Accademia Navale di Livorno e
Università di Sassari
Sommario: 1. Premessa - 2. La tutela delle risorse alieutiche
in ambito internazionale e comunitario - 3. Le misure di gestione per lo
sfruttamento sostenibile delle risorse alieutiche nel Mar Mediterraneo
- 4. Habitat protetti e zone di
pesca protette - 5. Le
nuove misure tecniche alla luce dell’abrogazione del reg. (CE) n. 1626/94
- 6. La pesca sportiva - 7. I piani di gestione - 8. Conclusioni.
Negli
ultimi decenni la sfera statale delle competenze in materia di pesca ha subito una
progressiva erosione in favore, da un lato, delle istituzioni comunitarie e,
dall'altro, delle Regioni[1].
Tale fenomeno trova il suo sostrato giuridico, per le istituzioni comunitarie,
negli artt. 3, 32 e ss. del
Trattato che istituisce
La
Comunità europea, soprattutto a seguito dell’affermarsi della
consapevolezza dell’esauribilità delle risorse alieutiche[4],
fortemente compromesse dall’utilizzo delle nuove tecnologie, ha ritenuto
necessaria l’adozione di una politica comune della pesca intesa ad uno
sfruttamento sostenibile e responsabile di tali risorse. Si è
così assistito ad un proliferare di regolamenti in materia[5],
che si sono sovrapposti alla normativa nazionale, al fine di perseguire gli
obbiettivi della politica comune della pesca.
Quanto
alle Regioni, la citata riforma del titolo V non ha incluso la pesca
nell’elenco delle materie rimesse alla potestà legislativa dello
Stato, ex art. 117, secondo comma,
cost., né in quelle oggetto di legislazione concorrente, di cui al
successivo terzo comma. Conseguentemente, la pesca va collocata, nella sua
globalità, nell'ambito della potestà legislativa regionale
«residuale», come tale «piena»[6], anche se con le limitazioni
evidenziate nelle recenti pronunce della Corte costituzionale 17 maggio 2006 n.
213 ([7])
e 16 marzo 2007 n. 81[8].
Negli
ultimi anni, il tema della salvaguardia ambientale, nel cui alveo rientra
quello della tutela delle risorse alieutiche, è stato oggetto di diversi
interventi, anche a livello internazionale e comunitario. Si tratta di
un'attenzione che, con riferimento alla tutela del mare e delle sue risorse, si
è potuta rilevare costantemente nelle conferenze ambientali della Nazioni
Unite, fin da quella di Stoccolma sull’ambiente umano del giugno 1972,
confermata poi in quella di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo del 14 giugno
1992 e da ultimo nel vertice di Johannesburg del 26 agosto – 4 settembre
2002[12].
In tali sedi, sono stati dettati alcuni principi di base in materia ambientale
che rappresentano casi tipici di soft law,
ovvero di principi che, pur non avendo natura vincolante, sono stati,
successivamente recepiti nelle legislazioni dei singoli Stati[13].
Con
riguardo alla tutela delle risorse alieutiche, la disciplina, è stata
oggetto della conferenza di Cancun del maggio 1992 (International Conference on responsible Fishing). Nell’ambito di tale conferenza
è stata adottata la dichiarazione di Cancun e richiesto alla FAO (Food and Agricolture Organization)[14]
di predisporre un Codice di condotta internazionale per la pesca responsabile (Code of Conduct for Responsible Fisheries),
unanimemente adottato da tale organizzazione in occasione della sua
ventottesima sessione, tenutasi a Roma il 31 ottobre 1995[15].
Anche tale documento, come del resto è specificato dal suo art. 1.1, ha
natura volontaria e, come tale, non vincolante per gli Stati membri della FAO,
sebbene alcune sue parti si basino su importanti norme internazionali, tra cui
quelle contemplate dalla Convenzione di Montego Bay del 30 dicembre 1982,
meglio nota con l'acronimo inglese UNCLOS (United
Nations Convention on the Law of the Sea)[16].
Va sottolineato come il suo ambito di (relativa) applicabilità[17]
sia globale negli scopi, poiché «è diretto ai membri ed ai
non membri della FAO, agli enti od organizzazioni, governative e non che
operano nella conservazione, gestione e sviluppo delle risorse della pesca, dai
pescatori al personale coinvolto nella trasformazione, commercializzazione dei
prodotti della pesca, agli altri utenti dell’ambiente acquatico in
relazione alla pesca»[18].
I principi di tale codice sono poi comunque penetrati nelle legislazioni dei
singoli Stati e della Comunità europea. Uno fra tutti, oltre a quello
dello sfruttamento sostenibile, è il principio dell’approccio
precauzionale, definito dall’art. 3 comma 1 lett. i del reg. (CE) n. 2371/02 del 20 dicembre 2002 del Consiglio:
«la mancanza di dati scientifici adeguati non deve giustificare il rinvio
o la mancata adozione di misure di gestione per la conservazione delle specie
bersaglio, delle specie associate o delle specie dipendenti, nonché
delle specie bersaglio e del relativo habitat»[19].
Sempre
in tema di tutela delle risorse alieutiche non può non menzionarsi il Plan of action of prevent, deter, and
eliminate illegal, unreported and unregulated fishing (IPOA-IUU) del 2001,
adottato nel corso della XXIV sessione del Comitato per la pesca della FAO e
recepito dal Consiglio della FAO nel giugno 2001. Si tratta di uno strumento
volontario che si applica a tutti gli Stati ed operatori della filiera della
pesca ed è diretto all’attuazione delle misure atte a prevenire,
contrastare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata[20].
Successivamente,
a livello comunitario, la Commissione europea, nel quadro della riforma della
politica comune della pesca, con la comunicazione COM(2002) 181, punto 3.9,
afferente al calendario per l’attuazione della riforma, ha proposto
l’elaborazione di un codice europeo per una pesca responsabile, ispirato
alla corrispondente iniziativa della FAO del
A
livello comunitario, la tutela delle risorse alieutiche rappresenta comunque il
fulcro principale attorno al quale ruota la politica comune della pesca. Prima
di soffermarsi sull’esame del reg. (CE) 21 dicembre 2006 n. 1967/06 del
Consiglio, che ha costituito il punto di arrivo attuale della legislazione
comunitaria in materia, sembra opportuno passare in rassegna, sia pure
sommariamente, le tappe precedenti dell'evoluzione dell'intervento comunitario.
Come
è noto, il settore della pesca rientra tra quelli di competenza della
Comunità europea[22].
