ds_gen N. 6 – 2007 – Contributi

 

foto-SperaLa dimensione ambientale della politica comune della pesca: le nuove misure di gestione delle risorse alieutiche

 

Giuseppe Spera

Accademia Navale di Livorno e

Università di Sassari

 

 

 

Sommario: 1. Premessa - 2. La tutela delle risorse alieutiche in ambito internazionale e comunitario - 3. Le misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse alieutiche nel Mar Mediterraneo - 4. Habitat protetti e zone di pesca protette - 5. Le nuove misure tecniche alla luce dell’abrogazione del reg. (CE) n. 1626/94 - 6. La pesca sportiva - 7. I piani di gestione - 8. Conclusioni.

 

 

1. – Premessa

 

Negli ultimi decenni la sfera statale delle competenze in materia di pesca ha subito una progressiva erosione in favore, da un lato, delle istituzioni comunitarie e, dall'altro, delle Regioni[1]. Tale fenomeno trova il suo sostrato giuridico, per le istituzioni comunitarie, negli artt. 3, 32 e ss. del Trattato che istituisce la Comunità europea[2] e, per le Regioni, nella nuova formulazione dell’art. 117 cost., come risulta dalla modifica del titolo V, di cui alla l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3[3].

La Comunità europea, soprattutto a seguito dell’affermarsi della consapevolezza dell’esauribilità delle risorse alieutiche[4], fortemente compromesse dall’utilizzo delle nuove tecnologie, ha ritenuto necessaria l’adozione di una politica comune della pesca intesa ad uno sfruttamento sostenibile e responsabile di tali risorse. Si è così assistito ad un proliferare di regolamenti in materia[5], che si sono sovrapposti alla normativa nazionale, al fine di perseguire gli obbiettivi della politica comune della pesca.

Quanto alle Regioni, la citata riforma del titolo V non ha incluso la pesca nell’elenco delle materie rimesse alla potestà legislativa dello Stato, ex art. 117, secondo comma, cost., né in quelle oggetto di legislazione concorrente, di cui al successivo terzo comma. Conseguentemente, la pesca va collocata, nella sua globalità, nell'ambito della potestà legislativa regionale «residuale», come tale «piena»[6], anche se con le limitazioni evidenziate nelle recenti pronunce della Corte costituzionale 17 maggio 2006 n. 213 ([7]) e 16 marzo 2007 n. 81[8]. La Corte ha sottolineato come, pur rientrando la pesca nella potestà legislativa residuale delle regioni, ex art. 117, quarto comma, cost. in essa «per la complessità e la polivalenza delle attività in cui si estrinseca, possono interferire interessi eterogenei, taluni statali, altri regionali, con indiscutibili riflessi sulla ripartizione delle competenze legislativa ed amministrativa. Per loro stessa natura, talune attività e taluni aspetti riconducibili all’attività di pesca non possono, infatti, che essere disciplinati dallo Stato, in considerazione del carattere unitario con cui si presentano e la conseguente esigenza di una loro regolamentazione uniforme»[9]. La stessa Corte ha precisato, altresì, che per gli aspetti connessi a materie di competenza ripartita tra Stato e Regioni, «sussiste la potestà legislativa statale nella determinazione dei principi fondamentali, ai quali il legislatore regionale, nel dettare la disciplina di dettaglio deve attenersi»[10]. Pertanto l’analisi dell’intreccio delle competenze, continua la Corte, va effettuata caso per caso, facendo ricorso all’applicazione dei principi di prevalenza e leale collaborazione «che si deve sostanziare in momenti di reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento dei livelli di governo statale e regionale»[11].

 

2. – La tutela delle risorse alieutiche in ambito internazionale e comunitario

 

Negli ultimi anni, il tema della salvaguardia ambientale, nel cui alveo rientra quello della tutela delle risorse alieutiche, è stato oggetto di diversi interventi, anche a livello internazionale e comunitario. Si tratta di un'attenzione che, con riferimento alla tutela del mare e delle sue risorse, si è potuta rilevare costantemente nelle conferenze ambientali della Nazioni Unite, fin da quella di Stoccolma sull’ambiente umano del giugno 1972, confermata poi in quella di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo del 14 giugno 1992 e da ultimo nel vertice di Johannesburg del 26 agosto – 4 settembre 2002[12]. In tali sedi, sono stati dettati alcuni principi di base in materia ambientale che rappresentano casi tipici di soft law, ovvero di principi che, pur non avendo natura vincolante, sono stati, successivamente recepiti nelle legislazioni dei singoli Stati[13].

Con riguardo alla tutela delle risorse alieutiche, la disciplina, è stata oggetto della conferenza di Cancun del maggio 1992 (International Conference on responsible Fishing). Nell’ambito di tale conferenza è stata adottata la dichiarazione di Cancun e richiesto alla FAO (Food and Agricolture Organization)[14] di predisporre un Codice di condotta internazionale per la pesca responsabile (Code of Conduct for Responsible Fisheries), unanimemente adottato da tale organizzazione in occasione della sua ventottesima sessione, tenutasi a Roma il 31 ottobre 1995[15]. Anche tale documento, come del resto è specificato dal suo art. 1.1, ha natura volontaria e, come tale, non vincolante per gli Stati membri della FAO, sebbene alcune sue parti si basino su importanti norme internazionali, tra cui quelle contemplate dalla Convenzione di Montego Bay del 30 dicembre 1982, meglio nota con l'acronimo inglese UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea)[16]. Va sottolineato come il suo ambito di (relativa) applicabilità[17] sia globale negli scopi, poiché «è diretto ai membri ed ai non membri della FAO, agli enti od organizzazioni, governative e non che operano nella conservazione, gestione e sviluppo delle risorse della pesca, dai pescatori al personale coinvolto nella trasformazione, commercializzazione dei prodotti della pesca, agli altri utenti dell’ambiente acquatico in relazione alla pesca»[18]. I principi di tale codice sono poi comunque penetrati nelle legislazioni dei singoli Stati e della Comunità europea. Uno fra tutti, oltre a quello dello sfruttamento sostenibile, è il principio dell’approccio precauzionale, definito dall’art. 3 comma 1 lett. i del reg. (CE) n. 2371/02 del 20 dicembre 2002 del Consiglio: «la mancanza di dati scientifici adeguati non deve giustificare il rinvio o la mancata adozione di misure di gestione per la conservazione delle specie bersaglio, delle specie associate o delle specie dipendenti, nonché delle specie bersaglio e del relativo habitat»[19].

Sempre in tema di tutela delle risorse alieutiche non può non menzionarsi il Plan of action of prevent, deter, and eliminate illegal, unreported and unregulated fishing (IPOA-IUU) del 2001, adottato nel corso della XXIV sessione del Comitato per la pesca della FAO e recepito dal Consiglio della FAO nel giugno 2001. Si tratta di uno strumento volontario che si applica a tutti gli Stati ed operatori della filiera della pesca ed è diretto all’attuazione delle misure atte a prevenire, contrastare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata[20].

Successivamente, a livello comunitario, la Commissione europea, nel quadro della riforma della politica comune della pesca, con la comunicazione COM(2002) 181, punto 3.9, afferente al calendario per l’attuazione della riforma, ha proposto l’elaborazione di un codice europeo per una pesca responsabile, ispirato alla corrispondente iniziativa della FAO del 1995. L'iniziativa si è concretizzata nel codice europeo di buone pratiche per una pesca sostenibile e responsabile, adottato dal Comitato consultivo per la pesca e l’acquacoltura nella riunione plenaria dell’11 settembre 2003. Al pari del codice FAO, anche quello europeo non è obbligatorio per gli Stati membri. Il suo fine è quello di sollecitare l' integrazione della disciplina nazionale, europea ed internazionale, nonché, «contribuire allo sviluppo sostenibile del settore della pesca»[21].

A livello comunitario, la tutela delle risorse alieutiche rappresenta comunque il fulcro principale attorno al quale ruota la politica comune della pesca. Prima di soffermarsi sull’esame del reg. (CE) 21 dicembre 2006 n. 1967/06 del Consiglio, che ha costituito il punto di arrivo attuale della legislazione comunitaria in materia, sembra opportuno passare in rassegna, sia pure sommariamente, le tappe precedenti dell'evoluzione dell'intervento comunitario.

