N. 6 – 2007 –
Memorie//Scienza-giuridica
Università di Modena e Reggio Emilia
Sugli effetti della donazione
nell’ottica giustinianea e dei primi interpreti bizantini
SOMMARIO: 1. Premessa. La riforma
giustinianea della donazione inter vivos.
– 2. Cont.: il
resoconto delle Institutiones.
– 3. Nov.162.1: un
caso concreto risolto autoritativamente da Giustiniano. – 4. Le fonti protobizantine in
argomento: la Parafrasi di Teofilo. – 5. Cont.: il Breviarium di Teodoro. – 6. Cont.: l’Epitome
di Atanasio. – 7. Conclusioni.
Come è risaputo, la donatio delineata dalla riforma
costantiniana[1]
– che rende la liberalità tesa a trasferire il dominium una figura negoziale autonoma e
tipica – si presenta come un contratto a efficacia reale e «a
formazione successiva»[2],
essendo imperniata su tre fasi: la redazione delle tabulae scientibus plurimis,
la corporalis traditio[3]
con coinvolgimento del vicinato (advocata
vicinitate omnibusque arbitris) – sul fondo stesso si opera la traditio di un immobile –, e,
infine, l’insinuatio apud acta.
Questo premesso, ai nostri fini rileva
focalizzare il dato per cui nessuno dei tre atti ha valore considerato
isolatamente: l’effetto traslativo si produce soltanto alla fine della suite, onde in ogni passaggio può
ravvisarsi una sorta di condizione necessaria ma non sufficiente[4].
Su un simile presupposto è evidente
che l’affidamento ingenerato nel donatario - anche se in seguito non già a
un’informale promessa del donante, bensì alla redazione di un atto
davanti a testimoni - può rivelarsi del tutto fallace, perché
ciò non basta non solo, ovviamente, a produrre il passaggio della
proprietà, ma neppure a dar vita a un’obbligazione sostenuta da
un’actio, e quindi coercibile[5]:
se l’iter non si conclude,
insomma, le singole tappe non rivestono alcuna, sia pure limitata, efficacia.
Per vero, taluni interventi imperiali
posteriori a Costantino si erano studiati di intaccare in qualche misura quanto
meno il requisito della traditio
corporalis[6],
ma ciò non appare sufficiente a Giustiniano, il quale intervenendo con
decisione sulla materia, delinea a sua volta una figura di donatio con caratteri fortemente originali rispetto al negozio
consegnatogli dalla precedente legislazione tardo-romana.
C.8.53(54).35.5-5e
(a. 530) - Sed si quidem in omnibus supra dictis casibus usus fructus fuerit a
donatore retentus, et traditionem iure intellegi fieri. 5a. Sin autem hoc
minime donator expresserit, si quidem sipulatio donationi inserta sit, ex eius
auctoritate traditionem compelli fieri. 5b. Sin vero et hoc praetermissum sit et
usum fructum minime detinuerit, nihilo minus ex lege nostra necessitatem ei
imponi etiam tradere hoc quod donare existimavit, ut non ex hoc inutilis sit
donatio, quod res non traditae sunt, nec confirmetur ex traditione donatio, sed
liberalitatem plenam et secundum legem nostram perfectissimam constitutam
necessarius traditionis effectus sequatur, et necessitatem habeat donator
omnimodo res vel partem substantiae quam nominaverit vel totam substantiam
tradere. 5c. Cum enim in arbitrio cuiuscumque sit hoc facere quod instituit,
oportet eum vel minime ad hoc prosilire vel, cum ad hoc venire properavit, non
quibusdam excogitatis artibus suum propositum defraudare tantamque indevotionem
quibusdam quasi legitimis velamentis protegere. 5d. Tantoque magis haec firma
esse, si piis actibus vel religiosis personis donatio deputata sit
(monumentorum observatione in his modis secundum quod specialiter a nobis in
huiusmodi casibus praedictum est observanda), ne in praefatis causis ex
quibusdam machinationibus non solum indevotus, sed etiam impius donator
intellegatur poenasque non solum legitimas, sed etiam caelestes expectet. 5e.
Resque donatas in omnibus supra dictis casibus non solum eos, dum supersunt,
sed etiam eorum successores reddere compelli, non tantum his, in quos donatio
facta est, sed etiam eorum heredibus.
Come rilevava Gian Gualberto Archi[7],
il dettato della costituzione, di cui si sono qui riprodotti soltanto i brani
che interessano più direttamente, presenta un andamento poco lineare,
giacché prima viene equiparata alla traditio
la retentio ususfructus, poi si fa
menzione della clausola stipulatoria, la quale consente al donatario di
pretendere la traditio, infine,
introducendo un dato che in buona sostanza assorbe e vanifica tutto quanto
detto in precedenza, si conclude che, ancorata alla pura voluntas, la donatio
è già perfecta a
prescindere dalla traditio, la quale
risulta così degradata a mero atto dovuto.
Il motivo principe di un tale ductus, curioso e singolare, mostrato
dall’intervento giustinianeo è da individuarsi con buona
probabilità nella chiara vena polemica che lo pervade nei confronti
della donatio come si era venuta
delineando in età postclassica, e in particolare, si potrebbe
aggiungere, in forza della ‘archetipica’ riforma di Costantino.
Al segnalato inconveniente per il donatario
insito nella struttura della medesima Giustiniano intende porre rimedio
abbandonando in via definitiva il nesso tra donatio
e contratto con effetti reali e ricollegando alla volontà espressa dal
donante (e accettata dal donatario) la necessitas
di operare la traditio. Significativi
appaiono nell’accennata direzione i rilievi di cui al § 5c, ove
l’imperatore sottolinea con decisione, e quasi per tagliar corto, il
nesso indissolubile che deve sussistere tra ciò che si è
stabilito e ciò che poi in effetti si opera, censurando al contempo lo
spregio per l’impegno assunto che, oltre tutto, ardisce celarsi dietro un
avallo del diritto oggettivo.
Ancora più grave è poi per
l’imperatore (§ 5d) il peccato di empietà di cui in questo
caso si macchia chi ardisce frustrare l’aspettativa di attribuzioni
liberali a favore di opere pie e di religiosi, e più incisiva risulta di
conseguenza la tutela accordata a questi ultimi[8].
La riforma giustinianea del 530 trova un
preciso riscontro nelle Istituzioni imperiali, ove, tra l’altro, si
delinea un significativo parallelismo tra effetti della donazione (tra vivi) e
effetti della compravendita.