Invero, il Trattato istitutivo della Comunità europea non contempla un
capitolo dedicato alla pesca, anche se assegna alla politica comune della pesca
le medesime finalità della politica agricola comune. Ad ogni modo, in
ambito comunitario, a partire dagli anni 70 sono stati adottati numerosi
regolamenti[23]
che hanno riguardato una politica comune delle strutture[24],
l’istituzione di un regime comunitario della pesca e
dell’acquacoltura[25],
un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune
della pesca[26],
misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca del Mediterraneo[27],
l’organizzazione comune dei mercati[28]
sino ad arrivare al reg. (CE) n. 2371/02, entrato in vigore il 7 gennaio 2003,
relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile della pesca
nell’ambito della politica comune della pesca. Con tale ultimo
provvedimento, si è tentato di dare un seguito effettivo alle esigenze di
riforma della politica comune della pesca evidenziate nel Libro verde sul
futuro della politica della pesca.
Con il
reg. (CE) 21 dicembre 2006 n. 1967/06 del Consiglio, relativo alle misure di
gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar
Mediterraneo e recante modifica del reg. (CE) n. 2847/93 e che abroga il reg. (CE) n. 1626/94,
Il
problema dell’individuazione e dell’applicazione di misure di
gestione delle risorse alieutiche era stato già considerato nel
menzionato codice di condotta FAO, che richiamava gli Stati ad applicare, in
ossequio al principio dell’approccio precauzionale, misure gestionali
tali da assicurare che lo sforzo di pesca fosse commisurato alle
capacità produttive della pesca e alla loro utilizzazione sostenibile[31].
Il codice di condotta in questione, al § 6 dell’art. 7, individuava una serie di misure
gestionali quali: il preventivo rilascio da parte dello Stato di
un’autorizzazione all’esercizio della pesca, la rivisitazione dei
parametri degli attrezzi da pesca[32]
con esclusione di quelli meno selettivi, nonché l’adozione di
misure necessarie tese a minimizzare lo spreco, lo scarto, la cattura da parte
di attrezzi da pesca perduti o abbandonati, la cattura di specie non bersaglio.
Peraltro,
l’esigenza di definire meccanismi di gestione e conservazione delle
risorse alieutiche rientrava tra le raccomandazioni enunciate nella
dichiarazione finale della conferenza ministeriale per una pesca sostenibile e
responsabile nel Mediterraneo[33].
Il reg.
(CE) n. 1967/06 si compone di ventisette considerando, trentadue articoli,
suddivisi in undici capi e sei allegati.
Questi
ultimi riguardano rispettivamente: 1) le condizioni tecniche per
l’attacco di dispositivi e l’armamento delle reti da traino; 2) i requisiti relativi alle
caratteristiche degli attrezzi da pesca; 3) le taglie minime degli organismi
marini[34];
4) la misurazione della taglia
di un organismo marino; 5) le zone di gestione di venticinque miglia intorno
alle isole maltesi; 6) la tavola di concordanza tra il reg. (CE) n. 1626/94 e
il reg. (CE) n. 1967/06.
Il
divieto della pesca negli habitat protetti[35]
e l’istituzione delle zone di pesca protette[36]
espressamente contemplati agli articoli 4, 5, 6 e 7 del reg. (CE) n. 1967/06,
rappresentano un ulteriore sviluppo della dimensione ambientale della politica
comune della pesca. Si è proseguito così, nella direzione che è stata indicata
dapprima, a livello internazionale, con una serie di documenti che
convergevano nella medesima direzione: il codice di condotta per la pesca
responsabile della FAO e a livello comunitario, con il Libro verde sul futuro
della politica comune della pesca del 2001, la dichiarazione finale della
Commissione ministeriale per una pesca sostenibile nel Mediterraneo firmata a
Venezia il 25-26 novembre 2003, il codice europeo di buone pratiche per una
pesca sostenibile e responsabile adottato dal Comitato consultivo per la pesca e
l’acquacoltura nella sua riunione plenaria dell’11 settembre 2003 e
da ultimo con il Libro verde “Verso la futura politica marittima
dell’Unione: oceani e mari del
Invero,
il codice di condotta all’art.
6.6.8 sottolinea come la protezione degli ambienti e degli habitat cruciali
rientri tra gli obbiettivi della pesca, il Libro verde del 2001 evidenzia come
«la sostenibilità del settore della pesca sia legata al buon
funzionamento dell’ecosistema e delle specie che ne fanno parte»[38],
mentre la dichiarazione di Venezia precisa che la creazione di zone di
protezione consente di migliorare la conservazione e il controllo delle
attività di pesca, nonché una migliore gestione delle risorse
alieutiche
Il tema
delle zone di pesca protette è trattato anche nel Libro verde del 2006,
con cui la Commissione, al fine di preservare le risorse alieutiche, ha dettato
una strategia tematica per l’ambiente marino. Tale strategia introduce il
principio della pianificazione spaziale ecosistemica, «presupposto ormai
indispensabile per poter gestire gli utilizzi sempre più ampi e spesso
conflittuali degli oceani. In tale prospettiva potrebbe essere necessario
designare ulteriori zone marine protette (ZMP), cosa che contribuirebbe a
proteggere la biodiversità e a raggiungere più rapidamente
livelli di pesca sostenibili»[39].
L’art. 2 comma 2 del reg. (CE) n. 1967/06, definisce la zona di pesca
protetta: «un’area geograficamente definita marina in cui la
totalità o una parte delle attività di pesca sono temporaneamente
o permanentemente vietate o soggette a restrizioni al fine di migliorare lo
sfruttamento e la conservazione delle risorse acquatiche viventi o la
protezione degli ecosistemi marini».
Con
riguardo agli habitat protetti il reg. (CE) n. 1967/06 non fornisce, diversamente
da quanto avviene per la zona di pesca protetta, una definizione, ma si limita
a individuare quegli habitat naturali di particolare pregio ambientale nel cui
ambito è sancito il divieto di pesca.
Segnatamente,
l’art. 4 comma 1 del regolamento in esame, fatta salva la deroga di cui
al successivo comma 5, nel ribadire
il divieto di pesca sulle praterie di posidonia o di altre fanerogame marine,
già contemplato dall’art. 3 comma 3 del reg. (CE) n. 1626/94, ora abrogato, va oltre,
poiché estende tale divieto agli habitat coralligeni, letti di marel[40], nonché a tutte le zone
«Natura 2000»[41],
che sono oggetto di una protezione
particolare e a tutte
le zone particolarmente protette di rilevanza mediterranea (ASPIM) designate ai
fini della conservazione degli habitat a norma della direttiva 92/43/CEE o
della decisione 1999/800/CE, evidenziando in tal modo la dimensione ambientale
della politica comune della pesca invocata con fermezza nel il Libro verde del
2001.
I
successivi artt. 5, 6, e 7 del reg. (CE) 1967/06 si occupano, rispettivamente,
della procedura d’informazione per l’istituzione di zone di pesca
protette, delle zone comunitarie e delle zone nazionali.
