Università di Sassari
Il viaggio
di Theodor Mommsen e dei suoi collaboratori in Sardegna per il Corpus Inscriptionum Latinarum*
Sommario: 1. L’epistolario sardo del Mommsen. – 2. Il viaggio
in Sardegna di Heinrich Nissen nel maggio
1866. – 3. La Tavola
di Esterzili.
– 4. Le Carte d’Arborea: il Bericht del 1870. – 5. Il viaggio in Sardegna
di Theodor Mommsen nell’ottobre 1877. – 6. Il X volume del
CIL.
– 7. L’incendio della
biblioteca del Mommsen nel luglio 1880 e la perdita dei fac-simili del Nissardi.
– 8. Il viaggio in Sardegna di
Johannes Schmidt nell’aprile 1881. – Appendice.
La Sardegna arretrata dell'800 è stata la meta privilegiata di
una lunga serie di viaggiatori stranieri, interessati in particolare alla
civiltà nuragica, come ad esempio il Conte Lamarmora[1]
ed il Barone Maltzan[2],
che hanno dedicato pagine indimenticabili all'isola selvaggia. Meno conosciuti
sono i difficili viaggi compiuti in Sardegna, negli anni successivi alla
“perfetta fusione” con gli Stati di terraferma ed all’Unità d’Italia
(1866-1881), da tre studiosi tedeschi, veri e propri pionieri della ricerca
epigrafica, Theodor Mommsen[3]
ed i suoi collaboratori Heinrich Nissen[4]
e Johannes Schmidt[5] per
la raccolta della documentazione epigrafica da inserire nel X volume del Corpus Inscriptionum Latinarum
pubblicato nel 1883. I loro viaggi si affiancano a quelli di altri studiosi
tedeschi come Julius Euting di Tübingen che fu a Cagliari ed a Sassari nel 1869
per le iscrizioni fenicie[6]
e Wolfgang Helbig, segretario dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica di
Roma[7],
che visitò Cagliari e Ploaghe nel 1875[8].
Solo di recente ci è stato possibile raccogliere presso la Sezione Manoscritti
della Staatsbibliothek di Berlino una ricca documentazione epistolare (Nachlass Mommsen) che comprende
originali autografi provenienti dall'archivio e dalla biblioteca del Mommsen[9]
e copie di lettere provenienti dal Municipio[10]
e dalla Biblioteca Universitaria di Cagliari[11]
e dall'archivio personale di Filippo Nissardi assistente del Commissariato alle
antichità della Sardegna[12],
in relazione ai corrispondenti sardi[13]
ed ai collaboratori tedeschi impegnati in Sardegna[14].
Nel complesso si tratta di un centinaio di lettere per circa la metà in lingua
tedesca, che si aggiungono ad altri documenti di estrema rilevanza per lo più
redatti in lingua italiana reperiti presso la Biblioteca della Provincia e la
Biblioteca Reale di Torino, la Biblioteca Universitaria[15],
l’Archivio Comunale[16]
e l'Archivio di Stato di Cagliari, presso le Soprintendenze[17]
ed i Musei della Sardegna, presso l’Archivio storico dell’Università di Sassari
e presso altre Istituzioni: risulta chiaro che il Mommsen si sforzava di usare
la lingua italiana con i corrispondenti sardi, sia pure «maltrattandola»[18].
Nulla ci risulta conservato presso la Berlin-Brandenburgische Akademie der
Wissenschaften, mentre qualcosa riemerge ora anche dall’archivio dell'Istituto
Archeologico Germanico di Roma, in particolare un frammento della
corrispondenza del Mommsen con Pietro Tamponi, ispettore archeologo a
Terranova, ma solo per il 1885[19].
L'epistolario sardo del Mommsen appare relativamente eterogeneo
ed affronta temi diversi:
1) il viaggio preparatorio alla ricerca delle iscrizioni latine
della Sardegna compiuto dal ventisettenne Heinrich Nissen, tema trattato in sei
lettere ricevute dal Mommsen nel corso del 1866, compresa una datata da
Cagliari;
2) la scoperta della Tavola di Esterzili e altri temi epigrafici
ripresi dalle lettere del Nissen del 1866 ed in due imbarazzate lettere del
Mommsen del gennaio 1867 al can. Giovanni Spano[20],
considerato il padre dell’archeologia in Sardegna;
3) i falsi d'Arborea ed il giudizio della commissione berlinese
in 23 lettere di Carlo Baudi Di Vesme[21]
al Mommsen[22] ed
in 7 lettere del Mommsen al Baudi Di Vesme[23],
tutte databili dal 1869 al 1874, dunque riferibili al periodo che precede e che
segue il Bericht dell'Accademia berlinese del 1870;
4) il viaggio in Sardegna del Mommsen nelle dieci lettere del
1877: due di Giuseppe Fiorelli chiamato due anni prima a ricoprire l'incarico
di Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti[24],
due di Vincenzo Crespi l’assistente del Museo di Cagliari[25],
cinque del Mommsen per il Crespi, una del Mommsen allo Spano;
5) i controlli e le verifiche autoptiche richiesti per l'edizione
del CIL X nelle quattro lettere degli
anni successivi inviate al Crespi e nelle lettere del Nissardi;
6) l'incendio della biblioteca di Charlottenburg (12 luglio
1880), che aveva colpito con particolare durezza la documentazione sarda,
segnatamente i fac-simili ed i calchi effettuati dal Nissardi nel suo secondo
viaggio[26],
nelle due lettere di Fiorelli al Mommsen del settembre 1880 e nelle cinque
lettere del Mommsen al Crespi e soprattutto nella circolare del Fiorelli e
nella risposta di Ettore Pais;
7) infine il viaggio del trentenne Johannes Schmidt, illustrato
in ben 36 lettere spedite al Mommsen dal 4 marzo 1881[27]
e da Halle fino al 23 maggio 1883[28],
con la parentesi delle cinque lettere datate dalla Sardegna e pubblicate in
Appendice (nrr. 1-5). I manoscritti
di queste lettere si trovano nella Staatsbibliothek di Berlino nel fondo
Mommsen, presso la sala manoscritti e rappresentano solo una parte della
raccolta delle lettere dello Schmidt, Privatdozent ad Halle dal 1878,
Extraordinarius nel 1883 e poi Ordinarius a Königsberg nel 1892 due anni prima
della morte, avvenuta quando aveva solo 44 anni di età; la documentazione della
corrispondenza tra Mommsen e Schmidt prosegue senza interessare la Sardegna
fino al 1887, sempre con un carattere informativo e di rapido resoconto.
Questi dati, distribuiti in maniera disorganica su 17 anni, si
integrano con le numerose notizie apparse sulla stampa sarda contemporanea e
con i lavori recentemente svolti da me e dai miei allievi e colleghi
sull'attività del can. Giovanni Spano[29],
di Ettore Pais, fondatore del Museo di Sassari e allievo e collaboratore del
Mommsen[30],
di Pietro Tamponi, ispettore onorario a Terranova[31],
di Luigi Amedeo, ispettore onorario a Porto Torres[32],
di Gaetano Cara, il discusso direttore del Museo di Cagliari morto durante la
visita del Mommsen, coinvolto in traffici e loschi affari violentemente
denunciati dallo Spano[33],
dei falsari delle carte d'Arborea Gavino Nino e Salvatorangelo De Castro[34],
autore quest'ultimo del polemico volumetto edito nel 1878 intitolato Il prof. Mommsen e le Carte d'Arborea,
pubblicato all'indomani del movimentato viaggio in Sardegna: nella prefazione
dedicata a Pietro Martini[35]
si ricordava che «la venuta del celebre Mommsen nella nostra isola risvegliò
quel fuoco che stavasi nascosto sotto le ceneri d'una polemica irosa, d'una
burbanza sconfinata, d'una leggerezza senza modo e d'una selvaggia avversione a
questo popolo sardo, diseredato dalla fortuna, ma più forte di cuore, come il
granito, che forma l'ossatura delle sue montagne»[36].
Il quadro complessivo appare con estrema chiarezza da una
documentazione che comunque risulta incompleta, se è vero che ad esempio tutte
le lettere inviate dal Mommsen allo Schmidt con le istruzioni sulla Sardegna,
presumibilmente almeno una trentina, sono andate a quanto pare perdute.
Il 2 gennaio 1866, quasi vent'anni prima della pubblicazione del
decimo volume del Corpus Inscriptionum
Latinarum, Heinrich Nissen prospettava al Mommsen senza troppo entusiasmo
la possibilità di concludere i propri viaggi in Italia iniziati nel 1863 con
un’ultima spedizione in Sardegna voluta dall’Editore Friedrich Baedeker[37],
finalizzata all'edizione della Chorographia,
che poi nel 1883 sarebbe comparsa a
Berlino sotto il titolo Italische
Landeskunde con un bel capitolo sulle isole, in particolare sulla Sardegna
e sulla Corsica[38]; egli
dichiarava di potersi contemporaneamente occupare delle iscrizioni latine della
Sardegna, a condizione che l'Accademia Berlinese pagasse le spese di viaggio[39].
Qualche settimana dopo il 30 gennaio il Nissen riferiva
sconsolato di aver avuto l'incarico di andare in Sardegna ed in Corsica contro
ogni aspettativa e di voler arrotondare i guadagni dedicandosi alla
trascrizione delle iscrizioni, un lavoro - lo giudicava - poco attraente. C'è
in questo giudizio forse in nuce la
ragione della successiva rottura col Mommsen. «Wider alles Erwarten ist mir doch neulich
der Auftrag geworden nach Sardinien und Corsica zu gehen. Ich halte es demnach
der Akademie gegenüber für meine Pflicht das frühere Anerbieten wegen der
Revision der dortigen Inschriften zu erneuern. Von kostspieligen Reisen kann
dabei kaum die Rede sein, da die Steine größtentheils sich in den Museen von
Cagliari und Sassari befinden. Doch müßte ich allerdings Vergütung meiner
aufgewandten Zeit erwarten. Wenn übrigens eine andere Gelegenheit in Aussicht
steht, so habe ich keine Veranlassung mich für eine, wie Sie hinlänglich
wissen, so wenig anlockende Arbeit anzubieten»[40].
Scrivendo da Cagliari il 18 maggio 1866, il Nissen riferiva di
esser rientrato da Tunisi col battello in Sardegna e raccontava le difficoltà
incontrate, perché lo Spano era partito, la biblioteca era chiusa per le
vacanze, come pure l’Università: eppure la gente era molto premurosa e
disponibile: come è noto lo Spano insegnava a Cagliari, dove a causa del clima
e della malaria le lezioni terminavano con molto anticipo, il I maggio, in
occasione della festa di S. Efisio e le vacanze arrivavano fino al 15 luglio;
l'Università di Cagliari infatti «si distingueva fra tutte le altre per il
tempo assegnato alle vacanze», con grande soddisfazione dello Spano, che in
primavera era libero di dedicarsi alle sue «escursioni archeologiche e
fisiologiche nel centro dell'isola»[41].
Nella stessa lettera il Nissen dava per la prima volta la notizia del
ritrovamento della Tavola di Esterzili, anticipato però dal Baudi Di Vesme, che
aveva scritto in proposito allo Hänel già l'8 maggio[42]:
«Vor Kurzem ist in Sardinien eine große Bronzetafel, enthaltend einen
Schiedsspruch in Grenzstreitigkeiten zwischen 2 bis dato unbekannten
Völkerschaften, gefunden worden, jetzt im Besitz Spanos, dessen Rückkehr ich in
einigen Tagen entgegensehe»[43].
Il lavoro del Nissen sembra aver riguardato solo il museo di
Cagliari, se il Mommsen nel CIL X
avrebbe scritto: ex nostratibus (...)
Henricus Nissen mea causa Cagliaritani musei titulos descripsit[44]; eppure da una lettera di Johannes
Schmidt al Mommsen dell’8 maggio 1881 sappiamo ora che il Nissen visitò
certamente almeno Porto Torres partendo per Ajaccio[45].
Arrivato a Napoli dopo qualche settimana, il Nissen riferiva i
risultati ottenuti nel viaggio in Sardegna ed in Corsica in una lettera del 10
luglio: per la Sardegna precisava di aver verificato quasi tutte le iscrizioni
di Carales, rinunciando a quelle disseminate nelle campagne, anche se con
rammarico per il fatto che il Lamarmora e lo Spano le avevano trascritte in
modo orribile; il giudizio verso chi l’aveva preceduto è veramente severo: «Den
größeren Theil der dortigen Inschriften habe ich revidiert; des bedeutenden
Geld- und Zeitaufwands halber habe ich auf die Revision der im Lande herum
verstreuten Verzicht leisten müssen: so wünschenswert auch solche gewesen wäre,
denn Lamarmora u. Spano haben zum Theil schauderhaft abgeschrieben», mentre in
Corsica il Nissen non aveva visto iscrizioni di sorta. Infine, di nuovo la tavola
di Esterzili, riprodotta in un fac-simile inviato all'Henzen a Roma: «Das
Statthalteredict aus Othos Zeit hat sich richtig vorgefunden; vielleicht hat
Prof. Henzen die Copie, die ich ihm sandte, Ihnen mitgetheilt. In Corsica habe ich keine Inschrift gesehen»[46].
Emerge da subito il ruolo svolto dall'Istituto di Corrispondenza
Archeologica ed in particolare dal suo Primo Segretario Johann Heinrich Wilhelm
Henzen[47],
che, come vedremo, finanziò gran parte delle spese sostenute in Sardegna
(probabilmente anticipando per conto dell'Accademia) e curò a partire dal 1870,
dopo la liberazione di Roma, i rapporti con il Ministero ed in particolare col
Fiorelli.
Un mese e mezzo dopo (il 28 agosto), rispondendo da Pompei ad una
lettera del Mommsen che non ci è rimasta, il Nissen deduceva che il facsimile
della Tavola di Esterzili non era stato consegnato dallo Henzen: ne mandava
perciò una nuova copia, pensando che il Mommsen avrebbe potuto pubblicare un
articolo a commento del documento sulla rivista "Hermes" una volta che lo Spano avesse pubblicato sugli Atti
dell'Accademia di Torino l'editio
princeps, che il Nissen immaginava del tutto inadeguata: «Da Sie der sardinischen Bronzetafel
keine Erwähnung thun, füge ich Abschrift bei. Ich sollte meinen(,) daß sie es wol
verdiente im nächsten Heft des Hermes von Ihnen behandelt zu werden. Spano der
Besitzer, ein prächtiger u. wirklich hochverdienter Mann, hat sich die erste
Publication in der Turiner Akademieschr. vorbehalten, die wie er vor einiger
Zeit schrieb, entweder erfolgt ist oder nächstens erfolgen muß. Ich brauche
Ihnen aber wol nicht noch zu versichern daß den curae secundae hier Alles zu thun übrig bleibt. Im Uebrigen würde
Spano, der, eine seltene Tugend, deutscher Wissenschaft gegenüber äußerst
bescheiden ist, es am Liebsten sehen wenn Sie es übernähmen; ich besprach den
Fall schon mündlich mit ihm»[48].
Sulle qualità dello Spano il Nissen ritorna in una lettera da
Hadersleben del 20 novembre, precisando di aver revisionato due volte il
documento in possesso dello Spano e di aver corretto l'edizione in 20-30 punti:
nel CIL è effettivamente notato: Spano primus legit adiuvante Nisseno[49].
Restavano ancora dei dubbi, soprattutto su un punto cruciale sul quale lo
stesso Mommsen è stato recentemente corretto da Loriano Zurli: a l. 19 la
lettura del Nissen, poi accolta nel CIL
X è la seguente: et moras illis
possessoribus intellegam esse iucundam, una frase che effettivamente crea
qualche problema; il Mommsen proponeva di correggere con intelligat, ma accettava poi il testo del Nissen tanto da non far
menzione nell'ampio apparato critico della sua proposta; il recente facsimile
da me curato sembra invece far preferire la lettura di Zurli: et moram litis possessoribus intellegam
esse iucundam, nel senso che un'ulteriore proroga decisa dal proconsole L. Helvius Agrippa, oltre la scadenza
del I febbraio 69, sarebbe tornata a vantaggio dei soli possessori, dunque dei
Galillenses sardi, con grave danno per i legittimi assegnatari, i Patulcenses
Campani che avevano avviato la causa con lo scopo di ottenere la restituzione
di un bene sottratto loro per vim[50].
Per risolvere l'enigma lo Spano aveva promesso di far fotografare
la tavola, dal momento che secondo il Nissen i calchi (evidentemente in gesso)
dovevano essere inutili. Emerge nuovamente il problema della prima edizione del
documento, con qualche margine di ambiguità che avrebbe creato di là a qualche
mese l'imbarazzo del Mommsen: «Die erste Publication hat sich Spano vorbehalten
und ich gab ausdrücklich mein Wort ab vor dieser keinen Gebrauch von der Copie
zu machen. Ich werde nun
sofort an ihn schreiben um zu erfahren wie weit es damit ist: im Juli sollte
die Abhandlung an die Turiner Akademie abgehen»[51]. Dopo aver parlato
delle difficoltà nella trasmissione dei documenti tra Hadersleben e la
Sardegna, sempre passando per lo Henzen a Roma, il Nissen attribuiva ad una
serie di contrattempi il ritardo nella compilazione delle schede per l’Italia
meridionale e la Sardegna.
Un'ultima lettera del Nissen datata al 24 dicembre 1866 ci
informa sul retroscena, alludendo a precedenti comunicazioni epistolari col
Mommsen che non ci sono pervenute, prendendo atto della possibilità di un grave
incidente diplomatico con lo Spano e suggerendo una soluzione che appare un
poco forzata: «es thut mir sehr leid daß Sie wegen der sard. Tafel so viel nutzlose Schreiberei gehabt
haben. Ich habe bisher mit der Rücksendung des Sp.schen Briefes gezögert weil
auch ich eine Antwort erwartete, die einen klaren Schluß auf Sp. Ansicht über
Ihre Publication erlaubt hätte. Wollen Sie vielleicht um den braven alten Herrn
ganz zu schonen, ihm ein paar Zeilen antworten Sie hätten durch meine
Ungeschicktheit, weil ich Ihnen bestimmt versichert die Inschrift würde
innerhalb des Jahres publicirt sein etc. (über mich sans gène, da ichs ja doch
nicht lese u. es außerdem wahr ist) einen Aufsatz sulla parte legale für den Februar vorbereitet, der nicht gut rückgängig
zu machen wäre usw. Ich nehme mir heraus Ihnen den Vorschlag zu machen, weil
Sie mich um meine Meinung fragen»[52].
Ricevuta la lettera del Nissen, il 13 gennaio 1867 il Mommsen si
precipitava a scrivere in lingua italiana una lettera di scuse al can. Spano,
chiamandolo «Reverendissimo e dottissimo Sig. Canonico», titoli che non
compaiono nelle lettere successive: dopo aver ricordato che era stato lo Spano
a fargli avere cortesemente «copia fotografica del bellissimo ed
interessantissimo bronzo, che è l’ultimo della lunga schiera delle sue scoperte
patrie» e dopo aver espresso la sua gratitudine, il Mommsen addolciva la
pillola ricordando che «per noi forestieri certamente e forse anche pei sardi
istessi Ella ha scoperto la Sardegna Romana, di cui sapevamo quasi nulla; e chi
ha percorso il Bulletino [Archeologico]
Sardo, sa di quanti passi l’editore di esso ha fatto avanzare l’epigrafia
specialmente dell’isola».
Infine, arrivava al nocciolo della questione: «Ora però mi trovo
in qualche impiccio per questo bronzo. Subito che io ne ebbi la copia dai miei
amici Henzen e Nissen cominciai di studiarlo, tanto più che entra nei miei
studi di diritto Romano, e la parte legale ne è ben la più importante.
Fidandomi nelle osservazioni del Nissen, che mi disse esser certissimo, che il
monumento si stamperebbe nell’anno decorso (e certamente un tal documento deve
e vuole esser pubblicato subito), ho promesso per un foglio tedesco (l’Hermes) un articolo sopra questo bronzo,
che verrà fuori nel Marzo di quest’anno. Pensavo io di agire con tutta
prudenza, lasciando uno spazio di tre mesi interi fra la pubblicazione
nell’Italia e la ripubblicazione mia; che certamente non amo io di sottrarre a
chi appartiene con ogni diritto l’onore della prima edizione. Ma ora non posso
ritirare la mia parola e ritenere l’articolo promesso e scritto; non mi resta altro
dunque che di implorare la sua indulgenza, e di pregarla, se l’edizione di
Torino non verrà fuori prima, di pubblicare sia a Roma nel Bulletino sia in
dovunque (sic) altro periodico il
semplice testo del monumento e di farmene consapevole, affinché possa io
aggiungere, che non faccio altro che ripubblicare un testo edito da lei»[53].
In appendice il Mommsen precisava che l'edizione tedesca sarebbe
stata una semplice trascrizione con lettere minuscole e si dichiarava
disponibile a rendersi utile allo Spano in altre questioni, in particolare a
procedere alla «rettificazione di qualche iscrizione che riguarda la Sardegna»;
si faceva cura di ricordare di essere il «direttore di gran parte del Corpus I. L.» e concludeva: «Quando
vorrà il tempo, in cui noi dovremo pubblicare le iscrizioni Sarde, molte cose
avremo da domandarle e sono persuaso, che Ella userà l’istessa bontà e
liberalità che ha usata verso il Nissen, che la riverisce».
Il problema appare risolto nella lettera che il 23 gennaio 1867
il Mommsen spediva allo Spano da Berlino: assieme alla Memoria sull'antica Gurulis lo Spano aveva inviato le Scoperte del 1866 dove compariva «la
prima stampa del bronzo de' [Patulcensi]»[54].
Il Mommsen aggiungeva: «Ne farò io il debito uso e così mi vedo tolto da questo
dilemma, che per non mancare alla mia parola data all’editore dell’Hermes arrischiava io dissentirmi la
pubblicazione troppo sollecita di un monumento non ancora fatto di pubblica
ragione dallo scopritore medesimo. Io, che ho avuto sul mio tavolino prima che
si stampassero buona parte delle scoperte epigrafiche del nostro tempo, finora
mi sono guardato di cotale teoria e spero, che anche nel futuro me ne guarderò[55].
In un paio di mesi Ella ricevrà la mia dissertazione sul nuovo bronzo che
veramente è interessante assai pel legista come per l’antiquario. Mi spiace
soltanto che io posso approfittarmi de’ suoi lumi, ma che Ella probabilmente
non saprà il tedesco e così non posso sperare di scrivere anche per lei».
La lettera si conclude con un riferimento ai miliari di Settimio
Severo della Campeda di Macomer pubblicati dal Conte Lamarmora, per i quali il
Mommsen chiedeva l'aiuto dello Spano: «Gli ultimi versi non soddisfanno, ma non
azzardo esternare congetture». E aggiunge una preziosa osservazione: «Forse anche
nel suo Bullettino o in qualche altra pubblicazione Ella ne avrà parlato, ma
disgraziatamente tutto il mio apparato per la Sardegna si trova ora a Roma né
ho altro in mano che il testo stampato dal della Marmora».
Come è noto, l'articolo sulla tavola di Esterzili veniva
rapidamente pubblicato dal Mommsen nel 1867 sul secondo numero della rivista
"Hermes", col titolo Decret des Proconsuls von Sardinien L.
Helvius Agrippa vom J. 68 n. Chr.[56], un lavoro che appare interessante ma
poco accurato, con un'edizione del testo non ancora perfetta e soprattutto con
un gravissimo fraintendimento di fondo, relativamente alla cronologia ed alla
produzione del documento, come il Mommsen stesso ammetteva pochi anni dopo sul
X volume del CIL: ad hanc sententiam illustrandam quae olim attuli, non repetam,
tantummodo tempora litis, quae in decreto enarrantur, adscribam, quoniam antea
graviter de iis erravi, partim quod tum ignorabam scribas quaestorios etiam
extra urbem in provincia officio fungi solere…, partim quod Vesmio male credidi
v. 16 duum legi pro eo quod antea
posueram trium». Venivano quindi rettificate le date del governo dei tre
magistrati provinciali, che al Mommsen sembrano essersi succeduti senza
soluzione di continuità (nam tres
praesides continuo ordine administravisse evidenter apparet), il
procuratore equestre M. Iuventius Rixa
nel 67, il proconsole (Cn.) Caecilius
Simplex nel 68 ed il proconsole M.
Helvius Agrippa dal I luglio 68 al I luglio 69, date in realtà da correggere
perché per almeno un governatore è certo un comando biennale.
Nell'articolo si precisava che lo Spano era il primo editore, per
la brevissima notizia pubblicata sulle Scoperte
del 1866, ma in realtà il lavoro frontale dello Spano sulla Tavola di bronzo trovata in Esterzili (Sardegna) con appendice di C.
Baudi di Vesme doveva comparire solo quattro anni dopo nel 25° volume delle
Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino datato formalmente al 1867[57],
così come il lavoro di R. Laboulaye sulla "Revue historique de droit français et étranger"[58].
Nella sostanza, per il primo Mommsen, la sentenza di L. Helvius Agrippa andrebbe riferita al 13 marzo 68 durante il
principato di Nerone; il riferimento al 18 marzo 69 ed al consolato di Otone
riguarderebbe solo la produzione della copia della sentenza, che sarebbe
avvenuta a Roma un anno dopo i fatti, a cura dello scriba quaestorius del Senato e non, come invece appare sicuro, 5 gg. dopo
la sentenza in Sardegna a Karales presso il tabularium
provinciale. Non è il caso di soffermarci oltre sul problema, che crea un
totale fraintendimento del testo, tanto che già Otto Hirschfeld[59],
riprendendo l'articolo del Mommsen del 1867 per le Gesammelte Schriften, pubblicate a Berlino nel 1908[60],
modificò la datazione dal 68 al 69, introducendo alcune rettifiche di fondo e
correggendo l'edizione del testo, che comunque mantiene una sua validità per le
osservazioni sulle forme della cognitio
giudiziaria provinciale, per la composizione del consilium del proconsole, per le caratteristiche del codice ansato
diviso in tavole e colonne contenente in originale le sentenze, per le acute
note archivistiche sul deposito degli atti dei governatori nel tabularium provinciale e nel tabularium principis. Oggi vediamo la
questione con più chiarezza, sappiamo che lo scriba quaestorius ha operato a Karales producendo una copia su
bronzo, trascrivendo il testo dal codice ansato 5 gg. dopo la sentenza;
sappiamo che la forma catastale
conservata in provincia doveva avere
- come sostenuto dai Galillenses - un secondo originale in uno dei tabularia romani, meglio il tabularium publicum del Senato che non
il tabularium principis, in un
periodo di amministrazione senatoria della Sardegna.
L'articolo su "Hermes"
è di un certo interesse perché conferma che al Mommsen erano giunte dal can.
Giovanni Spano - in parte direttamente ed in parte attraverso la mediazione di
Wilhelm Henzen e di Heinrich Nissen - una copia in carta e due copie
fotografiche eseguite a scala molto piccola; sul CIL è precisato: «repetivi et
explanavi ego … usus ectypis a Spano et Nisseno subministratis».
Fondamentale era stato anche l'apporto di Emil Hübner; anzi a seguito di «un
esame congiunto» e «sulla base delle raffigurazioni disponibili», afferma il
Mommsen, «siamo giunti agli stessi risultati in tutti i punti essenziali
sull'argomento». Come già sappiamo, il Nissen «nella sua ultima permanenza a
Cagliari [aveva] esaminato personalmente la tavola», fornendo un valido
contributo alla lettura» (che effettivamente è migliore di quella proposta
dallo Spano quattro anni dopo). Infine un ruolo del Baudi Di Vesme è
espressamente e negativamente richiamato in CIL
X: recognovit sed corrupit magis quam
emendavit. Non va escluso che abbia pesato su tale giudizio il risentimento
del Mommsen per le accese critiche del Baudi Di Vesme all’articolo pubblicato
su “Hermes”, di cui abbiamo un’eco in
una lettera del 2 maggio 1867 conservata nella Biblioteca Reale di Torino ed
inviata da Monteponi a Carlo Promis, con osservazioni puntualissime: «Ho ricevuto
anch’io la memoria del Mommsen (…) L’ho letta attentamente e, a dirla
francamente, mi pare inferiore di assai alla fama dell’Autore. Nessun punto o
legale o storico di qualche importanza è dilucidato; ed alcuni, anche gravi,
errori. Per esempio crede la copia tratta non in Cagliari ma in Roma; e siccome
si vi opponeva lo spazio di soli 5 giorni che corre tra il XV Kal. Apr., giorno della copia tratta, e il III id. Mart., giorno della sentenza, se ne cava attribuendo la
copia e la sentenza a due diversi anni. Dallo stesso errore del credere la
copia fatta in Roma ne deriva, che non sa rendere ragione del perché in capo al
monumento sia inscritto il consolato di Ottone, e non quello dei consoli in
carica dal I marzo Virginio Rufo e Pompeo Vopisco; laddove è chiaro che ciò
avvenne, perché a metà marzo i loro nomi non erano ancora conosciuti in
Sardegna»[61]. Non
mancano altri commenti ironici: «Spiega il codice ansato un codice
avente dei manici per prenderlo più facilmente, perché forse molto pesante». E poi:
«Attribuisce bensì la prima tabula ahenea
al M. Metello dei fasti Trionfali; ma per la sola ragione di niun momento, che
non conosciamo altra persona di questo nome, che abbia a fare colla Sardegna.
Di Giovenzio Rissa dice persona d’altronde sconosciuta». Seguono poi molte
osservazioni (più discutibili) sull’edizione del testo ed un giudizio
esplicito: «tutto questo affare dei termini assegnati è confuso in un modo
spaventevole dal Mommsen, che salta da un anno all’altro».
La questione delle Carte d'Arborea[62]
è trattata in 23 lettere di Baudi Di Vesme al Mommsen ed in 7 lettere del
Mommsen al Baudi Di Vesme, conservate nella Deutsche Staatsbibliothek di
Berlino, tutte databili dal 1869 al 1874, dunque riferibili al periodo che
precede e che segue la pronunzia dell'Accademia berlinese del 1870: nel 1863
era uscito il volume di Pietro Martini su Pergamene,
codici e fogli cartacei d'Arborea, che raccoglieva la quasi totalità di una
documentazione che fu accolta con emozione in Sardegna ma subito discussa ed
accusata di falsità nella Penisola. L'eco di un acceso dibattito compare nelle
lettere del Mommsen, che in questa sede verranno rapidamente richiamate, solo
come premessa al viaggio compiuto nel 1877 in Sardegna.
Già il 26 maggio 1869 il Baudi Di Vesme si rammaricava che il
Mommsen non si fosse potuto fermare a Torino, costretto a rientrare rapidamente
a Berlino per la morte del figlio avvenuta pochi giorni prima: «Haud ignarus mali, miseris succurrere disco; chè io alcuni anni fa perdetti il primo
de’ miei figliuoli; ed anche ora, pur vedendomi crescere intorno sani e vispi
gli altri miei figliuoli pure vivissima sento ancora e sentirò nell’animo
quella perdita»[63].
Il Baudi Di Vesme, acceso sostenitore dell'autenticità delle
Carte d'Arborea e insieme amico sincero del Mommsen e collaboratore per
l'edizione di una serie di testi classici e tardo-antichi, intendeva
sollecitare il Mommsen per ottenere un giudizio da parte dell’Accademia
berlinese: egli aveva già ricevuto da Cagliari, con il consenso del Ministro
che allora risiedeva a Firenze, i 40 manoscritti delle Carte, che intendeva
sottoporre «al giudizio dell’Accademia di Berlino, e di quegli altri dotti che
meglio vi parrà». Annunciava che avrebbe effettuato una scelta e che avrebbe
accompagnato la spedizione con una lettera esplicativa; chiedeva che
l'Accademia si procurasse le opere del Martini e l'articolo contenente Osservazioni intorno alla sincerità delle
Carte d’Arborea, che il Baudi Di Vesme aveva fatto avere al Mommsen con la
mediazione del Tobler.
Commentando l'articolo sulla Tavola di Esterzili per la rivista “Hermes”, il Baudi Di Vesme si riservava
di fare «in altra occasione alcune controsservazioni»; accettava sì la rettifica
di linea 19, ma tornava sulle Carte d'Arborea con qualche accento critico: «Voi
mi confessavate essere verità ciò che io dico (…), che chi non accidentalmente
tratti delle carte di Arborea, ma ne tratti quasi giudice, e su di una tale
questione voglia dare sentenzia, è necessario che esamini attentamente i
documenti intorno ai quali vuol dare giudizio. Ora soggiungo, e non temo che
voi mi smentiate, che un simile dovere incombe anche a chi voglia farsi
beffa di chi è di opinione contraria. Voi avete invero la scusa del dire,
che presso di voi nessuna persona che si rispetti vi crede; ma se questa scusa
sarebbe buona pel volgo dei letterati, che jurant
in verba magistri, non è buona scusa per un par vostro, che deve
guidare l’opinione dei dotti, e non esserne tratto a rimorchio. Ed ho buona
fiducia, che fra non molto voi medesimo crederete nella sincerità di questi
documenti. In ogni caso, la presunzione per ora sta in mio favore; poiché io
parlo di documenti che ho lungamente studiati e che conosco; laddove questi
signori sentenziano a un di presso de
ignoto»[64].
Il 14 giugno 1869, scrivendo da Berlino, il Mommsen comunicava al
Baudi Di Vesme che l'Accademia aveva accettato «la sua offerta riguardante i
codici d’Arborea, cioè si assume l’impegno di far esaminare que' manoscritti,
che le saranno trasmessi, per quegli esperti, sia membri dell’Accademia, sia
altre persone, che le parranno più adatti»[65].
E ciò a due condizioni: «sarà ristretto il giudizio alle ricerche
paleografiche, che dovranno costatare l’autenticità de' suddetti manoscritti.
