N. 4 – 2005 –
In Memoriam – Franciosi
Una finestra sulla storia della famiglia.
A proposito della lectio magistralis di Gennaro Franciosi
«L’origine dei
gruppi familiari nell’Antica Roma»*
Seconda
Università di Napoli
Viene qui presentata l’ultima lezione di Gennaro Franciosi.
In realtà non so quanto egli stesso fosse consapevole che questa sarebbe
stata effettivamente la sua ‘ultima lezione’. Quella stessa mattina
di febbraio, quando come al solito a fine giornata di lavoro tornammo a casa
insieme in automobile (amava guidare sempre lui) non ne parlammo, e non ci fu
nulla che potesse farmi pensare che sarebbe stata effettivamente la sua
‘ultima lezione’. Eppure la malattia era già in una fase
molto avanzata e lui, come tutti noi intorno, lo sapeva bene.
Vorrei
iniziare con le parole che Gennaro Franciosi stesso ha pronunciato in chiusura
ad un’altra lezione adesso pubblicata negli Annali del Suor Orsola
Benincasa[1].
Mi sembrava il modo migliore per introdurre questa breve presentazione che
dedico alla sua memoria con tutto il cuore.
Comincio
pertanto dalla fine: «E’ indubbia l’importanza del Vico per
un inizio storicizzante della famiglia romana. Ad esso più o meno si
rifanno gli studiosi delle età successive (compreso il Bonfante e molti
pensatori moderni). Con esso si intreccia l’altro filone, che parte in
sostanza dal Bachofen, e attraverso Mc Lennan, Lubbock, Morgan giunge ad
Engels. Ma lo studio delle istituzioni familiari non termina qui. Basti pensare
alle opere di Levi-Strauss e a tutto il filone antropologico-strutturale. Il
discorso va aggiornato di continuo. Anche per la storia della famiglia (come
per la storia delle istituzioni e la stessa storia del pensiero) non si
può dire: questo è l’ultimo dei sistemi, l’ultima
delle filosofie. Osò dirlo Hegel (che era Hegel). Ma subito dopo di lui
venne Feuerbach, e poi qualche altro ancora. Il pensiero, la riflessione,
come la vita, nonostante tutto, vanno avanti»[2].
Gennaro
Franciosi si pone senza dubbio in un rapporto di continuità con la
stagione memorabile di studi sulla famiglia e sui gruppi familiari iniziata con
L.H. Morgan (il fondatore della antropologia sociale come lo definì lo
stesso Levy-Strauss) e J.J. Bachofen (il propugnatore del famoso metodo
mistico-filosofico)[3]. E, come abbiamo visto,
egli stesso ne era pienamente consapevole. Così come per il Bachofen,
che Momigliano[4] vede nella maturità
più vicino a Morgan di quanto non lo fosse con i suoi maestri di Berlino
(mi riferisco a Franz Dorotheus Gerlach con cui lo stesso Bachofen scrisse il
primo volume in due tomi di una Geschichte
der Römer uscita a Basilea nel 1851)[5] o con K.O. Müller
conosciuto a Gottinga durante un semestre di studi giuridici compiuto proprio
presso questa Università[6], anche il Franciosi,
parlando della storia della famiglia, tenta di riallacciare questo filo ideale
con i padri della antropologia sociale. In modo emblematico, il primo capitolo
di Clan gentilizio e strutture
monogamiche appunto titola: La
storiografia sulla famiglia da Vico a Morgan[7]; titolo che poi sarà trasformato in uno dei suoi ultimi
saggi in La storiografia della famiglia
da Vico a Engels[8].
Nella
sua ultima monografia dedicata sempre alla famiglia romana uscita nel 2003, e
dichiaratamente qualificata come risultato di ricerche in materia di sociologia
della famiglia antica[9], il Franciosi esordisce
con un capitolo intitolato Brevi cenni di
storiografia sulla famiglia romana[10]. Così, come, nella
Premessa alla III edizione di Famiglia e persone in Roma antica.
Dall’età arcaica al principato del 1995 è lui stesso
che rivela di aver dedicato lunghi anni della sua attività di studioso
all’approfondimento dell’indagine sui gruppi familiari in Roma
antica ed inoltre di aver ‘completamente rimaneggiato’ proprio (e
soltanto) il primo capitolo di questo libro che è appunto dedicato a I gruppi
familiari in Roma antica[11].
L’argomento
che dunque costituisce l’oggetto della lezione che viene qui presentata
è un tema che qualifica in pieno la caratura di studioso di Gennaro
Franciosi.
Negli ultimi
anni della sua vita questi si è molto interessato ad una rilettura della
Scienza Nuova di Giambattista Vico.
Lo attestano i saggi specifici su Cittadinanza
e formazioni minori in G.B. Vico
del 1999 e I rapporti internazionali nel
pensiero politico di G.B. Vico del
L’amore
del Franciosi studioso per l’opera di Vico è tuttavia un amore
antico[12]. Io stesso ricordo
l’interesse con cui, quando era titolare della cattedra di diritto romano
della Facoltà di Giurisprudenza di Napoli “Federico II”,
‘prese atto’ della presenza nella mia tesi di laurea
(l’argomento era: Influssi greci
nella legislazione delle dodici tavole) di non poche pagine (io temevo che
fossero eccessive, ma restarono tutte) dedicate (con la complicità di
Antonio Ruggiero che mi faceva da tutor, anche se tale termine non si
usava ancora) proprio al pensiero del filosofo napoletano che come molti sanno
dedicò una parte specifica della sua opera più importante proprio
al tema che costituiva l’oggetto della mia ricerca. Si può poi
segnalare l’ottimo saggio di Giuseppe Limone su La cittadinanza e le formazioni minori di Giambattista Vico dove il
filosofo del diritto dà una chiave di lettura molto colta e particolare
proprio del rapporto tra Vico e Franciosi[13].
Senza
dubbio, dobbiamo a questo antico amore per Vico la possibilità di
leggere nell’ultimo libro del Franciosi la definizione che il filosofo
napoletano dà del matrimonio come di ‘carnale congiungimento
pudico’; ovvero della patria potestà come di ‘monarchico
imperio privato’[14].
Anzi, contro la teoria dominante che fa del Vico ‘la bandiera della
teoria patriarcale’, spetta proprio al Franciosi il merito di una
riabilitazione (mi riferisco soltanto a questo profilo, è chiaro) sia
pure parziale, dello studioso settecentesco[15].