In particolare, l’art. 5 prevede il
termine del 31 dicembre 2007, entro il quale gli Stati membri devono
trasmettere le informazioni utili ai fini dell’istituzione delle predette
zone che rientrano nella loro giurisdizione, qualora la protezione delle zone
di crescita, di riproduzione o dell’ecosistema marino richieda misure
speciali.
Sulla
base delle suddette informazioni, si procederà, ex art. 6, entro due anni dall’adozione del regolamento in
esame, alla designazione di zone di pesca comunitarie e nazionali protette.
Per le
prime, la designazione compete al Consiglio e riguarda zone di pesca situate
essenzialmente al di fuori delle acque territoriali degli Stati membri, mentre
per le seconde la designazione è riservata a questi ultimi.
Sembra
doversi ritenere che, per
l’istituzione delle aree nazionali protette, non possa farsi
riferimento all’art. 18 della legge quadro sulle aree protette n. 394/91,
pur dettato in tema di
«Istituzione di aree protette marine» (come recita la
rubrica), in quanto tale procedura pare non pienamente aderente all'assetto
costituzionale determinato dalla riforma del titolo V della Costituzione e a
quanto enunciato dalla Corte costituzionale con le ricordate decisioni n. 213
del 17 maggio 2006 e n. 81 del 16 marzo 2007[42].
E’ infatti da ritenere che l’istituzione delle aree di pesca
protette sia finalizzata a perseguire tanto interessi legati alla pesca,
materia rientrante nella potestà legislativa residuale delle Regioni, ex art 117, quarto comma, cost., quanto
interessi attinenti all’ambiente, materia, quest’ultima,
rientrante, ai sensi del comma 1 lett. s
del citato articolo, fra quelle oggetto di potestà legislativa esclusiva
dello Stato[43].
Conseguentemente, il provvedimento legislativo di designazione delle citate
zone di pesca non può che essere adottato, secondo le indicazioni della
Corte costituzionale nella sentenza n. 213/2006, in ossequio ai principi di
prevalenza e di leale collaborazione, «che si devono sostanziare in
momenti di reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento
dei livelli di governo statale e regionale»[44].
E' quindi auspicabile, de jure condendo,
un intervento del legislatore nazionale che individui l’autorità
competente alla designazione delle aree di pesca protette.
La
designazione delle zone di pesca protette sia comunitarie che nazionali non ha carattere
permanente, atteso che sia il Consiglio, per quelle comunitarie, che gli Stati
membri, per quelle nazionali, possono sulla base di nuovi dati scientifici
pertinenti, individuare altre zone di pesca protette, ovvero modificare le
delimitazioni e le relative regole di gestione, al fine di consentire un’effettiva protezione e
conservazione delle risorse alieutiche e degli ecosistemi marini, nonché
di garantire uno sfruttamento sostenibile, obbiettivi primari della politica
comune della pesca.
Particolare
rilievo in questo contesto assume il § 5 dell’art. 7 del regolamento
in esame, alla stregua del quale viene riconosciuta alla Commissione, qualora
ritenga che le misure di gestione che le sono state notificate dallo Stato
membro siano insufficienti a garantire un adeguato livello di protezione delle
risorse alieutiche, con conseguente mancato raggiungimento degli obbiettivi ad esso assegnati in tema di politica
comune della pesca, il potere, dopo aver consultato lo Stato membro, di
chiedere allo stesso di modificare le misure di gestione, ovvero proporre al
Consiglio la designazione di una nuova zona di pesca nazionale, o
l’adozione di misure di gestione adeguate. La norma in esame parrebbe,
pertanto, riconoscere alle istituzioni comunitarie una sorta di potere
sostitutivo, oltre che di controllo,
da esercitare ogni qualvolta le misure di gestione adottate dallo Stato membro,
siano tali da non garantire un elevato livello di protezione delle risorse
alieutiche e del relativo ambiente[45].
Il reg.
(CE) n. 1967/06, ha abrogato il reg. (CE) n. 1626/94, con cui erano state istituite misure
tecniche per la conservazione delle risorse della pesca nel Mediterraneo.
La
necessità di una revisione della disciplina contemplata in
quest’ultimo provvedimento era stata sottolineata con fermezza già
nel Libro verde sul futuro della politica comune della pesca del 2001, che
rilevava come l’applicazione di tale regolamento non fosse soddisfacente
e individuava nella difficoltà di applicare le taglie minime di sbarco e
nell’assenza di controlli rigorosi in alcune aree del Mediterraneo, le
relative cause[46].
Al
riguardo il considerando XI del reg. (CE) n. 1967/2006, precisa come, sulla
base di nuove valutazioni di carattere scientifico, si possa evidenziare
l’esigenza di adottare nuove misure tecniche per la pesca in sostituzione
di quelle stabilite dal reg. (CE) n. 1626/94. A tale auspicato intervento si
richiede (se non il divieto), quanto meno una più rigorosa
regolamentazione dell’utilizzo di alcuni attrezzi particolarmente dannosi
per l’ambiente marino, nonché
di procedere, al fine di
renderle più selettive,
ad un aumento delle dimensioni delle taglie minime delle reti.
In tale
ottica il legislatore comunitario si era indotto ad intervenire, dapprima con
il reg. (CE) n. 2371/02, che ha introdotto un sistema di controllo molto
più rigoroso rispetto a quello previsto dal previgente assetto
normativo.
Da un
confronto nel complesso tra il reg. (CE) n. 1967/2006 e il reg. (CE) n. 1626/94, si rileva
inoltre come il primo contenga una disciplina più organica, oltre
che maggiormente restrittiva in tema di tutela delle risorse alieutiche e dei
relativi ecosistemi dovuta alle mutate esigenze e conseguentemente ai nuovi
obbiettivi della politica comune della pesca[47].
Tra le
novità di maggior rilievo del provvedimento in esame rientra
indubbiamente la disciplina in tema di pesca sportiva dettata dall’art.
17.
Invero,
è la prima volta che il legislatore comunitario ha disciplinato
dettagliatamente tale materia; in
precedenza si era limitato a menzionarla o, a più, a definirla in
provvedimenti normativi aventi finalità esclusivamente statistiche[48].
Orbene,
le ragioni che hanno indotto il legislatore comunitario ad intervenire in tale
direzionea sono enucleate nel XXI considerando dello stesso regolamento[49].
In
effetti, il fenomeno della pesca sportiva in questi ultimi anni si è
sviluppato in maniera sempre più incisiva, con evidenti ripercussioni
negative sugli stock ittici. Tale
circostanza ha indotto
Segnatamente,
l’art. 17, ai fini dell’esercizio della pesca sportiva vieta
l’utilizzo di alcuni sistemi di pesca che in genere sono consentiti
nell’esercizio della pesca marittima professionale, e ciò per le differenti
finalità delle due tipologie di pesca.