Può essere ed anzi è probabile, che l’esame necessiterà anche lo studio di
altre quistioni di storia, d’archeologia e di filologia; ma siccome questi
studj si possono fare puramente sui testi stampati e sarebbe poi un lavoro
interminabile appurare tutto ciò su cui parlano i codici Sardi, l’Accademia non
prende l’impegno se non colla restrizione sopra indicata». Seconda condizione:
«il nostro semestre estivo essendo quasi già per finire (le vacanze cominciando
qui sulla fine del Luglio o nel principio di Agosto) sarà necessario di
lavorare l’esame di cui trattiamo pel semestre futuro, così che aspettiamo i
manoscritti pel principio di Ottobre. Ci sbrigheremo al più presto; ma ci vuole
la cooperazione di parecchie e, forse di molte persone (sic), e perciò non ci obbligheremo di restituire i manoscritti se
non dopo sei mesi. Se la restituzione può essere fatta prima, si farà e spero
che sarà possibile ma non lo prometto».
Infine una postilla: «Vi aggiungo che l’Accademia ebbe qualche
scrupolo di entrare in questa discussione, di cui possono nascere discussioni e
litigi, che forse per la quiete della nostra corporazione sarebbe più prudente
di evitare. Ma la nobile schiettezza della vostra offerta, che fa onore -
permettete che ve lo dica - tanto a noi quanto a voi, ho avuto questi dubbj,
non abbiamo voluto rispondervi colla prudenza della pusillanimità. E siate
persuaso, che l’esame si farà con tutta la buona fede possibile. Che i giudizj
de' nostri datti per ora sono piuttosto sfavorevoli, è vero; ma dite con
ragione che manca finora un esame maturo e coscienzioso, e vi dico io, che, se
vengono queste benedette carte, faremo come un buon giudice e tratteremo il
caso tamquam re integra».
Eviterei in questa sede di entrare troppo in dettaglio sulla
questione delle Carte, rinviando al contributo di Antonello Mattone[66]:
il 23 giugno 1869 il Baudi Di Vesme annunciava la spedizione (tramite la
legazione prussiana a Firenze o la legazione italiana a Berlino) per la fine di
agosto o per i primi di settembre; di fatto il 20 agosto poi inviava
direttamente al Mommsen un campione delle Carte, comprese le poesie del poeta
caralitano Tigellio, osservando «Assumendosi un tale esame non esito a dire che
quel dotto Consesso [l'Accademia] rende un grande servizio alla scienza, sia
nel caso che ne risulti che quelle carte sono un’impostura, ancora più poi se
quella ricca sorgente di notizie storiche ecc. verrà, come io non dubito,
riconosciuta sincera, nel senso che quei manoscritti appartengano realmente
all’età che a primo aspetto dimostrano»[67].
Il 23 agosto 1869, accusando ricevuta della quarta pergamena del
Martini, il Mommsen si sbilanciava fino ad affermare: «Confesso che il mio
primo aspetto paleografico le è favorevole; non però in guisa, che non possa
essere contrafazione di un valente paleografo», ma rinviava la questione al
rientro a Berlino dei colleghi assenti per ferie[68].
Il 14 settembre il Baudi Di Vesme coglieva il mutato stato d'animo del Mommsen
e osservava: «Dal tenore delle vostre lettere scorgo, che la persuasione che
avevate della falsità di quelle carte è in voi già scossa grandemente, se non
ancora del tutto distrutta». Replicando ad una lettera per noi perduta, il
Baudi Di Vesme rilevava che esisteva un pregiudizio del Dove, uno degli esperti
coinvolti dal Mommsen nell'esame delle Carte, il quale nel volume De Sardinia insula, pubblicato a Berlino
nel 1856[69],
aveva bollato le Carte come false, nostris
diebus ficta ac fabrefacta: a quindici anni di distanza tale giudizio
appariva precipitoso: «ed io da quel giudizio era stato punto al vivo, non
perché io avessi creduto mai che quell’accusa d’impostura avesse potuto
giungere infino a me, ma perché necessariamente cadeva sopra alcuna delle
persone colle quali il lungo mio soggiorno in Sardegna m’aveva posto in più o
meno intime relazioni, e alcune anche delle quali io amava e stimava di cuore»[70].
Tra i documenti trasmessi al Mommsen (e per noi perduti) c'era anche l'elenco
redatto dal Baudi Di Vesme dei governatori della Sardegna in età imperiale,
noti dalle Carte d'Arborea.
Già il 18 settembre in una lettera per noi perduta il Mommsen
aveva anticipato la condanna di falsità delle iscrizioni latine contenute nei
fogli volanti inserite nel codice del notaio Gilj: il 6 novembre il Baudi Di
Vesme così replicava: «Nell’ultima vostra (…), mi dite, che quelle iscrizioni
antiche che si trovano nell’opera del Martini sono certamente frottole, se mai
ne furono. Io sono in ciò pienamente del vostro avviso; voi mi siete in tali
materie le mille volte maestro, e una vostra parola mi basterebbe, ma sono
lieto di essere stato anche prima su ciò, e sempre, del medesimo avviso. Ma che
il manoscritto sia antico, credo non potervi dubitare, e perciò antica la
falsificazione. Ed agli altri argomenti si aggiunga, che negli scorsi secoli
era una vera gara fra le città di Sardegna di fabricarsi santi e martiri; ora
se si fabricassero iscrizioni antiche, si fabricherebbero relative a tutt’altro
argomento. Io le attribuisco, a quelle dei martiri e le altre di quel
manoscritto, a qualche buon Sassarese di alcuni secoli fa, che volle con quelle
testimonianze glorificare la sua patria. E della falsità di tali inscrizioni ho
fatto anche parola in quello scrittarello sulle carte di Arborea, del quale vi
ho dato un esemplare per voi e uno pel Tobler in Torino»[71].
Alla fine del 1869 si susseguono le lettere del Baudi Di Vesme,
20 novembre, 2 dicembre e del Mommsen, 15 dicembre[72]:
ormai le posizioni sono chiare e si aspetta imminente la pubblicazione del
giudizio della commissione berlinese. Il Baudi Di Vesme è evidentemente a
disagio: «Intorno alla condotta che io abbia a tenere nella controversia sulle
carte di Arborea mi consultai cogli amici fratelli Promis, come persone delle
quali altamente stimo e la lealtà e il giudizio: e sono lieto di aver trovato
il loro avviso pienamente conforme al mio. Io né sono Sardo, sebbene abbia
fatto in Sardegna lunghe dimore, né ho in quelle carte altro interesse che
quello che nasce in me dal lungo studio che v’impiegai, e forse più ancora
dall’amore della scienza, ossia dalla persuasione della loro sincerità, e della
loro importanza non solo per la storia sarda ma anche per molti altri
argomenti. Se queste carte fossero una impostura (il che io reputo non solo
falso ma assolutamente impossibile), neppur l’ombra di sospetto potrebbe cadere
sopra di me, meno ancora perché io non sono da tanto da comporre il testo di
quelle carte, vuoi sarde, vuoi latine od italiane, o da eseguirne la materiale
scrittura; meno ancora, dico, per ciò, che non perché la meritata,
incontrastata ed incontrastabile, mia riputazione di onestà è troppo al di
sopra di ogni tale sospetto. Posso ingannarmi, ma né in questo né in altro fui
mai ingannatore. Dirò di più: siete pienamente nel vero quando dite nella vostra
lettera, che se venissi a persuadermi della falsità di quelle carte, non
esiterei a dirlo schiettamente. Ma per ciò appunto, che coll’aprire io in
alquanti miei scritti una discussione su quelle carte, ed ora coll’avere
provocato intorno ad esse un vostro giudizio, non ebbi altro scopo che di fare
la luce, desidero che la luce si faccia; e ciò sarà tanto più, quanto più la
discussione sarà ampia ed aperta, e si vedranno esposti e contraposti gli
argomenti delle persone che sono delle due contrarie opinioni: ond’io
preferisco, che quella mia lettera si stampi, e che si stampi la relazione
della Commissione, ed in una parola tutto ciò che può contribuire a conoscere
il vero nell’importante questione». Segue una polemica con lo Jaffé, per il
giudizio paleografico negativo, con l'invito ad approfondire le questioni, ad
effettuare una più accurata analisi chimica, a controllare con altri documenti
sardi le caratteristiche abbreviature dei manoscritti. E infine: «Quale amico,
e quale sincero e disinteressato cooperatore con voi alla ricerca del vero, vi
invito caldamente a giudicare con calma, a ben esaminare tutti i manoscritti
che vi ho trasmessi, a non affrettarvi giacché quei manoscritti vi si lasciano
per parecchi mesi, e soprattutto a premunirvi contro l’influenza, che anche
contro nostra volontà e a nostra insaputa sogliono esercita [sic] e su noi le preconcette opinioni.
Procurate che il giudizio dei vostri nipoti concordi col vostro».
Nel frattempo (nelle lettere del 9 dicembre 1869, 10 gennaio,
metà mese, 21 gennaio 1870) la corrispondenza tra il Mommsen ed il Baudi Di
Vesme si sviluppa intorno agli argomenti più diversi, le verifiche sui codici
liviani o sui codici di Gregorio Magno, ancora le Novelle di Giustiniano, il
Codice Teodosiano (come è noto l'edizione del Baudi Di Vesme del 1839 e quella
dell'Hänel del 1837-42 sarebbero stati alla base di quella del Mommsen del
1905)[73],
il Digesto[74], il
codice milanese delle Novelle di Giuliano scoperto nella Biblioteca Trivulziana[75],
il ritrovamento di un decreto di Claudio che il Vallauri «persona a voi
nemicissima» vorrebbe pubblicare credendolo inedito: di là a poche settimane il
Mommsen avrebbe replicato: «avete fatto bene d'avvisare il Vallauri, che farà
meglio di continuare quelle graziose satire alla Petroniana, che commentare
un'iscrizione che certamente non capisce. Veramente ha fatto abbastanza per
attirarsi le risate di Torino, né occorre che continui questo mestiere».
L'argomento sarebbe riesploso in una lettera del 6 febbraio 1870, nella quale
il Baudi Di Vesme avrebbe ricordato il ruolo di Carlo Promis, «intermediario in
tutta questa faccenda» e il giudizio del Vallauri sul Mommsen, pubblicato
sull’Unità Cattolica, a proposito «della vostra molta e non volgare erudizione»[76].
Infine la scoperta della tavola bronzea con la dedica a Giove,
Giunone e Minerva da parte dei Falisce
quei in Sardinia sunt, con sul retro un'iscrizione in versi saturni ancora
non studiata da Raffaele Garrucci[77],
che l'aveva presentata all'Accademia Archeologica, pensando ad un nuovo popolo
della Sardegna («secondo la vostra copia - scriverà il Mommsen nel gennaio 1870
- va in aria quel sogno del Garrucci, che vi ravvisò un popolo sardo di questo
nome, e tutto è chiaro e piano»): si conferma il pessimo giudizio del Mommsen
sul gesuita, accusato nel IX e nel X volume del CIL di vere e proprie falsificazioni: «veros titulos non raro fraudulenter interpolavit»[78].
Più tardi, il 28 gennaio 1870, il Baudi Di Vesme avrebbe un poco esagerato:
«Ben dissi al Garruci, che a mio avviso il Falisce
si riferiva al Minervai, non al quei in Sardinea sunt; ma non volle saperne, né io credetti dovere
insistere»; e il Mommsen il I febbraio precisava: «Non dubito della lezione del
bronzo Folisco, ma intendo, che dal contenuto non segue punto l’esistenza di una
città Sarda di questo nome»[79].
Ma il punto cruciale restava il giudizio
negativo sulle Carte d'Arborea, anticipato dal Mommsen in una lettera perduta e
soprattutto in occasione di una sua visita all'Accademia di Torino: «Sono
perfettamente d’accordo con voi - scriveva il Baudi Di Vesme il 10 gennaio -
che non devo entrare a dimostrare l’assurdità che vi sarebbe se alcuno
sospettasse di me a proposito delle Carte di Arborea; e se ne ho fatto cenno
con voi, si è perché essendo voi stato a Torino, e avendo avuto occasione di
parlare con molti del fatto mio, non v’era pericolo che quelle parole presso di
voi mi pregiudicassero»[80].
Ma il Baudi Di Vesme non intendeva discutere della questione almeno per ora,
riservandosi di farlo in altra occasione.
E viceversa, forse per alleggerire la tensione, riferiva delle
scoperte archeologiche effettuate in Sardegna (una stadera in bronzo) ed
annunciava che «lo Spano con suo testamento, al quale in questa parte darà
esecuzione egli stesso in vita, lascia all’Academia di Torino la base trilingue
(latina, greca, fenicia) ad Esculapio; e al Museo di Cagliari il bronzo di
Esterzili», che sarebbe finito in realtà al Museo di Sassari.
In una lunga lettera della metà di gennaio, il Mommsen annunciava
sibillinamente che i tempi erano ormai maturi e che «il parere della nostra
commissione sui frammenti di Arborea sarà presentata all’Accademia il 31 di
questo mese e stampato fra poche settimane»[81].
Non si entrava nel merito del giudizio, ma si annunciava che di conseguenza
venivano rispedite a Torino (presso i fratelli Carlo e Domenico Promis, essendo
il Baudi Di Vesme in Sardegna)[82]
tutti gli originali, in attesa di ricevere una ricevuta liberatoria.
Il 21 gennaio 1870 ancora il Mommsen scriveva al Baudi Di Vesme
senza toccare il tema scottantissimo delle Carte: «Sicome siete in Sardegna,
pensate un poco a me ed alla mia epigrafia. Le grandi opere già non mancano
almeno alla nostra Biblioteca, ma bensì le piccole dello Spano e di altri,
senonché negli ultimi anni lo Spano me ne ha favorito alcune. Probabilmente
costì molte se ne troveranno facilmente e vi sarei grandemente obbligato se ne
vorreste mettere a parte per me un gruppo e mandarmelo quando conviene»[83].
È il Baudi Di Vesme a prendere il toro per le corna in una
lettera del 28 gennaio, che dunque precede di tre giorni il giudizio della
commissione berlinese: il parere contrario all’autenticità delle Carte gli era
già noto, perché era stato anticipato dal Mommsen in una lettera a Carlo
Promis: «L’amico Promis mi communicò la lettera che gli scriveste. Non erano
necessarie raccomandazioni, e potete essere certo, che non solo non prenderò a
male il giudizio contrario della vostra Academia, ma anzi sono lieto, che sorga
chi, per la prima volta, combatta la sincerità delle carte di Arborea non colla
nuda asserzione della loro falsità, né con dileggi, ma con argomenti. Del
valore di questi non posso parlare ancora, non conoscendoli; ma siate certo che
li esaminerò con animo calmo, e, come dicevate voi in una vostra lettera, tamquam re integra: e se mi
convinceranno, non esiterò un istante a confessarlo. Se non mi convinceranno,
ne esporrò le ragioni nella Prefazione dell’edizione che in quel caso
farò delle poesie italiane (tutte) e sarde (scelte) contenute nelle carte
Arboresi». Dopo aver ricordata la lunga consuetudine con la poesia toscana del
Trecento e la propria capacità di riconoscere gli autori moderni, il Baudi Di
Vesme affermava l'impossibilità di una falsificazione su testi poetici di tale
valore: «Nessun poeta italiano vivente sarebbe da tanto; nessuno anzi di quanti
fiorirono nel presente secolo. Come dunque supporle opera d’un ignoto
falsificatore? Il Pillito non è poeta, né buono né cattivo, né in italiano né
in sardo: è ottimo paleografo, e nulla più. Il Martini scriveva immensamente
meglio e in prosa e in poesia ma pure quale distanza tra lui e Bruno de Thoro,
per esempio, od Elena d’Arborea, e per lingua e per pensieri! Oltreché egli,
Cagliaritano, intendeva bensì, ma non sapeva scrivere, il Sardo Logudorese, e
molto meno il Sardo antico. Ma soprattutto, era persona di onestà tale che era
al di sopra fin del sospetto di falsario o di complice. Insomma, fossero ben
anche quelle poesie cosa falsificabile (che non sono) da mano abilissima,
questa mano abilissima fa assolutamente difetto». In realtà il nome di un poeta
c'era e verrà fuori più tardi, il can. Gavino Nino, poeta in lingua italiana e
logudorese. Infine le dimensioni stesse dell'opera erano tali che avrebbero
reso impossibile un falso: «Aggiungasi poi, che la mole delle carte d’Arborea è
tale, che ad un falsario che avesse dovuto comporle, appena avrebbe bastato la
vita; e qui oltre li scritti, sarebbersi falsati, e fatti nuovi in forma di
vecchi, anche 40 e più manoscritti!»[84].
Si arriva dunque al 30 gennaio, quando l'Accademia faceva propria
la relazione del Mommsen, che sulla vicenda del giudizio sulle Carte d'Arborea
aveva ormai assunto un ruolo di primo piano, presiedendo assieme a Moritz Haupt[85]
la commissione d'inchiesta nominata dalla classe filologico-storica della
Accademia di Berlino su richiesta di Carlo Baudi Di Vesme: ai lavori della
commissione avevano preso parte anche Alfred Dove per la parte
storico-medioevale[86],
Philipp Jaffé (che sarebbe morto suicida dopo pochi mesi) per la parte
paleografica[87] ed
Adolf Tobler per la parte linguistica[88].
Il Mommsen in realtà si era occupato prevalentemente delle iscrizioni contenute
nelle Carte d'Arborea, di cui aveva dimostrato luminosamente la falsità[89].
Il I febbraio 1870, due giorni dunque dopo il giudizio
dell'Accademia, il Mommsen scriveva al Baudi Di Vesme, commentando per inciso:
«Sono ben persuaso, che, anche se vi sarà diversità di parere sopra que’
documenti, non vi sarà rissa; l’ho sempre detto e la vostra ammirabile lettera
me lo fa vedere di nuovo, che voi non cercate e non volete che la verità, e
così potrete sopportarla, anche se non l’approvate. Del resto s’intende, che
noi non entreremo nella quistione, come mai sia stata possibile questa
faccenda, che veramente fa stupire. Ma vi ricordo, che pur mai si è vista
falsificazione veruna, senza che vi si appichi la quistione: ma se questo è
falso, chi può l’aver fatto? e quella dimostrazione che di tale frode nessuno
sia capace»[90].
Il tema delle Carte sembra accantonato: il 6 febbraio il Baudi Di
Vesme annunciava una sua prossima visita in Sardegna, dove l'epigrafia latina
era alquanto negletta: «In Sardegna (dove devo tornare fra un mese) nessuno si
occupa di epigrafia, tranne lo Spano, sicché se avete le sue publicazioni, avete
tutto. Vi sono bensì alcuni che si occupano di antichità fenicio-sarde; ma poco
saprei dirvene, essendo cosa al tutto lontana dà miei studii»[91].
Era già in preparazione il viaggio del Mommsen, ma il Baudi Di Vesme poteva
essere di scarsa utilità se il 12 febbraio 1870 osservava: «Non tengo gli
scritti dello Spano fuorché alcuni perché stampati negli ultimi anni»[92].
Più tardi, il 21 luglio: «In Sardegna si scopersero nuove inscrizioni fenicie.
Communicai allo Spano due nuove inscrizioni romane funerarie scopertesi presso
Iglesias, ma di niuna importanza»[93].
In quella stessa lettera del 12 febbraio il Mommsen accusava
ricevuta per una memoria speditagli dal Baudi Di Vesme[94],
sulla quale dichiarava «ma non sono pienamente del vostro avviso». Ugualmente
elusiva la lettera del Baudi Di Vesme da Napoli (19 febbraio), mentre ci rimane
l'eco delle polemiche romane in una lettera inviata dal Mommsen a Giovanni
Battista de Rossi il 5 luglio 1870: «quanto alle pergamene sarde {ho} aveva
paura io, che ne seguitase una guerra letteraria nazionale, che è sempre
nociva; ma vedo con piacere, che anche costì trovano verun difensore che conti.
Crederete ben, che non ho mai dubitato del vostro giudizio sopra quelle
falsificazioni»[95].
Le cose non erano esattamente in questi termini, come testimonia
una lunga lettera del 17 aprile 1870 a Carlo Promis inviata dal Baudi Di Vesme
e conservata nella Biblioteca Reale di Torino: «la sera del giorno che Le
scrissi, ricevetti la gradita sua del 10 e sei esemplari del giudizio dato dall’Academia
di Berlino intorno alle carte d’Arborea. Invero mi credeva che fosse qualche
cosa di meglio! Esaminare poche righe di un manoscritto, poche pagine di un
altro: e, pur confessando che l’apparenza di ambedue ne è antica, dire non
quelli soli ma ad un fascio gli altri tutti opera di un moderno impostore,
perché vi si trovano abbreviazioni diverse da quelle usate nei manoscritti
antichi italiani; senza neppur verificare se simili abbreviazioni si trovino
anche in altri manoscritti sardi di fede incontestata (che pur ve n’ha,
quantunque non in gran numero) e, quel che è più strano, sull’appoggio di
quel solo argomento (parlo delle obiezioni paleografiche) rigettare, senza
neppure far cenno della differenza, anche quei manoscritti (e ve n’avea tra
quelli medesimi che io aveva mandato a Berlino), ai quali tale obiezione,
qualunque ne sia pur il valore, non era applicabile, perché in essi non
si trovavano quei riprovati compendii di scrittura: invero mi pare vi voglia
qualche cosa di più, per demolire d’un tratto e in un modo irreparabile, come
pretende la lettera a Lei scritta dall’Haupt, l’argomento che in favore
dell’antichità di quelle carte anche all’occhio meno esperto viene da tutta
l’apparenza di quei codici: carta (certamente antica, e colle marche di
fabbrica portate da altri manoscritti sardi di quella età), caratteri (facies non omnibus una, nec diversa tamen,
qualem decet esse fra codici della medesima età, ma scritti da diverse
persone), inchiostro (ho tenuto uno di quei fogli cartacei, mio, per parecchi
giorni nell’acqua, per vedere se l’inchiostro si dileguasse). Non ho letto per
intero finora, ma solo percorso, la dissertazione del Dove, che considera la
questione sotto l’aspetto storico: dice spurie quelle scritture ora a motivo
della loro discordanza, ora della loro concordanza, colla testimonianza di
altri scrittori intorno alle geste di re Museto (negli anni immediatamente
precedenti e seguenti il 1000) in Sardegna. Questo genere di argomenti per me
non ha (né, credo, per Lei) verun peso: chè né il consenso né il dissenso di
due scrittori, soprattutto intorno a fatti non contemporanei ma anteriori di
alcuni secoli, non prova che l’uno o l’altro sia spurio: ma soltanto che in
caso di dissenso certamente almeno l’uno dei due, in caso di consenso forse
ambedue, s’ingannarono. Il Tobler trattò la questione sotto l’aspetto
filologico, ma sgraziatamente con non sufficiente corredo di antichi documenti
Sardi da porre al paragone, sotto l’aspetto della lingua, con questi nuovi: ei
mette i nuovi documenti Sardi al confronto col solo Statuto di Sassari (1316),
senza pòr mente che senza dubio assai diversa era, come, e ancor più, è ora, la
lingua di Sassari da quella del mezzogiorno della Sardegna. Fa anche alcune, ma
non gravi, difficoltà contro le poesie italiane; e non mi farebbe maraviglia di
vedere un bel giorno il Tobler considerare le carte arborensi come documento
sincerissimo. E ciò forse avrebbe fatto fin d’ora, s’ei fosse anche un po’
poeta, e non un semplice distillatore di parole e di desinenze». Ma il
risentimento è soprattutto verso lo Jaffé: «si sa, quale motivo abbia indotto
il Jaffé ad un atto così poco degno di persona, qual egli era, stimata?». E
poi, rivolgendosi al Promis, da sempre incerto sull’autenticità delle Carte:
«Non voglio assolutamente ch’Ella abbia a portare la pena non solo col disturbo
ma anche colla spesa, dell’essere di quando in quando dirette a Lei le carte a
motivo delle frequenti mie assenze; e intanto, voglia Ella o non voglia,
rimborsarle al mio ritorno tutte le spese che avrà perciò avute»[96].
Solo il 21 luglio 1870 il Baudi Di Vesme decideva di riaprire la
vertenza col Mommsen: «Ma soprattutto mi occupo della risposta al vostro
giudizio relativamente alle Carte di Arborea. Già l’amico Promis vi avrà
scritto, che non m’ebbi per nulla a male un tal giudizio, ma che non solo non
mi convinse, anzi produsse l’effetto contrario. Sotto l’aspetto paleografico la
risposta consiste principalmente in ciò, che quelle che il povero Jaffé (quanto
mi duole l’immatura e triste sua fine!) chiama paläographische Unmöglichkeiten, paläographischen Widersinn, si trovano invece in tutti quasi i
manoscritti Sardi di quell’età, e ben altre! Ad una ad una le confermo con
esempii, citando il codice e la pagina. Tratto poi a lungo la parte esaminata
dal Tobler; ma è piuttosto un lavoro originale, che non una risposta alle né
gravi né numerose objezioni del Tobler medesimo. Anzi, se ho a dirla schietta,
il Tobler mi parve esitante, e come non ben persuaso della sincerità, così
neppure della falsità di quelle carte. A voi rispondo 1° che il codice del Gili
non è dei codici d’Arborea; 2° vi concedo la falsità di quelle inscrizioni, ma
la credo antica. Quel mio lavoro escirà negli Atti (corrispondenti ai vostri Monatsberichte) della vostra
Academia[97]; ma
contemporaneamente escirà anche nell’Archivio Storico di Firenze[98],
unitamente al Volgarizzamento da me fatto del Giudizio della vostra Commissione[99];
sì che quelli i quali si occupano di questi studii avranno, in un fascicolo
riunite (e ne farò trarre copie a parte, e ve le manderò colla massima
sollecitudine) la domanda e la risposta. Del resto, e per debito di giustizia,
e per contribuire a rischiarare la questione, non dubito che alcuno di voi
publicherà in Germania tradotta la mia Memoria, come io publico da me tradotta
la vostra; e come io a quella faccio seguire le mie osservazioni, così alcuno
di voi le farà seguire dalle sue controsservazioni».
In appendice veniva trascritta la parte iniziale del lavoro,
introdotta da una frase del Manzoni, che intendeva rasserenare il contrasto: «A
ogni modo, questa questione così importante per la storia patria è stata
trattata da scrittori delle diverse parti d’Italia non so se con maggior
discordia di pareri, o con maggior benevolenza degli animi; dimanierachè il
discutere è stato quasi uno studiare insieme».
Il Mommsen il I agosto 1870 coglieva al volo l'occasione per una
pacificazione: «Vedo con sommo piacere dalla vostra lettera, che se non siamo
d’accordo sui frammenti d’Arborea, però lo siamo sopra quistioni morali
d’importanza assai maggiore, e che alla franca lealtà, con cui abbiamo dato il
nostro parere pienamente risponde la vostra contesa letteraria, che finisce
così e guadagna per entrambe le parti»[100].
Ma il Mommsen è irremovibile nella sostanza: «Quanto alla vostra risposta debbo
avvertirvi, che come pare è impossibile continuare la discussione ne’ nostri
dotti. Quando prima si trattò della vostra domanda grande fu l’esitazione e
molti temevano, che l’Accademia così entrerebbe in una polemica, che ad essa
non conviene, e tanto più, perché è facile, che questa polemica sia creduta,
benché falsissimamente, polemica de' tedeschi verso gli italiani. Ma vinse la
vostra istanza di avere un parere. Ora questo è dato, la commissione coinvolta;
fu ben inteso fin d’allora, che sarebbe libero a ciascuno di continuare o non
continuare la discussione, ma non negli Atti e non a nome dell’Accademia. Io
per me non vedo, perché sarà necessaria di continuarla, e quanto a me, sono
quasi certo che non lo farò».
Il 10 agosto il Baudi Di Vesme, scrivendo da Castelguelfo,
tornava a parlare di Carte d'Arborea, annunciando la prossima pubblicazione di
un lungo articolo di Osservazioni sulla
relazione della Commissione berlinese (in particolare per la parte firmata dal
Tobler) e la preparazione di un'antologia di tutte le poesie edite ed inedite,
con un lavoro sulle origini della lingua italiana: è come se il Baudi Di Vesme
procedesse per inerzia, convinto della sua tesi e incapace di digerire tutte le
osservazioni critiche. E poi cambiava argomento, per tornare nuovamente sul
tema più caro: «Passando ora nuovamente alle Carte d’Arborea, sono pienamente
d’accordo con voi, che la vostra Academia non può né deve più oltre
frammettersi, come Corpo Academico, in questa discussione. Vedrete
tuttavia da quel mio lavoro, che dalla presente discussione possono nascere
parecchie discussioni scientifiche importanti, che ognuno può individualmente
trattare negli Atti della sua Academia. Si è così che ho fatto io: quel
lavoro è cosa mia al tutto personale, e l’Academia vi è al tutto estranea. Del
resto stampo bensì quelle mie Osservazioni negli Atti della nostra Academia, ma
ivi non precedute dalla traduzione della vostra Relazione: ma quasi
contemporaneamente il tutto si pubblica nell’Archivio Storico [Italiano] di Firenze; e si è di questa
publicazione complessiva che si trarranno le copie a parte, che vi farò
tenere». Infine chiedeva il consenso del Mommsen per pubblicare anche le
lettere private che si erano scambiati sullo spinoso argomento, «essendovi
molte cose assai utili a rischiarare la questione»[101];
ma, constatando il silenzio del Mommsen sull'argomento, il 30 settembre avrebbe
aggiunto: «Già prima di ricevere la vostra lettera io aveva compreso dal vostro
silenzio, ch’era vostra intenzione o desiderio che mi astenessi dal pubblicare
estratti della nostra corrispondenza; e così feci. Del resto potete essere
certo, che avrei scelto in modo i tratti da publicare, che nessuno avrebbe
potuto rimanerne offeso, né dispiacente in alcun modo»[102].
Sullo sfondo compare l'attualità politica, il ricordo delle
splendide accoglienze fatte in Italia al principe ereditario di Prussia, un
paese che avrebbe potuto sostenere le rivendicazioni su Roma Capitale; e ciò
mentre il Governo si legava a Napoleone III ed alla Francia, con grande
malumore degli Italiani. Ma il 30 settembre, otto giorni dopo Porta Pia, prima
ancora del trasferimento della capitale a Roma, appare la sorpresa per gli
errori compiuti dalla Francia e la gratitudine per la posizione prussiana: «Ma
non meno mi stupisce il vedere come i Francesi perderono fin l’ombra del buon
senso; e per uno scopo impossibile fanno a sé medesimi più male, che non
potrebbe farne loro il più fiero nemico. I fortunati siamo noi, che senza
sacrifizii acquistammo la nostra capitale, della quale sotto doppio aspetto
siamo debitori alla Prussia; ossia alle sue vittorie, ed a’ suoi stimoli sul
nostro addormentato Governo».
Proprio il 30 settembre il Baudi Di Vesme poteva finalmente
trasmettere le sue Osservazioni sul giudizio della Commissione berlinese,
aggiungendo qualche frase sulla fine dello Jaffé, che avrebbe avuto un seguito
in Sardegna: «Fra gli autori degli Allegati alla vostra Relazione, mi pare che
il Jaffé quando scriveva fosse già dominato da quelle preoccupazioni, che in
modo sì doloroso lo trassero ad una morte immatura. Altrimente, come mai un
siffatto valente paleografo avrebbe potuto asserire, che l’omissione di
differenti lettere è sempre indicata con segni diversi?»[103].
Seguono alcune osservazioni sull'impossibilità che una stessa mano sia
all'origine di due documenti distanti nel tempo (in particolare la pergamena 4
e il codice Garneriano). E aggiungeva: «Ho dovuto combattere il Jaffé; ma
sempre l’ho fatto col rispetto dovuto a tant’uomo, e anche alla sua sventura».
Sulla parte scritta dal Tobler il giudizio è più sereno: «Molto
ho imparato dal lavoro del Tobler; ho ammirato inoltre parecchie sue
divinazioni, le quali mentre per l’una parte mi hanno dimostrato di quanto fine
e giusto criterio sia il Tobler, per altra parte mi confermarono nella
persuasione della sincerità delle carte d’Arborea. Desidero ch’egli pure trovi
qualche cosa di buono e d’utile nel mio scritto, e lo spero».
Leggera e superficiale gli pare la parte storica curata dal Dove: «Non posso dire lo
stesso del Dove. Un giovane al quale una Commissione della vostra Academia fa
il non lieve onore di associarlo ad un suo lavoro, dovrebbe per ciò stesso
considerarsi come obligato a porvi tutta la sua cura e diligenza, onde non fare
cosa indegna della compagnia nella quale fu assunto. Ciò non fece il Dove; e il
suo lavoro è di una leggerezza senza pari. Per esempio, l’esposizione che fa
dei fonti storici Pisani della storia di Museto è un ammasso tale di errori, di
omissioni, di anacronismi, che a farlo apposta non avrebbe potuto accumularne
di più».
Infine, l'epigrafia latina e la relazione stesa personalmente dal
Mommsen: «In quanto alle inscrizioni del codice Gili, a quanto ho detto nelle
mie Osservazioni aggiungerò,
che l’inscrizione relativa al tempio della Fortuna di Torres non fu dissotterrata
nel 1820; essa è al suo luogo sulle rovine del monumento, e perciò nulla vieta,
che già anticamente fosse vista e trascritta o dal Gili o da altri prima di
lui. Io credo quelle iscrizioni invenzione di un pio ed ignorante Sassarese del
secolo XIV; il loro tenore ed argomento non rassomiglia in nulla a quello delle
sincere carte Arboresi; ché, come già notai, quel codice non è per nulla
arborese»[104].