Come è noto, il settore della pesca rientra tra quelli di competenza della Comunità europea[22]. Invero, il Trattato istitutivo della Comunità europea non contempla un capitolo dedicato alla pesca, anche se assegna alla politica comune della pesca le medesime finalità della politica agricola comune. Ad ogni modo, in ambito comunitario, a partire dagli anni 70 sono stati adottati numerosi regolamenti[23] che hanno riguardato una politica comune delle strutture[24], l’istituzione di un regime comunitario della pesca e dell’acquacoltura[25], un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca[26], misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca del Mediterraneo[27], l’organizzazione comune dei mercati[28] sino ad arrivare al reg. (CE) n. 2371/02, entrato in vigore il 7 gennaio 2003, relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile della pesca nell’ambito della politica comune della pesca. Con tale ultimo provvedimento, si è tentato di dare un seguito effettivo alle esigenze di riforma della politica comune della pesca evidenziate nel Libro verde sul futuro della politica della pesca.

 

3. – Le misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse ittiche nel Mar Mediterraneo

 

Con il reg. (CE) 21 dicembre 2006 n. 1967/06 del Consiglio, relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo e recante modifica del reg. (CE) n. 2847/93 e che abroga il reg. (CE) n. 1626/94, la Comunità europea ha dato ulteriore impulso all’azione tesa al perseguimento degli obbiettivi in tema di politica comune della pesca enunciati nel Libro verde sul futuro della politica comune della pesca. Il regolamento in esame, entrato in vigore il 29 gennaio 2007[29], oltre a recare modifiche al reg. (CEE) n. 2847/93 e ad abrogare il reg. (CE) n. 1626/94, introduce, in ossequio ai principi della buona governance e dell’approccio precauzionale[30], un sistema di gestione delle risorse ittiche del Mediterraneo teso a garantire uno sfruttamento sostenibile, ovvero lo sfruttamento di uno stock in condizioni tali che lo stesso non sia compromesso e che non si ripercuota negativamente sugli ecosistemi marini.

Il problema dell’individuazione e dell’applicazione di misure di gestione delle risorse alieutiche era stato già considerato nel menzionato codice di condotta FAO, che richiamava gli Stati ad applicare, in ossequio al principio dell’approccio precauzionale, misure gestionali tali da assicurare che lo sforzo di pesca fosse commisurato alle capacità produttive della pesca e alla loro utilizzazione sostenibile[31]. Il codice di condotta in questione, al § 6 dell’art. 7, individuava una serie di misure gestionali quali: il preventivo rilascio da parte dello Stato di un’autorizzazione all’esercizio della pesca, la rivisitazione dei parametri degli attrezzi da pesca[32] con esclusione di quelli meno selettivi, nonché l’adozione di misure necessarie tese a minimizzare lo spreco, lo scarto, la cattura da parte di attrezzi da pesca perduti o abbandonati, la cattura di specie non bersaglio.

Peraltro, l’esigenza di definire meccanismi di gestione e conservazione delle risorse alieutiche rientrava tra le raccomandazioni enunciate nella dichiarazione finale della conferenza ministeriale per una pesca sostenibile e responsabile nel Mediterraneo[33].

Il reg. (CE) n. 1967/06 si compone di ventisette considerando, trentadue articoli, suddivisi in undici capi e sei allegati.

Questi ultimi riguardano rispettivamente: 1) le condizioni tecniche per l’attacco di dispositivi e l’armamento delle reti da traino; 2) i requisiti relativi alle caratteristiche degli attrezzi da pesca; 3) le taglie minime degli organismi marini[34]; 4) la misurazione della taglia di un organismo marino; 5) le zone di gestione di venticinque miglia intorno alle isole maltesi; 6) la tavola di concordanza tra il reg. (CE) n. 1626/94 e il reg. (CE) n. 1967/06.

 

4. – Habitat protetti e zone di pesca protette

 

Il divieto della pesca negli habitat protetti[35] e l’istituzione delle zone di pesca protette[36] espressamente contemplati agli articoli 4, 5, 6 e 7 del reg. (CE) n. 1967/06, rappresentano un ulteriore sviluppo della dimensione ambientale della politica comune della pesca. Si è proseguito così, nella direzione che è stata indicata dapprima, a livello internazionale, con una serie di documenti che convergevano nella medesima direzione: il codice di condotta per la pesca responsabile della FAO e a livello comunitario, con il Libro verde sul futuro della politica comune della pesca del 2001, la dichiarazione finale della Commissione ministeriale per una pesca sostenibile nel Mediterraneo firmata a Venezia il 25-26 novembre 2003, il codice europeo di buone pratiche per una pesca sostenibile e responsabile adottato dal Comitato consultivo per la pesca e l’acquacoltura nella sua riunione plenaria dell’11 settembre 2003 e da ultimo con il Libro verde “Verso la futura politica marittima dell’Unione: oceani e mari del 2006[37].

Invero, il codice di condotta all’art. 6.6.8 sottolinea come la protezione degli ambienti e degli habitat cruciali rientri tra gli obbiettivi della pesca, il Libro verde del 2001 evidenzia come «la sostenibilità del settore della pesca sia legata al buon funzionamento dell’ecosistema e delle specie che ne fanno parte»[38], mentre la dichiarazione di Venezia precisa che la creazione di zone di protezione consente di migliorare la conservazione e il controllo delle attività di pesca, nonché una migliore gestione delle risorse alieutiche

Il tema delle zone di pesca protette è trattato anche nel Libro verde del 2006, con cui la Commissione, al fine di preservare le risorse alieutiche, ha dettato una strategia tematica per l’ambiente marino. Tale strategia introduce il principio della pianificazione spaziale ecosistemica, «presupposto ormai indispensabile per poter gestire gli utilizzi sempre più ampi e spesso conflittuali degli oceani. In tale prospettiva potrebbe essere necessario designare ulteriori zone marine protette (ZMP), cosa che contribuirebbe a proteggere la biodiversità e a raggiungere più rapidamente livelli di pesca sostenibili»[39]. L’art. 2 comma 2 del reg. (CE) n. 1967/06, definisce la zona di pesca protetta: «un’area geograficamente definita marina in cui la totalità o una parte delle attività di pesca sono temporaneamente o permanentemente vietate o soggette a restrizioni al fine di migliorare lo sfruttamento e la conservazione delle risorse acquatiche viventi o la protezione degli ecosistemi marini».

Con riguardo agli habitat protetti il reg. (CE) n. 1967/06 non fornisce, diversamente da quanto avviene per la zona di pesca protetta, una definizione, ma si limita a individuare quegli habitat naturali di particolare pregio ambientale nel cui ambito è sancito il divieto di pesca.

Segnatamente, l’art. 4 comma 1 del regolamento in esame, fatta salva la deroga di cui al successivo comma 5,  nel ribadire il divieto di pesca sulle praterie di posidonia o di altre fanerogame marine, già contemplato dall’art. 3 comma 3 del reg. (CE) n. 1626/94, ora abrogato, va oltre, poiché estende tale divieto agli habitat coralligeni, letti di marel[40],  nonché a tutte le zone «Natura 2000»[41], che sono oggetto di una protezione particolare  e a tutte le zone particolarmente protette di rilevanza mediterranea (ASPIM) designate ai fini della conservazione degli habitat a norma della direttiva 92/43/CEE o della decisione 1999/800/CE, evidenziando in tal modo la dimensione ambientale della politica comune della pesca invocata con fermezza nel il Libro verde del 2001.

I successivi artt. 5, 6, e 7 del reg. (CE) 1967/06 si occupano, rispettivamente, della procedura d’informazione per l’istituzione di zone di pesca protette, delle zone comunitarie e delle zone nazionali.

 In particolare, l’art. 5 prevede il termine del 31 dicembre 2007, entro il quale gli Stati membri devono trasmettere le informazioni utili ai fini dell’istituzione delle predette zone che rientrano nella loro giurisdizione, qualora la protezione delle zone di crescita, di riproduzione o dell’ecosistema marino richieda misure speciali.

Sulla base delle suddette informazioni, si procederà, ex art. 6, entro due anni dall’adozione del regolamento in esame, alla designazione di zone di pesca comunitarie e nazionali protette.

Per le prime, la designazione compete al Consiglio e riguarda zone di pesca situate essenzialmente al di fuori delle acque territoriali degli Stati membri, mentre per le seconde la designazione è riservata a questi ultimi.