Di
particolare momento è il § 2 dell’art. 17, alla stregua del
quale si impone agli Stati membri di provvedere affinché la pesca
sportiva venga praticata in aderenza agli obbiettivi e alle norme stabilite dal
reg. (CE) n. 1967/06. Conseguentemente, gli Stati membri, nel regolare la pesca
sportiva per gli aspetti non espressamente disciplinati dal regolamento in
esame, dovranno far sì che tale tipo di pesca sia praticata in modo tale
che la stessa non si riveli incompatibile con lo sfruttamento sostenibile e
responsabile delle risorse alieutiche.
L’art.
17 impone l’espresso divieto della commercializzazione del pescato
proveniente dalla pesca sportiva[50],
prevedendo come unica eccezione allo stesso la vendita, previa autorizzazione,
delle catture nell’ambito di gare sportive a condizione che il ricavato
sia destinato a scopi benefici.
Appare
netta la ratio di tale
divieto, ovvero quella di evitare che il mercato ittico sia invaso dal prodotto
proveniente dalla pesca sportiva, poiché ciò avrebbe
ripercussioni negative sul reddito del ceto peschereccio, al quale verrebbe
negato il conseguimento di una congrua retribuzione dall’attività
di pesca professionale.
Con
riguardo alla pesca subacquea sportiva, la disposizione in esame conferma il
divieto di utilizzare i fucili subacquei in combinazione con autorespiratori
oppure di notte, e rinvia agli Stati membri per la disciplina di dettaglio,
imponendo a questi ultimi l’obbligo di informare la Commissione circa le
misure adottate.
Alla
stregua di quanto suesposto, la normativa interna non potrà prescindere,
in tema di pesca sportiva, da quanto dettato dal legislatore comunitario con
l’art. 17. Il riferimento è, in particolare al nuovo regolamento,
in tema di pesca, da adottare, ex
art. 10 dlg. 153/2004, pena la disapplicazione dello stesso in favore della
normativa comunitaria, qualora difforme e meno restrittivo rispetto a
quest’ultima[51].
I piani
di gestione rappresentano una delle misure comunitarie intese a proteggere e
preservare le risorse acquatiche vive, a garantire uno sfruttamento sostenibile
e a ridurre al minimo l’impatto delle attività di pesca sugli
ecosistemi marini.
Essi
rientrano nell’ambito della strategia pluriennale di gestione della pesca
e mirano ad evitare che determinati stock
scendano al di sotto del limite biologico di sicurezza.
Il
legislatore comunitario, prima
che nel capo VII del regolamento in esame, si è occupato
dei piani di gestione nell'art. 6 del reg. (CE) n. 2371/02, evidenziando la
possibilità di finalizzarli, oltre che al citato obbiettivo della salvaguardia
degli stock, alla tutela
delle altre risorse acquatiche vive e alla salvaguardia o al miglioramento
dello stato di conservazione degli ecosistemi marini. Tali piani, elaborati sulla base dell’approccio
precauzionale possono includere diversi tipi di misure e segnatamente:
limitazioni di catture, fissazione del numero e del tipo di pescherecci
autorizzati ad operare, il contenimento dello sforzo di pesca e misure tecniche
relative ai parametri degli attrezzi da pesca e alle modalità del loro
utilizzo.
Il reg.
(CE) n. 1967/06 distingue due tipologie di piani di gestione: piani di gestione
a livello comunitario (art. 18) e piani di gestione per talune attività
di pesca nelle acque territoriali (art. 19). I primi possono essere adottati,
senza alcun limite temporale, dal Consiglio per attività di pesca
specifiche in zone del Mediterraneo che si estendono del tutto o in parte fuori
dalle acque territoriali degli Stati membri; mentre i secondi devono essere
adottati entro il prossimo dicembre 2007 da ciascuno degli Stati membri
all’interno delle proprie acque territoriali e notificati alla
Commissione entro il 30 settembre: ciò al fine di consentire a
quest’ultima di fare le proprie osservazioni prima della loro adozione.
Dall’analisi
degli artt. 17 e 18 del regolamento in esame, si evince come l’adozione
dei piani di gestione a livello comunitario abbia carattere facoltativo a
differenza di quelli ex art. 19, che
sembrano imporre, per quanto concerne la loro adozione, un obbligo in capo agli
Stati membri.
Tale
ultima considerazione sembra essere suffragata dal § 9 dell’art. 19
alla stregua del quale viene riconosciuto alla Commissione una sorta di
«potere di controllo» che le consente, qualora il piano adottato
dal singolo Stato membro non assicuri un elevato livello di protezione delle
risorse e dell’ambiente,
di chiederne la modifica ovvero, proporre al Consiglio adeguate misure
destinate alla protezione delle risorse e dell’ambiente.
L’art.
19 oltre ai piani di cui al paragrafo 1, la cui adozione sembra essere
obbligatoria, prevede al § 2 altri piani di gestione aventi carattere
facoltativo e che possono essere elaborati sulla base di nuovi dati
scientifici.
Circa il
contenuto dei suddetti piani di gestione, si rileva come quelli a livello
comunitario possano includere misure di gestione dello sforzo di pesca, misure
tecniche specifiche, l’estensione dell’uso obbligatorio di sistemi
di controllo via satellite V.M.S.[52]
o di sistemi analogici, restrizioni temporanee o permanenti in talune zone,
mentre le misure dei piani di gestione per talune attività di pesca
nelle acque territoriali devono essere proporzionate alle finalità ed
obbiettivi e al calendario previsto e tener conto di una serie di fattori espressamente
enucleati al § 5 dell’art. 19.
Entrambi
i piani devono prevedere il rilascio di permessi di pesca conformemente al reg.
(CE) n. 1627/94 del 27 giugno 1994[53].
Appare
indubbio che con l’adozione del reg.(CE) n. 1967/06, il legislatore
comunitario abbia dato un ulteriore impulso all’attuazione della politica
comune della pesca intesa a garantire,
attraverso una strategia precauzionale e di buona governance, uno sfruttamento sostenibile e responsabile delle
risorse alieutiche del Mediterraneo.
Invero,
l’introduzione di un regime in tema di parametri degli attrezzi da pesca
e di taglie minime, maggiormente restrittivo rispetto a quello contemplato dal
previgente reg. (CE) n.
1626/94, non è di per sé sufficiente al perseguimento degli obbiettivi
della politica comune della pesca, se non viene data concreta attuazione, entro
i limiti temporali previsti dal regolamento in esame, all’istituzione
delle zone di pesca protette comunitarie e nazionali ex artt. 6 e 7 dello stesso regolamento e all’adozione dei
piani di gestione dianzi enunciati.
