N. 6 – 2007 –
Memorie//Scienza-giuridica
Università di Genova
La Novella 74: legge e caso concreto
La produzione del diritto in età
giustinianea è caratterizzata da un orientamento legale sistematico,
ossia dalla tendenza ad una disciplina uniforme e centralizzata.
L’attenzione al caso concreto, che aveva fornito fondamento e contenuti
al diritto giurisprudenziale repubblicano e classico, sopravvive in Giustiniano
solo come occasio legis, quindi solo
come un mezzo per individuare i settori che richiedono un intervento immediato
del legislatore. È lo stesso Giustiniano ad affermarlo: nella praefatio della Nov. 2[1]
l’imperatore ricorda che, come la varietas
causarum ha sempre offerto l’occasione per legiferare, così
egli stesso ha tratto la maggior parte di stimoli dalle suppliche dei cittadini
o dai processi; o, ancora, nella Nov. 49 praef.[2],
Giustiniano, dopo aver fatto cenno alla volubilità umana che produce
disordine nelle legislazioni, sostiene che anche le disposizioni fatte con ogni
avvedutezza sovente devono essere modificate proprio per la varietà dei
casi emergenti. Pur racchiusa in questi ristretti limiti, la casistica presente
nella legislazione novellare appare uno strumento imprescindibile per dare
risalto alle situazioni reali, ai conflitti sociali e religiosi, ai dubbi interpretativi
di funzionari e sudditi, con cui le leggi devono confrontarsi e talora
scontrarsi. Tali spunti si sono spesso estrinsecati in una nuova tecnica
legislativa che sfocia in ampie revisioni delle regole codificate nel Codice e
nel Digesto.
Di grande interesse si configura quindi
l’analisi del concetto di generalitas
della legge[3].
Per l’antichità, infatti, la generalità del dettato
legislativo non è, come ai giorni nostri, associata
all’astrattezza: anzi, «la normativa di carattere personale … era … considerata come un mezzo molto idoneo per consentire al
legislatore di risalire dal particolare e dal concreto ad una visione
più ampia degli interessi dell’intera popolazione»[4].
Un esempio paradigmatico di ciò si
può rintracciare nella Nov. 74 del 538, indirizzata a Giovanni prefetto
del pretorio, che si occupa, da un lato, della legittimazione dei figli
naturali, dall’altro, delle forme di celebrazione del matrimonio. In
questa sede si tralascerà l’esame analitico dei contenuti normativi
della Novella – cui si dedicheranno solo brevi cenni – concentrando
piuttosto l’attenzione sugli aspetti più direttamente e
intimamente connessi con il tema delle tecniche legislative novellari.
La disciplina novellare rappresenta il
luogo principale delle inversioni di tendenza e delle incertezze in cui si
dibattevano Giustiniano e Triboniano di fronte ai vari problemi socio-giuridici
per «l’irriducibile tensione esistente tra principi classici (in
qualche modo nuovamente ‘attualizzati’ attraverso la compilazione)
e disposizioni di epoca tardo-imperiale»[5].
Tale tensione si palesa già nella praefatio
della Novella 74 che si apre con un interessante richiamo ai giuristi classici
e, in particolare, a Giuliano:
Nov. 74 praef. pr.: `Orqîj e‡rhtai to‹j prÕ ¹mîn
kaˆ prÒ ge ¡p£ntwn 'Ioulianù tù
sofwt£tJ tÕ mhdšna nÒmon mhd dÒgma
tÍ polite…v `Rwma…wn teqn dÒxai kaˆ
prÕj tÕ p©n aÙt£rkwj ™x ¢rcÁj
nomoqethqšn, ¢ll¦ pollÁj dehqÁnai tÁj
™panorqèsewj, †na prÕj t¾n tÁj fÚsewj
poikil…an kaˆ t¦j ™ke…nhj
™pitecn»seij ¢rkšsai. Perˆ mn oân tîn
™k noqe…aj ¢fiknoumšnwn e„j gnhs…ouj
polloÝj ™gr£yamen kaˆ poik…louj nÒmouj,
™k d tîn kaq' ˜k£sthn ØpÕ
tÁj fÚsewj tecnazomšnwn eØrÒntej ti to‹j
½dh nenomoqethmšnoij ™lle‹pon toàto kat¦
tÕ parÕn ™panorqoàmen[6].
Si dice, infatti, che “correttamente
è stato detto dai nostri predecessori e prima di tutti dal sapientissimo
(sofètatoj) Giuliano che nessuna legge né
senatoconsulto emanato nella respublica
romana sembra dall’inizio essere sufficiente ad abbracciare tutti i casi,
ma ha bisogno di molte correzioni per conformarsi alla varietà (poikil…a) della natura[7]
e alle sue astuzie (™pitecn»seij)”. Perciò – prosegue Giustiniano –
“noi abbiamo redatto molte e diverse leggi riguardo ai figli naturali che
diventano legittimi, ma trovando che qualcosa manca a quelle che già
sono state emanate, è necessario apportare delle correzioni”.
La citazione di Giuliano è stata
ritenuta dalla maggior parte della dottrina come un mero sfoggio di erudizione.
Ora, questo giudizio mi sembra un po’ riduttivo e superficiale. A smentirlo
sono le stesse puntuali citazioni giurisprudenziali presenti nelle Novelle, ove
solo quattro giuristi romani sono menzionati[8]:
Quinto Mucio Scevola[9],
Giuliano[10]
appunto, Papiniano[11]
e Ulpiano[12].
Se si fosse trattato di una pura ostentazione di cultura, le allusioni alla
giurisprudenza sarebbero dovute risultare magari più frequenti, ma
comunque non precise e pertinenti come appaiono. Più semplicemente mi
pare che la spiegazione risieda nel fatto che la legge era ormai l’unica
fonte del diritto: infatti, anche la giurisprudenza – a questo punto
tutta raccolta nel Digesto – aveva assunto valore di legge, perdendo la
propria autonoma identità come formante del tessuto normativo[13].
Tornando alla Novella 74, il riferimento
è chiaramente individuabile nel passo giulianeo contenuto in:
D.1.3.10 (Iul. 59 dig.)[14]:
Neque leges neque senatus consulta ita
scribi possunt, ut omnes casus qui quandoque inciderint comprehendantur, sed
sufficit ea, quae plerumque accidunt contineri.
Peraltro anche in un altro passo Giuliano
si esprime pressappoco negli stessi termini: è D.1.3.12 (Iul. 15 dig.)[15],
ove afferma che leggi e senatoconsulti non possono ‘comprehendere singillatim’, ossia, in altre parole, elencare
in dettaglio e in modo separato tutte le situazioni da disciplinare[16].
È palese la consonanza tra i due
testi giulianei: in entrambi si parla di leggi e senatoconsulti; in entrambi si
parla della loro inidoneità a comprendere ogni possibile evento.
Però, se nel primo Giuliano si pone sul piano delle tecniche
legislative, consigliando al legislatore di attenersi alla menzione dei casi
che si ripetono più spesso nella pratica, in D.1.3.12 l’angolo di
visuale da cui il giurista adrianeo si pone per osservare la questione è
quello dell’applicazione processuale: il titolare di iurisdictio, quindi, deve ad
similia procedere, ossia estendere anche a situazioni simili
l’intenzione normativa della legge o del senatoconsulto ampliandone il
dettato e quindi ius dicere coerentemente[17].
E non si può dimenticare che, vista l’epoca in cui scrive,
Giuliano certo pensava anche all’attività interpretativa dei
giuristi come mezzo di realizzazione del raccordo tra previsione astratta della
norma e pluralità delle fattispecie concrete[18].
Il Casavola, in merito alla citazione della
praefatio della Nov. 74, reputa
innegabile «l’impiego, oggi si usa dire ideologico, del pensiero
giulianeo da parte del suo ammiratore ed emulo bizantino Triboniano. Giuliano
appare a Triboniano, vero teorico dell’assolutismo imperiale, come un
predecessore ed un maestro»[19].
Triboniano, chiamando Giuliano a fondare l’ideologia del legislatore
riformatore, si serve del giurista adrianeo per fargli dire che le leggi,
essendo imperfette, devono essere sottoposte a continue revisioni e
miglioramenti: solo l’imperatore può interpretare ed emanare nuove
leggi[20]
quando si scoprono incertezze o lacune. Giuliano, invece, nei testi appena
esposti, asseriva che, essendo impossibile per leggi e senatoconsulti contemplare
tutte le fattispecie in concreto verificabili, la loro portata doveva essere
estesa a casi simili mediante interpretazione analogica posta in essere dal
magistrato giusdicente.
La sintesi del pensiero di Giuliano
suggerita dalla Novella può forse dirsi leggermente forzata a fini
ideologici, ma di quel pensiero esprime una logica e coerente conseguenza, per
cui non può certo considerarsi una «artefatta costruzione di
Triboniano»[21].