Intendiamoci,
non è che qui si voglia negare ogni rapporto tra il Vico e la teoria
patriarcale della famiglia, è solo che, come giustamente pone in
evidenza lo stesso Franciosi, già Vico aveva ipotizzato l’esistenza
di un periodo più antico della famiglia patriarcale romana, una fase
dell’evoluzione culturale dell’uomo dove viene ipotizzato
«uno stadio di accoppiamento più antico di carattere
collettivo»[16].
Con la
signorilità che gli era propria il Franciosi restituisce inoltre al Vico
anche la paternità dell’intuizione del matrimonio come res facti, un’immagine a cui era solito ricorrere spesso nelle sue
lezioni e che già troviamo presente nella prima edizione di Famiglia e persone del 1989[17]. Nonostante lo stesso
Vico non fosse esente dall’equivoco, per altro ampiamente rinvenibile
anche oggi in qualche studioso della romanistica contemporanea, di confondere
l’istituto della manus con
quello del matrimonio[18], non per questo
l’immagine che il Vico dà del matrimonio come di una
‘situazione di fatto’ è andata perduta. Questo argomento,
come vedrà bene chi avrà voglia di leggere la splendida lezione
che qui presentiamo, apre la discussione ad un parallelismo con il possesso
romano e con la disciplina del postliminium.
Istituto descritto, come è noto, in Gai. 1.129, che consente al
prigioniero ritornato a Roma di riacquistare tutte le situazioni giuridiche
attive e passive di cui era titolare prima della prigionia, tranne che,
appunto, il possesso e il matrimonio[19].
Troviamo
in Vico anche la spiegazione etimologica di familia
dall’osco famel, ad indicare lo
schiavo. Tale circostanza per il Franciosi ha significato molto, perché
proprio partendo da questo dato riuscirà a leggere in chiave
assolutamente innovativa un momento molto importante della storia delle
istituzioni giuridiche romane[20]. Mi riferisco
all’idea di negare l’esistenza della proprietà immobiliare a
Roma (a parte il discorso sull’heredium)
prima di una certa epoca superando, così, l’argine costituito
dalle dodici tavole come limite cronologico per riconoscere tale presenza
nell’ordinamento giuridico romano.
Questo
limite ora è ampiamente superato in un articolo pubblicato in Studia et Documenta Historiae et Iuris
nel 2003 che segnalo vivamente a chi fosse veramente interessato alla
produzione scientifica di questo Maestro, dove, fra l’altro, la nascita
della disposizione decemvirale sull’usus
biennale per i fundi viene collocata
in età post-decemvirale perché ritenuta, in base ad argomenti per
vero molto significativi, «del tutto anacronistica per il quinto
secolo» a.C.[21] Ebbene, il germe di tale
evoluzione di pensiero si coglie chiaramente già nel saggio sulla
famiglia del 1997 e proprio in un passaggio dedicato a Vico[22].
Ma il
Franciosi riesce ad andare anche oltre.
Con la
consueta icasticità (densa però di suggestione) che gli era
caratteristica, nel corso della sua lezione, alla fine della parte del discorso
dedicata all’etimologia di familia,
in base al fatto che nella lingua osca il termine famel significava schiavo e la parola fameria indicava la famiglia, egli dirà: «La famiglia
ha preso il nome dal gruppo su cui il pater
esercitava la potestà, la potestà più pregnante»[23]. Dando così prova
evidente della sua capacità di applicare il materialismo storico anche
in chiave di ricostruzione degli istituti giuridici.
Il
Franciosi era solito però riconoscere al Vico anche un’altra
primogenitura. Essa riguarda il legame che può essere riscontrato tra il
pensiero del Vico e quello di Pietro Bonfante. Per il Franciosi, il Bonfante
avrebbe portato avanti l’intuizione aristotelico-vichiana dei gruppi
familiari come gruppi politici, cioè come piccoli Stati che hanno
preceduto la formazione della città-Stato romana[24].
In questa prospettiva quindi l’intuizione vichiana viene interpretata
come antesignana della ‘teoria politica’ del Bonfante[25],
che il Franciosi, peraltro, non esita a definire come un ‘filosofo della
storia’[26].
Proprio
per superare la teoria patriarcale e la teoria politica del Bonfante, il
Franciosi procede allora nella sua lezione all’enunciazione del suo
sistema di pensiero sulle origini dei gruppi familiari in Roma antica prendendo
le mosse da una descrizione dettagliata di questi gruppi ponendo la gens da un lato e gli altri tre restanti
dall’altro (gens, consortium ercto non cito, familia communi iure e familia proprio iure)[27]. Di qui, come si
potrà agevolmente constatare, prenderà le mosse il discorso sulle
differenze strutturali tra gens e familia, al di là dei significati
di carattere economico e politico-sociale connessi alla figura del consortium (a sua volta visto come
gruppo con capostipite reale anche se defunto)[28]. Tutti questi sono veri e
propri topoi del pensiero scientifico del Franciosi.
Mi
riferisco al problema della preesistenza della gens alla familia e allo
Stato e alla descrizione dell’ordinamento storico della gens attraverso l’enunciazione dei
suoi caratteri peculiari di età storica. Questo argomento è stato
un asse portante del suo ultra-trentennale corso di Diritto Romano tenuto alla
Facoltà di Giurisprudenza napoletana ‘Federico II’ e, fra
l’altro, è stato anche scelto come oggetto di un corso di lezioni
tenuto alla Scuola di Specializzazione di Diritto Romano dell’Accademia
delle Scienze di Mosca nel mese di novembre 2003.
Per
dimostrare la preesistenza nella società romana antica della gens rispetto alla familia in età storica il Franciosi deve superare
però la teoria patriarcale e la teoria del patronimico ereditarizzato,
da lui stesso definita «ultimo rifugio della teoria patriarcale»[29]. Pertanto nella sua
lezione passa ad enumerare «le prove positive della preesistenza della gens alla familia» ricorrendo all’entologia comparata (riscontro
di esperienze analoghe presso altre popolazioni dell’Italia antica:
Estruschi, Sanniti, Liguri, Venedi);
allo schema della successione romana intestata romana di età storica
(con i tre cerchi concentrici diacronici costituiti dalla successione del suus heres che è vista come la
successione della familia proprio iure;
dalla successione dell’adgnatus
proximus che è vista come la successione della familia communi iure; e infine dalla successione collettiva dei gentiles che viene considerata
logicamente la più antica, in quanto forma di successione residuale).