Del pari, il perseguimento dei citati obbiettivi non
può prescindere da un costante monitoraggio scientifico
delle acque territoriali, condotto dagli Stati membri, finalizzato alla
raccolta delle relative informazioni. Ciò consentirebbe,
l’adozione di misure tecniche di gestione più appropriate,
assicurerebbe uno sfruttamento sostenibile e responsabile delle risorse
alieutiche del Mediterraneo e renderebbe più dinamica e flessibile, oltre che tempestiva, l’azione di tutela di tali
risorse.
In ogni
caso occorre ribadire l'esigenza che il quadro normativo sia accompagnato da
una puntuale e rigorosa applicazione delle misure di controllo nei confronti
dei soggetti della filiera della pesca e dall’adozione da parte degli
Stati membri di specifici regimi sanzionatori, che nel rispetto del principio
della proporzionalità alla gravità della violazione, siano
diretti alla sospensione per periodi significativi ovvero al ritiro dei
provvedimenti autorizzatori all’esercizio della pesca e al commercio dei
prodotti ittici[54] qualora siano posti in essere comportamenti
che violano gravemente le norme della politica comune della pesca[55].
[1] A
livello comunitario i primi provvedimenti normativi sono stati adottati
all’inizio degli anni
[2] Anche se
il Trattato istitutivo della Comunità europea non dedica un apposito
capitolo alla pesca, lo stesso attribuisce alla politica comune della pesca gli
stessi obbiettivi della politica agricola comunitaria le cui finalità
sono espressamente elencate all’art. 33 dello stesso, tra cui rientra
quella di assicurare al ceto peschereccio un tenore di vita equo. Sulla
politica comunitaria della pesca v. G. Cataldi,
La
politica comune della pesca nell’Unione Europea, Napoli 1999; F. Bruno, L’impresa ittica, Milano 2004, 89 ss; G. Giandomenico, Problematiche giuridiche della pesca in Italia, 2005; A.
Del Vecchio, Politica comune della
pesca e cooperazione internazionale in materia ambientale, in Dir. Un. Eur. 3/2005, 528 ss; E. Flore, Politica comunitaria di conservazione e sfruttamento sostenibile delle
risorse ittiche, in Riv. dir. agr.
2006, 360 ss.
[3]
L’art. 117 cost. nella sua originaria formulazione, fatta eccezione per
la pesca nelle acque interne, non ricomprendeva la pesca marittima tra le
materie attribuite alla potestà legislativa regionale, per cui tale
materia rientrava, limitatamente alle acque territoriali ( Su
quest’ultimo punto v. C. cost. 26 gennaio 1957 n. 23 e C. cost. 17 aprile
1968 n. 21) tra quelle oggetto di
potestà legislativa statale. In tale materia la potestà
legislativa era riconosciuta, altresì, alle regioni a statuto speciale.
Fra tutti v. lo statuto speciale per
[4] In tal senso v. la prefazione
[5] Sul
punto v. tra gli altri, reg. (CEE) n. 2847/93 del 12 ottobre 1993 e successive
modifiche, che istituisce un regime di controllo applicabile nell’ambito
della politica comune della pesca; reg. (CE) n. 1626/94 del 27 giugno 1994, che
istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca, ora
abrogato dall’art. 31 del reg. (CE) n. 1967/06, del 21 dicembre 2006,
relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse
della pesca nel Mar Mediterraneo e recante modifica del reg. (CEE) n. 2847/93 e
che abroga il reg. (CE) n. 1626/94; reg. (CE) n. 847/97 del 29 aprile 1997, che
istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca; reg.
(CE) n. 104/00, del 17 dicembre 1999, relativo all’organizzazione comune
dei mercati nel settore dei prodotti di pesca e acquicoltura; reg. (CE) n. 2371/02,
relativo alla conservazione e sfruttamento delle risorse della pesca
nell’ambito della politica comune della pesca; reg. (CE) n. 129/03 del 24
gennaio 2003, che fissa norme dettagliate per la misura della dimensione delle
maglie delle reti da pesca; reg. (CE) n. 1281/05, relativo alla gestione delle
licenze di pesca e alle informazioni minime che devono figurare nella licenza;
reg. (CE) n. 1042/06 del 7 luglio 2006, recante modalità di applicazione
dell’art. 28, § 3 e 4, del reg. (CE) n. 2371/02 del Consiglio,
relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della
pesca nell’ambito della politica comune della pesca; reg. (CE) n. 1966/06
del 21 dicembre 2006, concernente la registrazione e la trasmissione
elettronica dei dati sulle attività di pesca e i sistemi di
telerilevamento; reg. (CE) n. 147/07 del 15 febbraio 2007, recante adeguamento
di alcuni contingenti di pesca per il periodo 2007-
[6] Per una
completa disamina in tema di potestà legislativa in materia di pesca, v.
A. Germanò, Agricoltura e pesca, in Il diritto amministrativo dopo le riforme
costituzionali, Parte speciale,
Vol. I a cura di G. Corso e V. Lopilato,
Milano, 2006, 125 ss.: l'autore in questione, dopo aver analizzato il regime del
riparto delle competenze legislative nella materia della pesca ed agricoltura
sia prima che dopo la riforma del titolo V della Costituzione, sottolinea il
carattere cedevole della competenza regionale nelle suddette materie nei casi
di competenza esclusiva dello Stato (concorrenza, tutela dell’ambiente, profilassi
internazionale), per converso le Regioni dovranno rispettare i principi
fondamentali stabiliti dallo Stato nei casi di sua competenza concorrente
(gestione del territorio, alimentazione e sanità). Pertanto, secondo,
l’autore: «non è tanto, l’oggetto che rileva,
(agricoltura), quanto la ragione o il fine dell’intervento (concorrenza,
ambiente, profilassi, governo del territorio, alimentazione, salute) che
incidono sul modo di regolazione dell’oggetto. Quando si dice
“tutela della concorrenza” o “tutela dell’ambiente”,
non si individuano fattispecie specifiche alle quali si riferisca la
disciplina: la “tutela” è l’elemento finalistico che
qualifica la competenza e, per ciò, sono competenze senza oggetto,
chiamate a definire se stesse attraverso il proprio esercizio».
[7] In Dir. agr. 2006, 77. Con tale decisione,
[8] Con tale
pronuncia, concernente il giudizio di legittimità costituzionale di
alcuni articoli della l. reg. della Regione Toscana 7 dicembre 2005, n. 66
recante «Disciplina delle attività di pesca marittima e degli
interventi a sostegno della pesca marittima e dell’acquacoltura»
[9] C. cost.
17 maggio 2006 n. 213, cit., punto 7.1 della motivazione, con argomentazione
ripresa anche testualmente da C. cost. 16 marzo 2007 n. 81, cit. punto 8 della
motivazione.
[12] G. Romanelli – M. M. Comenale Pinto,
Trasporto, turismo e sostenibilità ambientale, in Dir. trasp. 2000, 659, 662 ss.
