ds_gen N. 6 – 2007 – Memorie//Scienza-giuridica

 

Foto_RLRenzo Lambertini

Università di Modena e Reggio Emilia

 

Sugli effetti della donazione nell’ottica giustinianea e dei primi interpreti bizantini

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa. La riforma giustinianea della donazione inter vivos. – 2. Cont.: il resoconto delle Institutiones. – 3. Nov.162.1: un caso concreto risolto autoritativamente da Giustiniano. – 4. Le fonti protobizantine in argomento: la Parafrasi di Teofilo. – 5. Cont.: il Breviarium di Teodoro. – 6. Cont.: l’Epitome di Atanasio. – 7. Conclusioni.

 

1. – Premessa. La riforma giustinianea della donazione inter vivos

 

Come è risaputo, la donatio delineata dalla riforma costantiniana[1] – che rende la liberalità tesa a trasferire il dominium una figura negoziale autonoma e tipica – si presenta come un contratto a efficacia reale e «a formazione successiva»[2], essendo imperniata su tre fasi: la redazione delle tabulae scientibus plurimis, la corporalis traditio[3] con coinvolgimento del vicinato (advocata vicinitate omnibusque arbitris) – sul fondo stesso si opera la traditio di un immobile –, e, infine, l’insinuatio apud acta.

Questo premesso, ai nostri fini rileva focalizzare il dato per cui nessuno dei tre atti ha valore considerato isolatamente: l’effetto traslativo si produce soltanto alla fine della suite, onde in ogni passaggio può ravvisarsi una sorta di condizione necessaria ma non sufficiente[4].

Su un simile presupposto è evidente che l’affidamento ingenerato nel donatario -  anche se in seguito non già a un’informale promessa del donante, bensì alla redazione di un atto davanti a testimoni - può rivelarsi del tutto fallace, perché ciò non basta non solo, ovviamente, a produrre il passaggio della proprietà, ma neppure a dar vita a un’obbligazione sostenuta da un’actio, e quindi coercibile[5]: se l’iter non si conclude, insomma, le singole tappe non rivestono alcuna, sia pure limitata, efficacia.

Per vero, taluni interventi imperiali posteriori a Costantino si erano studiati di intaccare in qualche misura quanto meno il requisito della traditio corporalis[6], ma ciò non appare sufficiente a Giustiniano, il quale intervenendo con decisione sulla materia, delinea a sua volta una figura di donatio con caratteri fortemente originali rispetto al negozio consegnatogli dalla precedente legislazione tardo-romana.

 

C.8.53(54).35.5-5e (a. 530) - Sed si quidem in omnibus supra dictis casibus usus fructus fuerit a donatore retentus, et traditionem iure intellegi fieri. 5a. Sin autem hoc minime donator expresserit, si quidem sipulatio donationi inserta sit, ex eius auctoritate traditionem compelli fieri. 5b. Sin vero et hoc praetermissum sit et usum fructum minime detinuerit, nihilo minus ex lege nostra necessitatem ei imponi etiam tradere hoc quod donare existimavit, ut non ex hoc inutilis sit donatio, quod res non traditae sunt, nec confirmetur ex traditione donatio, sed liberalitatem plenam et secundum legem nostram perfectissimam constitutam necessarius traditionis effectus sequatur, et necessitatem habeat donator omnimodo res vel partem substantiae quam nominaverit vel totam substantiam tradere. 5c. Cum enim in arbitrio cuiuscumque sit hoc facere quod instituit, oportet eum vel minime ad hoc prosilire vel, cum ad hoc venire properavit, non quibusdam excogitatis artibus suum propositum defraudare tantamque indevotionem quibusdam quasi legitimis velamentis protegere. 5d. Tantoque magis haec firma esse, si piis actibus vel religiosis personis donatio deputata sit (monumentorum observatione in his modis secundum quod specialiter a nobis in huiusmodi casibus praedictum est observanda), ne in praefatis causis ex quibusdam machinationibus non solum indevotus, sed etiam impius donator intellegatur poenasque non solum legitimas, sed etiam caelestes expectet. 5e. Resque donatas in omnibus supra dictis casibus non solum eos, dum supersunt, sed etiam eorum successores reddere compelli, non tantum his, in quos donatio facta est, sed etiam eorum heredibus.

 

Come rilevava Gian Gualberto Archi[7], il dettato della costituzione, di cui si sono qui riprodotti soltanto i brani che interessano più direttamente, presenta un andamento poco lineare, giacché prima viene equiparata alla traditio la retentio ususfructus, poi si fa menzione della clausola stipulatoria, la quale consente al donatario di pretendere la traditio, infine, introducendo un dato che in buona sostanza assorbe e vanifica tutto quanto detto in precedenza, si conclude che, ancorata alla pura voluntas, la donatio è già perfecta a prescindere dalla traditio, la quale risulta così degradata a mero atto dovuto.

Il motivo principe di un tale ductus, curioso e singolare, mostrato dall’intervento giustinianeo è da individuarsi con buona probabilità nella chiara vena polemica che lo pervade nei confronti della donatio come si era venuta delineando in età postclassica, e in particolare, si potrebbe aggiungere, in forza della ‘archetipica’ riforma di Costantino.

Al segnalato inconveniente per il donatario insito nella struttura della medesima Giustiniano intende porre rimedio abbandonando in via definitiva il nesso tra donatio e contratto con effetti reali e ricollegando alla volontà espressa dal donante (e accettata dal donatario) la necessitas di operare la traditio. Significativi appaiono nell’accennata direzione i rilievi di cui al § 5c, ove l’imperatore sottolinea con decisione, e quasi per tagliar corto, il nesso indissolubile che deve sussistere tra ciò che si è stabilito e ciò che poi in effetti si opera, censurando al contempo lo spregio per l’impegno assunto che, oltre tutto, ardisce celarsi dietro un avallo del diritto oggettivo.

Ancora più grave è poi per l’imperatore (§ 5d) il peccato di empietà di cui in questo caso si macchia chi ardisce frustrare l’aspettativa di attribuzioni liberali a favore di opere pie e di religiosi, e più incisiva risulta di conseguenza la tutela accordata a questi ultimi[8].

 

2. – Cont.: il resoconto delle Institutiones

 

La riforma giustinianea del 530 trova un preciso riscontro nelle Istituzioni imperiali, ove, tra l’altro, si delinea un significativo parallelismo tra effetti della donazione (tra vivi) e effetti della compravendita.

 

I.2.7 (De donationibus).2 - Aliae autem donationes sunt, quae sine ulla mortis cogitatione fiunt, quas inter vivos appellamus. quae omnino non comparantur legatis: quae si fuerint perfectae, temere revocari non possunt. perficiuntur autem, cum donator suam voluntatem scriptis aut sine scriptis manifestaverit: et ad exemplum venditionis nostra constitutio eas etiam in se habere necessitatem traditionis voluit, ut, et si non tradantur, habeant plenissimum et perfectum robur et traditionis necessitas incumbat donatori. Et rel.