E concludeva: «Conosco la Sardegna da più di trent’anni, ma non
sono Sardo; e perciò anche sotto questo aspetto non ho né posso avere
prevenzione alcuna in favore di queste carte; anzi dapprima le guardai con
diffidenza pari a quella colla quale fatte voi; ché non fui corrivo mai a
credere sincero un documento (…). Non sono novizio in questi studii; credetemi:
questi documenti sono fuori di ogni dubio sinceri, nel senso ben inteso ch’io
dichiaro (nel) § 93 delle mie Osservazioni».
Chiedeva infine di ricevere copia degli «scritti che in Alemagna si
publicassero, pro o contro, su quest’argomento» e di essere informato sui
giornali interessati a tali materie, in modo da poter inviare copia del lavoro
di replica alla Commissione berlinese; intanto annunciava che entro due mesi
avrebbe inviato al Mommsen ed al Tobler ulteriori poesie sempre provenienti
dalle Carte d'Arborea.
La questione sembra chiudersi con queste note, anche se
possediamo alcune altre lettere del Baudi Di Vesme per annunciare la scoperta
di nuove iscrizioni in Sardegna. Il 20 maggio 1872 ad esempio si dà notizia del
ritrovamento di un nuovo diploma militare, venuto in luce «nelle parti di
Sassari» (in realtà ad Anela) e datato al regno di Galba[105]:
«Da lungo tempo voleva scrivervi per darvi notizia di un nuovo congedo militare
trovato in Sardegna; ma attendeva di averne una buona copia, poiché il calque che ne aveva veduto in Cagliari
(delle sole due facce esterne) era pressoché illegibile. Ma il possessore
continua a non volerne lasciare trar copia; onde io, senza aspettare più oltre,
prendo il partito di dirvene il poco che ne so. Il diploma è ben conservato, e
fu trovato nelle parti di Sassari. È una terza copia del diploma di Galba: le
differenze dalle altre due sono
1°, naturalmente il nome del soldato, che in questo, per quanto
potei leggere, è Ursari, Fornalusti [in
realtà Tornalis] filio, Sardo.
2° mancano, per evidente svista dell’incisore, le parole quorum nomina subscripta sunt; non so se
vi siano nel testo interno.
3° il secondo console con nome più intero, è detto Publio Cornelio Scipione Africano.
4° prima del nome del soldato congedato, nella stessa linea, si
legge tabula II, pagina V, loco e
dopo questa voce è vuoto lo spazio del numero (XVIII). All’incisore mancò la pazienza di contare in che posto
della 5a colonna della 2a tavola fosse notato l’Ursari.
5°.... Romae in Capitolio
in ara gentis Juliae, loco dexteriore o dextro;
non so quale dei 2.
6° I nomi dei testimonii sono 9, come nel
secondo dei 2 di Nerone; ma è questa la parte meno leggibile della copia da me
veduta. Posso dirvi bensì, che dei 9 testimonii, 6 per patria erano
Cagliaritani; uno Sulcitano; degli altri due non potei leggere la patria»[106].
Il 2 maggio 1873 le notizie si sarebbero fatte più precise: «Sono
lieto di potervi annunziare, che quel dispaccio militare di Galba del quale
altra volta vi scrissi, è ora in Cagliari nelle mani dello Spano: io lo vidi, e
lo lessi per intero in occasione del recente mio passaggio a Cagliari. Esso è
benissimo conservato; vi sono, come spesso, alcune leggiere varietà tra la
parte interna e l’esterna; questa è più corretta. Ma ciò che vi ha di più
notabile in queste tavole sono i nomi dei testimoni. Di patria, sette sono
Cagliaritani, uno Sulcitano, ad uno non è indicato il nome della patria, ma si
dice invece non mi ricordo che, nella legione Prima Adjutrice. Lo Spano, che
l’ha comperato, intende publicarlo fra breve nelle Memorie della nostra Academia, e desidera che vi aggiunga io pure
alquante osservazioni. Invero, dopo quanto fu detto da quanti mi precedettero,
non so gran fatto che poter dire; ma tuttavia non gli seppi ricusare, temendo
paresse scortesia. Fatemi adunque il piacere di farmi tenere un esemplare della
recente vostra edizione nel Corpus
Inscriptionum [Latinarum]; ché sarei ridicolo se io trattassi di diplomi
militari senza prendere a fondamento quella vostra publicazione, della quale
udii parlare dal Bruzza[107]
e da altri, e che vidi anche citata, ma che non potei mai avere sotto gli
occhi»[108].
E poi un giudizio per noi prezioso su quello che aveva visto in
occasione della sua recente visita in Sardegna, presso Gonnesa: «In parecchi
luoghi con molto ardore vi si cercano antichità, ma principalmente quelle
anteriori all’epoca Romana. Dei tempi Romani si scoprirono, a un 8 chilometri
di distanza da dove sono i miei lavori di miniera, le rovine di qualche pago
Romano, in luogo pochi anni fa al tutto deserto, e dove ora è eretto uno
stabilimento per coltivazione di una miniera di lignite. Fui appositamente sul
luogo: pare fosse località di qualche importanza, poiché vi si trovano numerosi
pezzi di pietra quadrata, ed alcuni con cordoni e altri ornamenti, dei quali
tutti vi si fa uso oggidì per le nuove fabriche. Vi trovai la seguente
iscrizione, della quale trassi un calque,
che diedi al Promis Carlo, nell’intervallo tra la seconda e la terza sua
malattia, affinché ve lo spedisse; ma temo assai che glie ne sia mancato
l’agio; e perciò ve lo trascriverò da una copia che ne ritenni. Vi ritrovai
anche numerose terraglie, evidentemente fabricate sul luogo; la terra, finissima,
essendo appunto di quella che ivi si trova: due lucerne e una lagena (fatta a
pezzi) hanno il monogramma di Cristo assai bene eseguito; furono trovate
accanto all’iscrizione; ne ho tratto l’impronto di argilla, che darò al
Derossi.
L’iscrizione è la seguente[109]:
CLAVDIA•AVG•LIB• / PROPOSIS• NISO•TI•CLAVD / CAESARIS•AVG•GERNAN /
CONTUBERNALI•SVO / BENEMERENTI•DESE /
FECIT».
Il 15 maggio 1873 il Mommsen rispondeva da Napoli (da «Via Carlo
Doria, casa Tugginer, accanto allo stabilimento idro-terapico») ricordando che
i diplomi militari stavano per essere pubblicati nel III volume del CIL «non ancora uscito, ma di cui si
stanno stampando gli ultimi fogli»; anzi nella sua cortesia arrivava a spedire
al Baudi Di Vesme le bozze del volume con le pagine relative agli altri diplomi
di Galba, ma in cambio chiedeva che il primo foglio gli venisse subito
rispedito a Napoli (n. 106) e gli altri all'Henzen a Roma «che pure non
vorrebbe starne privo molto tempo»[110].
Comunicava infine che negli Additamenta
di CIL III si davano le poche notizie
fornite dal Baudi Di Vesme nella lettera precedente[111].
Il 19 maggio il Baudi Di Vesme restituiva i fogli 107-115, annunciando che
avrebbe inviato il 106 al Mommsen e tutti gli altri allo Henzen; l'opera dello
Spano ancora non era uscita, mentre Carlo Promis era ormai moribondo: «Non vi
ha alcuno fra quanti lo conoscono, che non lo compianga di cuore; ma Ella ha
ben ragione, che per nessuno forse tal perdita sarà così grave e dolorosa, come
per Lei e per me»[112].
Poche settimane dopo il 30 maggio il Baudi Di Vesme annunciava la morte del
Promis, «un amico suo e mio, del quale sento ogni giorno di più la perdita, e
mi lascia un vuoto che non si colmerà». Del resto «è questa la sorte che tocca
alla mia età; si perdono gli amici antichi, né più se ne acquista dei nuovi».
Nella stessa lettera scriveva al Mommsen per ringraziarlo della cortesia e per
restituire il foglio 106 del CIL III;
aggiungeva anzi un fac-simile fatto vent'anni prima di un diploma di Firenze[113]
e comunicava una serie di dati preziosi sulla Corsica: «Ho trovato pure tra le
mie carte alcune iscrizioni di Corsica, statemi date già dal Gregory; non so
neppure se sieno inedite, ed in ogni caso non dubito che già le conosca; ma ad
ogni buon fine glie le mando». Viceversa «di Sardegna da qualche tempo non ho
notizie dirette; so tuttavia che in generale vi si va assai più in traccia di
antichità Fenice che di Romane; furono di recente scoperte parecchie necropoli
dell’epoca fenicia o cartaginese». Infine ancora le Carte d'Arborea, in vista
dell'edizione delle poesie (italiane e sarde), che gli avrebbero consentito di
scrivere una nuova storia della letteratura italiana delle origini[114].
Il 9 aprile 1874 il Baudi Di Vesme annunciava il suo prossimo
viaggio in Sardegna e il progetto di «far eseguire ricerche in un luogo dove
sono grandiose rovine, che io credo essere dell’antica città di Metalla»,
evidentemente presso il tempio del Sardus Pater di Antas, dove qualche anno
dopo lo Schmidt avrebbe letto l'iscrizione dedicatoria, attribuendola
erroneamente a Commodo e non a Caracalla[115],
senza identificare la divinità e in più collocando il vero tempio del Sardus
Pater presso Neapolis. E aggiungeva: «Non mancherò di darvi notizia del
risultato delle mie ricerche»[116].
E poi tornava sul diploma di Anela: «Ho veduto a pag.1058 del
Vol. III del Corpus Inscriptionum la
menzione che fate dell’esemplare scoperto in Sardegna del diploma di Galba.
Suppongo che avrete anche ricevuto le publicazioni dello Spanu dove ne
parla, compresa l’ultima, Scoperte
Archeologiche fattesi in Sardegna in tutto l’anno 1873, dove a pag. 25-26
parla di questo congedo, e dà i nomi dei testimonii. Ho dinanzi a me il bronzo,
rimessomi dalla Spanu, che intende publicarlo negli Atti della nostra Academia.
- In prima devo rettificare l’errore della mia lettera dell’anno scorso, dove
dissi che Scipione vi era chiamato Africano; esso vi è detto Asiatico.
Le tabelle sono intere e benissimo conservate: son disposte a questo modo
[segue uno schema dei quattro lati]. Lo Spanu mi dice, che quando fu trovato
aveva ancora tracce dei sigilli. Ora certo non ne conserva vestigio; soltanto
laddove il resto della facciata esterna delle tavolette è ruvido ed ossidato,
la striscia dov’erano i sigilli è liscia e lucente. Le tavolette, a cadauno dei
4 buchi, erano legate assieme con un filo d’ottone argentato, al più
doppii e attorciliato; i tre ai buchi sulla medesima linea esistono ancora:
l’altro si dovette tagliare per poter leggere la parte interna. La parte
interna è come nei diplomi recenti scritta più negligentemente che l’esterna:
cioè a) vi omette il quorum nomina
subscripta sunt; b) dopo il Loc
manca il numero laddove esternamente si legge Loc XVIII; ma il numero è in carattere alquanto più minuto che non il
resto della linea, e credo sia stato aggiunto dopo. c) Invece di sardo che è nell’esterna, l’interna ha
SARD. Il nome del soldato congedato mi pare sia dentro che fuori dello stesso
carattere che resto dell’iscrizione; non così i nomi dei testimoni, scritti in
carattere assai più rozzo nel quale le lettere I, L e T appena si distinguono
fra loro e talora soprattutto l’I e il T, non si distinguono, e le lettere sono
assai mal fatte, per esempio l’S è spesso Z. Grazie a queste difficoltà, riescì
in questa pagina assai poco esatto il facsimile eseguito dal Nissardi; e nei
nomi dei testimonii dati dallo Spanu vi ha una buona mezza dozzina di errori,
che senza fallo correggerà nella prossima publicazione». Ma il giudizio del
Mommsen su questo lavoro del Baudi Di Vesme non sarebbe stato positivo nel CIL X: loci numerus extrinsecus et testium nomina post tempus adiecta visa
sunt Vesmio; mihi aes recognoscenti id non apparuit[117].
E ancora: «Alla publicazione dello Spanu richiesto da lui di
aggiungere qualche cosa, siccome il vostro grande e bel lavoro su questi
diplomi rende inutile quasi tutto ciò che io aveva preparato, mi restringerò a
dare il catalogo dei diplomi, e il loro testo senza facsimile; e gli indici,
nella forma in che da molti anni li aveva preparati, ma aggiungedovi il frutto
dei nuovi diplomi. Nuovo, dopo la vostra publicazione, non credo siasene
scoperto alcuno; certo di nessuno mi giunse notizia».
E poi ancora la questione delle bozze di CIL III: «L’anno scorso io riportai a Roma per restituire all’Henzen,
come mi avevate commesso, i fogli del Corpus
Inscriptionum contenente i diplomi militari; ma l’Henzen non era in
Roma; onde io non potendo consegnarvi in proprie mani preferii riportarla
addietro, piuttosto che lasciarla in Roma alla ventura. Ora andando in Sardegna
passo per Roma; fra una settimana quei fogli saranno da me rimessi in mano
dell’Henzen».
Aggiungeva poi una proposta di rettifica alla l. 19 della Tavola
di Esterzili, che non fu accolta dal Mommsen: «nella vostra recensione del
Bronzo d’Esterzili (Hermes, III,16)
voi dite con ragione: “sollte auch meine Lesung nicht das Richtige treffen, so
kann doch darüber kein Zweifel sein dass die von der Vesme unbedingt verkehrt
ist”. Ora io credo d’aver trovato la vera lezione, la quale combina perfettamente
colle vestigie della scrittura, e spero avrà la vostra approvazione. Invece del
mio QVADIE e del vostro QVAEPF io leggo QVARTO: cioè dapprima in kal.oct.; 2° in kal dec.; 3° in kal. febr.; e ora 4° da Agrippa in kalendas apriles. E le
vestigie della scrittura mi avevano suggerito questa lezione anche prima d’aver
posto mente, che le dilazioni erano diffatti quattro. Dopo il RVFVS quanto più
esamino, più vedo un L e non un F».
Infine, sollecitato dal Mommsen in occasione di una recente
visita a Torino, tornava a parlare delle Carte d'Arborea: «L’ultima volta che
ho avuto il piacere di vedervi qui, mi avete chiesto notizie dell’opinione
pubblica in Italia intorno alle Carte di Arborea. Il numero dei credenti va
crescendo ogni giorno, particolarmente in Firenze, e anche in Roma: fra i
vostri il Witte, che le esaminò lungamente, mi scrive che quest’estate intende
trattare la questione in alcuno dei vostri giornali letterari. Nel corso di
quest’anno comincerà la publicazione di quelle fra le Carte d’Arborea che
posseggo inedite». Il “numero dei credenti”: sembra quasi che quella delle
Carte d'Arborea sia diventata per l'ultimo Vesme una vera e propria questione
di fede.
L'ultima lettera che ci è rimasta è del 9 agosto 1874[118],
anteriore di pochi anni alla morte del Baudi Di Vesme avvenuta il 4 marzo 1877[119]:
lo studioso si considerava un superstite, come i pochi amici che gli erano
rimasti, alcuni gravemente ammalati. Ma i suoi interessi continuavano ad essere
molteplici: il miliario di Adriano di Nizza, gli scavi di Aviliana, la ricerca
di libri rari, le iscrizioni sarde e corse: «Ho poi scritto allo Spano, perché
vi mandi l’ultima sua Rivista; e gli ho anche manifestato il vostro desiderio
di avere le altre sue publicazioni, o in cambio o altrimente. Appena avrò da
lui una risposta, ve la communicherò. Intanto vi mando a suo nome (così gli
scrissi che farei) con questo medesimo corriere lo scritto dello Spano, finito
di stampare pur jeri, col quale sotto forma di lettera a me diretta publica il
congedo militare Galbiano[120];
l’unito facsimile è fotolitografato; soltanto, per la fretta, poiché doveva
publicarsi il volume Academico, non potei ottenere che la grandezza della
fotografia delle due facce riescisse uniforme, e pienamente conforme a quella
del bronzo originale. Se il calco del QVARTOSPATIVM e del RVFVSL vi basta
averlo per fin dell’anno, potrò traverli io medesimo, altrimenti mi rivolgerò
allo Spano, possessore del bronzo. Del resto, credo si potrà avere un calco
discretamente leggibile del secondo di quei due passi; non così del primo, nel
qual luogo il bronzo è corroso e come granito in modo da lasciare tra il QVA e
il SPA appena deboli tracce di scrittura. Secondo le mie note, non
discorderebbero dalla lezione QVARTO. (…) Ho ricevuto or fa pochi giorni una
lettera dallo Spano (al quale, come mi rammento aversi detto, fa capo quanto si
scopre in Sardegna), che mi annunzia: “In Sorso (grosso villaggio presso
Sassari) mi dicono abbiano scoperto un’urna di bronzo contenente monete d’oro e
d’argento; e più una pergamena in carattere illegibile”. Ho scritto per avere
notizie sicure e sarebbe una bella scoperta. Gli scrissi, che appena avesse
ulteriori notizie, me le communicasse. Se la cosa è vera, deve trattarsi di
tesoro nascosto durante alcuna delle invasioni dei Saraceni dall’VIII all’XI
secolo».
La morte del Baudi Di Vesme e del Promis, i Taurinenses duo che adiuverunt
me in Sardis elaborandis, optimi et strenui viri, rese assolutamente inevitabile
il viaggio del Mommsen in Sardegna per l'edizione del CIL X. Due anni prima, nel maggio 1875, era stato in Sardegna
Wolfgang Helbig, segretario dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica di
Roma ed amico dello Spano, che aveva fino all'ultimo progettato di svolgere gli
scavi a Ploaghe nel mese di maggio in compagnia dell'amico e collega tedesco,
che gli «aveva scritto d'esser sulle mosse per venire in Sardegna, e che da
Cagliari sarebbe venuto in Ploaghe» per visitarlo e per «conferire insieme». Lo
Spano rammaricato ricorda: «io lo aspettai come un angelo, che mi avrebbe
ajutato e somministrati lumi nel modo di eseguire i lavori che aveva
preparato», ma l'Helbig, «occupato per istudiare e disegnare i monumenti sardi
nel R. Museo di Cagliari» arrivò a Ploaghe solo il 27 maggio, quando lo Spano
aveva già concluso gli scavi e stava per rientrare a Cagliari; lo studioso
tedesco, accolto cordialmente, ripartì però in giornata per Sassari,
accompagnato dal can. Luigi Sclavo e dal prof. Luigi Amedeo, che vedremo di
nuovo mobilitato due anni dopo in occasione della visita del Mommsen a Sassari.
In una lettera del successivo 5 giugno l'Helbig ricordava l'accoglienza
ricevuta dai Sardi, «presso i quali mi sono sentito come quasi nella Mark
Brandeburg», che gli avevano «inspirato una specie di nostalgia che non finirà
mai» e prometteva di tornare presto nell'isola[121].
Anche il viaggio dello Helbig dimostrò la necessità di un diretto
impegno del Mommsen in Sardegna, annunciato in una lettera a Giulio Minervini
senza data ma sicuramente dei primi mesi del 1877[122],
poi procrastinato «della primavera per l'autunno»[123]:
il 19 agosto 1877 Giuseppe Fiorelli (Direttore Generale degli Scavi e Musei del
Regno) scriveva in Tirolo al prof. W. Henzen direttore dell'Istituto Archeologico
Germanico, informandolo di essersi «affrettato a diramare una circolare
ufficiale ai R. Commissariati ed agli Ispettori degli Scavi e Monumenti di
Sicilia e di Sardegna per avvertirli del non lontano arrivo colà dell’Illustre
Teodoro Mommsen il di cui nome rende soverchia qualsiasi raccomandazione»[124].
E aggiungeva: «Servirà quindi che egli si presenti agli ufficiali di questo
Ministero notati nel prospetto che qui le unisco per trovarli tutti prontissimi
ad agevolarlo nelle sue dotte ricerche e in tutto ciò che potesse
abbisognargli. Nel trasmetterglielo, io la prego di ricordargli il mio nome …».
Ma il rapporto del Fiorelli era diretto se quattro giorni dopo, ricevuta una
lettera del Mommsen, gli rispondeva salutandolo come «Amico carissimo»: «Io
aveva già saputo dall’Henzen che sareste andato in Sicilia ed in Sardegna ….
L’onore che mi fate nominandomi fra i vostri più cari amici d’Italia, trova un
adeguato compenso nell’immenso amore che vi porto. Che se una qualsiasi cosa
potrò fare, che rechi giovamento agli studi, sappiate che il solo vostro
affetto mi conforta, nelle non poche amarezze, a cui mi trovo fatalmente
esposto»[125].
Sorprende il giudizio sbrigativo del Fiorelli sui funzionari dei
Musei sardi e siciliani, accomunati con un poco di disprezzo: «Perché vi
fossero prevenuti tutti gli ispettori degli scavi delle due isole, ho fatto una
circolare annunziando il vostro arrivo colà, e per mezzo del On. Wressel vi ho
mandato l’elenco delle persone a cui ho scritto. Credo per altro che non sarebbe
stato necessario, perché sebbene quei miei dipendenti fossero a metà Africani,
pur tuttevolta il vostro nome anche colà non ha bisogno di raccomandazioni o di
commenti. Troverete il Direttore del Museo a Palermo il Salinas [Antonino
Salinas][126],
che possa esservi molto utile, ed il Commissario dei Musei e degli Scavi
Principe Lanza di Scalea, che si metterà interamente a vostra disposizione. Non
tralasciate di vedere il Museo municipale di Siracusa, orribilmente tenuto, ma
che forse sarà ceduto al Governo, se tutti i miei sforzi fatti finora a tal
fine saranno coronati di felice risultamento. Oggi stesso scrivo allo Spano,
perché faccia fare per conto del Museo di Cagliari un gesso della iscrizione
della Grotta della Vipera. In ottobre troverete il calco in quel Museo»[127].
E ancora: «Se qualche cosa possa occorrervi stando in Sicilia o in Sardegna,
che io sia buono a procurarvi, scrivetemi subito».
Un mese dopo, all'arrivo del Mommsen in Sicilia[128],
il Fiorelli lo saluta con entusiasmo e con una familiarità tutta napoletana (il
giudizio è del Crespi) in una lettera del 19 settembre: «Lasciate che
stringendovi affettuosamente la mano, vi dica: Bene arrivato dolcissimo
amico! Possa la bellezza del luogo in cui ora metti il piede, mutare l’angoscia
che ti opprime in un soave ricordo della gioia perduta! Fatemi avere vostre
nuove e se mai vi occorresse cosa per la quale è mestiere dell’opera mia
scrivetemi, o fate telegrafare dal Principe di Scalea». E poi un'aggiunta: «I
calchi in gesso ed in carta delle iscrizioni della Grotta della Vipera sono già
fatti e vi aspettano al Museo di Cagliari»[129].
L'arrivo a Cagliari da Palermo è del 13 ottobre 1877: in Sardegna
il Mommsen sarebbe rimasto quattordici giorni, fino al 27 ottobre, per visitare
l'Università, la collezione di antichità nel vicino Museo, l'archivio
arcivescovile, la Grotta della Vipera. Alloggiato presso l'Hotel Scala di Ferro
in Via Regina Elena (sotto Piazza Martiri), fu accolto inizialmente con
simpatia: su L'avvenire di Sardegna,
il giornale politico internazionale organo della colonia italiana nella Tunisia
che si stampava a Cagliari, il 15 ottobre in cronaca si annunciava l’arrivo due
giorni prima dell'illustre studioso, si forniva una serie di particolari
biografici, dalla nascita in Danimarca, ai suoi studi, ai suoi viaggi,
ricordando in particolare il viaggio in Italia nel quale si era occupato
«indefessamente delle iscrizioni romane»[130].
E poi la cattedra di diritto a Lipsia, «carica che poco dopo lasciò per essersi
mischiato nei ben noti sconvolgimenti politici»; poi Zurigo, Breslavia e
Berlino[131].
Dopo una sintesi delle sue principali pubblicazioni, il cronista passava ad un
breve ritratto: «Il Mommsen ha i capelli bianchi; è alto, snello; veste abito
bleu ed ha occhiali d'oro; parla correttamente l'italiano». E infine: «Stamane
egli ha cominciato la visita della città in ordine allo scopo del suo viaggio,
recandosi al museo archelogico per esaminarne le iscrizioni»[132].
Sullo stesso giornale, il 17 ottobre si annunciava che il prefetto Minghelli
Valni aveva organizzato per il pomeriggio un pranzo ufficiale evidentemente a
palazzo viceregio, al quale erano stati invitati «insieme all'illustre Teodoro
Mommsen» il prof. Pietro Tacchini dell'Università di Palermo, i senatori conte
Franco Maria Serra e can. Giovanni Spano, il consigliere delegato cav.
Alessandro Magno, il preside dell'Università prof. Gaetano Loi, i proff.
Patrizio Gennari e Filippo Vivanet[133]
(quest'ultimo Commissario alle antichità)[134].
In un brindisi il Mommsen arrivò ad esprimere incauti giudizi che negavano la
storicità di Eleonora d’Arborea; confermò di voler «smascherare l'erudita
camorra» isolana; scherzò poi un po’ troppo pesantemente sui suoi propositi di
voler condannare prossimamente la quasi totalità della documentazione
epigrafica isolana, ed in particolare le «iscrizioni di fabbrica fratesca».
Qualche giorno dopo su "L'Avvenire di Sardegna" (in prima pagina
domenica 21 ottobre) compariva una polemica lettera «d'oltretomba» firmata da
una desolata Eleonora d'Arborea ed indirizzata all'«avvenente prof. Filippo
Vivanet»: lo studioso veniva aspramente contestato per aver «tollerato che il
germano passasse il Reno», per non aver difeso la storicità di Eleonora, di
fronte all'«invidioso tedesco» ed all'«incalzante orda germanica» e per aver,
con il pranzo prefettizio, digerito «l'insulto fatto alla [sua] memoria»; forse
aspettava «che il tedesco abbia ripassato il Reno ed abbia frapposto … qualche
migliaio di leghe». Anche il senatore Spano veniva strapazzato alquanto, tanto
da essere considerato un traditore, per il quale si suggeriva una punizione
esemplare: egli doveva diventare la «zavorra» utilizzata per il «globo
aerostatico» sul quale il Vivanet avrebbe dovuto errare per sempre, lontano
dalla terra sarda; eppure, «se al canonico Spano avessero toccato i suoi
Nuraghi, quante proteste non si sarebbero fatte!»[135].
Di fatto qualche anno dopo, nel primo tomo del Corpus Inscriptionum Latinarum, il
Mommsen arrivò a raccogliere ben 384 iscrizioni che considerava false[136],
rispetto alle 531 inserite nel secondo tomo come autentiche[137]:
una condanna «all’inferno»[138].
ancora troppo severa, se si pensa che accanto alle sei epigrafi arboreane,
commentate con espressioni ironiche e sprezzanti, venivano coinvolte anche oltre
350 iscrizioni prevalentemente conservateci nella documentazione spagnola
relativa agli scavi archeologici effettivamente promossi nell'area della chiesa
di San Saturno a Cagliari e della basilica di San Gavino a Porto Torres[139]:
l'autenticità di un gran numero di questi testi è ora però dimostrata[140].
Il pregiudizio del Mommsen sulle epigrafi effettivamente rinvenute a Cagliari
ed a Porto Torres nel Seicento può essere ora meglio ricostruito alla luce del
carteggio con Giovanni Battista de Rossi, che illustra gli obiettivi del
viaggio in Sardegna. Probabilmente nel mese di settembre egli scriveva: «Ora
quella disgraziata messe dell'Esquirro[141]
e del Bonfant[142],
comunque sgomenti un pagano come sono io, pure deve entrarvi, e faccio conto
sopra di voi, che anche per questo affare mi presterete il vostro potente
ajuto. Pare quasi impossibile che tutto sia inventato; l'ortografia è quasi
dappertutto come dev'essere e farebbe maraviglia, se que' buoni Spagnuoli, che
da ogni b<ona> m<emoria>
facevano un beatus martyr, abbiano
avuto il senno e le conoscenze pur necessarie per inventar tutta questa
faccenda. Intanto questo lavoro ve lo prenderete spero poi e saprete separare
la zizzania dal grano. Ora vorrei (siccome per quanto sappia non avete mai
adempito la promessa data Insc<riptiones>
chr<istianae> I p. XXVI*) avere una direttiva pel mio viaggio in
quanto a queste cristiane. Conosco il manoscritto del Carmone[143]
(1631) serbato a Cagliari, e s'intende che sarà spogliato. Ma vi sarebbe
qualche altra cosa da fare, specialmente anche per rintraciare gli originali,
sia sinceri, sia contrafatti! Voi dovete saperlo»[144].
Di fatto solo oggi, a distanza di oltre un secolo, abbiamo finalmente potuto
rintracciare alcuni degli originali ingiustamente ritenuti falsi presso la
chiesa di S. Antonio a Cagliari, nel palazzo arcivescovile e nella chiesa di S.
Restituta[145];
altri esemplari di autenticità meno limpida sono stati trasferiti nel Seicento
da Cagliari (San Lucifero e San Saturno) a Vilassar de Dalt in Catalogna[146].
Alquanto allarmato per le posizioni pubblicamente espresse dal
Mommsen, il paleografo Ignazio Pillito aveva tentato un approccio diretto,
approfittando della circostanza che lo studioso tedesco doveva verificare a
Cagliari la lettura di un'iscrizione collocata in Castello presso il Seminario
Tridentino; si era presentato, gli aveva parlato cordialmente, gli aveva fatto
«i dovuti complimenti», lo aveva invitato a non essere «troppo severo», ma non
gli «riuscì di persuaderlo»: perchè il Mommsen anzi «confermò la sentenza di falsità
già da lui pronunciata contro quelle iscrizioni» e si rifiutò di prender
visione presso l'Archivio Comunale dei documenti originali: «quod scripsi scripsi»[147].
Eppure - osservava polemicamente il De Castro - «non gli si richiedea che
disdicesse lì sui due piedi il suo giudizio; ma vederle e non altro: tanto era
il suo odio contro le medesime. Che mai ci potrebbe essere di buono in questa
nostra isola?»[148].
Nella "cronaca" de L'Avvenire
di Sardegna del 22 ottobre si annunciava la partenza per Oristano e per
Sassari dell'«illustre Teodoro Mommsen, che da otto giorni era nostro ospite»[149].
Due giorni dopo compare la notizia della morte di Gaetano Cara, il discusso
direttore del Museo di Cagliari[150],
coinvolto anch’egli nei falsi d’Arborea, che nei mesi precedenti era stato
violentemente attaccato dallo Spano a proposito della funzione dei nuraghi e
della proposta di nominare una commissione ispettrice di studiosi incaricati di
dirimere la questione[151];
lo Spano era stato esplicito, ricordando che il Cara era tra quegli studiosi
che «tentano rinnovare le vecchie ed insussistenti teorie, ma più per spirito
dispettoso e di sistematica opposizione che per amore della verità e della
scienza indiscutibile». Del resto sullo sfondo, sembrano rinnovarsi le
preoccupazioni suscitate sei anni prima dalla nomina della Commissione
berlinese sulle Carte d’Arborea, voluta incautamente dal Baudi di Vesme. Il
figlio Alberto Cara avrebbe difeso la memoria del padre con l'opuscolo Questioni archeologiche, Lettera al can.
Giovanni Spano, accusando il vecchio senatore di voler «il primato, anzi il
monopolio» dell'archeologia in Sardegna, addirittura di voler «essere unico ed
infallibile Pontefice» e di muoversi con lo «spirito di vendette personali»[152].
Nella città di Eleonora sembra che lo studioso tedesco abbia
ricevuto una migliore accoglienza; qui poté studiare la collezione Pischedda[153],
per partire poi per Macomer dove il 23 ottobre – come racconta l’Amedeo –
«visitò il nuraghe Santa Barbara e le pietre miliari, di cui trovò una in tutto
sepolta e che non poté quindi leggere, e raccomandò fosse trasportata in
Sassari al cavalier Uras e al conte Pinna, per esservi deposta in una sala
della nostra Università».
Ma le accoglienze più cordiali gli furono riservate soprattutto a
Sassari, dove si trattenne tre giorni: mercoledì 24 ottobre giunse alle due del
pomeriggio da Macomer in treno[154],
accolto dall'ispettore Luigi Amedeo[155].
Lo stesso giorno «non ancora riposato dal viaggio» visitò la biblioteca
universitaria «ove chiese ed esaminò il catalogo dei manoscritti e si fermò
studiandoli per ben tre ore», evidentemente interessato alle scoperte
seicentesche a Porto Torres e «dalla quale si fece trasmettere alcuni libri
all'albergo Italia, dove avea preso alloggio», in Piazzetta d'Ittiri sul Corso.
Tornò poi all’Università in serata «per leggervi le iscrizioni, nelle quali
riscontrò più d'un errore sull'edizione già pubblicata»: qui conobbe
probabilmente il Rettore Giommaria Pisano Marras. L'indomani, giovedì 25
ottobre, accompagnato da Luigi Amedeo, «fe' una gita a Portotorres, dove lesse
altre iscrizioni e visitò l'antica basilica dei martiri, e la cappella
edificata nel creduto luogo del martirio». Su La Stella di Sardegna l'Amedeo è più preciso[156]:
«la mattina verso le sei si recò in Portotorres ove rivide le iscrizioni che
dai privati vi sono possedute e conservate. Ne trovò una nuova in greco e vi
apprese una parola composta, che non ancora figura nei vocabolari greci e che
significa "abilissimo suonatore e vincitor di cetra"»[157].
Il 26 ottobre, venerdì, «si rinchiuse nella nostra Università per copiare
alcune iscrizioni e per esaminare alcuni manoscritti», certamente in un locale
contiguo alla sala professori dell'Università[158],
dove dall'inizio dell'Ottocento si era andata accumulando una collezione archeologica
dalla quale era sorto il Gabinetto di Archeologia allora affidato al direttore
designato mons. Luigi Sclavo[159]
e più tardi sarebbe nato il Regio Museo di antichità istituito da Umberto I con
Regio decreto del 26 maggio 1878[160],
finanziato con i fondi della Provincia e del Comune per l'Università ed
inaugurato da Ettore Pais il 20 novembre 1880 nel contiguo palazzo di via Porta
Nuova[161].