Sembra doversi ritenere che, per  l’istituzione delle aree nazionali protette, non possa farsi riferimento all’art. 18 della legge quadro sulle aree protette n. 394/91, pur dettato in tema di  «Istituzione di aree protette marine» (come recita la rubrica), in quanto tale procedura pare non pienamente aderente all'assetto costituzionale determinato dalla riforma del titolo V della Costituzione e a quanto enunciato dalla Corte costituzionale con le ricordate decisioni n. 213 del 17 maggio 2006 e n. 81 del 16 marzo 2007[42]. E’ infatti da ritenere che l’istituzione delle aree di pesca protette sia finalizzata a perseguire tanto interessi legati alla pesca, materia rientrante nella potestà legislativa residuale delle Regioni, ex art 117, quarto comma, cost., quanto interessi attinenti all’ambiente, materia, quest’ultima, rientrante, ai sensi del comma 1 lett. s del citato articolo, fra quelle oggetto di potestà legislativa esclusiva dello Stato[43]. Conseguentemente, il provvedimento legislativo di designazione delle citate zone di pesca non può che essere adottato, secondo le indicazioni della Corte costituzionale nella sentenza n. 213/2006, in ossequio ai principi di prevalenza e di leale collaborazione, «che si devono sostanziare in momenti di reciproco coinvolgimento istituzionale e di necessario coordinamento dei livelli di governo statale e regionale»[44]. E' quindi auspicabile, de jure condendo, un intervento del legislatore nazionale che individui l’autorità competente alla designazione delle aree di pesca protette.

La designazione delle zone di pesca protette sia comunitarie che nazionali non ha carattere permanente, atteso che sia il Consiglio, per quelle comunitarie, che gli Stati membri, per quelle nazionali, possono sulla base di nuovi dati scientifici pertinenti, individuare altre zone di pesca protette, ovvero modificare le delimitazioni e le relative regole di gestione, al fine di consentire uneffettiva protezione e conservazione delle risorse alieutiche e degli ecosistemi marini, nonché di garantire uno sfruttamento sostenibile, obbiettivi primari della politica comune della pesca.

Particolare rilievo in questo contesto assume il § 5 dell’art. 7 del regolamento in esame, alla stregua del quale viene riconosciuta alla Commissione, qualora ritenga che le misure di gestione che le sono state notificate dallo Stato membro siano insufficienti a garantire un adeguato livello di protezione delle risorse alieutiche, con conseguente mancato raggiungimento degli obbiettivi ad esso assegnati in tema di politica comune della pesca, il potere, dopo aver consultato lo Stato membro, di chiedere allo stesso di modificare le misure di gestione, ovvero proporre al Consiglio la designazione di una nuova zona di pesca nazionale, o l’adozione di misure di gestione adeguate. La norma in esame parrebbe, pertanto, riconoscere alle istituzioni comunitarie una sorta di potere sostitutivo, oltre che di controllo, da esercitare ogni qualvolta le misure di gestione adottate dallo Stato membro, siano tali da non garantire un elevato livello di protezione delle risorse alieutiche e del relativo ambiente[45].

 

5. – Le nuove misure tecniche alla luce dell’abrogazione del reg. (CE) n. 1626/94

 

Il reg. (CE) n. 1967/06, ha abrogato il reg. (CE) n. 1626/94, con cui  erano state istituite misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca nel Mediterraneo.

La necessità di una revisione della disciplina contemplata in quest’ultimo provvedimento era stata sottolineata con fermezza già nel Libro verde sul futuro della politica comune della pesca del 2001, che rilevava come l’applicazione di tale regolamento non fosse soddisfacente e individuava nella difficoltà di applicare le taglie minime di sbarco e nell’assenza di controlli rigorosi in alcune aree del Mediterraneo, le relative cause[46].

Al riguardo il considerando XI del reg. (CE) n. 1967/2006, precisa come, sulla base di nuove valutazioni di carattere scientifico, si possa evidenziare l’esigenza di adottare nuove misure tecniche per la pesca in sostituzione di quelle stabilite dal reg. (CE) n. 1626/94. A tale auspicato intervento si richiede (se non il divieto), quanto meno una più rigorosa regolamentazione dell’utilizzo di alcuni attrezzi particolarmente dannosi per l’ambiente marino, nonché  di procedere, al fine di renderle più selettive, ad un aumento delle dimensioni delle taglie minime delle reti.

In tale ottica il legislatore comunitario si era indotto ad intervenire, dapprima con il reg. (CE) n. 2371/02, che ha introdotto un sistema di controllo molto più rigoroso rispetto a quello previsto dal previgente assetto normativo.

Da un confronto nel complesso tra il reg. (CE) n. 1967/2006  e il reg. (CE) n. 1626/94, si rileva inoltre come il primo contenga una disciplina più organica, oltre che maggiormente restrittiva in tema di tutela delle risorse alieutiche e dei relativi ecosistemi dovuta alle mutate esigenze e conseguentemente ai nuovi obbiettivi della politica comune della pesca[47].

 

6. – La pesca sportiva

 

Tra le novità di maggior rilievo del provvedimento in esame rientra indubbiamente la disciplina in tema di pesca sportiva dettata dall’art. 17.

Invero, è la prima volta che il legislatore comunitario ha disciplinato dettagliatamente tale materia;  in precedenza si era limitato a menzionarla o, a più, a definirla in provvedimenti normativi aventi finalità esclusivamente statistiche[48].

Orbene, le ragioni che hanno indotto il legislatore comunitario ad intervenire in tale direzionea sono enucleate nel XXI considerando dello stesso regolamento[49].

In effetti, il fenomeno della pesca sportiva in questi ultimi anni si è sviluppato in maniera sempre più incisiva, con evidenti ripercussioni negative sugli stock ittici. Tale circostanza ha indotto la Comunità europea, anche in ragione di un esercizio distorto della stessa, ad intervenire su tale fenomeno con una normativa di dettaglio.

Segnatamente, l’art. 17, ai fini dell’esercizio della pesca sportiva vieta l’utilizzo di alcuni sistemi di pesca che in genere sono consentiti nell’esercizio della pesca marittima professionale, e ciò per le differenti finalità delle due tipologie di pesca.

Di particolare momento è il § 2 dell’art. 17, alla stregua del quale si impone agli Stati membri di provvedere affinché la pesca sportiva venga praticata in aderenza agli obbiettivi e alle norme stabilite dal reg. (CE) n. 1967/06. Conseguentemente, gli Stati membri, nel regolare la pesca sportiva per gli aspetti non espressamente disciplinati dal regolamento in esame, dovranno far sì che tale tipo di pesca sia praticata in modo tale che la stessa non si riveli incompatibile con lo sfruttamento sostenibile e responsabile delle risorse alieutiche.

L’art. 17 impone l’espresso divieto della commercializzazione del pescato proveniente dalla pesca sportiva[50], prevedendo come unica eccezione allo stesso la vendita, previa autorizzazione, delle catture nell’ambito di gare sportive a condizione che il ricavato sia destinato a scopi benefici.

Appare netta la ratio di tale divieto, ovvero quella di evitare che il mercato ittico sia invaso dal prodotto proveniente dalla pesca sportiva, poiché ciò avrebbe ripercussioni negative sul reddito del ceto peschereccio, al quale verrebbe negato il conseguimento di una congrua retribuzione dall’attività di pesca professionale.

Con riguardo alla pesca subacquea sportiva, la disposizione in esame conferma il divieto di utilizzare i fucili subacquei in combinazione con autorespiratori oppure di notte, e rinvia agli Stati membri per la disciplina di dettaglio, imponendo a questi ultimi l’obbligo di informare la Commissione circa le misure adottate.

Alla stregua di quanto suesposto, la normativa interna non potrà prescindere, in tema di pesca sportiva, da quanto dettato dal legislatore comunitario con l’art. 17. Il riferimento è, in particolare al nuovo regolamento, in tema di pesca, da adottare, ex art. 10 dlg. 153/2004, pena la disapplicazione dello stesso in favore della normativa comunitaria, qualora difforme e meno restrittivo rispetto a quest’ultima[51].

 

7. – I piani di gestione

 

I piani di gestione rappresentano una delle misure comunitarie intese a proteggere e preservare le risorse acquatiche vive, a garantire uno sfruttamento sostenibile e a ridurre al minimo l’impatto delle attività di pesca sugli ecosistemi marini.