 

L’assimilazione tra donatio inter vivos e compravendita, di cui alla parte finale del brano, si mostra funzionale a illustrare la portata dell’innovatio giustinianea relativa al negozio di liberalità, rimarcandone un’efficacia obbligatoria. Una volta espressa, per iscritto o oralmente, la volontà di donare, la traditio del bene identifica la prestazione a cui è tenuto il donante, equiparato in questa direzione al venditore, poiché anch’egli soggetto passivo di un rapporto obbligatorio che ha per oggetto un tradere.

Invero I.2.7.2 si rivela testo assai problematico, in quanto inserendo l’efficacia della donazione in un’ottica analoga a quella della compravendita, può indurre l’interprete a ritenere che ora ogni compravendita, sia cum scriptis sia sine scriptura, sortisca soltanto effetti obbligatori; ossia, detto in altri termini, che nel sistema delle Istituzioni imperiali il contratto di emptio venditio con valenza traslativa non trovi – o non trovi più – dimora. Tanto più che, poco prima di delineare il veduto parallelismo tra emptio venditio e donatio, si precisa che le donazioni si perfezionano sulla base della volontà espressa dal donante, il quale può manifestare la propria volontà per iscritto o oralmente. Orbene - se ci si volesse inserire lungo una tale direttrice - anche la compravendita, come risulta da I.3.23 pr., si può stringere, a scelta, nell’uno o nell’altro modo.

Non credo peraltro che questa sia (o meglio, sarebbe) una conclusione da condividersi. A mio avviso, l’istituzionista, al fine, soprattutto didattico, di enucleare con maggiore chiarezza l’efficacia della donazione così come emerge dalla riforma giustinianea, utilizza in chiave strumentale l’immagine della compravendita consensuale classica, che del resto agli autori del manuale era offerta dai materiali ‘dati’ sui quali si fondava il loro dettato, e in particolare dal testo elementare di Gaio. Su tale aspetto non intendo tuttavia soffermarmi in questa sede, posto che ne ho trattato diffusamente in un contributo apparso alcuni anni or sono[9].

Ciò che qui intendo prospettare è, in certo modo, la conclusione specularmente opposta: e cioè che da tale assimilazione risulta invece – direi  in modo sufficientemente chiaro – il dato dell’efficacia, questa sì, obbligatoria, e non reale, della donazione che emerge dall’innovatio giustinianea. Il modello classico, insomma, è chiamato a spiegare l’istituto giustinianeo, e così la figura della compravendita esclusivamente generatrice di obligationes si mostra funzionale a ritrarre la fisionomia della donatio attuale, come plasmata dalla recente legislazione di Giustiniano. Mentre – già ne ho accennato – sono propenso a escludere che sia vera la reciproca, ossia che da tale assimilazione sia lecito inferire un’immagine della compravendita dell’età giustinianea sempre e solo fonte di effetti obbligatori e mai, invece, traslativa.

 

3. – Nov.162.1: un caso concreto risolto autoritativamente da Giustiniano

 

Una testimonianza, invero alquanto trascurata dalla dottrina specifica in materia, idonea a confermare l’efficacia obbligatoria del contratto di donazione uscito dalla riforma di Giustiniano è resa da Novella 162 capo I, del 9 giugno 539, che riporta una delle soluzioni imperiali trasmesse al prefetto dell’Illirico, su richiesta di quest’ultimo, al fine di troncare questioni forensi che si agitavano da tempo.

 

Nov.162.1[10] - TÕ to…nun prîton kef£laion toioàton Ãn. Gun» tij ™pˆ to‹j par¦ toà sunoik»santoj dwrhqe‹sin aÙtÍ pr£gmasin, oÙ m¾n paradedomšnoij, ºboÚleto teleut»santoj toà ¢ndrÕj kaˆ ¹suc…an ¢gagÒntoj ™pˆ tÍ dwre´ t¦ pr£gmata ™kdike‹n, æv kur…a toÚtwn tÍ te dwre´ tÍ te siwpÍ toà ¢ndrÕj genomšnh. ¢ntet…qeto par¦ tîn katecÒntwn, paragraf¾n aÙt¾n mÒnhn œcein ™nagomšnhn e„ katšcoi, oÙ m¾n kaˆ par' ˜tšrou dÚnasqai taàta ™kdike‹n. tÕ mn oân ¢mfijbhthqn toioàton Ãn. ¹me‹j d ¢nemn»sqhmen diat£xewj ¹metšraj legoÚshj, tÕn dwrhs£menon, e„ kaˆ m¾ ™perwthqÍ t¾n par£dosin, ¢n£gkhn œcein paradidÒnai tÕ dwrhqšn. oÙ g¦r ™p' ™xap£tV, oÙd †na gr£mmata e‡h gumn¦ tÕ ginÒmenon, proj»kei pr£ttesqai sumbÒlaion. projeneno»samen d kaˆ t¾n toà Cinciou nÒmou toà palaioà nomoqes…an, Ön eâ poioàsa tÁj o„ke…aj nomoqes…aj ¢pepšmyato prèhn ¹ polite…a, toiaàta nomoqetoànta Ðpo‹a kat¦ tÕ parÕn ºmfijb»thtai. 1. Kaˆ qesp…zomen, e„ kat¦ tÕ œmprosqen ¹m‹n e„rhmšnon tele…wj ¤panta sco…h t¦ tÁj toiaÚthj dwre©j kat£ te tÕ mštron kat£ te t¾n ™mf£neian, ™rrîsqai taÚthn ™k trÒpou pantÕj tÍ toà ¢ndrÕj siwpÍ eÙqÝj ™x ¢rcÁj kat¦ t¾n ¹metšran di£taxin ™x oá gšgonen, éjte k¨n e„ met¦ taàta Ð ¢n¾r e„j Øpoq»khn do…h tÕ pr©gma À e„j ™nšcuron par£scoi, ¢ll¦ proekpepoihkšnai doke‹n tÒn ge mšcri periÁn ¹suc£santa: kaˆ t¾n par£dosin e‡te gšgone didÒnai aÙtÍ paragraf»n, e‡te oÙ gšgone paršcein kaˆ ¢pa…thsin, e„ mn ™perèthsiv gšnoito, di¦ tÁj ex stipulato, e„ d m¾ toàto, di¦ toà ex lege condicticiou, éjte paralabe‹n tÕ dedwrhmšnon. 2. K¢ke‹no d diat£xai d…kaion ¹ghs£meqa tÕ e„ mn ™mfane‹j gšnointo t¾n ¢rc¾n aƒ dwreaˆ ™n Øpomn»masi, p©si trÒpoij aÙt¦j tÍ siwpÍ bebaioàsqai, e„ d ¢nemf£nistoi me…naien, perba…noien d tÕ mštron tÕ deÒmenon ™mfan…sewj, mšcri tosoÚtou mÒnou aÙt¦j ™rrîsqai, mšcrij oá kaˆ ¢nemfan…stouj t¦j dwre¦j „scur¦j enai par' ¹mîn nenomoqšthtai. toàto g¦r ™n ØstšrJ nomoqet»santej krate‹n aÙtÕ boulÒmeqa, kaˆ m¾ di¦ t¾n projq»khn tÁj posÒthtoj diap…ptein kaˆ tÕ Ñrqîj œcein dun£menon, Óper kaˆ ™pˆ tîn kaqÒlou dwreîn ½dh nÒmoj ¹mšteroj lšgei. toÚtwn kratoÚntwn oÙ mÒnon ™pˆ gunaikÕj kaˆ ¢ndrÒj, ¢ll¦ kaˆ ™pˆ tîn ¥llwn projèpwn, ™f' ïn aƒ ™n g£moij dwreaˆ kekèluntai.

