Rassegna di alcune opere
recenti sulla religione romana
Prato
Sommario: 1. Prodigiorum libri di
Giulio Ossequente. – 2. Alle radici del sacro. – 3.
Indigitamenta.
– 4. Geopolitica ed etnografia
dell’Italia.
Opera probabilmente nata all’interno del clan familiare dei
Simmachi, il Prodigiorum liber di Giulio
Ossequente non è solamente una delle opere più curiose giunteci
dalla tarda latinità. Con essa l’autore intendeva rappresentare
una Roma all’altezza del suo glorioso passato, favorendo atteggiamenti di
rispetto verso i culti tradizionali che avevano tutelato l’Urbe durante
le fasi della sua ascesa. Il libro – finalmente disponibile in edizione
critica, ma al contempo economica[1]
– raccoglie una serie di fatti prodigiosi o in ogni modo inspiegabili
accaduti tra gli anni 249 (ma a noi sono giunte solo quelle dal 190) e
Il vocabolario della lingua arcaica, come ricorda Mastandrea
nell’introduzione, ha una precisa scelta semantica nella classificazione
ed interpretazione dei fenomeni ritenuti sovrannaturali e misteriosi. «Prodigium riguarderebbe l’evento
che tocca gli esseri umani, laddove ostentum
e portentum coinvolgono solamente
oggetti inanimati; inoltre, monstrum
è quanto ‘serve di monito’ (da monere) e miraculum
è in generale ciò che stupisce e ‘meraviglia’ (da mirari)»[2].
In Iulius Obsequens si
è voluto riconoscere il «nome parlante» di «un adepto
alla religione antica in tempi cristiani. In effetti, il cognomen da solo è identico all’epiteto di
divinità quali Venus e Fortuna; ma più in generale la
coppia con il gentilizio si omologa ai sei pseudonimi dei biografi imperiali Aelius Lampridius, Aelius Spartianus, Flavius Vopiscus, Iulius Capitolinus, Trebellius Pollio, Vulcacius Gallicanus»[3].
Nel libro Alle radici del sacro.
Lessico e formule di Roma antica[4],
Claudia Santi tenta – come ha evidenziato anche Enrico Montanari nella
prefazione – «una riconduzione al contesto romano del concetto di sacer non circoscritta ad un numero assai
limitato di fonti (quelle ‘giuste’ per dedurre trionfalmente una
ipotesi precostituita)»[5].
L’uso, in connessione con la sfera divina, di sacrum risale alla preistoria della lingua latina. Non a caso la
più antica attestazione della lingua latina, l’iscrizione del lapis niger, testimonia nella forma
arcaica sakros esed, la sanzione sacer esto.
Estrapoliamo dal libro della Santi alcune citazioni-definizioni:
«Si ritiene sacrum solo ciò che è stato consacrato
dall’autorità del popolo Romano, sia che sia stata approvata una
legge a riguardo o che sia stata emessa una delibera del Senato»[6].
«E’ religiosum ciò che, a causa di una certa santità,
è lontano e separato da noi; la parola è formata a relinquendo (=lasciare)»[7].
«Il sanctum
talvolta coincide con il sacrum e con
il religiosum, talvolta se ne
distingue»[8].
Per l’autrice, può emergere, in tutta la sua
complessità, il contenuto di sacrum
a Roma solo rilevandone rapporti e differenze con religiosum, sanctum, profanum, nec sacrum-nec religiosum.
Anche nei suoi aspetti “politici”, ricordiamo per esempio la
secessione sul Mons Sacer ma
soprattutto il collegamento a livello verticale del populus con gli Dei, «e in particolare con il dio che in Roma
rappresenta l’idea della sovranità, Iuppiter»[9].
Facendo ritenere che «anche prima della res publica esistesse un populus
con altri contenuti politici, ma con una certa capacità di intervento, a
livello sia religioso che giuridico»[10].
Un libro che consigliamo sia a chi ha una buona conoscenza della
religione romana e della sua terminologia, sia a chi è digiuno del suo
lessico, per imparare a disquisire della nostra antica religio usandone i giusti termini.
Un’altra segnalazione riguarda il libro di Micol Perfigli, Indigitamenta. Divinità funzionali e
funzionalità divina nella Religione Romana[11],
con una prefazione di John Scheid che rileva l’importanza del tema e la
proficuità dell’indagine condotta.
