. Scarcella, Il regime pattizio dei beni vedovili nel diritto giustinianeo, in Labeo 39, 1993, in partic. 378 ss. I patti erano indispensabili per garantire alla vedova il proprio mantenimento. Su questo aspetto si veda ampiamente anche F. BRANDILEONE, Sulla storia cit., 77 ss.

 

[15] C.5.14.10, Iust. Menae pp. a. 529: Lege Leonis divae memoriae pacta lucrorum dotis et ante nuptias donationis paria esse sanciente nec adiciente, quid fieri oporteat, si hoc minime observatum sit, nos omnia clara esse cupientes praecipimus disparibus eis factis maiorem lucri partem ad minorem deduci, ut eo modo uterque minorem partem lucretur.

 

[16] C.5.3.20.7, Iust. Iohanni pp., 531-533: Ita tamen, ut Leoniana constitutio, quae super exaequatione pactionum loquitur non in quantitate, sed in partibus, maneat in his casibus intacta, et non solum ea immutilata custodiatur, sed etiam nostra, quam de interpretatione eius fecimus ambiguitatem eius tollentes: disparibus etenim pactionibus factis maiorem lucri partem ad minorem deducendam esse censemus, ut eodem modo uterque minorem partem lucretur.

 

[17] C.5.14.9, Leo et Anth. Nicostrato pp.: Ex morte cuiuscumque personae sive mariti sive mulieris eandem partem, non pecuniae quantitatem, tam virum ex dote quam mulierem ex ante nuptias donatione lucrari decernimus. Veluti si maritus mille solidorum ante nuptias donationem confecerit, licebit mulieri et minoris et amplioris quantitatis dotem offerre et marito similiter ante nuptias donationem: hoc tamen observandum est, ut quantam partem mulier stipuletur sibi lucro cedere ex ante nuptias donatione, si priorem maritum mori contigerit, tantam et maritus ex dote partem, non pecuniae quantitatem, stipuletur sibi, si constante matrimonio prior mulier in fata collapsa fuerit. Et si pactum contra vetitum fuerit subsecutum, infirmum atque invalidum hoc esse , ut nulla ex eo procedere possit exactio, praecipimus. Eadem custodiri censemus, sive pater pro filio sive mater sive ipse ducturus uxorem sui iuris constitutus sive quilibet alius pro eo ante nuptias donationem nupturae dederit. Simili quoque modo, sive pater pro filia sive mater sive ipsa pro se, sui iuris videlicet constituta, sive quilibet alius pro ea uxorem ducturo dotem dederit seu promiserit, quoniam et alio pro ea offerente dotem ipsa eam pro se videtur offerre. Quod adeo verum est, ut et ipsa ab alio pro se oblatam dotem in lucrum suum reposcat, nisi forte is qui eam obtulit statim (id est tempore oblationis seu promissionis) stipulatus vel pactus sit, ut sibi dos praedicta reddatur. La costituzione di Leone è la prima in ordine temporale che fa riferimento ai pacta: F. BRANDILEONE, Sulla storia cit., 56; in merito al contenuto 64-66. Sulla legge e sul suo recupero nella legislazione di Giustiniano P. BONFANTE, Corso cit., 527-528; G. VISMARA, La donazione cit., 403; 405; e più recentemente A.S. SCARCELLA, La legislazione di Leone I, Milano 1997, 105-113. Con le nuove disposizioni di Nov. 97 la politica legislativa giustinianea ripropone le regole già presenti nella normativa di Valentiniano III (Nov. Val. 35 [34].9, a. 452) e di Maioriano (Nov. Maior. 6.9, a. 458): E. LOZANO CORBÍ, Las donaciones nupciales en el Derecho Romano, in RIDA 42, 1995, 226-229.

 

[18] Il papiro è stato pubblicato da S. DARIS in Aegyptus 29, 1979, 85-87 ed è riedito in SB XVI 12230. Lo studio citato è L. MIGLIARDI ZINGALE, Rileggendo P. Med. Inv. 41: legislazione giustinianea e prassi in tema di dote e donazione nuziale, in JJP. 20, 1990, 109-112.

 

[19] La costituzione è in C.5.3.20 pr., Iust. Iohanni pp., 531-533: Cum multae nobis interpellationes factae sunt adversus maritos, qui decipiendo suas uxores faciebant donationes, quas ante nuptias antiquitas nominavit, insinuare autem eas actis intervenientibus supersedebant, ut ineffectae maneant et ipsi quidem commoda dotis lucrentur, uxores autem sine nuptiali remedio relinquantur, sancimus nomine prius emendato ita rem corrigi et non ante nuptias donationem eam vocari, sed propter nuptias donationem. Cfr. anche I.2.7.3. Un commento del testo in P. FERRETTI, Le donazioni cit., 227-233.