La serie
argomentativa si chiude con un riferimento alla storia evolutiva del sistema
onomastico romano dei tria nomina che
evidentemente racchiude in sé il segno di un’evoluzione storica[30]. Come lui stesso amava
spesso dire: «la gens precede
la famiglia, intesa non come unione di fatto tra un uomo e una donna con prole
all’interno della gens, ma come
gruppo che ha un rilievo sul piano istituzionale»[31].
Per
quanto riguarda gli argomenti che sono a favore della preesistenza della gens romana allo Stato (tema che nella
lezione che stiamo presentando non viene trattato per motivi di tempo), Gennaro
Franciosi, liquidando con poche battute la teoria niebhuriana della gens come ‘organismo
artificiale’, era solito passare subito ad enumerare gli argomenti
‘a favore’. Ed anche in questo caso i dati portati non lasciano
spazio ad equivoci. I nomi di pagi
che sono preesistenti allo Stato e alla stessa riforma serviana sono nomi
gentilizi (pagus Papirius, pagus Lemonius, etc.). La tradizione
inoltre ricorda, dopo la cacciata degli Etruschi, solo migrazioni di gentes italiche. Vi sono poi notizie
nelle fonti dell’arrivo dalla Sabina di gentes come i Valerii,
gli Aurelii, i Claudii e non vi sono prove archeologiche di uno Stato sabino prima
del V secolo a.C. I culti più antichi di Roma sono gentilizi (il culto
della gens Nautia che avrebbe portato
con se a Roma la statua di Atena/Minerva; i Lupercalia
dei Fabi e dei Quinctii; il culto di Eracle delle gentes Potitia e Pinaria). Ancora, i dati archeologici
dimostrano che le aree sepolcrali più antiche sono gentilizie. Insomma,
un organismo ‘artificiale’, per dirla con il Niebhur, non avrebbe
lasciato traccia di culti comuni, di riti sepolcrali e di elementi
solidaristici[32].
C’è
poi last, but not least
l’argomento schiacciante delle prove archeologiche della fondazione di
Roma come città-Stato che risalgono al segmento temporale 625-
Sin qui
l’esposizione lucida e razionale del sistema di pensiero di Gennaro
Franciosi procede con strabiliante (almeno per me) regolarità
dimostrando anche la capacità non comune di tale studioso di
armonizzare, in un discorso coerente e mai condiscendente o elusivo, una
naturale propensione a ricavare i dati direttamente dalle fonti senza
però mai trascurare i contributi dei Maestri.
Mi
piace ricordare, a questo proposito, che negli ultimi anni, il suo pensiero
andava spessissimo, e insistentemente, a Mario Lauria.
A
ciò bisogna aggiungere un invito costante (rivolto naturalmente ai suoi
devotissimi allievi) a prestare attenzione ai contributi, notevoli, apportati
alle nostre materie da discipline quali l’archeologia, l’epigrafia
e la linguistica comparata. Fonti e mezzi di conoscenza che lui considerava
indispensabili allo strumentario professionale dello storico del diritto,
ancorché giurista, in perfetta coerenza con una propensione esplicita (e
in più occasioni esplicitata) a sostenere
l’interdisciplinarietà metodologica per le nostre materie.
A
corollario di tutto ciò, e dimostrando una capacità di saper
guardare anche oltre l’orizzonte più consueto, il Franciosi,
quando espone la sua teoria della ‘costituzione gentilizia’ di
età storica compie però un salto di qualità ulteriore
collegandosi ad una tradizione di studi molto più ampia che lo porta a
misurarsi con studiosi appartenenti ad ambiti disciplinari decisamente diversi.
Il riferimento, è chiaro, è alla famosa ‘costituzione
gentilizia’ di Engels in L’origine
della famiglia della proprietà privata e dello stato che cito nella
terza edizione degli Editori Riuniti del 1970[34]. Anche Friedrich Engels in
un libro celeberrimo, che per ammissione stessa del suo autore sarebbe stato
scritto ‘al posto di un altro’[35], parla di successione
gentilizia, di sepoltura comune, di sacra,
di esogamia gentilizia, di possesso fondiario comune, di obbligo di
solidarietà e di diritto al nomen, come di elementi costitutivi
dell’ordinamento storico della gens
romana[36]. E lo stesso fece prima
di lui Morgan anche se in maniera molto più ampia ed organica[37].
Ebbene,
nella teoria della gens romana di
età storica del Franciosi ritroviamo tutti gli elementi prospettati
prima dal Morgan, e poi da Engels, ma in un quadro molto più complesso
ed articolato[38].
Anche
nella rivalutazione dell’interpretazione dell’Orestiade da parte di
Gennaro Franciosi si avverte, del resto, nettamente l’influenza
dell’opera di Engels. Il Franciosi tuttavia si misura con la costruzione
marx-engelsiana (tornerò poi su Bachofen) senza timori reverenziali e
recepisce il legato scientifico di questi due giganti (che amò, se
possibile più di Vico, ma che anche conosceva fino in fondo) certamente
in modo non acritico. Del resto credo che, fra tantissimi altri (e non spetta
certo a me dirlo), uno dei risultati più avvincenti di ‘Clan’ è stato quello di
aver saputo raccogliere la sfida lanciata da Engels quando, in prefazione al
suo libro, afferma che: «il grande merito di Morgan è stato quello
di aver scoperto e ristabilito nei loro tratti principali le basi preistoriche
della nostra storia scritta e di aver trovato nelle unioni gentilizie degli
Indiani dell’America del Nord la chiave che schiude i più
importanti e fin qui insolubili enigmi della più antica storia greca,
romana e tedesca»[39]. Sotto questo profilo, il
Franciosi ha certamente dimostrato, almeno per quanto riguarda il mondo romano,
che Engels (e forse anche Marx), avevano ragione.
Così
Franciosi riprende la polemica di Engels con il Mommsen su una presunta
endogamia della gens romana in base
ad una fraintesa interpretazione del famoso passo di Livio su Ispala Fecennia[40] perché la confutazione
del maestro di Gardig diventa strategica nella direzione di provare il
carattere esogamico della gens
romana. Confutazione che costituisce uno dei capisaldi concettuali di Clan gentilizio e strutture monogamiche giunto,
alla sesta e definitiva (per sua stessa ammissione) edizione[41].