[13] Sull’origine
e l’applicazione nel diritto internazionale, comunitario e lex mercatoria del termine soft law, v. L. De Bernardin, Soft law,
in Dizionario di diritto pubblico,
diretto da S. Cassese, VI, Milano, 2006, 5605, la quale afferma: «Il
concetto di soft law è stato
coniato nel diritto internazionale intorno al
[15] Sull’argomento, v. W.R. Edson, The code of Conduct, loc cit.; v. altresì, D.J.
Doulman, Code of conduct for responsible fisheries:
development and implementation considerations, in Current fisheries iusses and the Food and agricolture organization of
the United nations, 2000; P. Dalton
e M. F. Hayes, Implementing the international Code of
conduct for responsible
fisheries, in Current fisheries cit., 2000; M.T. Cirielli, Il Codice di condotta per una pesca
responsabile e le altre iniziative internazionali in materie di pesca, in Riv. giur. amb. 1997, 777 ss.
[16] Segnatamente, l’art. 1.1
[17] Nella
misura in cui si possa riferire il concetto di applicabilità ad un
documento di soft law.
[19] In tema di principio precauzionale
riferito alle risorse marine, v. L. Gündling,
The status in international law of
the principle of precautionary action, in International, journal of estuarine and coastal law, 1990; R. J. Wilder, Law of the Sea convention as stimulus for robust environmental policy:
the case for precautionary action, in Ocean
yearbook, vol. 12, 1996, 207-222; H. Jochen,
R.M. Fujita, Precautionary management of deep sea mining, in Marine
policy, vol. 26, 2002, 103-106; S.
Marr, The precautionary principle
in the law of the sea: modern decision making in international law, Nijhoff, 2003; Sul principio di precauzione in tema di
pesca al tonno v. altresì, C. giust. CE, 24 novembre 1993, C-405/92,
in www. europa.it.
[20] Sul
punto v. J.M. Sobrino Heredia, A. Rey
Aneiros, Plan de acción internacional para prevenir,
desalentar y eliminar la pesca ilegal, no declarada y no reglementada in
Revista española de derecho
internacional, vol. 54, 2002 ,481-487;
A. Del Vecchio, Politica commune della pesca e cooperazione
internazionale in materia ambientale, in
Dir. Un. Eur. 3, 2005, 529 ss. A livello comunitario con
[22] In tema
v. le decisione del Consiglio CEE del 3 novembre 1976 nonché, dec.
98/392/CE, con la quale il Consiglio ha concluso
[24] Sul
punto v. da ultimo reg. (CE) n.
1198/06 del 27 luglio 2006, relativo al Fondo europeo per la pesca,
nonché, 2007/218/CE: Decisione della Commissione, del 28 marzo 2007,
recante modifica della decisione C(2006) 4332 che fissa, per il periodo dal 1
gennaio 2007 al 31 dicembre 2013, una ripartizione annuale indicativa per Stato
membro degli stanziamenti d’impiego comunitari del Fondo europeo per la
pesca.
[25] V. G.U.
l. 389 del 31 dicembre 1992 come modificato dal reg. (CE) n. 1181/98; abrogato
dal reg. (CE) n. 2371/02 del 20 dicembre 2002.
[26] V. reg.
(CEE) n. 2847/93, del 12 ottobre 1993 che istituisce un regime di controllo
applicabile nell’ambito della politica comune della pesca, come
modificato dal reg. (CE) n.
1967/06.
[27] V. reg.
(CE) n. 1626/94 del 27 giugno 1994, che istituisce misure tecniche per la
conservazione delle risorse della pesca nel mediterraneo. Tale regolamento
è stato recentemente abrogato dal reg. (CE) n. 1967/06 sopra citato; v.
altresì, reg. (CE) n. 894/97 del 29 aprile 1997, che istituisce misure
tecniche per la conservazione delle risorse della pesca; reg. (CE) n. 2371/02, cit., reg. (CE) n. 1966/06, cit., e reg. (CE) n. 147/07, cit.
[28]
Sull’argomento, v. reg. (CE) n. 104/00 cit; reg. (CE) n. 2508/00 del 15 novembre
2000, che fissa le modalità di applicazione del reg. (CE) n. 104/00 del
Consiglio in ordine ai programmi operativi nel settore della pesca; reg. (CE) n 1813/01 del 14 settembre
2001, che stabilisce le modalità di applicazione del reg. (CE) n 104/00
del Consiglio per quanto riguarda le condizioni, la concessione e la revoca del
riconoscimento alle organizzazioni interprofessionali; reg. (CE) n. 2244/03 del
18 dicembre 2003 che stabilisce disposizioni dettagliate per quanto concerne i
sistemi di controllo dei pescherecci via satellite; reg. (CE) n. 768/05 del 26
aprile 2005, che istituisce un’ Agenzia comunitaria di controllo della
pesca e modifica il reg. (CE) n. 2847/93 che istituisce un regime di controllo
applicabile nell’ambito della politica comune della pesca; reg. (CE) n.
2003/06 del 21 dicembre 2006, recante fissazione delle modalità di
finanziamento da parte del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) delle
spese relative all’organizzazione comune dei mercati nel settore dei
prodotti della pesca e dell’acquacoltura; reg. (CE) n. 2037/06 del 21
dicembre 2006, che fissa, ai fini del calcolo della compensazione finanziaria e
dell’anticipo corrispondente, il valore forfetario dei prodotti della
pesca ritirati dal mercato nella campagna 2007.
[29] Tale
regolamento pubblicato nella
GUUE l. 409 del 30 dicembre 2006
è stato oggetto di rettifica pubblicata nella GUUE l. 36 dell'8
febbraio 2007.
[30] Il
principio dell’approccio precauzionale rappresenta un tipico caso di
passaggio da soft law ad hard law. Invero, tale principio in origine era espressamente
contemplato dall’art. 7.5 del Codice di condotta FAO, il quale ha natura
volontaria e non obbligatoria per gli Stati. Solo a seguito del recepimento da
parte dell’art. 2 del reg. (CE) n. 2371/02, lo stesso ha assunto, almeno
per gli Stati membri della Comunità europea, valenza obbligatoria. In
base a tale principio, la mancanza di adeguate informazioni scientifiche non
dovrebbe servire come giustificazione per rimandare o astenersi dal prendere
provvedimenti di conservazione e di gestione.
[32] V. G.
pace Alghero, 4 dicembre 2003 con nota adesiva di G. Spera, In tema di
parametri dei principali attrezzi da pesca e sull’applicabilità
del reg. (CE) 27 giugno 1994 n. 1626,
in Dir. trasp 2004, 925.