I.2.7 (De donationibus).2 -
Aliae autem donationes sunt, quae sine ulla mortis cogitatione fiunt, quas
inter vivos appellamus. quae omnino non comparantur legatis: quae si fuerint
perfectae, temere revocari non possunt. perficiuntur autem, cum donator suam
voluntatem scriptis aut sine scriptis manifestaverit: et ad exemplum
venditionis nostra constitutio eas etiam in se habere necessitatem traditionis
voluit, ut, et si non tradantur, habeant plenissimum et perfectum robur et
traditionis necessitas incumbat donatori. Et rel.
L’assimilazione tra donatio inter vivos e compravendita, di cui alla parte finale del brano, si
mostra funzionale a illustrare la portata dell’innovatio giustinianea relativa al negozio di liberalità,
rimarcandone un’efficacia obbligatoria. Una volta espressa, per iscritto
o oralmente, la volontà di donare, la traditio del bene identifica la prestazione a cui è tenuto
il donante, equiparato in questa direzione al venditore, poiché
anch’egli soggetto passivo di un rapporto obbligatorio che ha per oggetto
un tradere.
Invero I.2.7.2 si rivela testo assai
problematico, in quanto inserendo l’efficacia della donazione in
un’ottica analoga a quella della compravendita, può indurre
l’interprete a ritenere che ora ogni compravendita, sia cum scriptis sia sine scriptura, sortisca soltanto effetti obbligatori; ossia, detto
in altri termini, che nel sistema delle Istituzioni imperiali il contratto di emptio venditio con valenza traslativa non trovi – o non trovi
più – dimora. Tanto più che, poco prima di delineare il veduto
parallelismo tra emptio venditio e donatio, si precisa che le donazioni si
perfezionano sulla base della volontà espressa dal donante, il quale
può manifestare la propria volontà per iscritto o oralmente.
Orbene - se ci si volesse inserire lungo una tale direttrice - anche la
compravendita, come risulta da I.3.23 pr., si può stringere, a scelta,
nell’uno o nell’altro modo.
Non credo peraltro che questa sia (o
meglio, sarebbe) una conclusione da condividersi. A mio avviso,
l’istituzionista, al fine, soprattutto didattico, di enucleare con
maggiore chiarezza l’efficacia della donazione così come emerge
dalla riforma giustinianea, utilizza in chiave strumentale l’immagine
della compravendita consensuale classica, che del resto agli autori del manuale
era offerta dai materiali ‘dati’ sui quali si fondava il loro
dettato, e in particolare dal testo elementare di Gaio. Su tale aspetto non
intendo tuttavia soffermarmi in questa sede, posto che ne ho trattato
diffusamente in un contributo apparso alcuni anni or sono[9].
Ciò che qui intendo prospettare
è, in certo modo, la conclusione specularmente opposta: e cioè
che da tale assimilazione risulta invece – direi in modo sufficientemente chiaro –
il dato dell’efficacia, questa sì, obbligatoria, e non reale,
della donazione che emerge dall’innovatio
giustinianea. Il modello classico, insomma, è chiamato a spiegare
l’istituto giustinianeo, e così la figura della compravendita
esclusivamente generatrice di obligationes
si mostra funzionale a ritrarre la fisionomia della donatio attuale, come plasmata dalla recente legislazione di
Giustiniano. Mentre – già ne ho accennato – sono propenso a
escludere che sia vera la reciproca, ossia che da tale assimilazione sia lecito
inferire un’immagine della compravendita dell’età giustinianea
sempre e solo fonte di effetti obbligatori e mai, invece, traslativa.
Una testimonianza, invero alquanto
trascurata dalla dottrina specifica in materia, idonea a confermare
l’efficacia obbligatoria del contratto di donazione uscito dalla riforma
di Giustiniano è resa da Novella 162 capo I, del 9 giugno 539, che
riporta una delle soluzioni imperiali trasmesse al prefetto
dell’Illirico, su richiesta di quest’ultimo, al fine di troncare
questioni forensi che si agitavano da tempo.
Nov.162.1[10]
- TÕ to…nun prîton kef£laion
toioàton Ãn. Gun» tij ™pˆ to‹j par¦
toà sunoik»santoj dwrhqe‹sin aÙtÍ
pr£gmasin, oÙ m¾n paradedomšnoij, ºboÚleto
teleut»santoj toà ¢ndrÕj kaˆ ¹suc…an
¢gagÒntoj ™pˆ tÍ dwre´ t¦
pr£gmata ™kdike‹n, æv kur…a toÚtwn
tÍ te dwre´ tÍ te siwpÍ toà
¢ndrÕj genomšnh. ¢ntet…qeto par¦ tîn
katecÒntwn, paragraf¾n aÙt¾n mÒnhn
œcein ™nagomšnhn e„ katšcoi, oÙ m¾n
kaˆ par' ˜tšrou dÚnasqai taàta
™kdike‹n. tÕ mn oân ¢mfijbhthqn
toioàton Ãn. ¹me‹j d ¢nemn»sqhmen
diat£xewj ¹metšraj legoÚshj, tÕn
dwrhs£menon, e„ kaˆ m¾ ™perwthqÍ
t¾n par£dosin, ¢n£gkhn œcein paradidÒnai
tÕ dwrhqšn. oÙ g¦r ™p' ™xap£tV,
oÙd †na gr£mmata e‡h gumn¦ tÕ
ginÒmenon, proj»kei pr£ttesqai sumbÒlaion. projeneno»samen
d kaˆ t¾n toà Cinciou nÒmou toà
palaioà nomoqes…an, Ön eâ poioàsa tÁj
o„ke…aj nomoqes…aj ¢pepšmyato prèhn ¹
polite…a, toiaàta nomoqetoànta Ðpo‹a kat¦
tÕ parÕn ºmfijb»thtai. 1. Kaˆ qesp…zomen,
e„ kat¦ tÕ œmprosqen ¹m‹n
e„rhmšnon tele…wj ¤panta sco…h t¦
tÁj toiaÚthj dwre©j kat£ te tÕ mštron
kat£ te t¾n ™mf£neian, ™rrîsqai
taÚthn ™k trÒpou pantÕj tÍ toà
¢ndrÕj siwpÍ eÙqÝj ™x ¢rcÁj
kat¦ t¾n ¹metšran di£taxin ™x oá
gšgonen, éjte k¨n e„ met¦ taàta Ð