Allo
stesso modo, il Franciosi non evita però di ‘correggere’ la
ricostruzione di Engels (che in fondo non era un ‘addetto ai
lavori’ e poi doveva far quadrare i conti con un tipo di esposizione
comparativistica), quando ad esempio, trasforma il ‘diritto di adottare
stranieri nella gens’ di Engels[42], in un molto più
sensato sul piano storico discorso sul rapporto tra gens romana e clientela[43]; ovvero quando sfuma
sulle questioni del pater gentis che
nella ricostruzione dello scrittore di Barmen si sarebbe tradotto come in un
‘diritto di eleggere e di deporre un capo’. In Gennaro Franciosi
questo tema trova una sua più esatta collocazione nel problema della
‘industria delle origini’ quando, a partire dall’età
di Catone, le gentes più in
vista di Roma cominciarono a fabbricarsi delle genealogie illustri ricorrendo
agli eroi della saga omerica come nel caso della gens Iulia che pretendeva di discendere da Enea (ovvero Ascanio,
per la tradizione greca)[44].
Il
Franciosi tuttavia, a mio modestissimo parere, ‘supera’ Engels
anche nella valutazione dell’enorme significato che ha per questo tipo di
studi l’interpretazione che il Bachofen dà dell’Orestea di
Eschilo come di una «descrizione drammatica della lotta tra il diritto
matriarcale al suo tramonto e il diritto patriarcale e vittorioso
nell’età eroica»[45]. Una bellissima
descrizione di questo passaggio, filtrato attraverso l’Orestiade di
Eschilo, è ora negli Déi della Grecia di W.F. Otto,
recentemente ristampato da Adelphi.
Lo
‘stacca’, poi, quando, nel ‘passaggio cosmico dal matriarcato
al patriarcato’, che Bachofen vedeva in funzione del mutamento dei
rapporti tra le divinità dell’Olimpo (lo studioso della scuola
napoletana), vede «fatti che avvengono a livello economico e trovano poi
la proiezione in cielo»[46].
L’allusione è alla famosa immagine di Senofane di Colofone su cui
per motivi di tempo il Franciosi non ritorna nella lezione che stiamo
presentando, ma che ricorre con continuità nelle sue lezioni e nei suoi
scritti[47].
Il filosofo greco in forma di battuta affermava che se i buoi o i cavalli
avessero potuto rappresentare le loro divinità, le avrebbero
rappresentate come buoi e come cavalli, e Gennaro Franciosi teneva a
sottolineare come l’antropomorfismo della divinità sul piano
storico è un fenomeno che può rilevare solo come riflesso di una
determinata condizione della società. Se ci fu un rovesciamento nel
pantheon greco per cui, alle divinità femminili si sostituirono le
divinità patriarcali, questo vuol dire che in un dato momento della
storia dell’evoluzione della società umana dev’essere
avvenuto il passaggio da una società strutturata su basi matriarcali ad
una società strutturata su basi patriarcali[48].
Siamo
quindi già lontani dalla critica di Engels che, pur lodando apertamente
l’interpretazione bachofeniana dell’Orestiade di Eschilo, in fondo
ne prende le distanze[49].
Engels accusava infatti il Bachofen di ‘credere’ alle Erinni, di
‘credere’ in Apollo e in Atena, un po’ come coloro che
liquidano il Pentateuco biblico come testo meramente mitologico solo
perché in esso si legge che Giosuè «fermò il
sole» (anche questa, come si vedrà, un’immagine cara al
Franciosi e ricorrente nelle sue lezioni)[50].
Per uno
storico, come vedremo che ribadisce il Franciosi nella sua lezione, la questione
si pone in maniera molto più complessa. Ed è proprio in questo
che l’attenzione mostrata da Marx e Engels agli studi del Bachofen e del
Morgan, in tempi di positivismo dilagante, assume la sua importanza maggiore.
Non è del resto un caso se Gennaro Franciosi si avvia verso la
conclusione della sua lezione sulla storia della famiglia volgendo il pensiero
decisamente fuori dell’ortodossia del diritto romano (ma con i piedi in
esso ben piantati) occupandosi proprio di due studiosi ‘trasversali’
come il Morgan e il Bachofen[51].
Il
primo offre al Franciosi il destro per superare anche sul piano etnologico
comparativistico il pregiudizio patriarcale (la famiglia monogamica come
principio del genere umano). Il secondo gli consente di collegarsi con la sequenza
evolutiva che porterà l’umanità dall’orda primitiva
(i rapporti sessuali promiscui[52])
al matrimonio monogamico e patriarcale; attraverso quello che (il Franciosi non
si stancava mai di ripetere ai suoi studenti) era il suo anello di
congiunzione, ossia il matrimonio collettivo[53].
In un
sistema esistenziale dominato da un’economia di raccolta Gennaro
Franciosi, distaccandosi dal Bachofen[54],
vede non una società ginecocratica, ma una prevalenza sociale della
donna sull’uomo[55].
L’esposizione dei vari elementi che costituiscono la prova evidente di
tale superiorità diventa, anche per questo, uno dei momenti più
suggestivi della lezione[56].
Ed è altresì importante sottolineare che questa
superiorità della donna sull’uomo si realizza per lo studioso in
una società primitiva che è ‘una società di
eguali’ in cui si rileva soltanto una prevalenza, si potrebbe dire
naturale, dell’elemento femminile[57].
Con
l’avvento del patriarcato, come è noto, le cose cambieranno in
modo radicale, ma il Franciosi, mai banale su argomenti come questi che
espongono facilmente a rischi del genere, si pone il problema di descrivere la
dinamica di questo cambiamento e di stabilire anche quando e perché tale
cambiamento può essere avvenuto[58].
Normalmente
si ritiene che tale cambiamento sia avvenuto con l’avvento
dell’agricoltura[59].
Ma il Franciosi ci tiene a sottolineare che il primo momento di tale passaggio
sarebbe avvenuto piuttosto con l’allevamento. E’ questo a mio
avviso uno dei punti più interessanti e innovativi della lezione e dello
stesso contributo del Franciosi alla soluzione di questi problemi.
Qui
però occorre soffermarsi un momento di più. Mi spiego. Solo un
romanista dalle armi affilate come il Franciosi poteva rendersi conto che per
inquadrare nella luce migliore la determinazione di questi processi bisognava
superare un altro pregiudizio non meno pregnante. E cioè, l’idea
che la proprietà privata della terra sia nata con l’uomo.
