I diritti dei
bambini aborigeni nel Commonwealth of Australia. Un caso di federalismo
paternalista
Università di Sassari
Sommario: 1. Premessa.
– 2. La «questione» degli
aborigeni australiani. – 3. Il piano federale
per la tutela dei minori aborigeni. – 4. Il Northern Territory
Emergency Response. – 5. Il modello federale
australiano e il potere di intervento federale. – 6. Poteri di emergenza per la
salvaguardia dei diritti e rischi i di strumentalizzazione.
Nonostante la collocazione
geografica e la evidente, notevole lontananza fisica che separa il Paese dal
blocco delle grandi Nazioni costituzionali europee e americane,
l’Australia viene pacificamente considerata come parte del gruppo degli
ordinamenti maggiormente evoluti e garantisti. La configurazione
costituzionale, l’assetto istituzionale e le vicende storiche che legano
a doppio filo la storia dell’ordinamento australe alla Madre Patria
britannica fanno infatti rientrare a pieno titolo il Commonwealth australiano
nella sfera di ingerenza del costituzionalismo occidentale[1].
Tuttavia, pur rispettando i
parametri fondamentali che l’art. 16 della Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino sancisce come imprescindibili per la
sussistenza di uno Stato costituzionale, nel corso del tempo l’Australia ha dovuto fronteggiare
molte problematiche attinenti alla tutela dei diritti umani.
Più volte, infatti, si
è registrato il ricorso alle esigenze di sicurezza nazionale come
legittimazione per la diminuzione delle garanzie dei diritti individuali con
riguardo, specificamente, alle situazioni dei rifugiati o in occasione
dell’introduzione della normativa straordinaria contro il terrorismo
internazionale[2].
E’ sul versante della
politica estera, caratterizzata da uno spiccato interventismo militare sul
piano internazionale, che emergono significative incongruenze con il regime
costituzionale formalmente garantista ma effettivamente più rivolto alla
tutela dell’ordine che a quella delle libertà individuali. Per
avvalorare questa affermazione non è necessario risalire nel tempo ma
è sufficiente citare il ruolo attivo svolto dall’Australia nell’ultima
campagna militare contro l’Iraq o l’intervento militare in ambito
regionale nelle Isole Salomone[3].
Il Governo nazionale ha inoltre operato ripetuti tentativi di ingerenza,
proponendo interventi in senso restrittivo sull’attività della
Commissione nazionale sui diritti umani e le pari opportunità (HREOC)[4]
che, in via teorica, è dotata di ampi poteri ma in realtà si
scontra con paletti che ne limitano sostanzialmente la capacità di
azione, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei diritti umani sul piano
internazionale.
Il
temuto pericolo per la sicurezza nazionale sta alla base del corposo apparato
normativo, adottato in seguito ai fatti dell’
Nel
quadro delle misure inserite nel pacchetto antiterrorismo, si inserisce
l’irrigidimento delle condizioni di detenzione e la deroga ai
fondamentali diritti processuali, riconosciuti costituzionalmente, ma
sacrificati sull’altare della pubblica sicurezza. Si pensi, per esempio,
al caso di cinque minorenni pakistani richiedenti asilo che dal gennaio 2001
sono stati tenuti in detenzione presso in centro di reclusione di Baxter,
venendo rilasciati solo nell’agosto
Sul fronte puramente interno,
poi, il dibattito sull’effettività del regime di tutela
costituzionale dei diritti è stato tenuto costantemente vivo dalle
numerose vicende relative soprattutto a casi di violenza domestica su donne e
bambini e alla detenzione indefinita di minorenni richiedenti asilo. Una
ricerca condotta nell’arco di venti anni da alcuni tra i principali
istituti universitari australiani segnala che, nel Paese, nella fascia di
età tra i diciotto e i ventitre anni, una donna su quattro ha subito
un’esperienza di violenza domestica. Tali dati, di per sé
estremamente preoccupanti, assumono dimensioni eclatanti quando lo spettro di
indagine si restringe alla realtà delle comunità aborigene
stanziate soprattutto nei Territori del Nord, in cui i casi evidenti di abusi
familiari riguardano percentuali che sfiorano la totalità della
popolazione[10].
Oggetto di ampia e accesa
discussione sono inoltre le questioni relative alla posizione australiana
rispetto ai temi della garanzia dell’eguaglianza processuale e della pena
di morte rispetto ai quali si registra sempre una forte influenza delle istanze
di pubblica sicurezza, che spesso prendono il sopravvento sulla salvaguardia
dei diritti individuali. Fonte di particolari preoccupazioni è
l’elevato numero di decessi di detenuti aborigeni durante il periodo di
reclusione, tra cui rilevano i numerosi suicidi tra gli indigeni in attesa di
processo[11].
Ma gli
aspetti in assoluto più problematici, per quanto riguarda la garanzia
dei diritti umani in Australia, sono quelli relativi alla cosiddetta
«questione aborigena», gestita in maniera talvolta poco ortodossa
dalle istituzioni nazionali, come dimostrano le critiche giunte al governo
australiano da organizzazioni internazionali e Stati esteri[12].
Gli aborigeni rivendicano una situazione di giustizia sociale che il Commonwealth australiano ha dimostrato
di non aver saputo garantire.
Di
fronte alle evidenze contenute in un rapporto del Senato, che denunciava la
crisi del processo di dialogo e riconciliazione con le comunità
aborigene, addebitandola a scelte sbagliate intraprese dal governo federale con
riguardo al riconoscimento dei diritti economici, sociali e culturali, il primo
ministro John Howard ha riconosciuto pubblicamente il fallimento delle
politiche di assistenza sociale destinate agli indigeni. Dal dossier del Senato
rileva che l’aspettativa di vita per le donne aborigene fosse inferiore
mediamente di venti anni rispetto agli altri australiani e che, d’altra
parte, gli aborigeni avessero una probabilità di essere arrestati
quindici volte superiore rispetto agli altri australiani[13].
Questa
panoramica, per quanto breve e frammentaria, delle politiche australiane in
materia di diritti umani[14],
così come la valutazione del grado di effettiva attuazione del principio
di eguaglianza e di giustizia sociale, si rende necessaria al fine di
comprendere a pieno le dinamiche che ispirano la gestione di una situazione di
«emergenza umanitaria» come quella denunciata dal governo con
riferimento agli aborigeni. In particolare, si ritiene importante la
ricostruzione della realtà sociale in cui vivono attualmente gli
aborigeni in Australia e la contestualizzazione del rapporto che lega le
comunità concentrate nei Territori del Nord con le vicende a dir poco
controverse di cui si dirà in seguito.
Nel
giugno 2007, il primo ministro australiano, Howard, ha dichiarato lo stato di
emergenza nazionale e ha disposto la tempestiva attuazione di misure
straordinarie volte a intervenire sulle situazioni di abuso sui minori
riscontrate nelle comunità aborigene del Northern Territori (NT). Tale drastico provvedimento è stato
preso alla luce delle evidenze contenute in un rapporto della Commissione di
inchiesta per il Northern Territory (NT
Board of Inquiry), eloquentemente intitolato «Little Children are
Sacred» nella quale si denuncia, con forza e clamore, la violazione
sistematica dei diritti dei bambini aborigeni da parte dei familiari e dei
membri della comunità. Dal dossier emerge una situazione consolidata di
grave degrado in cui abuso di alcol, droghe e soprusi ai danni di minori
costituiscono parte integrante la vita quotidiana nelle riserve del Territorio
del Nord, dove vive la gran parte
dei 470 mila aborigeni che ancora abitano la grande isola australe.
E’ bene chiarire fin da
subito che la «questione aborigena» rappresenta per definizione il
nodo irrisolto nell’agenda politica dei governi dell’Australia
contemporanea[15].