Certamente non vi fu invece una visita all'Archivio Arcivescovile, dato che non
fu il Mommsen a trascrivere l'iscrizione turritana del tabularius delle pertiche di Turris e Tharros incisa su sarcofago
rinvenuto nel 1698 e ricordata apparentemente in una scheda di un Anonimus Hispanus[162].
Da Sassari raggiunse a mezza mattinata in vettura la stazione di
Ploaghe, il paese che aveva dato i natali allo Spano, visitato due anni prima
da Wolfgang Helbig e poi a cavallo «gli piacque vedere ed esaminare il nuraghe nieddu ed un altro nuraghe
semidistrutto, poco dall'altro discosto», «per avere un riscontro con quello
già visitato a Macomer»: presso le sorgenti termominerali di San Martino il
nuraghe Nieddu in comune di Codrongianus era stato scavato dallo Spano, che lo
aveva erroneamente collocato in comune di Ploaghe e lo aveva fatto riprodurre
da Domenico Figoni in un modellino per l’esposizione del 1871 di Bologna e poi
per il Museo di Torino[163].
«Non è qui il luogo di riferire quel che egli pensi di queste antiche
costruzioni - scrisse l'Amedeo - e di altre diligentemente esaminate. Basterà
soltanto, per quanto riguarda i nuraghi, ridire che l'illustre archeologo non
poté che consentire con coloro i quali ritengono non poter essere altro che
tombe, benché abbia emesso questa opinione con modesta titubanza, che non
possano servire od essere servite per abitazioni o per templi, e per la
scarsezza del numero e la incomodità nella prima ipotesi, o per la troppa
abbondanza nella seconda. Ma egli stesso più volte si dichiarò con rara
modestia incompetente a giudicarne, come anche asserì per quel che riguarda il palazzo del Re Barbaro, ossia tempio
della Fortuna, che l'Ispettore degli scavi (lo stesso Amedeo) gli mostrò
apparire meglio quale terma».
Tornato a Sassari, dopo due ore a cavallo, a cena fu ospite di
Enrico Costa[164] e
dei redattori del settimanale La Stella
di Sardegna[165] in un pranzo ufficiale che avrebbe
lasciato al Mommsen una straordinaria impressione della «vivacità culturale
dell’ambiente sassarese»[166],
anche se tra i partecipanti era presente pure, con qualche imbarazzo, il R. Provveditore
agli Studi Salvator Angelo De Castro, considerato a tutti gli effetti uno dei
protagonisti della falsificazione delle Carte d'Arborea. L'anonimo redattore de
L'Avvenire di Sardegna del I novembre
precisa: «Il desinare fu allegro e reso più cordiale e vivace da parecchi
brindisi, tra i quali ci piace rammentare uno al venerando senatore Spano,
altro in lingua inglese del signor (Costantino) Casella, altro in dialetto
logudorese del signor Salvatore Dettori, altro in lingua latina del signor avv.
(Francesco) Salis; altro in versi italiani del signor (Enrico) Costa. L'egregio
Decastro salutò l'illustre ospite a nome dei professori, il Casella a nome del
Consiglio provinciale, gli altri a nome della cittadinanza sassarese, che si
reputava onorata della visita di uomo cotanto insigne»[167].
Su La Stella di Sardegna ci è rimasto
il retorico poema di Salvatore Sechi Dettori, che saluta la «gloria
d'Alemagna», il «cultore del vero, / inclito cittadin del mondo intero», capace
di scendere negli avelli e di parlare ai morti: «Ecco, pel tuo valore / tra
genti cui divise ira nimica / si ristringono i vincoli d'amore / e della fede
antica». E poi la Sardegna: «E questa Ichnusa ove pur brilla il sole, / il sol
dell'alma Italia, svela tu al mondo che memorie inserra / d'antica gloria e
d'antico dolore. D'Eleonora e d'Amsicora / e d'Azuni e di Manno[168]
è questa terra / che oggi a te rende onore / è la terra di Spano / cui
stringesti la mano. / Scrivi che qui pur s'odia / il servaggio del corpo e
della mente; / che qui s'ama la luce e qui si vuole / e si cerca e si sente /
il verbo della scienza onnipotente»[169].
Il 4 novembre in una Solenne
ricordanza, La Stella di Sardegna
scriveva: «è inutile il dire con quanta riverenza l'illustre storico fu
salutato da questi (redattori), che ebbero l'onore di sedere commensali alla
stessa mensa e udirne, in famigliar conversazione, nobili e svariatamente dotti
discorsi. È pur inutile riferire la benevola indulgenza con la quale volle
corrispondere a un invito tanto spontaneo quanto improvviso, e trattare delle
questioni più importanti che riflettono alle antichità della nostra patria. Ci
rincresce di non poter qui, e non per vana modestia, ritrarre una per una le
parole del chiaro professore, massime che il banchetto si produsse fino ad ora
tarda, essendo tanto il desiderio di udire i dotti discorsi, quanto la bontà
dell'ospite di assecondarlo». Alle ore 23 i brindisi, innanzi tutto del Regio
ispettore Luigi Amedeo, che volle «ringraziare il benemerito scienziato,
storico e filologo della visita altrettanto presta quanto faticosa fatta,
attraverso la nostra isola, ai principali monumenti che le rendono illustre
decoro, rammentando come a queste dotte investigazioni massimamente si debba il
progressivo sviluppo, non pure della storia e delle costumanze, ma dell'intimo
diritto pubblico dei romani». Seguì una prima risposta del Mommsen
«ringraziando del saluto e dell'accoglienza onesta avuta, assicurando che molto
ancora era a farsi prima che l'opera che dà tanta luce alla storia della comune
patria, l'Italia, sia compiuta». Enrico Costa, volle poi associare il nome del
Mommsen a quello «di colui che è una nostra gloria, lo Spano, del cui ricordo
il Mommsen tra gli applausi generali si mostrò contento, e pronunciò commosso
un brindisi all'indirizzo dell'illustre archeologo». Più interessante
l'intervento del Regio Provveditore agli Studi Salvatorangelo De Castro, che da
documenti successivi sappiamo ammalato («ho salutato il Mommsen con immenso
piacere, ed assistetti al pranzo datogli dalla Direzione della Stella, se non con appetito perché mi
aveva la febbre addosso, però con tutta l'espansione del cuore e con tutta
l'ilarità dell'animo»)[170]:
«si levò propinando con elegantissime parole, e veramente inspirate, allo
storico tedesco, salutandolo in nome dell'intero collegio dei professori, e
dichiarando che la scienza per ciò stesso che non ha patria è per tutti onorata
ed onoranda e unisce anche per mezzo delle diverse disquisizioni e controversie
i vari suoi cultori», ove è evidente un accenno alle polemiche cagliaritane
sulle Carte d'Arborea. Costantino Casella «disse in inglese un indirizzo di
ringraziamento per l'onore concesso ai Redattori della Stella, e complimentò l'ospite anche a nome della Provincia fra i
cui amministratori siede». Il Mommsen replicò in inglese confermando «i suoi
ringraziamenti anche per la cittadinanza». Francesco Salis lesse un epigramma
latino[171],
mentre Salvatore Sechi-Dettori effettuò un brindisi in sardo logudorese[172].
«Il Mommsen più volte riprese la parola, interrotta di quando in
quando da plausi unanimi, per ripetere ringraziamenti e intrattenersi sulle
cose che riflettono le antichità della nostra patria, lamentando l'incuria in
cui sono lasciati i nostri monumenti antichi ed esortando che non dal Governo,
ma da noi stessi dobbiamo trarre argomento e virtù a studiarli e illustrarli.
Rammentò con dolore che la Sardegna, come fu già Provincia cartaginese e
romana, e poi spagnuola, fu di continuo destinata a subire leggi dai vincitori,
che non sempre le ebbero riguardo né la tennero nel dovuto onore; ma che oramai
congiunta all'Italia dovea cessare dall'essere quell'antica Provincia, e con le
altre godere di quella libertà e di quei benefizi che a tutte quante la libertà
assicura. Disse ancora che la scienza italica, come le aspirazioni italiche
avevano comune causa e ragione con quelle della Germania, e che egli, per
quanto varrebbe, favorirebbe questa comunanza di scopo scientifico, anche nel
cerchio non certo ristretto della coltura storica». Segue il commento del redattore:
«E noi riferendo in ristretto queste conclusioni dei suoi vari giudizi, e
plaudendo alle nobili esortazioni che vengono da un uomo di tanta autorità e di
un'operosità instancabile, facciamo voti, che l'augurio si compia, sinceri
ch'egli provocherà dal Ministero in favore di questi studi e delle condizioni
della nostra isola quel riguardo a cui più volte accennò con benevola e
sapiente descrizione»[173].
Alcune delle bizzarre osservazioni del Mommsen furono
religiosamente raccolte e pubblicate nella rubrica "Pensieri" de La Stella di Sardegna del 4 novembre,
con una pungente frase sui metodi scientifici dei preistorici: «ho visto molti
crani vuoti, non pure di morti ma di vivi – i preistorici – i quali sono gli
analfabeti della scienza». E poi: «voi altri italiani siete infranciosati. La
linga italiana che è la più ricca di ogni altra prende moltissime frasi e
parole dalla Francia … e non ne ha bisogno!». Oppure: «Io scrivo correntemente
il latino; lo parlo raramente, alle argomentazioni di laurea: - chi ne
disconosce l'importanza profana una cosa sacra». E poi la polemica sulla
destinazione dei nuraghi: «Dentro un Nuraghe, morto forse m'adagerei - vivo non
certo; con tre o quattro figli poi vorrei provarmi a starvi … almeno per
conoscere come gli antichi vi stavano!»; e il redattore commenta in nota che il
Mommsen «accenna delicatamente alla sua opinione sui Nuraghes e sul loro uso,
lasciandone in dubbio la questione finora dibattuta, pure inclinando a volerli
ritenere tombe più che altro». E ancora il problema dei falsi epigrafici, che
tanti problemi aveva determinato a Cagliari: «In Sardegna avete una fabbrica di
Santi. Talvolta si sono prese iniziali di nomi come lettere sopra casse di
commercio, in certe iscrizioni di fabbrica fratesca». Il giornale commenta che
il Mommsen allude ai 35 martiri (forse con numero arabo) di un epitafio
pubblicato nel 1617 dall'Esquivel (+ BSM N° 3V)[174].
Infine, il sabato 27 ottobre, il viaggio tra Sassari e Porto
Torres «dentro il carrozzone della ferrata» che lo doveva portare alla nave
"Lombardia"[175]
in partenza per Livorno e quindi per Roma, «per continuare nella Sabina la
revisione delle iscrizioni antiche, la cui ripubblicazione, aiutato
dall'Henzen, apporterà nuovi lumi sulla storia e sul diritto pubblico interno
dei Romani, per cui massimamente ha fama europea il Mommsen». Accompagnato da
Salvatore Sechi-Dettori e dal Regio Ispettore degli scavi Luigi Amedeo, il
Mommsen incaricò quest'ultimo di studiare le iscrizioni di Olbia, dopo le
straordinarie scoperte effettuate a Terranova da Pietro Tamponi: «prima di
partire raccomandò al prof. Amedeo la ispezione accurata di alcuni luoghi, dove
suppone debba trovarsi copia di quelle antichità romane, delle quali con tanta
fama e lustro si occupa, non che della lettura di alcune iscrizioni in
Terranova. Il giovane prof. accettò di buon grado l'incarico».
Su La Stella di Sardegna
del 4 novembre Luigi Amedeo presentava lo studioso tedesco al pubblico sardo,
ricordava l'impresa del Corpus
Inscriptionum Latinarum e le tappe del recentissimo viaggio in Sicilia.
Sulla tappa cagliaritana si ricordava la visita al Museo, la «dotta
conversazione dell'illustre nostro concittadino e collaboratore, il senatore
Spano», la scoperta della base che ricorda un procurator ad ripam, fraintesa dall'Amedeo[176].
E poi un giudizio sul viaggio: «è per noi del massimo momento che un uomo, qual
è il Mommsen, investighi sulla genuina e giusta lettura delle epigrafi, non
solo (per) quanto riguarda le notizie storiche che illustrano o compiono i
documenti classici (non è solo a questo, quantunque vi sia eccellente, che deve
la sua fama il Mommsen), ma sì che egli ne riveli il pubblico diritto interno
dei Romani, la cui costituzione passando per varie vicende è esempio e modello
alle costituzioni che vennero dopo. La Storia
Romana del Mommsen è un riassunto, e non ha certo il pregio che ognuno
consente ai capitoli di essa, ove si tratta del diritto pubblico interno dei
Romani». A giudizio dell'Amedeo la fama del Mommsen è legata ad altre opere, in
particolare ai lavori di epigrafia giuridica sulla Betica (Salpensa e Malaca)
ed alla recentissima Römische Stadtrechte,
«ove si studiano le costituzioni delle colonie e dell'intiero impero romano». E
più in dettaglio, con riferimento alle polemiche sollevate dai sostenitori delle
Carte d'Arborea: «Ora questo suo viaggio apporterà certo gran luce su questi
studii, e non pure l'Italia ma la nostra Sardegna riceverà gloria dal commento
che sulle imperfette epigrafi il genio del Mommsen sa trarre. Certo è che a
lui, autore dell’"Unteritalischen
Dialekte"[177]
non fa difetto la scienza epigrafica e filologica dei nostri dialetti più
antichi, non fa difetto la critica antiquaria, severa forse e a qualcuno male
accetta; e un uomo quale il Mommsen non può falsare la verità né vuole; e la gloria
che pare talvolta si oscuri a danno del nome latino riprende luce maggiore,
perché rivendicata dal pregiudizio nell'opera dell'illustre scienziato, il
quale non può certo andare contro più alla gloria di lui che alla propria fama.
Non siamo più in tempi, in cui la verità debba essere condannata in odium auctoris, o in cui il giudizio sia
conteso per inquisizione politica o religiosa; ma libero essendo il concorso
dell'opera critica degli eruditi, la verità sola ha universalmente il trionfo.
E noi siamo lieti che, malgrado le ire partigiane, il trionfo della verità e
quello dei suoi cultori, volere o no, è ai nostri giorni assicurato: ed è per
questo che abbiamo festeggiato come un avvenimento il viaggio dell'illustre
storico tedesco, dal quale non possiamo sperare, e ce lo auguriamo, se non che
nuovo trionfo di quella italica civiltà, che ha dato, così nel diritto privato
come nel pubblico, e nella storia, di se chiarissimo esempio e modello»[178].
Arrivato a Roma, il Mommsen avrebbe inviato il I novembre ai suoi
ospiti sassaresi una lettera in latino subito pubblicata su La Stella di Sardegna del 18 novembre,
tradotta «per quelli che non sono obbligati a saper di latino»: «Stellae Sardiniae editoribus. Theodorus Mommsen s(alutem) p(lurimam) d(icit). Sardiniam insulam
postquam peragravi, eius diei, qui supremus mihi in insula fuit, gratam
iucundamque, prae caeteris, memoriam, ut servarem vos effecistis. Hospes
transalpinus, dum vobiscum accubui, inter amicos magis mihi versari visum sum,
quam inter peregrinos. Neque ultima laetae societatis causa fuit, quod apud vos
quoque intellexi non deesse propugnatores veri et recti. Forti animo ut pugnam
suscepistis contra saecularem ignaviam tenebrasque vetustate consecratas, ita
ut pergatis vota facio, neque ea vota numen destituet. Ideo enim Stella nata est, ut lux
fiat. Romae, Novembris C 1877. Calendis»[179]. L'accoglienza più
favorevole a Sassari pare abbia lasciato traccia in tante pagine del CIL, come quando il Mommsen ricorda il
suo viaggio nell'isola: a. 1877 ego ipse
et Cagliari et Sassari metropoles duas ed alia quaedam insulae oppida lustravi,
ove sembra di scorgere traccia della pretesa di Sassari ad assurgere allo
stesso ruolo di Cagliari, già sede del viceré spagnolo[180].
Nella stessa data il Mommsen aveva già preso contatto con
Giuseppe Fiorelli e scriveva a Filippo Nissardi elencando le richieste per una
serie di verifiche epigrafiche da effettuare in Sardegna: «eccoLe la lunga
lista dei miei desiderj. Mi terrò fortunato, se Lei vorrà intraprendere il
viaggio o piuttosto i viaggi, come furono divisati. Ho lasciato le vicinanze di
Macomer e di Terranova, e il Prof. Amedeo a Sassari gentilmente mi promise di
farmene avere le notizie ed i calchi che occorrono. Quanto alle altre Lei sa,
che desidero tanto calchi quanto copie di tutte le pietre vedute. Per le sue
spese che occorrano la prego di avvisare l’Instituto archeologico, ossia il
Prof. Henzen (Roma, Monte Caprino 131), quanto denaro e dove lo vuole sarà
mandato secondo questi avvisi per vaglia postale. Finiti i viaggi, mi
trasmetterà una quietanza generale di tutta la somma spesa, che mi occorre per
la mia giustificazione. Basterà indicare il numero dei giorni del viaggio e la
somma totale. Ho indicato i marmi di cui conosco l’esistenza e vorrei dare un
testo ben assicurato. È probabile che non mancheranno altri finora sconosciuti;
può essere anche che manchi qualcheduna particolarmente di quelle ultimamente
pubblicate dallo Spano; nella fretta del viaggio non sono arrivato a sistemare
abbastanza i miei appunti. Intanto se fa questi viaggi disastrosi sì e lunghi,
ma utilissimi non soltanto per me, ma per la storia della sua isola, sono
persuaso che si acquisterà un bel merito dentro e fuori della Sardegna, e che
potrà allora continuare queste ricerche e continuare quelle pubblicazioni, di
cui ragionammo. Ho parlato di questo nostro progetto col Comm. Fiorelli, che
l’approva assai e sarà contento anch’esso, se riesce»[181].
Di questo periodo abbiamo anche una lettera del novembre 1877
inviata dal Mommsen al can. Spano e conservata presso la Biblioteca
universitaria di Cagliari: «Illustrissimo Sig. Canonico, tornato a Roma mi sta
a cuore di rinnovellarle l’espressione della riconoscenza che devo a lei per
l’accoglienza che mi fece nel suo Regno archeologico, il quale auguriamo tutti
che continuerà a governare colla stessa attività e felicità per anni ed anni.
Non sarà mai stampata pagina d’epigrafia sarda, che non porti il nome dello
Spano ed accenni ai suoi meriti. Io sono lieto di aver riuscito finalmente ad
averla conosciuto di persona e conservar di lei un caro ricordo. Suo
devotissimo ed obbligatissimo Mommsen»[182].
Il giudizio che il Mommsen diede sullo Spano in CIL X,2, per quanto affettuoso e riconoscente,
non fu in realtà completamente positivo anzi avrebbe contenuto alcuni aspetti
critici, anche se lo studioso sardo sarebbe stato completamente liberato
dall'accusa di essere uno dei falsari: dopo aver ricordato di aver conosciuto
lo Spano pochi mesi prima della sua morte (quem
paucis ante obitum mensibus Cagliari cognovi), il Mommsen avrebbe aggiunto:
«Iohannes Spano (...) per multos annos ut reliquarum antiquitatis
patriae partium, ita epigraphiae quoque curam egit Sardiniaeque thesaurum
lapidarium non solum insigni incremento auxit, sed etiam sua industria effecit
ut notitia ad exteros quoque perveniret. (...) Hoc magnopere dolendum est optimae voluntati, summae industriae,
ingenuo candori bene meriti et de patria et de litteris viri non pares fuisse
vires; nam titulos recte describere non didicit cavendumque item est in iis
quae ab eo veniunt a supplementis temere illatis. Nihilo minus magna laus est
per plus triginta annos indefesso labore his studiis Spanum invigilasse et
multa servasse egregiae utilitatis monumenta, quorum pleraque, si non fuisset
Spanus, sine dubio interiissent. Quare qui eum sequuntur, ut facile errores
evitabunt, in quos aetatis magis quam culpa incidit, ita difficulter proprias
ei virtutes aemulabuntur»[183].
Il viaggio del Mommsen, inizialmente accolto con simpatia, fu
accompagnato da una coda polemica che possiamo ricostruire sulla stampa e sulle
lettere di Vincenzo Crespi, l’assistente del Museo di Cagliari nemico acerrimo
del direttore Gaetano Cara[184],
che sarebbe divenuto amico del Mommsen e socio dell’Institutum Archaeologicum Germanicum. Lo studioso non era ancora
partito dalla Sardegna, che il Crespi gli faceva recapitare un biglietto nel
quale sollecitava un suo intervento per la nomina a direttore del Museo di
Cagliari, dopo la morte di Gaetano Cara avvenuta il 23 ottobre 1877 durante la
visita a Cagliari. Il 25 ottobre 1877 il Crespi scriveva al Mommsen: «Però
trattandosi che il mio avvenire può dipendere da una sua sola parola, e che
forse fu la Provvidenza che diedemi l’opportunità di poterla avvicinare sarebbe
un gran fallo se non mi rivolgessi a lei ora che il posto di direttore si è
reso vacante per il decesso del Cara. Se lei crede che io possa valere qualche
cosa che 17 anni di servizio prestati come assistente col misero stipendio di £
800 possano essere giusto titolo per aspirare a detto posto. Mi raccomando, ho
passato brutti momenti ed ho trascorso tutta la mia gioventù in sofferenze e
dispiaceri». E aggiungeva: «A volta di corriere manderò i disegni», evidentemente
i fac-simili di qualche iscrizione richiesti dal Mommsen[185].
Appena arrivato a Roma, il I novembre, il Mommsen scriveva al Crespi, col quale
evidentemente era nata una qualche simpatia in occasione del soggiorno sardo:
«Non so se sono più lieto o più dolente, che a Lei è riuscito di scoprire le
carte epigrafiche del Baille[186]
da me invano ricercate. Ora non resta altro che pregarla di farmi copiare il
modello che mi accenna e mandarmelo quanto più prima si potrà a Berlino». Le
spese dovevano essere addebitate all'Instituto. E ancora: «Delle iscrizioni ora
serbate nel vostro museo basta il principio del testo, ma bisogna mettere per
esteso tutto ciò, che spetta al sito antico delle pietre e alle circostanze del
ritrovamento». E poi la raccomandazione per la nomina del Crespi a Direttore
del Museo: «Quanto alla Direzione del Museo si è fatto quello che si è potuto.
Il resto sta nelle mani del buon Dio e del Sig. Ministro. Speriamo, che sarà
come l’auguriamo. Intanto io le riporto i ringraziamenti per l’assistenza tanto
cordiale quanto affettiva che ho incontrato da parte sua»[187].
Ancora pochi giorni dopo il problema è richiamato in una lettera del Mommsen:
«Quanto alla Direzione del Museo, non so nulla di nuovo, né lo saprò perché
lascio Roma domani». Era stato proprio il Crespi ad informare il Mommsen della
polemica sorta sulla stampa cagliaritana sul suo viaggio in Sardegna.
Il cronista de “Il Corriere
di Sardegna", G. Ghivizzani in una lettera al Mommsen datata al 26
ottobre gli rimproverava il comportamento a Cagliari: «me ne duole all'anima,
ma la colpa non è mia: sì è vero la sarebbe sua, se vere sono certe paroline
che dicono esserle uscite dalla bocca a conto di quelle famose carte d'Arborea
ch'ella ben sa; paroline agrette anzi che non, e che hanno ormai fatto il giro
della città». Dopo aver ricordato la sua stima ed anzi la sua venerazione per
il Mommsen, del quale aveva sentito parlare da Terenzio Mamiani come «di un
dottissimo uomo e di un Germano per amorosi studi fatto quasi Italiano», il
Givizzani non condivideva il giudizio sulle carte d'Arborea, sulle iscrizioni
(parlando di «sentenze alle scapestrata») ed il fatto che il Mommsen a Cagliari
non aveva voluto neppure vederle, compiendo a causa di una «soverchia sicurezza
in sé medesimi» una grave offesa verso gli ospiti sardi ed in particolare verso
quegli studiosi locali «che se non sono ognuno da per sé un Mommsen, tutti
insieme ( …) non li cangeremmo con parecchi Mommsen»[188].
Il 6 novembre, profondamente indignato, il Mommsen trasmetteva al
Crespi una lettera che doveva essere pubblicata nei giorni successivi: «Ella si
ricorda del mio “lasci correre”? Ora però mi sono ricreduto, e parmi che una
parola mia non sarebbe soverchia. Legga la lettera qui acchiusa se crede, la
faccia stampare con quelle correzioni, che occorrano. Tutta quella faccenda, a
dir vero, poco mi tocca, e certamente non tornerò all’assalto, parlar chiaro
alle volte può essere utile». Infine un poscritto sul lavoro di edizione delle
iscrizioni greche della Grotta della Vipera: «La prego di mandare i fassimili
delle iscr. Greche delle grotte non direttamente a Berlino, ma a Roma
all’Instituto dove un mio amico Sig. Kaibel se ne occuperà»[189].
Presso l’Archivio Comunale di Cagliari è conservato il testo della lettera del
Mommsen allegata alla nota del 6 novembre, che il Crespi fece pubblicare su L'Avvenire di Sardegna, in risposta
all’articolo di G. Ghivizzani del 26 ottobre; la stessa lettera veniva poi
pubblicata anche su La Stella di Sardegna
del 25 novembre, preceduta da una nota intitolata "Mommsen e le Carte
d'Arborea", con la precisazione che il prof. Ghivizzani, «pochi giorni
prima e, per così dire, nel momento dell'arrivo di lui a Cagliari, aveva
dettato ad elogio del professore Berlinese uno splendido articolo»; successivamente,
dando «facile ascolto a certe chiacchere, correnti in città, su cose suposte
dette dal Mommsen» egli aveva cambiato opinione ed era stato spinto «a trattare
il Mommsen un po' duramente»; ma «forse ora lo stesso sig. Ghivizzani, ad animo
tranquillo, disapprova il già detto»[190].
Nella lettera del Mommsen «con tono un po' troppo risentito» si coglie
l'imbarazzo per essersi forse lasciato trascinare dai brindisi a casa del
Prefetto di Cagliari: «Lascio volentieri alla stampa sarda (ed al pubblico
colto sardo) il giudicare con quanto senno e con quanta decenza certi uomini si
scaglino contro qualche parola “che corse per la città”, detta da me in una
riunione privata riguardo a certi punti della Storia di Sardegna. Ma, siccome
pare che possa essere di qualche interesse pel pubblico sardo il sentire cosa
giudichi io delle famigerate carte d’Arborea, non trovo difficoltà alcuna di
spiegare cosa ne penso, e così d’arrivare almeno a far cessare la guerra di Don
Quixote contro i mulini, vale a dire di un gran patriotta sardo contro le
parole probabilmente male espresse, e certamente assai mal ripetute, di un
viaggiatore tedesco»[191].
E subito il nodo della questione: «Anni sono, sulla domanda del
mio caro e compianto amico conte Baudi Di Vesme, ho steso e stampato il mio
giudizio sulle iscrizioni di epoca romana contenute nelle carte d’Arborea, ed
ho dimostrato che sono false non solo, ma di origine recentissima, cioè
foggiate nel secolo corrente. Questa mia memoria, che, tradotta in italiano
dallo stesso Vesme, può essere letta da ogni italiano, non ha incontrato
avversari; anzi, per quanto sappia io, non esiste alcuno del mestiere che oggi
dubiti della frode sciocca e goffa, che si nasconde sotto i nomi, sia del
Virde, sia del notaio Gili. Tornerò sull’argomento quando un erudito, il cui
nome abbia autorità, vorrà rifiutarmi; finché non accadrà questo, le persone
che non sono del mestiere, farebbero prova di buon senno, se si tenessero per
detto, quanto fecero i romani antichi, quando si trattava di qualche punto
difficile della scienza legale. Se erano d’accordo tutti i legisti, il giurato
doveva portare la sentenza secondo il loro avviso; se discordavano (egli)
seguiva l’opinione che più l’appagava. Così mettevano d’accordo l’infallibilità
della scienza colla fallibilità dell’individuo, ed evitavano la situazione
certamente equivoca del cieco che giudica de’ colori. Che l’ispezione oculare
delle carte stesse, di cui del resto buona parte vidi anni fa a Berlino, non
poteva impararmi nulla di utile, è evidente. Somministrerebbe forse nuovi
argomenti della frode; ma a noi questi non occorrono, perché bastano, e più che
bastano quei già dati ed evidenti. Del resto sono persuaso che anche gli amici
del sig. Ghivizzani lo consiglieranno di non darmi altri ammaestramenti sui
miei doveri epigrafici che penso ormai di conoscere abbastanza. Ma se richiede
da me questa ispezione quasi come un obbligo derivato da quella cortesia ed
ospitalità che ho ricevuto in tutta la Sardegna, io gli dico, al contrario, che
da uomo leale ho sentito l’obbligo di palesare il mio giudizio sopra quelle
carte perfino a Cagliari. Ne ho detto il mio parere in Germania, ed ho da
ripeterlo nella raccolta delle iscrizioni sarde che sto preparando; e non
voglio neanche in queste piccole cose cambiare la bandiera, e neppure
nasconderla. Anzi sono ben contento, e chiunque vuole lo sappia, come non io
solo, ma gli esteri tutti, per quanto consti a me, sono intimamente convinti
della falsità di tutto ciò che si trova nelle carte d’Arborea, riguardante
l’epigrafia e la storia romana, e che la questione a noi pare giudicata e
finita così che non se ne parla più fra le persone del mestiere. Va ben inteso,
che io parlo soltanto di ciò che ho studiato. Del vasto campo della storia non
ho coltivato che ben piccola parte, e non sono di quei che vogliono giudicare de omnia scibili et quibusdam aliis.
Quanto alla storia medioevale ed allo sviluppo della poesia italiana, lascio
volentieri il giudizio a chi tocca. Ma certamente ho pochissima fede anche in
questa parte delle famigerate pergamene, primo, perché sarebbe proprio un
miracolo se la fonte impura romana desse acqua limpida altrove, poi, perché,
quanto io mi sappia, i giudici più competenti e più numerosi rigettano anche
questi documenti. E trovandomi sotto questa impressione confesso che, per
quanto posso, evito ed eviterò di occuparmi di Storia Sarda medioevale.
Certamente leggerei con gran piacere la storia, per esempio, della vostra
eroica Eleonora; ma siccome quanto a questa non so troppo distinguere il grano
dalla zizania, trovandomi sopra un campo non mio, né vedendo dove finisca la
storia veritiera e cominci Arborea, così me ne astengo. Se queste mie poche
parole potranno contribuire a far capire ai veri patrioti sardi che il primo
loro dovere è di smascherare qualunque frode viene ad imbrattare la santa e
schietta Storia antica, e di combattere coraggiosamente quella camorra erudita,
che non soffre neanche l’opposizione a qualunque frottola, perché è frottola
patria, non saranno scritte invano. Chi le scrisse, lo fece, perché ebbe
occasione di convincersi del danno immenso che questo sistema reca agli studj
sardi e perfino all’onore del paese, e perché la cortesia usatagli lo spinge e
moralmente lo costringe di parlar chiaro, senza badare a ciò che ne sarà la
conseguenza, che saprà sopportare»[192].
A fine novembre il Crespi doveva aver comunicato l'avvenuta
pubblicazione su L'Avvenire di Sardegna
dell'intera lettera, che aveva suscitato una reazione furibonda nell'isola:
«Ricevo con molto ritardo la sua carissima senza data con cui mi avvisa la
stampa della mia lettera all’Avvenire di Sardegna. Sono ben contento che
gridano, ma sarei più contento, se lei mi mandasse tanto un esemplare di questa
mia lettera quanto almeno un saggio delle risposte che ha ricevute. Non ho
alcuna intenzione di continuare da parte mia questa polemica, ma lei capisce
che vorrei vedere cosa fa la Camorra da me combattuta, e se non viene fuori
almeno l’alba del buon senso. Se il Pillito non si fosse disdetto, sarei stato
nel caso di constatare il fatto, che si possano falsificare le carte senza
adoperare il tabacco. Il Sig. Ghivizzani mi ha scritto una lunga lettera sulla
“gentile censura” da lui fatta; spero si contenterà della mia risposta
stampata. Faccia conto che io non vedo nulla de' vostri giornali, se non mi
viene mandato da lei». E infine di nuovo la Direzione del Museo di Cagliari:
«Quanto all’affare del Museo voglio sperare che finirà bene. Io ho fatto quel
poco che ho potuto, (…) perché sono intimamente persuaso che il Museo starà
bene nelle sue mani»[193].
Nei giorni successivi La
Stella di Sardegna completava il quadro con una lettera di Salvatore Angelo
De-Castro, che ammetteva di essere «tenuto per uno dei falsificatori»,
osservava che nel corso dell'incontro col Mommsen aveva «potuto rilevare che in
lui predomina quel genio critico troppo spinto, che confina collo scetticismo,
e un certo umore satirico: il che è proprio d'una parte dei dotti Germani.
Bisogna però distinguere in esso l'uomo che scrive da quello che parla. Quando
egli, per esempio, mi veniva dicendo che, in Sardegna, di cento iscrizioni,
cento son false e fratesche, poteva io credere ch'ei non celiasse? E, celiando,
io lo pregava a non usare una critica tanto severa per tema che col cattivo se
ne potesse andar via anche il buono». E poi una polemica sull'infallibilità del
Mommsen, sull'ipse dixit, sui giudizi
dati ex tripode da «un grande
scienziato, onore della Germania e dell'Europa»[194].