 

Primum igitur caput huiusmodi erat. Mulier quaedam in rebus ipsi a marito donatis nec vero traditis, cum maritus mortuus esset et de donatione silentium egisset res vindicare voluti, tamquam earum domina tam donatione quam silentio mariti facta. Opponebatur a rerum possessoribus exceptionem solam habere eam in ius vocatam, si possideat, nec vero etiam ab alio eas vindicare posse. Quod igitur in controversum vocabatur eiusmodi erat. Nos autem recordati sumus constitutionis nostrae, quae dicit donatori, etiamsi traditionem non promiserit, necessitatem imponi rem donatam tradendi. Neque enim ad decipiendum, neque ut in nudis consistat litteris quod geritur, instrumentum confici oportet. Praeterea animum revocavimus etiam ad lationem legis Cinciae veteris, quam suo iure e legum corpore suo respublica pridem removit talia sancientem qualia in praesenti in controversiam adducta sunt. 1. Ac sancimus, ut si secundum id quod antea a nobis dictum est eiusmodi donatio per omnia perfecta sit tam quod spectat ad modum quam ad insinuationem, ea omnibus modis silentio viri statim ab initio confirmetur secundum constitutionem nostram, ex quo facta est, ita ut etiamsi maritus postea rem hypothecae dederit vel pignori obligaverit, tamen iam ante alienasse eam videatur qui quidem donec superstes fuit siluerit: atque traditio, sive facta est, ei exceptionem det, sive facta non est, etiam exactionem praestet, si quidem stipulatio interposita sit, per actionem ex stipulatu, sin minus, per condicticiam ex lege, ut rem donatam accipiat. Verum illud quoque par esse duximus constituere, ut si quidem donationes ab initio actis insinuatae fuerint, eae omnibus modis silentio confirmentur, sin autem sine insinuatione manserint, excedant autem modum, qui insinuatione indigeat, usque ad eam dumtaxat quantitatem valeant, quatenus etiam non insinuatas donationes firmas esse a nobis sancitum est. Hoc enim cum posteriore tempore sanxerimus valere volumus, nec vero propter adiectionem quantitatis intercedere etiam id quod recte se habere poterat: quod quidem etiam de donationibus in universum iam lex nostra dicit. Atque haec non solum in muliere et viro sed etiam in ceteris personis valeant, inter quas donationes constante matrimonio prohibitae sunt.

 

Alla morte del marito, che le aveva donato dei beni senza operare la traditio e in vita non aveva mutato volontà, la vedova intende rivendicare i medesimi presso gli attuali possessori.

A quanto è dato evincere, costoro non discutono sul fatto che la donazione tra coniugi, pur vietata, abbia ricevuto nella fattispecie convalida in forza dell’oratio Severi per essere il marito morto senza avere espresso un contrario avviso, ma si difendono facendo leva sul dato – a loro credere fondante e di lontana derivazione dalla lex Cincia – di una donatio imperfecta, perché la donna non è attualmente in possesso dei beni: se lo fosse, essi argomentano, potrebbe opporre l’exceptio e così conservare il beneficio, ma poiché tale situazione non ricorre, non può assumersi domina e agire di conseguenza; il che, in ultima analisi, equivale a dire che la vedova non può ottenere le cose donate.

A fronte di questa pretesa, generale immagine di un donatario legittimato soltanto a difendersi e non anche ad attaccare, Giustiniano ricorda in proposito la propria costituzione in C.8.53(54).35 del 530, di cui ci siamo occupati, in forza della quale il donante, una volta dichiarata la volontà di donare, anche se non ha promesso la traditio, è tenuto alla medesima, e contesta che sul punto sia operativo il principio legato all’antica lex Cincia che i possessori dei beni sembrano adombrare.

Pertanto, se la donatio risulta perfecta sia quanto alla misura sia quanto all’insinuatio richiesta, il diritto della donna a ottenere i beni appare del tutto fondato, avendo il silenzio in vita del donante sanato il vizio originario che inficiava la validità dell’atto, e ciò – aggiunge la legge – anche qualora il marito avesse ipotecato i beni donati o li avesse dati in pegno, in quanto, nell’un caso e nell’altro, avrebbe vincolato beni già di altrui spettanza: così va inteso a mio avviso il verbo proekpepoihkšnai, per i motivi che saranno meglio esplicitati poco oltre.

Orbene, in quale modo la vedova può conseguire l’oggetto della donatio? Stante il fatto che i beni non sono in suo possesso, nel qual caso disporrebbe dell’exceptio, se la traditio fu promessa con stipulazione, può convenire i possessori dei beni con l’actio ex stipulatu, altrimenti può giovarsi della condictio ex lege.

Quest’ultima precisazione, assente nella constitutio del 530, ove non si fa menzione dei mezzi giudiziari a favore del donatario, riveste a mio avviso particolare rilievo, perché dimostra che nell’ottica giustinianea la donazione produce effetti essenzialmente obbligatori: se vi è stata (o così si dichiara) l’interposizione di una stipulatio, la fonte del vincolo è ovviamente il contratto verbale; se la stipulazione non ha avuto luogo, il vincolo obbligatorio trova la sua fonte nella legge.

La condictio ex lege è in età postclassica un’actio in personam che tutela diritti di credito originati da una legge imperiale, ove non è indicato il rimedio specifico da intentare, come risulta dal seguente frammento paolino che, da solo, esaurisce il titolo II di D.13, al quale i compilatori hanno apposto la rubrica De condictione ex lege[11].