Oggetto di una durissima persecuzione che ha portato all’uccisione di
migliaia di nativi da parte dei colonizzatori europei e a violente operazioni
di sradicamento culturale, gli aborigeni sopravvissuti non si sono veramente
mai assimilati alle comunità bianche che gradualmente si sono stanziate
sul territorio. Ciò è, almeno in parte, riconducibile a una
precisa scelta effettuata dalle istituzione che adottarono la via assistenzialistica,
costituendo riserve in cui si concentrarono gli alloggi popolari per gli
aborigeni ed erogando sussidi che, per quanto magri, permettevano la
sopravvivenza nei casi (diffusissimi) di disoccupazione.
Nel 1959 nasce il Consiglio
Federale per
Le istanze aborigene crescono
costantemente fino a quando il governo nazionale non è più in grado
di ignorarle dal momento che l’eco delle manifestazioni attuate
quotidianamente nei principali centri urbani del Paese comincia ad attraversare
l’oceano, giungendo preoccupante alle orecchie delle organizzazioni
internazionali particolarmente sensibili alla tutela dei diritti umani.
Nel 1967, viene indetto un
referendum che, con quote di consenso plebiscitarie[18],
conferisce agli aborigeni la cittadinanza australiana; è a dir poco
paradossale che proprio alla popolazione autoctona fosse negato il
riconoscimento della piena titolarità dei diritti nei luoghi che hanno
abitato dalla notte dei tempi.
La svolta nell’approccio
alle vicende aborigene si ha nel 1972, quando il Partito Laburista vince le
elezioni politiche e sale al potere, presentando un programma in cui si
registra una significativa attenzione ai diritti della minoranza indigena. Il
neoeletto Primo Ministro Whitlam dispone l’istituzione del Dipartimento
degli Affari aborigeni e crea contestualmente una commissione legislativa
adibita alla disciplina di materie di interesse per le minoranze indigene. Una
conquista importante è quella segnata nel 1976, quando si registra
l’adozione dell’Atto dei diritti territoriali aborigeni che rappresenta
comunque una vittoria mutilata perché l’atto è vigente solo
nel Northern Territory. Al governo
laburista va comunque riconosciuto lo sforzo di promozione dei diritti civili
degli aborigeni che nel corso degli anni Settanta e Ottanta vedono
senz’altro migliorare la propria posizione sociale e le condizioni di
vita[19].
Nell’agosto del 1985,
l’esecutivo del Commonwealth elaborò alcune proposte di
legge con le quali si intendeva riconoscere agli aborigeni diritti pieni e
inalienabili sui territori di antiche riserve indigene, parchi nazionali e
terre di proprietà della corona britannica. Nell’ottica di questo
piano di pacificazione intentato dal governo di Canberra, nell’ottobre
del 1985 la montagna sacra di Uluru, allora meglio conosciuta con la
denominazione occidentale di Ayers Rock, viene ufficialmente ceduta alla
tribù aborigena Mutijulu, con la sola condizione che si garantisca
costante accesso del pubblico al monolite e alle località di attrazione
turistica circostanti.
Tale gesto si rivela tuttavia una
goccia nell’oceano e non segna l’inizio di un percorso di dialogo
indirizzato al riconoscimento dei diritti indigeni come poteva far supporre:
le proposte governative riguardanti
le terre aborigene rimangono lettera morta. Le ragioni che hanno portato sl
fallimento dei progetti favorevoli alle comunità di nativi sono tutte
riconducibili alle pressioni esercitate soprattutto dai governi statali e dalle
compagnie minerarie, entrambi interessati a mantenere aperti gli spazi di
azione su territori ricchissimi di risorse naturali, ancora tutte da sfruttare.
Nei primi anni Ottanta, nasce il
Servizio legale aborigeno (National
Aboriginal Legal Service) che assicura assistenza legale gratutita e, sotto
la guida di Paul Coe, aderisce al Consiglio mondiale dei popoli indigeni (World
Council of Indigenous People- WCIP), realizzando una importante campagna di
informazione e sensibilizzazione verso i problemi degli aborigeni australiani
sul piano internazionale.
Così, le voci sulle
condizioni di discriminazione ed emarginazione in cui versavano gli aborigeni
in Australia si diffondono nel mondo in ragione anche del forte impatto
mediatico riscosso, alla fine degli anni Ottanta, dalla pubblicazione di dati
relativi all’elevato numero di morti tra i detenuti aborigeni nelle
prigioni del Paese. Alla luce di queste informazioni, nel 1988, le Nazioni
Unite diffondono un rapporto in cui si accusava l’Australia di violare i
principi fondamentali del diritto umanitario internazionale con
l’atteggiamento fortemente lesivo e discriminatorio nei confronti degli
aborigeni.
Il 26 gennaio 1988 ricorre il
bicentenario della scoperta dell’Australia e in questa occasione il
Premier laburista Hawke, nel pronunciare il suo discorso alla Nazione, non
esprime alcun riferimento agli aborigeni che, per tutta risposta, organizzano
nelle principali città del Paese contro-manifestazioni in cui si
richiede la stipula di un accordo che sancisca definitivamente un assetto di
relazioni tra australiani «bianchi» e minoranze indigene basato su
principi di eguaglianza sostanziale.
Nel 1990 i gruppi appartenenti
ai Land Councils costituiti per
discutere le questioni di interesse per le comunità aborigene a livello
territoriale subiscono una sostanziale riorganizzazione conseguente
all’approvazione dell’ Aboriginal and Torres Strait Islander Commission Act 1989 (the ATSIC
Act)[20], con
cui si dispone la creazione di un organo governativo, il Comitato per gli
aborigeni definito, appunto, ATSIC, che mira a conseguire un coinvolgimento
attivo delle popolazioni indigene nei processi decisionali di interesse per le
comunità di appartenenza. Si tratta di un organismo eletto
democraticamente e composto da esponenti delle principali minoranze autoctone
australiane ma è bene sottolineare che l’attività di tale
organo è sottoposta alla costante supervisione del Governo nazionale. Nel
2003 il Comitato viene coinvolto in una spiacevole controversia che riguarda il
Presidente dell’organo, Geoff Clark, accusato di corruzione oltre che di
essersi reso responsabile di gravi reati commessi nel corso degli anni Settanta
e Ottanta[21]. Questi
eventi segnano l’inizio del declino dell’ATSIC, come dimostrano gli
interventi da subito attuati dal Governo che dispone la limitazione dei poteri
fiscali del Comitato, trasferendoli a una nuova organizzazione indipendente:
Il 28 maggio 2004 il governo
presenta in Parlamento il progetto di legge volto ad abolire l’ATSIC e,
seppure dopo lunghe e accese discussioni in aula, il testo viene approvato
determinando la chiusura dell’organo che cessa ufficialmente le sue
funzioni il 24 marzo 2005.
La gestione delle politiche
riguardanti le comunità aborigene e il coordinamento delle
attività svolte dalle organizzazioni delle minoranze indigene costituite
a livello territoriale, è stata quindi affidata al Ministero per
l’Immigrazione e per gli affari multiculturali e aborigeni[22]. A
partire dal 27 gennaio 2006, tali funzioni sono svolte dall’ Office of Indigenous Policy Coordination[23],
istituito in seno al Ministero per
La prima, vera e importante
vittoria nella lotta per la conquista dei diritti aborigeni è segnata
dalla storica sentenza emessa dalla High
Court of Australia nel caso Mabo v. Queensland[25] con la quale si riconoscono
inequivocabilmente i diritti territoriali delle popolazioni indigene.