La polemica sarebbe proseguita sul settimanale sassarese, che
pubblicava una lettera su "Le pergamente
d'Arborea" a firma di Salvatore Sechi-Dettori, con la quale si
invitava il De-Castro a dichiarare pubblicamente le cose riservate su le Carte
d'Arborea che aveva raccontato nei giorni precedenti a lui ed al Costa nel
corso di una passeggiata: doveva ricostruirsi ormai «la vera storia delle
carte» e dovevano essere resi di pubblica ragione i fatti «da alcuni conosciuti
e tacciuti ad arte»: si ricordava il viaggio in treno tra Sassari e Porto
Torres, quando il Mommsen aveva invitato il Sechi e l'Amedeo a porre
pubblicamente alcune domande: «dove? come? quando? da chi furono esse trovate
queste famose carte d'Arborea». E dunque il De Castro veniva invitato a fare i
nomi, «senza alcun riguardo alle persone vive, moribonde e morte»[195].
Il 6 gennaio 1878 il De Castro pubblicava una prima risposta
ancora conciliante, riconoscendo «rette le intenzioni» del Sechi Dettori, ma
rifiutandosi di aggiungere informazioni nuove sulla vicenda, rimandando alle
cose pubblicate dal Martini: «il Mommsen non lesse mai queste cose, e giudicò a
vanvera, anzi ab irato». Riferiva poi
di una lettera inviatagli dal paleografo Pillitto[196]
con un giudizio sul Mommsen: «come i di lei riflessi serviranno di farmaco al
Mommsen per calmare la sua bile irritata dal G(hivizzani), così le sue giuste
osservazioni gli faranno, suo malgrado, se non cambiare, nascondere almeno la
sua bandiera, pensando, che se ci toccò la sventura di perdere il La Marmora,
il Martini, ed il Vesme, vivente il quale egli ammutolì, non lascierà la S.V.
di sostenere e vincere la nostra causa»[197].
Nella polemica, con una lettera da Torino indirizzata al
Direttore de La Stella di Sardegna,
si inseriva l'11 gennaio 1878 Luigi Amedeo, che riprendeva il concetto del
Mommsen sull'esigenza di parlare «a propugnazione del vero»; egli giudicava
insufficiente la risposta del De Castro al Sechi Dettori e soprattutto notava
il contrasto tra le «parole più benevoli e giuste usate altra volta» e le gravi
accuse mosse ora «contro il dotto tedesco», che a Sassari gli aveva fatto notare
come il riferimento alla dedica del tempio della Fortuna a Turris Libisonis
contenuto delle Carte d'Arborea doveva essere successivo al 1819 ed alla
effettiva scoperta della base marmorea di M. Ulpio Vittore a Porto Torres[198];
il falsario aveva agito dunque solo nell'Ottocento. Di fronte a tale
osservazione, la risposta del Baudi Di Vesme gli era apparsa assolutamente
superficiale ed ingenua. Dopo aver criticato il De Castro, perché «il dovere
d'ospitalità avrebbe dovuto consigliargli parole meno gravi contro il Mommsen»,
l'Amedeo ricordava che «il Mommsen m'era stato raccomandato ufficialmente dal
Ministero, e come ospite, affettuosamente da amici»; e precisava: «e per dovere
d'ospitalità e d'amicizia e di giustizia, intendendomi un poco di Storia e di epigrafia,
e vedendo come il dotto tedesco avea ragione per questa arte a dubitare delle
Carte d'Arborea, ed era, senza prove in contrario, improntamente ed
ingiustamente assalito e condannato, dovea io, benché sardo, anzi forse per
questo, prenderne le difese»[199].
Segue una lunga risposta del De Castro all'Amedeo, con la quale
si spiegavano le ragioni che consigliavano riservatezza e prudenza e si
riprendevano gli interrogativi («dove? come? quando? da chi furono esse trovate
queste famose carte d'Arborea») che il Mommsen aveva posto agli amici
sassaresi: domande che al De Castro «parvero strane in bocca d'un così dotto
scrittore», «ma ho respinto questo dubbio, pensando che Sechi-Dettori e Luigi
Amedeo sono uomini d'onore». Il De Castro non capiva «la nuova insistenza del
Mommsen», ammetteva di aver esagerato dicendo che lo studioso tedesco aveva
giudicato a vanvera, ma anche la lettera inviata dal Mommsen al Ghivizzani «è
forse uno zuccherino?». Respingeva l'accusa di scarsa ospitalità e aggiungeva:
«Quanto al Mommsen, il più illustre di quanti ospiti ci sieno capitati, sarà
egli sempre il benvenuto fra noi, e accolto con tutta quella cordialità, stima
e devozione che sono dovute a tanto uomo: anco lo ringrazieremo se riuscirà da
vero a dissipare le addensate tenebre in che da secoli ci avvolgiamo», con
riferimento evidentemente alla lettera in latino inviata dal Mommsen ad Enrico
Costa. Il De Castro commentava le obiezioni dell'Amedeo e giudicava
«probabilissimo» che la base turritana relativa al tempio della Fortuna
presente nelle Carte d’Arborea fosse stata letta nel '500 al tempo del notaio
Gilj e riscoperta dal Baille nel 1819: non si tratterebbe dunque di una falsa
anticipazione, prova incontrovertibile dell'esistenza di una falsificazione, ma
di una reale possibilità. E poi la serie dei governatori della Sardegna romana:
«Il Mommsen ripudia come false le cose narrate nel codice Garnerano riferentesi
ai tempi romani e per conseguenza come falsificato lo stesso Codice. Ma perché?
Per certi nomi di Presidi che, a suo parere, non sono nomi romani (quasiché
egli sappia a menadito i nomi di tutti gli antichi cittadini romani); per certi
errori di lingua …». E poi la questione di Gaius
Caesius Aper, «legatus pro pretore
dell'imperatore in Sardegna» come vogliono le Carte d’Arborea, in realtà legato
del proconsole, noto da un'iscrizione di Sentino pubblicata da Bartolomeo
Borghesi nel 1856[200].
Tutti problemi secondari, che possono nascondere errori e fraintendimenti da
parte degli autori delle Carte d’Arborea che potrebbero aver fatto errori in
buona fede: «non errò forse lo stesso Mommsen sulla vera lezione di certi passi
d'una tavola di bronzo contenente una sentenza di Arbitri; i passi da lui
controversi, ma vittoriosamente combattuti e dilucidati dal canonico Luigi
Grassi, cui l'Accademia Ligure diè ragione? E poi perché il Mommsen intraprese
questa lunga peregrinazione in Italia se non per rivedere, esaminare e
correggere iscrizioni da altri, o non ben lette, o mal copiate e male interpretate?
Vorrebbe egli pretendere che solo in Sardegna gli archeologi antichi e moderni
dovessero essere tanti Mommsen? Ci dica pure ignoranti, gli perdoneremo; ma non
falsari. Mi scuserà, signor Direttore, se tanto, mio malgrado, ho cianciato
finora. La ragione ne è che quest'affare dell'epigrafia è il cavallo di
battaglia per Mommsen, l'Achille dei suoi argomenti per mandare a carte
quarantotto tutte le Carte d'Arborea»[201].
Ci interessano di meno in questa sede le obiezioni sugli aspetti letterari
delle Carte d’Arborea, che riflettono un sentimento di nazionalità che a
giudizio degli studiosi tedeschi e dello stesso Amedeo riflettevano il quadro
dell'Ottocento e non potevano tornare indietro fino ad età medioevale. Poi di
nuovo il risentimento per il comportamento del Mommsen che, «venuto in
Cagliari, pregato e ripregato di vedere originalmente le dette Carte ed
esaminarle, si ricusò. E perché? Quod
scripsi scripsi». Ma «con gente leggiera, burbanzosa e scettica» … «prevale
il dubbio; in noi la coscienza e l'onestà». Sembra inevitabile, di fronte a
tali dichiarazioni un poco ipocrite del De Castro, ricordare alcune frasi di
Ettore Pais, che, citando nel 1894 degli informatori attendibili, aveva
ricordato tra i protagonisti della falsificazione delle Carte d'Arborea due
prelati sardi «che, giunti in fin di vita, pentitisi dell'inganno da essi
tessuto, cercarono di por riparo al mal fatto»: «uno di essi - precisa il Pais
- lasciò un cospicuo legato a fine di beneficienza; l'altro volle che la sua
colpa (ciò che non fu interamente fatto) venisse pubblicamente confessata»[202].
Il primo è sicuramente il De Castro morto nel 1880 a 63 anni d'età[203];
il secondo Gavino Nino, morto a Cagliari sei anni dopo, nel 1886; entrambi
potrebbero esser responsabili della falsificazione, almeno per la parte
letteraria[204].
Infine, nel volume curato dal De Castro, sarebbe stata pubblicata
una lettera del paleografo Ignazio Pillitto, tirato in ballo per «il silenzio
tenuto da me e dal Comm. Spano, ora che si pose nuovamente in campo la questione
delle povere Carte Arborensi»: ma l’età ed i pesanti affari del suo ufficio
avevano impedito al Pillitto di intervenire in una polemica odiosa; «in quanto
allo Spano, egli tace per non impegnarsi in una discussione oramai superiore
alle sue forze, attesa la sua cagionevole salute; e se tacque in quel
banchetto, ciò fu perché il tempo ed il luogo non gli permettevano di parlare;
come per sì fatta circostanza tacque pure il Vivanet». Il Pillitto era
preoccupato per l'inchiesta che si sollecitava da più parti sulle Carte
d’Arborea, riteneva che «i dotti d'ogni nazione» dovevano essere «i soli che
devono decidere su tale controversia» e raccontava poi l'episodio già
ricordato: «io però non sì tosto furonmi riferite le parole pronunciate dal
Mommsen procurai di parlargli, e trovatolo leggendo una iscrizione esistente
nel muro dirimpetto al seminario Tridentino, avvicinatomi a lui, e fatti i
dovuti complimenti, togliendo occasione da quella epigrafe, la cui antica copia
fu da lui trovata discorde da quell'originale e perciò la stava riducendo alla
vera lezione, come pure fece per alcune altre fra quelle di cui si adorna il
nostro Museo, gli dissi, che quello stesso fatto m'induceva vieppiù a credere,
che il giudizio da lui portato sulle iscrizioni contenute nel codice Gili,
state copiate dal Virde nel 1493, era troppo severo, perché se caddero in
errore i nostri archeologi viventi od a noi molto vicini, allorché lessero
l'epigrafe che egli avea sottocchio, e le altre conservate nel Museo; e se del
pari errò il La Marmora nello spiegare in
Senatu e Caracalla le parole
guaste …ATV e ALLA… che veggonsi nella terza delle citate iscrizioni del Gili
(e perciò stesso ritenne per dubbiosa la stessa iscrizione: la quale fu però
ridonata al vero senso dal Martini, leggendovi egli col conforto d'altri
scritti Incolatu e Maliano), molto più poteva errare quel
semidotto e pessimo scrittore Virde nel riprodurre od interpretare i nomi od
altre parole di quelle epigrafi nelle parti guaste dal tempo[205].
Ma per quanti argomenti abbia io addotto, non mi riuscì di persuaderlo, che
anzi egli confermò la sentenza di falsità già da lui pronunciata contro quelle
iscrizioni. Visto ciò lo pregai di venire all'archivio per ivi esaminare le
Carte che fanno fede dell'esistenza del Gili, del suo soggiorno in Sassari nel
detto anno 1493 e dell'identità della sua sottoscrizione, che scorgesi
nell'accennato Codice: per leggere i due trattati di pace stipulati dalla
giudicessa Eleonora, l'uno nel 31 agosto 1386 col Re Pietro IV, l'altro nel 24
gennaio 1387 col suo successore Giovanni, onde rilevare, da quanto in essi atti
fu esposto e discusso, l'animo virile, l'accortezza e il senno di quella
eroina, sì nel difendere l'onore della sua patria, come nel ridonare la libertà
al suo marito Brancaleone Doria. Ma il Mommsen mi rispose, che essendosi
dedicato unicamente alla epigrafia nulla conosceva dell'arte paleografica, e
meno si occupava della storia medioevale»[206].
Il 24 novembre, il Mommsen continuava a lamentare il ritardo
nella spedizione dei documenti richiesti dalla Sardegna: «Aspetto gli estratti
delle carte del Baille e le altre buone cose che mi annunzia. Intanto gradisca
i miei ringraziamenti per l’ajuto che mi presta, infatti operam fortem et finalem. Ebbi una lettera diretta al Sig. Dott.
[Battista] Mocci a Cuglieri[207] dal Sindaco di Oristano Cav. Corrias, che mi
è stato assai cortese. In questa lettera il Sig. Mocci dice che esiste tuttora
la lapide che comincia LR......... IANO ET A BASSO COS[208]
nel sito indicato da la Marmora, e ne possiede alcune altre lapidi inedite e
può indicarne il sito. Voglia dire questo al Sig. Nissardi che spero si
ricorderà delle promesse fatte da lui di rintracciare le lapidi disperse per la
vostra raccolta. Tanti complimenti al Sen. Spano»[209].
Solo il 5 dicembre 1877 il Crespi, ricambiando i saluti dello
Spano, trasmetteva finalmente una copia de L'Avvenire
di Sardegna, con il testo dell’articolo in risposta al Ghivizzani: «Le
chiedo perdono per il ritardo nell’invio del giornale in cui si pubblicava la
sua lettera: non ho altre pubblicazioni che la riguardano: sensazione fu l’aver
io immaginato come di consueto vuolsi fare che il Direttore dell’Avvenire di
Sardegna, e quelli degli altri giornali lo avessero fatto. Come apprendo anche
il De Castro ha aguzzato la penna in inutili sforzi, egli non arriverà mai a
provare la sincera antichità del Codice Gili, Zibaldone notarile imbrattato
(pessima l’espressione) con disegni da caserma per mascherare la falsificazione
dei famosi idoli Fenici del museo e per finire l’opera di trutfer di cui fu vittima il Lamarmora. Il Ghivizzani, ritengo,
starà zitto, ed è l’unica cosa che gli convenga, tanto più dopo il mistificante
annunzio della lettera del Vesme al Pillito colla quale credeva di poter
ballare la gran cassa. Le invio oltre i detti giornali le copie delle carte del
Baille nelle quali credo troverà molte indicazioni, ma pochissime esatezze. Se
non fossi tuttora travagliato da un fortissimo catarro agli occhi avrei anche
oggi potuto inviarle il mio lavoro, ma ciò mi fu assolutamente impossibile
giacché appena vedo a scrivere questo. Spero però che la cosa non andrà troppo
in lungo e che potrò fra breve adempiere al mio ultimo impegno. Il Nissardi fa
i preparativi per la sua escursione archeologica. Egli ne trarrà buon frutto
perché ha volontà di fare. Intorno poi al Sig. Batt(ista) Mocci di Cuglieri
credo possa conoscere iscrizioni inedite perché non manca di coltura però mi fa
maraviglia essendo egli ispettore agli scavi di quella regione e quindi
dipendente dello Spano, non abbia a questo comunicato le dette iscrizioni. Ad
ogni modo quando il Sig. Nissardi vi si recherà definirà il tutto. Spero che mi
sarà indulgente se nel disbrigo delle cose raccomandatemi trovasse delle
inesattezze e nel caso voglia attribuirne la causa puramente alla mia ignoranza
e non a difetto di buona volontà per servirla, la quale durerà fino a quando
sarò onorato dei suoi comandi»[210].
La risposta del Mommsen da Charlottenburg è del 25 dicembre: «Le
sono assai obbligato della cortesia con cui mi ha comunicato lo spoglio delle
carte del Baille, che sono di qualche importanza per l’epigrafia Sarda, come
pure inviato i giornali sopra quell’interminabile filastrocca arborense. Io me
ne lavo le mani e tornerò a studj più utili. Aspetto i disegni della nostra grotta,
il fascicolo dell’Effemeride sarà messo sotto torchio in Gennaio e potrà uscire
verso Pasqua. Mi saluti lo Spano ed il Nissardi di cui spero di avere fra breve
notizie ulteriori»[211].
Il rapporto epistolare col Nissardi doveva essersi interrotto
dopo il I novembre 1877, se solo il 31 marzo dell’anno successivo abbiamo una
lettera conservata dalla famiglia e pubblicata dal Loddo Canepa, con la quale
il Mommsen da Roma sollecitava il mantenimento degli impegni presi e la
raccolta dei facsimili delle iscrizioni sarde: «stavo appunto per scrivere a
Lei, quando mi giunse la sua carissima del 17, che per me fu una vera
consolazione. Non avendo più delle sue notizie né vedendomi arrivare quei
materiali indispensabili pel mio lavoro che lei mi fece sperare temevo che non
fosse sorto qualche ostacolo insormontabile e che dovessi provvedere
altrimenti, ciò che per me sarebbe difficile assai. Ora però vedo che non è
altro che la neve delle vostre montagne, che spero si squaglierà e vi
permetterà nel corso della state di fare le gite che occorrono. Faccia, se mai
è possibile, che la faccenda venga sbrigata nei prossimi mesi; non io solo, ma
pure il nostro Instituto e la Sovrintendenza degli scavi le saranno
obbligatissimi. Mi saluti l’egregio nostro Spano, di cui conto fra le buone
sorti della mia vita di aver fatto la conoscenza personale. Infatti parmi che
non si può conoscere l’epigrafia sarda senza aver potuto stringere la mano al
suo padrino»[212].
Il 18 aprile 1878 in una nota di accompagnamento ad una lettera
per il Nissardi il Mommsen commosso scriveva da Roma al Crespi di aver appreso
in Sicilia della morte dello Spano avvenuta a Cagliari cinque giorni prima, a
75 anni di età, «un uomo schietto e patriottico che impiegò la sua vita a
tutelare i monumenti patri»: «non piangeremo lui che è morto compiti gli anni e
eseguiti i doveri; piangeremo bensì la gravissima perdita che hanno fatto non
gli amici soli, ma la Sardegna e la nostra ricerca, tanto più quanto non c'è
speranza alcuna che l'alto posto preso da lui sia riempito»[213].
Ci è rimasta anche la lettera al Nissardi inviata nella stessa data e
conservata dalla famiglia, nella quale il Mommsen sembra mettere il Nissardi
sotto la tutela del Crespi: «Le sono oltre modo grato del viaggio ora risoluto.
Io non ho nulla da aggiungere a ciò che combinammo, cioè per ora. Potrebbe però
darsi che quando metterò le mie carte ad un nuovo esame facendone la copia
buona, a cui arriverò fra giorni, sorgerà qualche nuovo intoppo da sciogliere
soltanto sul luogo istesso. Perciò le domando il permesso nel caso di farme
consapevole il nostro comune amico prof. Crespi, che Lei vorrà ben mettere in
istato di farle seguire le lettere, per quanto è possibile in tali viaggi». E
ancora il rammarico per la scomparsa dello Spano: «La morte dello Spano,
comunque aspettata secondo lo stato scadente in cui l’ho conosciuto io, mi ha
destato un vero cordoglio, e lo so pur troppo, che nessuno ha perduto in lui
più di Lei»[214].
Qualche mese dopo il Mommsen, il 23 ottobre 1878, scriveva al
Crespi per lamentare il ritardo nell'invio dei fac-simili delle iscrizioni
greche e latine della Grotta della Vipera di Cagliari: «Non è colpa nostra, che
il prossimo fascicolo dell’Ephemeris
esca senza la nostra Pomptilla. Ma Ella non ha risposto al Kaibel, ed invano
aspettammo lui ed il promesso disegno. Però siccome finita la stampa di questo
fascicolo fra poco si incomincerà un altro se Ella non si è pentito del nostro
progetto, potrà sempre essere eseguito, comunque con qualche ritardo». In vista
della pubblicazione del secondo tomo del CIL
X, il Mommsen dichiara: «Dopo tante e tante diverse faccende finalmente ho
potuto tornare alle sarde ed il foglio acchiuso contiene certi quesiti, a cui
la prego insieme al Sig. Nissardi di farmi avere in margine la risposta. Spero
che non vi sarà nessuno che le dia molta fatica: e del resto lo so che lei fa
il possibile sia per me, sia per il mio lavoro, che spero servirà a dar un
certo fondamento alle ricerche epigrafiche de' suoi compatrioti ed ad avvivare
quegli studi, pur troppo tralasciati. Ho studiato finalmente i primi calchi del
Nissardi e sono molto contento del suo lavoro, di cui so bene apprezzare la
somma difficoltà. Se lui continua così, diverrà fra poco un copista valente ed
accreditato, ciò che è qualche cosa d’importanza per i nostri studi. La prego
di salutarlo e di dirgli che non mancherò anche col Fiorelli di dargli gli
elogi ben meritati. Vorrei che mandasse quanto prima il resto dei calchi; da
Roma sento con piacere, che ha continuato i viaggi». E poi, in conclusione: «La
prego di darmi almeno un segno di vita; veramente temo, che non sia caduta
qualche cosa di sinistro a ragione del suo silenzio»[215].
Non possediamo la risposta del Crespi, che pure dové esserci
stata, se l'11 gennaio 1879 le iscrizioni di Atilia Pomptilla erano ormai in stampa per il IV volume de l'Ephemeris Epigraphica[216]:
«Le posso annunziare che la nostra Vipera ora si trova sotto torchio e ne
riceverà fra poco i bozzoli, che le prego di ritornarci quanto più prima sarà
possibile, avvisandomi pure quante copie le occorrono. Le sono obbligatissimo
per le risposte esattissime e pienissime sulle mie molteplice domande. Ne terrò
conto quando potrò tornare alle sarde, ma per ora le sedute delle nostre camere
me lo rende impossibile. Ricevrà fra poco l’ultimo fascicolo dell’Ephemeris, in cui si trova pure il nuovo
diploma sardo[217].
Ebbi da Roma il suo disegno, né ho trovato da aggiungere alle sue osservazioni.
Dal nostro Nissardi ricevei alcune settimane fa un telegramma guasto così che
non ho potuto aprirlo; ed ora ebbi calchi ed i fassimili da lui raccolti. La
messe è ben scarsa per tanti disagi sofferti e denari spesi; ma quest’è colpa
non di noi, ma de' vostri cari paesani che guastano quel poco che il caso fa
scoprire. Avrei desiderato, che il Nissardi, come ha fatto prima, avesse
chiesto i denari prima di spendergli; sarebbe stato più regolare perché così
prendere l’opinione della Commissione e guarantirmi di possibili rimproveri.
Senza previsione finanziaria non è possibile dirigere una impresa così vasta come
la nostra disgraziatamente lo è. Però fatto è fatto e bisogna, come sempre,
consolarsi e pagar, e faremo l’uno e l’altro. Vorrei pure potergli offrire
qualche segno di riconoscenza per quel viaggio disastroso fatto a danno mio ed
a pro delle scienze. Danari in tal caso non si sono mai dati bensì qualche
regalo; mi consigli in tutta confidenza»[218].
Vediamo iniziare la polemica col Commissario Vivanet che si
sarebbe sviluppata negli anni successivi soprattutto nella corrispondenza con
lo Schmidt: «Quella pubblicazione col nome di Vivanet sotto ho saputo
apprezzarla come lo merita. Voglio sperare che il Nissardi non si faccia cavar
di tasca quelle nuove iscrizioni da lui trovate, che sono o sue o mie, ma
certamente di nessun altro. Io non voglio pubblicarle separatamente; se il
Nissardi vuol inserirne le buone (non già tutta la robaccia) nel nostro
Bullettino o ajutato da lei o prendendola per coeditore, io v’acconsento ben
volentieri»[219].
Il lavoro del Nissardi, pagato dall'Instituto romano con cifre
che inizialmente il Mommsen giudicò eccessive e successivamente del tutto
insufficienti, cominciava a dare dei frutti apprezzati, se nel CIL i tre successivi viaggi in Sardegna
sono così descritti: Philippus Nissardi,
qui meo iussu Sardiniae titulis per insulam describendis non infructuosam
operam dedit[220]. Ma i calchi ed i facsimili inviati
certamente dal Nissardi in occasione del primo e del secondo viaggio per
l'isola andarono distrutti quasi completamente il 12 luglio 1880 in occasione
dell'incendio appiccato casualmente dallo stesso Mommsen con una candela che
distrusse quasi per intero la biblioteca privata di Charlottenburg: una
tragedia rievocata recentemente nel volume La
biblioteca stregata di Oliviero Diliberto, che ha ben descritto «la
solidarietà tra studiosi; l'intrinseco prestigio dello storico tedesco; l'eco,
l'impressione e la partecipazione dolorosa alla tragedia dell'incendio;
l'immensa rete di relazioni scientifiche costruite da Mommsen in decenni di
viaggi e ricerche»[221].
Eco dell'avvenimento è già in una lettera del 17 luglio del de Rossi (che aveva
appreso l'episodio dai giornali)[222]
e nell'accorata risposta del 7 agosto: «la vostra amicizia non mi da mai noja,
anzi se vi è qualche cosa che mi mantiene un po' di coraggio in questa
sventura, è il ricordo di quei che mi vogliono bene. Cerco di ricomporre quello
che ha perito, né dispero di poter finire se non ciò ch'io mi proposi di fare,
almeno la mia parte dell'impresa epigrafica. Bisogna ripassare con pazienza
ogni cartolina; finora le perdite non mi pajano irreparabili ma ci vuole almeno
un altro mese per finire questo tristissimo esame»[223].
Il Mommsen precisa che «il manoscritto per le isole, specialmente la Sicilia e
la Sardegna, ha patito molto, ma spero che potrà redintegrarsi», così come gli Addenda, «specialmente quell<i>
del vol<ume> X»[224].
Il carteggio con i corrispondenti sardi ci informano più in
dettaglio sulle perdite subite: scrivendo al Crespi da Berlino il 20 agosto
1880 (non 20 aprile) il Mommsen precisava che «la Sardinia è forse quella
provincia che ha più sofferto dall'incendio subito. Ciò che più di ogni altra
cosa mi sta a cuore è la distruzione quasi totale del frutto epigrafico del
secondo viaggio del nostro Nissardi. I calchi hanno periti (sic): ma ho la speranza, che le copie
potranno rifarsi sulle notizie prese sui luoghi e probabilmente conservate dal
Nissardi. Ho scritto a questo offerendogli qualche compenso pel nuovo lavoro.
M’ajuti pure lei per farmi avere una risposta favorevole e sollecita. Dagli
avanzi di quelle carte mezzo bruciate non posso tirare quasi nulla. Ma le copie
del Nissardi sono buone, e se si rifanno, mi basteranno. Nel caso contrario
dovrebbero prendersi le misure necessarie per rifare il viaggio. Vi sono altre
molte cose, in cui mi occorrerà il suo ajuto per colmare i vuoti cagionati per
l’incendio. Se Ella me lo permette, unirò tutti i quesiti, per cui le nostre
Biblioteche non bastano, e la pregherò d’incaricarsi di questo lavoro, come già
lo fece altre volte in tempi più felici. Il quarto volume del Bullettino [Archeologico] Sardo dello
Spano appartenente alla nostra Biblioteca è pure stato incendiato trovandosi
presso di me. Se si trova lì, lo prenda senza riguardo al prezzo. Meglio ancora
se si trovasse la serie completa; alla nostra mancava qualche altro volume». E
poi una postilla: «Non m’imiti e mi risponda subito per l’affare Nissardi». Ma
la lettera esprime veramente i sentimenti e la disperazione dello studioso
tedesco: «Dovevo scriverle, ma non credevo dover scrivere nelle tristissime
circustanze, in cui ora mi trovo, né esser costretto di domandarle il suo ajuto
così come ora debbo farlo. Gli abbozzi del suo articulo da inserire nell’Ephemeris, che ricevrà insieme con
questa lettera, le dimostreranno che non ho mancato alla promessa data. Avrei
potuto e dovuto mandargli un pezzo fa. Ma il litografo che sta eseguendo la
tavola indugiava, e per tanti altri affari non mi fu possibile di finire gli
altri lavori destinati per la medesima dispensa del Giornale. Così la mia
risposta tirava in lungo, ed hora ho da chiederne il perdono. Questo suo
lavoro, come lui vede è rimasto salvo dal grave disastro che mi toccò. Le carte
sue originali sono state danneggiate dal fuoco: però nel caso che Ella pensasse
a pubblicarle in Italiano, potranno servirle per rifare il lavoro. Mi scriva se
debbo ritornarle nello stato in cui si trovano»[225].
Il 3 agosto 1880 il Fiorelli, Direttore Generale dei Musei e
degli Scavi d'antichità del Ministero dell'istruzione pubblica del Regno
d'Italia, in una lettera circolare inviata d'ordine del Ministro, a tutti i RR.
Commissari dei Musei e degli scavi, ai Direttori dei Musei ed ai RR. Ispettori
degli scavi e monumenti annunciava l'incendio della biblioteca del Mommsen e
chiedeva un sostegno per ripristinare quanto era andato perduto: «Dai giornali
deve essere stata oramai diffusa la notizia della disgrazia toccata al ch. Mommsen,
la cui biblioteca fu quasi tutta consumata da un incendio pochi giorni or sono.
Tra le carte che andarono perdute, erano i lavori ai quali il sommo uomo attese
nel lungo corso degli anni, per condurre a termine la grande opera sulle
iscrizioni latine. Se in mezzo a tanto sfortunio, che reca danno gravissimo
alla scienza, può trovarsi conforto alcuno, questo nasce dal vedere
l'instancabile operosità del Mommsen pigliar nuovo coraggio dalla sciagura, e
volgersi senza frapporre indugio a riparare il danno sofferto. Tanta nobile
energia merita di essere incoraggiata da quanti amano il progresso degli studi;
ed è dovere che abbia a preferenza gli aiuti dei dotti italiani, i quali più di
tutti hanno interesse di veder editi i volumi, che conterranno le epigrafi
delle regioni meridionali d'Italia e delle isole di Sicilia e di Sardegna. E
però questo Ministero fa caldo appello agli uomini egregi [gli stessi che il
Fiorelli in una lettera confidenziale al Mommsen aveva definito africani!!]
preposti alle cure dei monumenti nelle varie provincie, invitandoli ad ottenere
in dono per la biblioteca del dottissimo professore tedesco una copia di tutte
quelle opere e monografie, nelle quali vengono riferite od illustrate le
iscrizioni del paese. Sono certo che si metterà tutto l'impegno per dimostrare
così al benemerito uomo, come non siamo noi indifferenti a ciò che riguarda il
bene universale della scienza; e si contribuirà nel tempo stesso a riparare più
prestamente possibile, la grave disgrazia universalmente deplorata. I libri e
gli stampati dovranno essere trasmessi a questa Direzione Generale, che
provvederà a farli pervenire al prof.re Mommsen»[226].
Due settimane dopo, il 12 agosto, il Direttore incaricato del Museo d'antichità
della Regia Università degli studi di Sassari, il prof. Ettore Pais, rispondeva
al Fiorelli trasmettendo soltanto un fascicoletto, la Memoria sopra alcuni idoletti in bronzo trovati in Teti, con le
scoperte archeologiche fattesi in Sardegna nel 1865, a firma dello Spano,
da poco deceduto: nella lunga lettera di accompagnamento del modesto omaggio,
il Pais spiegava che le opere dello Spano erano stampate in un numero
limitatissimo di copie e non erano più reperibili. È vero che alcune erano
state trovate con grande fatica per il Museo, ma al momento il Pais aveva un
unico volume di sua proprietà: chiedeva dunque di essere autorizzato a cedere
le copie acquistate dal Museo, anche se pensava che da Cagliari sarebbero
pervenuti certamente al Ministero i volumi mancanti. Infine: «Qualora al Prof.
Mommsen non fosse possibile l'avere una copia del Bull(ettino) Arch(eologico) Sardo, si potrebbe fargliene avere in
imprestito una delle due che possiede la R. Biblioteca di Sassari, e qualora
desiderasse il volume del La Marmora, ove sono raccolte moltissime inscrizioni,
opera rarissima e che manca se non mi inganno anche alla biblioteca di Berlino,
si potrebbe pensare ad acquistare tutta l'opera del La Marmora, che
fortunatamente è posseduta dall'avv.to Aperlo Sclavo, il quale è pronto a
venderla[227].
Qualche anno fa, lo zio di questo signore, il fu Monsignor Sclavo fu pregato
dal Governo di voler vendere tale opera alla Biblioteca di Berlino e non volle
fare»[228].
C'è evidentemente qualche motivo di risentimento postumo nei confronti di quel
Mons. Sclavo che era stato designato, come l'Amedeo, a dirigere il Museo di
Sassari, poi affidato al Pais con decreto del Ministro della Pubblica
Istruzione del 16 novembre 1878, che lo inaugurò effettivamente solo il 20
novembre 1880[229].
Il 30 agosto 1880, rispondendo ad un telegramma del Crespi, il
Mommsen spediva una lista con «i quesiti che mi occorrono, i quali, come vedrà,
non sono di gran momento e non le daranno molto fastidio. Faccia che le
risposte vengano quanto prima sarà possibile»[230].
Mandava poi copia delle «litografie destinate ad illustrare il suo articolo
sull’Ephemeris», un lavoro firmato dal Crespi[231],
sul quale nel CIL X[232]
il Mommsen avrebbe precisato: «nuper
Vincentius Crespius Cagliaritanus meo adiutorio usus edidit omnia in Ephemeride
nostra epigrahica vol. IV»[233]. «Ella avrà veduto che se cambiamenti
occorrono, vi è ancora tempo; anzi certi errori tipografici dovranno essere
tolti»[234].
Sul Crespi il Mommsen avrebbe poi dato uno splendido giudizio: in museo bibliothecaque Cagliaritana mihi
tamquam a manu fuit vir peritus et candidus, con la volontà di sottrarlo a
qualunque accusa di collusione con i falsi d'Arborea[235].
Ma il punto cruciale è il ritardo con il quale il Nissardi
procedeva nel rifare il lavoro perduto, tanto che si profilava la necessità di
inviare uno studioso tedesco, Johannes Schmidt, che aveva una precedente
esperienza di viaggi epigrafici, avendo lavorato in Umbria con Eugen Bormann[236]:
«Incomoda assai è l’assenza del Nissardi. Faccio conto ch’Ella gli farà
capitare la mia lettera mandata direttamente quanto prima, e solleciterà pure
la risposta. È possibile, che manderò a Cagliari fra poco un mio amico per
rifare il viaggio Nissardiano, di cui il frutto si è perduto. In questo caso
faccia conto che lei gli porgerà quell’ajuto che occorre nelle circostanze attuali».