Piuttosto che continuare a perseguire in questo equivoco è forse meglio
pensare che la proprietà privata della terra sia stata solo
l’approdo finale di un lungo processo che avrebbe visto prima
l’affermazione della società patriarcale e poi, ma solo come atto
finale di questo processo, l’appropriazione individualistica di questa. Nella
prima fase di questo sviluppo, la privatizzazione dei mezzi di produzione
potrebbe aver riguardato solo le res
mobiles, cioè (insieme ad altre cose) gli strumenti per la
coltivazione della terra, ma non la ‘terra stessa’. Almeno per il
mondo romano italico la storia della proprietà immobiliare a Roma lo
dimostra ampiamente. Ed è forse questo, se non vedo male, uno dei
lasciti più importanti che la dottrina franciosiana mette a disposizione
degli studiosi che seguiranno[60].
Si
diceva prima di come Gennaro Franciosi avesse contratto un debito con il libro
di Engels. In effetti, in esso lo studioso ha saputo cogliere la
capacità del suo autore (o dei suoi autori) di vedere che i cambiamenti
della struttura della parentela potrebbero aver influito sulla divisione del
lavoro e sulla posizione sociale di subordinazione della donna. E che un filo
conduttore mette in relazione i primi passi della proprietà privata con
lo stabilirsi del matrimonio monogamico e della prostituzione. Tutti questi,
come effetti, a loro volta, del predominio economico e politico dell’uomo
sulla donna. Fatti che comportarono, come si suole dire, il controllo della
sessualità femminile da parte dell’uomo.
E’
da qui che probabilmente si snoda allora l’idea franciosiana sulla
sequenza proprietà privata (solo però dei beni mobili) –
eredità – certezza della prole – monogamia –
repressione (soltanto) dell’adulterio femminile che sul piano strutturale
rappresenta la serie di passaggi istituzionali attraverso i quali potrebbe
essersi determinato realmente lo sconvolgimento cosmico del passaggio dal
matriarcato al patriarcato[61].
Questo passaggio avviene nella ricostruzione del Franciosi proprio con
l’appropriazione (del consumo e) dei mezzi di produzione. Fenomeno che
viene descritto molto bene proprio dalla sequenza appena menzionata.
Con
questo il Franciosi, a mio sommesso avviso, salda i conti anche con Engels che
non aveva forse saputo (o voluto) portare, in tema di evoluzione primitiva del
genere umano, fino alle dovute estreme conseguenze le rivoluzionarie scoperte
del Morgan e del Bachofen in chiave di materialismo storico.
La
sequenza appena riportata, che descrive in chiave materialistica il passaggio
dal matriarcato al patriarcato, rivela però anche la sostanza
strutturale stessa della società patriarcale. Ecco perché il
Franciosi, a corollario di tutto ciò, riferendosi alla traduzione
pratica dell’avvento del patriarcato nella società romana antica,
parla nella sua lezione di un duplice approccio. Prima ideologico, e poi
pratico.
E’
un passaggio della lezione che il Franciosi enfatizza molto. Riferendosi ad un
famosissimo passo di Catone (Cato in Gell. 10.23.4-5) e ad un altro meno noto
di un oratore attico (Ps. Demost. 59.122) lo studioso spiega cosa intende con
il primo mentre, come espressione del secondo, indica la struttura della
famiglia romana con i suoi caratteri patriarcale, potestativo, patrilocale e
patrilineare[62].
Gerda Lerner ci dà la chiave per comprendere il profondo significato
storico e sociale del passo dell’oratore attico citato dal Franciosi a
proposito del ruolo dell’uomo e del concubinato nella società
patriarcale antica[63].
Come afferma la studiosa, senza tuttavia riferirsi direttamente alla fonte
greca, il concubinato può essere posto in una società patriarcale
proprio a metà strada tra la condizione dello schiavo e quello della
donna sposata. Indipendentemente dal fatto che si voglia considerare il
concubinato come mezzo di ascesa sociale (le etére) o come ulteriore
forma di sfruttamento e degradazione (le concubine), in questo quadro, quest’ultima
condizione sarebbe diventato anche l’elemento per definire i concetti di
libertà e di perdita della stessa[64].
Sarà così che la donna, nella società patriarcale antica,
verrà costretta a scegliere tra la libertà di essere etéra
o moglie.
Gennaro
Franciosi sceglie di chiudere la lezione con una rilettura del processo ad
Oreste della trilogia di Eschilo definita come: «un’eco letteraria
della trasformazione cosmica che ha cambiato il mondo»[65].
Lascio all’esposizione di questo compianto Maestro tutto il fascino e la
bellezza della ricostruzione.
La
curiosità intellettuale dello studioso però non si ferma qui. Va
oltre. E arriva a trovare un corrispondente del processo di trasformazione dal
matriarcato al patriarcato, trovato dal Bachofen per il mondo greco (naturalmente
prima miceneo e poi attico) nell’epopea virgiliana, in particolare, nelle
vicende della sposa di Latino (la ‘Saga di Amata’).
Ma
c’è di più. Quasi con un ‘colpo di coda’, visto
che il Franciosi non può essere certo definito un ‘ricercatore sul
terreno’ alla Malinowski o alla Levi-Strauss (per usare
un’espressione tanto cara ai denigratori del Morgan che sono arrivati
persino a definire tale studioso un ‘teorizzatore da tavolino’[66]),
l’osservazione si allarga anche ad altre realtà etniche e il
discorso si sposta anche su realtà sociali collocate in condizioni di
tempo e di luogo completamente diverse.
E’
quello che fa il Franciosi quando parla del rito della couvade avvicinandolo ad una testimonianza di Plinio sui rituali di
celebrazione dell’adozione di minori a Roma[67]. Con questo credo che
Gennaro Franciosi saldi i conti anche con il Bachofen.
Per
chiudere definitivamente (anche questa breve e affettuosa presentazione) manca
però ancora qualcosa. Una data, o forse sarebbe meglio dire,
un’indicazione cronologica. Mi riferisco ancora al passaggio cosmico dal
matriarcato al patriarcato di cui ormai sappiamo il ‘come’ ed il
‘perché’, ma non abbiamo ancora detto il
‘quando’.
Ebbene,
neanche alla soluzione di questo problema Gennaro Franciosi si sottrae, anche
se nella lezione che si sta presentando, sempre per ragioni di tempo, molti
aspetti di questo decisivo passaggio vengono tralasciati.
Fortunatamente
sul punto ci vengono in soccorso ancora una volta i suoi scritti[68].