All’annosa questione dei
diritti territoriali si aggiunge la problematica, se possibile ancora
più delicata e controversa, delle vicende legate alla cosiddetta stolen generation, che riguarda
un’intera generazione di bambini aborigeni sottratti alle famiglie di
origine con l’obiettivo di portare a termine un’operazione di vera
e propria rieducazione sociale e culturale[28].
Ai genitori aborigeni erano negati tutti i diritti sui figli con i quali non
potevano mantenere nessun tipo di rapporto; il distacco avveniva infatti in modo
netto e definitivo e i bambini venivano solitamente portati in orfanotrofi ma
anche in veri e propri campi di internamento dai quali era praticamente
impossibile instaurare un contatto con i familiari. Sulla spinta delle rivendicazioni del
movimento attivista degli anni Ottanta vengono alla luce gli abusi e i danni
subiti da migliaia di aborigeni cui è stata «rubata
l’infanzia» ma la questione diventa di pubblico interesse sulla
scia dell’impatto esercitato dalla sentenza sul caso Mabo[29].
Nel maggio 1995,
Alla
luce di quanto sopra esposto, si deduce chiaramente che i rapporti tra la
comunità australiana «post-coloniale» e i gruppi aborigeni
sono tutt’altro che pacificamente risolti e la tensione, costantemente
riscontrabile nelle relazioni interculturali, sfocia talvolta in crisi
istituzionali che portano alla luce rancori mai sopiti e questioni mai
veramente risolte[32].
Così è stato, da ultimo, per quanto riguarda l’intervento
emergenziale operato dal governo australiano a tutela dei diritti dei minori
aborigeni. Ancora una volta i bambini rappresentano lo strumento per mezzo del
quale si manifesta la politica attiva australiana nei confronti della minoranza
autoctona.
Si è già
evidenziato come le comunità aborigene australiane, nonostante il
riconoscimento dei pieni diritti civili conseguente alle battaglie politiche
combattute nel corso degli anni, versino in condizioni sociali critiche, di
sostanziale emarginazione. Si è detto che l’abuso di alcol e le
difficoltà nell’inserimento del mondo del lavoro costituiscono una
costante e contribuiscono a tenere vivi i sentimenti di razzismo più o
meno latenti nella società australiana. A ciò si aggiungono le
voci persistenti relative ad abusi e violenze subiti dai bambini aborigeni
nell’ambito della vita familiare.
Al fine di riscontrare le reali
condizioni di vita vigenti nelle comunità dei Territori del Nord e
dimostrare l’effettiva fondatezza delle accuse rivolte ai componenti di
tali gruppi, si dispone la costituzione di una commissione di inchiesta
chiamata a fare chiarezza sulla questione.
Così, l’8 agosto
2006, il Governo del Northern Territory istituisce
Compito della Commissione
è dunque accertare, in primo luogo, se, come e perchè i bambini
abbiano subito abusi, concentrandosi sui casi sfuggiti al monitoraggio degli
assistenti sociali e tenuti nascosti. In seconda istanza si presenta la
necessità di identificare le inefficienze degli strumenti che il governo
territoriale e quello nazionale utilizzano per tutelare i minori che vivono in
condizioni di disagio, individuando altresì procedure e meccanismi che
consentano ai dipartimenti e alle agenzie di collaborare per il perseguimento
di un fine commune. Ancora, alla Commissione viene richiesto di definire i modi attraverso i quali il governo può
agire nella formazione educativa delle comunità aborigene per prevenire
gli abusi sui minori.
L’indagine è stata
condotta sul campo, prestando particolare attenzione a non adottare
comportamenti invasivi, ma cercando di inserirsi gradualmente nel ménage
quotidiano delle famiglie aborigine e osservando dall’esterno le
dinamiche relazionali tra adulti e bambini.
La conclusioni
dell’inchiesta, che si è protratta per più di un anno, sono
confluite in un corposo rapporto (il già menzionato «Little children are sacred») che,
suddiviso in 97 raccomandazioni rivolte al primo ministro, è stato
pubblicato il 15 giugno 2007. La considerazione principale, che costituisce la
base di partenza per l’elaborazione del piano di azione proposto alle
istituzioni governative, riguarda la constatazione della effettiva sussistenza
di abusi sessuali seri e diffusi sui minori che, nella maggior parte dei casi,
non viene denunciata. Secondo i componenti della Board of Inquiry,
questa situazione è riconducibile alla crisi che interessa da tempo la
società e la cultura aborigena e, nonostante la maggioranza della
popolazione indigena adulta dimostri una reale determinazione a risolvere i
problemi esistenti e ad aiutare i propri figli, non si registra una corrispondente
disponibilità a migliorare e aiutare sé stessi inserendosi, per
esempio, in un percorso scolastico o di formazione professionale.
L’affermazione secondo cui
«aboriginal people are not the only
victims and not the only perpetrators of sexual abuse» esprime bene
la posizione, più volte ribadita nel dossier, che considera le violenze
che accadono nei Territori come un riflesso dei problemi sociali, passati e
tutt’ora esistenti, che si sono sviluppati e consolidati minando nel
profondo l’identità aborigena[34].
A parere della Commissione, i
programmi di governo attualmente operanti al fine di migliorare le condizioni
di vita ed eliminare i fenomeni violenti non si sono dimostrati efficaci: non
c’è sufficiente coordinamento né comunicazione tra
dipartimenti governativi e agenzie e ciò esercita un effetto negativo
sull’organizzazione delle attività e sull’attuazione degli
interventi necessari. Inoltre, si registra l’esigenza urgentissima di
potenziare i servizi di assistenza sanitaria e sociale che non riescono a
soddisfare nemmeno una minima parte delle istanze presentate.
Quello degli abusi sessuali sui
minori rappresenta un problema delicatissimo che necessita la predisposizione
di un programma a lungo termine che coinvolga soggetti di governo nei diversi
livelli istituzionali e intervenga in modo pregnante per sradicare alla base un
fenomeno che rischia di distruggere,
non solo l’identità culturale, ma anche l’equilibrio
fisico e psichico dell’intera comunità aborigena.
Le misure di intervento devono
tradursi in primo luogo in un sostanziale potenziamento delle strutture
educative, è indispensabile garantire una formazione scolastica completa
e di alto livello, assicurando il pieno rispetto delle regole di frequenza
obbligatoria e promuovendo in questo modo la concezione della scuola come luogo
di formazione ed educazione in senso ampio, che può costituire un punto
di riferimento per bambine e adolescenti che a casa non vengono seguiti come di
dovere. E’ la scuola, dunque,
lo strumento su cui puntare per salvaguardare il futuro degli aborigeni.
Un altro ambito in cui è
richiesto un pronto intervento da parte delle istituzioni è costituito
dalla lotta (impari) contro l’abuso di alcol dal momento che è
riscontrabile un legame strettissimo tra assunzione frequente di alcolici e
abusi sui minori. Secondo il documento, tra l’altro, sarebbe diffusa
anche la prostituzione di minorenni in cambio di alcool e molti bambini
aborigeni verrebbero inoltre esposti a immagini pornografiche fin dai primi
anni di vita. Si raccomanda dunque l’adozione di misure restrittive che
scoraggino o addirittura impediscano di consumare bevande alcoliche e la
diffusione di materiale pornografico. Ancora, si auspica che i servizi sociali
familiari attivi nei territori (Family
and Community Services - FACS) instaurino una collaborazione integrata con
le forze di polizia per garantire la realizzazione del massimo grado di
sicurezza possibile e promuovere, di conseguenza, la creazione di un contesto
di vita in cui i bambini si sentano protetti.