È interessante notare come
l’Epitome di Teodoro faccia cenno nel particolare all’adizione
dell’imperatore per la soluzione di tali casi:
Ep. Theod. 74.1: `O œcwn
nÒqouj mn pa‹daj tÁj gunaikÕj
aÙtoà teleuths£shj À ¡marths£shj
kaˆ ™kblhqe…shj À oÙ fainomšnhj enai
nÒmimoj, ™¦n dehqÍ basilšwj, gnhs…ouj
kaˆ Øpexous…ouj aÙtoÝj poie‹, À
™¦n ™n tÍ diaq»kV toàto e‡pV
kaˆ oƒ pa‹dej aÙtoˆ dehqîsi basilšwj
perˆ toÚtou. shme…wsai dš, Óti t¦
e„rhmšna oÙ krate‹ gnhs…wn ØpÒntwn
pa…dwn. ¢n£gnwqi bi. e/ toà kèd. t…. ka/
kaˆ kz/ di£t. a/ kaˆ j/ kaˆ h/ kaˆ near¦n pq/[24].
L’ultimo caso[25]
concerne un padre che voleva legittimare i figli con la redazione degli instrumenta dotali: ma i figli stessi,
avendo appreso prima della loro legittimazione che la loro madre aveva ricevuto
in eredità beni “a cognato
aliquo” (par£ tinoj suggenoàj), occultarono la loro madre maligne et dolose per evitare che più tardi, dopo la morte
della madre, il padre superstite godesse dell’usufrutto legale delle res maternae.
Visti i casi appena esposti, si potrebbe
pensare che l’imperatore, piuttosto che risolvere singole cause portate alla
sua cognizione, abbia privilegiato l’emanazione di una Novella ad hoc: la trasmigrazione delle varie
questioni dal piano giurisdizionale a quello legislativo consentiva, come
è ovvio, la formulazione di regole più generali dirette alla
soluzione di una pluralità di controversie.
Il capo 1 della Novella in effetti contiene
le soluzioni ai casi sopra esposti:
Nov. 74.1: E‡ tij
oân oÙk œcwn pa‹daj nom…mouj, nÒqouj d
mÒnon, aÙtoÝj mn gnhs…ouj poi»sasqai
boÚletai, t¾n guna‹ka d À oÙk
œcoi pantelîj À oÙk ¢nam£rthton À
oÙ fainomšnhn œcoi À kat£ ti nÒmimon
prÕj tÕ sunoikšsion ™mpodizomšnhn, d…domen
aÙtù parrhs…an xšnV tinˆ kaˆ nàn
™xhurhmšnV par' ¹mîn Ðdù prÕs
gnhs…ouj ¢gage‹n toàj nÒqouj, dhlad¾
gnhs…wn ™pˆ tîn toioÚtwn qem£twn oÙk
Ôntwn. ésper g¦r œsti tij to‹j prÕ
¹mîn ™churhmšnoj trÒpoj Öj toàj
¢peleuqšrouj e„j eÙgšneian ¥gei,
prokaqa…rwn mn aÙtoÝj ˜tšrv tinˆ
pr£xei kaˆ didoÝj aÙto‹j tÕ tîn
crusîn daktul…wn d…kaion, Ûsteron d e„j
aÙt¾n ™pan£gwn t¾n fÚsin t¾n
doàlÒn te kaˆ ™leÚqeron ™x
¢rcÁj m¾ diakr…nasan, ¢ll' ™leuqšran
t¾n ¢nqrèpou poihsamšnhn gon»n: oÛtw
d¾ kaˆ ¹me‹j toàton d¾ tÕn
trÒpon ™pinooàmen tù pr£gmati. kaˆ ™xšstw
tù patrˆ ™pˆ tîn œmprosqen ¹m‹n
e„rhmšnwn trÒpwn, À kaˆ e‡ tij ›teroj
¢pant»sei toioàtoj (poll¦ dš, kaq£per œfqhmen
e„pÒntej, t¦ tÁj fÚsewj kainourg»mata),
™xšstw to…nun kaq£per œfamen tù patr…,
e‡per gnhs…aj oÙk eÙporo…h gonÁj,
toÝj pa‹daj ¢pokatastÁsai tÍ fÚsei
kaˆ tÍ ¥nwqen eÙgeneˆv, e‡ ge ™x
™leuqšraj aÙtù gšnointo, kaˆ gnhs…ouj
tÕ loipÕn kaˆ Øpexous…ouj œcein. <OÙd
g¦r ™x ¢rcÁj, ¹n…ka ¹ fÚsij>
dieqesmoqštei to‹j ¢nqrèpoij mÒnh, prˆn
toÝj graptoÝj e„jfoitÁsai nÒmouj, Ãn
tij diafor¦ nÒqou te kaˆ gnhs…ou, ¢ll¦
to‹j prètoij goneàsin oƒ prîtoi pa‹dej
¤ma tÍ proÒdJ gegÒnasi gn»sioi, kaˆ
éjper ™pˆ tîn ™leuqšrwn ¹ mn
fÚsij ™leuqšrouj pepo…hken ¤pantaj, oƒ
pÒlemoi d t¾n doule…an ™xeàron,
oÛtw k¢ntaàqa ¹ mn fÚsij gnhs…aj
pro»gage t¦j gon£j, ¹ d e„j
™piqum…an ™ktrop¾ tÕ nÒqon
aÙta‹j projanem£xato. éjte Ðmo…wn tîn
paqîn genomšnwn de‹ kaˆ t¾n qerate…an
™k tîn ‡swn ™xeureqÁnai, t¾n mn
par¦ tîn prÕ ¹mîn t¾n d
Øf' ¹mîn[26].
In apertura si ribadisce la
possibilità per il padre che ha solo figli naturali di legittimarli nei
modi indicati dall’imperatore e si paragona questa situazione a quella
dei liberti, ai quali venne accordato lo status
di ingenui dando loro il ius anulorum aureorum e la restituzione
dei natali. Poi Giustiniano si concede una digressione storica, esponendo i
motivi che sul piano teorico avallano la difesa degli interessi dei figli.
Infatti, spiega che inizialmente, quando solo la natura dettava leggi agli
uomini, prima che fossero introdotte le leggi scritte, non vi era differenza
alcuna tra il figlio naturale e quello legittimo, nascendo tutti legittimi: e
come nel caso dei liberi la natura ha fatto tutti liberi, e solo le guerre
hanno inventato la schiavitù[27],
così, anche in questo caso, la natura ha introdotto delle discendenze
legittime, mentre la devianza verso la passione (™piqum…a) vi ha mescolato
l’illegittimità[28].
Ma la cancelleria imperiale è molto
generica quanto alle sue intenzioni normative in merito. L’intervento
imperiale come strumento di legittimazione dei figli naturali si
disvelerà apertamente solo nel capo 2. Qui, dopo aver per
l’ennesima volta esposto le motivazioni del provvedimento, puntualizzando
che la legge è lo strumento indispensabile per governare gli eccessi
della natura e dopo aver ricapitolato i casi in cui si poteva ricorrere alla
legittimazione per rescriptum principis[29],
Giustiniano prevedeva che gli stessi figli naturali potessero chiedere il rescritto
imperiale di legittimazione se nel testamento paterno fosse espressa la
volontà di legittimarli e averli come successori[30]:
Nov. 74.2.1: E„
mšntoige Ð mÒnwn fusikîn pa…dwn pat¾r
toàto mn di£ tinaj tuchr¦j perist£seij
oÙ pr£xeie, teleutîn d ™p… tinoj
tîn œmprosqen e„rhmšnwn qem£twn gr£yeien
<™n> diaq»kV boÚlesqai aÙtù
gnhs…ouj enai toÝj pa‹daj kaˆ diadÒcouj,
kaˆ ™n toÚtJ d…domen aÙtJ parrhs…an:
deomšnwn mšntoi kaˆ oÞtw tîn pa…dwn
met¦ t¾n teleut¾n toà patrÕj kaˆ
toàto didaskÒntwn, kaˆ deiknÚntwn t¦j
toà patrÕj diaq»kaj, kaˆ klhronomoÚntwn
e„j Óson ¨n Ð pat¾r aÙtoÝj
gr£yeie, kaˆ ™k tÁj basile…aj aÙtÕ
lambanÒntwn, †na kat¦ taÙtÕn dîron
Ï tÕ ginÒmenon patrÒj te kaˆ basilšwj,
tautÕn dš ™stin e„pe‹n fÚseèj te
kaˆ nÒmou. Kaˆ taàt£ famen oÙdšna
tîn œmprosqen nom…mwn ¢nairoàntej trÒpwn,
¢ll¦ kaˆ toàton projtiqšntej ™f' ïn
˜ke…nouj labe‹n oÙk œxestin. Ólwj
g¦r gnhs…wn ØpÒntwn eta nÒqwn
™piginomšnwn À progenomšnwn oÙk ¨n ¹
gnhsiÒthj aÙto‹j projteqe…h, e„ m¾
p£ntwj di¦ tîn diat£xewn ¹mîn, a†per
tÕn tîn proikówn sumbola…wn e„jhg»santo
trÒpon[31].
Ancora una volta il binomio natura-legge si
pone alla base di questa legittimazione per
testamentum: infatti, Giustiniano dichiara espressamente che la
legittimità dei figli naturali deriverà dal padre e
dall’imperatore, il che equivale a dire dalla natura e dalla legge.