Ed
allora, il ‘quando’ è naturalmente la conseguenza di un
processo storico che: «parte dal neolitico, ma che finisce per affermarsi
solo alle soglie dell’età storica, nell’età compresa
tra l’età del bronzo finale e l’età del ferro, se
vogliamo usare punti di riferimento che l’archeologia ci suggerisce
abbastanza chiaramente»[69].
Prendendo come riferimento la realtà romano italica possiamo pensare,
dunque, ad un processo storico che parte dal
Mi
fermo qui. A corollario di tutto ciò penso si comprenda anche
perché ho scelto di incominciare con la lunga citazione di apertura.
Finisco pertanto ritornando all’inizio. Adesso però è bene
lasciare la parola al Maestro.
* Lectio magistralis svolta
da Gennaro Franciosi il 20 febbraio 2004 nell’aula Massimo D’Antona
della Facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università degli Studi
di Napoli, per l’inaugurazione del “Corso di perfezionamento in
diritto dei minori e della famiglia”. Ringrazio Antonio De Rosa e Angelo
De Angelis che hanno registrato e custodito con scrupolo la Lectio magistralis
del loro Preside.
[1] La lezione di Gennaro
Franciosi che qui si presenta compendia lo splendido saggio dal titolo La storia della famiglia da Vico a Engels,
pubblicato negli Annali
dell’Istituto Suor Orsola Benincasa (1997-98) 235-280.
[3] Il noto romanista di
Basilea fu autore della Versuch über
die Gräbersymbolik der Alten (1859)=Il Simbolismo funerario degli antichi (Napoli 1989) oltre che
dell’arcinoto Das Mutterrecht: Eine
Untersuchung über die Gynaikokratie der Alten Welt nach ihrer
religiösen und rechtlichen Natur (1861)=Il diritto matriarcale: un saggio sulla ginecocrazia del mondo antico
nella sua natura religiosa e giuridica (Torino 1988).
[4] Arnaldo Momigliano
[A. Momigliano, Rec. a L. Gossman, Orpheus
Philologus: Bachofen versus Mommsen on the Study of Antiquity, in Journal of Modern History 57/2 (1985)
328-30, ora in Ottavo Contributo alla
Storia degli Studi Classici e del Mondo Antico (Roma 1987) 409-13.
Pubblicata come Presentazione al Simbolismo funerario degli antichi di
Bachofen nell’edizione napoletana di Guida editori del 1989 con
traduzione dall’inglese di Gabriella Cavagna e revisione e note di
Giampiero Arrigoni, 5-12] pone il Bachofen affianco a H.S. Maine, Numa Denis
Fustel de Coulanges, J.F. Mc Lennan ed E.B. Tylor. Secondo il grande storico
piemontese, attraverso W. Robertson Smith e J. Wellhausen, sarebbe anzi
possibile ripercorrere una linea ideale che attraverso James Frazer e Jane
Harrison arriva fino alla non meno celebre ‘Scuola di Parigi’ che
annovera tra i suoi componenti, come è noto, studiosi del calibro di
Emile Durkheim, Marcel Mauss e Georges Dumézil.
[6] Il Bachofen conosceva
di Müller il saggio sugli Etruschi
(1828), quello sulle Eumenidi di
Eschilo (1830) e quello sulla Storia di Grecia arcaica (1820-1824). Cfr.
A. Momigliano, Presentazione, cit., 7.
[7] G. Franciosi, Clan gentilizio e strutture monogamiche. Contributo alla storia della
famiglia romana6 (Napoli 1999) 1-20.
[12] Siamo ampiamente
oltre ogni pericolo di ‘vichismo’ di maniera su cui v. L. Capogrossi Colognesi, La struttura della proprietà e la
formazione dei iura praediorum in età repubblicana 1 (1969) 85 s.; Id., Modelli di stato e di famiglia nella storiografia dell’800
(Roma 1994) 213 e anche F. Nicolini
(a cura di), Giambattista Vico Principj di Scienza Nuova (in tre voll.)
(Torino 1976) 1, XV ss. Una nuova edizione del capolavoro vichiano è ora
quella di P. Cristofolini (a cura
di), La Scienza Nuova 1730 (Napoli 2004) 1-651.
[13] G. Limone, La cittadinanza e le formazioni minori in Giambattista Vico. Per una
lettura dell’interpretazione di Gennaro Franciosi (Vatolla Salerno
2002) 9-36 apparso nella Collana della Biblioteca del Parco Nazionale del
Cilento e Vallo di Diano, Studi di Diritto Ambientale, Nómos
basiléus, per la Fondazione Giambattista Vico.
[15] G. Franciosi, La famiglia romana. Società e diritto 8 s.:
«Senonché l’attenta lettura de la ‘Scienza
Nuova’ ci mostra che, tra le profonde intuizioni del filosofo napoletano,
vi è proprio quella della famiglia monogamica come punto di approdo di
uno sviluppo che parte da stadi di civiltà inferiore (non si dimentichi
la sua suddivisione della storia del mondo umano nelle tre famose
età)».
[17] Cfr. G. Franciosi, Famiglia e persone in Roma antica. Dall’età arcaica al
principato (Torino 1989) 135 e ora, nella terza edizione del 1995, v.
sempre p. 135. V. anche La storia della
famiglia da Vico a Engels 241.
[18] G. Franciosi, La storia della famiglia da Vico a Engels 241. V. sul problema con
rif. bibl. G. Franciosi, Famiglia e persone in Roma antica.
Dall’età arcaica al principato3 (Torino 1995) 135 ss.
[20] La derivazione
etimologica di familia
dall’osco famel è
già presente nell’edizione dell’89 di Famiglia e persone. V. ora G. Franciosi,
Famiglia e persone in Roma antica.
Dall’età arcaica al principato3 25 dove però non viene citato Vico. Mi riferisco alla
concezione di familia
dell’endiadi familia pecuniaque
come complesso di schiavi e bestiame da riferire alla versione retorica della
Tab. 5.3-4 (FIRA. 12.37 s.) messa in relazione alla formula dell’interdictum unde vi, della mancipatio familiae, e alla
contrapposizione tra l’heres esse
e il familiam (pecuniamque) habere su cui
v. G. Franciosi, Famiglia e persone in Roma antica.
Dall’età arcaica al principato3 25-30; Id., La versione
retorica e la versione giuridica di tre disposizioni delle XII tavole, in Drevnee pravo-Ius Antiquum 2 (10) (Mosca
2002) 34-39. Sull’endiadi familia
pecuniaque v. anche O. Sacchi,
Il mito del pius agricola e riflessi del
conflitto agrario dell’epoca catoniana nella terminologia dei giuristi
medio/tardo repubblicani, in RIDA.