¢n¾r e„j Øpoq»khn do…h tÕ
pr©gma À e„j ™nšcuron par£scoi,
¢ll¦ proekpepoihkšnai doke‹n tÒn ge mšcri
periÁn ¹suc£santa: kaˆ t¾n par£dosin
e‡te gšgone didÒnai aÙtÍ paragraf»n,
e‡te oÙ gšgone paršcein kaˆ ¢pa…thsin,
e„ mn ™perèthsiv gšnoito, di¦ tÁj ex stipulato, e„ d
m¾ toàto, di¦ toà ex lege condicticiou, éjte
paralabe‹n tÕ dedwrhmšnon. 2. K¢ke‹no d
diat£xai d…kaion ¹ghs£meqa tÕ e„ mn
™mfane‹j gšnointo t¾n ¢rc¾n aƒ
dwreaˆ ™n Øpomn»masi, p©si trÒpoij
aÙt¦j tÍ siwpÍ bebaioàsqai, e„ d
¢nemf£nistoi me…naien, perba…noien d tÕ
mštron tÕ deÒmenon ™mfan…sewj, mšcri
tosoÚtou mÒnou aÙt¦j ™rrîsqai,
mšcrij oá kaˆ ¢nemfan…stouj t¦j
dwre¦j „scur¦j enai par' ¹mîn
nenomoqšthtai. toàto g¦r ™n ØstšrJ‚
nomoqet»santej krate‹n aÙtÕ boulÒmeqa,
kaˆ m¾ di¦ t¾n projq»khn tÁj
posÒthtoj diap…ptein kaˆ tÕ Ñrqîj
œcein dun£menon, Óper kaˆ ™pˆ tîn
kaqÒlou dwreîn ½dh nÒmoj ¹mšteroj
lšgei. toÚtwn kratoÚntwn oÙ mÒnon
™pˆ gunaikÕj kaˆ ¢ndrÒj, ¢ll¦ kaˆ
™pˆ tîn ¥llwn projèpwn, ™f' ïn aƒ
™n g£moij dwreaˆ kekèluntai.
Primum igitur caput huiusmodi
erat. Mulier quaedam in rebus ipsi a marito donatis nec vero traditis, cum
maritus mortuus esset et de donatione silentium egisset res vindicare voluti,
tamquam earum domina tam donatione quam silentio mariti facta. Opponebatur a
rerum possessoribus exceptionem solam habere eam in ius vocatam, si possideat,
nec vero etiam ab alio eas vindicare posse. Quod igitur in controversum
vocabatur eiusmodi erat. Nos autem recordati sumus constitutionis nostrae, quae
dicit donatori, etiamsi traditionem non promiserit, necessitatem imponi rem
donatam tradendi. Neque enim ad decipiendum, neque ut in nudis consistat
litteris quod geritur, instrumentum confici oportet. Praeterea animum
revocavimus etiam ad lationem legis Cinciae veteris, quam suo iure e legum
corpore suo respublica pridem removit talia sancientem qualia in praesenti in
controversiam adducta sunt.
Alla morte del marito, che le aveva donato
dei beni senza operare la traditio e
in vita non aveva mutato volontà, la vedova intende rivendicare i
medesimi presso gli attuali possessori.
A quanto è dato evincere, costoro
non discutono sul fatto che la donazione tra coniugi, pur vietata, abbia
ricevuto nella fattispecie convalida in forza dell’oratio Severi per essere il marito morto senza avere espresso un
contrario avviso, ma si difendono facendo leva sul dato – a loro credere
fondante e di lontana derivazione dalla lex
Cincia – di una donatio
imperfecta, perché la donna non è attualmente in possesso dei
beni: se lo fosse, essi argomentano, potrebbe opporre l’exceptio e così conservare il
beneficio, ma poiché tale situazione non ricorre, non può
assumersi domina e agire di
conseguenza; il che, in ultima analisi, equivale a dire che la vedova non
può ottenere le cose donate.
A fronte di questa pretesa, generale
immagine di un donatario legittimato soltanto a difendersi e non anche ad
attaccare, Giustiniano ricorda in proposito la propria costituzione in
C.8.53(54).35 del 530, di cui ci siamo occupati, in forza della quale il
donante, una volta dichiarata la volontà di donare, anche se non ha
promesso la traditio, è tenuto
alla medesima, e contesta che sul punto sia operativo il principio legato
all’antica lex Cincia che i possessori dei beni
sembrano adombrare.
Pertanto, se la donatio risulta perfecta
sia quanto alla misura sia quanto all’insinuatio
richiesta, il diritto della donna a ottenere i beni appare del tutto
fondato, avendo il silenzio in vita del donante sanato il vizio originario che
inficiava la validità dell’atto, e ciò – aggiunge la
legge – anche qualora il marito avesse ipotecato i beni donati o li
avesse dati in pegno, in quanto, nell’un caso e nell’altro, avrebbe
vincolato beni già di altrui spettanza: così va inteso a mio
avviso il verbo proekpepoihkšnai, per i motivi che saranno meglio esplicitati poco oltre.
Orbene, in quale modo la vedova può
conseguire l’oggetto della donatio?
Stante il fatto che i beni non sono in suo possesso, nel qual caso disporrebbe
dell’exceptio, se la traditio fu promessa con stipulazione,
può convenire i possessori dei beni con l’actio ex stipulatu, altrimenti può giovarsi della condictio ex lege.
Quest’ultima precisazione, assente
nella constitutio del 530, ove non si
fa menzione dei mezzi giudiziari a favore del donatario, riveste a mio avviso
particolare rilievo, perché dimostra che nell’ottica giustinianea
la donazione produce effetti essenzialmente obbligatori: se vi è stata
(o così si dichiara) l’interposizione di una stipulatio, la fonte del vincolo è ovviamente il contratto
verbale; se la stipulazione non ha avuto luogo, il vincolo obbligatorio trova
la sua fonte nella legge.
La condictio
ex lege è in età postclassica un’actio in personam che
tutela diritti di credito originati da una legge imperiale, ove non è
indicato il rimedio specifico da intentare, come risulta dal seguente frammento
paolino che, da solo, esaurisce il titolo II di D.13, al quale i compilatori
hanno apposto la rubrica De condictione
ex lege[11].