Giustiniano, nel capo 4[32]
della Novella – ritenuto a ragione come «il primo tentativo del
legislatore giustinianeo di stabilire un sistema generale di forme di
celebrazione del matrimonio»[33]
–, giungendo ad occuparsi delle persone quae sine dotalibus instrumentis contrahere non possunt, fa
conoscere in primo luogo il motivo che lo aveva indotto ad intervenire in
materia:
Nov. 74.4 pr.: K¢ke‹no
d ¹goÚmeqa k£llion enai t£xai
projhkÒntwj, Óper ™k pollÁj tÁj tîn
pragm£twn ™l£bomen pe…raj: pollaˆ goàn
kaˆ ™fexÁj d…kai projhggelmšnai tù
¹metšrJ kr£tei toà parÒntoj ¹m©j
e„j cre…an ½gagon nÒmou. …[34].
Il tema delle multae et continuae lites (pollaˆ kaˆ
™fexÁj d…kai)
è un argomento ricorrente in tutta la legislazione giustinianea[35]:
in materia di matrimonio e di legittimazione dei figli lo si rinviene, ad
esempio, anche in Nov. 97 praef.[36]. Di grande interesse sono le informazioni
che ci fornisce Giustiniano: per un verso, siamo edotti del fatto che l’imperatore-legislatore
fu sollecitato ad introdurre questa nuova disciplina dalla conoscenza diretta
delle controversie insorte[37],
acquisita attraverso l’attività svolta – o in prima persona
o tramite i coadiutori più stretti – in sede giurisdizionale; per un
altro verso, apprendiamo che la disciplina precedente fondata
sull’irrilevanza dello strumento dotale e sulla corrispondente piena
libertà formale[38],
vale a dire quindi sul paradigma classico ‘consensus facit nuptias’, evidentemente non doveva aver trovato
sufficienti rispondenze nella prassi del tempo.
Nello specifico Giustiniano si doleva delle
false testimonianze, sempre più frequentemente ripetute nei tribunali
imperiali, in cui si asseriva che l’uomo e la donna vicendevolmente si
chiamavano dominus e domina (… kaˆ
Óti kur…an ™k£lei t¾n sunoikoàsan Ð
¢n¾r k¢ke…nh toàton Ðmo…wj
çnÒmaze …)
allo scopo di simulare matrimoni che non erano mai realmente esistiti[39].
Nell’enunciare le motivazioni della
riforma introdotta da Nov. 74,4 si rinvengono richiami a ragioni di carattere
filosofico e a precedenti normativi. Tra gli altri si opera il richiamo alla
legge naturale, riconosciuta come motivo ispiratore dell’attività
legislativa imperiale (…toàto
ò»qhmen crÁnai kat¦ toÝj fusikoÝj
dior…sai nÒmouj):
anche se si tratta di un tópos della
legislazione novellare[40]
specialmente a proposito del diritto di famiglia, è quantomeno originale
ritrovarlo in un contesto, quale quello del matrimonio, ove non avevano
influenza alcuna i principi della legge di natura. L’amore, che aveva la
capacità di offuscare la mente umana e di condurla a compiere azioni
imprudenti, richiedeva l’adozione di misure idonee ad arginarne la
potenza travolgente. Come in precedenza altri imperatori, per contrastare una
eventualità di tale sorta, avevano statuito il divieto di donazione fra
coniugi[41],
così Giustiniano che si definiva amator
castitatis (swfrosÚnhj ™rast»j)[42]
e si mostrava consapevole del fatto che il furor
amoris (man…a ™rwtikÁ) poteva essere arginato unicamente dalla philosophia (filosof…a)[43],
emanava una casta lex (sèfronikÒj
nÒmoj). Tale concezione
era in linea con la visione giustinianea che «l’ordinamento
giuridico debba avere un suo fine, al quale armonizzarsi strutturalmente e
verso il quale tendere nel suo concreto realizzarsi»[44]
in quanto «il mondo del diritto mette a suo fondamento la sintesi
dell’utilitas publica con
l’utilitas privata
proclamandone il valore. L’imperatore, che provvede alle necessità
organizzative della società, deve tendere attraverso l’opera di gubernator[45]
ad adeguare questa sintesi a quei naturalia
iura, quae apud omnes gentes peraeque servantur[46],
in quanto divina quadam providentia
constituta[47],
e che per questo, e cioè in quanto al di sopra della storia, semper firma atque immutabilia permanent»[48].
La parte dispositiva del capo I di Nov. 74.4
introduceva, ai fini di una valida conclusione del matrimonio, l’obbligo
di costituzione di dote e donazione obnuziale per gli appartenenti alle
categorie sociali più elevate, ossia in pratica ai membri
dell’ordine senatorio, descritti come coloro che si trovavano in maioribus itaque dignitatibus, et
quaecunque usque ad nos et senatores, et magnificentissimos illustres[49].
In realtà, la Novella non prescrive esplicitamente la necessità
degli strumenti dotali, ma la sottintende richiedendo … p£nta Ósa to‹j semnotšroij pršpei
tîn Ñnom£twn
(= … omnia quae honestiora decet nomina), locuzione in cui, attraverso
un raffronto con le disposizioni immediatamente seguenti e soprattutto con le
Epitomi[50],
si può individuare il documento probatorio.
A coloro che invece appartenevano ad una
classe sociale medio-alta – a titolo esemplificativo venivano citati le
più alte cariche militari e i massimi esponenti del mondo del commercio
e dell’amministrazione[51]
– era concessa la possibilità di presentarsi in chiesa e
dichiarare la propria volontà al defensor
ecclesiae (œkdikoj, ™kklhsiškdikoj)[52]:
questi, alla presenza di almeno tre o quattro chierici nel ruolo di testimoni,
doveva redigere una specie di certificato matrimoniale contenente la data,
l’indicazione dei nubendi, l’attestazione delle nozze e la
sottoscrizione del defensor stesso,
delle parti dei chierici. Il documento doveva essere rilasciato ad entrambe le
parti o anche ad un sola di esse, o, eventualmente, essere conservato dallo
stesso defensor negli archivi
ecclesiastici ubi venerabilia vasa
servantur[53].
Nell’ultimo paragrafo del caput 4 si esonerano dalle
formalità sopradette i soggetti dalla abiecta vita, meno abbienti e residenti nei luoghi meno civilizzati
dell’impero, come gli agricoltori, i militari cosiddetti caligati[54],
ai quali venne concessa la ¥deia (licentia) di contrarre
matrimonio ex non scripto, sulla base
della prestazione del semplice consenso coniugale[55].
Il quadro normativo della Novella 74 era
perfezionato dalle disposizioni contenute nel capo quinto, che riconoscevano la
possibilità di contrarre matrimonio secondo pratiche e forme proprie del
rito cristiano. In primo luogo venivano esposte, come fatto anche in
precedenza, le situazioni concrete che avevano reso indispensabile
l’intervento legislativo:
Nov. 74.5 pr.: 'Epeid¾
d ™k tîn projeleÚsewn tîn ginomšnwn
¹m‹n ¢eˆ sucnÒteron d¾ p£ntwn
gunaikîn ¢koÚomen Ñduromšnwn kaˆ
prosaggellousîn, éj tinej projtaqe…v kratoÚmenoi
prÕj aÙt¦j eta taÚtaj ¢n£gousin
o‡koi, kaˆ tîn qe…wn ¡ptÒmenoi log…wn
À ™n eÙkthr…oij o‡koij ÑmÒsantej,
à m¾n ›xein aÙt¦j nom…mouj
gamet£j, oÛtwj aÙt¦j o„keioàntai
crÒnon polÝn kaˆ paidopoioàsin ‡swj, eta
™peid¦n ™mplhsqe‹en tÁj aÙtîn
™piqum…aj, À tîn pa…dwn cwrˆj À
met¦ tîn pa…dwn
¢porr…ptousi tîn o‡kwn, ™kr…namen kaˆ
toàto crÁnai qerapeàsai. kaˆ e‡per ¹
gun¾ de‹xai dunhqe…h trÒpoij nom…moij,
Óti kat¦ toàto tÕ scÁma Ð
¢n¾r taÚthn œlaben o‡koi ™pˆ tù
guna‹ka gnhs…an œcein kaˆ pa…dwn gnhs…wn
mhtšra, mhkšti pantelîj ¥deian aÙtù
kaqest£nai taÚthn par¦ t¾n toà nÒmou
t£xin ™xwqe‹n tÁj o„k…aj, ¢ll'
œcein gnhs…an kaˆ toÝj pa‹daj gnhs…ouj
aÙtù kaqest£nai ...[56].
Si trattava di parecchie interpellationes di donne ingannate da
uomini che fingevano di volerle come mogli legittime, giurando sulle sacre
scritture, ma che, dopo averle tenute presso di loro per lungo tempo e aver
saziato le loro brame, le cacciavano di casa con o senza i figli eventualmente
nati dal rapporto. Per assicurare alle vittime di tali situazioni una opportuna
tutela si introduceva una eccezione[57]
al regime generale esposto nel capo precedente concedendo loro di dimostrare trÒpoij
nom…moij (modis legitimis) di essere state sposate
tramite il rituale del giuramento di reciproca fedeltà sui libri sacri o
™n
eÙkthr…oij o‡koij (in oratoriis), il
che avrebbe implicato la validità del matrimonio e, come diretta
conseguenza, la legittimità dei figli[58],
indipendentemente dalla volontà del padre.