Il 3 settembre 1880 da Fonni, dove svolgeva degli scavi nel
complesso romano dell’antica Sorabile[237],
il Nissardi si faceva finalmente vivo, comunicando di aver appreso dai giornali
dell’«infausta nuova» dell’incendio della biblioteca, offrendo le monografie
dello Spano di sua proprietà e scusandosi per il ritardo: «Le ripeto che mi
trovo a Fonni, paese molto isolato e privo di facili comunicazioni, molto lungi
da Cagliari ove ho le mie carte e da dove avrei tosto spedito quei materiali
che avrebbero bisognato pei suoi studi ed al lustro della nostra Isola. Basta
non voglio più a lungo tediarla e in due parole le dico che tosto rientrerò in
residenza, che spero fra breve, immediatamente risponderò alle nobili sue
brame». E però emerge un forte risentimento ed un motivo di doglianza: «Non
posso però tacere che lessi con risentimento com’Ella intenda offrirmi il
compenso di lire cento per provvederla solo i fac-simili delle 34
iscrizioni. Ora voglio essere corto nel promettere, quel che potrò farò, e quanto
prima. Intanto avrei a caso ch’Ella mi scrivesse di bel nuovo indicandomi
quelle iscrizioni che più bramerebbe leggervi chiaro, come anche quegli
opuscoli dello Spano o d’altro che le possano mancare»[238].
Contemporaneamente il Mommsen doveva aver allertato il Fiorelli
sulle iscrizioni sarde: quest'ultimo il 12 settembre 1880 spediva una
confortante nota mettendo a disposizione il Nissardi e gli altri funzionari
sardi: «Non solo il Nissardi, ma chiunque crederete che possa essere utile sarà
posto a vostra disposizione, così in Sardegna e in Sicilia, come in terraferma.
Vorrei fare qualche cosa per venire in vostro aiuto; ma è troppo limitata la
mia attività per riuscire proficua. In ogni modo non mi risparmiate ed amatemi
sempre siccome vi ama il tutto vostro Fiorelli». Il 16 settembre 1880 il
Mommsen riceveva un telegramma dal Nissardi e scopriva che non esisteva una
copia dei calchi epigrafici perduti nell'incendio: ne scriveva addolorato il
giorno stesso al Crespi in una lettera che posso trascrivere: «Tante grazie
della sua cortesia e del liberale ajuto che mi fa sperare. Ho scritto a Roma
per ottenerlo ciò che occorre, e non mancheranno i miei amici di dare gli
ordini necessari. Un telegramma mandato dal Nissardi m’ha insegnato che non
possiede i doppi de’ calchi perduti, ma mi fa sperare che provvederà a questo
importantissimo difetto. Gli scrivo oggi pure. Calchi delle iscrizioni del
vostro museo non mi occorrono; tutto questo lavoro è salvo, fuori que' difetti
non molto gravi, di cui le mandai il dettaglio. Tengo pure intatte le sue copie
delle carte del Baille. Se la pietra incastrata ne’ fondamenti di casa Gandi è
stata portata al museo, la prego di farmene avere due calchi fatti colla
massima diligenza. Ella sa quanto è importante e difficile». E poi ancora il
ritardo nella pubblicazione dell'articolo in latino (con una lunga nota del
Mommsen) sulla Grotta della Vipera e sulle iscrizioni sarde su l'Ephemeris Epigraphica: «Un altro
articolo del fascicolo dell’Ephemeris
tira alquanto in lungo, però spero che in due o tre settimane le potrò spedire
il suo. Quante copie vuole pel suo uso privato? a che titolo? siamo per questo
alla sua disposizione»[239].
E il 21 settembre: «Ho ricevuto la risposta a' miei quesiti spediti il 12, e la
ringrazio che nemmeno il male degli occhi, di cui soffre, l’ha trattenuta a
scrivermi: sul foglio aggiunto ho notato carte che si riferiscano a quelli
quesiti. La ringrazio pure delle fogline dello Spano, che mi piace di riavere.
Conosco bene il suo catalogo del museo Chessa[240]
e l’ho registrato nella mia raccolta prima dell’accidente. Ma ciò che mi preme
è quell’estratto sulle lucerne del vostro museo[241],
di cui le mandai un saggio, preso da qualche opera stampata, ma la situazione
se n’è perduta e la memoria non mi serve per questa aporia. Verrà probabilmente
da qualche giornale, forse da un articolo dello Spano. L’iscrizione di Didor Ella me la mandò già prima, ed è
scampata alle fiamme. Quanto al vostro Bullettino
[Archeologico Sardo] la Biblioteca a cui apparteneva l’esemplare del vol. 4
perito, ho avuto la buona fortuna d’acquistarne un’altra copia. Siccome lei mi
scrive, che il volume è raro e che non lo tiene nemmeno lei, lo rimando». E
insieme chiedeva nel postscritto una copia del IX e del X volume del Bullettino dello Spano[242].
Nella lettera del 21 settembre viene di nuovo
richiamato il telegramma del Nissardi citato il 16 precedente: «Sulla mia
domanda telegrafico il Nissardi mi rispose, che non tiene verun doppio dei
calchi, ma che è pronto di rifare i più importanti. Questa generosa offerta
l’ho accettata con gran cuore ed ho rinunciato al mio primo pensiero di mandare
in Sardegna uno de’ nostri, che ha intelligenza e coraggio e che ne sarebbe
venuto a capo comunque straniero e presto. Aspetto con impazienza le risposte
dettagliate che il Nissardi certamente mi manderà per lettera. Altri quesiti
fuori dagli indicati pel momento non ho; ma certamente ne sorgeranno nuovi,
quando arriverò alla stampa delle sarde»[243].
Del resto qualche giorno prima, il 16 settembre
1880, il Mommsen aveva scritto direttamente al Nissardi da Berlino una lunga
lettera per spiegare ogni equivoco: «ricevo in questo momento il suo
telegramma. Per ben capire il mio bisogna che le citi un passo di lettera di
Crespi: “Il Nissadi so di certo che oltre le copie le quali furono spedite alla
Dir. Gen. prese i calchi in doppio forse triplice originale, e quindi spero che
senza dover rifare un viaggio tanto malagevole si potrà supplire questo
importante vacuo”. Questa speranza dunque non era perduta. Io avevo risoluto,
in caso che i calchi suoi fossero irrevocabilmente perduti, di mandare in
Sardegna un nostro giovane bravo assai e che al pari di lei non teme né piogge
né strapazzi. Ora però se ben capisco il telegramma Lei mi offre di supplire
pel suo aiuto a questa perdita deplorabile, e l’accetto di gran cuore. Né
occorrerà riprendere tutto; basta se avremo i più importanti. Non avendo io
delle sue copie se non le inedite, che mi furono mandate dal Fiorelli, mi è
impossibile di determinare precisamente, quali delle edite si siano ritrovate e
quali no; però le mando l’elenco di tutte quelle, di cui si richiedono i
calchi, e lascio a Lei di levarne le perdute e di restringerlo a quelle
iscrizioni che esistono ancora e possono verificarsi. La nuova pietra in un
fondo del Notajo Raimondo Sionis a Nuragus, di cui nel giornale del Fiorelli si
è pubblicata la sola parola PRAETOREM, merita pure un esame attento[244].
Mi risponda, la prego, quanto prima potrà. Questo affare mi sta molto a cuore,
tanto più che temo interruzione della stampa del mio volume, se non presto si
provvede a questo vuoto. In due mesi incirca il torchio arriverà alla vostra
isola, e non è tempo di aspettare la primavera. Se il compenso che le ho
offerto ora era forse un po’ esagerato, me lo perdoni; ci entra qualche cosa di
rimorso. Mi è rimasta l’idea, che Ella, quando si trattò delle spese di
viaggio, è stato trattato non con troppa liberalità, e me ne sono pentito dopo,
senza sapere come rimediarvi. Si metta al posto mio, e non me ne farà un
rimprovero. Ai libriccini che potranno mancarmi spero provvedere coll’ajuto del
Prof. Crespi. Se non fosse, m’indirizzerò a Lei quando sarà di ritorno a
Cagliari; per quanto non vi è premura, siccome ho alla mia disposizione la
Biblioteca dell’Istituto di Roma». Infine una postilla: «Se vuole che gli mandi
denari pei viaggi, mi scriva o mi mandi un telegramma»[245].
A sostegno della richiesta, era ormai
evidente che si rendeva necessario un autorevole intervento del Fiorelli che,
mobilitato dal Mommsen certamente su richiesta del Crespi, rispondeva il 24
settembre 1880: «Sono stati dati gli ordini, sì al Commissario Vivanet che al
Rettore dell’Università, perché il Crespi esegua i calchi desiderati, e ve li
spedisca subito. Così pure ho disposto, che il Nissardi si tenga pronto a
partire, per fare tutto ciò che da voi sarà indicato. Ora quindi tocca a voi di
dare ad essi direttamente tutte quelle istruzioni che reputerete necessarie. Vi
restituisco le lettere, e vi abbraccio con tutto il cuore».
Nonostante tutto, il 7 ottobre 1880 il Mommsen scriveva al Crespi
allarmato per il silenzio del Nissardi, addebitando il ritardo alla consegna
della posta in Sardegna, una terra collocata ai confini del mondo: «Ricevei la
seconda dispensa delle sue giunte e penso che grazie a lei ora si è provveduto
a tutto ciò che desiderava avere da Cagliari. Ebbi pure il Catalogo del Cara[246]
ma finora non arrivò il vol. X del Bul(ettino
Archeologico) Sardo. Dal Nissardi finora non so altro, né ho avuto
risposta. Probabilmente le lettere capiteranno con molto ritardo in quanto angulum terrarum. Mi assista per quanto
lo può per ottenere in una maniera o nell’altra i duplicati delle impronte
perdute. Aspetto pure l’impronta della lapide di Casa Flore assai importante.
La lettera del Vivanet fu scritta senza dubbio in conseguenza della mia
richiesta diretta al Fiorelli. Si ricordi che lei domandò la mia intervenzione,
ed io feci come Ella volle». Infine l'Ephemeris:
«le copie domandate da lei arriveranno presto col frontespizio richiesto. Solo
leverò a epistulis, che in latino dice altra cosa e che
generalmente non si cura degli corrispondenti dell’Instituto (…). L’indirizzo
del Prof. Kaibel è Breslava, a la Università; questo basta»[247].
Il 9 ottobre il Crespi rispondeva al Mommsen inviando alcuni
calchi, come sappiamo dalla risposta senza data, nella quale il Mommsen
sconsolato ripete: «Del Nissardi non ho nulla» ed il X volume del Bullettino si
doveva essere smarrito in viaggio. Seguono altre informazioni meno chiare:
«L’iscrizione marmia mi conferma la mia lezione, ma non m’insegna altro: però è
sempre per me una soddisfazione di tenere un documento ad oculos di
un’iscrizione tanto strana. La mortuaria è stata stampata dal Num. 1606 dallo
Spano Bull(ettino Archeologico) Sardo
1861 p. 157»[248].
Il 18 ottobre 1880 ancora a Fonni il Nissardi si faceva
nuovamente vivo[249]:
«Non scrissi prima di aver incominciato i lavori dei nuovi calchi. Questi
giorni sono ritornato da Austis coi calchi che l’altra volta non mi fu
possibile prendere a causa della nevicata. Anche questa volta ho dovuto perdere
qualche giorno a causa della pioggia e del vento giacché le pietre trovansi in
aperta campagna e un po’ lungi dall’abitato. Comunque questa volta vi sono
riuscito anzi fin d’ora posso assicurare la lezione dei tre nomi VBASVS,
CASTRICIVS, NERCADAVS»[250].
Intanto era iniziata la composizione del primo tomo del CIL X, con le falsae vel alienae: in una lettera del 3 febbraio 1881 il Mommsen
scriveva al de Rossi: «Mando oggi a Lipsia le false della Sardinia. Quando
saranno pronte, ve le manderò per darvi uno sguardo. Forse troverete
qualcheduna degna di indulgenza fralle tante impossibili ed impossibilissime.
Secondo il mio sistema non facilmente le muoverò dal posto, ma volentieri
apporrò dappertutto il vostro giudizio. Le
falsae et susp<ectae> dovranno servire non solo per l'inferno, ma
anche da purgatorio»[251].
Qualche mese dopo avrebbe precisato le ragioni di questa sua severità: «Sono
stampate {poco} ora, non però corrette le false della Sardegna, che ammontano al
rispettabile numero 1098*-1481*. Se potrete darvi ora un'occhiata, e se lo
vorrete, l'avrò caro. Senza dubbio fra queste si nasconde un certo numero di
buone ed altre buone pure, ma ripasticciate; ma secondo il mio sistema ad
eccezione di poche evidentemente genuine ho lasciato tutto il resto nel gran
sacco delle sospette. Meglio è di non aver alcuna iscrizione sincera che di
inciampare in qualche impostura»[252].
E ancora, il 15 settembre 1881: «Avete avuto le sarde genuine; anche le false
(sono quasi cinquecento!) stanno per finire. Probabilmente ne sarete poco
contento; parmi anche a me, che in questo sterquilinio vi sieno certe non
genuine già, ma memorie non spregevoli. Ma ci vuole la vostra pratica per
separarle, ed anche se l'avessi avuta, forse non l'avrei fatto. Le copie tutte
sono così trascurate, che anche le buone sono di pochissima utilità nello stato
in cui si trovano, e parmi aver fatto il mio dovere (uno de' più ingrati che
mai mi è toccato d'adempiere) accorciando il mazzo come l'ho fatto io. Del
resto le Addenda per questa parte non si tireranno prima di altri tre mesi, e
se lo credete utile, potrete aggiungere ciò che vi sembrerà opportuno»[253].
Di nuovo a Charlottenburg, il 20 marzo 1881 il Mommsen tornava a
scrivere al Crespi dopo alcuni mesi di pausa, anche per il lutto seguito alla
morte della figlia Kätie avvenuta il 10 novembre 1880[254]:
«Dal mio silenzio Ella si sarà accorto già che vi è sopravenuto qualche
impiccio riguardo l’articolo suo rinserito nella nostra Ephemeris. Infatti per una mia svista delle tavole non furono
tirate altre copie che quelle occorrenti pel fascicolo, e l’estratto suo ne
rimase privo. Così ho dovuto far rifarle una seconda volta, e la vergogna m’ha
fatto silenzioso. Ora però Ella fra pochi giorni ricevrà tutto e spero che
vorrà gentilmente dimenticare l’indugio cagionato per questo inciampo.
Ricevendo per tanto tempo nulla dal Nissardi aveva combinato col mio amico
Prof. Giovanni Schmidt di Halle di fargli intraprendere un altro viaggio
epigrafico nella Sardegna. Ora mi sono giunti alcuni calchi, ma non tutto
quello che voleva avere, sia abbiamo voluto ora rinunziare al progetto di
viaggio già combinato. Dunque sulla fine del mese Ella vedrà presentarsi in
casa sua codesto mio amico, che tratterà, ne sono persuaso, come m’ha trattato
me quando vi venni, ed a cui darà i ragguagli e le indicazioni necessarie pel
suo viaggio. Poi mi consigli. Io scrissi al Nissardi pregandolo di restituirmi
le copie perdute ed offrendogli per questo nuovo lavoro 100 lire. Mi rispose
quasi offeso. Io certamente non ho voluto offenderlo, ma mi credeva obbligato
di compensarlo per altre fatiche non previste prima, tanto più che veramente
l’abbiamo pagato allora troppo meschinamente. Ora cosa debbo fare? Mi ha
mandato i calchi che ebbe in doppio, ma finora non ho ricevuto le copie delle
iscrizioni da lui prese sul luogo, che pure mi occorrono; ne ebbi le inedite
per l’intermedio dell’amico Fiorelli, ma le edite finora le aspetto. Faccia la
prego che l’affare si arrangi colle buone, come veramente si potrà benissimo,
cioè che egli si metta a spogliare per l’epigrafia il suo giornale di viaggio e
che tenga pronto questo estratto pel Schmidt quando questo arriverà; poi che
accetti da me un certo compenso. Io le acchiudo due righe pel Nissardi, che soltanto
accusano ricevuta dei calchi; altro non aggiungo per non imbrogliare la
facenda»[255].
Infine la notizia che ormai si sta lavorando al secondo tomo del CIL X, in relazione alla Sardegna: «Le
stampe delle sarde ho cominciata; ma non si tirerà nessun foglio prima del
ritorno del mio incaricato. Se Ella avrà da aggiungere qualche cosa passi al
suo»[256].
Abbiamo anche la breve lettera inviata dal Mommsen al Nissardi
nella stessa data, in risposta ad un messaggio del 6 marzo 1881: «Ebbi la sua
bramata lettera del 6 e poco dopo mi giunsero da Roma i calchi delle
diciassette iscrizioni da lei esaminate. Le sono molto grato del nuovo incomodo
che ha voluto subire per me. Scrivo al nostro Crespi per ragguagliarlo sullo
stato degli affari epigrafici per il Corpus
e lui le dirà cosa abbiamo progettato e cosa aspetto in su dei prestati servizj
dalla sua gentilezza»[257].
Abbiamo la fortuna di poter ricostruire la preparazione del
viaggio dello Schmidt attraverso una serie di lettere, la prima delle quali
datata Halle 4 marzo 1881: il giovane allievo del Mommsen si dichiarava
disponibile a partire per la Sardegna ma chiedeva un rinvio fino al 25 marzo
per poter concludere le lezioni ai figli della sua padrona di casa, diceva di
aver perso gli appunti con gli indirizzi delle persone da incontrare in
Sardegna, per il resto confermava di essere pronto a tutto[258].
Il 15 marzo commentava la lettera – molto catastrofica – che il Mommsen aveva
ricevuto dal Nissardi con l'elenco di 17 iscrizioni con i rispettivi luoghi di
conservazione, dalla quale emergeva una situazione desolante: «Nach den in
diesen zwei Schriftstücken enthaltenen Angaben müsste es um einen ziemlichen
Theil der sardinischen Inschriften sehr traurig bestellt sein. Auf dem Bogen
steht noch, dass die Steine “nei salti di Samugheo andarono spezzate” und die,
tra Macomer e Bonorva andarono perdute”. Ich lasse mich dadurch nicht einschüchtern: mir scheint es sehr möglich,
dass der Herr, zumal vom Fieber geschüttelt, die Unannehmlichkeiten längerer
Reisen in dem alles Comforts baaren Lande scheut und sich durch diese
Erklärungen für am besten gerechtfertigt ansieht. Und wenn er
Inschriften für hoffnungslos zerstört hält, so brauchen sie’s nicht
wirklich zu sein. - Aber Sie werden ja am besten beurtheilen, ob Nissardis
Sendung und Mittheilungen den Stand der Sache und Ihre Entschliessungen zu
verändern geeignet seien»[259]. Contemporaneamente
il giovane studioso dichiarava di aver ricevuto le copie dell’instrumentum e la carta della Sardegna
con le istruzioni in proposito e prometteva di procedere al lavoro, attenendosi
rigorosamente alle indicazioni ricevute.
In partenza per la Sardegna (attraverso Civitavecchia), lo Schmidt
inviava una cartolina da Lipsia senza data al Mommsen, sollecitando ancora
alcuni documenti: in particolare le lettere di presentazione per il Crespi e il
Nissardi. E poi il calcolo delle
spese da sostenersi nell'isola: «Ich habe nur unterwegs jetzt ein wenig genauer
berechnet, wie viel Geld ich etwa brauchen werde und habe da gefunden, dass ich
mir viel weniger hätte von Ihnen als Vorschuss zu erbitten brauchen. 400 M.
wird vielleicht für alles reichen»[260].
Il 22 marzo lo Schmidt era ancora a Lipsia,
dove aveva ricevuto una lettera del Mommsen con i 400 marchi richiesti: «eilig
melde ich Ihnen mit bestem Dank, dass ich sowohl Ihren Brief als das Geld (400
M.) mit der begleitenden Postkarte bekommen habe. Von den Scheden mache ich
vollständige Auszüge. Ich habe mir, was ich in Leipzig nicht bewältigen konnte,
mit hierher genommen und denke es morgen eigenhändig bei Breitkopf und Härtel[261] wiederabzugeben. Ich muss Ihnen das Ihnen
wahrscheinlich sehr naiv klingende Geständniss machen, dass ich denn doch nicht
geglaubt habe, dass noch so viel Inschriften in S<ardinien>. erhalten,
also noch so viel zu thun ist. Das hat mir die Brust mit erhöhter
Unternehmungslust geschwellt und ich gehe fort in fröhlich energischer Stimmung
und mit dem bestimmten Willen zu schaffen, was sich eben schaffen lässt. Es
versteht sich, dass ich nicht Tage auf eine werthlose Grabinschrift verlaufen
werde, aber die wichtigeren Inschriften will ich denn doch alle zu sehen
suchen. Ein Abklatsch gerade von einer zerstörten Inschrift kann ja doch die
Autopsie nur in sehr geringem Mass ersetzen, und Nissardi wird eine
schwierigere Inschrift ja doch wohl nicht zu lesen verstehen. VIII, 9050 wird
schon auf mich zutreffen, und übrigens: nec
aspera terrent. Sonnabend früh denke ich in Florenz anzukommen: ist es
möglich, so möchte ich Montag und Dienstag in Rom sein. Mittwoch geht das
Schiff von Civitavecchia ab. Etwaige monita würden mich also zu den sich daraus
ergebenden Terminen in Rom oder Cagliari finden»[262].
Arrivato a Cagliari, il 6 aprile lo Schmidt iniziava a stendere
una vera e propria relazione alquanto complessa, se non disordinata, sullo
stato di salute del Museo e dell'epigrafia in Sardegna, che riportiamo in
Appendice al nr. 1[263]:
partito da Halle 14 giorni prima, egli era passato per Firenze e per Roma; il
mercoledì aveva raggiunto Civitavecchia ed era quindi arrivato a Cagliari solo
il giovedì 31 marzo sera con quasi 12 ore di ritardo, a causa del mare in
burrasca. Venerdì mattina (I aprile) si era presentato all’Università da Vincenzo
Crespi e quindi era stato accompagnato dal Rettore (definito il Cerberus del Museo) e dal Commissario
Vivanet, al quale era stato già annunciato dal Fiorelli; infine aveva
conosciuto Filippo Nissardi. Di pomeriggio aveva iniziato i controlli a
Cagliari città, quindi il sabato (2 aprile) aveva lavorato nel museo,
continuando la domenica mattina. Di pomeriggio aveva rilevato alcune iscrizioni
caralitane, proseguendo allo stesso modo il lunedì ed il martedì. Nel
pomeriggio del martedì (5 aprile) aveva visitato San Lucifero, Bonaria e S.
Bartolomeo. Mercoledì 6 aprile aveva raggiunto Pirri, Pauli Pirri (oggi
Monserrato) ed aveva studiato alcune iscrizioni in città. Per il 7 programmava
una visita a Pula, nel sito dell’antica Nora.
Le prime impressioni erano negative: dopo la morte del Cara e
dello Spano il Museo era stato chiuso già da tre anni, anche per un conflitto
di competenze tra l’Università ed il Ministero: il lavoro di verifica autoptica
delle iscrizioni era stato dunque condizionato dall’assenza di custodi, tanto
che gli armadi erano accessibili solo in presenza dello stesso Rettore. Con
qualche difficoltà era riuscito a collegare i diversi reperti con le schede e
con gli stamponi del CIL che aveva
portato con sé; aveva anche predisposto delle schede sull’instrumentum domesticum, senza però riuscire ad effettuare una
verifica completa per la scarsa collaborazione del Rettore, che si era
dichiarato disponibile a dedicare solo alcune ore al giorno anche per un mese
intero, ma non intere giornate. Era riuscito comunque a trascrivere i testi
incisi su tutte le lucerne, i lateres
signati, i signacula, ed altri
oggetti, senza però esser sicuro di aver visto tutti i materiali conservati nel
Museo, per quanto si riservasse una verifica con le schede possedute dal
Nissardi. Si riprometteva comunque di continuare il lavoro il sabato 9 aprile.
Non mancano informazioni puntuali, come a proposito della
carriera del cavaliere [---] L(uci)
f(ilius) Quir(ina) Rufus, con qualche rettifica ottenuta attraverso un
accurato calco[264].
Scusandosi per non aver spedito al Mommsen la lista dei calchi del Nissardi, lo
Schmidt ricordava che il Crespi non era riuscito in alcun modo a procurare una
seconda copia degli ultimi due volumi del Bullettino
Archeologico Sardo, ma che era certo di averne già inviato un esemplare a
Charlottenburg dopo l’incendio.
Seguono molte altre informazioni: sulla rinuncia al viaggio a
Bastia, tanto mal collegata da richiedere un soggiorno di almeno una settimana;
sulle attività del Crespi e del Nissardi; sui progetti per i giorni successivi
e sulla necessità di prolungare il soggiorno in Sardegna rispetto ai 14 giorni
inizialmente previsti per poter procedere alla revisione di un gran numero di
iscrizioni sparse per tutta l’Isola, anche se la sola Cagliari rischiava di
trattenerlo troppo a lungo; ma ormai si era in ballo e conveniva non badare
troppo né alle spese né al tempo dedicato alla faccenda. Del resto affidare
tutti i fac-simili al Nissardi rischiava di essere ancor più costoso, vista la
spesa sostenuta dall’Henzen e dall’Instituto per i primi 17 calchi. Lo Schmidt
raccontava le sue difficoltà, il fatto che non comprendesse una parola dei
dialetti che si parlavano in Sardegna (come se viaggiasse in Albania oppure in
Turchia), ma le lettere di presentazione che il R. Commissario Filippo Vivanet
avrebbe scritto per i sindaci e gli ispettori lo avrebbero posto un poco al
sicuro ed al riparo dalle sorprese. Lo Schmidt si sorprendeva per la facilità
con la quale poteva trovare delle iscrizioni inedite, come il frammento
casualmente rinvenuto il 6 aprile nei sobborghi di Cagliari e gli altri testi
che gli erano stati promessi per i giorni successivi. Particolarmente gustoso è
il ritratto di Filippo Nissardi, che aveva visto arrivare il giovane studioso
tedesco con rancore malcelato, temendo che potesse essere in qualche modo
minacciata la sua gloria come disegnatore di iscrizioni. Del resto lo Schmidt
era deluso per il lavoro del Nissardi, che aveva solo pochi fac-simili e che
sembrava in ottima salute: la febbre, reale o immaginaria, che diceva di
essersi presa negli scavi di Fonni non c’era più. Lo Schmidt aveva cercato di
presentarsi a lui cordialmente e di tranquillizzarlo per i suoi timori, ma
ammetteva di non riuscire a nascondere il fatto che gli sembrasse un arrivista,
un tipo d’uomo che spesso si trovava in Italia, senza conoscenze e senza ideali
- solo ricco di una cortesia formale - il quale considerava il rapporto con gli
studiosi tedeschi, soprattutto col Mommsen, solo come uno strumento per la propria
carriera. E sebbene egli fosse benestante, sembrava allo Schmidt pronto a
cogliere l’affare dappertutto.
Condizionato dal giudizio del Maestro, lo Schmidt giudicava di
tutt’altra pasta il Crespi, che gli era sembrato d’indole nobile e onesta,
pronto ad offrire il suo servizio con gioia ed a fare qualsiasi sacrificio,
senza alcun disegno, per lo meno di un vantaggio materiale. Egli aveva schedato
le iscrizioni sarde edite ed aveva proceduto ad una trascrizione di numerosi
inediti di Cagliari, Nora e luoghi vicini. Gli appunti del Crespi diventavano
ancora più utili, se non altro per verificare le informazioni fornite dal
Nissardi, il quale di tanto in tanto diceva di essere stato in posti dove in
realtà non era stato.
Infine il R. Commissario Vivanet, che lo riempiva di offerte: ma
per la conservazione delle iscrizioni sarde non sembrava per nulla impegnato.
Nei giorni successivi (lunedì 11 aprile) in una lettera datata al
lunedì di Pasqua (vd. appendice nr. 2)[265]
lo Schmidt continuava la sua relazione sulle sue indagini in Sardegna,
ricordando di esser stato a Sant’Antioco il sabato 9 e poi ad Antas; il giorno
di Pasqua si era recato ad Iglesias, mentre domenica sera e lunedì 11 aprile
mattina aveva visitato San Sperate, in qualche modo sempre ostacolato dai riti
della Settimana Santa[266].
A Sant’Antioco aveva trovato 12 nuove iscrizioni, tra cui la bilingue
latino-punica, della quale aveva scritto al Mommsen in una lettera per noi
perduta[267];
inoltre due iscrizioni funerarie integre[268]
ed una nuova lunga fenicia[269].
Lo Schmidt si scusava per non esser riuscito a far avere al Mommsen i testi
delle circa 25 nuove iscrizioni che aveva trovato nel corso del viaggio, poiché
esse si trovavano sparse in diversi taccuini e schede e la fretta di
raccogliere nuovi testi non gli aveva consentito di rimettere ordine negli
appunti. Rispondendo alle sollecitazioni del Mommsen, evidentemente sulle spine
per la chiusura del secondo tomo del CIL
X, prometteva di spedire immediatamente quella parte dell’instrumentum domesticum già schedata. Ancora si giustificava,
spiegando di non aver potuto fare molto al Museo, a causa delle condizioni
stabilite dal Rettore e del poco tempo a disposizione. Era ritornato a Cagliari
per poche ore, perché aveva deciso di non andare più a Nuragus, distratto dalla
notizia dell’acquisto a Sant’Antioco da parte di Léon Gouin[270]
di un’intera collezione di 370 oggetti di terracotta (collezione che in realtà
era già partita per la Francia) e dalla possibilità di ritrovare a Cagliari una
nuova iscrizione di San Sperate, che in realtà si era rivelata inesistente,
anche se in compenso aveva potuto vedere vari oggetti d’oro ed una maschera di
terracotta provenienti da San Sperate. Il giovane commentava poi con sarcasmo
le reazioni provocate in Sardegna dai suoi successi: il ritrovamento della
bilingue aveva suscitato molta invidia e il Vivanet certamente progettava di
comunicare la scoperta al Fiorelli, a meno che il Mommsen non volesse realmente
pubblicarla per primo, perché trovata nel corso di una ricerca finanziata
dall’Akademie der Wissenschaften. Lo Schmidt spediva un calco su carta
assorbente ed un fac-simile a secco, ma conservava per sé un esemplare di
entrambi per ogni evenienza. Comunicava di aver già spedito da Sant’Antioco la
trascrizione del testo latino della bilingue, mentre per i testi fenici il
fac-simile sarebbe stato sufficiente per dare l’immagine più fedele. Spediva
comunque un calco della lunga iscrizione fenicia che riteneva inedita.
Seguivano i dettagli sulla scoperta della bilingue, che era stata rinvenuta nel
cortile della casa Angius a Sant’Antioco, dove la base di marmo era posta -
capovolta - a fianco alla porta d’ingresso; per le misure il Mommsen avrebbe
dovuto aspettare qualche giorno, ma intanto lo Schmidt precisava che le
dimensioni, cospicue, portavano ad escludere un trasferimento da altro sito; di
conseguenza l’aedes dominae deae
citata nel testo latino doveva essere localizzata nelle vicinanze. L’iscrizione
fenicia era murata nello spigolo di una casa non lontano dalla piazza.
In chiusura annunciava una prossima visita a Santu Lussurgiu, che
poi non avrebbe fatto perché ammalatosi (di malaria?) e costretto a restare a
Cagliari.
Nella terza lettera sarda (Appendice nr. 3)[271],
del lunedì 18 aprile, lo Schmidt, rientrato da Iglesias dopo aver visitato
anche Antas e Nora, compare a Cagliari, febbricitante, ammalato e costretto a
sopportare una visita dell’asfissiante Filippo Vivanet. Appena arrivato nella
capitale si era preso la febbre che la domenica era esplosa, anche se i medici
assicuravano che sarebbe passata entro una giornata. Sollevato per non essere
ancora partito per Nuragus o per Assolo, scriveva al Mommsen per giustificarsi
e raccontare uno spiacevole episodio: il Vivanet si era presentato in camera
(forse presso l’Hotel Scala di Ferro), gli aveva chiesto se avesse trovato
qualcosa di nuovo ed egli aveva dovuto confessare di aver scoperto l’iscrizione
bilingue ed un’altra nuova fenicia. Il R. Commissario lo aveva seccato per
quasi un’ora e dopo aver fatto molti convenevoli, aveva affermato che una
simile scoperta non doveva rimanere nascosta, perché il Direttore generale
Fiorelli si sarebbe stupito se non fosse stata informato direttamente dal suo
Commissario. Così il Vivanet aveva costretto lo Schmidt a scrivere il testo
latino, dicendo che lo avrebbe mandato lui al Fiorelli e che prima gli avrebbe
fatto fare immediatamente dei calchi; non escludeva di mandare le iscrizioni
fenicie anche a Parigi per il Corpus
delle iscrizioni fenicie, proprio mentre Julius Euting, al quale il giovane
aveva promesso di comunicare le nuove iscrizioni fenicie, aspettava i duplicati
dei calchi. Lo aveva inoltre pregato di dargli comunicazione di tutti gli
inediti nei quali si fosse imbattuto, perché potesse mandare tutto al Fiorelli,
naturalmente aggiungendo che la scoperta era dello Schmidt. Per giustificarsi
il giovane spiegava di aver lottato con la nausea ed aggiungeva di saper bene
che il Mommsen non dava alcun valore alla priorità della pubblicazione delle
iscrizioni rinvenute. Eppure aveva sentito che il Maestro non aveva apprezzato
il fatto che Fiorelli pubblicasse i ritrovamenti del Nissardi anticipatamente
nelle Notizie degli Scavi. Per queste
ragioni si era ritenuto in dovere di informare tempestivamente il Mommsen e di
spedire quasi tutti i calchi a Berlino, per evitare che analoghi episodi
potessero ripetersi; del resto spiegava di aver detto al Vivanet che avrebbe
consegnato i fac-simili, a condizione però che non venissero pubblicati in
anticipo, senza l’approvazione del Mommsen; i calchi dell’instrumentum erano pronti per lo Hübner.