49 (2002) 241-
[21] G. Franciosi, Per la storia dell’usucapione immobiliare in Roma antica. Un
capitolo della storia delle dodici tavole, in SDHI. (2003) 127-147.
[22] G. Franciosi, La storia della famiglia da Vico a Engels 241: «A Roma il
termine famulus indica lo schiavo, il
termine familia indica dapprima il
complesso degli schiavi, poi il patrimonio in senso lato, in un mondo che non
conosce ancora la proprietà immobiliare, ma conosce la familia-pecuniaque, cioè gli
schiavi e il bestiame come oggetto di proprietà».
[24] G. Franciosi, La storia della famiglia da Vico a Engels 244. Sui complessi
problemi del rapporto tra Vico e Bonfante e tra questi e il positivismo
italiano dell’epoca a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio del XX
secolo v. l’ampia riflessione di L. Capogrossi
Colognesi, Modelli di stato e di
famiglia nella storiografia dell’800 213 ss. e passim. Sui rapporti
tra positivismo e diritto romano v. da ultimo C. Lanza, Diritto romano e
diritto moderno. Processi di ‘decontestualizzazione’ (Torino
2000) 73 ss.
[25] Il collegamento con
il Bonfante è importante perché anche il Franciosi, come tutti
gli studiosi della sua generazione, e non solo [Cfr. per la teoria politica P. Bonfante, Corso di diritto romano. 1. Diritto di famiglia (Milano rist. 1963)
544 ss. Con ampio ragguaglio bibl. v. C. Fayer,
La familia romana. Aspetti giuridici e
antiquari 1 (Roma 1994) 106. Io stesso mi sono misurato con la teoria del
Bonfante in O. Sacchi, L’antica eredità e la tutela. Argomenti
a favore del principio di identità, in SDHI. 68 (2002) 589-624], ho dovuto fare i conti con la cd.
‘teoria politica’. Per le critiche alla teoria politica del
Bonfante del Franciosi v. G. Franciosi,
Famiglia e persone in Roma antica3; Id., Clan gentilizio e strutture monogamiche6 315 ss.; Id., Corso istituzionale di diritto romano3 221 e passim; Id.,
La storia della famiglia da Vico a Engels
244 ss. Tale collegamento è importante anche perché pone il
Franciosi in una chiara linea di continuità con gli studiosi che lo
hanno preceduto e che sono stati i suoi Maestri. Ampio ragguaglio sull’Ancient Law di H.J. Summer Maine come
testo di base della cd. ‘teoria patriarcale’ in L. Capogrossi Colognesi, Modelli di stato e di famiglia nella
storiografia dell’800 43 ss. V. però anche G. Franciosi, La storia della famiglia da Vico a Engels 246.
[27] Mi riferisco a G. Franciosi, La storia della famiglia da Vico a Engels 246 ss. Ma v. anche G. Franciosi, Famiglia allargata e familia communi iure. Una rilettura di Ulp. D.
50.16.195, in SDHI. 60 (1994)
597-99 e Id., Il consortium ercto non cito, in Forum Romanum, Atti del Convegno
Internazionale di diritto romano tenuto a Yaroslav e Mosca i giorni 25-30 giugno
2003 (Yaroslav-Mosca 2003) 3-7.
[28] Le principali
differenze tra gens e familia sono per il Franciosi almeno le
seguenti [G. Franciosi, La storia della famiglia da Vico a Engels 249
ss.]: a) la famiglia ha un capostipite reale, vivo o defunto, la gens non ha un capostipite reale ma
mitico; b) la famiglia ha un carattere potestativo, la gens ha un
persistente carattere solidaristico; c) il sistema di parentela della famiglia
è per gradi (carattere descrittivo), nella gens è senza gradi
(carattere classificatorio); d) il dato identificativo della famiglia romana
è il cognomen, quello della gens il nomen; e) i sacra; f) la
successione; g) solo la gens ha un
proprio ordinamento giuridico (iura
gentilicia), a sua volta caratterizzato da mores e decreta.
[29] Cfr. G. Franciosi, Clan gentilizio e strutture monogamiche6 261 ss.; Id., La storia della famiglia da Vico a Engels 251.
[30] G. Franciosi, Clan gentilizio e strutture monogamiche6 225 s.; Id., La storia della famiglia da Vico a Engels 254 s.
[33] Cfr. G. Franciosi, Clan gentilizio e strutture monogamiche6 261 ss.; Id., Primo approccio all’esogamia gentilizia attraverso le iscrizioni
etrusche, in Ricerche
sull’organizzazione gentilizia romana 2 (Napoli 1988) 25-35. Ora
anche in G. Franciosi, La storia della famiglia da Vico a Engels 259.
[34] F. Engels, Der Ursprung der familie, des
Privateigentums und des Staats. Im Anschluss an Lewis
H. Morgans Forschungen (Zurich 1884)=(Stuttgart 1891)=(Berlin 2a edizione 1949)=L’origine della famiglia della
proprietà privata e dello stato. In rapporto alle indagini di Lewis H.
Morgan3 (Roma 1970) 7-
[35] Mi riferisco
ovviamente a ciò che Engels stesso dichiara nella Prefazione alla prima edizione del 1884 de L’origine della famiglia della proprietà privata e dello
stato 33: «Il mio lavoro può solo offrire un modesto surrogato
di ciò che al mio amico scomparso non fu più concesso di fare.
Tuttavia ho davanti a me le annotazioni critiche ai suoi tempi estratte da
Morgan, che riproduco qui nella misura in cui è possibile».
[40] F. Engels, L’origine della famiglia della proprietà privata e dello
stato3 152 ss.; G. Franciosi,
Clan gentilizio e strutture monogamiche6
57 ss.
[44] G. Franciosi, La storia della famiglia da Vico a Engels 249. V. sul punto
l’ottimo saggio di A. Romano,
Dal ‘pater gentis’ ai ‘patres’ dell’organizzazione
cittadina. Note sul fondamento della leadership arcaica, in Ricerche
sull’organizzazione gentilizia romana 1 (Napoli 1984) 83-117. Altra
differenza è nell’accostamento tra la gens romana e quella greca [F. Engels,
L’origine della famiglia della
proprietà privata e dello stato3 149] che è un tema che non
sarà mai ripreso dal Franciosi.