Anche nell’epilogo si ritrova
evidenziato lo scopo della legge:
Nov. 74 ep.: T¦
parast£nta to…nun ¹m‹n kaˆ e„j
¢nqrèpwn qerape…an kaˆ tÁj fÚsewj
¢napl»rwsin di¦ toàde toà nÒmou
diorisqšnta ¹ s¾ Øperoc¾ faner¦ p©si
poihs£tw programm£twn tiqemšnwn, di' ïn ¤pasin
Ð nÒmoj œstai saf»j, ginèskousi kaq' Ön
perˆ tîn toioÚtwn politeÚsontai trÒpon,
kaˆ t¾n ¹metšran ™nnooàsi prÒnoian
Óti p£shj ¢scol…aj ˜tšraj t¾n
aÙtîn çfšleian prot…qemen[59].
Esso è quello di correggere[60]
e supplire alle carenze della natura, accostato all’altro motivo,
altrettanto ricorrente nella legislazione novellare[61],
dell’utilitas subiectorum: le
disposizioni contenute nella legge sono dirette a comune vantaggio di coloro ai
quali sono indirizzate e dai quali devono essere osservate.
Giustiniano, colui che «per voler del
primo amor» che sentiva «d’entro le leggi» trasse
«il troppo e ’l vano»[62], incarnava quindi la figura del
«buon legislatore»[63],
quella che i filosofi del positivismo giuridico hanno tratto dalla teoria della
completezza e della coerenza dell’ordinamento, completezza e coerenza che
sono ideali tipicamente razionalistici e che certo – io ritengo –
Giustiniano pose come obbiettivi della sua politica del diritto.
Resta infine da sottolineare come la
visione giustinianea della legge come insufficiente a disciplinare tutti i casi
che si possono presentare nella pratica sia stata ripresa, molti secoli
più tardi, dai legislatori francesi del Code civil. Nel Discours
préliminaire sur le projet de Code civil[64], infatti, si
legge:
Un code, quelque complet qu’il
puisse paraître, n’est pas plutôt achevé, que mille
questions inattendues viennent s’offrir au magistrat. Car les lois, une
fois rédigées, demeurent telles qu’elles ont
été écrites; les hommes, au contraire, ne se reposent
jamais; ils agissent toujours; et ce mouvement, qui ne s’arrête
pas, et dont les effets sont diversement modifiés par les circonstances,
produit à chaque instant quelque combinaison nouvelle, quelque nouveau
fait, quelque résultat nouveau. Une foule de choses sont donc
nécessairement abandonnées à l’empire de
l’usage, à la discussion des hommes instruits, à
l’arbitrage des juges. L’office de la loi est de fixer, par de
grandes vues, les maximes générales du droit;
d’établir des principes féconds en conséquences, et
non de descendre dans le détail des questions qui peuvent naître
sur chaque matière. C’est au magistrat et au juriconsulte,
pénétrés de l’esprit général des lois,
à en diriger l’application. De là, chez toutes les nations
policées, on voit toujours se former, à côté du
sanctuaire des lois, et sous la surveillance du législateur, un
dêpot de maximes, de décisions et de doctrines qui
s’épure journellement par la pratique et par le choc des
débats judiciaires, qui s’accroît sans cesse de toutes les
connaissances acquises, et qui a constamment été regardé
comme le vrai supplément de la législation. On fait à ceux
qui professent la jurisprudence le reproche d’avoir multiplié les
subtilités, les compilations et les commentaires. Mais dans quel art,
dans quelle science ne s’est-on pas exposé à le
mériter?[65]. … Forcer le magistrat de recourir au
législateur, ce serait admettre le plus funeste des principes; ce serait
renouveler parmi nous la désastreuse législation des rescrits;
car, lorsque le législateur intervient pour prononcer sur des affaires
nées et vivement agitées entre particuliers, il n'est pas plus
à l'abri des surprises que les tribunaux[66].
La varietas
e le machinationes della natura
giustinianee si traducono nell’incessante mouvement degli uomini descritto dai legislatori francesi: movimento,
che si contrappone alla fissità delle leggi, e i cui effetti mutano in
relazione alle circostanze concrete. Così, il compito della legge
è quello di fissare, a grandi linee, le massime generali del diritto, di
stabilire i principi che ne derivano di conseguenza, ma non quello di scendere
nei dettagli delle questioni che possono nascere su ciascuna materia, ossia di comprehendere singillatim, come
già scriveva Giuliano[67].
Radicalmente differente è
però la soluzione adottata da Giustiniano rispetto a quella del code
civil per quanto riguarda i fatti non specificamente disciplinati dalla
legge. Se infatti Giustiniano ha riservato a se stesso, in quanto mandatario di
Dio, in via esclusiva il potere di intervenire, i legislatori francesi, al
contrario, hanno riconosciuto al magistrato e al giurista «pénétrés de
l’esprit général des lois»[68]
di regolare l’applicazione della legge, dal momento che:
… le recours au législateur entraînerait des longueurs
fatales au justiciable, et, ce qui est pire, il compromettrait le sagesse et la
sainteté des lois. En effet, la loi statue sur tous: elle
considère les hommes en masse, jamais comme particuliers; elle ne doit
point se mêler des faits individuels ni des litiges qui divisent, les
citoyens. S'il en était autrement, il faudrait journellement faire de
nouvelles lois; leur multitude étoufferait leur dignité et
nuirait à leur observation. Le jurisconsulte serait sans fonctions, et
le législateur, entraîné par les détails, ne serait
bientôt plus que jurisconsulte. Les intérêts particuliers
assiégeraient la puissance législative; ils la
détourneraient, à chaque instant, de l'intérêt
général de la société[69].
Costringere il magistrato a ricorrere al
legislatore, sarebbe infatti stato come riportare in vita la ‘disastrosa’
pratica romana dei rescritti, mentre in realtà la legge doveva essere
rivolta ed avere ad oggetto la collettività e mai singoli individui. E
certo non ci saremmo aspettati un atteggiamento diverso da una nazione, che era
uscita da poco da una travagliata fase rivoluzionaria, e per la quale le leggi
non sono «de purs actes de puissance», ma atti «de
sagesse, de justice et de raison», e il legislatore «exerce
moins une autorité qu’un sacerdoce»[70].
[1] Nov. 2 praef. pr.: Kaˆ
to‹j prÕ ¹mîn nenomoqethkÒsi `Rwma…oij
tÁj ¢eˆ nomoqes…aj ¢form¾n ¹ tîn
¢nafuomšnwn pragm£twn ™d…dou poikil…a,
kaˆ ¹me‹j, tÕ nomoqetikÕn ¤pan
katakosm»santej tÁj polite…aj mšroj, t¾n
Ólhn scedÕn ™panÒrqwsin pot mn
™pˆ ta‹j tîn deomšnwn prosaggel…aij, pot
d ™pˆ ta‹j dikastika‹j zht»sesin
™poihs£meqa: kaˆ polloÚj ge tîn nÒmwn
™nteàqen to‹j ÚphkÒoij to‹j
¹metšroij ™gr£yamen. `Opo‹on d» ti kaˆ
nàn ¢nast¦n e„j tÒnde ¹m©j tÕn
nÒmon ™k£lesen. Faccio seguire al testo greco della Novella – qui come
in tutti gli altri luoghi dell’articolo – la traduzione
dell’ed. Schoell-Kroll: Et legislatoribus Romanis, qui ante nos
fuerunt, perpetuam leges ferendi occasionem emergentium causarum dedit
varietas, et nos universa legislatoria reipublicae parte ornata, omnem fere
correctionem partim in eis, quae a supplicantibus ad nos deferuntur, partim in
iudicialibus consultationibus adhibuimus, atque hinc multas leges subditis
nostris tulimus. Quale quid etiam nunc emersit et nos ad hanc legem commovit.
[2] Nov. 49 praef. pr.: TÕ
·eustÕn d¾ toàto kaˆ ¢nqrèpinon
kaˆ mšnein ™pˆ taÙtoà mhdepèpote
dun£menon, ¢ll¦ ginÒmenon mn ¢eˆ mšnon d
oÙdšpote, kaˆ ta‹j monoqes…aij e„j£gei
tin¦ tarac»n, kaˆ tÕ dÒxan œcein
Ñrqîj kaˆ ™n beba…J ke‹sqai dokoàn
kaˆ tÍ tîn ¢kribîn katasfalisqn parathr»sei poll£kij
™k…nhsen ¹ tîn ˜pisumb£ntwn poikil…a
pragm£twn. – Volubilis
illa atque humana condicio, quae manere in eodem numquam potest, sed semper
quidem fit, numquam vero manet, legislationi quoque turbas aliquas affert, et
quod visum est recte se habere et videtur in tuto collocatum atque accurata
observatione munitum est, id saepe movit emergentium causarum varietas.
[3] Di tale problema si è occupata
l’Unità di Ricerca genovese («Temi e tecniche della legislazione novellare» - Responsabile
scientifico: Mariagrazia Bianchini) nell’ambito del progetto cofinanziato
dal Miur (PRIN 2004) dal titolo «L’esperienza
giuridica giustinianea dopo
[4] PRIN 2004 – Consuntivo Unità
di ricerca genovese – Punto 8. Descrizione
della Ricerca eseguita e dei risultati ottenuti. Quanto al motivo
dell’utilitas subiectorum lo si
veda più in dettaglio infra in
Nov. 74 ep.