D.13.2.1 (Paul. 2 ad Plaut.)[12]
- Si obligatio lege nova introducta sit nec cautum eadem lege, quo genere
actionis experiamur, ex lege agendum est.
D’altra parte che tra le fonti delle
obbligazioni un posto sia occupato dalla legge risulta evidente dal tardo
catalogo stilato – stando ai Digesta[13]
– da Erennio Modestino (2 reg.,
D.44.7.52 pr.): obligamur autem aut re
aut verbis aut simul utroque aut consensu aut lege aut iure honorario aut
necessitate aut ex peccato.
Ritornando ora al proekpepoihkšnai, può spiegarsi in modo più
compiuto perché il verbo non va probabilmente inteso come allusivo di un
trasferimento di proprietà già avvenuto: se la donazione produce
effetti obbligatori, non si può realizzare il passaggio della
proprietà prima che sia operata la traditio.
E’ dunque preferibile ritenere che il
verbo in questione alluda alla destinazione ‘forte’ impressa sul
bene dalla volontà manifestata dal donante a favore del donatario, la
quale fa sì che l’eventuale successiva costituzione sulla res di un diritto reale di garanzia sia
inidonea a fungere da revoca dell’atto di liberalità. Di un simile
problema si erano infatti occupati i giuristi classici e, commentando l’oratio Severi, avevano optato, a quanto
è dato evincere, per una soluzione generale - ancorché
suscettibile di eccezioni -
difforme rispetto a quella ora fatta propria dalla legge imperiale del
539[14].
Sotto altro profilo, a mio avviso, si
può ritenere che con il citato verbo proekpepoihkšnai si intenda rimarcare l’inopponibilità al donatario da
parte del creditore pignoratizio o ipotecario del diritto reale di garanzia
costituito a proprio favore sul bene già donato.
Sembra dunque di poter concludere che
Giustiniano ha inteso porre rimedio al già visto inconveniente insito
nella struttura della donatio
disegnata dalla normazione di Costantino spezzando la catena che legava
saldamente le varie fasi di quest’ultima – e finiva così per
destituire di effetti giuridici i singoli segmenti in sé considerati
–, per legare ora direttamente alla volontà espressa dal donante,
e cioè in certo modo al momento iniziale del ‘procedimento’,
l’effetto di vincolare l’autore a trasmettere l’oggetto della
liberalità al donatario; sulla base - è lecito concludere - di
un’obligatio difesa dalla condictio ex lege, come specificato
appunto da Nov. 162 capo I.
Sul punto che qui interessa la Parafrasi di
Teofilo riproduce fedelmente[15]
il corrispondente dettato delle Istituzioni:
2.7.2 – MaqÒntej
perˆ tÁj mortis
causa dwre©j e‡pwmen perˆ tîn loipîn
dwreîn, a†tinej e„sin inter uiuos. g…nontai d aátai, mhdem…aj
™nno…aj Øpokeimšnhj qan£tou, a†tinej
¢peo…kasi to‹j lhg£toij. taÚtaj d tÕ
pšraj ™schku…aj æj œtucen oÙ dunatÕn
¢nakale‹sqai. peraioàntai d ¹n…ka Ð
dwroÚmenoj t¾n o„ke…an dhlèsV gnèmhn
™n gr£mmasin À kaˆ ¢gr£fwj. kaˆ
éjper Ð pwl»saj tÕ praqn ¢nagk£zetai traditeúein, oÛtwj
di£taxij toà ¹metšrou. basilšwj tÕn
dwr»sasqai boulhqšnta ¢nagk£zei p£ntwj
paradoànai tÕ dwrhqn tÕ tšleion paršcousa
tÍ dwre´, e„ kaˆ m¾ parhkoloÚqhsen ¹
traditíwn.
Postquam de mortis causa
donatione dixerimus, dispiciamus de ceteris donationibus, quae sunt inter
vivos. fiunt hae sine ulla mortis cogitatione, neque legatis comparantur.
perficiuntur autem cum donator suam voluntatem scriptis aut sine scriptis
manifestaverit. set et ad exemplum venditoris qui rem tradere cogitur,
principis nostri constitutio donatorem omnino tradere iubet robur donationi
praestans, licet traditio non sit secuta.
Manca nel parafraste il rilievo, presente
invece nell’istituzionista, relativo al carattere eccezionale che riveste
la revoca della donazione tra vivi una volta perfecta (quae si fuerint
perfectae, temere revocari non possunt), ma ne esce ancora più
sottolineata, quanto agli effetti, la sua assimilazione alla compravendita:
anche il venditor, infatti, come
appunto il donator, rem tradere cogitur; e, posto che, come
si diceva, si fa riferimento all’emptio
venditio classica generatrice esclusivamente di obbligazioni, viene qui fornita
una riprova dell’efficacia obbligatoria dell’atto di
liberalità uscito dall’innovatio
giustinianea.
Della condictio
ex lege di cui può valersi il donatario parla anche il brano del Breviarium di Teodoro di Ermopoli,
dell’ultimo quarto del VI secolo, che riassume il capo I di Novella 162[16].
Theodori Breviarium Novellarum, Nov.162.1-’E¦n ™traditeÚqh tÍ gunaikˆ t¦ dwrhqšnta aÙtÍ par¦
toà „d…ou ¢ndrÒj, kalîj aÙt¦
parakrate‹: e„ d mÒnon ™perwthqÍ À
™paggelqÍ aÙtÍ, tÒte di¦ tÁj ex lege condictik…ou, ™¦n
dhlonÒti tÍ aÙtÍ boul»sei
™pime…naj Ð ¢n¾r ™teleÚthsen.
shme…wsai dš, Óti ¹ ™pˆ pr£xewj
Øpomnhm£twn genomšnh dwre¦ par¦ toà
¢ndrÕj prÕj t¾n guna‹ka bebaioàtai
tÍ siwpÍ aÙtoà. ¢n£gnwqi bi. e/
toà kèd. t…. ij/
di£t. ke/.
Si mulieri tradita fuerint,
quae ipsi a marito suo donata sunt, recte ea retinet, si vero tantum promissa
sunt, tunc ex lege condictione [exiguntur], scilicet si vir in eadem voluntate
perseveraverit et sic mortuus sit. Nota donationem sub actorum confectione a
marito in uxorem collatam silentio eius confirmari. Lege lib. V Cod. tit. 16
const. 25.