 

D.13.2.1 (Paul. 2 ad Plaut.)[12] - Si obligatio lege nova introducta sit nec cautum eadem lege, quo genere actionis experiamur, ex lege agendum est.

 

D’altra parte che tra le fonti delle obbligazioni un posto sia occupato dalla legge risulta evidente dal tardo catalogo stilato – stando ai Digesta[13] – da Erennio Modestino (2 reg., D.44.7.52 pr.): obligamur autem aut re aut verbis aut simul utroque aut consensu aut lege aut iure honorario aut necessitate aut ex peccato.

Ritornando ora al proekpepoihkšnai, può spiegarsi in modo più compiuto perché il verbo non va probabilmente inteso come allusivo di un trasferimento di proprietà già avvenuto: se la donazione produce effetti obbligatori, non si può realizzare il passaggio della proprietà prima che sia operata la traditio.

E’ dunque preferibile ritenere che il verbo in questione alluda alla destinazione ‘forte’ impressa sul bene dalla volontà manifestata dal donante a favore del donatario, la quale fa sì che l’eventuale successiva costituzione sulla res di un diritto reale di garanzia sia inidonea a fungere da revoca dell’atto di liberalità. Di un simile problema si erano infatti occupati i giuristi classici e, commentando l’oratio Severi, avevano optato, a quanto è dato evincere, per una soluzione generale - ancorché suscettibile di eccezioni -  difforme rispetto a quella ora fatta propria dalla legge imperiale del 539[14].

Sotto altro profilo, a mio avviso, si può ritenere che con il citato verbo proekpepoihkšnai si intenda rimarcare l’inopponibilità al donatario da parte del creditore pignoratizio o ipotecario del diritto reale di garanzia costituito a proprio favore sul bene già donato.

Sembra dunque di poter concludere che Giustiniano ha inteso porre rimedio al già visto inconveniente insito nella struttura della donatio disegnata dalla normazione di Costantino spezzando la catena che legava saldamente le varie fasi di quest’ultima – e finiva così per destituire di effetti giuridici i singoli segmenti in sé considerati –, per legare ora direttamente alla volontà espressa dal donante, e cioè in certo modo al momento iniziale del ‘procedimento’, l’effetto di vincolare l’autore a trasmettere l’oggetto della liberalità al donatario; sulla base - è lecito concludere - di un’obligatio difesa dalla condictio ex lege, come specificato appunto da Nov. 162 capo I.

 

4. – Le fonti protobizantine in argomento: la Parafrasi di Teofilo

 

Sul punto che qui interessa la Parafrasi di Teofilo riproduce fedelmente[15] il corrispondente dettato delle Istituzioni:

 

2.7.2 – MaqÒntej perˆ tÁj mortis causa dwre©j e‡pwmen perˆ tîn loipîn dwreîn, a†tinej e„sin inter uiuos. g…nontai d aátai, mhdem…aj ™nno…aj Øpokeimšnhj qan£tou, a†tinej ¢peo…kasi to‹j lhg£toij. taÚtaj d tÕ pšraj ™schku…aj æj œtucen oÙ dunatÕn ¢nakale‹sqai. peraioàntai d ¹n…ka Ð dwroÚmenoj t¾n o„ke…an dhlèsV gnèmhn ™n gr£mmasin À kaˆ ¢gr£fwj. kaˆ éjper Ð pwl»saj tÕ praqn ¢nagk£zetai traditeúein, oÛtwj di£taxij toà ¹metšrou. basilšwj tÕn dwr»sasqai boulhqšnta ¢nagk£zei p£ntwj paradoànai tÕ dwrhqn tÕ tšleion paršcousa tÍ dwre´, e„ kaˆ m¾ parhkoloÚqhsen ¹ traditíwn.

 

Postquam de mortis causa donatione dixerimus, dispiciamus de ceteris donationibus, quae sunt inter vivos. fiunt hae sine ulla mortis cogitatione, neque legatis comparantur. perficiuntur autem cum donator suam voluntatem scriptis aut sine scriptis manifestaverit. set et ad exemplum venditoris qui rem tradere cogitur, principis nostri constitutio donatorem omnino tradere iubet robur donationi praestans, licet traditio non sit secuta.

 

Manca nel parafraste il rilievo, presente invece nell’istituzionista, relativo al carattere eccezionale che riveste la revoca della donazione tra vivi una volta perfecta (quae si fuerint perfectae, temere revocari non possunt), ma ne esce ancora più sottolineata, quanto agli effetti, la sua assimilazione alla compravendita: anche il venditor, infatti, come appunto il donator, rem tradere cogitur; e, posto che, come si diceva, si fa riferimento all’emptio venditio classica generatrice esclusivamente di obbligazioni, viene qui fornita una riprova dell’efficacia obbligatoria dell’atto di liberalità uscito dall’innovatio giustinianea.

 

5. – Cont.: il Breviarium di Teodoro

 

Della condictio ex lege di cui può valersi il donatario parla anche il brano del Breviarium di Teodoro di Ermopoli, dell’ultimo quarto del VI secolo, che riassume il capo I di Novella 162[16].

 

Theodori Breviarium Novellarum, Nov.162.1-E¦n ™traditeÚqh tÍ gunaikˆ t¦ dwrhqšnta aÙtÍ par¦ toà „d…ou ¢ndrÒj, kalîj aÙt¦ parakrate‹: e„ d mÒnon ™perwthqÍ À ™paggelqÍ aÙtÍ, tÒte di¦ tÁj ex lege condictik…ou, ™¦n dhlonÒti tÍ aÙtÍ boul»sei ™pime…naj Ð ¢n¾r ™teleÚthsen. shme…wsai dš, Óti ¹ ™pˆ pr£xewj Øpomnhm£twn genomšnh dwre¦ par¦ toà ¢ndrÕj prÕj t¾n guna‹ka bebaioàtai tÍ siwpÍ aÙtoà. ¢n£gnwqi bi. e/ toà kèd. t…. ij/ di£t. ke/.

 

Si mulieri tradita fuerint, quae ipsi a marito suo donata sunt, recte ea retinet, si vero tantum promissa sunt, tunc ex lege condictione [exiguntur], scilicet si vir in eadem voluntate perseveraverit et sic mortuus sit. Nota donationem sub actorum confectione a marito in uxorem collatam silentio eius confirmari. Lege lib. V Cod. tit. 16 const. 25.

 

Nella sua concisione il testo conferma alcuni dei punti salienti della legge: la perseverantia voluntatis fino alla morte del coniuge donante ai fini della convalida dell’atto di liberalità, dato peraltro - come sappiamo - di alta risalenza; la possibilità per il donatario che abbia ottenuto per traditio le cose donate di trattenere le medesime, evidentemente respingendo con l’exceptio l’azione degli eredi del donante; la possibilità, infine, di convenire con la condictio ex lege gli eredi del donante nel caso che quest’ultimo abbia espresso, e per tutta la vita mantenuto, una seria volontà negoziale in tal senso senza tuttavia effettuare la traditio.