[5] G.
Luchetti, Matrimonio ‘cum
scriptis’ e ‘sine scriptis’ nelle fonti giuridiche
giustinianee, in BIDR 92-93
(1989-1990) [ma pubbl. 1993], 328 s.
[6] Recte
dictum est ab iis qui ante nos fuerunt et prae omnibus a Iuliano viro
sapientissimo neque legem ullam neque senatusconsultum reipublicae Romanae
latum videri ad omnia sufficienter ab initio sancitum, verum multiplici
indigere emendatione, ut ad varietatem naturae eiusque inventa sufficiat. Atque
de iis quidem qui ex naturalibus legitimorum ius consequuntur multas ac varias
leges scripsimus, quoniam autem ex iis quae in diem a natura struuntur, deesse aliquid
legibus iam sancitis deprehendimus, hoc in praesentia emendamus.
[7] Il tema delle continue innovazioni della
natura si rinviene anche in Nov. 69.4.1 i.f.
(… ¢ll' ¤pantej ØpakoÚoien toà
nÒmou, kaˆ Øpokeklimšnoi tù tÁj
dikaiosÚnhj qesmù timùšn te aÙtÕn
kaˆ di¦ p£ntwn ¥goien „scurÒn, m¾
mÒnon e„j ˜autoÝj blšpontej, ¢ll¦
kaˆ e„j t¦j ™fexÁj diadoc£j, kaˆ
e„dÒtej æj oÙdn scedÕn tîn
™pˆ gÁj ™pˆ taÙtoà mšnei,
·šei, d ¹ fÚsij ¢eˆ e„j
poll¦j kaˆ ¢mhc£nouj ™xelittomšnh
trop£j, §j oÜte proŽdšsqai ·®dion
oÜte proeipe‹n, qeoà mÒnou kaˆ basilšwj
¢kolouqoàntoj qeù taÚtaj kubern©n metr…wj
te kaˆ ™pieikîj dunamšnou. – … sed
omnes legi oboediant, et iustitiae normae subiecti et honorent eam et per omnia
tueantur validam, neve ad se ipsos solum respiciant, sed etiam ad successiones
deinceps futuras, ac sciant nihil fere eorum quae in terris sunt in eodem statu
manere, sed velut flumine ferri naturam semper ad multas atque inopinatas
mutationes sese evolventem, quas nec praevidere nec praedicere facile sit, cum
deus solus et deum sequens imperator haec moderate et iuste gubernare possit);
Nov. 74.1; 74.2 pr.; Nov. 84 praef.
pr. [Pollo‹j pantacÒqen ¹ fÚsij
kainourg»masin ™n to‹j pr£gmasi crwmšnh
(e„rhmšnon ½dh toàto poll£kij ™n
to‹j nÒmoij tÕ proo…mion, e„r»setai d
kaˆ aâqij ›wj ¨n ™ke…nh t¦
˜autÁj pr£ttÍ) pollîn ¹m©j e„j
cre…an kaq…sthsi nÒmwn. … - Quae multa undique in rebus nova profert natura (quod
quidem iam saepe dictum est in legibus prooemium, sed idem denuo dicetur
quamdiu illa agat quae eius propria sunt) multarum legum nobis
necessitatem attulit.…]; cfr. 84.1.1. Sulla questione vedi
H. Krumpholz, Über sozialstaatliche Aspekte in der
Novellengesetzgebung Justinians, Diss. Bonn 1992, 209.
[8] Sul limitato spazio lasciato alle
citazioni dei giuristi nelle Novelle vedi, da ultimo, E. Franciosi, Qui ante nos fuerunt legislatores. I richiami ai giurisprudenti e ai
predecessori nella legislazione novellare giustinianea, in MEP IX
(2006) fasc. 11, 377 ss.
[9] Vedi Nov. 22.43, a. 535 (Q. Muc. D.35.1.7
pr.): … ¢ll¦ Quintoj Mucioj Scaevolaj pronomoqet»saj
™tÚgcanen, ™pˆ p£ntwn d¾ tîn
ºrthmšnwn e„j t¦j tîn pragm£twn
kwlÚseij t¦j toiaÚtaj ™pino»saj
¢sfale…aj. … – … sed Q.
Mucius Scaevola sanciendo praeceperat, qui quidem in omnibus, quae a rerum
prohibitione pendent, eiusmodi cautiones excogitavit. …
[10] Oltre alla citazione qui presa in esame,
vedi anche Nov. 87 praef., a. 539: …
kaq£per 'IoulianÕj Ð sofètatoj
™nomoqšthse, toàto Óper ¹me‹j ™n
tù lq' bibl…J tîn ¹metšrwn digšstwn
™gr£yamen … – … quemadmodum Iulianus vir sapientissimus
statuit, id quod nos in trigesimo nono libro digestorum nostrorum perscripsimus
….
[11] Vedi Nov. 4.1, a. 535 (Pap. D.46.1.49.2): … oÙd
g¦r Ãn tij ™ntaàqa tù palaiù
nÒmJ diwrismšnh prÕj qerape…an mšqodoj,
ka…toi PapinianÕj Ð mšgaj Ãn Ð taàta
prîtoj Øfhghs£menoj. …
– … Neque enim ulla
hic erat antiqua lege definita medendi ratio, tametsi magnus ille Papinianus
haec primus demonstraverit.…; 108 praef.
[12] Vedi Nov. 97,6,1, a. 539 (Ulp. D.24,3,24):
… kaˆ ‡smen kaˆ OÙlpianÕn tÕn
sofètaton t¦ toiaàta zht»santa kaˆ
¢pÒrou toà ¢ndrÕj eØreqšntoj
bohq»santa tÍ gunaik…, kaˆ e„j Óson Ð
¢n¾r eÙpore‹ t¾n suneisfor¦n
aÙtÍ genšsqai boulÒmenon. – … Atque scimus Ulpianum quoque virum sapientissimum haec talia
quaesivisse, et viro inope comperto mulierem iuvisse et in quantum vir opibus
valeret collationem ab ea fieri voluisse.
[13] E. Franciosi,
Qui ante nos fuerunt legislatores,
378, imputa la ragione di questo uso così parco della giurisprudenza
nell’ultima legislazione di Giustiniano, da un lato, all’assenza
dei giuristi dal suo piano di lavoro, dall’altro, alla loro totale
integrazione nel suo pensiero, cosicchè diventa impossibile distinguere
i loro apporti.
[14] Sul passo vedi, tra gli altri, V. Giodice-Sabbatelli, Constituere:
dato semantico e valore giuridico, in Labeo 27 (1981), 354 s.; F. Gallo,
Produzione del diritto e sovranità popolare nel pensiero di
Giuliano (A proposito di D.1.3.32), in Iura 36 (1985), 73; V. Scarano
Ussani, L’utilità e la certezza. Compiti e modelli del
sapere giuridico in Salvio Giuliano, Milano 1987, 88 s. (e n. 107 per altra
bibliografia).
[15] D.1,3,12 (Iul. 15 dig.): Non possunt omnes
articuli singillatim aut legibus aut senatus consultis comprehendi: sed cum in
aliqua causa sententia eorum manifesta est, is qui iuris dictioni praeest ad
similia procedere atque ita ius dicere debet. Sul passo vedi E. Bund, Untersuchungen zur Methode
Julians, Graz 1965, 76 ss.; F. Gallo,
All’origine dell’analogia,
in Opuscula selecta, Padova 1999, 915
ss. [già in Diritto e processo nella esperienza romana. Atti del
seminario torinese (4-5 dicembre 1991) in memoria di Giuseppe Provera,
Napoli 1994, 64 ss.].
[16] Per un excursus
sull’individuazione da parte della dottrina del passo giulianeo citato in
Nov. 74, vedi G. Luchetti, Matrimonio ‘cum scriptis’, 273 n.
179.
[18] V.
Scarano Ussani, L’utilità
e la certezza. Compiti e modelli del sapere giuridico in Salvio Giuliano,
Milano 1987, 89.
[19] F. Casavola,
Giuristi romani nella cultura bizantina
tra classicità e cristianesimo, in Studi Tardoantichi I (1986), 237.
[20] L’esclusività del diritto
dell’imperatore a legiferare è confermata da Nov. 113.1 pr., a.
541 (... ¢ll¦ kat¦ toÝj genikoÝj
¹mîn nÒmouj t¦j d…kaj
™xet£zesqa… te kaˆ tšmnesqai: - …
sed secundum generales leges nostras lites et examinentur et decidantur …), così come di quello di
interpretare la legge è attestata da Nov. 143 praef., a. 563 (Legis
interpretationem culmini tantum principali competere nemini venit in dubium,
cum promulgandae quoque legis auctoritatem fortunae sibi vindicat eminentia
…).
[21] Così invece pensa F. Casavola, Giuristi romani nella cultura bizantina, 237. Nel mio stesso senso
cfr. E. Franciosi, Qui ante nos fuerunt legislatores, 379
n. 6.