Essi rientrano nell’ambito della strategia pluriennale di gestione della pesca e mirano ad evitare che determinati stock scendano al di sotto del limite biologico di sicurezza.

Il legislatore comunitario, prima che nel capo VII del regolamento in esame, si  è occupato dei piani di gestione nell'art. 6 del reg. (CE) n. 2371/02, evidenziando la possibilità di finalizzarli, oltre che al citato obbiettivo della salvaguardia degli stock,  alla tutela delle altre risorse acquatiche vive e alla salvaguardia o al miglioramento dello stato di conservazione degli ecosistemi marini. Tali piani, elaborati sulla base dell’approccio precauzionale possono includere diversi tipi di misure e segnatamente: limitazioni di catture, fissazione del numero e del tipo di pescherecci autorizzati ad operare, il contenimento dello sforzo di pesca e misure tecniche relative ai parametri degli attrezzi da pesca e alle modalità del loro utilizzo.

Il reg. (CE) n. 1967/06 distingue due tipologie di piani di gestione: piani di gestione a livello comunitario (art. 18) e piani di gestione per talune attività di pesca nelle acque territoriali (art. 19). I primi possono essere adottati, senza alcun limite temporale, dal Consiglio per attività di pesca specifiche in zone del Mediterraneo che si estendono del tutto o in parte fuori dalle acque territoriali degli Stati membri; mentre i secondi devono essere adottati entro il prossimo dicembre 2007 da ciascuno degli Stati membri all’interno delle proprie acque territoriali e notificati alla Commissione entro il 30 settembre: ciò al fine di consentire a quest’ultima di fare le proprie osservazioni prima della loro adozione.

Dall’analisi degli artt. 17 e 18 del regolamento in esame, si evince come l’adozione dei piani di gestione a livello comunitario abbia carattere facoltativo a differenza di quelli ex art. 19, che sembrano imporre, per quanto concerne la loro adozione, un obbligo in capo agli Stati membri.

Tale ultima considerazione sembra essere suffragata dal § 9 dell’art. 19 alla stregua del quale viene riconosciuto alla Commissione una sorta di «potere di controllo» che le consente, qualora il piano adottato dal singolo Stato membro non assicuri un elevato livello di protezione delle risorse e dell’ambiente, di chiederne la modifica ovvero, proporre al Consiglio adeguate misure destinate alla protezione delle risorse e dell’ambiente.

L’art. 19 oltre ai piani di cui al paragrafo 1, la cui adozione sembra essere obbligatoria, prevede al § 2 altri piani di gestione aventi carattere facoltativo e che possono essere elaborati sulla base di nuovi dati scientifici.

Circa il contenuto dei suddetti piani di gestione, si rileva come quelli a livello comunitario possano includere misure di gestione dello sforzo di pesca, misure tecniche specifiche, l’estensione dell’uso obbligatorio di sistemi di controllo via satellite V.M.S.[52] o di sistemi analogici, restrizioni temporanee o permanenti in talune zone, mentre le misure dei piani di gestione per talune attività di pesca nelle acque territoriali devono essere proporzionate alle finalità ed obbiettivi e al calendario previsto e tener conto di una serie di fattori espressamente enucleati al § 5 dell’art. 19.

Entrambi i piani devono prevedere il rilascio di permessi di pesca conformemente al reg. (CE) n. 1627/94 del 27 giugno 1994[53].

 

8. – Conclusioni

 

Appare indubbio che con l’adozione del reg.(CE) n. 1967/06, il legislatore comunitario abbia dato un ulteriore impulso all’attuazione della politica comune della pesca intesa a garantire, attraverso una strategia precauzionale e di buona governance, uno sfruttamento sostenibile e responsabile delle risorse alieutiche del Mediterraneo.

Invero, l’introduzione di un regime in tema di parametri degli attrezzi da pesca e di taglie minime, maggiormente restrittivo rispetto a quello contemplato dal previgente  reg. (CE) n. 1626/94, non è di per sé sufficiente al perseguimento degli obbiettivi della politica comune della pesca, se non viene data concreta attuazione, entro i limiti temporali previsti dal regolamento in esame, all’istituzione delle zone di pesca protette comunitarie e nazionali ex artt. 6 e 7 dello stesso regolamento e all’adozione dei piani di gestione dianzi enunciati.

Del pari, il perseguimento dei citati obbiettivi non può prescindere da  un costante monitoraggio scientifico delle acque territoriali, condotto dagli Stati membri, finalizzato alla raccolta delle relative informazioni. Ciò consentirebbe, l’adozione di misure tecniche di gestione più appropriate, assicurerebbe uno sfruttamento sostenibile e responsabile delle risorse alieutiche del Mediterraneo e renderebbe più dinamica e flessibile, oltre che tempestiva, l’azione di tutela di tali risorse.

In ogni caso occorre ribadire l'esigenza che il quadro normativo sia accompagnato da una puntuale e rigorosa applicazione delle misure di controllo nei confronti dei soggetti della filiera della pesca e dall’adozione da parte degli Stati membri di specifici regimi sanzionatori, che nel rispetto del principio della proporzionalità alla gravità della violazione, siano diretti alla sospensione per periodi significativi ovvero al ritiro dei provvedimenti autorizzatori all’esercizio della pesca e al commercio dei prodotti ittici[54] qualora siano posti in essere comportamenti che violano gravemente le norme della politica comune della pesca[55].

 

 



 

[1] A livello comunitario i primi provvedimenti normativi sono stati adottati all’inizio degli anni 70. A tal fine v. reg. (CEE) 2141/70 e reg. (CEE) 2142/70 riguardanti rispettivamente l’attuazione della politica delle strutture e l’organizzazione comune di mercato del settore. Con riguardo alle Regioni lo spartiacque è senza dubbio rappresentato dalla riforma del titolo V della costituzione del 2001, con la quale la materia della pesca non è piu ricompresa  tra quelle oggetto di potestà legislativa esclusiva statale e concorrente.

 

[2] Anche se il Trattato istitutivo della Comunità europea non dedica un apposito capitolo alla pesca, lo stesso attribuisce alla politica comune della pesca gli stessi obbiettivi della politica agricola comunitaria le cui finalità sono espressamente elencate all’art. 33 dello stesso, tra cui rientra quella di assicurare al ceto peschereccio un tenore di vita equo. Sulla politica comunitaria della pesca v. G. Cataldi, La politica comune della pesca nell’Unione Europea, Napoli 1999; F. Bruno, L’impresa ittica, Milano 2004, 89 ss; G. Giandomenico, Problematiche giuridiche della pesca in Italia, 2005; A. Del Vecchio, Politica comune della pesca e cooperazione internazionale in materia ambientale, in Dir. Un. Eur. 3/2005, 528 ss; E. Flore, Politica comunitaria di conservazione e sfruttamento sostenibile delle risorse ittiche, in Riv. dir. agr. 2006, 360 ss. 

 

[3] L’art. 117 cost. nella sua originaria formulazione, fatta eccezione per la pesca nelle acque interne, non ricomprendeva la pesca marittima tra le materie attribuite alla potestà legislativa regionale, per cui tale materia rientrava, limitatamente alle acque territoriali ( Su quest’ultimo punto v. C. cost. 26 gennaio 1957 n. 23 e C. cost. 17 aprile 1968 n. 21) tra quelle oggetto di  potestà legislativa statale. In tale materia la potestà legislativa era riconosciuta, altresì, alle regioni a statuto speciale. Fra tutti v. lo statuto speciale per la Sardegna adottato con l. cost. 26 febbraio 1948 n. 3 e successive modifiche, i cui artt. 3 e 6 attribuiscono alla regione Sardegna, in materia di pesca, sia la potestà legislativa che le relative funzioni amministrative. Con riguardo a queste ultime funzioni il trasferimento alle regioni ordinarie è avvenuto con il d.lg. 4 giugno 1997 n. 143 a cui è seguito il d.lg. 5 marzo 1998 n. 60. Sull’argomento v. G. Reale,  L’evoluzione normativa in materia di pesca: dal diritto della navigazione al diritto agrario, in Dir. trasp. 2001, 13.

 

[4] In tal senso v. la prefazione del Code of conduct for responsible fisheries, in cui si afferma: «The wealth of aquatic resources was assumed to be an unlimited gift of nature. However, with increased knowledge and the dynamic development of fisheries after the second world war, this myth has faded in face of the realization that aquatic resources, although renewable, are not infinite and need to be properly managed, if their contribution to the nutritional, economic and social well-being of the growing world's population is to be sustained». 