Nella sua concisione il testo conferma
alcuni dei punti salienti della legge: la perseverantia
voluntatis fino alla morte del coniuge donante ai fini della convalida
dell’atto di liberalità, dato peraltro - come sappiamo - di alta
risalenza; la possibilità per il donatario che abbia ottenuto per traditio le cose donate di trattenere le
medesime, evidentemente respingendo con l’exceptio l’azione degli eredi del donante; la
possibilità, infine, di convenire con la condictio ex lege gli eredi del donante nel caso che
quest’ultimo abbia espresso, e per tutta la vita mantenuto, una seria
volontà negoziale in tal senso senza tuttavia effettuare la traditio.
L’elemento più problematico
che la fonte apporta rispetto a quanto già espresso dalla Novella
risiede, se intendo bene, nell’assorbimento nella condictio ex lege, azione in
personam, dell’actio ex
stipulatu, che, stando alla Novella, è invece esperibile dal
donatario se sia stato concluso con il donante il relativo contratto verbale.
Come infatti si può rilevare, la
traduzione latina dello Zachariä parla soltanto di promissio (si vero tantum
promissa sunt), ma il testo greco dice propriamente e„ d
mÒnon ™perwthqÍ À ™paggelqÍ, ove il primo verbo allude evidentemente
alla domanda che il donatario futuro creditore rivolge - o si attesta aver
rivolto - al donante futuro debitore.
Sembra insomma che, sia che abbia avuto
luogo la stipulazione, sia che della medesima non risulti traccia – anche
in questo caso, infatti, con l’espressione di una seria volontà di
donare i beni si considerano promessi – l’actio a disposizione del donatario sia sempre la condictio ex lege. Peraltro, quanto agli
effetti della donazione, non è dubbio che nel brano di Teodoro ne esca
sottolineata la natura obbligatoria[17].
Di particolare interesse ai nostri fini
è invece la sintesi di Nov.162.1 che compare nell’Epitome di
Atanasio di Emesa.[18]
Athanasii Epitome Novellarum, 18.4.1 - ’E¦n tij, ¡plÁn dwre¦n ™n
sunestîti tù g£mJ e„j t¾n „d…an
™kqšmenoj gamet»n, m¾ traditeush mn t¦
dwrhqšnta, ™jfhsuc£sV d mšcri teleutÁj,
bebaioàtai ¹ toiaÚth dwre¦ ¢pÕ toà
crÒnou tÁj grafÁj t¾n sÚstasin œcousa,
kaˆ dÚnatai ¹ gun¾ ¢paite‹n
aÙt¾n À kaˆ nemomšnh paragr£fesqai
toÝj ™n£gein aÙt¾n boulomšnouj. [N.162.1]
Shme…wsai, Óti, e„ kaˆ Øpšqeto
À ™necur…asen Ð ¢n¾r tÕ dwrhqn
tÍ gunaik…, æj e‡rhtai, oÙ doke‹
¢nakale‹sqai t¾n dwre£n, ¢ll’ ™kdik»sei
tÕ dwrhqn ¹ gun¾ æj proekpepoihmšnon
aÙtÍ ½dh. Kaˆ Óti Øpr toÝj
f’ crus…nouj dwre£, k¨n m¾ pracqÍ, mšcri tÁj
posÒthtoj tîn f’ crus…nwn tÕ bšbaion ›xei.
Si quis, cum constante
matrimonio uxori suae simplicem donationem fecisset, res donatas non tradiderit,
tacuerit autem usque ad mortem (suam), talis donatio confirmatur, a tempore
scripturae valorem habens suum. Ac mulier eam petere potest, aut etiam, si
possideat, eos, qui eam convenire volunt, exceptione summovere. Nota id, quod
opportuno loco dicitur, etsi vir id, quod mulieri donatum est, hypothecae et
pignori obligavit, ut dictum est, non videri donationem revocare, sed rem
donatam a muliere vindicatum iri, quasi iam antea alienatione ad ipsam
translata esset, et id, quod quingentos aureos superat, (si actis insinuatum
non sit, non valere, valere autem id, quod usque ad quingentos aureos est), et
in talibus donationibus.
Il punto più rilevante del testo
è quello in cui viene in considerazione il tipo di rimedio di cui
può valersi la donna se sulle cose donate il marito ha costituito un
diritto di ipoteca o di pegno. La donataria - precisa lo scholastikos - può rivendicarle quasi siano state
precedentemente alienate a suo favore.
Quella relativa alla possibilità di
esperire l’azione di rivendica è, a ben guardare, una precisazione
che nel testo giustinianeo del 539 non compare in alcun luogo, e che quindi
costituisce sul piano sostanziale una indubbia novità della fonte
protobizantina.
La Novella 162.1, come si è visto,
chiarisce che nei confronti del donante, o dei suoi eredi, se la traditio non è stata promessa con
la stipulazione, il donatario può esperire la condictio ex lege[19],
e dice anche che il diritto di ipoteca o di pegno costituito dal donante sul
bene donato non pregiudica il diritto del donatario.
La legge in questione, come è facile
rilevare, non menziona l’actio
esperibile da quest’ultimo se i beni siano gravati da un diritto reale di
garanzia, ma, in fondo, la cosa non pare in grado di sorprendere ove si
applichino i comuni canoni del diritto privato: se il donatario è un
creditore legittimato a esperire la condictio
ex lege, esperirà la condictio
ex lege: sempre, ovviamente, nei confronti del donante, o, come nel nostro
caso, degli eredi di lui.
Il problema relativo alla costituzione del
diritto reale di garanzia sul bene donato può venire in considerazione
nel senso che in ciò non va identificata una valida revoca della
liberalità, ma - ragionando su questa falsariga - non può
incidere, come tale, sulla tipologia di rimedio di cui valersi contro il
donante o i suoi successori. Si sarebbe, insomma, autorizzati a pensare che condictio era e condictio resti, ché per il creditore - a vantaggio del
quale non opera il diritto di seguito - la costituzione dell’ipoteca o
del pegno è res inter alios acta.
Il compendio di Atanasio, per converso, non
nomina l’azione che il donatario può di regola intentare contro il
donante - ossia, per Giustiniano la condictio
ex lege - ma si premura di specificare che la donna beneficiaria, in caso
di costituzione di pegno o di ipoteca, può rivendicare l’oggetto
della liberalità (™kdik»sei tÕ dwrhqn ¹ gun¾)[20].