[22] C.5.27.10 e 11; Nov. 12.4 e 18.11. Su tali
testi si legga G. Luchetti, La
legittimazione dei figli naturali nelle fonti tardo imperiali e giustinianee,
Milano 1990, rispettivamente, 227-236; 237-242; 247-254; 255-262; più in
generale, sulla legitimatio per subsequens matrimonium, vedi, di
recente, F. Sitzia, Novella
19: fra problemi di tecnica legislativa e cavilli della prassi, in Nozione
formazione e interpretazione del diritto dall’età romana alle
esperienze moderne. Studi in onore di F. Gallo, I, Napoli
1997, 319 ss.; R. Vigneron, La
politique moralisatrice de Justinien à l’égard des
séducteurs (plus spécialement au vu de la Nov. 74,5), in Collatio
iuris Romani. Études dédiées à Hans Ankum à
l’occasion de son 65eme anniversaire, 2, Amsterdam 1995, 583 ss.; R. Astolfi, Costantino e la
legittimazione dei figli naturali mediante matrimonio, in Utrumque ius
26, 1994, 227 ss.; R. Vigneron,
[23] [1] Sed
aliud quid eiusmodi accidit. Nam ex eius generis consuetudine erant liberi
alicui nati, ille autem eos ratione a nobis excogitata legitimos efficere volebat
nuptialium instrumentorum confectione: atqui dum pater haec mente agitat
decessit mulier, et constitutionis ratio eum destituit: neque enim erat cum qua
nuptiale instrumentum componere liceret, et naturales manebant liberi invito
parente. Atque etiam aliud quid eiusmodi exortum est in viris nobis haud
ignotis. Etenim liberos aliquis non legitime procreavit, atque illos quidem
admodum diligebat et legitimos sibi fieri secundum legem volebat, mulieris
autem res probro non omnino carebant neque dignam eam existimabat legitimo
aliquo nomine, quippe quae sibi ipsa iniuriam fecisset (sufficit enim tantum dixisse). Itaque alter hic modus est quo liberi damno
afficiantur, nempe ut priore per mortem matris ita altero per ea quae mater
peccavit. [2] Novimus vero etiam
tertium aliquid esse motum. Nam pater quidem legitimos efficere liberos volebat
atque eorum quae de dotalibus a nobis sancita sunt rationem habebat, liberi
tamen ubi haec senserunt, quoniam praeter opinionem ad matrem eorum (licet legitima illius uxor non esset) a cognato aliquo opes quaedam pervenissent,
improbe simul et dolose agentes matrem occultaverunt, ne patri copia fieret
ipsos legitimos efficiendi et defuncta forte matre maternarum rerum usufructu
potiendi, in id quod patribus lex merito tribuit. Talibus igitur artibus
resistere legis proprium est accuratae, quam in praesenti sancimus.
[24] Ep. Theod. 74.1: Qui liberos naturales [tantum] habet, si mulier eius mortua sit, vel
propter delictum ab eo reiecta sit, vel legitima uxor esse non possit, si
imperatorem precibus adierit, legitimos eos facit et sub potestatem redigit,
vel si in testamento hoc dixerit et liberi ipsi imperatorem super hoc precibus
adierint …. L’annotazione che segue è:
Nota vero, quae dicta sunt, non valere,
si legitimi subsint liberi. Lege lib. V
Cod. tit. 21 (?) et 27 const. 1 et 6 et 8 et Nov. LXXXIX.
[26] Si quis igitur non habens liberos legitimos, sed
naturales tantum, eos quidem legitimos reddere vult, mulierem autem vel omnino non
habeat vel quae probro non careat vel quae non appareat vel quae secundum
aliquam legem ad nuptias faciendas impediatur, licentiam ei damus nova quadam
via et nunc excogitata a nobis ad legitimorum ius ducendi naturales, scilicet
si legitimi in eiusmodi casibus praesto non sint. Sicut enim ratio quaedam est
a decessoribus nostris excogitata quae libertinos ad ingenuitatem ducit, cum
eos prius per alium quendam actum purget detque iis ius aureorum anulorum,
deinde autem ipsi eos naturae restituat, quae servum et liberum ab initio non
discrevit, sed liberam fecit hominis prolem: ita iam nos quoque hunc modum illi
causae statuimus. Atque liceat patri in modis a nobis ante dictis, vel etiam si
quis eius generis alius acciderit (multa enim, sicut supra diximus, a natura
innovantur), liceat igitur uti
dicebamus patri, si quidem legitimae subolis copia ei non sit, liberos
restituere natalibus et antiquae ingenuitati, si modo ex libera ei nati sint,
et legitimos in posterum ac sub potestate habere. Neque enim a principio, cum
natura hominibus sola leges daret, antequam scriptae inducerentur leges,
differentia erat ulla inter naturalem et legitimum, sed primis parentibus primi
filii simul ac progeniti sunt legitimi extiterunt, et quemadmodum in liberis
hominibus natura quidem omnes fecit liberos, bella autem servitutem invenerunt,
ita hic quoque natura quidem legitimam produxit subolem, conversio autem ad
libidinem naturalium notam iis impressit. Itaque cum similes affectus facti
sint, remedium quoque ex similibus excogitari par est, alterum a decessoribus
nostris alterum a nobis.
[27] L’affermazione di principio che la
natura non ha proceduto ad alcuna distinzione fondata sul sesso, sulla
libertà o sulla legittimità dei figli è ripetuto
più volte nelle Novelle: vedi, tra le altre, Nov. 18.5; Nov. 74.1; Nov.
89.1 pr., 9 pr. e 12.5 i.f.
[28] Secondo G. Lanata, I figli della
passione. Appunti sulla Novella
[29] Nov. 74.2 pr. A completare la disciplina
giustinianea sulla legittimazione per rescritto del principe è
intervenuta infine Nov. 89.9-10 (a. 539), per il contenuto della quale rinvio a
G. Luchetti, La legittimazione dei figli naturali, 305 ss.
[31] Si tamen pater naturalium tantum
liberorum id quidem propter fortuitas quasdam necessitates non fecerit, moriens
autem de uno ex casibus supra dictis in testamento scripserit velle se liberos
sibi legitimos esse et successores, huius quoque rei licentiam ei damus, ut
tamen sic quoque liberi post mortem patris supplicent et hoc doceant, et
testamentum patris ostendant, et heredes existant in quantum eos pater
scripserit, atque id ab imperatore impetrent, ut quod fit eodem modo donum sit
et patris et imperatoris, vel quod idem est et naturae et legis. Atque haec
dicimus nullum ex prioribus modis legitimis tollentes, immo hunc addentes ubi
illos adhibere non licet. Utique enim si legitimi praesto sint et naturales
postea nascantur sive antea nati sint, ius legitimorum iis non impertietur nisi
omnino per constitutiones nostras, quae modum dotalium instrumentorum
introduxerunt.
[32] Nel capo 3 di Nov. 74 Giustiniano conferma
la constitutio C.5.27.7 del 519, con
la quale Giustino I aveva vietato l’arrogazione dei figli naturali e ne
loda con enfasi il disposto. Cfr., in merito a tali arrogazioni C.5.27.6 (a.
517) dell’imperatore Anastasio, la quale, anche se in maniera non del
tutto chiara, stabilì invece che coloro che, privi di figli nati da iustae nuptiae, avessero avuto una
relazione concubinaria già convertita in matrimonio (vedi in tal senso C. Van De Wiel, La légitimation par mariage subséquent de Constantin
à Justinien. Sa réception sporadique dans le droit byzantin,
in RIDA 25 (1978), 324, e G. Luchetti, La legittimazione dei figli naturali, 205 e n. 54, ove altra
bibliografia), avrebbero potuto tenere come legittimi i figli ‘progenitos seu procreandos’, ossia
in precedenza generati o non ancora nati; per il futuro si dispose
altresì che il concubinato dovesse trasformarsi in matrimonio con la
necessaria redazione degli strumenti dotali.
[34] Sed
illud quoque ut apte ordinemus satius esse arbitramur, quod ex multa rerum
experientia accepimus: certe multae et continuae lites ad nostram maiestatem
delatae ad praesentis nos legis necessitatem adduxerunt. …
[35] Vedi, tra le altre, anche Nov. 1.1; 4 praef.;
30.5.1; 34 praef.; 49 praef. 2; 53 praef.; 56 praef.;
59 praef.; 64 praef.; 69.1.1; 125 praef.; Ed. 7 praef.;
9 praef.
[36] Nov. 97 praef.: 'Epeid¾ t¦ poll¦ tîn ™n to‹j
nÒmoij znt»sewn Ðrîmen per… te t¦j
prètaj ¹mîn genšseij, toutšsti g£mouj te
kaˆ paidopoi…aj, kinoÚmena per… te t¦
teleuta‹a, Ðpo‹on d» ti tÕ tîn
boul»seèn te kaˆ diaqhkîn ™stin … – Quoniam
plurimas in legibus quaestiones tam de primis ortus nostri causis, hoc est
nuptiis et liberorum procreatione, quam de rebus extremis, quales sunt ultimae
voluntates et testamenta, motas videmus ….
[37] G. Luchetti,
Matrimonio ‘cum scriptis’,
358 n. 63, ritiene probabile – anche se in via congetturale – che
«le multae et continuae lites
di cui si fa menzione nel principium
coinvolgessero principalmente le classi socialmente ed economicamente
più elevate». Da questo si può forse inferire che la licentia concessa ai meno abbienti ed
istruiti nascesse anche dalla percezione della minor litigiosità della
categoria in sede giurisdizionale.
