Convegno di
Studi
Lo Stato in
Europa negli anni Trenta.
Democrazie e
totalitarismi.
Roma, Biblioteca del Senato,
26 e 27 ottobre 2006
Si è tenuto a Roma, il 26-27
ottobre 2006 presso la
Biblioteca del Senato della Repubblica, il convegno su "Lo Stato in Europa negli anni
Trenta. Democrazie e totalitarismi". Organizzato dalla cattedra di
Storia dell'amministrazione pubblica della Scuola speciale per archivisti e
bibliotecari dell'Università di Roma "La Sapienza" e dalla
Società per gli studi di storia delle istituzioni (un sodalizio che
ormai da quasi un quindicennio raduna storici delle istituzioni e del diritto,
specialisti delle fonti archivistiche e documentarie, esperti e funzionari
delle amministrazioni pubbliche), il convegno ha consentito un'utile messa a
punto dello stato degli studi sul tema, sia su scala internazionale che nella
dimensione italiana.
Come è stato chiarito dalla
breve introduzione di Guido Melis,
ideatore e principale promotore dell'incontro, l'ipotesi di partenza era che di
fronte alla crisi seguita anche in Europa al crollo di Wall Street i paesi del
vecchio continente, sia quelli fedeli alla tradizione democratico-parlamentare
(come il particolare la Francia del Front populaire), sia quelli dominati dalle
dittature fasciste (come, in varia misura, Italia, Germania nazista, Portogallo
salazarista e Spagna franchista), avessero orientato le rispettive politiche
pubbliche secondo modelli relativamente simili: rafforzamento degli esecutivi,
maggiore influenza degli apparati burocratici sulle economie, intensificazione
della regolazione pubblica, politiche di piano, mobilitazione delle masse ecc.
Per il caso italiano (al quale è stata interamente dedicata la seconda
parte dei lavori) Melis ha evidenziato come scopo del convegno fosse un primo
bilancio sulla ricerca in corso nel campo della storia istituzionale,
naturalmente alla luce degli interrogativi attuali della storiografia sul
fascismo italiano: continuità o rottura rispetto allo Stato liberale (e
specificamente alla sua tradizione autoritaria), novità della politica
di "conquista delle masse" da parte del regime, dialettica tra
istituzioni dello Stato e istituzioni propriamente di partito ecc.
E' stato Michael Stolleis, in una vasta relazione d'apertura sul sistema
delle corti nella Germania prima e durante il nazismo a porre per primo alcune
rilevanti questioni storiografiche. "Judicial review" (richterliches
Prüfungsrecht), "administrative review"
(Verwaltungsgerichtsbarkeit), e "constitutional review"
(Verfassungsgerichtsbarkeit) sono stati - ha detto l'illustre esponente del
Max-Planck di Francoforte - tre diverse strade attaverso le quali il potere
giudiziario ha tentato di controllare (specie durante la Repubblica di Weimar)
il potere esecutivo ed anche quello legislativo. Stolleis ha quindi illustrato
(con ricchezza di riferimenti) l'irresistibile ascesa del nazismo nel mondo
della cultura giuridica tedesca, soffermandosi sul pesante intervento del
regime sull'associazionismo dei giuristi. L'emarginazione di alcune eminenti
personalità dell'epoca weimariana (favorita spesso da ragioni
anagrafiche) coincise con la centralità del ruolo di alcuni accademici
di grande levatura scientifica come Carl Schmitt.