Anche i servizi di supporto alla
famiglia devono essere potenziati e migliorati perché fino a ora si sono
dimostrati gravemente carenti. Allo stesso tempo si giudica opportuno il
conferimento di maggiori poteri in capo alle organizzazioni aborigene operanti
in seno alle comunità, nell’ambito delle quali potrebbero essere
istituite commissioni di giustizia che si occupino di promuovere il dialogo tra
comunità aborigeni e società bianca, informando sui rispettivi
sostrati culturali e diffondendo la cultura del dialogo.
Si propone tra l’altro la
nomina di un Commissioner for Children
and Young People, di espressione governativa, che si occupi esclusivamente
di monitorare le condizioni di vita dei più giovani e agisca operando
interventi specifici nel loro interesse, presentando resoconti sulla propria
attività al Parlamento.
E’ opinione condivisa
della Commissione di inchiesta che le violenze e gli abusi, soprattutto di
natura sessuale, sui minori abbia
raggiunto dimensioni abnormi, tanto che, si afferma in «Little children are sacred» la
questione «should be designated as
an issue of urgent national significance by both the Australian and Northern
Territory governments»[35].
Si raccomanda la tempestiva
instaurazione di un rapporto di cooperazione nell’ambito del quale venga
formulato un Memorandum of Understanding
specificamente indirizzato a definire nuovi ed efficaci mezzi che garantiscano
la tutela dei bambini dagli abusi di tipo sessuale.
E’ determinante, si legge
nel rapporto, che nel porre in essere queste operazioni i governi federale e
territoriale si impegnino ad agire in collaborazione con la popolazione
aborigena al fine di definire un piano condiviso per il superamento della crisi
in cui versa la comunità. Si sottolinea che la responsabilità per
la salvaguardia dei diritti dei bambini ricade collettivamente
sull’intero corpo sociale ma, in particolare, il Governo del Northern Territory (NT) è tenuto
a svolgere un ruolo di leadership forte, dettando le linee di indirizzo che
devono essere seguite per avanzare in un percorso che conduca fuori dal tunnel
della violenza. Nello specifico il Governo territoriale dovrebbe esplicitare
pubblicamente che la tutela dei minori rappresenta l’assoluta
priorità nell’agenda politica e di questo deve tenersi conto nel momento
in cui si avviano i processi di decision-making
interni al territorio. Considerato lo stato di appurato disagio in cui versa la
maggior parte dei bambini aborigeni,
Come si evince chiaramente da
quanto sopra riportato, le raccomandazioni rivolte al governo per rispondere
all’«emergenza» del Northern
Territory si traducono in misure attuabili attraverso interventi di
politica sociale. In sostanza, viene richiesto il potenziamento degli apparati
di welfare sociale già
esistenti e la creazione di soggetti nuovi, dotati di ampie competenze e di
effettivi strumenti di azione, in modo da favorire la creazione di una rete di
controllo e intervento integrato che possa costituire un riferimento sicuro per chiunque si trovi
a essere vittima di abusi ma, soprattutto, per i giovani aborigeni.
Dunque,
non si fa alcun riferimento alla necessità di azioni violente o
particolarmente invasive da parte dell’istanza federale, cui viene invece
chiesto di supportare le strutture territoriali, investendo risorse
finanziarie, tecniche e professionali allo scopo di superare la crisi in atto.
Alla luce di ciò pare opportuno evidenziare come l’accezione di
«emergenza» cui si fa cenno nel rapporto, in relazione agli abusi
sui minori, non ha niente a che
vedere con la nozione di emergenza costituzionale che viene invece evocata dal
Premier australiano nel momento in cui dispone l’invio
dell’esercito nazionale nel Northern
Territory, nell’ambito di un piano straordinario definito in
virtù di una situazione di pericolo per la sicurezza pubblica.
Il piano
emergenziale messo a punto dal Primo Ministro australiano, John Howard, il
insieme con il ministro per la famiglia, i servizi sociali e gli affari
aborigeni (Minister for Families, Community Services and Indigenous Affairs),
prevede una lunga serie di misure eccezionali e viene tradotto in un disegno di
legge che introduce importanti interventi emendativi della normativa
previgente, con riferimento a materie diversificate.
Nel presentare il progetto di
intervento, definito Northern Territory
Emergency Response (NTER), Howard si rifà alle raccomandazioni
contenute nel Little Children are Sacred
report, invocando espressamente il riferimento connotazione di «urgent national significance» con
cui si contrassegna la situazione nelle comunità aborigene del NT. Come
si è già avuto modo di rilevare, tuttavia, l’utilizzo di
questi termini non può essere inteso nell’accezione tecnica di una
situazione di emergenza che metta a repentaglio la vita della Nazione e
l’interpretazione in tal senso operata dal governo australiano non
può che essere giudicata faziosa.
Ad ogni modo, prima di
illustrare nel dettaglio le misure previste dal NTER, il Premier sottolinea che
tutte le azioni previste sono state pensate con il fine unico di assicurare la
piena tutela dei diritti dei bambini aborigeni.
Nello specifico, il piano
prevede l’introduzione di severe restrizioni alla vendita e all’uso
di alcol nelle terre aborigene del Northern
Territory, l’attuazione di riforme che intervengano per bloccare il
flusso di denaro impiegato nell’acquisto di sostanze stupefacenti,
nonché la disposizione di fondi da utilizzare solo ed esclusivamente per
la promozione del welfare minorile. Si prevede di
rafforzare e rendere effettivo l’obbligo di frequenza scolastica
(già esistente ma poco rispettato), collegando l’erogazione dei
sussidi di supporto familiare all’assidua frequentazione delle strutture
educative per tutti gli aborigeni residenti sul territorio. Nello specifico,
viene ordinata l’interruzione dell’erogazione dei sussidi nel caso
in cui i bambini restino assenti da scuola per più di tre giorni per
trimestre. Inoltre, i sussidi non verranno più erogati sotto forma di
assegni ma ai titolari verrà assegnato il valore corrispettivo in forma
di buoni pasto e vestiti, ciò allo scopo di evitare che i fondi sociali
vengano spesi per l’acquisto di beni differenti da quelli necessari per
un’adeguata cura dei bambini (è evidente il riferimento
all’alcol).
Di rilievo è l’imposizione
dell’obbligo di sottoporsi a controlli sanitari regolari per tutti i bambini indigeni,
prevista al fine di individuare per tempo ogni problema di salute o eventuali
abusi. Viene disposto il potenziamento delle forze di polizia stanziate sul
territorio e finanziate con fondi del governo federale, con la facoltà
di pretendere l’assegnazione di agenti provenienti dalle diverse
giurisdizioni australiane, con l’obiettivo di adiuvare le risorse del
Northern Territory in caso di necessità.
Di particolare rilievo pare la
volontà di migliorare le condizioni abitative degli aborigeni e di
revisionare gli accordi relativi agli affitti delle case (fino a ora bloccati a
prezzi ridotti), introducendo
canoni locativi stabiliti in base alle leggi di mercato. Viene vietato il
possesso di pubblicazioni pornografiche e tutti i computer saranno sottoposti a
frequenti controlli allo scopo di verificare la detenzione di materiale
illegale.
Tra le misure più
discusse rientra la sospensione del sistema dei permessi emessi dalle
autorità aborigene cui era subordinato l’accesso dei non indigeni
alle cosiddette Aboriginal Lands, zone riconosciute di titolarità
aborigena in seguito all’ottenimento dei diritti territoriali.
Allo
scopo di supervisionare l’andamento del National emergency response plan
viene costituita una taskforce di esperti in questioni aborigene e operatori
nel settore della tutela dei minori[36].
L’emergency plan predisposto dal governo
australiano viene sottoposto all’esame dell’ Intergovernmental Committee on the Australian Crime Commission
(ACC) cui viene affidato il compito di individuare i responsabili di abusi
sessuali verso i bambini anche in altre aree del Paese.