[38] Nov. 74.4 pr.: … ™peid¾ g¦r kaˆ to‹j palaio‹j
dihgÒreutai nÒmoij kaˆ ¹m‹n aÙto‹j
t¦ aÙt¦ diatštaktai, éste toÝj
g£mouj kaˆ gamikîn sumbola…wn cwrˆj ™k mÒnhj
™rrîsqai diaqšsewj kaˆ kur…ouj enai … – … Nam cum et antiquis legibus praeceptum et idem a nobis ipsis constitutum sit,
ut nuptiae etiam sine nuptialibus instrumentis ex solo affectu valeant et ratae
sint …. Vedi
anche Nov. 22.
[39] È questo anche un diretto riflesso
dell’atteggiamento di sfiducia dimostrato dagli imperatori
tardoimperiali, e in particolare da Giustiniano, nei confronti della prova
testimoniale. Dopo la constitutio
Antoniniana la documentazione scritta, in virtù della fissità
del suo contenuto, «dilaga nella pratica e tende a conquistare
un’efficacia probatoria superiore agli altri mezzi, cui ancora si oppongono
gli imperatori riaffermando il pari valore di qualsiasi idoneo mezzo di prova.
Tale resistenza, mantenuta fino a Diocleziano, non poteva durare più
oltre, perché è lo stesso clima del Dominato, con le sue esigenze
di certezze del diritto, di pubblicità, di controllo fiscale, a
privilegiare la scrittura» (M.
Amelotti-G. Costamagna, Alle
origini del notariato italiano, Milano 1995, 25). In particolare, poi, in
relazione all’età giustinianea, «il fenomeno
dell’incremento delle liti nella capitale o comunque con variazione della
normale competenza dei giudici provinciali…dove[tt]e
concretarsi anche in una pratica eliminazione della prova testimoniale dal
novero dei mezzi istruttori concretamente disponibili, con corrispondente
monopolio di fatto della prova documentale» (U. Zilletti, Studi sulle
prove nel diritto giustinianeo, in BIDR 47 (1964), 200 e n. 16 per
un elenco delle fonti giustinianee in materia). In merito all’efficacia
del documento in età giustinianea, che è oggetto della Nov. 73
(a. 538), si rimanda, oltre ai lavori appena citati, a M. Talamanca, Documentazione e documento (diritto romano), in ED XIII,
Milano 1964, 553 ss.; M. Amelotti,
Notaio (diritto romano), in ED
XXVIII, Milano 1978, 557 ss.; Id., Unitarietà e particolarismi del
documento bizantino, in Actes du XVe
Congrès International de Papyrologie, IV, Bruxelles 1979, 154 ss.
(ora anche in Scritti giuridici, a
cura di L. Migliardi Zingale, Torino 1996, 228 ss.); N. van der Wal, Wer war
der ‘Enantiophanes’, in TR
48 (1980), 136 ss.; M. Amelotti, Dall’epoca postclassica
all’età giustinianea, in Atti
del XVII Congresso Internazionale di Papirologia, III, Napoli 1984, 1172 (=
Il mondo del diritto nell’epoca
giustinianea. Caratteri e problematiche, Ravenna 1985, 136, e Scritti giuridici, 192); Id., Giustiniano e la comparatio litterarum, in Novella Constitutio. Studies in
Honour of Nicolaas van der Wal (= Subseciva
Groningana 4, 1990), 5 ss. (=
Scritti giuridici, 219 ss.); S. Tarozzi,
Ricerche in tema di registrazione e certificazione del documento nel
periodo postclassico, Bologna 2006, 105 ss.
[40] Quanto alle relazioni tra legge e natura
vedi G. Lanata, Legislazione e natura nelle Novelle
giustinianee, Napoli 1984, 170 ss., 234 ss.
[41] D.24.1.1
(Ulp. 32 ad Sab.): Moribus apud nos receptum est, ne inter
virum et uxorem donationes valerent. Hoc autem receptum est, ne
mutuo amore invicem spoliarentur donationibus non temperantes, sed profusa erga
se facilitate. Vedi anche
Ulp. D.24.3.10.
[42] La castità, virtù per
eccellenza, è frequentemente raccomandata nelle Novelle: Nov. 2.3; Nov.
6.6 i.f.; Nov. 12.1 i.f. e 3; Nov. 14.1; Nov. 51 praef. e ep.; Nov. 74.3 i.f. e 4
pr.
[43] Cfr. Nov. 12.1: … Ópwj
¨n m£qoi swfrone‹n kaˆ e‡sw tÁj fÚsewj
mšnein, ¢ll¦ m¾ truf©n te kaˆ ™r©n
ØperÒria, kaˆ tîn paradedomšnwn hm‹n
™k tÁj fÚsewj katauqadi£zesqai nÒmwn … – … ut
discat caste vivere, et intra naturam se continere, nec vero luxuriari et quae
modum excedunt appetere legibusque a natura nobis traditis vim facere ….
Quanto ai rapporti tra legge naturale e disciplina normativa imperiale
visti nell’ottica filosofica giustinianea, vedi spec. G. Lanata, Legislazione e natura nelle Novelle giustinianee, Napoli 1984, 170
ss. e 234 ss.; G.G. Archi, Nuovi valori e ambiguità nella
legislazione di Giustiniano, in Il
mondo del diritto nell’epoca giustinianea. Caratteri e problematiche,
Ravenna 1985, 225 ss.; H. Jones, ‘Justiniani Novellae’ ou
l’autoportrait d’un législateur, in RIDA 35
(1988), 177 ss.
[45] Sul significato del termine gubernare
riferito all’attività imperiale in epoca giustinianea si veda C.M.
Moschetti, Gubernare navem
gubernare rem publicam. Contributo alla storia del diritto marittimo e del
diritto pubblico romano, Milano 1966, 226 ss., ove attraverso
l’analisi di alcune costituzioni giustinianee (C. 1.27.1-2 e Nov. 69.4.1)
«si comprende come l’ideologia teocratica dello Stato, per cui
l’imperatore veniva considerato un mandatario di Dio, strumento di
attuazione della volontà divina, dovesse necessariamente portare ad
attribuire un carattere sacro e divino alla persona di questo gubernator,
cui è affidata la salvezza dell’impero» (p. 229).
[49] Cfr. D.1.9.12.1
(Ulp. 2 de cens.): Senatores autem accipiendum est eos, qui a
patriciis et consulibus usque ad omnes illustres viros descendunt, quia et hi
soli in senatu sententiam dicere possunt. Vedi anche Ep. Iul. 67.243 (… Alii autem, qui militiis
honestioribus decorantur, vel negotiationibus, vel quibusdam artibus
laudabilibus praediti sunt …); Ep. Athan. 11.3.4 (Oƒ Ôntej ™n semnotšraij
strate…aij À ™pithdeÚmasin ... = Ii,
qui in honestioribus militiis vel curationibus sunt …); Ep. Theod. 74.6
(Oƒ ™n strate…aij À
semno‹j ™pithdeÚmasin Ôntej … = Qui in militiis vel honestis curationibus
sunt ...).
[50] Ep. Iul. 67.243
(Nemo dignitate decoratus senatoria sine
dotalibus instrumentis et ante nuptias donatione nuptias contrahat …);
Ep. Athan. 11.3.3 (Oƒ mšcrij
„lloustr…wn sugklhtikoˆ cwrˆj proikówn
sumbola…wn nÒmimon oÙ sunall£ttousi g£mon. = Senatores usque
ad illustres absque instrumentis dotalibus iustas non contrahunt nuptias.); Ep. Theod. 74.5 (oƒ mšcri „lloustr…wn
sugklhtikoˆ m¾ game…twsan ¢gr£fwj,
¢ll'™pˆ proikóoij sumbola…oij. … = senatores usque
ad illustres ne matrimonium contrahant sine scriptura, sed factis dotalibus
instrumentis. …). Cfr. P. Voci, Polemiche legislative, 247 n. 126; G. Luchetti, Matrimonio ‘cum scriptis’, 355 n. 54.
[51] A fondamento di questa interpretazione [sostenuta
in dottrina da C. Castello, Lo
strumento dotale, 217; H.J. Wolff, Written
and Unwritten Marriages in Hellenistic and Postclassical Roman Law, Haverford
(Penn.) 1939, 92; G. Luchetti, Matrimonio
‘cum scriptis’, 355 n. 55; R. Vigneron,
La politique moralisatrice, 584] vedi Nov. 89.1.1, ove, nel
riferirsi alla regola in oggetto, si parla di tÁj mšshj d
taÚthj tîn ¢nqrèpwn katast£sewj, ossia ‘in mediocri hominum statu’:
in altre parole si allude ad una categoria mediana e residuale. Altri Autori si
sono invece espressi per un’enumerazione più o meno tassativa, ma
comunque riferita solamente alle persone di ceto elevato: così M. Rage-Brocard, Rites de mariage: la
deductio in domum mariti, Paris 1934, 122; A.L. Ballini, Il valore giuridico della celebrazione nuziale
cristiana dal primo secolo all’età giustinianea, Milano 1939,
69 (per l’Autrice i destinatari della disposizione sono persone «di
rango elevato, ma non illustres», i distinti industriali,
«quelli insomma, che oggi si direbbero appartenenti all’alta
borghesia»); E. Volterra, Matrimonio,
801; J. Valenti, Matrimonio y
forma, 1674. Per P. Voci, Polemiche
legislative, 247, il dettato prescrittivo è diretto agli honestiores.