[47] G. Franciosi, Clan gentilizio e strutture monogamiche6 7; Id., La storia della
famiglia da Vico a Engels 261.
[49] F. Engels, L’origine della famiglia della proprietà privata e dello
stato3 40: «Questa interpretazione nuova, ma decisamente giusta,
dell’Orestiade è tra i
passi più belli e migliori di tutto il libro, ma mostra al tempo stesso
che Bachofen crede, per lo meno quanto Eschilo, nelle Erinni, in Apollo e
Atena; e crede persino che essi, nell’età eroica della Grecia,
abbiano compiuto il miracolo di rovesciare il diritto matriarcale per mezzo del
diritto patriarcale. Che una tale concezione, dove la religione rappresenta la
leva decisiva della storia universale, debba in conclusione andare a finire nel
puro misticismo, è cosa chiara. Perciò farsi strada attraverso il
voluminoso in quarto di Bachofen è un lavoro aspro e davvero non sempre
remunerativo».
[52] L.H. Morgan, [Ancient Society, or reseches in the Lines of
Human Progress from savagery. trough Barbarism, to Civilization (New
York-London 1877)=La società
antica. Le linee del progresso
umano dallo stato selvaggio alla civiltà3 (Milano 1981) 371
ss.; G. Franciosi, Clan gentilizio e strutture monogamiche6
14.
[54] G. Franciosi, La storia della famiglia da Vico a Engels 261; Id., La famiglia romana. Società e diritto
10 s. e nt. 16.
[56] La superiorità
sociale della donna sull’uomo nelle società preistoriche è
testimoniata da una serie di elementi. In primo luogo, dalla ricorrenza
archeologica più cospicua nell’iconografia preistorica della donna
sull’uomo; poi dalla testimonianza presso fonti antiche, ed attendibili
come Erodoto e Teopompo (conosciuto attraverso Aristotele), di popolazioni
presso cui vigeva una forma di discendenza matrilineare; si rileva poi la
superiorità della donna in rapporto alla procreazione, all’educazione
della prole inetta, alla specializzazione in materie come la botanica, la
medicina delle erbe, la ceramica, la cottura dei cibi, la tessitura, la
miniagricoltura (con il bastone da scavo). Bisogna ricordare l’arte di
profetizzare (mantica); l’analogia del ciclo mestruale con le fasi della
Luna che, a sua volta, nelle cosmogonie antiche è descritta come parte
staccatasi dalla terra madre. Infine la maggiore risalenza dei calendari lunari
rispetto a quelli solari. Tutti questi sono elementi che dimostrano una
superiorità effettiva della donna sull’uomo. Ampio ragguaglio
sulle tracce di una condizione preistorica in cui era prevalente
l’elemento femminile in P. Rodríguez,
Dios nació mujer (Barcelona
1999)[=Dio è nato donna (Roma
2000) 7-287 con traduzione di Alessandra Chiaradia]. Per R. Graves, I miti greci (Milano
1982) 6 la svolta capitale per il genere umano della istituzionalizzazione del
rapporto tra coito e gravidanza si sarebbe rispecchiato per la prima volta nel
mito ittita di Appu il ‘sempliciotto’. Cfr. sul punto M.G. Güterbock, Kumarbi (1946).
[57] Per tutto questo v.
ora G. Franciosi, La storia della famiglia da Vico a Engels 266
ss. e in part. 267.
[58] La posizione sociale
della donna nelle società di tipo agricolo patriarcale viene stabilita
sulla base delle relazioni sessuali che questa riusciva a mantenere a favore di
un uomo, e di uno stesso uomo, appartenente ad una o ad altra classe sociale.
E’ interessante vedere come Gerda Lerner spieghi la realizzazione della
subordinazione delle donne nel mondo patriarcale «nello stesso modo in
cui la subordinazione delle donne da parte degli uomini fornì il modello
concettuale per la creazione della schiavitù come istituzione, la famiglia
patriarcale fornì il modello strutturale»; G. Lerner, La creación del patriarcato (Barcelona 1990) 141. Viene
subito in mente il mondo etrusco in cui la schiavitù risulta attestata
sin da epoca assai risalente.
[59] Con lo sviluppo della
nuova cultura agricola vi furono due cambiamenti epocali. Riguardo allo status sociale, il fatto che
l’uomo sia diventato il pilastro dell’attività produttiva
agricola, ha comportato che la sua posizione sociale abbia finito col dipendere
dalla maggiore o minore quantità dei mezzi di produzione di cui poteva
disporre (terra, acqua, mano d’opera, prodotti agropastorali, oggetti di
lusso e, infine, donne schiave e figli). Cfr. sul punto P. Rodríguez, Dio è nato donna 230. Semplificando al massimo si può
dire che nelle società agricole la donna si vide limitare lo spettro
delle sue attività al focolare domestico. Il suo ruolo si limitò
quindi a conservare il patrimonio di conoscenze utili alla conservazione di
questo e a trasmetterlo alle figlie, ma fu esclusa del tutto dalla possibilità
di provvedere direttamente a procurarsi quello che poteva essere utile per la
sua sopravvivenza e/o per acquisire una posizione sociale fuori dalla propria
casa. Cfr. P. Rodríguez, Dio è nato donna 229 s.
[61] Per tutto questo ora
G. Franciosi, La storia della famiglia da Vico a Engels 266
ss. e in part. 270.
[64] In relazione al
progressivo affermarsi della schiavitù, essere schiavo nelle
società antiche implicò essere un uomo di ordine inferiore. Tanto
inferiore da persino trasmettere ereditariamente questo status di subordinazione. Guardando questo processo come un punto
di approdo del graduale processo di trasformazione della società in una
società patriarcale e, allo stesso tempo, considerando la moglie sotto
la protezione/dominazione patriarcale come punto di partenza di questo stesso
processo, viene conseguenziale collocare il concubinato proprio a metà
strada tra la condizione dello schiavo e quello della donna sposata. Cfr. G. Lerner, La creación del patriarcato 150.
[66] Cfr. M. De Stefanis, Dalla teoria del “progresso” alla teoria delle strutture
sociali, in prefazione alla terza edizione italiana del 1981 de La Società antica di Morgan xxxv
e passim.
[69] G. Franciosi, o.l.c. 266 ss. e in part. 279. Secondo G. Lerner, La
creación del patriarcato 215 s. la formazione del patriarcato si
sarebbe determinata in un arco temporale tra il 3100 e il