 

[5] Sul punto v. tra gli altri, reg. (CEE) n. 2847/93 del 12 ottobre 1993 e successive modifiche, che istituisce un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca; reg. (CE) n. 1626/94 del 27 giugno 1994, che istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca, ora abrogato dall’art. 31 del reg. (CE) n. 1967/06, del 21 dicembre 2006, relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo e recante modifica del reg. (CEE) n. 2847/93 e che abroga il reg. (CE) n. 1626/94; reg. (CE) n. 847/97 del 29 aprile 1997, che istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca; reg. (CE) n. 104/00, del 17 dicembre 1999, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti di pesca e acquicoltura; reg. (CE) n. 2371/02, relativo alla conservazione e sfruttamento delle risorse della pesca nell’ambito della politica comune della pesca; reg. (CE) n. 129/03 del 24 gennaio 2003, che fissa norme dettagliate per la misura della dimensione delle maglie delle reti da pesca; reg. (CE) n. 1281/05, relativo alla gestione delle licenze di pesca e alle informazioni minime che devono figurare nella licenza; reg. (CE) n. 1042/06 del 7 luglio 2006, recante modalità di applicazione dell’art. 28, § 3 e 4, del reg. (CE) n. 2371/02 del Consiglio, relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell’ambito della politica comune della pesca; reg. (CE) n. 1966/06 del 21 dicembre 2006, concernente la registrazione e la trasmissione elettronica dei dati sulle attività di pesca e i sistemi di telerilevamento; reg. (CE) n. 147/07 del 15 febbraio 2007, recante adeguamento di alcuni contingenti di pesca per il periodo 2007-2012 a norma dell’articolo 23, § 4, del reg. (CE) 2371/02 del Consiglio relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell’ambito della politica comune della pesca.

 

[6] Per una completa disamina in tema di potestà legislativa in materia di pesca, v. A. Germanò, Agricoltura e pesca, in Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali,  Parte speciale, Vol. I a cura di G. Corso e V. Lopilato, Milano, 2006, 125 ss.: l'autore in questione,  dopo aver analizzato il regime del riparto delle competenze legislative nella materia della pesca ed agricoltura sia prima che dopo la riforma del titolo V della Costituzione, sottolinea il carattere cedevole della competenza regionale nelle suddette materie nei casi di competenza esclusiva dello Stato (concorrenza, tutela dell’ambiente, profilassi internazionale), per converso le Regioni dovranno rispettare i principi fondamentali stabiliti dallo Stato nei casi di sua competenza concorrente (gestione del territorio, alimentazione e sanità). Pertanto, secondo, l’autore: «non è tanto, l’oggetto che rileva, (agricoltura), quanto la ragione o il fine dell’intervento (concorrenza, ambiente, profilassi, governo del territorio, alimentazione, salute) che incidono sul modo di regolazione dell’oggetto. Quando si dice “tutela della concorrenza” o “tutela dell’ambiente”, non si individuano fattispecie specifiche alle quali si riferisca la disciplina: la “tutela” è l’elemento finalistico che qualifica la competenza e, per ciò, sono competenze senza oggetto, chiamate a definire se stesse attraverso il proprio esercizio».

 

[7] In Dir. agr. 2006, 77. Con tale decisione, la Corte costituzionale ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 29 e 30 della l. 24 dicembre 2003, n. 350 recante: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004) «nella parte in cui non stabilisce che la ripartizione delle risorse finanziarie ivi prevista, nonché l’approvazione del Piano nazionale della pesca e dell’acquacoltura per l’anno 2004, avvenga d’intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra Stato e le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano».

 

[8] Con tale pronuncia, concernente il giudizio di legittimità costituzionale di alcuni articoli della l. reg. della Regione Toscana 7 dicembre 2005, n. 66 recante «Disciplina delle attività di pesca marittima e degli interventi a sostegno della pesca marittima e dell’acquacoltura» la Consulta ha dichiarato in parte inammissibili ed in parte non fondate le questioni di legittimità costituzionale della suddetta legge regionale in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione.

 

[9] C. cost. 17 maggio 2006 n. 213, cit., punto 7.1 della motivazione, con argomentazione ripresa anche testualmente da C. cost. 16 marzo 2007 n. 81, cit. punto 8 della motivazione.

 

[10] C. cost. 17 maggio 2006 n. 213, cit.

 

[11] C. cost. 17 maggio 2006 n. 213, cit., punto 7.2 della motivazione.

 

[12] G. Romanelli – M. M. Comenale Pinto, Trasporto, turismo e sostenibilità ambientale, in Dir. trasp. 2000, 659, 662 ss.

 

[13] Sull’origine e l’applicazione nel diritto internazionale, comunitario e lex mercatoria del termine soft law, v. L. De Bernardin, Soft law, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, VI, Milano, 2006, 5605, la quale afferma: «Il concetto di soft law è stato coniato nel diritto internazionale intorno al 1970. In alcuni interventi orali, lo studioso inglese Lord Mc Nair utilizzo questo termine per definire e descrivere il fenomeno dei non binding agreements che si andavano diffondendo nella comunità internazionale». Sul tema v. anche, R.J. Dupuy, Droit déclaratoire et droit international public; F. Francioni, Per un governo mondiale dell’ambiente, in S. Scamuzzi, Costituzioni, razionalità, ambiente, Torino, 1994, 455, il quale afferma: «la soft law, infatti, costituisce quel tipo di diritto internazionale che pur non essendo produttivo di precisi obblighi e diritti, tende tuttavia ad occupare spazi in precedenza lasciati alla discrezionalità degli Stati, ponendo su di essi una simbolica ipoteca di successiva regolamentazione a carattere obbligatorio». Questo procedimento è stato adottato sin dalla conferenza di Stoccolma del 1972 che ha costituito un punto di partenza fondamentale per lo sviluppo del diritto internazionale dell’ambiente; v. altresì, W.R. Edeson, Closing the Gap: the Role of Soft International instruments to Control Fishing, in Australian Yearbook of international law, 1999, 20. Per ulteriori considerazioni sul soft law in tema di pesca, v. W.R. Edeson, The code of Conduct for Responsible Fisheries: An Introduction, in International Journal of Marine and Coastal Law, 11 1996, 233-238. Sulla natura di soft law degli accordi interistituzionali comunitari, v. R. Adam, Sul diritto di voto della Comunità Europea in seno alla FAO per l’adozione degli accordi in materia di pesca, in Dir. Un. Eur. 1997, 165; Sulla natura del Plan of implementation prodotto a seguito del vertice sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg  2002, v, A. Fodella, Il vertice di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile, in Riv. giur. amb. 2003, 2,  385. Tale documento programmatico nel capitolo IV dedica alcune disposizioni alla pesca sostenibile ed in particolar modo al principio del maximum sustainable yeld, in forza del quale gli Stati devono mantenere o ripristinare i banchi di pesce a livelli che possono permettere la massima cattura sostenibile. 

 

[14] V. in tal senso la prefazione al Code of Conduct for Responsible Fisheries (FAO), Rome, 1995. 

 

[15] Sull’argomento, v. W.R. Edson, The code of Conduct, loc cit.; v. altresì, D.J. Doulman,  Code of conduct for responsible fisheries: development and implementation considerations, in Current fisheries iusses and the Food and agricolture organization of the United nations, 2000; P. Dalton e M. F. Hayes, Implementing the international Code of conduct for responsible fisheries,  in Current fisheries cit., 2000; M.T. Cirielli, Il Codice di condotta per una pesca responsabile e le altre iniziative internazionali in materie di pesca, in Riv. giur. amb. 1997, 777 ss.

 

[16] Segnatamente, l’art. 1.1 del citato codice (Nature and scope of the code),  recita «This Code is voluntary. However, certain parts of it are based on relevant rules of international law, including those reflected in the United Nations Convention on the Law of the Sea of 10 December 1982. The Code also contains provisions that may be or have already been given binding effect by means of other obligatory legal instruments amongst the Parties, such as the Agreement to Promote Compliance with International Conservation and Management Measures by Fishing Vessels on the High Seas, 1993, which, according to FAO Conference resolution 15/93, paragraph 3, forms an integral part of the Code». La UNCLOS è entrata in vigore a livello internazionale il 16 novembre 1994, e per l’Italia il 12 febbraio 1995, a seguito del deposito dello strumento di ratifica avvenuto il 13 gennaio dello stesso anno. 