Assente Vida Azimi per ragioni di
salute (la sua relazione sul Front Populaire in Francia sarà però
pubblicata negli atti), la relazione di Antonio
Manuel Botelho Hespanha (tenuta anche a nome del collega André Ventura, entrambi dell’Università nova
de Lisboa) si è incentrata sul caso del Portogallo, visto
nell'arco temporale "lungo" degli anni 1930-1975. La teoria
dell'"Estado novo" - ha chiarito la relazione - fu elaborata da un
giurista, Oliveira Salazar, in un ambito che i due relatori hanno individuato
specificamente nella cultura giuridica accademica portoghese degli ultimi anni
Venti: alla sua base c'era la critica del mito dell'individuo, l'idea-forte del
carattere naturalmente solidale delle relazioni sociali, cui si collegava come
conseguenza la limitazione drastica dei diritti politici e civili, il ruolo
dirigista dello Stato, la critica al parlamentarismo e alla rappresentanza
elettorale e il riconoscimento delle strutture "corporative" (a cominciare
da istituzioni quali la famiglia, la proprietà o l'impresa). La
diffusione e l'influenza internazionale della dottrina dell'Estado novo
è rimasta però limitata al Portogallo (molto interessanti,
tuttavia, i passaggi della relazione dedicati agli echi in Francia, in Brasile,
in Grecia ecc.). Le facoltà di diritto portoghesi (quella di Coimbra e
poi quella di Lisbona dal 1911) furono il principale ambiente istituzionale nel
quale la teoria si formò e si rafforzò. La relazione ha dedicato
dunque alla ricostruzione di questo specifico habitat culturale alcune pagine molto interessanti, documentando
gli "antecedenti" (a partire dagli inizi del Novecento) e
soffermandosi sui momenti salienti dell'elaborazione della nuova dottrina. Ne
è venuta una affascinante ricostruzione dell'evoluzione del pensiero
giuridico portoghese nell'arco di quasi un secolo intero, con ricchezza di
riferimenti alle influenze straniere, alla specifica recezione del metodo
giuridico in Portogallo, all'impatto tra scienza del diritto e politica
salazarista.
Sebastian
Martin, dell'Università di
Huelva, ha svolto poi la sua relazione sulla Spagna degli anni Trenta tra
Repubblica e franchismo. Indagare la morfologia dello Stato nella Spagna degli anni Trenta – ha sostenuto
il relatore – vuol dire
osservare una società senza Stato, o, in termini più precisi,
significa contemplare opposti modelli statali che tentano, in forme assai
diverse, di articolare una società caratterizzata
dall’antagonismo. Il primo modello politico si trova registrato nella
Costituzione spagnola del 9 dicembre 1931, e si può interpretare
attraverso quattro chiavi di lettura: rottura con il passato,
democratizzazione, socializzazione giuridica e carattere programmatico.
Storicamente, il nuovo regime democratico nasce in opposizione alla monarchia
dittatoriale precedente e si collega alla tradizione costituzionale liberale
spagnola. Il principio della sovranità popolare è il fondamento
politico della repubblica, il cui orientamento ideologico social-liberale spiega
la consacrazione costituzionale dei cosiddetti diritti sociali. Infine, la Carta del 1931, seguendo la
tradizione costituzionale rivoluzionaria, non tenta di riflettere la struttura
politica del paese ma di trasformare le sue basi economiche e culturali. Tra i
lineamenti fondamentali di questo regime politico, Martin ha citato lo Stato
democratico e sociale; il sistema parlamentare proporzionale; l'autonomia
politica; la separazione netta tra lo Stato e la Chiesa cattolica; il
primato delle regole universali del diritto internazionale; l'uguaglianza
davanti alla legge, anche tra i membri della famiglia; l'intervento statale
nella produzione economica, soprattutto nella distribuzione della
proprietà agraria; e, infine, la garanzia giurisdizionale della Costituzione.
Ma questo ambizioso programma politico viene aggredito dall’esercito nel
1932, con un primo golpe militare, sebbene temporaneamente fallito. Viene anche
rifiutato dalla nuova maggioranza conservatrice che vince le elezioni del
novembre 1933. Da questa data, inizia un periodo di due anni in cui si abroga
parte fondamentale della legislazione progressista e ha inizio un procedimento
di riforma costituzionale, attraverso il quale si tenta, in pratica, di
annullare la
Costituzione. I conflitti sociali e le croniche crisi parlamentari
conducono alle elezioni del febbraio del 1936 vinte dal Fronte Popolare.
Soltanto cinque mesi dopo, però, ha luogo il golpe militare che sfocia
nella guerra civile, durante la quale il territorio spagnolo conoscerà
due giurisdizioni statali: quella del generale Franco e quella repubblicana.