Ma allora sembra giocoforza concludere che
se il donatario può rivendicare in caso di oggetto ipotecato o dato in
pegno, lo stesso potrà fare, diremmo quasi a maiori, come regola generale nei confronti del donante a
prescindere dalle predette evenienze.
Il che equivale a dire che secondo una
piana interpretazione del passo del Breviarium
di Atanasio, il donatario è fornito - o è fornito anche - di azione
di rivendica nei confronti del donante, e quindi che alla donatio vanno riconosciuti - o vanno riconosciuti anche - effetti
reali.
Quella di Atanasio di Emesa, dunque, non
appare solo una particolare lettura del testo giustinianeo, bensì
un’esegesi che reca in sé una sorta di (più o meno
incisiva) trasformazione del contenuto normativo della legge del 539,
perché nella prosa dell’interprete tutta la difesa del donatario
finisce inevitabilmente con il ruotare intorno all’™kdik£zein, ossia alla rivendica, mentre nel testo
della Novella il perno è la condictio
ex lege, vale dire una tipica actio in personam.
Quali conclusioni è lecito trarre
dal percorso fin qui condotto?
Sembra di poter affermare che
nell’ottica giustinianea la donatio
produce effetti obbligatori alla stregua di un contratto consensuale.
Tale dato trova conferma innanzitutto nella
necessitas imposta al donante di
operare la traditio ancorché
egli non l’abbia eventualmente promessa – punto sul quale il
discorso del legislatore in C.8.53(54).35, del 530, si mostra chiaro e
insistente –; poi nell’assimilazione istituzionale (I.2.7.2,
confermato dal corrispondente passo della Parafrasi di Teofilo) del donante al
venditore, sul quale pure grava l’obbligazione di tradere; poi ancora nel tipo di rimedio accordato al donatario di
cui è menzione in Nov.162.1, del 539, ove non sia stata operata la traditio e faccia difetto la clausola
stipulatoria: si tratta della condictio
ex lege, actio in personam legata a
un’obbligazione di dare; infine
nella considerazione che la citata legge in C.8.53(54).35, al § 5d, isola
un particolare genere di donazioni, quelle - per intenderci rapidamente - a
favore di luoghi di culto e di religiosi, dotate di una più solida
tutela (tantoque magis haec firma
esse…), fondata al contempo sull’actio in rem, l’actio in
personam e l’actio hypothecaria
(C.1.2.23.4[1], del 530): il che evidentemente significa che le donazioni
comuni, di cui si parla nei paragrafi precedenti, sono dotate di una difesa un
po’ meno incisiva, giacché, stando a ciò che si è
detto finora, producono unicamente effetti obbligatori.
Detta natura obbligatoria degli effetti
dell’atto di liberalità è confermata dal sunto di Teodoro
di Ermopoli, in cui, sempre che ciò non sia dovuto soltanto alla prosa
volutamente ellittica dello scholastikos,
non si fa più menzione dell’actio
ex stipulatu per incentrare tutta la tutela ‘aggressiva’ del
donatario sulla condictio ex lege.
Una voce, almeno apparentemente, fuori dal
coro è quella di Atanasio di Emesa. Egli, parlando di rivendica
accordata al donatario in caso di diritto reale di garanzia costituito dal
donante sull’oggetto della liberalità, evoca l’immagine di
una più generale tutela di stampo reale a disposizione del beneficiario
dell’atto. Quel cenno all’alienazione del bene che in Nov.162.1
era, a quanto sembra, finalizzato non già a indurre l’idea di una
trasmissione di proprietà in senso stretto con conseguente difesa reale,
ma solo, probabilmente, a negare che la costituzione di ipoteca o di pegno
potesse valere come revoca della donatio
e, al contempo, a rendere l’idea dell’inopponibilità di tali
diritti di garanzia nei confronti del donante, viene ora assunto come elemento
fondante circa l’esperibilità della rivendica, su cui inevitabilmente
nella logica del brano finisce per ruotare l’intero sistema della tutela
accordata al donatario.
E’ questo che intendeva Atanasio, o,
qui pure, tutto dipende dalla brevità del discorso condotto
dall’epitomatore?
Difficile fornire una risposta precisa, ma
lo scritto assume sempre, comunque, una sua dimensione autonoma e quanto se ne
ricava è l’idea di una tutela reale a vantaggio del donatario e,
di conseguenza, l’immagine di una donatio
traslativa.
Una suggestione che può affacciarsi
all’interprete moderno è quella di un certo grado di
difficoltà da parte della scientia
iuris coeva a cogliere sotto ogni aspetto il tenore dell’innovatio giustinianea. Occorre infatti
tener presente che siamo in un’epoca in cui da tempo ha fatto la sua
comparsa il contratto con effetti reali, e ciò tanto sul piano della
compravendita quanto su quello della donazione: l’emptio venditio cum scriptis è un contratto traslativo; la
donazione costantiniana è pure, alla sua già vista maniera, un
contratto traslativo.
La costituzione giustinianea in C.8.53(54).35
presenta un ductus non del tutto
perspicuo, che in definitiva si avvita su se stesso, e che mira soprattutto a
far capire che il donator quando ha
espresso la propria volontà (accettata dal donatario) non ha più
scampo e non può sperare in elusioni di sorta; al contempo il discorso
di Nov.162.1 nel punto cruciale del proekpepoihkšnai finisce con l’introdurre un elemento di forte
ambiguità: dall’alienatio
del bene deriva così per Atanasio la vindicatio
esperibile dal donatario come piana conseguenza giuridica.
In teoria si potrebbe anche ipotizzare che
sull’impostazione di Atanasio abbia influito una soluzione giustinianea
abbastanza simile, anche quanto al ductus
espositivo, adottata in materia di
legati e fedecommessi.
C.6.43.3.2a (a. 531) - Nemo itaque ea, quae per legatum vel
pure vel sub certo die relicta sunt vel quae restitui aliis disposita sunt vel
substitutione posita, secundum veterem dispositionem putet esse in posterum
alienanda vel pignori vel hypothecae titulo adsignanda vel mancipia
manumittenda, sed sciat, quod hoc quod alienum est non ei liceat utpote sui
patrimonii existens alieno iuri
applicare, quia satis absurdum est et inrationabile rem, quam in suis bonis
pure non possidet, eam ad alios posse transferre vel hypothecae pignorisve
nomine obligare vel manumittere et alienam spem decipere.