[33] Tale
dichiarazione è stata adottata nel corso della riunione tenutasi a
Venezia tra dal 25 al 26 novembre 2003 tra i ministri e il rappresentante della
Commissione europea responsabili per le questioni attinenti la pesca. In tale
dichiarazione è stato dato atto dei progressi compiuti in tema di tutela
delle risorse alieutiche ma nello stesso tempo è stata sottolineata
l’esigenza e assunto l’impegno ad implementare le misure di tutela
di tali risorse nonché, di contrasto alla pesca illegale non
regolamentata e non dichiarata.
[34] V. Trib.
Tempio Pausania, 23 febbraio 2004, con nota di G. Spera, Divieto di
detenere novellame e responsabilità penale, in Dir. trasp 2004, 684 e
ss.
[35] Invero,
l’art. 4 del reg. (CE) n. 1967/06 a tale divieto prevede un regime
particolare di deroghe. In particolare il divieto previsto dall’art. 4
comma 1 può essere derogato previa autorizzazione della Commissione
secondo la procedura prevista dall’art. 30 § 2, del reg. (CE) n.
2371/02.
[36]
L’esigenza di preservare le risorse acquatiche vive, i loro ambienti e le
aree costiere, a livello internazionale, rientra tra gli obbiettivi del codice
di condotta FAO cit. (v.art. 2). Del pari, nel libro verde sul futuro della
politica comune della pesca presentato dalla Commissione nel 2001, è
stata sottolineata la crescente preoccupazione del degrado degli habitat
conseguente all’attività di pesca e pertanto la necessità
di individuare misure tecniche adeguate per la loro protezione.
[37] Tale
libro, presentato dalla Commissione delle Comunità Europee il 7 giugno
2006, al § 2.2 relativo allo sviluppo sostenibile delle risorse
dell’ambiente marino, sottolinea: «conservare un ambiente marino
sano significa preservare l'abbondanza e la diversità delle forme di
vita che esso racchiude, compresi gli stock
ittici. Solo mantenendo gli stock a
livelli atti a consentire uno sfruttamento sostenibile si disporrà delle
risorse necessarie per garantire la vitalità del settore alieutico. Le
politiche dell’ambiente e della pesca vanno considerate come strumenti
complementari, che perseguono gli stessi obiettivi utilizzando le conoscenze
scientifiche più avanzate. In alcune regioni marine tali obiettivi potranno
essere raggiunti soltanto se si riuscirà a tenere sotto controllo una
serie di minacce che incombono sull'ambiente marino, segnatamente
l'inquinamento terrestre e gli scarichi operativi delle navi. Solo da un
ambiente marino sano potranno essere ricavati prodotti atti a contribuire in
modo ottimale all'alimentazione e alla salute umana. Il valore nutritivo dei
prodotti ittici è documentato da un numero crescente di prove
scientifiche; tuttavia la presenza nell'ambiente marino di contaminanti quali i
metalli pesanti e gli inquinanti organici persistenti rischia di compromettere
i benefici che tali alimenti offrono per la salute. È necessario agire
rapidamente per preservare tale risorsa.
[40]
L’art 2, commi 12 e 13, del reg. (CE) n. 1976/06 definisce «habitat
coralligeno: area in cui il fondale marino è caratterizzato dalla
presenza dominante di una specifica comunità biologica chiamata coralligena
o in cui tale comunità è esistita e richiede un intervento di
ripristino»; «letto di marel: area in cui il fondale marino
caratterizzato dalla presenza dominante di una specifica comunità
biologica chiamata marel o in cui tale comunità è esistita e
richiede un intervento di ripristino».
[41] Si
tratta di zone previste dalla dir.
92/42/CEE, del Consiglio, in data 21 maggio 1992, relativa alla conservazione
degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche,
cosiddetta direttiva habitat. Tale direttiva mira a preservare e proteggere la
biodiversità negli Stati membri. In particolare l’art. 1 lett.
b include negli habitat naturali anche le zone
acquatiche di particolare pregio naturalistico.
[43] Sulla
potestà legislativa in materia di tutela dell’ambiente, v. amplius, M. Cecchetti, Ambiente
paesaggio e beni culturali, in Il
diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, Parte speciale, Vol.
I a cura di G. Corso e V. Lopilato, Milano, 2006, 367 ss, in cui l’autore
dopo aver passato in rassegna le pronunce della Corte costituzionale
sull’interpretazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s, cost., sottolinea come con le stesse
[45] In tema di potere sostitutivo, v. A Gratani, L'esercizio del potere sostitutivo e il riparto di competenze nel diritto
comunitario ambientale: le pronunce della Corte Costituzionale, in Riv. giur. amb. 2004, 3-4, 527.
[47] Senza enucleare
tutte le differenze ci limitiamo ad indicarne alcune. Ad esempio per quanto
concerne la larghezza massima consentita per le draghe è stata ridotta a
[48] Si veda
in tal senso il reg. (CE) 1639/01 del 25 luglio 2001, che istituisce un
programma minimo e un programma esteso per la raccolta dei dati nel settore
della pesca e stabilisce le modalità di applicazione del reg. (CE) n.
1543/00 del Consiglio. Segnatamente l’art. 2, comma 3, definisce la pesca
ricreativa e sportiva: «tutte le attività di pesca esercitata
senza scopi commerciali». L’art. 2 del reg. (CE) n. 1967/06,
definisce la pesca sportiva: «attività di pesca che sfruttano le
risorse acquatiche viventi a fini ricreativi o sportivi».
[49] Si
riporta di seguito il contenuto del XXI considerando del reg.(CE)
1967/06:« Data l’importanza della pesca sportiva nel Mediterraneo,
occorre garantire che essa venga praticata in modo tale da non interferire in
misura significativa con la pesca commerciale, che sia compatibile con lo
sfruttamento sostenibile delle risorse acquatiche vive e che rispetti gli
obblighi comunitari con riguardo alle organizzazioni regionali per la
pesca».
[50] Il
divieto di commercializzazione dei prodotti provenienti dalla pesca sportiva
non rappresenta una novità essendo espressamente previsto
dall’art. 7 del d.P.R. 1639/1968, come modificato dall'art. 1, d.p.r. 18
marzo 1983, n. 219.
[51]
Sull’istituto della disapplicazione, v. C. giust. CE 9 marzo
[52] Si tratta di un sistema di radio localizzazione satellitare della
flotta peschereccia denominato Vessel
Monitoring System (V.M.S.). In Italia l’autorità responsabile
dell’attuazione della normativa comunitaria riguardante il controllo
dell’attività di pesca è il Ministero delle politiche
agricole e forestali. Tale ministero, al fine di dare attuazione alle
disposizioni di cui al reg. (CE) n. 2847/93, afferenti al controllo satellitare
della flotta peschereccia nazionale, ha previsto un sistema nazionale di
localizzazione e controllo delle posizioni delle unità da pesca basato
sull’utilizzazione di tecnologie satellitari (V.M.S.), operativo dal mese
di gennaio 2002. Il VMS fa capo ad un F.M.C. (Fishing Monitoring Centre), ubicato presso la centrale operativa
della Guardia costiera, il cui Comando Generale è
l’autorità competente responsabile del centro nazionale di
controllo della pesca, ex art. 2 del d.P.R. 9 novembre 1998, n. 424. La
suddetta centrale operativa, collegata in rete con i quattordici centri di
controllo di area (CCAP), istituiti presso le Direzioni marittime, nella sua
qualità di F.M.C., esercita il monitoraggio (tracking) di tutti i pescherecci sottoposti al controllo V.M.S. e
tiene i contatti con gli FMC di altri paesi. Tale sistema, denominato anche
LOCSAT (localizzazione satellitare), mira a consentire un controllo costante
delle posizioni e delle rotte delle unità da pesca, archiviandone i
relativi dati in un apposito database. Segnatamente, l’art 5 del reg.