L’elemento più problematico che la fonte apporta rispetto a quanto già espresso dalla Novella risiede, se intendo bene, nell’assorbimento nella condictio ex lege, azione in personam, dell’actio ex stipulatu, che, stando alla Novella, è invece esperibile dal donatario se sia stato concluso con il donante il relativo contratto verbale.

Come infatti si può rilevare, la traduzione latina dello Zachariä parla soltanto di promissio (si vero tantum promissa sunt), ma il testo greco dice propriamente e„ d mÒnon ™perwthqÍ À ™paggelqÍ, ove il primo verbo allude evidentemente alla domanda che il donatario futuro creditore rivolge - o si attesta aver rivolto - al donante futuro debitore.

Sembra insomma che, sia che abbia avuto luogo la stipulazione, sia che della medesima non risulti traccia – anche in questo caso, infatti, con l’espressione di una seria volontà di donare i beni si considerano promessi – l’actio a disposizione del donatario sia sempre la condictio ex lege. Peraltro, quanto agli effetti della donazione, non è dubbio che nel brano di Teodoro ne esca sottolineata la natura obbligatoria[17].

 

6. – Cont.: l’Epitome di Atanasio

 

Di particolare interesse ai nostri fini è invece la sintesi di Nov.162.1 che compare nell’Epitome di Atanasio di Emesa.[18]

 

Athanasii Epitome Novellarum, 18.4.1 - ’E¦n tij, ¡plÁn dwre¦n ™n sunestîti tù g£mJ e„j t¾n „d…an ™kqšmenoj gamet»n, m¾ traditeush mn t¦ dwrhqšnta, ™jfhsuc£sV d mšcri teleutÁj, bebaioàtai ¹ toiaÚth dwre¦ ¢pÕ toà crÒnou tÁj grafÁj t¾n sÚstasin œcousa, kaˆ dÚnatai ¹ gun¾ ¢paite‹n aÙt¾n À kaˆ nemomšnh paragr£fesqai toÝj ™n£gein aÙt¾n boulomšnouj. [N.162.1]

Shme…wsai, Óti, e„ kaˆ Øpšqeto À ™necur…asen Ð ¢n¾r tÕ dwrhqn tÍ gunaik…, æj e‡rhtai, oÙ doke‹ ¢nakale‹sqai t¾n dwre£n, ¢ll™kdik»sei tÕ dwrhqn ¹ gun¾ æj proekpepoihmšnon aÙtÍ ½dh. Kaˆ Óti Øpr toÝj f crus…nouj dwre£, k¨n m¾ pracqÍ, mšcri tÁj posÒthtoj tîn f crus…nwn tÕ bšbaion ›xei.

 

Si quis, cum constante matrimonio uxori suae simplicem donationem fecisset, res donatas non tradiderit, tacuerit autem usque ad mortem (suam), talis donatio confirmatur, a tempore scripturae valorem habens suum. Ac mulier eam petere potest, aut etiam, si possideat, eos, qui eam convenire volunt, exceptione summovere. Nota id, quod opportuno loco dicitur, etsi vir id, quod mulieri donatum est, hypothecae et pignori obligavit, ut dictum est, non videri donationem revocare, sed rem donatam a muliere vindicatum iri, quasi iam antea alienatione ad ipsam translata esset, et id, quod quingentos aureos superat, (si actis insinuatum non sit, non valere, valere autem id, quod usque ad quingentos aureos est), et in talibus donationibus.

 

Il punto più rilevante del testo è quello in cui viene in considerazione il tipo di rimedio di cui può valersi la donna se sulle cose donate il marito ha costituito un diritto di ipoteca o di pegno. La donataria - precisa lo scholastikos - può rivendicarle quasi siano state precedentemente alienate a suo favore.

Quella relativa alla possibilità di esperire l’azione di rivendica è, a ben guardare, una precisazione che nel testo giustinianeo del 539 non compare in alcun luogo, e che quindi costituisce sul piano sostanziale una indubbia novità della fonte protobizantina.

La Novella 162.1, come si è visto, chiarisce che nei confronti del donante, o dei suoi eredi, se la traditio non è stata promessa con la stipulazione, il donatario può esperire la condictio ex lege[19], e dice anche che il diritto di ipoteca o di pegno costituito dal donante sul bene donato non pregiudica il diritto del donatario.

La legge in questione, come è facile rilevare, non menziona l’actio esperibile da quest’ultimo se i beni siano gravati da un diritto reale di garanzia, ma, in fondo, la cosa non pare in grado di sorprendere ove si applichino i comuni canoni del diritto privato: se il donatario è un creditore legittimato a esperire la condictio ex lege, esperirà la condictio ex lege: sempre, ovviamente, nei confronti del donante, o, come nel nostro caso, degli eredi di lui.

Il problema relativo alla costituzione del diritto reale di garanzia sul bene donato può venire in considerazione nel senso che in ciò non va identificata una valida revoca della liberalità, ma - ragionando su questa falsariga - non può incidere, come tale, sulla tipologia di rimedio di cui valersi contro il donante o i suoi successori. Si sarebbe, insomma, autorizzati a pensare che condictio era e condictio resti, ché per il creditore - a vantaggio del quale non opera il diritto di seguito - la costituzione dell’ipoteca o del pegno è res inter alios acta.

Il compendio di Atanasio, per converso, non nomina l’azione che il donatario può di regola intentare contro il donante - ossia, per Giustiniano la condictio ex lege - ma si premura di specificare che la donna beneficiaria, in caso di costituzione di pegno o di ipoteca, può rivendicare l’oggetto della liberalità (™kdik»sei tÕ dwrhqn ¹ gun¾)[20].

Ma allora sembra giocoforza concludere che se il donatario può rivendicare in caso di oggetto ipotecato o dato in pegno, lo stesso potrà fare, diremmo quasi a maiori, come regola generale nei confronti del donante a prescindere dalle predette evenienze.

Il che equivale a dire che secondo una piana interpretazione del passo del Breviarium di Atanasio, il donatario è fornito - o è fornito anche - di azione di rivendica nei confronti del donante, e quindi che alla donatio vanno riconosciuti - o vanno riconosciuti anche - effetti reali.

Quella di Atanasio di Emesa, dunque, non appare solo una particolare lettura del testo giustinianeo, bensì un’esegesi che reca in sé una sorta di (più o meno incisiva) trasformazione del contenuto normativo della legge del 539, perché nella prosa dell’interprete tutta la difesa del donatario finisce inevitabilmente con il ruotare intorno all’™kdik£zein, ossia alla rivendica, mentre nel testo della Novella il perno è la condictio ex lege, vale  dire una tipica actio in personam. 