La lettera si concludeva con qualche caustica lamentela sul
pessimo clima della Sardegna; il giovane studioso assicurava che in futuro si
sarebbe preso più cura di sé stesso e si sarebbe sforzato di tenere sempre
presente non la prima cosa che gli fosse stata proposta, ma la necessità di
portare a termine il proprio compito. Lo Schmidt si scusava di esser stato
costretto a spedire le schede senza un minimo di verifica seria e spiegava il
ritardo per l’instrumentum: la
collezione Chessa (acquistata da Giovanni Antonio Sanna) si trovava ora a
Sassari e là l’avrebbe studiata, non fidandosi delle qualità del volenteroso
Crespi[272].
Mercoledì 20 aprile lo Schmidt stava già meglio e scriveva una
lettera al Mommsen (Appendice, nr. 4)[273],
annunciando di essere in partenza per Nuragus. In realtà non si era ancora
ristabilito del tutto, sperava però che le medicine avrebbero avuto effetto in
giornata. E tornava poi sulla bilingue e sulla propria dabbenaggine, a proposito
della visita del Vivanet: ma le sue condizioni erano state terribili e non
aveva concepito altro proposito se non quello di liberarsi subito di lui. Non
avrebbe mai dovuto accoglierlo, ma era entrato nella sua stanza quando egli
meno se lo aspettava. Del resto non avrebbe potuto rispondere alle sue pretese
insolenti come si meritava, poiché egli gli aveva dimostrato moltissime
gentilezze e gli aveva prestato molti servigi, probabilmente per incarico del
Fiorelli. La scoperta della bilingue continuava a suscitare entusiasmo: gli
italiani, come anche il Crespi stesso ammetteva, consideravano il ritrovamento
come una grande gloria e una cosa da invidiare. Certamente il Vivanet nel giro
di pochi giorni si sarebbe procurato i calchi della bilingue e dell’iscrizione
neo punica di Sulci e ne avrebbe informato il Fiorelli, che avrebbe proceduto
senza troppe delicatezze alla pubblicazione sulle “Notizie degli Scavi”[274].
Lo Schmidt aveva riflettuto bene ed aveva approntato una vera e
propria strategia di battaglia: solo dopo la sua partenza per Nuragus avrebbe
scritto al Vivanet spiegando che quando questi era andato in albergo a trovarlo
ammalato, egli stava troppo male per riflettere bene sugli impegni che aveva
preso con lui: le iscrizioni che lo Schmidt aveva trovato in Sardegna non erano
sue, ma anche di proprietà del Mommsen; era dunque spiacente di non poter
mantenere la parola e di non poter mandare una copia, prima di aver ricevuto
dal Maestro il permesso di farlo. E il Mommsen probabilmente non glielo avrebbe
mai dato oppure lo avrebbe dato così tardi che il Vivanet avrebbe potuto solo
ricevere il testo delle iscrizioni già stampate per poterle mandare al
Fiorelli.
Il giudizio sul R. Commissario è impietoso:
l’uomo non capiva proprio niente di epigrafia ed aveva perciò bisogno di
guadagnarsi in tal modo la benevolenza dei propri superiori. Anche nel suo
ufficio sembrava che non facesse nulla di utile: e ciò lo Schmidt poteva
affermarlo a buon diritto, dato che aveva visto come le iscrizioni ancora presenti
alcuni anni fa, che egli era obbligato a preservare, andavano a finire in
rovina già a Cagliari, figuriamoci nei villaggi, mentre l’ing. Léon Gouin gli
esportava sotto il naso i nuovi ritrovamenti.
Annunciava infine il proposito di spedire i testi delle
iscrizioni inedite e si azzardava a pronosticare che alla fine avrebbe raccolto
almeno 50 nuovi testi. Nei giorni della malattia era nata un’amicizia col
Nissardi, che il martedì 19 si era confidato con lui ed ora voleva mostrare
alcune lettere compromettenti, che potevano dimostrare la doppiezza del
Fiorelli, il quale non serviva il Mommsen con lealtà: il Crespi diceva che
Fiorelli era un napoletano fino in fondo e lo Schmidt trovava che ci fosse
qualcosa di vero nell’antica credenza tedesca sulla falsità dei latini. Il
giovane giudicava poi deliziosi i rapporti tra il R. Commissario Vivanet ed i
suoi collaboratori Crespi e Nissardi. Seguiva infine una postilla sulla
spedizione dei calchi, che non si era potuta assicurare perché l’addetto era
andato in campagna ed aveva lasciato chiuso l’ufficio: dubbioso se correre
rischi e compromettere magari i risultati di due settimane di lavoro, lo
Schmidt alla fine aveva deciso di aprire il pacco, di tenersi per sicurezza i
calchi e di mandare a Berlino solamente le copie delle nuove iscrizioni, dopo
averne eseguito i lucidi.
L'ultima lettera sarda (Appendice, nr. 5)[275]
è senza data ma risale probabilmente al 22 o 23 aprile e assolve all’impegno di
tenere il Mommsen aggiornato sulla posizione di Nissardi e di rivelare le
confidenze ricevute a proposito dei rapporti tra Fiorelli e Mommsen. Molti nodi
erano ormai giunti al pettine: i rapporti con il Vivanet erano ormai pessimi e
le falsità dello stesso Crespi non si contavano, mentre il Nissardi veniva
parzialmente rivalutato, perché era riuscito a spiegare il retroscena di molti
silenzi e di infinite prepotenze subite dal Vivanet, assolutamente deciso ad
impadronirsi dei risultati ottenuti per conto dell'Accademia berlinese.
Certamente il Nissardi andava discolpato, anche se i lavori di revisione del
patrimonio epigrafico isolano erano andati avanti stancamente con scarso
successo ed a costi elevati a carico dell’Instituto: egli si era comportato da
sardo, comodamente e senza l’energia necessaria, ma forse non senza tutte le
buone intenzioni, oltretutto ammalato a Fonni. Crespi era convinto che il
Nissardi avesse privilegiato in modo esagerato l’interesse dell’amministrazione
e ancora di più della propria collezione, a spese dei tedeschi, ma egli
giudicava l’Assistente un po’ troppo severamente. La bestia nera era in realtà
il Vivanet, un bellimbusto, un pallone gonfiato che si meritava solo disprezzo.
Il Nissardi si era confidato in modo assolutamente riservato,
sperando che i suoi superiori non ne sarebbero stati informati, perché allora
la sua posizione sarebbe stata in pericolo; eppure voleva discolparsi col
Mommsen per i molti ritardi accumulati in passato. Aveva fatto leggere allo
Schmidt numerosi documenti ufficiali, sui quali il giovane avrebbe riferito a
voce al Maestro. Ma il Nissardi era l’unico che effettivamente lavorava,
scavava, disegnava, effettuava rilievi topografici, distratto appositamente per
volontà dei suoi superiori dai suoi obblighi verso l’Akademie der
Wissenschaften e l’Instituto romano: per esempio, con un ordine scritto era
stato spedito dal Vivanet ad Iddini, vicino a Fordongianus, in realtà un luogo
molto distante, per fotografare resti di terme; allo stesso modo il Vivanet lo
voleva rimandare ancora a Fonni, per scavare un altro monumento. Il Nissardi
spesso si era sottratto agli impegni, anche se alla fine il Vivanet gli aveva
fissato un termine, entro il quale egli doveva rimanere a disposizione del R.
Commissariato, fornendo copia di tutte le iscrizioni disegnate per il Mommsen.
Allora il Nissardi aveva scritto a Luigi Pigorini[276],
chiedendogli di intervenire presso il Fiorelli perché non pubblicasse nulla di
quanto spedito da Cagliari dal Vivanet, trattandosi di lavori pagati dal
Mommsen. In risposta alle sollecitazioni del Pigorini, il Fiorelli aveva
risposto tranquillizzando il Nissardi che nulla sarebbe stato pubblicato di ciò
che era stato fatto per conto del Mommsen, ma anche ricordandogli la sua
posizione di funzionario statale ed invitandolo per il futuro ad evitare di
assumere contratti retribuiti che potessero distoglierlo dai suoi compiti
d’ufficio. Di rimando il Nissardi aveva scritto al Pigorini trasmettendo copia
della lettera della Direzione generale, che lo aveva autorizzato a svolgere le
indagini epigrafiche in Sardegna per conto del Mommsen ed addirittura la nota
di elogio ricevuta dal Fiorelli. Il Nissardi poteva dimostrare che durante uno
dei suoi viaggi, il Vivanet lo aveva improvvisamente richiamato a Cagliari,
certamente per rallentare con una scusa il suo lavoro: egli non aveva obbedito
perché immaginava che il Vivanet volesse solo ostacolare la collaborazione con
gli studiosi tedeschi per delle ragioni che era facile immaginare: per una
qualche ostilità nei confronti del Mommsen per la questione delle Carte
d’Arborea oppure perché non era stato ancora nominato socio dell’Instituto
romano.
Finalmente il Vivanet finì per autorizzare la missione del
Nissardi, ma sottoponendola a cinque condizioni: il rigoroso rispetto
dell’interesse dell’amministrazione, la costante informazione sull’itinerario
da seguire, in modo che il Commissario potesse affidargli incarichi specifici,
l’invio bisettimanale di una relazione scritta sul lavoro svolto e sui luoghi
visitati, la trasmissione di tutte le notizie su monumenti antichi che potessero
interessare l’Ufficio archeologico, la consegna dei fac-simili di tutte le
nuove iscrizioni trovate, da conservarsi presso l’archivio del Commissariato.
Il 24 giugno 1880 il Vivanet era tornato sulla questione, raccomandando il
rigoroso rispetto delle istruzioni ed aggiungendo che il rapporto finale doveva
menzionare espressamente le nuove scoperte, al fine di informarne il Direttore
Generale. Il 30 ottobre 1880 il Vivanet arrivava a richiamare a Cagliari il
Nissardi, ma egli non volle seguire tale disposizione, impegnato a terminare il
lavoro per il Mommsen[277].
Negli ultimi giorni di permanenza in Sardegna lo Schmidt visitava
Oristano, Bosa (dove visitò il piccolo museo ospitato presso il Ginnasio, con
le iscrizioni che poi sarebbero andate perdute, in parte recuperate di recente)[278],
Sassari, dove conobbe il direttore del Museo Ettore Pais che sarebbe diventato
presto suo amico, al quale si presentò con una lettera del Vivanet conservata
nell’Archivio storico dell’Università[279];
infine a Terranova entrò in contatto con l'ispettore onorario Pietro Tamponi,
che gli segnalò come rinvenuta nel suo giardino un'iscrizione falsa, creando
così un problema delicato ed imbarazzante col Mommsen[280].
Non è l'unica scorrettezza compiuta dal Tamponi, che nel 1895 avrebbe pubblicato
la Silloge epigrafica olbiense,
dedicandola «a Cristian Huelsen, Segretario dell’Imp. Instituto Archeologico
Germanico» e premettendo una prefazione di Theodor Mommsen, che è in realtà il
testo latino su Olbia pubblicato in CIL
X[281].
L'8 maggio 1881 lo Schmidt, ormai rientrato in sede nella casa di
Wilhelmstrasse ad Halle, tornava sul viaggio in Sardegna, completando la sua
relazione ed informando dettagliatamente il Mommsen: rispediva la carta
corretta della Sardegna che sarebbe stata pubblicata nel 1883 su CIL X nella redazione di Heinrich
Kiepert[282];
relazionava sulle spese sostenute nell’Isola, assicurava di aver spedito
all’Euting tutti i fac-simili delle iscrizioni fenicie e puniche e trasmetteva
appunti ed osservazioni su possibili future nuove scoperte. Tra i calchi
raccolti al Museo di Cagliari si segnalava quello di un’iscrizione greca, con
l’invocazione D(is) M(anibus) sulle
anse[283],
da segnalare a Joseph-Michael Deffner[284].
Riesplodeva la questione dei rapporti col Vivanet, ormai sbiaditi dalla distanza:
il Commissario aveva chiesto di dargli comunicazione delle copie delle
iscrizioni trovate di recente, ma alla fine il giovane si era dimenticato di
chiedere al Mommsen se doveva effettivamente spedirgliele. In questo caso,
tramite l’Hülsen, il Maestro avrebbe dovute farle avere temporaneamente allo
Schmidt, perché lui non era più in possesso di alcuna copia. Era prevedibile
che il Vivanet le avrebbe spedite a giro di posta al Fiorelli per le Notizie degli scavi: il giovane lo
sapeva, ma non aveva obiezioni, perché per lui sarebbe stato del tutto
indifferente e non desiderava realmente pubblicare per primo una iscrizione da
lui rinvenuta. Se il Mommsen avesse avuto una diversa impressione dalle
precedenti lettere spedite dalla Sardegna, doveva capire che le preoccupazioni
dello Schmidt erano determinate dalla possibile reazione del Maestro per la
pubblicazione anticipata in Italia delle iscrizioni rinvenute dal Nissardi:
reazione immaginata forse a torto sulla base delle notizie ricevute in Sardegna
dagli amici Crespi e Nissardi, con i quali egli non aveva voluto fare
assolutamente pettegolezzi; del resto era possibile che alcune preoccupazioni
fossero scaturite solo dalla loro fantasia. Rimaneva il timore che il Mommsen
fosse poco soddisfatto dalla spedizione sarda, anche perché non erano stati
visitati numerosi siti, come Busachi, Austis, Samugheo, Cuglieri, Porto Torres,
Telti. Eppure il viaggio era durato quasi un mese, a partire dal 31 marzo 1881,
a fronte dei 14 giorni inizialmente previsti dal Mommsen ed alle tre settimane
messe in conto dallo Schmidt: trattenuto a Cagliari a revisionare con qualche
successo le iscrizioni già studiate dal Mommsen, dopo quattro settimane e mezzo
egli non aveva avuto il coraggio di aggiungere ancora una settimana per vedere
alcune altre località che non dovevano avere troppo interesse: per Busachi del
resto c’erano alcuni calchi, mentre secondo il Nissardi le altre pietre erano
andate perdute[285];
per Austis[286] e
Samugheo[287]
c’era poco da vedere, mentre la collezione di Battista Mocci da Cuglieri era
stata quasi completamente trasferita a Bosa, dove lo Schmidt l’aveva potuta
studiare[288].
Aveva infine evitato di passare per Porto Torres, che sapeva visitata dal
Mommsen e prima di lui dal Nissen. Da Terranova non aveva potuto raggiungere
Telti, che pure distava solo mezz’ora, per non perdere la nave. Ora voleva
giustificare queste omissioni, sperando nella comprensione del Maestro, al
quale le spiegazioni fornite a voce forse non erano apparse sufficienti.
«Anbei schicke ich Ihnen die Karte von
Sardinien mit den Zusätzen oder Berichtigungen, die mir in den Sinn kamen und
so gut ich sie ohne die meinen Abschriften beigefügten Notizen zu geben
vermochte. Ferner füge ich Rechnung resp. Quittung über die von mir verbrauchte
Geldsumme bei; ausserdem stelle ich Ihnen die Briefe des Prof. Euting wieder
zu, die Sie mir zur Einsicht mitgaben. Ich habe demselben alle Semitica, die
ich mitgebracht, übersendet. Weiter finden Sie einen Bogen mit Notizen, von
denen einige Ihnen vielleicht erwünscht sein werden. Sie haben selbst bereits
ein paar bisher nicht verifizierte Indicationen von Inschriften aufgenommen,
schwankten aber, ob Sie auch weitere, mir mitgetheilte ins Corpus setzen
sollten. Ich glaube, dass diese Massregel bestimmt den Erfolg haben würde, die
etwa wirklich vorhandenen, bisher unbekannten Inschriften ans Licht zu ziehen.
- Unter den Abklatschen aus dem Museum von Cagliari finden Sie auch den einer
mittelgriechischen Inschrift: ich habe sie beigefügt, weil der Marmorsarkophag,
dessen Inschriftfeld sie ausfüllt, doch auch D M zeigt. Den Abklatsch bitte ich
mir später wieder aus, da ich ihn mit einer ganzen Sammlung von Abklatschen und
Copien mittelgriechischer Inschriften aus Sardinien Deffner zustellen möchte,
für dessen Studien daraus vielleicht Nutzen erwachsen könnte. Sie wissen, dass
Vivanet mich um die Mittheilung von Copien der von mir neugefundenen
Inschriften ersucht hatte. Ich habe schliesslich vergessen Sie zu fragen, ob
ich ihm denn nun dieselben schicken soll. Für diesen Fall dürften Sie nur so
gütig sein, die bei den Papieren liegenden lucidi an Dr. Hülsen zu geben, der
mir sie zuzuschicken versprochen hat. Ich habe keine Copien mehr in den Händen.
Natürlich würde Vivanet sie an Fiorelli für die Notizie schicken. Mir wäre das völlig gleich; ich kann Sie
versichern, dass ich von der Schwäche auf die erste Publication einer
Inschrift, die ich gefunden, Werth zu legen, völlig frei bin. Meine früheren
Briefe wegen dieser Angelegenheit, nach denen es anders scheinen könnte, waren durch
die Meinung beeinflusst, dass Sie wegen der Publication der von Nissardi
gefundenen Inschr. in den notizie sehr verdriesslich gewesen seien. Dieser
Meinung hätte ich nicht Raum geben dürfen, indess wird dies verzeihlich
scheinen, da mir eine Menge sie begründender, detaillierter Thatsachen und
Äusserungen von Ihnen durch die Cagliaritaner Freunde mitgetheilt wurden. Diese
sind also offenbar deren Phantasie entsprungen. Ich habe mündlich schon gesagt,
dass ich abgesehen von anderen Gesichtspunkten auch deshalb fürchte[,] Sie
durch meine sardinische Expedition wenig zufriedengestellt zu haben, weil ich
schliesslich eine Reihe von Punkten dort nicht besucht habe. Ich hebe Busacchi,
Austis, Samugheo, Cuglieri, Portotorres, Telti hervor. Sie äusserten, als ich
auf Ihre Frage, wie viel Zeit ich für die Bereisung Sardiniens nöthig zu haben
glaubte, 3 Wochen als wahrscheinlich ausreichend bezeichnete, dass ich nach
Ihrer Meinung wohl in noch kürzerer Zeit, etwa in 14 Tagen, fertig werden
würde. Diese Ihre Erwartung behielt ich doch immer im Auge, und als ich
schliesslich mich gezwungen sah, meinen Aufenthalt auf der Insel doch
wenigstens auf 4 1/2 Wochen zu bemessen, hatte ich nicht den Muth[,] noch eine
weitere Woche wegen einiger restierender Ortschaften zuzulegen. Ich liess, mir
einen bestimmten Termin zum Abbruch der Arbeit steckend, bei Seite, wieviel ich
bei Seite zu lassen mich demgemäss gezwungen sah, dabei immer das auswählend,
was mir von geringerer Wichtigkeit schien. Von Busacchi sind Abklatsche da; die
übrigen Steine aber sind nach Nissardi nicht mehr vorhanden. Ebenso will
derselbe ja in Austis und Samugheo nur noch wenig vorgefunden haben. Die 3 Orte
hätten mich noch 3-4 Tage gekostet. In Cuglieri ist, seitdem Morri [sic! Battista Mocci] nach seiner Heimath
Bosa zurückgekehrt ist, auch nur noch wenig. 2 Tage glaubte ich dafür nicht
opfern zu dürfen. Auch Portotorres glaubte ich eher als anderes bei Seite
lassen zu dürfen, weil Sie und Nissen dort gewesen sind. Von Telti war ich nur
eine halbe Stunde entfernt, aber die Funde der zwei neuen Meilensteine hatten
mich so aufgehalten, dass ich zurück musste, um nicht das Schiff zu verlieren.
- Die Revision der Inschriften von Cagliari, auf die Sie, wie Sie mir nun
sagten, nicht gerechnet hatten, hat mich doch nur 4 1/2 Tag aufgehalten, und
wenigstens für die von Ihnen nicht gesehenen war sie doch nicht unräthlich noch
ohne Erfolg. Halten Sie mir, bitte, diese nochmalige, schriftliche
Expectoration zu gute: Ich hatte das Gefühl mich mündlich nicht genügend darüber
ausgesprochen zu haben. Ebenso möchte ich noch einmal wiederholen, dass ich
Ihnen mit den Mittheilungen über Nissardis Reise nicht Klatsch zuzutragen
beabsichtigte: ich müsste mich ja sonst schämen. Vielmehr folgte ich erstens
dem Wunsche Nissardis, der sich wegen der langen Dauer, grossen Kosten,
verhältnissmässigen Erfolglosigkeit seiner Reise dadurch bei Ihnen zu entlasten
gedachte, zweitens aber glaubte ich Ihnen ein nicht unwichtiges Material - bei
etwa später an Sie herantretender ähnlicher Gelegenheit - für die Entscheidung
der Frage damit zu liefern, ob es räthlich sei einem Italiener in einer
abhängigen Stellung, wie sie N. inne hat, dergleichen Aufträge anzuvertrauen»[289].
Il viaggio dello Schmidt sarà così ricordato dal Mommsen nel CIL X,2: et nuper Iohannes Schmidt mea causa difficillimi itineris labores
pertulit nec pauca monumenta aut emendavit aut primus in lucem protraxit[290].
Rispondendo ad una lettera del Mommsen per noi perduta, lo
Schmidt il 15 maggio affrontava l'imbarazzante questione dell'iscrizione falsa
presentatagli a Terranova da Piero Tamponi (Dis
Manibus Lusiae Glaphurae ecc.)[291]:
egli nella sua dabbenaggine non aveva certo immaginato che l’amico avrebbe
potuto ingannarlo col proposito di glorificare il giardino della villa di famiglia,
in un eccesso di campanilismo. Eppure i caratteri rilevati avrebbero dovuto
metterlo sull’avviso, così come i particolari punti di interpunzione ed il
contenuto stesso della lastra, che coincideva stranamente con un testo urbano
molto noto[292].
«Dass ich mich von der Bleitafel habe zum
Narren machen lassen, ärgert mich weidlich. Die Punkte auf der Linie statt in
der Mitte der Zeile hielt ich für unbewusste Aenderung des Herrn Tamponi; die
Buchstaben gaben mir keinen Impuls zur Verdächtigung: sie sind auch wirklich
nicht übel. Dass DIS·MANIBVS ausgeschrieben, würde man eventuell sich wohl auch
gefallen lassen müssen. Die Zeichen zum Schluss hielt ich für schlecht
lucidiert. Aber freilich, die “lettere rilevate” hätten mich stutzig machen
müßen: Die Alten haben eine solche Metallinschr. wohl nie gegossen, sondern
immer eingeschnitten. Dazu kam, dass kurz vor meiner Ankunft in Terranova ein
bleierner Sarkophag gefunden worden war, deren zerbrochene Stücke, mit Palmen
geschmückt, der Deckel in Dachform, ich sah. Auch traute ich in der mir
eigenen, dummen Gutmüthigkeit Herrn Tamponi ein falsches Zeugniss nicht zu. Wie
ich aber jetzt die Dinge ansehe, halte ich es nicht für unmöglich, dass
derselbe, von brennendem Hauspatriotismus getrieben, um seinen giardino zu
glorificieren, auch diese Tafel, die zur See nach Terranova gekommen, diesem
auf Rechnung geschrieben - natürlich, sie für antik haltend»[293].
Segue poi una serie di altre notizie e precisazioni su alcuni epitafi
caralitani, sul ricevimento delle somme ancora dovutegli per il viaggio in
Sardegna e sul dipinto nella catacomba cristiana di Bonaria[294]:
«Die Ortsangabe zu der Inschrift in casa Sanna werde ich bestimmt geben können,
sobald ich die Copie sehe. Den Zettel mit der Abschr. von Crespi D·M·/ANTONIN etc. betreffend kann ich
keine Auskunft geben: Crespi wusste nicht, wo er sie abgeschrieben. In der
Rechnung hatte ich erst 10 M. mehr angesetzt, änderte dies dann an zwei Stellen
und liess es an der dritten stehen. Verbessertes Exemplar liegt bei. Das Geld
habe ich empfangen. Besten Dank. Auf Ihre Fragen wegen des dipinto von Cagliari
antworte ich: 1) die Farbe der Schrift ist schwarz. 2) Das Wandstück ist 1,54m breit, unser den Schluß bildendes
Inschriftfragment misst 0,56m in der
Breite. Da die Inschrift sich wohl jedenfalls über die ganze Breite hinzog, so
ist also nur wenig mehr als 1/3 derselben erhalten. Der Anfang fehlt.
Damit über die Zusammenordnung der drei Stücke kein Zweifel bleibt, habe ich
sie zusammengeklebt und lege sie wieder bei. 3) Die Inschrift steht über dem
rothen Rand. Die Grundfarbe der Wand ist meiner Erinnerung nach ein schmutziges
Gelb. Da ich diese Notiz aber nicht aufgeschrieben habe, so werde ich
Crespi, an den ich heut schreibe, bitten, sie mir zu bestätigen, auch mir die
erste Gruppe noch einmal zu lucidieren. Dürfte man in deren letztem Zeichen ein
schlecht erhaltenes o erkennen, so
würde ein gentiliz. auf -urio
wahrscheinlich sein. Nach Antonio habe ich auf dem lucido einen Punkt notiert».
Il Crespi aveva finalmente ricevuto le sue copie dell’Ephemeris Epigraphica con l’articolo
sulla Grotta della Vipera[295]
e il quotidiano L’Avvenire di Sardegna
aveva dedicato al lavoro del grande concittadino un’intera colonna: «Crespi hat
seine Abzüge erhalten, ohne die Karte. Der “Avvenire di Sardegna” widmete der Arbeit des grossen concittadino eine
ganze Spalte. Möglich, dass er mir den Auftrag gegeben, Ihnen den Empfang
anzuzeigen oder vorausgesetzt hat, dass ich es thue. Ich erinnere mich eines
Auftrags nicht. Vielleicht will er auch warten bis nach Empfang der Karte».
Il 16 maggio 1881 lo Schmidt riferiva di essere entrato in
corrispondenza con l’amico Ettore Pais, il giovane direttore del Museo di Sassari
conosciuto in Sardegna, che era stato incaricato di raccogliere i calchi delle
iscrizioni conservate nella collezione Sclavo e presso il prof. Placido
Bettinali[296]:
«soeben erhalte ich eine höchst dankenswerthe Sendung von meinem amico Ettore
Pais, Professore am Liceo und Direttore del Museo in Sassari. Canonico Sclavo war verreist, als ich dort
war, seine Sammlung deshalb unzugänglich. Ich bat den Pais mir Copien und
Abklatsche zu besorgen. Dass auch der Professor Bettinali eine Sammlung von
Alterthümern besitzt, hat Herr Pais erst nachmals erfahren: ich habe mich in
Sassari vergeblich nach Privatsammlungen erkundigt. Ich erlaube mir noch folgenden Satz aus Pais’ Brief
auszuschreiben: “il Prof. Bettinali udito che il suo nome sarebbe stato citato
nel Corpus, ben volentieri mi
accordò di prendere calchi e disegni”»[297].
Dalle lettere successive veniamo a conoscere in dettaglio il
lavoro di redazione del CIL X, la
correzione delle bozze, le rettifiche, i dubbi come (nella cartolina del 20
maggio) a proposito del calco dell’iscrizione funeraria con l’incisione di un
viso umano «die Abschrift von der Sepurcralinschrift [sic] mit der Fratze (aus Sassari)»[298],
in realtà da Cornus come da me recentemente dimostrato[299].
Il 20 maggio ancora un giudizio
positivo sul Pais: «es freut mich, dass Sie Pais Sendung dem entsprechend
finden, was ich Ihnen nach meinem persönlichen Eindruck von ihm erzählt hatte.
Ich hatte eben einen Brief an ihn vollendet, als der Ihre ankam: so konnte ich
noch ein Wort darüber zufügen, das ihm Freude machen wird. Er ist erst 24 Jahre
alt, trotzdem Professore an dem liceo und schon seit 2 Jahren direttore des
Museums, das er erst eingerichtet hat; er hofft im October mit Staatsstipendium
nach Berlin zu kommen. Wollen Sie ihm schreiben, wird er sich sehr geehrt
fühlen, übrigens rechnet er nicht darauf: er unterscheidet sich auch dadurch
von den meisten seiner Landsleute, dass er einsieht, dass Männer wie Sie mehr
zu thun haben als unnöthige Briefe zu schreiben»[300].
Seguono notizie varie: il commento sugli ultimi lavori pubblicati
dallo Schmidt, l'arrivo di nuove bozze da Lipsia, la trascrizione del falso di
Terranova[301], il
luogo di conservazione (presso Placido Bettinali) di un'iscrizione di Porto
Torres (Ti. Claudio / Arogo etc.)[302], ancora la stele con figura umana da Cornus
conservata al Museo di Sassari, di difficile lettura: «Freilich habe ich die
Inschrift des Mus. von Sassari, von welcher Sie den Abklatsch schicken,
abgeschrieben, und die Copie muss sich inmitten
der übrigen Abschriften der Steine des Museums finden mit genauer
Beschreibung der rohen Fratze in Basrelief oder vielmehr Incision, die über der
Inschrift sich befindet. Ich habe die Inschrift ganz sicher gelesen: nach dem Abklatsch wird sie
mir freilich auch nicht ganz verständlich (D M ACILIV ?) (SFI.?)»[303].
Infine alcune incomprensioni sui calchi, effettuati a secco con frottage e con
carta assorbente.
Il giorno successivo, rispondendo alle richieste di chiarimento
del Mommsen, lo Schmidt forniva schematicamente una serie di risposte
sibilline, come quella, per noi incomprensibile, che richiama un giudizio del
Lamarmora sulle antichità di Bosa: «Betreffs Bosa hat Lamarmora Recht»; oppure
le verifiche sulle letture di alcuni testi, la localizzazione di S. Maria di Valenza
presso Nuragus, i miliari di Nuragheddus e di Flumentepido (per CIL X 8006: «Wäre meine Abschrift
KARALIBVS·VI falsch u. hätte ich S ausgelassen, so wäre das eine schwere Sünde.
Ich schreibe heute an
einen Herrn, der häufig von Cagliari nach St. Antioco reist, einen sehr
gebildeten ingegnere, der wird mir hoffentlich den Gefallen erweisen, den Stein
auf diese Frage hin noch einmal zu prüfen und mir so rasch Antwort zu geben,
dass Sie noch Vortheil davon ziehen können»), la mancata localizzazione dei miliari
sul punto culminante della Strada Reale tra Macomer e Bonorva sulla Campeda
(«Der Punkt, die Oertlichkeit, wo früher sich eine Anzahl von Lamarm(ora)
gelesener Meilensteine befand, “au point le plus culminant de la grande route”
zwischen Macomer u. Bonorva[304], d. h. etwa 2 St. von Bonorva, 3 von
Macomer, 20 Minuten hinter dem ponte di Padru mannu nach Bonorva zu, wo
die noch jetzt erhaltene Säule liegt, trägt noch jetzt den Namen Pedra lada
od. Pedra scritta. Die Steine suchte ich vergeblich: sie scheinen
zerschlagen zu sein für Ausbesserung der Chaussée. Der ponte di padru mannu
liegt 15 Minuten hinter der Cantonniera [sic!]
di Campeda, ein wenig jenseits der Mitte des Weges zwischen Macomer u.
Bonorva»)[305].
Il 19 maggio lo Schmidt scriveva direttamente al Crespi ed al
Nissardi da Halle, per ringraziarli delle gentilezze ricevute durante il
viaggio in Sardegna e dell’ospitalità che si augurava di poter presto
contraccambiare, aggiungendo alcuni quesiti epigrafici: «Quest’oggi ho però da
domandarle io – scriveva al Nissardi – una nuova compiacenza oltre delle altre,
che già mi ha fatto. Ho preso, come Lei sa, un lucido dalla iscrizione della
parete staccata da Lei e conservandosi ora nel magazzino di S. Domenico. Ora la
prego di ripetermi colla più gran cura ed
esattezza possibile un lucido (in grandezza naturale!) solamente del
principio di questa iscrizione, di un pezzo incirca di 12 centimetri. Tutte
queste lettere delle quali La prego di prendermi il lucido, sono mutilate, sono
conservate solamente a metà. Oltre di ciò qualche traccia giusto in quel luogo
dell’iscrizione sarà cancellata, di modo che ci vorrà, come ho indicato, la più
gran cura per trarne una copia (in carta lucida!) soddisfacente. 2) mi scriva
di qual colore sia il fondo di detta parete. Io credo, di color giallastro». E
poi un commento che tendeva a tranquillizzare il Nissardi: «ho parlato di Lei
col Mommsen e mi sono conviunto, che lui ha per lei le buonissime intenzioni e
Le resta affezionatissimo. Saluti, prego la sua signora, stia bene, cacci via
la febbre, la maledetta, e non cessi di voler bene al Suo aff.mo obbl.mo
Iohannes Schmidt»[306].
Negli stessi giorni, il 23 maggio 1881 il Mommsen poteva
trasmettere al de Rossi il calco dell'iscrizione sulcitana del martire Antioco,
invitando l'amico ad ammorbidire le riserve sull'autenticità di un testo che
non poteva essere medioevale; del resto lo stesso de Rossi avrebbe aggiunto:
«un falsario non saprebbe inventare questa razza di centoni»[307].