Il primo capitolo, dal titolo «Un dio per ogni cosa»,
è dedicato a quelle divinità correntemente note come Dei degli indigitamenta che, come ricorda
l’autrice, «non è definizione degli antichi, ma definizione
di noi moderni»[12];
testimoniatici dagli elenchi pubblicati nei libelli della feroce campagna
antipagana dei padri della Chiesa, ma ricavati dalle varroniane Antiquitates rerum divinarum, nota, ma
purtroppo perduta, enciclopedia della religione romana. Ogni singolo dio ed
ogni singola dea, come ci documenta anche
«Quella romana non è una religiosità povera, scabra,
tutt’altro, è però una religiosità con un codice
interno specifico, rappresentativo di una particolare identità
culturale»[13].
Dobbiamo riconoscere alla Perfigli di averne con pazienza commentato e
illuminato i differenti aspetti.
Ho scelto alcune righe: «Torniamo al lungo passo di Servio. Dopo Sterculinius, il commentatore ricordava
il dio Sator, colui che proteggeva la
semina. Il nome deriva da sero, verbo
agricolo antico, ed indica sia l’uomo che si applica
all’attività del seminare, sia al dio che protegge questo
particolare compito. Va ricordato che sero
ed i suoi composti servono a creare altri teonimi: da consero, infatti, deriva Consivius/Consevius,
e da insero, Insitor. La prima divinità la abbiamo già incontrata,
dio preposto all’inseminazione umana, conosciuto anche come epiteto di Ianus; la seconda divinità
è invece specificatamente agricola poiché è dio
dell’innesto»[14].
A questo punto mi si permetta di esulare dal libro in questione per
ricordare il famoso “quadrato magico”:
SATOR
AREPO
TENET
OPERA
ROTAS.
Possibile che possa avere un’origine cristiana (o in ogni caso non
pagana)? Secondo me è una questione da non porsi.
Nel capitolo «Per una storia degli indigitamenta» si critica, giustamente, il «tipo di
interpretazione, che attribuisce ai Romani, come ai popoli primitivi, uno
spirito religioso di tipo animista,
ovvero l’adorazione della forza o volontà immateriale che muove
l’oggetto, mostra, applicata agli dei funzionali, immediatamente la sua
debolezza. Innanzi tutto essa parte dal presupposto che tutte le
divinità minori romane sono prodotto di una religiosità arcaica,
fatto che sappiamo essere indimostrabile e molto spesso non vero; inoltre gli
dei funzionali tendono più a rappresentare il momento nel quale si
sentiva bisogno della presenza del dio, invocato perché l’azione
fosse compiuta e andasse a buon fine, più che un oggetto dotato di forza
sovrannaturale»[15].
Un ottimo libro, molto documentato, questo della Perfigli, che
consigliamo vivamente. Pertanto ci permettiamo di segnalare
un’inesattezza che abbiamo riscontrato e che non inficia tutto il lavoro
svolto. Il libro di Granio Flacco Sugli
indigitamenta non fu dedicato a Cesare, il pontefice massimo e dittatore
perpetuo, ma «a quel Lucio Giulio Cesare che fu console nel
Concludiamo la nostra selezione d’opere riguardanti la tradizione
romana, segnalando Hinc Italae gentes.
Geopolitica ed etnografia dell’Italia nel Commento di Servio
all’Eneide, a cura di Carlo Santini e Fabio Stok[17].
Il volume raccoglie tutti i contributi presentati e discussi nel corso
del convegno di studi svoltosi all’Università di Perugia il 6-7
giugno
[1] Giulio Ossequente, Prodigi, introduzione e testo di Paolo Mastandrea, traduzione e
note di Massimo Gusso (Oscar Mondadori, Classici
Greci e Latini, testo a fronte, Milano 2005, pp. LVIII-294, € 8,40).
[4] C. Santi, Alle
radici del sacro. Lessico e formule di Roma antica (Bulzoni Editore, Roma
2004, pp. 240, € 16,00).
[11] M. Perfigli, Indigitamenta.
Divinità funzionali e funzionalità divina nella religione romana,
Edizioni Ets, Pisa 2004, pp. 312 (€ 19,00).
[16] R. del Ponte, Documenti sacerdotali in Veranio e Granio Flacco: problemi
lessicografici, relazione presentata al XXV Seminario internazionale di
studi storici “Da Roma alla terza Roma”: Diritto e Religione (Campidoglio, 21-23 aprile 2005) p. 7
[pubblicata on line in Diritto @ Storia.
Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione romana 4
(novembre 2005) = http://www.dirittoestoria.it/4/Tradizione-Romana/Del-Ponte-Documenti-sacerdotali-Veranio-Granio-Flacco.htm
].