(CE) n. 2244/03, prevede: «gli impianti di localizzazione via satellite
installati a bordo dei pescherecci comunitari garantiscono in qualsiasi momento
la trasmissione automatica dei seguenti dati al centro di controllo della pesca
(CCP) dello Stato membro di bandiera: a) identificazione del peschereccio; b)
ultima posizione geografica del peschereccio, con un margine di errore
inferiore ai
La
localizzazione è resa possibile da un apparato installato a bordo delle
unità da pesca denominato Blue Box.
Tale apparato tramite un ricevitore
GPS e un rice-trasmettitore satellitare INMARSAT – C, invia i dati di
posizione ed altri tipi di informazione alla centrale operativa della Guardia
costiera al fine di consentirne il costante monitoraggio. In tema di
provvedimenti cautlari della Blue Box
v. Trib. Sassari, 23 maggio 2005, il quale in sede di riesame del decreto in
data 20 aprile 2005 con cui il Giudice per le indgini preliminari del medesimo
Tribunale, aveva disposto il sequestro di un’unità da pesca
intenta all’esercizio della’attività di pesca all’interno
dell’area marina protetta dell’Asinara, ha dissequestro
l’unità limitando la misura cautelare al solo apparato Blue Box. Sul punto v. anche Cass. pen. 29 novembre 2005, con la
quale
[54] Sul
punto v. art. 7.7.2. del Code of Conduct cit. a tenore del quale: «Gli Stati dovrebbero garantire che le
leggi e le regolamentazioni prevedano sanzioni, di severità tali da
renderle efficaci, applicabili per le violazioni, come il rifiuto, il ritiro o
la sospensione della licenza di pesca nell’eventualità di
violazione delle norme vigenti per la conservazione e gestione».
L’esigenza di predisporre un sistema di controllo e sanzionatorio
più efficace è stata sottolineata nel libro verde sul futuro
della politica comune della pesca,
laddove al paragrafo 3.5 recita: «Le azioni di sorveglianza e di
controllo realizzate ai fini della PCP sono considerate da molti insufficienti
e discriminatorie […]. Il fatto che le sanzioni non siano armonizzate e
che i poteri degli ispettori comunitari siano limitati (in particolare
perché non sono autorizzati a svolgere ispezioni indipendenti) riduce
considerevolmente le possibilità di intervenire efficacemente a livello
comunitario. Non si è riusciti ad attuare un sistema efficace per
perseguire le infrazioni. L'eterogeneità dei sistemi giuridici fa
sì che vi siano spesso disparità tra uno Stato membro e l'altro
nel trattamento riservato alle infrazioni, sia per quanto riguarda la procedura
seguita nei singoli casi che per le sanzioni inflitte. Inoltre
[55] In tema
di comportamenti che violano gravemente le norme della politica comune della
pesca, v. reg. (CE) n. 1447/99 del 24 giugno
-
Ostruzione al compito degli ispettori nell'esercizio delle loro funzioni di
controllo del rispetto delle norme comunitarie applicabili.- Falsificazione,
dissimulazione, distruzione o alterazione di elementi di prova che potrebbero
essere utilizzati nell'ambito di un'indagine o di un procedimento giudiziario.
B.
Inadempimenti relativi alla collaborazione con gli osservatori
-
Ostruzione al compito degli osservatori, nell'esercizio delle loro funzioni
previste dalla normativa comunitaria, di osservazione del rispetto delle norme
comunitarie applicabili.
C.
Inadempimenti relativi alle condizioni necessarie per l'esercizio
dell'attività di pesca.
- Esercizio
dell'attività di pesca senza licenza, permesso o qualsiasi altra
autorizzazione necessaria, rilasciati dallo Stato membro di bandiera o dalla
Commissione.
-
Esercizio dell'attività di pesca con uno dei summenzionati documenti il
cui contenuto sia stato falsificato.
-
Falsificazione, soppressione o dissimulazione dei contrassegni di
identificazione del peschereccio.
D.
Inadempimenti relativi all'esercizio delle operazioni di pesca.
-
Utilizzazione o detenzione a bordo di attrezzi da pesca vietati o di
dispositivi che alterano la selettività degli attrezzi.
-
Utilizzazione di metodi di pesca vietati.
- Mancata
rizzatura o stivaggio di attrezzi da pesca la cui utilizzazione è
vietata in una determinata zona di pesca.
- Pesca
diretta o detenzione a bordo di una specie il cui stock è sottoposto a
moratoria o di cui è vietata la pesca.
- Pesca
non autorizzata in una zona determinata e/o in un periodo specifico.
-
Inosservanza delle norme che disciplinano le dimensioni minime.
-
Inosservanza delle norme e delle procedure che disciplinano i trasbordi e le
operazioni di pesca che implicano l'azione congiunta di due o più
pescherecci.
E.
Inadempimenti relativi ai mezzi di controllo
-
Falsificazione dei dati, o loro mancata registrazione nel giornale di bordo, nella
dichiarazione di sbarco, nella nota di vendita, nella dichiarazione di
assunzione in carico e nei documenti di trasporto; mancanza dei documenti
suindicati o loro mancata presentazione.
-
Interferenza con il sistema di controllo dei pescherecci via satellite.
-
Inosservanza deliberata delle norme comunitarie che disciplinano la
comunicazione a distanza dei movimenti dei pescherecci e dei dati relativi ai
prodotti della pesca detenuti a bordo.
-
Inosservanza delle pertinenti norme relative al controllo, da parte del
capitano, del peschereccio di un paese terzo che opera nelle acque comunitarie,
o del rappresentante del capitano.
F.
Inadempimenti relativi allo sbarco e alla commercializzazione dei prodotti
della pesca
- Sbarco
dei prodotti della pesca che contravvengono alle norme comunitarie concernenti
il controllo della pesca e la loro attuazione.
-
Magazzinaggio, trasformazione, vendita e trasporto dei prodotti della pesca non
conformi alle norme vigenti in materia di commercializzazione, in particolare
quelle relative alle dimensioni minime.