 

[20] L. MIGLIARDI ZINGALE, Rileggendo P. Med. Inv. 41, 109-112: l’A. sottolinea, in partic. a pag. 112, come il redattore del documento mostri di conoscere bene le normativa giustinianea in tema di dote e donazione e di saper adoperare lo stile della cancelleria imperiale.

 

[21] Sul ruolo della cancelleria nella ripetizione dell’errore F. BRIGUGLIO, L’«Epitome Iuliani» e il «Legum Iustiniani imperatoris vocabolarium», in Rivista di Diritto Romano 1, 2001, 7-9. L’espressione donatio ante nuptias ricorre frequentemente anche nell’Epitome Iuliani (27 vv). Sul problema linguistico e sulla datazione della costituzione che impone il mutamento lessicale G. LUCHETTI, Il matrimonio ‘cum scriptis’ e ‘sine scriptis’ nelle fonti giuridiche giustinianee, in BIDR 92-93, 1989-1990, 332, nt. 9; Id., La legislazione imperiale nelle Istituzioni di Giustiniano, Milano 1996, 176, nt. 70.

 

[22] C.5.11.7, Iust. Iohanni pp. a. 531. Ai fini della nostra riflessione è particolarmente importante il paragrafo 5 della costituzione: Si vero et ipse substantiam idoneam possidet, et in hoc casu de suo patrimonio dotem vel ante nuptias donationem dedisse intellegatur. Poterat enim secundum suas vires dotem pro filia vel ante nuptias donationem pro filio dare et consentire filiis suis, quando voluerint partem vel forte totam suam substantiam quam habent paternae liberalitati pro dote et ante nuptias donatione adgregare, ut re vera appareat, quid ipse vult dare et quid de substantia filiorum proficiscitur, ne, dum effuso sermone sese iactet, in promptum incidat sui periculum. Sulla costituzione BONFANTE, Corso cit., 410-411.

 

[23] L’ipotesi è formulata all’inizio del paragrafo 2.

 

[24] In particolare è presente in Celso (D.23.3.60, 11 dig.; Idem, D.32.43, 15 dig.) e in Papiniano (D.23.3.69.4-5, 4 resp.). Per la legislazione giustinianea si veda C.1.5.19.3, Demostheni pp. a. 529: secundum vires patrimonii huiusmodi liberalitatibus aestimandis; C.5.11.7.5, Iohanni pp. a. 531: secundum suas vires.

 

[25] Su tali beni si veda la discussione riportata nella nota 11.

 

[26] Su questo come sugli altri principi reiterati nella legislazione novellare G. LANATA, Legislazione e natura nelle Novelle Giustinianee, Napoli 1984, 94 ss.

 

[27] N.97.6.2: 'All' ™peid»per ™n pl»qei tîn nÒmwn Ôntwn, prˆn aÙtoÝj katast»saimen kaˆ e„j eÙsÚnopton ¢g£goimen t£xin, poll¦ kaˆ tîn ¢nagka…wn ºgnoe‹to kaˆ yÁfoi t¢nant…a boulÒmenoi par¦ tîn dikastîn ™tšqhsan, †na m» tij ™xap£th perˆ taàta gšnoito, di¦ toàto ¢nagka‹on ™nom…samen, ¥llwj te kaˆ ™n mšsJ tÁj ¹metšraj teqe…shj diat£xewj tÁj kaˆ sunestètwn tîn g£mwn tÍ gunaikˆ bohqoÚshj, ™pˆ kall…ona kaˆ m©llon ¢kÒlouqon ÐdÕn ™lqÒntej tÕn parÒnta qšsqai nÒmon.

 

[28] La riflessione è in F. SITZIA, Norme imperiali e interpretazioni della prassi, in Il diritto fra scoperta e creazione. Giudici e giuristi nella storia della giustizia civile, Atti del Convegno Internazionale della Società di storia del diritto, Napoli 2003, 308; 310-311. Sul rapporto tra caso concreto e norme generali si veda anche dello stesso autore Novella 19: fra problemi di tecnica legislativa e cavilli della prassi, in Nozione formazione e interpretazione del diritto dall’età romana alle esperienze moderne, Napoli 1997, 319-336; in particolare 332.

 

[29] M. BIANCHINI, Osservazioni cit., 275: «E’ da notare…..come la presenza, in una lex, di riferimenti specifici a fatti o persone ovvero a pronunzie imperiali su singoli casi, cui si riannoda una disciplina di più generale portata, sia fenomeno essenzialmente circoscritto agli anni della quaestura di Triboniano». Sui cambiamenti riscontrabili nello stile legislativo dopo la scomparsa di Triboniano R. BONINI, Introduzione allo studio dell’età giustinianea, Bologna 1977, 71-72.

 

[30] Cito da SITZIA, Novella 19 cit., 334. Sul contrasto tra la politica legislativa giustinianea e gli operatori del diritto R. MARTINI, Giustiniano «contestato», in Studi in onore di G. Scherillo, 2, Milano 1972, 761-765.