Per
quanto riguarda l’azione specifica richiesta al Governo del Northern Territory dall’Esecutivo
federale, rileva l’incremento dello sforzo rivolto ad assicurare la
protezione dei cittadini nelle aree maggiormente disagiate (in sostanza nelle Aboriginal lands) e lo sviluppo di una
strategia organica volta a bloccare la circolazione degli alcolici
nell’ambito dei territori. Il governo del NT dovrà sospendere gli
accordi di affitto stipulati in base a condizioni speciali in tutti i casi in
cui le condizioni contrattuali siano state violate. Il piano precisa che
l’autorità federale interverrà direttamente se le
istituzioni territoriali si dimostrano inadempienti.
Nella
documentazione esplicativa allegata al progetto di intervento emergenziale il
Governo ribadisce con forza che le violenze cui sono soggetti i bambini nelle
aree ad alta densità aborigena configurano indiscutibilmente una
situazione di emergenza nazionale e per tale motivo si rende indispensabile
un’azione immediata del governo nazionale che viene rutenuta
l’unica forma di risposta adeguata alla crisi denunciata dal rapporto
«Little Children are Sacred».
La prima
misura attuativa del piano straordinario di intervento è stato
l’invio nel Northern Territory di truppe dell’esercito federale che
hanno di fatto occupato i principali siti di proprietà aborigena.
All’esame
del Parlamento australiano viene sottoposto un sostanzioso pacchetto di leggi
raccolte sotto la denominazione di Northern
Territory Emergency Response legislation[37],
che prevede la revisione della legislazione preesistente in materia di welfare, commercio e uso di alcool,
diffusione di materiale pornografico e disciplina delle locazioni.
Gli
interventi più controversi (e forse preoccupanti) sono quelli operati
sull’Aboriginal (Land Rights)
Northern Territory Act, 1976[38]
che garantiva agli aborigeni la proprietà di ampie zone di particolare
valore culturale e tradizionale. Adducendo le ragioni di emergenza collegate ai
soprusi cui sono soggetti i minori, si è infatti anche disposta la
riassunzione in capo al Governo federale delle le proprietà delle
comunità indigene. Pare quasi ozioso rilevare la evidente difficoltà
nell’individuare un nesso di causalità tra i motivi
(anch’essi discutibili) che hanno portato alla dichiarazione dello stato
di emergenza nazionale e la revoca dei diritti di proprietà, acquisiti
dagli indigeni solo a conclusione di un lungo e travagliato percorso di rivendicazione.
Nell’affrontare
la questione dell’azione attuata dal Governo di Canberra
nell’ambito di un’area territoriale decentrata, non si può
prescindere dall’effettuare alcune considerazioni in ordine ai poteri di
intervento dell’istanza centrale, nell’ambito di un sistema
puramente federale come quello australiano.
E’
opportuno evidenziare fin da subito che il modello federale
dell’Australia si caratterizza per una spiccata impronta asimmetrica: al
livello di governo centrale (Commonwealth of Australia), infatti, si
affiancano sei Stati autonomi, un Territorio e un distretto federale, dotati di
funzioni di self-government. Gli Stati membri (Victoria, Queensland, New
South Wales, Southern Australia, Western Australia e Tazmania) sono titolari di
importanti competenze amministrative e politiche, mentre il Territorio (Northern Territory) e il distretto
federale (Australian Capital Territory) sono caratterizzati da un grado
di autonomia nettamente inferiore[39].
Si ricorda, tra l’altro che la costituzione del Northern
Territory è stata possibile grazie a quanto disposto dall’art. 111
della Costituzione australiana che prevede in capo al Commonwealth of
Australia il potere di imporre a uno Stato di cedere parte del suo
territorio a favore del Commonwealth. Così è stato per il
Territorio del Nord che, prima di acquisire l’attuale forma
istituzionale, costituiva parte integrante lo Stato del South Australia.
La connotazione
disomogenea dell’allocazione delle competenze e la ridotta autonomia
riconosciuta al Territorio rispetto alle altre realtà federate,
costituiscono elementi di fondamentale importanza per la contestualizzazione
dell’approccio operato dal Commonwealth
verso la questione aborigena. La concentrazione delle comunità indigene
nella sfera territoriale favorisce un’ingerenza federale maggiore in
confronto a quanto sarebbe stato possibile se la medesima situazione si fosse
manifestata nell’ambito di uno dei sei Stati federati.
Il modello di riparto delle funzioni australiano ricalca
sostanzialmente quello previsto negli Stati Uniti d’America visto che
Inoltre, non si può trascurare il fatto che nel sistema
australiano la regola della supremacy, rappresenta il criterio
ispiratore dei rapporti tra diversi livelli di governo disponendo che, nell’ipotesi
di contrasto tra una legge di rango statale e una federale è questa
ultima che prevale sempre.
La
questione della collocazione dei due Territori nell’ambito del disegno
costituzionale del federalismo australiano si rivela piuttosto problematica
perché, in virtù di quanto previsto dall’122 della
Costituzione, il Parlamento del Commonwealth assume la funzione di
«make laws for the government of any territory surrendered by any
State to and accepted by the Commonwealth». Tale disposizione si
rivolge chiaramente ai due Territori del Northern Territory e
dell’Australian Capital Territori; si tratta di un’attribuzione
concepita come un «plenary power», al pari dei poteri di
autogoverno relativi al mantenimento di «pace, ordine e buon
governo», che sono attribuiti agli Stati in ragione delle diverse
Costituzioni statali, dunque tale funzione non è soggetta a limiti
formale stabiliti a livello costituzionale. Le discussioni in ordine al reale
grado di autonomia assegnato al Northern
Territory sono sorte principalmente
perchè
Di fatto
il Governo federale si concede maggiore discrezionalità di intervento
nella sfera territoriale e nel fare ciò non è mai incappato in
ostacoli significativi dal momento che il Governo del Northern Territory (che
comunque, fino a ora, si è sempre dimostrato piuttosto accondiscendente
di fronte all’interventismo di Canberra) non è dotato degli
strumenti necessari per opporsi all’ingerenza nazionale.
Dunque,
la grande tempestività di azione che ha caratterizzato
l’intervento straordinario del Governo federale nei territori non
è dovuta solamente alle ragioni di emergenza nazionale invocate dal
Primo Ministro ma è stata certamente favorita dalla configurazione
intermedia dell’ente di governo territoriale nel particolare assetto si
decentramento australiano.
Anche la
scelta di conferire alla zona che comprende la maggior parte delle Aboriginal Lands la connotazione di
territorio, evitando di costituire un settimo Stato ed evitando dunque di
trasferire tutte le funzioni che spetterebbero a un’entità
statuale) non pare casuale, soprattutto se considerata alla luce della storica
tensione che ha sempre caratterizzato i rapporti tra Commonwealth e comunità autoctone.
Che la
garanzia dei diritti fondamentali rappresenti una priorità assoluta per
il governo di uno Stato costituzionale è principio indiscutibile e
consolidato, ribadito sin dai tempi di Montesquieu come cardine del
costituzionalismo moderno. Quando si tratta di salvaguardare i diritti dei
più piccoli, per definizione soggetti deboli e indifesi nelle
società contemporanee, la sensibilità delle istituzioni e
dell’opinione pubblica si acutizza e determina la pretesa di politiche
attente ad assicurare il pieno rispetto dei bambino e la tutela
dell’infanzia.
Alla
luce di queste considerazioni, l’intervento del governo federale
australiano, scandalizzato dalla cruda durezza dei dati contenuti in un
rapporto agghiacciante come il Little
children are sacred, pare non solo un gesto onorevole e sacrosanto ma
finanche un atto dovuto.