[52] La dottrina è divisa sul preciso
ruolo assunto dall’intervento del defensor
ecclesiae (su tale carica si veda, per tutti, A.H.M. Jones, The Later Roman Empire, II, Oxford 1964, 911; III, Oxford 1964, 311
n. 99) nella certificazione del matrimonio: per alcuni è un chiaro
sintomo dell’infiltrazione delle tendenze cristiane nella legislazione
imperiale (B. Biondi, Diritto romano cristiano, 81 ss.; A.L. Ballini, Il valore giuridico, 71 ss.; C. Castello, Lo strumento dotale, 221 ss.); per altri
sembra solo indice dell’affidamento riposto nella struttura burocratica ed
archivistica ecclesiastica (P. Voci,
Polemiche legislative, 248 n. 134; G. Luchetti, Matrimonio ‘cum scriptis’, 359 s.); per altri ancora
questa norma (e quella di Nov. 74.5) «sembr[a]no più aggiustamenti del tiro che
un’adesione a dei canoni precisi su cui i Padri della Chiesa non
transigevano» (O. Bucci, Il matrimonio cristiano, 532 s.).
[54] Vedi C.5.4.21, a. 426 (cfr. CTh.4.6.7).
Cfr. Manuale Novellarum Justiniani. Aperçu sistematique du contenu des
Novelles de Justinien composé par N. Van der Wal, Groningue 19982, 25 n. 70
(«C’est par affectation savante que Justinien appelle caligati les simples soldats dans Nov.
74,4§3; la pratique militaire ne connaissait plus ce nom»).
[56] Quoniam autem ex aditionibus quibus semper petimur omnium
quidem frequentissime mulieres conqueri et nuntiare audimus, esse qui
affectione erga ipsas victi domum eas ducant et divinis scripturis tactis vel
in oratoriis sacramento praestito se eas legitimas uxores esse habituros ita
per longum tempus eis utantur et liberos fortasse procreent, deinde ubi
cupiditate earum satiati sint vel sine liberis vel cum liberis eas domibus
eiciant, etiam huic rei remedium adhibendum esse iudicavimus. Et siquidem
mulier modis legitimis ostendere potuerit, virum ea se condicione in domum
recepisse, ut legitimam uxorem et liberorum legitimorum matrem haberet, nullo
iam modo illi licentia detur contra legis constitutionem eam domo expellendi,
sed habeat eam legitimam sintque liberi ei legitimi….
[57] Penso che si possa ritenere ormai
definitivamente superata la concezione del Volterra
(Matrimonio, 800), per il quale il
passo rappresenterebbe una riaffermazione del principio tradizionale circa
l’irrilevanza delle forme celebrative. La collocazione del disposto subito
dopo le prescrizioni in tema di strumenti dotali è inequivocabile segno
del fatto che si trattava di un’eccezione a quanto statuito in
precedenza. Né si può aderire alla teoria della Ballini (Il valore giuridico, 70), che considerava Nov. 74.5 rivolta
esclusivamente alla categoria sociale di più basso ceto: infatti, non
solo nel testo non è presente alcuna puntualizzazione in tal senso, ma
oltretutto la riforma non avrebbe avuto significato dal momento che per la
suddetta categoria si era tenuto saldo il principio dell’irrilevanza
delle forme di obbiettivazione (concordi G. Luchetti,
Matrimonio ‘cum scriptis’,
364 e n. 75; R. Vigneron, La politique moralisatrice, 586). Pure
da rigettare è la tesi del Vigneron
(La politique moralisatrice, 587
ss.), per il quale il passo in esame non sembrerebbe alludere ad una forma
matriomoniale, quanto piuttosto ad una promessa di matrimonio futuro –
che avrebbe sottinteso quindi un legittimo fidanzamento – seguita da
concubinato. Il tenore della costituzione pare, al contrario, ravvisare nel
giuramento sui testi sacri un mezzo di obbiettivazione del consensus, in altre parole, uno di quei fattori di carattere
sociale a cui il diritto ricorreva per acquisire prova del matrimonio. Per di
più, a fornire un ulteriore argomento a sfavore è lo stesso Vigneron (La politique moralisatrice, 588) quando opera un confronto del caso
in esame con C.5.27.10 pr.: se infatti nella Novella si tratta di un matrimonio
valido a prescindere da un documento scritto, nel Codice la redazione del
documento dotale si poneva a fondamento del riconoscimento della
legittimità dei figli attraverso la conversione del concubinato in iustae nuptiae.
[58] Un’ulteriore precisazione del
problema della legittimità si trova anche nel capo sesto, ove Giustiniano
chiarisce quali sono i figli legittimi, quali i naturali e infine quelli nati ex damnato coitu, stabilendo
altresì che i figli adulterini ed incestuosi non succedono al padre:
vedi anche Nov. 89.15 praef.
[59] Quae
igitur nobis placuerunt et ad hominum salutem ac naturae supplementum per hanc
legem definita sunt, tua sublimitas manifesta omnibus faciat edictis
propositis, per quae lex omnibus erit dilucida, unde cognoscant quemadmodum
sibi in eiusmodi rebus vivendum sit nostramque providentiam intellegant, quod
omni alii negotio ipsorum utilitatem praeponimus.
[60] Ctrl. Nov. 22 praef.: Polloˆ mn ½dh kaˆ poik…loi
tšqeintai nÒmoi par' ¹mîn kaˆ ˜k£stJ
mšrei tîn prÒteron ¹m‹n nomoqethqšntwn
À diatacqšntwn mn, dox£ntwn d ¹m‹n
œcein oÙk Ñrqîj t¾n ™pˆ t¦
kre…ttw didÒntej ÐdÕn kaˆ
ØfhgoÚmenoi to‹j ØphkÒoij Ön
pros»kei diazÁn trÒpon. … 'Hme‹j dš ge ™n
tÍ tîn diat£xewn sunq»kV poll¦ mn
kaˆ ¥lla perˆ toÚtwn diwr…samen,
ò»qhmen d crÁnai nàn, boula‹j
teleiotšraij tÕ pr©gma kataskeptÒmenoi, ka… tina
™panorqîsai oÙ tîn ¥lloij mÒnon, ¢ll'
½dh kaˆ tîn par' ¹mîn aÙtîn
nomoqethqšntwn. oÙ g¦r ™ruqriîmen, e‡ ti
k£llion kaˆ ïn aÙtoˆ prÒteron e‡pomen
projexeÚroimen, toàto nomoqete‹n kaˆ t¾n
proj»kousan to‹j prÒteron deutšran
™pitiqšnai diÒrqwsin o‡koqen, ¢ll¦
m¾ par' ˜tšrwn ¢namšnein ™panorqwqÁnai
tÕn nÒmon. – Multae quidem iam ac variae a nobis latae
sunt leges, quae et singulis partibus eorum, quae a nobis prius sancita erant
vel constituta nec tamen recte se habere nobis visa sunt, viam ad meliora
facerent et subditis praeciperent, quo modo vivere deceret.… Nos autem
cum in constitutionum compositione alia multa de his definivimus, tum nunc re
consiliis perfectioribus considerata quaedam emendanda esse existimavimus non
solum eorum quae ab aliis, sed iam eorum quoque quae a nobis ipsis sancita
fuerunt. Neque enim erubescimus, si quid pulchrius vel illis, quae ipsi antea
diximus, reperiamus, id lege sancire et prioribus secundam quae conveniat
correctionem sponte adferre, nec vero ut ab aliis lex emendetur expectare.
Per H. Jones, Justiniani Novellae, 196, le correzioni
di Giustiniano non sarebbero estranee alle aspre critiche mossegli da Procopio.
[61] Vedi anche Nov. 89 ep.; Nov. 101 ep. Sul
contenuto dell’utilitas, cfr. H.
Jones, Justiniani Novellae, 169,
secondo cui essa non ha un contenuto tecnico, né si identifica con
l’utilitas del diritto classico
(Hor., Sat. 1.3.98; Cic., de inv. 2.53.160), ma nelle intenzioni
dell’imperatore è una forma di «quiétude, qu’il assurera à ses sujets en les
délivrant des soucis et des anxiétés, en les
préservant des préjudices».
[63] Vedi N.
Bobbio, L’idea del
«buon legislatore», in Le
raisonnement juridique, Bruxelles 1971, 243-248. Cfr. anche G. Gavazzi, La motivazione delle leggi, in Il
politico 39 (1974), 173 ss., spec. 176.
[64] Tale discorso
fu «présenté le 1er
pluviôse an IX par
[65] Per il testo vedi http://www.code-civil.fr/anim/portalis08.htm.
[66] Per il testo vedi http://www.code-civil.fr/anim/portalis13.htm.
[68] Cfr. D.1.3.17
(Cels. 26 dig.): Scire leges non hoc est verba earum tenere, sed vim ac potestatem.
[69] Per il testo vedi http://www.code-civil.fr/anim/portalis14.htm.