 

7. – Conclusioni

 

Quali conclusioni è lecito trarre dal percorso fin qui condotto?

Sembra di poter affermare che nell’ottica giustinianea la donatio produce effetti obbligatori alla stregua di un contratto consensuale.

Tale dato trova conferma innanzitutto nella necessitas imposta al donante di operare la traditio ancorché egli non l’abbia eventualmente promessa – punto sul quale il discorso del legislatore in C.8.53(54).35, del 530, si mostra chiaro e insistente –; poi nell’assimilazione istituzionale (I.2.7.2, confermato dal corrispondente passo della Parafrasi di Teofilo) del donante al venditore, sul quale pure grava l’obbligazione di tradere; poi ancora nel tipo di rimedio accordato al donatario di cui è menzione in Nov.162.1, del 539, ove non sia stata operata la traditio e faccia difetto la clausola stipulatoria: si tratta della condictio ex lege, actio in personam legata a un’obbligazione di dare; infine nella considerazione che la citata legge in C.8.53(54).35, al § 5d, isola un particolare genere di donazioni, quelle - per intenderci rapidamente - a favore di luoghi di culto e di religiosi, dotate di una più solida tutela (tantoque magis haec firma esse…), fondata al contempo sull’actio in rem, l’actio in personam e l’actio hypothecaria (C.1.2.23.4[1], del 530): il che evidentemente significa che le donazioni comuni, di cui si parla nei paragrafi precedenti, sono dotate di una difesa un po’ meno incisiva, giacché, stando a ciò che si è detto finora, producono unicamente effetti obbligatori.

Detta natura obbligatoria degli effetti dell’atto di liberalità è confermata dal sunto di Teodoro di Ermopoli, in cui, sempre che ciò non sia dovuto soltanto alla prosa volutamente ellittica dello scholastikos, non si fa più menzione dell’actio ex stipulatu per incentrare tutta la tutela ‘aggressiva’ del donatario sulla condictio ex lege.

Una voce, almeno apparentemente, fuori dal coro è quella di Atanasio di Emesa. Egli, parlando di rivendica accordata al donatario in caso di diritto reale di garanzia costituito dal donante sull’oggetto della liberalità, evoca l’immagine di una più generale tutela di stampo reale a disposizione del beneficiario dell’atto. Quel cenno all’alienazione del bene che in Nov.162.1 era, a quanto sembra, finalizzato non già a indurre l’idea di una trasmissione di proprietà in senso stretto con conseguente difesa reale, ma solo, probabilmente, a negare che la costituzione di ipoteca o di pegno potesse valere come revoca della donatio e, al contempo, a rendere l’idea dell’inopponibilità di tali diritti di garanzia nei confronti del donante, viene ora assunto come elemento fondante circa l’esperibilità della rivendica, su cui inevitabilmente nella logica del brano finisce per ruotare l’intero sistema della tutela accordata al donatario.

E’ questo che intendeva Atanasio, o, qui pure, tutto dipende dalla brevità del discorso condotto dall’epitomatore?

Difficile fornire una risposta precisa, ma lo scritto assume sempre, comunque, una sua dimensione autonoma e quanto se ne ricava è l’idea di una tutela reale a vantaggio del donatario e, di conseguenza, l’immagine di una donatio traslativa.

Una suggestione che può affacciarsi all’interprete moderno è quella di un certo grado di difficoltà da parte della scientia iuris coeva a cogliere sotto ogni aspetto il tenore dell’innovatio giustinianea. Occorre infatti tener presente che siamo in un’epoca in cui da tempo ha fatto la sua comparsa il contratto con effetti reali, e ciò tanto sul piano della compravendita quanto su quello della donazione: l’emptio venditio cum scriptis è un contratto traslativo; la donazione costantiniana è pure, alla sua già vista maniera, un contratto traslativo.

La costituzione giustinianea in C.8.53(54).35 presenta un ductus non del tutto perspicuo, che in definitiva si avvita su se stesso, e che mira soprattutto a far capire che il donator quando ha espresso la propria volontà (accettata dal donatario) non ha più scampo e non può sperare in elusioni di sorta; al contempo il discorso di Nov.162.1 nel punto cruciale del proekpepoihkšnai finisce con l’introdurre un elemento di forte ambiguità: dall’alienatio del bene deriva così per Atanasio la vindicatio esperibile dal donatario come piana conseguenza giuridica.

In teoria si potrebbe anche ipotizzare che sull’impostazione di Atanasio abbia influito una soluzione giustinianea abbastanza simile, anche quanto al ductus espositivo, adottata  in materia di legati e fedecommessi.

 

C.6.43.3.2a (a. 531) -  Nemo itaque ea, quae per legatum vel pure vel sub certo die relicta sunt vel quae restitui aliis disposita sunt vel substitutione posita, secundum veterem dispositionem putet esse in posterum alienanda vel pignori vel hypothecae titulo adsignanda vel mancipia manumittenda, sed sciat, quod hoc quod alienum est non ei liceat utpote sui patrimonii existens  alieno iuri applicare, quia satis absurdum est et inrationabile rem, quam in suis bonis pure non possidet, eam ad alios posse transferre vel hypothecae pignorisve nomine obligare vel manumittere et alienam spem decipere.

 

Come è agevole osservare, ci troviamo in un settore del diritto privato assai vicino a quello delle donazioni - né si può dimenticare in proposito la pretesa assimilazione totale operata da Giustiniano delle donationes mortis causa ai legati -, e anche qui, al fine di non frustrare le giuste aspettative dei beneficiari, si stabilisce il divieto per gli onerati di legati, di fedecommessi e di sostituzioni, incondizionati o a termine certo, di alienare (manomettere nel caso si tratti di servi), dare in pegno o gravare di ipoteca i beni oggetto dei lasciti, sottolineando che quanto valeva prima (secundum veterem dispositionem) d’ora innanzi (in posterum) non è operante, ché non si può disporre di ciò che è altrui come se fosse proprio. Anche qui dunque un divieto di gravare con diritti reali di garanzia beni destinati ad altri; anche qui una soluzione legata a una riforma giustinianea[21].

Sennonché una simile ipotesi risulta in ultima analisi piuttosto labile, dato che in questi casi l’altruità del bene è effettivamente attestata in base alla celebre costituzione del 529 (C.6.43.1.1), con la quale Giustiniano ha inteso omnibus … tam legatariis quam fideicommissariis unam naturam imponere et non solum personalem actionem praestare, sed etiam in rem, quatenus eis liceat easdem res, vel per quodcumque genus legati vel per fideicommissum fuerint derelictae vindicare in rem actione instituenda, et insuper utilem Servianam (id est hypothecariam) super his quae fuerint derelicta in res mortui praestare[22].