Quello che
stupisce e fa pensare, piuttosto, è che invece di rispondere secondo le
linee di indirizzo indicate dalla Commissione di inchiesta, che chiedeva
un’azione nazionale di sostegno politico e finanziario per sopperire alle carenze delle strutture sanitarie e
dei servizi sociali, il Premier Howard abbia disposto con la massima urgenza un
intervento manu militari.
Anche la
variegata natura delle misure di emergenza rese immediatamente applicabili nel
Northern Territory rende difficile l’individuazione di un filo conduttore
che collochi le disposizioni del pacchetto di emergenza su una stessa corsia,
diretta a rispondere all’obbiettivo dichiarato che, ricordiamolo,
è solo e soltanto la tutela dei minori.
Ci si
chiede, per esempio, in che modo la sospensione delle leggi sulla
proprietà terriera, che garantivano la sovranità aborigena su
parte dei territori, possa influire positivamente sulle condizioni di vita dei
bambini maltrattati. Allo stesso modo, si contesta l’acquisizione
coattiva, da parte del governo federale,
dei poteri amministrativi nel Northern Territory, per un periodo di
cinque anni.
Anche se
posti in essere con le migliori intenzioni, interventi tanto invasivi sulla
sfera privata e sulla dimensione culturale di un popolo che per anni ha dovuto
subire la negazione della propria dignità identitaria, non possono che
essere percepiti come un doloroso ritorno al passato, una conferma del fatto
che poco è cambiato nei rapporti tra i gruppi etnici che abitano
l’Australia.
Le
scelte effettuate per proteggere i bambini, pur legittimamente rivolte al bene
degli stessi, ripercorrono fedelmente procedure attuate in altri tempi e con
scopi meno onorevoli, quando i minori venivano sottratti alle famiglie e
portati nei centri di rieducazione. Oggi, nel caso in cui i controlli medici
obbligatori risultino positivi l’avvio delle pratiche per la revoca della
patria potestà è immediato e non richiede ulteriori elementi
probatori in merito, per esempio, all’accertamento che gli abusi siano
stati compiuti da un familiare o meno.
Le
reazioni all’attuazione dei provvedimenti di emergenza sono state
comprensibilmente polemiche soprattutto da parte degli esponenti dei movimenti
per i diritti aborigeni. Timori sulla possibile violazione della normativa
anti-discriminazione sono stati espressi dai principali leader delle
comunità aborigene, dalle organizzazioni umanitarie ma anche da alcuni
illustri esponenti del partito conservatore, attualmente al governo.
Particolarmente significativo pare l’intervento dell’ex Premier
«conservative», Malcolm
Fraser, il quale ha affermato che il piano di Howard costituisce il ritorno a
un passato contrassegnato da «pratiche paternalistiche» come,
appunto, l’allontanamento coattivo dei figli dai genitori. Uno dei leader
del gruppo aborigeno di Mutitjulu, Mario Giuseppe, ha dichiarato che le madri
della sua comunità temono l’arrivo della polizia perché il
ricordo delle pratiche di sottrazione dei minori per scopi di
«assimilazione etnica» sono ancora troppo vivi e
l’atteggiamento delle forze armate governative viene percepito come
analogo a quello portato avanti dai responsabili della piaga della stolen generation.
Un altro
tipo di preoccupazione, forse tendenziosa e si spera infondata, è stata
sollevata da alcuni esponenti dell’opposizione e da operatori della
comunicazione, i quali sospettano che le opzioni operative del governo in
carica siano influenzate dall’avvicinarsi dell’appuntamento
elettorale: le elezioni politiche sono in fatti previste per la fine del 2007.
Ecco
che, allora, una motivazione per l’iniziativa di esproprio dei diritti
territoriali aborigeni, potrebbe essere costituita dall’interesse che da
sempre operatori nel settore minerario e turistico dimostrano nei confronti di
zone di forte attrazione turistica (nei territori indigeni si trovano luoghi
celebri e bellissimi come Uluru e Alice Springs) che, oltretutto, sono
ricchissime di risorse minerarie. Fino a ora, infatti, la sovranità
aborigena ha impedito alle compagnie di estrazione australiane e straniere di
sfruttare i giacimenti di minerali e di uranio, anche se le vastissime distese
desertiche del Northern Territory sono ambite anche come deposito di scorie
nucleari.
L’appoggio
politico delle potenti lobbies dell’industria mineraria e turistica
potrebbe rivelarsi determinante per l’esito delle elezioni e il Premier
uscente è palesemente alla ricerca di consensi, dal momento che gli
ultimi sondaggi effettuati lo danno in netto svantaggio nei confronti
dell’avversario laburista Kevin Rudd che, secondo le stime, godrebbe dell’appoggio
del 58% degli elettori australiani.
C’è
da dire che sia il Consiglio nazionale indigeno che il partito laburista,
almeno in un primo momento, hanno accettato di buon grado i provvedimenti senza
sollevare critiche significative sul merito dell’azione del Governo.
Tuttavia, il presidente del Tasmanian
Aboriginal Centre, Michael Mansell, ha parlato senza mezzi termini di
«attacco razzista contro i deboli, un immorale abuso di potere, una
speculazione per la prossima campagna elettorale». Addirittura Rex Wild,
uno degli autori del rapporto che ha costituito l’elemento scatenante
l’emanazione dell’emergency
plan, ha definito l’ingerenza dei funzionari governativi che si sono
sostituiti agli amministratori locali una «invasione di locuste»[42].
In generale,
i leader nativi non hanno negato la grave entità dei problemi emersi dal
dossier della Commissione di inchiesta, ma hanno contestato invece il tipo di
approccio del governo che ha imposto il proprio intervento dall’alto,
senza concedere il tempo né la disponibilità di instaurare un
dialogo con gli aborigeni per giungere a soluzioni concertate che potessero
rivelarsi più utili per la lotta alla povertà e al degrado
sociale rispetto a misure punitive e unilateralmente definite dal livello
federale. In una lettera aperta rivolta al premier e sottoscritta da componenti
delle comunità autoctone e da sostenitori della causa indigena, si
chiede di supportare lo sforzo delle comunità di migliorare le proprie
condizioni, potenziando i servizi pubblici, il sistema di istruzione e creando
percorsi che facilitino l’accesso al lavoro e l’integrazione
sociale.
Questo è niente di più di quanto
chiesto, d’altra parte, proprio dalla Commissione di inchiesta per il
Northern Territory nel dossier Little
children are sacred: non un intervento armato; non
“l’invasione” dei territori aborigeni né la revoca
dell’obbligo di chiedere il permesso per entrare nelle comunità
aborigene.
«Dialogo»,
«concertazione», «welfare», «sostegno» sono
le parole più ricorrenti nelle raccomandazioni formulate dalla Board of Inquiry e sono anche i termini
invocati dai leader aborigeni nelle campagne di rivendicazione condotte negli
anni. Certamente non sono questi i presupposti sui quali è stato pensato
e predisposto il piano di emergenza per il Northern Territory .
La
constatazione di una situazione di profonda emarginazione, degrado e violenza
serpeggiante nelle comunità degli aborigeni australiani spinge
senz’altro a collocare un piano di azioni mirate al vertice della
gerarchia delle priorità governative. Nella determinazione delle misure
da intraprendere non si possono però non tenere in considerazione le
ferite aperte del passato, né tanto meno è lecito soprassedere
sul doveroso rispetto di diritti pieni e assoluti, che esigono l’astensione
da ingerenze esterne. Questo vale anche se tali ingerenze sono attuate per
«il bene» di soggetti deboli che meritano particolare tutela.