Come è agevole osservare, ci
troviamo in un settore del diritto privato assai vicino a quello delle
donazioni - né si può dimenticare in proposito la pretesa
assimilazione totale operata da Giustiniano delle donationes mortis causa ai legati -, e anche qui, al fine di non
frustrare le giuste aspettative dei beneficiari, si stabilisce il divieto per
gli onerati di legati, di fedecommessi e di sostituzioni, incondizionati o a
termine certo, di alienare (manomettere nel caso si tratti di servi), dare in
pegno o gravare di ipoteca i beni oggetto dei lasciti, sottolineando che quanto
valeva prima (secundum veterem dispositionem) d’ora innanzi (in posterum) non è operante,
ché non si può disporre di ciò che è altrui come se
fosse proprio. Anche qui dunque un divieto di gravare con diritti reali di
garanzia beni destinati ad altri; anche qui una soluzione legata a una riforma
giustinianea[21].
Sennonché una simile ipotesi risulta
in ultima analisi piuttosto labile, dato che in questi casi
l’altruità del bene è effettivamente attestata in base alla
celebre costituzione del 529 (C.6.43.1.1), con la quale Giustiniano ha inteso omnibus … tam legatariis quam
fideicommissariis unam naturam imponere et non solum personalem actionem
praestare, sed etiam in rem, quatenus eis liceat easdem res, vel per quodcumque
genus legati vel per fideicommissum fuerint derelictae vindicare in rem actione
instituenda, et insuper utilem Servianam (id est hypothecariam) super his quae
fuerint derelicta in res mortui praestare[22].
Poiché Giustiniano ha - almeno in
via di principio - accordato a tutti i legatari e fedecommissari l’azione
reale, appare evidente il nesso consequenziale che lega la riforma del 529 al
dettato di C.6.43.3.2a. La somiglianza con il nostro caso è solo dunque
di natura esteriore e non è in grado di trarre in inganno un giurista,
per il quale, nonostante la stretta contiguità delle aree, l’associazione
di idee non può che risultare esteriore, se non addirittura epidermica.
Chiudo queste note con una suggestione, che
può anche considerarsi la traccia di un ulteriore percorso.
Oltre tre secoli dopo le Epitomi novellari
che abbiamo considerato, i Basilici, riproducendo nel complesso assai
fedelmente il dettato di Nov.162.1, vi apportano tuttavia una piccola ma significativa variante:
Bas.47.1.76 (ed. Scheltema -
Van der Wal, A.VI, 2145) - (...) kaˆ t¾n par£dosin
e‡te gšgone didÒnai aÙtÍ paragraf»n,
e‡te oÙ gšgone paršcein kaˆ ¢pa…thsin,
e„ mn ™perèthsij gšnoito, di¦ tÁj
™pˆ tÍ ™perwt»sei ¢gwgÁj kaˆ
dun£mewj, e„ d kaˆ m¾ toàto, di¦
tÁj ¡rmozoÚshj ¢pait»sewj, éste
paralabe‹n tÕ dedwrhmšnon.
(...) et traditio, si facta
sit, praebeat ei exceptionem, si facta non sit, praebeat etiam exactionem: si
quidem stipulatio intercesserit, per ex stipulatu actionem: sin minus, per
competentem actionem, ut donator percipiat.
Come è facile osservare, è
rimasta l’actio ex stipulatu,
se stipulazione vi sia stata (o sia comunque dichiarata), ma, in caso di
mancata promessa e esecuzione della traditio,
il donatario agirà con l’azione che gli compete (di¦ tÁj ¡rmozoÚshj
¢pait»sewj), il
cui nome non viene però indicato. E’, insomma, scomparsa la
menzione della condictio ex lege, che
figurava nella Novella giustinianea e nell’Epitome di Teodoro, e che
costituisce uno dei perni su cui ruota per l’interprete moderno la
verifica circa la natura obbligatoria degli effetti della donazione disegnata
da Giustiniano.
Si tratta dell’ultravalenza di
lontani dubbi interpretativi, già affiorati verso la fine del VI secolo,
che hanno dato vita a una diversa soluzione, o comunque a un diverso
atteggiamento del legislatore tardobizantino?
I trecento e più anni che separano
l’Epitome Athanasii dalla
grande compilazione di Leone il Saggio consentono solo, come si è detto
poco sopra, una suggestione. Vi è un longum
aevi spatium da riempire con l’esame delle fonti in argomento che ne
scandiscono la durata. Una storia, dunque, ulteriore; da raccontare, se del
caso, un’altra volta.
(*)
L’opportunità di una celere pubblicazione degli atti del convegno
modenese, per la quale sono particolarmente grato all’amico Francesco
Sini, mi hanno indotto a corredare il testo della relazione letta in quella
sede con un apparato di note abbastanza modesto, recante esclusivamente gli
essenziali riferimenti testuali e bibliografici implicati (peraltro questi
ultimi, con riguardo alle fonti in lingua greca - ivi compresa
[1] Frag. Vat. 249, riprodotto pro parte e con varianti in C.Th.8.12.1
e C.8.53.25, dell’anno 316 o 323.
[2] Così P. VOCI, Tradizione, donazione, vendita da Costantino a Giustiniano, in Iura, 38, 1987, 106.
[3] Viene quindi escluso, per esempio, il
costituto possessorio, prima praticato.
[4] P. VOCI, Tradizione, cit., 106.
[5] G. PUGLIESE(-F. SITZIA-L. VACCA), Istituzioni di diritto romano3,
Torino 1991, 952.
[6] In particolare C.Th.8.12.9 (= C.8.53.28)
(Hon. et Theod., a.417).
[7] G.G. ARCHI, La donazione. Corso di diritto romano, Milano 1960, 274 s. Cfr.
anche IDEM, Donazione (diritto romano), in ED XIII, Varese 1964, 951 ss.
[8] Sono infatti reclamabili indifferentemente
con azione reale, azione personale e azione ipotecaria, i beni donati a chiese,
monasteri, gerontocomi, ospizi per forestieri o poveri, o a persone dedite al
culto, come attestato da C.1.2.23.4(1), del
[9] R. LAMBERTINI, I.2.7.2. Un problematico raccordo tra effetti della donazione e della
compravendita in diritto giustinianeo, in Labeo, 49, 2003, 60 ss. (ivi bibliografia). Sulla ragione per cui,
nonostante il chiaro accostamento della donazione alla compravendita operato
dagli autori delle Institutiones,
questi ultimi non abbiano inteso compiere il passo ulteriore consistente
nell’attrarre la donatio entro
la sistematica contrattuale cfr. M. AMELOTTI, Giustiniano maestro di Istituzioni, in AUGE, 5, 1966, 324 ss. = Scritti
giuridici (cur. L. Migliardi Zingale), Torino 1996, 705 s.