Poiché Giustiniano ha - almeno in via di principio - accordato a tutti i legatari e fedecommissari l’azione reale, appare evidente il nesso consequenziale che lega la riforma del 529 al dettato di C.6.43.3.2a. La somiglianza con il nostro caso è solo dunque di natura esteriore e non è in grado di trarre in inganno un giurista, per il quale, nonostante la stretta contiguità delle aree, l’associazione di idee non può che risultare esteriore, se non addirittura epidermica.

Chiudo queste note con una suggestione, che può anche considerarsi la traccia di un ulteriore percorso.

Oltre tre secoli dopo le Epitomi novellari che abbiamo considerato, i Basilici, riproducendo nel complesso assai fedelmente il dettato di Nov.162.1, vi apportano tuttavia  una piccola ma significativa variante:

 

Bas.47.1.76 (ed. Scheltema - Van der Wal, A.VI, 2145) - (...) kaˆ t¾n par£dosin e‡te gšgone didÒnai aÙtÍ paragraf»n, e‡te oÙ gšgone paršcein kaˆ ¢pa…thsin, e„ mn ™perèthsij gšnoito, di¦ tÁj ™pˆ tÍ ™perwt»sei ¢gwgÁj kaˆ dun£mewj, e„ d kaˆ m¾ toàto, di¦ tÁj ¡rmozoÚshj ¢pait»sewj, éste paralabe‹n tÕ dedwrhmšnon.

 

(...) et traditio, si facta sit, praebeat ei exceptionem, si facta non sit, praebeat etiam exactionem: si quidem stipulatio intercesserit, per ex stipulatu actionem: sin minus, per competentem actionem, ut donator percipiat.

 

Come è facile osservare, è rimasta l’actio ex stipulatu, se stipulazione vi sia stata (o sia comunque dichiarata), ma, in caso di mancata promessa e esecuzione della traditio, il donatario agirà con l’azione che gli compete (di¦ tÁj ¡rmozoÚshj ¢pait»sewj), il cui nome non viene però indicato. E’, insomma, scomparsa la menzione della condictio ex lege, che figurava nella Novella giustinianea e nell’Epitome di Teodoro, e che costituisce uno dei perni su cui ruota per l’interprete moderno la verifica circa la natura obbligatoria degli effetti della donazione disegnata da Giustiniano.

Si tratta dell’ultravalenza di lontani dubbi interpretativi, già affiorati verso la fine del VI secolo, che hanno dato vita a una diversa soluzione, o comunque a un diverso atteggiamento del legislatore tardobizantino?

I trecento e più anni che separano l’Epitome Athanasii dalla grande compilazione di Leone il Saggio consentono solo, come si è detto poco sopra, una suggestione. Vi è un longum aevi spatium da riempire con l’esame delle fonti in argomento che ne scandiscono la durata. Una storia, dunque, ulteriore; da raccontare, se del caso, un’altra volta.

 

 



 

(*) L’opportunità di una celere pubblicazione degli atti del convegno modenese, per la quale sono particolarmente grato all’amico Francesco Sini, mi hanno indotto a corredare il testo della relazione letta in quella sede con un apparato di note abbastanza modesto, recante esclusivamente gli essenziali riferimenti testuali e bibliografici implicati (peraltro questi ultimi, con riguardo alle fonti in lingua greca - ivi compresa la Nov.162.1 di Giustiniano - appaiono decisamente scarsi, se non addirittura inesistenti). In sede di discussione acuti e illuminanti rilievi ha mosso, come al solito, Mario Amelotti con riferimento alle testimonianze legate ai documenti della prassi, ove, per esempio, non affiora quel problema legato alla mancata traditio della res donata che sembra invece dominare, come preoccupazione costante, il filone dei testi normativi qui considerati. Si tratta, con tutta evidenza, di un angolo visuale diverso rispetto a quello da cui si è collocata la presente indagine - tesa soprattutto, stante pure l’obiettivo del programma di ricerca Prin-Cofin illustrato nelle giornate di studio, a rimarcare il fondamentale apporto delle Epitomi novellari del VI secolo alla conoscenza della scientia iuris protobizantina, nonché della stessa normazione di Giustiniano -, in grado di proporsi come eventuale oggetto di ulteriore specifica considerazione.

 

[1] Frag. Vat. 249, riprodotto pro parte e con varianti in C.Th.8.12.1 e C.8.53.25, dell’anno 316 o 323.

 

[2] Così P. VOCI, Tradizione, donazione, vendita da Costantino a Giustiniano, in Iura, 38, 1987, 106.

 

[3] Viene quindi escluso, per esempio, il costituto possessorio, prima praticato.

 

[4] P. VOCI, Tradizione, cit., 106.

 

[5] G. PUGLIESE(-F. SITZIA-L. VACCA), Istituzioni di diritto romano3, Torino 1991, 952.

 

[6] In particolare C.Th.8.12.9 (= C.8.53.28) (Hon. et Theod., a.417).

 

[7] G.G. ARCHI, La donazione. Corso di diritto romano, Milano 1960, 274 s. Cfr. anche IDEM, Donazione (diritto romano), in ED XIII, Varese 1964, 951 ss.

 

[8] Sono infatti reclamabili indifferentemente con azione reale, azione personale e azione ipotecaria, i beni donati a chiese, monasteri, gerontocomi, ospizi per forestieri o poveri, o a persone dedite al culto, come attestato da C.1.2.23.4(1), del 530, a cui allude il § 5d di C.8.53(54).35, riportato sopra nel testo.

 

[9] R. LAMBERTINI, I.2.7.2. Un problematico raccordo tra effetti della donazione e della compravendita in diritto giustinianeo, in Labeo, 49, 2003, 60 ss. (ivi bibliografia). Sulla ragione per cui, nonostante il chiaro accostamento della donazione alla compravendita operato dagli autori delle Institutiones, questi ultimi non abbiano inteso compiere il passo ulteriore consistente nell’attrarre la donatio entro la sistematica contrattuale cfr. M. AMELOTTI, Giustiniano maestro di Istituzioni, in AUGE, 5, 1966, 324 ss. = Scritti giuridici (cur. L. Migliardi Zingale), Torino 1996, 705 s.

 

[10] Il testo della Novella è presente soltanto nei manoscritti Marcian. Gr. 179 e Laurent. LXXX.4 (su una variante recata da quest’ultimo si veda infra nt. 17).