 

[17] Nella misura in cui si possa riferire il concetto di applicabilità ad un documento di soft law.

 

[18] V. art. 1.2  del Code of Conduct, loc. cit.

 

[19] In tema di principio precauzionale riferito alle risorse marine, v. L. Gündling, The status in international law of the principle of precautionary action, in International, journal of estuarine and coastal law, 1990; R. J. Wilder, Law of the Sea convention as stimulus for robust environmental policy: the case for precautionary action, in Ocean yearbook, vol. 12, 1996, 207-222; H. Jochen, R.M. Fujita, Precautionary management of deep sea mining, in  Marine policy, vol. 26, 2002, 103-106; S. Marr, The precautionary principle in the law of the sea: modern decision making in international law, Nijhoff, 2003; Sul  principio di precauzione in tema di pesca al tonno v. altresì, C. giust. CE, 24 novembre 1993, C-405/92, in www. europa.it.

 

[20] Sul punto v. J.M. Sobrino Heredia, A. Rey Aneiros,  Plan de acción internacional para prevenir, desalentar y eliminar la pesca ilegal, no declarada y no reglementada  in  Revista española de derecho internacional, vol. 54, 2002 ,481-487;  A. Del Vecchio, Politica commune della pesca e cooperazione internazionale in materia ambientale, in Dir. Un. Eur. 3, 2005, 529 ss. A livello comunitario con la Comunicazione COM(2002) 180 del 28 maggio 2002 «Piano d’azione comunitario volto ad eradicare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata» sono state previste misure dirette alla tutela delle risorse alieutiche in aderenza con il Piano d’azione FAO.

 

[21] Codice europeo di buone pratiche per una pesca sostenibile e responsabile, 2004, 6.

 

[22] In tema v. le decisione del Consiglio CEE del 3 novembre 1976 nonché, dec. 98/392/CE, con la quale il Consiglio ha concluso la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che contiene norme e principi relativi alla conservazione e alla gestione delle risorse biologiche d’alto mare. Ai sensi delle norme di tale convenzione, la Comunità si sforza di coordinare la gestione e la conservazione delle risorse acquatiche vive con gli altri Stati costieri.

 

[23] V. supra  nt. 5.

 

[24] Sul punto v. da ultimo  reg. (CE) n. 1198/06 del 27 luglio 2006, relativo al Fondo europeo per la pesca, nonché, 2007/218/CE: Decisione della Commissione, del 28 marzo 2007, recante modifica della decisione C(2006) 4332 che fissa, per il periodo dal 1 gennaio 2007 al 31 dicembre 2013, una ripartizione annuale indicativa per Stato membro degli stanziamenti d’impiego comunitari del Fondo europeo per la pesca.

 

[25] V. G.U. l. 389 del 31 dicembre 1992 come modificato dal reg. (CE) n. 1181/98; abrogato dal reg. (CE)  n.  2371/02 del 20 dicembre 2002. 

 

[26] V. reg. (CEE) n. 2847/93, del 12 ottobre 1993 che istituisce un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca, come modificato dal reg. (CE)  n. 1967/06.

 

[27] V. reg. (CE) n. 1626/94 del 27 giugno 1994, che istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca nel mediterraneo. Tale regolamento è stato recentemente abrogato dal reg. (CE) n. 1967/06 sopra citato; v. altresì, reg. (CE) n. 894/97 del 29 aprile 1997, che istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca; reg. (CE)  n.  2371/02, cit.,  reg. (CE)  n. 1966/06, cit.,  e reg. (CE)  n. 147/07, cit.

 

[28] Sull’argomento, v. reg. (CE) n. 104/00 cit;  reg. (CE) n. 2508/00 del 15 novembre 2000, che fissa le modalità di applicazione del reg. (CE) n. 104/00 del Consiglio in ordine ai programmi operativi nel settore della pesca;  reg. (CE) n 1813/01 del 14 settembre 2001, che stabilisce le modalità di applicazione del reg. (CE) n 104/00 del Consiglio per quanto riguarda le condizioni, la concessione e la revoca del riconoscimento alle organizzazioni interprofessionali; reg. (CE) n. 2244/03 del 18 dicembre 2003 che stabilisce disposizioni dettagliate per quanto concerne i sistemi di controllo dei pescherecci via satellite; reg. (CE) n. 768/05 del 26 aprile 2005, che istituisce un’ Agenzia comunitaria di controllo della pesca e modifica il reg. (CE) n. 2847/93 che istituisce un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca; reg. (CE) n. 2003/06 del 21 dicembre 2006, recante fissazione delle modalità di finanziamento da parte del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) delle spese relative all’organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura; reg. (CE) n. 2037/06 del 21 dicembre 2006, che fissa, ai fini del calcolo della compensazione finanziaria e dell’anticipo corrispondente, il valore forfetario dei prodotti della pesca ritirati dal mercato nella campagna  2007.

 

[29] Tale regolamento pubblicato nella GUUE l. 409 del 30 dicembre 2006  è stato oggetto di rettifica pubblicata nella GUUE l. 36 dell'8 febbraio 2007.

 

[30] Il principio dell’approccio precauzionale rappresenta un tipico caso di passaggio da soft law ad hard law. Invero, tale principio in origine era espressamente contemplato dall’art. 7.5 del Codice di condotta FAO, il quale ha natura volontaria e non obbligatoria per gli Stati. Solo a seguito del recepimento da parte dell’art. 2 del reg. (CE) n. 2371/02, lo stesso ha assunto, almeno per gli Stati membri della Comunità europea, valenza obbligatoria. In base a tale principio, la mancanza di adeguate informazioni scientifiche non dovrebbe servire come giustificazione per rimandare o astenersi dal prendere provvedimenti di conservazione e di gestione.

 

[31] Cfr. art. 6.3  Code of Conduct,  cit.

 

[32] V. G. pace Alghero, 4 dicembre 2003 con nota adesiva di G. Spera, In tema di parametri dei principali attrezzi da pesca e sull’applicabilità del reg. (CE) 27 giugno 1994 n. 1626,  in Dir. trasp  2004, 925.

 

[33] Tale dichiarazione è stata adottata nel corso della riunione tenutasi a Venezia tra dal 25 al 26 novembre 2003 tra i ministri e il rappresentante della Commissione europea responsabili per le questioni attinenti la pesca. In tale dichiarazione è stato dato atto dei progressi compiuti in tema di tutela delle risorse alieutiche ma nello stesso tempo è stata sottolineata l’esigenza e assunto l’impegno ad implementare le misure di tutela di tali risorse nonché, di contrasto alla pesca illegale non regolamentata e non dichiarata.

 

[34] V. Trib. Tempio Pausania, 23 febbraio 2004, con nota di G. Spera, Divieto di detenere novellame e responsabilità penale, in Dir. trasp  2004, 684 e ss.

 

[35] Invero, l’art. 4 del reg. (CE) n. 1967/06 a tale divieto prevede un regime particolare di deroghe. In particolare il divieto previsto dall’art. 4 comma 1 può essere derogato previa autorizzazione della Commissione secondo la procedura prevista dall’art. 30 § 2, del reg. (CE)  n.  2371/02.

 

[36] L’esigenza di preservare le risorse acquatiche vive, i loro ambienti e le aree costiere, a livello internazionale, rientra tra gli obbiettivi del codice di condotta FAO cit. (v.art. 2). Del pari, nel libro verde sul futuro della politica comune della pesca presentato dalla Commissione nel 2001, è stata sottolineata la crescente preoccupazione del degrado degli habitat conseguente all’attività di pesca e pertanto la necessità di individuare misure tecniche adeguate per la loro protezione.