In
questa vicenda specifica, che coinvolge aspetti centrali della vita
costituzionale di uno Stato, quali la tutela dei diritti, la gestione dei
poteri di emergenza e i poteri sostitutivi dell’istanza federale,
ciò che sembra venire inopinatamente trascurato è il principio di
proporzionalità. Probabilmente, una riflessione ponderata in merito alle
misure più adeguate per la soluzione di problemi delicati e peculiari e
l’individuazione di interventi propriamente funzionali al raggiungimento
di un obiettivo specifico avrebbe risparmiato molte polemiche, oltre alle spese
militari che sarebbero potute essere investite in un modo più
direttamente utile alla causa della tutela dei bambini aborigeni.
[1] Sul sistema costituzionale australiano si
v. T. Blackshields, G. Williams, Australian Constitutional Law and Theory:
commentary and materials, Federation Press, Annandale 2000; G. Winterton et. al., Australian Federal Constitutional Law:
commentary and materials, Thomson Legal & Regulatory, Rozella 2006; B. Harris, Essential constitutional law, Cavendish, London 2004; P. Karsten, Between law and custom: “high” and “low” legal cultures
in the lands of the British diaspora, the United States, Canada, Australia and
New Zealand 1600-1900, Cambridge University Press, Cambridge 2002; L. Scaffardi, L’ordinamento federale australiano: aspetti problematici,
Università di Parma Pubblicazioni della Facoltà di
Giurisprudenza, Parma 2000; D. Baker,
Essential Australian Law, Cavendish,
Sydney 2000.
[3] Nel
giugno
[4] Australian Human Rights and Equal Opportunitys Commission, le informazioni sulla
struttura, l’organizzazione e le funzioni di questa commissione sono
reperibili al sito http://www.hreoc.gov.au/
[5] Sulla
strategia antiterrorismo attuata dall’Australia in seguito all’11
settembre si v. J. Beckman, Comparative Legal Approaches to Homeland
Secutiry and Anti-terrorism, Ashgate Publishing, London 2007; si v. anche V. Ramraj, M. Hor, K. Roach, Global Anti-Terrorism Lawand Policy,
Cambridge University Press, Cambridge 2005.
[6] Al pari
di quanto previsto dalle leggi antiterrorismo di Stati Uniti e Regno Unito,
l’antiterrorism act australiano introduce una significativa estensione
dei potere dell’esecutivo soprattutto per quanto riguarda la disposizione
di arresti e regimi di detenzione preventiva senza l’intervento
autorizzatorio dell’autorità giudiziaria. Tra l’altro la
legge antiterrorismo australiana consente di trattenere in detenzione persone
sospettate di essere in possesso di informazioni utili su «atti
terroristici» (senza specificare in alcun modo quali comportamenti possano
essere considerati tali) per sette giorni, prima che si renda necessaria la
pronuncia del tribunale per confermare l’arresto. Durante questa fase di
reclusione preventiva ai detenuti è impedita qualunque forma di
comunicazione con il mondo esterno, non è consentito usufruire
dell’assistenza legale ed è finanche informare i propri cari della
situazione in cui si versa. Si veda l’Anti-Terrorism
Act, 2005 (Act - C2005A00127- n. 127, 2005), reperibile al sito http://www.comlaw.gov.au/ComLaw/Legislation/Act1.nsf/0/53D2DEBD3AFB7825CA2570B2000B29D5?OpenDocument
[7] La
decisione non ha avuto effetti su altri 108 minori, anch’essi richiedenti
asilo, trattenuti in detenzione sull’isola di Nauru sulla base di accordi
stipulati con le autorità australiane:
l’extraterritorialità del luogo di reclusione impedirebbe
l’estensione degli effetti della sentenza. I detenuti di Nauru sono
più che altro bambini, figli di rifugiati (soprattutto asiatici) che
giungono in Australia in cerca di protezione umanitaria, e che sono soggetti a
detenzione a tempo indeterminato, nell’attesa che vengano eventualmente
accolte le richieste di asilo presentate dai genitori. Il regime di detenzione
è regolato dalla legislazione sull’immigrazione australiana, da
sempre rinomata per la particolare severità, che ha subito un ulteriore
irrigidimento in seguito all’emergenza post-11 settembre. Si veda il Migration Act, 1958 (Act. No. 62 of
1958) emendato, da ultimo nel 2007 (Act No. 100 of 2007), reperibile al sito http://www.comlaw.gov.au/comlaw/Legislation/ActCompilation1.nsf/0/99103EF290F14573CA2573680023C369?OpenDocument.
Per un inquadramento sulla politica in materia di immigrazione in Australia si
v. M. E. Crock, Immigration and Refugee Law in Australia,
Leichardt, N.S.W. : Federation Press, 1998 La concentrazione di detenuti,
immigrati clandestini e richiedenti asilo a Nauru ha fatto parlare
dell’isola come della «Guantanamo australiana», v. D. Spruce, Una Guantanamo per gli immigrati, in Il Manifesto, 2 settembre 2007.
[8]
V. Convention on the rights of the Child,
reperibile al sito http://www.unhchr.ch/html/menu3/b/k2crc.htm , l’art. 37 della Convenzione
dispone che «a) No child shall be subjected to torture or other cruel,
inhuman or degrading treatment or punishment. Neither capital punishment nor
life imprisonment without possibility of release shall be imposed for offences
committed by persons below eighteen years of age; (b) No child shall be
deprived of his or her liberty unlawfully or arbitrarily. The arrest, detention
or imprisonment of a child shall be in conformity with the law and shall be
used only as a measure of last resort and for the shortest appropriate period
of time; (c) Every child deprived of liberty shall be treated with humanity and
respect for the inherent dignity of the human person, and in a manner which
takes into account the needs of persons of his or her age. In particular, every
child deprived of liberty shall be separated from adults unless it is
considered in the child's best interest not to do so and shall have the right
to maintain contact with his or her family through correspondence and visits,
save in exceptional circumstances; (d) Every child deprived of his or her
liberty shall have the right to prompt access to legal and other appropriate
assistance, as well as the right to challenge the legality of the deprivation
of his or her liberty before a court or other competent, independent and
impartial authority, and to a prompt decision on any such action».
[10] Tra i
molti casi che hanno trovato spazio nelle cronache nazionali si registra
l’episodio di una donna aborigena, vittima di violenze domestiche, che
dopo essere stata soccorsa dalla polizia è stata riaffidata dagli stessi
agenti al convivente che ha ripreso immediatamente a picchiarla fino a
ucciderla, solo poche ore dopo che i poliziotti l’avevano riaccompagnata
a casa.
[11] Tra i
tanti si cita il caso di Stephen Wardle, deceduto nel 1988,
all’età di 18 anni, in circostanze mai del tutto chiarite in una
cella in una stazione di polizia nello Stato del Western Australia. Fu aperta
un’indagine sul caso, condotta da una commissione di inchiesta interna al
corpo di polizia, di fronte alla quale un agente di polizia rivolse le proprie
scuse alla famiglia del ragazzo, v. Royal
Commission Inquiry into weather there has been any corrupt or criminal conduct
by Western Australian police officers, il rapporto finale della Commissione
di inchiesta è reperibile al sito: http://www.ccc.wa.gov.au/pdfs/lewandowski_hearings.pdf.
Nel 1988 un rapporto delle Nazioni Unite accusò l'Australia di violare i
diritti umani internazionali nei confronti degli aborigeni. Nel maggio 1991 il
rapporto della commissione reale istituita per investigare sulle morti dei detenuti
provava il comportamento delle forze di polizia e stilava oltre 300
raccomandazioni per relazioni interetniche migliori.
[12] Sulla
complessa questione dei diritti delle popolazioni indigene si v. M. Mazza, La protezione dei popoli indigeni nei paesi di common law, CEDAM,
Padova 2004; A. Fodella, La tutela dei diritti collettivi: popoli,
minoranze, popoli indigeni, in L.