 

[11] Per l’emersione postclassica della condictio ex lege cfr.: C. FERRINI, Sull’opuscolo greco intitolato ‘de actionibus’, in (RIL, II.26, 1893, 717 ss. =) Opere, I. Studi di diritto romano bizantino (cur. V. Arangio-Ruiz), Milano 1929, 368, che la attribuisce alla “tarda dottrina scolastica degli orientali”; F. SITZIA, ‘De actionibus’. Edizione e commento, Milano 1973, 91 nt. 65. La ritengono invece parto giustinianeo: M. KASER, Das römische Privatrecht, II2. Die nachklassischen Entwicklung, München 1975, 424; A. SANGUINETTI, Dalla ‘querela’ alla ‘portio legitima’. Aspetti della successione necessaria nell’epoca tardo imperiale e giustinianea, Milano 1996, 114 ss. (l’autore tuttavia non esclude una possibile origine di poco anteriore all’età di Giustiniano); A. SACCOCCIO, Si certum petetur. Dalla ‘condictio’ dei ‘veteres’ alle ‘condictiones’ giustinianee, Milano 2002, 559 ss.; M. MARRONE, Istituzioni di diritto romano3, Palermo 2006, 495 e nt. 246.

 

[12] O. LENEL, Paul.1083, ritiene che il testo riguardasse in origine l’ambito della lex Aquilia. Cfr. anche A. SANGUINETTI, op. cit., 115 e nt. 45.

 

[13] Il testo, ove del dualismo portante contractus-delictum è scomparsa ogni traccia, non è probabilmente del tutto genuino: cfr. M. TALAMANCA, Obbligazioni (storia). Diritto romano, in ED, 29, Milano 1979, 39 e nt. 257 (sembra invece, di recente, propendere per la genuinità R. ZIMMERMANN, The Law of Obligations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, Oxford-New York, 1996, 155 nt. 16). Per la sostanziale irrilevanza del testo di Modestino quanto all’aggiunta nel Code civil napoleonico della legge alla quadripartizione delle fonti delle obbligazioni enunciata nelle Institutiones di Giustiniano (contratti, quasi contratti, delitti, quasi delitti) cfr. F. GALLO, Ricostruzione e utilizzazione della dottrina di Gaio sulle ‘obligationes ex variis causarum figuris’, in BIDR, 76, 1973, 171 ss. = Opuscula selecta (cur. F. Bona e M. Miglietta) Padova 1999, 174 s.

 

[14] D.24.1.32.5 (Ulp. 33 ad Sab.) - Si maritus ea quae donaverit pignori dederit, utique eum paenituisse dicemus, licet dominium retinuit. Quid tamen, si hoc animo fuit, ut vellet adhuc donatum? Finge in possessionem precariam mulierem remansisse paratamque esse satisfacere creditori. dicendum est donationem valere: nam si ab initio ei rem obligatam hoc animo donasset, dicerem vim habere donationem, ut parata satisfacere mulier haberet doli exceptionem: quin immo et si satisfecisset, potuisse eam per doli exceptionem consequi, ut sibi mandentur actiones.

 

[15] G. FALCONE, Il metodo di compilazione delle ‘Institutiones’ di Giustiniano, in AUPA, 45.1, Palermo 1998, 242, rileva nel parafraste un tono meno enfatico (plenissimum et perfectum robur [Institutiones] - tÕ tšleion [Parafrasi]), il che secondo lo studioso citato, nell’ambito di un più vasto tessuto argomentativo, vale a dimostrare la non identità degli autori dell’uno e dell’altro passo (rispettivamente Triboniano e Doroteo).

 

[16] Ed. K.E. ZACHARIÄ VON LINGENTHAL, Anekdota, III, Leipzig 1843 (rist. Aalen 1969), 163. Per la datazione degli scritti di Teodoro di Ermopoli cfr. H.J. SCHELTEMA, Fragmenta breviarii Codicis a Theodoro Hermopolitano e Synopsi erotematica collecta (1972), ora in Opera Minora, Groningue 2004, 373.

 

[17] Una interessante tendenza a ridurre il binomio costituito dall’actio ex stipulatu e dalla conditio ex lege a un solo mezzo giudiziario in personam a favore del donatario, sacrificando così uno dei due, con scelta opposta rispetto a Teodoro di Ermopoli (che salva solo la condictio), si osserva pure nel manoscritto Laurent. LXXX.4 delle Novelle greche di Giustiniano, il quale con riferimento a Nov. 162.1, omette, rispetto al Codex Marcianus, il riferimento alla condictio ex lege, mantenendo soltanto l’actio ex stipulatu (supra nt. 10; SCHOELL-KROLL, ad h.l. [747 nt. 20]). Scelta peraltro abbastanza comprensibile una volta scomparso il carattere tipico delle actiones.

 

[18] Edizione D. SIMON-S. TROIANOS, Das Novellensyntagma des Athanasios von Emesa, Fankfurt am Main 1989, 438. Per la datazione – regno di Giustino II (566-578) – cfr. H.J. SCHELTEMA, La Collectio Novellarum d’Athanase (1966), ora in Opera Minora, cit., 155 ss.; nonché, assai di recente, F. SITZIA, Giudici e legislatori: il divieto stabilito da Nov. 125 nella storia del diritto bizantino, in Tradizione romanistica e Costituzione (dir. L. Labruna, cur. M.P. Baccari-C. Cascione), II, Napoli 2006, 1414 ntt. 22-23.

 

[19] Cfr. peraltro supra nt. 17.

 

[20] Riporto la traduzione di cui all’edizione citata nella nota precedente (439): «Notiere: Auch wenn der Mann das Geschenke an die Frau mit einer Hypothek oder einem Pfandrecht belastete, wie gesagt wird, dann wird das nicht als Widerruf der Schenkung betrachtet, sondern die Frau kann das Geschenk, weil es vorher bereits an sie veräußert worden war, vindizieren».

 

[21] Nei successivi §§ 3 e 3a si precisa che se detti lasciti sono stati disposti sub condicione il divieto non vale, quantunque per l’onerato sia preferibile astenersi da alienazioni e costituzione di diritti reali di garanzia per evitare le evizioni eventualmente legate alla retroattività della condizione avverata, essendo in tal caso inoperative usucapio e longi temporis praescriptio. Cfr. P. VOCI, Diritto ereditario romano II2, Milano 1963, 406; L. DESANTI, Restitutionis post mortem onus. I fedecommessi da restituirsi dopo la morte dell’onerato, Milano 2003, 442 ss.

 

[22] Sulla grande riforma giustinianea, che (tendenzialmente) unifica legati e fedecommessi, cfr. P. VOCI, op. ult. cit., 235 ss.; E. NARDI, Legato e fedecommesso: avvicinamento e fusione, in Atti dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Classe di Scienze Morali, Rendiconti, 1991-1992, 21 ss.