Alla sconfitta dell’esercito repubblicano nel 1939 segue l’istituzionalizzazione di un
altro modello statale, diametralmente opposto a quello del 1931: in luogo di un
regime democratico, una dittatura militare e plebiscitaria; invece di uno Stato
laico, la confessionalità cattolica; non più sistema parlamentare
e libertà sindacale, ma sistema a partito unico e sindacato verticale e
obbligatorio; invece dell’autonomia delle regioni, uno Stato
centralizzato e nazionalistico; in luogo dell’uguaglianza tra i membri
della famiglia, ritorno alla società patriarcale. In sintesi, una
regressione della vita politica spagnola alla monarchia cattolica, centralista
e militare, del secolo XIX. Dopo avere illustrato l'evoluzione
storico-istituzionale, Martin si è interrogato, come esponente della
giovane generazione degli storici del diritto, su quali siano oggi le questioni
aperte per la storiografia ("i doveri dello storico"). Esse –
ha detto – possono riassumersi in due punti salienti: chiarire quali
fossero le deviazioni dal programma repubblicano che provocarono la guerra
civile; oppure chiedersi quale precedente abbia oggi più
attualità – se quello della normatività giuridica
repubblicana oppure quello della conformazione autoritaria della società
realizzatasi durante il franchismo. Nell'intento – ha aggiunto Martin
– di esorcizzare definitivamente qualunque residuo ideologico o nostalgia
per la dittatura.
E' quindi toccato a Guido Melis (Università di Roma
“La Sapienza”)
affrontare il nodo del fascismo italiano, Aperta da una stimolante domanda
("quanto sono state fasciste le istituzioni fasciste?") la relazione
di Melis ha contemplato tre terreni
di verifica: la legislazione del ventennio fascista; l’assetto e il
funzionamento del sistema istituzionale; la composizione e la cultura del
personale delle istituzioni. Quanto al primo punto, Melis ha sostenuto che del
grande corpus normativo in vigore
lungo il ventennio (secondo Dino Grandi, guardasigilli negli anni Quaranta,
circa 10.000 tra leggi e decreti) una quota rilevante, certamente superiore al
50%, risaliva, ancora alla fine del regime, ai primi due decenni del Novecento,
se non anche al secolo precedente. Naturalmente l’iniziativa legislativa
del fascismo – ha spiegato Melis – fu ugualmente molto cospicua,
ambiziosa e anche incisiva. In particolare con i codici e con i grandi testi
unici il regime mise mano ad una sistemazione di vasti settori di materie, che
si sarebbe voluta organica e che in parte lo fu, dando loro spesso nuovi,
originali assetti. In quella legislazione "nuova", due elementi
appaiono soprattutto dominanti: le pianificazioni di settore degli anni Trenta
(il credito, la bonifica, la previdenza, i beni artistici e panoramici, la
legge bancaria) e la funzione creatrice di diritto che, nell’elaborare
questa nuova legislazione, svolsero non più il Parlamento, né gli
organi corporativi (attivi d’altra parte solo dopo il 1934) e neppure il
Governo in quanto tale, sebbene fosse stato dotato nel 1926 di uno specifico
potere di emanare leggi, ma piuttosto le élites tecnocratiche di
settore. Per altro – ha aggiunto Melis – ampie zone
dell'ordinamento rimasero impermeabili all'iniziativa legislatrice propriamente
"fascista": nel campo del diritto privato, ad esempio, la svolta
– se possiamo definirla tale – avvenne, sì, ma troppo tardi,
alla fine degli anni Trenta, quando il progetto di riforma del Codice civile,
avviato faticosamente sin dall’inizio dell’esperienza fascista,
conobbe una spinta rilevante grazie specialmente all’iniziativa di Dino
Grandi, e una concreta attuazione per merito specialmente di Filippo Vassalli.
Sulla cui figura e sul cui operato, tuttavia, s’appunta
l’interrogativo che grava su gran parte delle riforme legislative del
fascismo, specie su quelle che esularono dal campo del diritto penale e della
repressione dei reati politici: in quale misura l’opera di giuristi come
Vassalli (o come Piero Calamandrei, che collaborò in prima persona alla
elaborazione del nuovo Codice di procedura civile), certamente innovativa,
può essere ascritta al disegno di politica del diritto del fascismo?