 

[37] Tale libro, presentato dalla Commissione delle Comunità Europee il 7 giugno 2006, al § 2.2 relativo allo sviluppo sostenibile delle risorse dell’ambiente marino, sottolinea: «conservare un ambiente marino sano significa preservare l'abbondanza e la diversità delle forme di vita che esso racchiude, compresi gli stock ittici. Solo mantenendo gli stock a livelli atti a consentire uno sfruttamento sostenibile si disporrà delle risorse necessarie per garantire la vitalità del settore alieutico. Le politiche dell’ambiente e della pesca vanno considerate come strumenti complementari, che perseguono gli stessi obiettivi utilizzando le conoscenze scientifiche più avanzate. In alcune regioni marine tali obiettivi potranno essere raggiunti soltanto se si riuscirà a tenere sotto controllo una serie di minacce che incombono sull'ambiente marino, segnatamente l'inquinamento terrestre e gli scarichi operativi delle navi. Solo da un ambiente marino sano potranno essere ricavati prodotti atti a contribuire in modo ottimale all'alimentazione e alla salute umana. Il valore nutritivo dei prodotti ittici è documentato da un numero crescente di prove scientifiche; tuttavia la presenza nell'ambiente marino di contaminanti quali i metalli pesanti e gli inquinanti organici persistenti rischia di compromettere i benefici che tali alimenti offrono per la salute. È necessario agire rapidamente per preservare tale risorsa. La Commissione ha adottato una strategia tematica per l'ambiente marino che costituirà il pilastro ambientale della futura politica marittima. Nell’ambito di tale strategia si procederà a una valutazione circostanziata dello stato dell'ambiente marino che contribuirà all’elaborazione del quadro normativo applicabile alle attività legate al mare. L’obiettivo principale è conseguire, entro il 2021, uno stato soddisfacente dell’ambiente marino[…]».

 

[38] V. Libro verde sul futuro della pesca, cit. 10.

 

[39] V. Libro verde sulla politica marittima, cit. 11.

 

[40] L’art 2, commi 12 e 13, del reg. (CE)  n. 1976/06 definisce «habitat coralligeno: area in cui il fondale marino è caratterizzato dalla presenza dominante di una specifica comunità biologica chiamata coralligena o in cui tale comunità è esistita e richiede un intervento di ripristino»; «letto di marel: area in cui il fondale marino caratterizzato dalla presenza dominante di una specifica comunità biologica chiamata marel o in cui tale comunità è esistita e richiede un intervento di ripristino».

 

[41] Si tratta di zone previste dalla  dir. 92/42/CEE, del Consiglio, in data 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, cosiddetta direttiva habitat. Tale direttiva mira a preservare e proteggere la biodiversità negli Stati membri. In particolare l’art. 1 lett. b  include  negli habitat naturali anche le zone acquatiche di particolare pregio naturalistico. 

 

[42] V. supra  nt. 6 e 7.

 

[43] Sulla potestà legislativa in materia di tutela dell’ambiente, v. amplius, M. Cecchetti, Ambiente paesaggio e beni culturali, in Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, Parte speciale, Vol. I a cura di G. Corso e V. Lopilato, Milano, 2006, 367 ss, in cui l’autore dopo aver passato in rassegna le pronunce della Corte costituzionale sull’interpretazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s, cost., sottolinea come con le stesse la Corte non abbia effettuato una «dequalificazione» bensì una «delimitazione» della competenza legislativa esclusiva statale. Pertanto, continua l’autore: «il campo della legislazione esclusiva statale sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema è stato di fatto “ritagliato” e “ridotto” solo a quegli aspetti (standard) che rispondano ad esigenze unitarie, in primis alle ragioni di garanzia dell’uniformità dell’azione di tutela su tutto il territorio nazionale. Su tutti i rimanenti profili viene riconosciuta la competenza legislativa regionale, che si atteggia dunque come competenza “sostanzialmente residuale”, destinata ad integrare le disciplina statale per tutti i profili suscettibili di una regolazione diversa in base alle esigenze e alle peculiarità delle singole Regioni». Sul punto v. anche, supra, nt. n. 7, nonché, i diversi interventi della Corte costituzionale, e in particolare: C. cost. 7 ottobre 2003, n. 307, in Giur. It., 2004, 398 con cui la Corte non ha escluso, nella materia della tutela dell’ambiente, la possibilità che leggi regionali, emanate nell'esercizio della potestà «concorrente» di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, o di quella «residuale» di cui all'art. 117, quarto comma, possano assumere fra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale; C. cost. 22 luglio 2004 n. 259, in Giur. It., 2004, 398,  con cui è stato precisato che nel settore della tutela dell'ambiente, la competenza esclusiva dello Stato non è incompatibile con interventi specifici del legislatore regionale che si attengano alle proprie competenze; C. cost. 31 maggio 2005, n. 214, in Foro amm. Cons. St, 2005, 1335, con cui la Corte in tema di piani di emergenza esterni, ha precisato che la tutela dell'ambiente, di cui alla lett. s dell'art. 117 comma 2, cost., non preclude l'adozione, da parte delle Regioni, di una disciplina maggiormente rigorosa rispetto ai limiti fissati dal legislatore statale.

 

[44] C. cost. 17 maggio 2006 n. 213, cit.,  7.2 della motivazione.

 

[45] In tema di potere sostitutivo, v. A Gratani, L'esercizio del potere sostitutivo e il riparto di competenze nel diritto comunitario ambientale: le pronunce della Corte Costituzionale, in Riv. giur. amb. 2004, 3-4, 527.

 

[46] V. Libro verde sul futuro della politica della pesca, cit., 21.

 

[47] Senza enucleare tutte le differenze ci limitiamo ad indicarne alcune. Ad esempio per quanto concerne la larghezza massima consentita per le draghe è stata ridotta a 3 metri in luogo dei 4 previsti dal reg. (CE)  n. 1626/94. In tema di taglie minime l’allegato III del nuovo regolamento ha aumentato il numero degli organismi marini in relazione ai quali è stata individuata la taglia minima.

 

[48] Si veda in tal senso il reg. (CE) 1639/01 del 25 luglio 2001, che istituisce un programma minimo e un programma esteso per la raccolta dei dati nel settore della pesca e stabilisce le modalità di applicazione del reg. (CE) n. 1543/00 del Consiglio. Segnatamente l’art. 2, comma 3, definisce la pesca ricreativa e sportiva: «tutte le attività di pesca esercitata senza scopi commerciali». L’art. 2 del reg. (CE) n. 1967/06, definisce la pesca sportiva: «attività di pesca che sfruttano le risorse acquatiche viventi a fini ricreativi o sportivi».

 

[49] Si riporta di seguito il contenuto del XXI considerando del reg.(CE) 1967/06:« Data l’importanza della pesca sportiva nel Mediterraneo, occorre garantire che essa venga praticata in modo tale da non interferire in misura significativa con la pesca commerciale, che sia compatibile con lo sfruttamento sostenibile delle risorse acquatiche vive e che rispetti gli obblighi comunitari con riguardo alle organizzazioni regionali per la pesca».

 

[50] Il divieto di commercializzazione dei prodotti provenienti dalla pesca sportiva non rappresenta una novità essendo espressamente previsto dall’art. 7 del d.P.R. 1639/1968, come modificato dall'art. 1, d.p.r. 18 marzo 1983, n. 219.

 

[51] Sull’istituto della disapplicazione, v. C. giust. CE  9 marzo 1978, in Giur. cost. 1978, 636, che ha previsto l’obbligo per il giudice interno di disapplicare la normativa interna in contrasto con quella comunitaria; G. Sperduti, In tema di disapplicazione di leggi in conflitto con la normativa comunitaria, in Riv. dir. int. 1978, 776; sulla tematica afferente il rapporto tra la normativa comunitaria e quella interna, v. C. cost. 8 giugno 1984 n. 170, in Giur. it. 1984, I, 1, 1521, con nota di M. Berri; G. Demuro, La giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di applicazione dei regolamenti comunitari, in Giur. cost. 1987, 2366; Sul rapporto tra diritto penale e diritto comunitario, in Giur. merito 1995, 772; M. Orlandi, L’attuazione dei regolamenti comunitari, in Rass. parl. 1997, 85; TAR Veneto, sez. II, 17 settembre 1999, n. 1442, in I Tar 1999, I, 4351; sulla risoluzione dei contrasti tra diritto interno e diritto comunitario, v. G.M. Giulidori, Il meccanismo della non applicazione delle leggi interne contrastanti con norme comunitarie, in Orient. giur .march. 2000, 245; v. altresì, C. Leone, Diritto comunitario e atti amministrativi nazionali, in Riv.  dir. pub. com. 2000, 1174; sulla disapplicazione dei provvedimenti amministrativi in contrasto con la normativa comunitaria, cfr. C. giust. CE, sez. II, 29 aprile 1999, causa C-224/97, in  Riv.  dir. pub. com. 1999, 1347, con note di M. Antonioli e V. Stigliani, ibidem, 2000, 149, con nota di E.M. Barbieri.