[10] Il testo della Novella è presente
soltanto nei manoscritti Marcian. Gr.
179 e Laurent. LXXX.4 (su una
variante recata da quest’ultimo si veda infra nt. 17).
[11] Per l’emersione postclassica della condictio ex lege cfr.: C. FERRINI, Sull’opuscolo greco intitolato
‘de actionibus’, in (RIL,
II.26, 1893, 717 ss. =) Opere, I. Studi di diritto romano bizantino (cur.
V. Arangio-Ruiz), Milano 1929, 368, che la attribuisce alla “tarda
dottrina scolastica degli orientali”; F. SITZIA, ‘De actionibus’. Edizione e commento, Milano 1973, 91
nt. 65. La ritengono invece parto giustinianeo: M. KASER, Das römische Privatrecht, II2. Die nachklassischen Entwicklung, München
1975, 424; A. SANGUINETTI, Dalla
‘querela’ alla ‘portio legitima’. Aspetti
della successione necessaria nell’epoca tardo imperiale e giustinianea, Milano 1996, 114 ss. (l’autore tuttavia
non esclude una possibile origine di poco anteriore all’età di
Giustiniano); A. SACCOCCIO, Si certum
petetur. Dalla ‘condictio’ dei ‘veteres’ alle
‘condictiones’ giustinianee, Milano 2002, 559 ss.; M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano3, Palermo
2006, 495 e nt. 246.
[12] O. LENEL, Paul.1083, ritiene che il testo
riguardasse in origine l’ambito della lex
Aquilia. Cfr. anche A. SANGUINETTI, op.
cit., 115 e nt. 45.
[13] Il testo, ove del dualismo portante contractus-delictum è scomparsa
ogni traccia, non è probabilmente del tutto genuino: cfr. M. TALAMANCA, Obbligazioni (storia). Diritto romano,
in ED, 29, Milano 1979, 39 e nt. 257
(sembra invece, di recente, propendere per la genuinità R. ZIMMERMANN, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition,
[14] D.24.1.32.5 (Ulp. 33 ad Sab.) - Si maritus ea quae
donaverit pignori dederit, utique eum paenituisse dicemus, licet dominium
retinuit. Quid tamen, si hoc animo fuit, ut vellet adhuc donatum? Finge in
possessionem precariam mulierem remansisse paratamque esse satisfacere
creditori. dicendum est donationem valere: nam si ab initio ei rem obligatam
hoc animo donasset, dicerem vim habere donationem, ut parata satisfacere mulier
haberet doli exceptionem: quin immo et si satisfecisset, potuisse eam per doli
exceptionem consequi, ut sibi mandentur actiones.
[15] G. FALCONE, Il metodo di compilazione delle ‘Institutiones’ di
Giustiniano, in AUPA, 45.1,
Palermo 1998, 242, rileva nel parafraste un tono meno enfatico (plenissimum et perfectum robur
[Institutiones] - tÕ
tšleion [Parafrasi]),
il che secondo lo studioso citato, nell’ambito di un più vasto
tessuto argomentativo, vale a dimostrare la non identità degli autori
dell’uno e dell’altro passo (rispettivamente Triboniano e Doroteo).
[16] Ed. K.E.
ZACHARIÄ VON LINGENTHAL, Anekdota,
III, Leipzig 1843 (rist. Aalen
1969), 163. Per la datazione degli scritti di Teodoro di Ermopoli cfr. H.J.
SCHELTEMA, Fragmenta breviarii Codicis a
Theodoro Hermopolitano e Synopsi
erotematica collecta (1972), ora in Opera
Minora, Groningue 2004, 373.
[17] Una interessante tendenza a ridurre il
binomio costituito dall’actio ex
stipulatu e dalla conditio ex lege
a un solo mezzo giudiziario in personam
a favore del donatario, sacrificando così uno dei due, con scelta opposta
rispetto a Teodoro di Ermopoli (che salva solo la condictio), si osserva pure nel manoscritto Laurent. LXXX.4 delle Novelle greche di Giustiniano, il quale con
riferimento a Nov. 162.1, omette, rispetto al Codex Marcianus, il
riferimento alla condictio ex lege,
mantenendo soltanto l’actio ex
stipulatu (supra nt. 10;
SCHOELL-KROLL, ad h.l. [747 nt. 20]). Scelta peraltro
abbastanza comprensibile una volta scomparso il carattere tipico delle actiones.
[18] Edizione D.
SIMON-S. TROIANOS, Das Novellensyntagma des
Athanasios von Emesa, Fankfurt am Main 1989, 438. Per la datazione – regno di Giustino
II (566-578) – cfr. H.J. SCHELTEMA,
[19] Cfr. peraltro
supra nt. 17.
[20] Riporto la
traduzione di cui all’edizione citata nella nota precedente (439):
«Notiere: Auch wenn der Mann das Geschenke an die Frau mit einer Hypothek
oder einem Pfandrecht belastete, wie gesagt wird, dann wird das nicht als
Widerruf der Schenkung betrachtet, sondern die Frau kann das Geschenk, weil es
vorher bereits an sie veräußert worden war, vindizieren».
[21] Nei successivi §§ 3 e 3a si
precisa che se detti lasciti sono stati disposti sub condicione il divieto non vale, quantunque per l’onerato
sia preferibile astenersi da alienazioni e costituzione di diritti reali di
garanzia per evitare le evizioni eventualmente legate alla retroattività
della condizione avverata, essendo in tal caso inoperative usucapio e longi temporis
praescriptio. Cfr. P. VOCI, Diritto
ereditario romano II2, Milano 1963, 406; L. DESANTI, Restitutionis post mortem onus. I fedecommessi da restituirsi dopo la
morte dell’onerato, Milano 2003, 442 ss.
[22] Sulla grande riforma giustinianea, che
(tendenzialmente) unifica legati e fedecommessi, cfr. P. VOCI, op. ult. cit., 235 ss.; E. NARDI, Legato e fedecommesso: avvicinamento e
fusione, in Atti dell’Accademia
delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Classe di Scienze Morali, Rendiconti,
1991-1992, 21 ss.