Podeschi (a cura di) La tutela
internazionale dei diritti umani: norme, garanzie, prassi, Giuffrè,
Milano 2004; F. Mariño
Menéndez, J. Daniel Oliva Martínez (a cura di), Avances en la protección de los
derechos de los pueblos indígenas, Dykinson, Madrid 2004; P. Haveman (a cura di), Indigenous people’s rights in
Australia, Canada and New Zealand, Oxford University Press, Oxford, 1999; D. Ivison, P. Patton, W. Sanders (a cura di), Political theory and the rights of
indigenous peoples, Cambridge University Press, Cambridge 2000.
[13] I
rapporti, pubblicati dall’istituto australiano di criminologia e dalla
HREOC evidenziano che l’aspettativa di vita delle donne è
diminuita mentre il dato relativo agli arresti degli aborigeni è
aumentato del 262% nel corso degli anni Novanta. Il Commissario per la
giustizia sociale della HREOC ha dichiarato che era percepibile «un
crescente sentimento di disperazione e urgenza tra le popolazioni e le
comunità indigene, in relazione a […] violenza, abusi,
disoccupazione, problemi sanitari, rapporti con la giustizia, allontanamento
dei figli e così via».
[14] Per
un’analisi della disciplina dei diritti umani alla luce della cornice
costituzionale australiana si v. G.
Williams, Human rights under
Australian Constitution, Oxford University Press, Melbourne 1999.
[15] V. E. Ceccherini, Un antico dilemma: integrazione o riconoscimento della
differenza? La costituzionalizzazione dei diritti delle popolazioni aborigene,
G. Rolla (a cura di) Eguali ma
diversi, , Milano, 2006, 58-113. Sulla cosiddetta «questione aborigena» si
v. anche J. Robert, From
Massacres to Mining: The Colonisation of Aboriginal Australia, CIMRA-War on
want,
[16] Sulla
rivendicazione dei diritti territoriali degli aborigeni australiani si v. AA.
VV., Land Rights Now. The
Aboriginal Fight for Land in Australia, IWGIA,
[18] Il 90%
dei votanti al referendum dichiarano il proprio favore al riconoscimento dei
diritti di cittadinanza per gli aborigeni
[19] G. Nettheim (a cura
di), Human Rights for Aboriginal Peoples
in the 1980's, Legal Books Pty.,
[20] V. Aboriginal and
Torres Strait Islander Commission Act 1989, (Act No. 150 of 1989) reperibile al sito http://scaleplus.law.gov.au/html/histact/14/7216/pdf/ATSIC1989.pdf
. La legge entrata in vigore il 5 marzo 1990.
[21] Clark
è accusato, in particolare, di aver fatto parte di gruppi criminali e di
aver partecipato, tra l’altro, a stupri di gruppo.
[22] La
struttura organizzativa e la distribuzione delle competenze tra i ministeri
è stata Riformata. Oggi il Department of Immigration and Multicultural
and Indigenous Affairs è diventato il Department of Immigrazion and Citizenship, v. http://www.immi.gov.au/
[23]
V. Office of Indigenous Policy
Coordination (OPIC), http://www.oipc.gov.au/
[26] Sulla
giurisprudenza della High Court australiana in merito ai diritti degli
aborigeni si v. G. Winterton, Australia federalconstitutional Law, cases
and materials, cit.
[27] V. S.
Ratnapale, G. A. Moens (a cura di), Jurisprudence
of Liberty, Butterworths, Sydney, 1996.
[28] La
pratica di sottrarre i bambini d’origine alle famiglie con lo scopo
dichiarato di agire nell’esclusivo interesse dei minori è stato
portato avanti dalle autorità di governo australiane con il
significativo appoggio delle organizzazioni ecclesiastiche stanziate sul
territorio nel corso di almeno un secolo. Tale procedura ufficialmente si
è interrotta nel 1969, ma in realtà ci sono testimonianze di
episodi avvenuti ben oltre tale data. Sul caso della stolen generation si v. Di
Cesare, Gli aborigeni australiani, Xenia, Milano 1996; Bosi, Aborigeni australiani,
Nardini, Firenze 1994.
[29] Si v. Barbara
Ann Hocking, Unfinished
constitutional businesses, Tethinking aboriginal self-determination,
[30] Il
rapporto, di 700 pagine, è pubblicato nella sezione Indigenous Law Resources, Reconciliation and Social Justice Libraries,
nel portale AustLII, il testo del dossier è reperibile al sito http://www.austlii.edu.au/au/other/IndigLRes/stolen/index.html
[34] V. Northern
Territory Government, Board of
Inquiry into the Protection of Aboriginal Children from Sexual Abuse, reperibile
al sito, http://www.nt.gov.au/dcm/inquirysaac/, «The Inquiry has always accepted the assertion
that sexual assault of children is not acceptable in Aboriginal
culture, any more than it is in European or mainstream society. But there is a
major difference between the two branches of society. A breakdown of Aboriginal
culture has been noted by many commentators. A number of underlying causes are
said to explain the present state of both town and remote communities.
Excessive consumption of alcohol is variously described as the ause or result
of poverty, unemployment, lack of education, boredom and overcrowded and
inadequate housing. The use of other drugs and petrol sniffing can be added to
these. Together, they lead to xcessive violence. In the worst case scenarioit
leads to sexual abuse of children»; «The combined effects of poor
health, alcohol and drug abuse, unemployment, gambling, pornography, poor
education and housing, and a general loss of identity and control have
contributed to violence and to sexual abuse in many forms».
[35] V.
[36] La
taskforce è capeggiata dal giudice Sue Gordon, presidente del National
Indigenous Council e autore del rapportp del 2002 sugli abusi ai danni di minori nel
Western Australia (Gordon Report into Aboriginal child abuse in Western
Australia).
[37] V.
[38] V. Appropriation
(
[39] V. M. Burgess, Comparative Federalism Theory and
Practice, Routledge, London, 2006; v. R.
D. Lumb, Constitutions of the
Australian States, 5ed, University of
Queensland Press, St. Lucia, 1991; G.
Carney, Constitutional Law of
Australian States and Territories, Cambridge University Press, Cambridge
2006; G. Winterton et. al., Australian Federal Constitutional Law:
commentary and materials, cit.
[40] Agli
Stati e ai Territori è lasciato il potere di istituire gli organi di
governo locali, che tuttavia non possono essere titolari di funzioni di polizia
né possono esercitare funzioni su materie legate alla pubblica
istruzione come invece avviene in altri Stati facenti capo al Commowealth of
Nations, come il Canada.
[41]
Ciò ha fatto sorgere alcune questioni con riguardo, per esempio, alla conformazione
del Senato che, in virtù del principio di rappresentatività
paritaria, deve essere composto da un eguale numero di membri per ogni Stato.
Non è chiaro se tale disposizione includa rappresentanti di Northern
Territory e dell’Australian Capital Territory o meno. Si è
comunque raggiunta una soluzione di compromesso prevedendo la partecipazione
alla Camera alta di due senatori per ciascun Territorio eletti per tre anni,
mentre il mandato dei rappresentanti statali al Senato dura sei anni (fino al 1975 l’Australian Capital
Territory e il Northern Territori non erano rappresentati nella Camera
alta). V. I. Cook, Government and Democracy in Australia,
Oxford University Press, New York, 2004, si v. anche G. Carney, The
Constitutional Systems of Australian States and Territories, Cambridge
University Press, Cambridge, 2006.
[42] Alessandro Ursic, La nuova guerra di Howard, in
Peace Reporter, luglio 2007, reperibile al sito www.peacereporter.it;
Raimondo Bultrini, L’Australia dichiara guerra agli
aborigeni, in Il Venerdì di
Repubblica, settembre 2007.