 

[52] Si tratta di un sistema di radio localizzazione satellitare della flotta peschereccia denominato Vessel Monitoring System (V.M.S.). In Italia l’autorità responsabile dell’attuazione della normativa comunitaria riguardante il controllo dell’attività di pesca è il Ministero delle politiche agricole e forestali. Tale ministero, al fine di dare attuazione alle disposizioni di cui al reg. (CE) n. 2847/93, afferenti al controllo satellitare della flotta peschereccia nazionale, ha previsto un sistema nazionale di localizzazione e controllo delle posizioni delle unità da pesca basato sull’utilizzazione di tecnologie satellitari (V.M.S.), operativo dal mese di gennaio 2002. Il VMS fa capo ad un F.M.C. (Fishing Monitoring Centre), ubicato presso la centrale operativa della Guardia costiera, il cui Comando Generale è l’autorità competente responsabile del centro nazionale di controllo della pesca, ex art. 2 del d.P.R. 9 novembre 1998, n. 424. La suddetta centrale operativa, collegata in rete con i quattordici centri di controllo di area (CCAP), istituiti presso le Direzioni marittime, nella sua qualità di F.M.C., esercita il monitoraggio (tracking) di tutti i pescherecci sottoposti al controllo V.M.S. e tiene i contatti con gli FMC di altri paesi. Tale sistema, denominato anche LOCSAT (localizzazione satellitare), mira a consentire un controllo costante delle posizioni e delle rotte delle unità da pesca, archiviandone i relativi dati in un apposito database. Segnatamente, l’art 5 del reg. (CE) n. 2244/03, prevede: «gli impianti di localizzazione via satellite installati a bordo dei pescherecci comunitari garantiscono in qualsiasi momento la trasmissione automatica dei seguenti dati al centro di controllo della pesca (CCP) dello Stato membro di bandiera: a) identificazione del peschereccio; b) ultima posizione geografica del peschereccio, con un margine di errore inferiore ai 500 metri ed un margine di affidabilità del 99 %; c) data e ora (espressa in «tempo universale», o «UTC») in cui è stata rilevata detta posizione del peschereccio; d) velocità e rotta del peschereccio».

La localizzazione è resa possibile da un apparato installato a bordo delle unità da pesca denominato Blue Box. Tale apparato tramite un ricevitore GPS e un rice-trasmettitore satellitare INMARSAT – C, invia i dati di posizione ed altri tipi di informazione alla centrale operativa della Guardia costiera al fine di consentirne il costante monitoraggio. In tema di provvedimenti cautlari della Blue Box v. Trib. Sassari, 23 maggio 2005, il quale in sede di riesame del decreto in data 20 aprile 2005 con cui il Giudice per le indgini preliminari del medesimo Tribunale, aveva disposto il sequestro di un’unità da pesca intenta all’esercizio della’attività di pesca all’interno dell’area marina protetta dell’Asinara, ha dissequestro l’unità limitando la misura cautelare  al solo apparato Blue Box. Sul punto v. anche Cass. pen. 29 novembre 2005, con la quale la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dal pubblico ministero presso il Tribunale di Sassari.

 

[53] Tale regolamento stabilisce le disposizioni generali relativi ai permessi di pesca speciali.

 

[54] Sul punto v. art. 7.7.2. del  Code of Conduct cit. a tenore del quale: «Gli Stati dovrebbero garantire che le leggi e le regolamentazioni prevedano sanzioni, di severità tali da renderle efficaci, applicabili per le violazioni, come il rifiuto, il ritiro o la sospensione della licenza di pesca nell’eventualità di violazione delle norme vigenti per la conservazione e gestione». L’esigenza di predisporre un sistema di controllo e sanzionatorio più efficace è stata sottolineata nel libro verde sul futuro della  politica comune della pesca, laddove al paragrafo 3.5 recita: «Le azioni di sorveglianza e di controllo realizzate ai fini della PCP sono considerate da molti insufficienti e discriminatorie […]. Il fatto che le sanzioni non siano armonizzate e che i poteri degli ispettori comunitari siano limitati (in particolare perché non sono autorizzati a svolgere ispezioni indipendenti) riduce considerevolmente le possibilità di intervenire efficacemente a livello comunitario. Non si è riusciti ad attuare un sistema efficace per perseguire le infrazioni. L'eterogeneità dei sistemi giuridici fa sì che vi siano spesso disparità tra uno Stato membro e l'altro nel trattamento riservato alle infrazioni, sia per quanto riguarda la procedura seguita nei singoli casi che per le sanzioni inflitte. Inoltre la Commissione non ha potuto perseguire adeguatamente le infrazioni degli Stati membri, a causa dei limiti giuridici imposti dal sistema attuale […]. La riforma della PCP offre l'occasione di riaprire il dibattito sull'opportunità di migliorare le disposizioni in materia di controllo e di esplorare nuove soluzioni per l'introduzione di sanzioni più efficaci. Se si perde questa occasione la credibilità della PCP subirà un duro colpo».

 

[55] In tema di comportamenti che violano gravemente le norme della politica comune della pesca, v. reg. (CE) n. 1447/99 del 24 giugno 1999. In particolare l’allegato I elenca come tali: A. Inadempimenti relativi alla collaborazione con le autorità di controllo.

- Ostruzione al compito degli ispettori nell'esercizio delle loro funzioni di controllo del rispetto delle norme comunitarie applicabili.- Falsificazione, dissimulazione, distruzione o alterazione di elementi di prova che potrebbero essere utilizzati nell'ambito di un'indagine o di un procedimento giudiziario.

B. Inadempimenti relativi alla collaborazione con gli osservatori

- Ostruzione al compito degli osservatori, nell'esercizio delle loro funzioni previste dalla normativa comunitaria, di osservazione del rispetto delle norme comunitarie applicabili.

C. Inadempimenti relativi alle condizioni necessarie per l'esercizio dell'attività di pesca.

- Esercizio dell'attività di pesca senza licenza, permesso o qualsiasi altra autorizzazione necessaria, rilasciati dallo Stato membro di bandiera o dalla Commissione.

- Esercizio dell'attività di pesca con uno dei summenzionati documenti il cui contenuto sia stato falsificato.

- Falsificazione, soppressione o dissimulazione dei contrassegni di identificazione del peschereccio.

D. Inadempimenti relativi all'esercizio delle operazioni di pesca.

- Utilizzazione o detenzione a bordo di attrezzi da pesca vietati o di dispositivi che alterano la selettività degli attrezzi.

- Utilizzazione di metodi di pesca vietati.

- Mancata rizzatura o stivaggio di attrezzi da pesca la cui utilizzazione è vietata in una determinata zona di pesca.

- Pesca diretta o detenzione a bordo di una specie il cui stock è sottoposto a moratoria o di cui è vietata la pesca.

- Pesca non autorizzata in una zona determinata e/o in un periodo specifico.

- Inosservanza delle norme che disciplinano le dimensioni minime.

- Inosservanza delle norme e delle procedure che disciplinano i trasbordi e le operazioni di pesca che implicano l'azione congiunta di due o più pescherecci.

E. Inadempimenti relativi ai mezzi di controllo

- Falsificazione dei dati, o loro mancata registrazione nel giornale di bordo, nella dichiarazione di sbarco, nella nota di vendita, nella dichiarazione di assunzione in carico e nei documenti di trasporto; mancanza dei documenti suindicati o loro mancata presentazione.

- Interferenza con il sistema di controllo dei pescherecci via satellite.

- Inosservanza deliberata delle norme comunitarie che disciplinano la comunicazione a distanza dei movimenti dei pescherecci e dei dati relativi ai prodotti della pesca detenuti a bordo.

- Inosservanza delle pertinenti norme relative al controllo, da parte del capitano, del peschereccio di un paese terzo che opera nelle acque comunitarie, o del rappresentante del capitano.

F. Inadempimenti relativi allo sbarco e alla commercializzazione dei prodotti della pesca

- Sbarco dei prodotti della pesca che contravvengono alle norme comunitarie concernenti il controllo della pesca e la loro attuazione.

- Magazzinaggio, trasformazione, vendita e trasporto dei prodotti della pesca non conformi alle norme vigenti in materia di commercializzazione, in particolare quelle relative alle dimensioni minime.