Il secondo punto toccato dalla
relazione è stato l’assetto ed il funzionamento del sistema
istituzionale. "C’è una frase di Mussolini, sia pure
contenuta in un breve intervento occasionale, che aiuta a comprendere il
problema", ha detto Melis. Inaugurando l’Assemblea generale del
Consiglio nazionale delle Corporazioni, il 19 ottobre 1932 il duce disse:
“Questo Consiglio Nazionale delle Corporazioni è importante
perché è una creazione tipicamente rivoluzionaria”. E
aggiunse subito: “Questo è nostro. Il Senato c’era e
c’era anche la Camera,
e resteranno perché del resto assolvono al loro compito. Tutti quelli
che temevano che il Consiglio Nazionale delle Corporazioni dovesse, come si
dice con una frase che non è veramente molto felice,
‘svuotare’ gli altri organismi costituzionali dello Stato, si sono
oggi convinti che, se non c’è ancora la gloria per tutti,
c’è almeno il lavoro per tutti”. Esistevano dunque, ancora
nell’anno del decennale e dopo, due categorie di istituzioni: le
“nostre” e quelle che “già c’erano”. Si
configurò così un sistema “binario”.
Sulla composizione e
la cultura del personale Melis ha sottolineato l’intreccio tra élites
amministrative tradizionali e nuove élites del regime. Le istituzioni
del fascismo si avvalsero di una élite strutturalmente diversa dalle
precedenti, connotata soprattutto dalla versatilità dei suoi membri e
dal rapporto assiduo con la politica. In questo quadro però le
élites tradizionali non solo sopravvissero ma si rafforzarono,
confortate e protette dallo stesso progetto autoritario del fascismo
Nico Randeraad (Università di Maastricht) ha
sottolineato, innanzitutto, come ben poche ricerche in chiave comparativa siano
state realizzate nel campo specifico delle pubbliche amministrazioni negli anni
Trenta del XX secolo. Nonostante si sia proceduto a studi comparativi su temi
come la democrazia, o come il fascismo e la grande crisi, di solito l’amministrazione
pubblica è rimasta sullo sfondo, come un semplice strumento della
politica, una mera continuazione dell’azione politica del governo.
Randeraad si è chiesto come
sia possibile procedere a una comparazione in questo campo specifico, e ha
tentato di rispondere alla domanda ripercorrendo la storia degli studi
comparativi a partire proprio da quelli condotti negli anni Trenta. Egli ha
sottolineato come la storia amministrativa comparata sia anche una storia di
prestiti e trasferimenti: le amministrazioni pubbliche degli anni Trenta non si
svilupparono indipendentemente l’una dall’altra, ma esisteva una
specifica sfera transnazionale di circolazione delle conoscenze. Si è
poi rivolto alla ricerca sviluppata da studiosi delle scienze amministrative e
politiche del periodo postbellico, per concludere riflettendo sulle
opportunità che si aprono oggi per la ricerca storica
La seconda parte del convegno
è stata dedicata al caso italiano, in particolare al rapporto tra il
fascismo e lo Stato e alle istituzioni culturali negli anni Trenta. Nel suo
intervento sul Parlamento Francesco
Soddu (Università di
Sassari) ha tracciato un quadro del funzionamento concreto delle Camere
tra il 1929 e il 1939, nel decennio cioè in cui si realizzò la completa
sottomissione del potere legislativo all’esecutivo, soffermandosi sul
funzionamento della “macchina parlamentare” nel quotidiano
assolvimento dei compiti legislativi e di controllo, in aula come nei diversi
organismi interni. Giovanna Tosatti (Università della Tuscia) ha
invece spostato l’obiettivo sul Ministero dell’interno e sulle
politiche repressive, descrivendo accuratamente gli strumenti di cui si
dotò il fascismo (attraverso il capo della polizia Arturo Bocchini, in
primo luogo), dall’estremo potenziamento del Casellario politico centrale
all’efficiente rete informativa costruita sia all’interno che
all’estero. Alessio Gagliardi
(Università di Roma “La Sapienza”) si è concentrato sui ministeri economici italiani negli anni
Trenta, che furono quattro: il Ministero delle corporazioni; quello
dell’agricoltura e foreste: quello per gli scambi e valute e quello delle
finanze. La relazione ha posto al centro le strutture organizzative, le
dirigenze politiche e amministrative e il ruolo da esse svolto nella politica
economica, con un’attenzione particolare al disegno organizzativo, a
tratti irregolare ma spesso con tratti di originale sperimentazione che
contrassegnò alcuni dicasteri (gli Scambi e valute e le Corporazioni, ad
esempio). Chiara Giorgi (Università
di Bologna) ha focalizzato la
propria indagine sugli enti pubblici cosiddetti “di Alberto
Beneduce”, a partire dall’istituzione dell’INA nel 1912 fino
agli enti dell’immediato dopoguerra e poi agli istituti creati durante il
fascismo (specialmente IMI e IRI), quando però, accanto agli “enti
impresa” dovuti all’iniziativa di Beneduce emerge la complessa
realtà dell’entificazione in generale, e molti dei nuovi enti si connotano sempre più quali
organi ausiliari o sostitutivi dello Stato in attività tradizionalmente
riservate alla pubblica amministrazione (per cui si riduce la distanza tra il
pubblico e il privato e si consolida il processo di penetrazione dello Stato in
aree prima inibite alla sua regolazione). Subito dopo Antonella Meniconi
(Università di Roma “La Sapienza”) ha affrontato il tema della
giustizia durante gli anni del regime, soffermandosi sui due ordinamenti
giudiziari del 1923 e del 1941 e sulla classe degli alti magistrati dinanzi
alla politica autoritaria. È toccata poi a Federico Lucarini
(Università del Molise) l’analisi sul sistema degli enti locali,
evidenziando da un lato la dialettica dei diversi poteri presenti a a livello
locale (podestà, segretario del Pnf, prefetto), dall’altro gli
orientamenti della dottrina presto disattesi dalla prassi del fascismo. Ma il
convegno si è occupato in maniera specifica anche del tema delle
istituzioni culturali. La relazione di Francesco Verrastro (Università
di Roma “La Sapienza”),
prendendo le mosse dagli sviluppi dell’età liberale, ha soprattutto
messo in rilievo l’iniziativa legislativa del ministro Bottai, culminata
nelle leggi del 1939 sulle cose d’arte e sul paesaggio, e in concomitanza
le politiche di riassetto amministrativo (specialmente quelle culminanti nella
piena valorizzazione dei sovrintendenti, un corpo tecnico che fu fondamentale
per la applicazione della legislazione bottaiana). Patrizia Ferrara (Ministero per i beni e le attività
culturali) da parte sua si è invece concentrata sull’apparato della propaganda e sul
suo enorme potenziamento da parte del regime fino alla creazione negli anni
’30 di un ministero ad hoc. Giuseppina Fois (Università di
Sassari) ha sottolineato, nella sua relazione dedicata
all’università, i quattro momenti cruciali che si succedettero
nella legislazione: la riforma Gentile del 1923, il testo unico del 1933, la
“controriforma” De Vecchi del 1935; il decreto del 4 giugno 1938 e la Carta della Scuola del 1939
di Giuseppe Bottai; in questa chiave ha descritto il recepimento di queste
innovazioni da parte delle università e, soprattutto, il disegno
organizzativo, ma soprattutto ideologico sotteso ai diversi progetti. Albertina Vittoria (Università
di Sassari) ha affrontato il tema delle istituzioni culturali e dell'industria
dell'editoria, ponendo l’enfasi sull’impegno del regime fascista
nel settore degli istituti culturali, che fu ad amplissimo raggio fin dai primi
anni Venti, sia con la creazione di nuovi organismi (Istituto nazionale
fascista di cultura, Accademia d’Italia, Istituto di studi romani, tra
gli altri), sia attraverso una vera e propria opera di controllo e di
fascistizzazione di quelli esistenti, nonchè sulla censura che
colpì in modo organizzato l’impresa editoriale. Il potere dei
numeri, la statistica durante il regime è stato l’oggetto
dell’intervento di Dora Marucco (Università di Torino), che
ha analizzato il contributo offerto durante il ventennio dagli statistici
italiani, sia dei funzionari che degli accademici, nell’ambito
dell’Institut International de Statistique, dando conto della loro
partecipazione alle Sessioni periodiche e alle Commissioni di lavoro di questo
importante organismo internazionale.
Le conclusioni del convegno sono state
tratte da Aldo Mazzacane (Università di Napoli Federico II e
presidente della Società per gli studi di storia delle istituzioni).
Compiacendosi dell’alto livello delle relazioni, Mazzacane ha indicato
alcuni punti fermi raggiunti dalla discussione e individuato diversi
interessanti temi di approfondimento.
Antonella Meniconi
Università di Roma “La Sapienza”