Il 24 maggio lo Schmidt si soffermava sulla difficile edizione di
un carme greco della Grotta della Vipera[308],
ammettendo di aver compiuto degli errori, mentre ancora non erano arrivati i
promessi calchi del Crespi; manteneva però fermo il rifiuto di riconoscere di
aver sbagliato per il miliario di Flumentepido (così nella cartolina del 25
aprile)[309]. In risposta ad una cartolina del Mommsen, lo
Schmidt sviluppava una serie di argomentazioni sulle sue critiche al Maestro,
evidentemente non gradite, frutto comunque di un fraintendimento: «Inzwischen
ist Ihre Karte eingelaufen und ich ergreife geflissentlich die Gelegenheit um
einem Missverständniss entgegenzutreten, dass länger als nöthig bestehen zu
lassen mir drückend sein würde. Ich wusste ja zunächst nicht, dass auf
den mir zugeschickten Bogen ein Theil der von mir mitgebrachten Scheden noch
nicht eingetragen war: wenn ich also besonders bei bereits von Ihnen gelesenen
Inschriften des Cagl(iari) Museums zuweilen eine wegen Ihrer Vorbemerkung in
der Einleitung zu erwartende Notiz über meine Nachvergleichung vermisste, so
war ich, um ganz offen zu sein, zunächst der Ansicht, dass Sie es schliesslich
für nicht nöthig erachtet hätten, von all den kleinen Noten, mit denen ich -
nach Bormannscher Manier - die von Ihnen abgeschriebenen oder revidierten
Inschriften noch versehen hatte, durchweg Act zu nehmen, da Sie besseres zu
thun haben als Kehricht wegzu-fegen: Ich weiss recht gut, dass der grösste
Theil jener kleinen Noten für Sie keinen anderen Werth hat als Kehricht, der
wieder wegzufegen ist. Denn sachliche Correcturen habe ich ja in den von Ihnen
gelesenen Texten nur sehr selten anzubringen Gelegenheit gehabt. Besagtes
Verfahren würde also von meiner eigenen Beurtheilung des Werthes jener
Nachvergleichungen keinen Widerspruch erfahren haben, und ich habe eine dies
andeutende Bemerkung meines Wissens unter die Einleitung gesetzt. Erst als ich
an Elmas, Pirri, Pauli kam, auch eine oder die andere Cagliaritaner Inschrift
zu vermissen glaubte, dachte ich, dies oder jenes Blatt könnte sich verkrümelt[310]
haben. Und da mir daran liegen musste, insonderheit die Zahl der von mir nicht
besuchten Orte nicht auf diese Weise noch grösser erscheinen zu lassen,
erlaubte ich mir eine darauf bezügliche Bemerkung. Sie “eines schlimmen
Fehlers” zu zeihen, ist ferne von mir gewesen und würde ich mir nicht erlaubt
haben. Auf jeden Fall bitte ich Sie herzlich mir zu gestatten, diese wie andere
Aufklärungen der Art, die Sie etwa künftig mir einmal zu geben für nöthig
halten sollten, immer als an meine Ungeschicklichkeit im Ausdruck, nicht aber
als an mangelhafte Bescheidenheit adressiert anzusehen. Denn ersterer will ich
mich gern, letzterer kann ich mich bei aufrichtiger Prüfung nicht schuldig
bekennen»[311].
In una cartolina del giorno successivo forniva ancora delle
precisazioni sulle iscrizioni caralitane, con la raccomandazione al Mommsen di
leggere anche sul retro dei suoi fogli e di non tenere conto di alcuni appunti
personali che avrebbero potuto irritarlo. E poi altre informazioni sul viaggio
in Sardegna, come a proposito del temporale che lo aveva costretto ad
interrompere il lavoro di trascrizione a Monserrato (già Pauli Pirri) di un
epitafio: «Von der auf dem Grundstück Cau in Pauli P. befindlichen
Inschrift von 2 oder 3 Columnen muss der Abklatsch noch benutzt werden, da ich
die Abschriftsbemühungen leider durch ein Gewitter zu früh abzubrechen
gezwungen wurde. Ich bedaure
lebhaft, dass ich Ihnen diese Mühe, die wohl meine Pflicht gewesen wäre, nicht
abnehmen kann»[312]. Nel CIL Mommsen avrebbe precisato in sintesi
la vicenda dell'epitafio di Pauli Pirri che qualche mese dopo sarebbe stato
parzialmente riletto dal Nissardi: Schmidtius
descripsit ut potuit, tempestate impeditus; idem ectypum dedit. Descripsit item Nissardius. Sed evanidum titulum ut exediremus, nobis non successit[313].
Il 26 maggio, in risposta ad una lettera del Mommsen, tornava a
discutere su uno degli epigrammi greci della Grotta della Vipera, rinnovava le
raccomandazioni per una lettura corretta dei suoi appunti e si scusava per non
essersi spiegato in modo esauriente: «Herr Dr Hülsen hat mich missverstanden:
ich hatte nicht um die Abklatsche, sondern um die lucidi der nova
gebeten, welche beilagen. Auch die brauchte ich nur für den Fall, dass es Ihnen gleichgiltig war, ob
ich die Copien derselben an Vivanet, seinem Wunsche entsprechend, schickte. Nun
habe ich auch diese nicht mehr nöthig». E poi la
destinazione delle iscrizioni greche trascritte in Sardegna: «Sie wünschen,
dass ich die Graeca an Kaibel[314]
gebe. Sollten sie für den -
wie ich glaube - zu spät sein, dann darf ich sie wohl für Deffner reclamieren,
dem sie vielleicht für seine Forschungen über die Entwicklung der mittel- und
neugriechischen Sprache und ihrer Dialekte zu statten kommen werden». Nella postilla ancora una raccomandazione un poco acida per le
bozze del CIL, che continuano ad
omettere i testi raccolti dallo Schmidt nell’ager Caralitanus: «Soeben erhielt ich 3 neue Correcturhalbbogen. Da, wie ich nun sehe, von Pirri an, - in
Pirri, Pauli Pirri, Elmas, Assemini - die von mir gefertigten Abschriften der
Abklatsche überhaupt noch nicht hineingearbeitet sind, so ist es
überflüssig, dass ich fortfahre jedesmal zu bemerken, dass nach meiner
Erinnerung meine Abschrift abweicht»[315].
Via via che procedeva la correzione delle bozze, i problemi si
moltiplicavano: in una lettera dell'8 giugno lo Schmidt si scusava per aver
dovuto rispedire le bozze da Anderbeck presso Magdeburgo, perché aveva
trascorso il giorno festivo col padre che desiderava sentire anche direttamente
del suo viaggio in Sardegna («Mein Vater wollte doch gern auch mündlich von
meiner sardinischen Reise hören»). E poi la lista delle correzioni (14 in
tutto) sulle bozze del CIL appena
ricevute, che avevano già la numerazione definitiva: possiamo constatare che
molte delle osservazioni dello Schmidt sarebbero state poi inserite nell'opera,
come a proposito della cronologia di alcuni testi forse repubblicani, alcuni
refusi, alcuni errori del «quadratarius»,
alcune rettifiche anche sui luoghi di ritrovamento[316].
Il rapporto epistolare col Crespi, infelice per la morte della
figlioletta, non si doveva essere interrotto se il 17 giugno 1881 lo Schmidt
precisava scrivendo al Mommsen di aver appreso da lui dell’arrivo al Museo di
Cagliari della famosa bilingue e della realizzazione di alcuni calchi in gesso.
Sullo sfondo c’è sempre la polemica dello Schmidt col Vivanet, che intendeva
rivendicare il rinvenimento: «von Crespi erfahre ich soeben, dass die bilinguis
von St. Antioco sich bereits im Museum von Cagliari befindet. Ich glaubte Ihnen das mittheilen zu sollen
zur Benutzung für den Fall, dass der Bogen noch nicht abgezogen sei. Zugleich
theilt Crespi mit, dass schon verschiedene Gessi von dem Stein gefertigt, unter
andern einer an Fiorelli, einer an Renan geschickt worden ist. Auch werde man
bald lesen, wie eigentlich doch Herr Vivanet, der mich nach St. Antioco
empfohlen, die Ursache der Auffindung des Steines sei, und dass er auch ohne
meine Mittheilung von den Bürgern, die mich zu dem Stein geführt haben, davon erfahren
haben würde. - Der Stein stand schon seit c. 20 Jahren so in dem Hof wie ich
ihn fand. - Nissardi ist in Porto Torres, wo wohl Ausgrabungen im Gange sind.
Vielleicht interessiert es Sie auch zu hören, dass Crespis Frau demselben vor
kurzem eine Tochter geboren, dass dieselbe sich aber, während zuerst alles gut
stand, durch Unvorsichtigkeit ein heftiges Fieber zugezogen und die kranke
Milch dem zuerst ganz gesunden Kind nach 10 Tagen den Tod bereitet hat. Der
Vater ist sehr unglücklich darüber»[317].
Possediamo anche un foglio senza data con molte osservazioni
sulle iscrizioni sarde sulle bozze del CIL
X, come quella dei Patulcienses di
Cuglieri (di lettura dubbia)[318]
o la Tavola di Esterzili, ecc.[319]
Il 2 luglio ancora una novità sul Crespi:
«Crespi will einen Aufsatz über Nora schreiben, zu dem er das Material zusammen
hat; doch bittet er mich dazu um eine Zusammenstellung der Inschriften von
Nora. Ich bringe die Bitte an Sie: vielleicht ist ein überflüssiger stampone
vorhanden, den Sie ihm bewilligen könnten. Freilich möchte er auch gern Copie
von der mittelgriechischen Inschrift, die ich in St. Efisio abgeschrieben habe.
Hat die vielleicht bereits Professor Kaibel, so kann ich mich ja darum an ihn
wenden». E ancora una velata polemica con il Commissario: «Vivanet meldet, dass
er eine wichtige neue Inschrift in Sardinien gefunden habe, aber er theilt sie
nicht mit. Nissardi hat mir noch einen lucido der Wandinschrift aus Cagliari
geschickt, der aber für den zweifelhaften Anfang auch nichts weiter ergiebt. Er
schreibt, dass er Ihnen jetzt erst seine früher gewünschten Materialien
geschickt habe: der Grund der Zögerung[320] ist, dass er vorher Abschriften von editis
nur sehr wenige hatte und wahrscheinlich so arm vor Ihnen nicht erscheinen
mochte»[321]. Iniziano infine a
comparire riferimenti alle iscrizioni africane ed alla raccolta del Renier,
giudicata del tutto negativamente dal Mommsen.
Il 3 luglio ancora le iscrizioni sarde:
«soeben erhielt ich Ihren Brief und habe sofort an die amici sowohl in Iglesias
als in Cagliari geschrieben, damit Sie möglichst rasch einen calco von dem
Stein bekommen. Der in Iglesias ist ein Deutscher, einflussreicher Mann,
Bergwerksdirector, und ich hoffe, dass er jetzt den Zusicherungen, die er mir
gegeben, entspricht. Grugua ist jedenfalls die miniera bei St. Angelo. Ich
würde dahin gegangen sein, wenn mir nicht ihr Besitzer, Herr Perpignani in
Iglesias, gesagt hätte, dass dort nichts von Inschriften existiere. Meine
übrigen amici sind bummlig[322]: über den Meilenstein von Sta. Maria di Flumen
Tepido habe ich noch keine Auskunft, nach der ich selbst so begierig bin. Auch
für Euting habe ich an 4 Orte geschrieben, ohne noch Antwort zu haben»[323].
E poi un nuovo giudizio sul Regio
Commissario, che forse voleva solo irritare il Mommsen e lo Schmidt stesso con
la notizia della prossima pubblicazione della bilingue, anche allo scopo di
rallentare l’uscita del X volume del CIL:
«Ich theile durchaus Ihre Meinung über die Zuschrift des Vivanet, halte sogar
für möglich, dass der Thor sich einbildet: a) Sie durch die Ankündigung ohne
Mittheilung der Inschrift zu ärgern; b) den Druck des Corpusbandes dadurch
aufhalten zu können, um eventuell doch noch die bilingue und vielleicht auch
andere meiner Funde in St. Antioco, von denen er auch erfahren haben könnte,
mit seiner Namensunterschrift in die Welt setzen zu können. Mich hat er mit der
analogen Mittheilung gewiss ärgern wollen. Besten Dank für die zahlreichen
Abzüge der Erklärung des phönik. Textes der Inschrift von St. Antioco, die mir
auf Ihre Veranlassung gestern zugegangen sind. Freilich ist es meine Ansicht,
dass sie mir nicht gebühren, und ich schäme mich fast sie zu verschicken. - Die
Entdeckerehre hat für mich keinen Kitzel; jedes kleinen, durch
wissenschaftliche Arbeit erzielten Erfolgs freue ich mich doch mehr. Immerhin -
mag man darin einen Beweis mehr erkennen für die unverdiente Freundlichkeit,
mit der Sie denen zu begegnen gewohnt sind, die sich’s zur Ehre rechnen in
Ihrem Auftrag thätig sein zu dürfen».
«Für Ihre Bemerkungen über die Art meiner
Abschriften bin ich Ihnen aufrichtig dankbar: ich sehe ein, dass Sie Recht
haben, und würde, böte sich wieder Gelegenheit, mich nach Ihrer Norm richten.
Mich beherrschte bisher immer die auf der gemeinschaftlichen Reise in Umbrien
von Bormann angenommene und dann zum unbewussten Gesetz gewordene Anschauung,
dass die Inschriften Monumente seien, die nicht bloss des Abschreibers, sondern
auch des Abzeichners bedürften. So entstanden Abschriften, die auf den Druck zu
wenig Rücksicht nahmen».
E poi un'informazione preziosa, con una
confusione tra cippi di confine e menhirs preistorici: «Ich lese jetzt Rudorffs
Gromatische Institutionen[324]: hätte ich das früher gethan, so würde ich
zahlreiche Notizen über Grenzsteine von Sardinien mitgebracht haben,
Grenzsteine ohne Inschrift. Auch so erinnere ich mich noch vieler, z.B. einer
mächtigen Säule am Wasser nahe bei der Brücke über einen todten Meeresarm auf
dem Wege nach St. Antioco». «Vivanet hat mir auch durch die Direzione Generale
einen Abklatsch der bilinguis zuschicken lassen: sonderbar. Bestimmen Sie nicht
anders, so schicke ich ihn noch an Euting, der noch Nutzen davon haben kann.
Auch hat derselbe meine anderen Abklatsche und Abschriften von phönik. Inschriften».
Il 23 luglio ancora i calchi delle iscrizioni del Museo di
Sassari, destinati allo Hübner[325],
mentre si inizia a delineare il viaggio africano per proseguire il lavoro del
giovane Gustav Wilmanns, deceduto nel 1878 con grande dolore del Mommsen,
interrompendo l'VIII volume del CIL[326]:
nel 1881 aveva scritto: «infelicis
iuvenis tristem hereditatem ego senex adii curavique, ne cum ipso labores eius
perirent… Vitam vixit ut brevem et laboriosam, ita
plenam et utilem, civis egregius, magister gnavus, amicis et discipulis carus,
in laboribus superandis periculisque obeundis animi plus solito fortis et
constantis»[327]. Lo Schmidt ora si
interrogava sulla necessità di apprendere l’arabo moderno «Wird es nöthig sein
Vulgärarabisch zu lernen? Da ich Altarabisch bereits getrieben habe, auch das Hebräisch unterstützen
würde, so dürfte es mir nicht allzuschwer werden mir einiges anzueignen. Ist es
aber unnöthig oder bei der Zersplitterung verschiedener Dialekte unmöglich,
dann würde ich natürlich die Zeit sparen». Qualche giorno dopo
(il 4 settembre) la situazione politica a Tunisi lo avrebbe vivamente
allarmato.
Il 5 agosto lo Schmidt, debilitato per un disturbo agli occhi,
annunciava l'arrivo di una copia effettuata dal Nissardi della bella iscrizione
di M. Cosconius Fronto[328],
inviatagli stranamente dal Vivanet («Vivanet hat mir eine Copie des
Cosconiussteines nun auch geschickt») e di una lettera da Iglesias[329].
L'11 agosto venivano riassunte le ultime notizie ricevute dai corrispondenti
sardi: «ich habe an Hr. Marks[330]
geschrieben, um womöglich über Fundort und Gewicht der Bleibarre noch Näheres
zu erfahren. - Auch Crespi antwortet heut, dass seine Bemühungen wegen der
Inschrift aus Grugua mit der cohors
Sardorum[331] bis
jetzt ohne Erfolg gewesen sind. - Ueber die Herkunft der Tafel von Usellus[332],
hat er auch nichts Gewisses ermitteln können, “ma, - schreibt er, - io sono
d’avviso, esser vera l’asserzione di qualche vecchio cultore sia stata scoperta
in Cagliari nel luogo detto Polabanda, dove esistono le iscrizioni del
Barone di Teulada, delle quali a quest’ora avrà già ricevuto i calchi per mezzo
del Commissariato (eseguiti da me!)”»[333].
C'è sempre la polemica con il Vivanet che cova sotto la cenere, mentre i
rapporti col Pais erano eccellenti se il 4 settembre annunciava: «umgehend
sende ich Ihnen einen Beitrag zu den Sarda, den ich soeben erhielt. Ob es ein Nachtrag ist, weiss ich
nicht. Ich bitte mir von Pais noch eine ordentliche Abschrift aus. Wegen
der Bleibarre habe ich noch keine weitere Nachricht»[334].
Il 18 ottobre ancora altre novità da Cagliari,
mentre le bozze del CIL erano quasi
pronte per la stampa: «obgleich ich voraussetze, dass Sie die mir von Hrn
Vivanet in dem beiliegenden Brief gemachten Mittheilungen auch noch von Rom aus
empfangen werden, so könnte dies doch vielleicht nicht früh genug geschehen, um
Ihnen für die, wie Sie mir mittheilten bereits im Druck befindlichen Addenda
noch zu statten zu kommen. Auf jeden Fall hat für mich Herrn Vivanets
Stilübung keinen Wert. So sende ich sie Ihnen. Dass von der im Haus des Cav.
Luigi Campus in St. Antioco befindlichen Inschrift Notiz und im Abklatsch
genommen worden ist, habe ich veranlasst. Ihre Existenz wurde mir am Abend um
10 Uhr vor meiner Abreise, die den nächsten Morgen um 6 Uhr vor sich ging, von
dem Ing. Romby, Enkel des Herrn Campus indiciert: er versprach mir, da mir
eigene Besichtigung nicht mehr möglich war, einen Abklatsch, den ich aber erst
durch “istanza fattagliene dal prof. Crespi”, wenn auch nicht direct für mich,
habe extorquieren können»[335].
Il 21 ottobre era arrivata la risposta
dall'amico ingegnere minerario tedesco presente ad Iglesias in relazione al
lingotto di San Giovanni[336] ed all'epitafio di un soldato della cohors Sardorum[337]: «Soeben bekam ich Antwort von dem Director
Marx aus Iglesias a) betreffs meiner Fragen über Fundort und Gewicht der
Bleibarre von S. Giovanni; b) über Grugnetta, den Fundort des Steins - oder den
muthmasslichen Aufbewahrungsort desselben - mit der cohors Sardorum. Da der
Brief auch ausserdem noch einige Angaben enthält, die Sie vielleicht interessieren,
so schicke ich Ihnen denselben zu. Sie sehen aus demselben auch, dass Herr Marx
jetzt die Barre in seinen Besitz gebracht, um sie dem Berliner Museum zu
schenken. Es wird gut sein, dass seine Schenkung eher perfect wird als durch
das Erscheinen des Corpus die Aufmerksamkeit der Herren Sarden auf die Barre
gelenkt wird. An wen soll ich ihn seine Sendung adressieren lassen? Denn an das
Museum kann er es nicht gut schicken; das würde bei der Ausführung
Schwierigkeiten schaffen. Man wird doch das Geschenk wenigstens seitens der
Museumsverwaltung eines Dankbriefs an den patriotischen Landsmann für werth
halten?». Infine, le vicende relative al collezionismo
antiquario in Sardegna ed alla vendita della raccolta del giudice Francesco
Spano, passata poi a Pompeo Lambertenghi e quindi acquistata per il Museo di
Cagliari: «Hatte Ihnen vielleicht Dr Treu schon von der Sammlung Spano in
Oristano gesprochen, die jetzt verkauft wird?»[338].
Il 15 settembre 1881 erano in stampa gli Addenda del X volume ed il Mommsen iniziava a comporre gli indici[339].
Il 16 novembre ancora l'iscrizione fenicia
di Sulci: «Für die zweite phönikische Inschrift von St. Antioco liess sich
gelegentlich der photographischen Aufnahme der bilingue nichts thun, denn
letztere befindet sich ja jetzt in Cagliari, während erstere an Ort und Stelle
eingemauert ist»[340].
Il 30 novembre, accusando ricevuta di alcuni articoli inviatigli
dal Maestro, lo Schmidt si dichiarava invidioso almeno della sua straordinaria
capacità di lavorare, anche dopo l'elezione al Reichstag (1881-4). Non mancavano le novità dalla Sardegna:
«Herr Geheimrath[341] Schöne wird wohl einen Brief von Herrn Marx
aus Iglesias erhalten habe[n], in welchem er die Absendung der Bleibarre
anzeigt»[342]. E poi il giovane amico Ettore Pais, che
aveva vinto il concorso per l’estero e «passiert, wie er mir anzeigt, am 10ten Dec. etwa Halle, um sich nach
Berlin zu begeben. Er wird sich Ihnen also wohl um diese Zeit präsentieren». In
una lettera successiva (14 dicembre), lo Schmidt, rispondendo evidentemente al
fastidio manifestato dal Mommsen, precisava che il Pais sarebbe giunto a
Berlino soprattutto per incontrare il Maestro: «Was Pais betrifft, so kommt er wesentlich
Ihrethalben [Ihretwegen] nach Berlin: dass er sich Ihnen vorstellt, müssen
Sie also wohl dulden. Aber er ist so verständig, dass er durchaus zufrieden
sein wird, wenn Sie ihn an den Sitzungen Ihres Seminars theilnehmen lassen und
ausserdem ihn an einige oder einen Ihrer Schüler empfehlen wollen, damit die
sich seiner etwas annehmen. Ich werde ihn über das, was er von Ihnen
erwarten darf, im Voraus aufklären. Dass Ihnen die Ansprüche, die von allen
Seiten an Ihre Zeit erhoben werden, zuweilen anfangen über Mass und Kraft zu
gehen, wundert mich nicht, nur wie Sie sie denn doch immer noch befriedigen,
wundert mich».
Abbiamo il vivo ricordo che Ettore Pais conservava del primo
cordialissimo incontro col Mommsen a Berlino, quando il Maestro riconobbe il
giovane prima che entrasse nel suo studio, solo sentito che si trattava del
direttore del Museo di Sassari. In una lettera del 31 dicembre con gli auguri
di fine anno, lo Schmidt scriveva al Mommsen grato per come l'amico era stato
accolto: «Herr Pais schreibt mir voll Entzücken über die Liebenswürdigkeit, mit
der Sie ihn aufgenommen haben»[343].
A Berlino il Pais rimase dalla fine del 1881 al 1883, perfezionandosi in storia
antica (ma anche in epigrafia latina, in geografia storica ed in diritto
pubblico): già da una lettera dello Schmidt del 16 febbraio 1882 sappiamo che
il Mommsen aveva affidato al Pais i Supplementi di CIL V: una decisione che al giovane allievo sembrava sotto tutti
gli aspetti una mossa molto felice («Dass Sie Pais mit den Supplementen von V
betraut haben, scheint mir in allen Beziehungen ein eminent glücklicher Griff,
und ich habe mich sehr darüber gefreut»). In quegli stessi giorni il giovane
studioso tedesco leggeva l'opera del Pais sulla Sardegna prima del dominio romano, studio storico-archeologico,
poiché gli aveva promesso di presentarla. Non mancavano però riserve, perché se
il volume sotto molti aspetti appariva di gran lunga superiore alle solite
opere italiane di questo tipo, non era comunque privo anche di parti in cui,
secondo la maniera italiana, la fantasia prendeva il sopravvento sulla ragione
e la retorica era costretta a rimpiazzare il peso che mancava alle
argomentazioni; del resto il Pais avrebbe perso questo atteggiamento a Berlino.
Infine la destinazione dei nuraghi che non dovrebbero essere tombe (come
sostenuto dal Mommsen a Sassari) ma castelli: «Ich studiere jetzt seine Schrift
über Sardinien, weil ich ihm versprochen habe sie anzuzeigen. Wenn dieselbe auch in vielen Beziehungen die
gewöhnlichen italienischen Schriften der Art weit überragt, so fehlt es ihr
doch auch nicht an Partien, wo nach italienischer Manier die Phantasie mit dem
Verstande durchgeht und Rethorik ersetzen muss was den Gründen an eigenem
Gewicht fehlt. Das wird er sich wohl in Berlin abgewöhnen. Die Nuraghi sind -
das glaube ich [behaupten] zu können - nach dem bis jetzt vorliegenden Material
für Castelle, nicht für Gräber oder Tempel zu halten». L'opera, che era stata offerta all'Accademia dei Lincei il 19
giugno 1881, dové essere presentata a Berlino o ad Halle dallo Schmidt, che del
resto non è mai citato nel volume.
Fu poi il Mommsen a proporre al Ministero la nomina del Pais «a
maggior centro di studi», ma la raccomandazione non ebbe esito ed il Pais fu
«inviato a riordinare ed accrescere il Museo Nazionale di Cagliari» (1883-85)[344].
Negli anni successivi egli avrebbe collaborato alla redazione di alcuni volumi
del Corpus Inscriptionum Latinarum[345],
alla memoria del grande maestro tedesco il P. sarebbe rimasto sempre legato e
nel 1923 gli avrebbe dedicato il volume Storia
della colonizzazione di Roma antica[346]. Per la Sardegna sappiamo che fu
proprio il Mommsen a pregare (senza esito) la Direzione Generale delle
Antichità del Regno d'Italia ad incaricare il Pais di una revisione dei miliari
di Terranova, che fu effettuata nell'ultimo decennio dell'Ottocento per conto
dell'Accademia dei Lincei, quando però «era già tardi», in quanto a causa
dell'azione atmosferica, il granito si era «un poco sgranato», rendendo
impossibile una lettura corretta[347].
Ma torniamo allo Schmidt: il 14 dicembre 1881 egli aveva scritto
al Mommsen ancora sulla bilingue sulcitana: «Ich habe die Photographien der
Sulcitaner Bilingue bekommen. Da ich mir denke, dass Sie vielleicht auch gern davon Einsicht nehmen, so
schicke ich Ihnen das Exemplar für Prof. Hübner zu mit der Bitte es dann samt
meinem Billet demselben übermitteln zu wollen»[348].
In una lettera del 7 gennaio 1882 c'è ancora notizia di altri
contatti col Vivanet a proposito di un’iscrizione di Nuragus segnalata
dall’ispettore onorario, sicuramente l’epitafio di Germanus Nepotis (filius)[349]:
«S.gre Vivanet schreibt mir, dass er Ihnen von der
beiliegenden Inschrift einen Calco geschickt habe, da Sie aber schon einmal
eine Sendung von ihm nicht oder später erhalten haben als ich seine Abschrift,
so sende ich Ihnen dieselbe auf die Gefahr, damit etwas Ueberflüssiges zu thun.
- Ich habe bei meiner Anwesenheit in Nuragus, trotzdem ich der Gast von dem
Ispettore degli scavi war, von der Inschrift nichts zu hören bekommen»[350]; si tratta evidentemente del parroco
Gabriele Devilla (presidente di una «società» archeologica e poi Ispettore agli
scavi nella Giara di Gesturi)[351].
Il 16 febbraio 1882 il contratto per il lavoro da svolgere in
Africa nell'inverno 1882/83 era ormai definito, ma restavano aperte alcune questioni
sarde, in particolare riguardanti i rapporti col Pais, alla vigilia della
partenza del Mommsen per l'Italia, un viaggio finalizzato alla compilazione
dell’indice degli autori del IX e X volume del CIL[352].
Il 20 marzo lo Schmidt scriveva al Mommsen, dicendo di non
volerlo importunare durante il viaggio in Italia, ma comunicando un ulteriore
sgarbo del Vivanet, che aveva trattenuto i calchi dell’iscrizione neopunica di
Sant’Antioco effettuati dall’ing. Romby e consegnati al Crespi, per poi farli avere probabilmente ad E. Renan[353]: «Ich hatte in St. Antioco noch eine
9zeilige punische Inschrift entdeckt, von der ich zwei Abklatsche
mitheimbrachte, die ich Euting übergab. Sie genügten ihm nicht zur
Entzifferung, ich schickte deshalb dem Ingegnere Romby, den ich kennen gelernt
hatte (in St. Antioco) einige Bogen trefflichen, mir von Euting gelieferten
Abklatschpapiers und bat ihn mir neue Abklatsche zu besorgen. Darauf erfolgte
nichts - was mich wunderte. Eben höre ich von Crespi, dass Romby in der That die
Abklatsche nach Cagliari gebracht und an mich hat abschicken wollen. Da hat er
Vivanet getroffen und dem davon erzählt. Darauf hat der ihm
die Abklatsche abgenommen: “se ne impossessava dicendo prendersi Egli
l’incarico di rimetterli al Suo indirizzo”. Er hat sie mir aber nicht geschickt,
sondern wahrscheinlich Renan. Da Euting sich lebhaft dafür interessiert, so
lassen Sie sich’s vielleicht ein Wort kosten und bitten Fiorelli uns doch einen
guten Abklatsch davon besorgen zu lassen.
Die Inschrift befindet sich an der Casa Antonio Siddi, abilita [sic!] da Pavis, Nicolo, rione
Bingixedda. Der Romby verstände auch einen gesso davon anzufertigen, er
äusserte damals schon die Absicht es zu thun. Der wäre natürlich bei der
schwierigen Inschrift noch erwünschter»[354].
E poi il precipitare dei rapporti tra Crespi
e Vivanet, con un prossimo trasferimento dell’amico causato dalle macchinazioni
del R. Commissario: «Ich höre, man geht damit um Crespi zu versetzen: das wäre
ihm recht zu gönnen, er leidet - und doch nicht etwa bloss durch eigene
Schuld - unter den Machinationen seines Vorgesetzten Vivanet, der nur Eifer
entwickelt, wenn es gilt sich anzueignen, was andere finden oder leisten».
L'11 maggio 1882 ancora un giudizio sugli
amici sardi e qualche riserva sull’abilità dello stesso Julius Euting, forse
troppo presuntuoso per non rivolgersi al Dillman per aiuto per intendere
l’iscrizione neopunica[355]: «Den Herrn Romby beurtheilen Sie ganz
richtig: überhaupt halte ich von meinen sardinischen amici ausser Crespi und
dem Piemontesen Pais keinen einzigen für zuverlässig. Euting hat Ihnen gewiss
für den Gips seinen Dank gesagt. Ich fürchte aber, der “Paläograph und
Kalligraph” Euting wird die schwere punische Inschrift doch vielleicht nicht
herausbekommen; hoffentlich verhindert ihn dann sein Ehrgeiz nicht an Dillmann
zu appellieren. Crespi schickt beiliegende, von mir lucidierte Copie eines
Fragments von St. Antioco»[356].
Le ultime lettere dello Schmidt al Mommsen registrano un
progressivo peggioramento delle condizioni di salute dello Schmidt che
polemizzava sul Boissière[357]
ed avrebbe voluto annullare il viaggio algerino, a causa dei suoi problemi di
salute ed in particolare a causa di un fastidioso catarro intestinale che forse
era collegato ai disagi del soggiorno in Sardegna: «Ich sehe wohl ein, dass es
wünschenswerth ist, wenn die Reise nach Algier bald unternommen wird. Damit ist aber sogleich ausgeschlossen, daß
ich selbst gehe. Ich bin, seitdem ich zurück bin, vom Arzt noch nicht
losgekommen. Insbesondere hat sich eine Darmschwäche eingestellt, gegen die ich
jetzt curiere, dazu andere durch die Cur hervorgerufene Beschwerden und
Schmerzen. Dass man mit einem chronischen Darmkatarrh nicht nach Algier reisen
kann, versteht sich für jeden, der Klima und Ernährung, namentlich bei den
Arabern, kennt, von selbst. Abgesehen davon bin ich ja auch durch die hier bei
meinem Antritt[358] übernommenen Verpflichtungen auf jeden Fall
in der Auswahl einer geeigneten Reisezeit sehr behindert. Ich erlaube mir also
die Anfrage, ob Sie nicht einen anderen, jüngeren Epigraphiker haben, der die
interessante Reise übernehmen und mit Erfolg ausführen könnte. Die von mir
gesammelten Erfahrungen würde ich ihm natürlich gern zur Verfügung stellen.
Alle irgendwie interessanten Nova könnte derselbe ja vorweg publicieren, um
auch nach dieser Seite einen Entgelt zu haben. Ich denke, daß eine derartige
Reise für einen jungen, noch unabhängigen Gelehrten sehr viel Verlockendes
haben muss. Wie gern habe ich seiner Zeit die Reisen durch die Schweiz und nach
Sardinien übernommen! und die Erinnerungen an meine Reisen im Orient und in
Italien würde ich für vieles Geld nicht weggeben. Wäre es nöthig, so würde ich ja gern im Interesse der Sache die etwa
von mir in der Vergangenheit erworbenen Anrechte auf die Publication aufgeben;
so bald Ihnen das erforderlich scheinen sollte, bitte ich - von meiner
Bereitwilligkeit dazu überzeugt zu sein. Ich habe schon noch manche andere
Arbeit, die mir dafür einen genügenden Ersatz bieten würde. Ich bin nur der
Meinung, daß die Verbindungen, die ich angeknüpft, die Erfahrungen und die
Kenntnisse - quantum cunque[359] est - die ich
besonders an Ort und Stelle von den Sachen erworben habe, doch der Publication
von Nutzen sein würden. Unter meinen 20, meist sehr schwach begabten Zuhörern
hier ist keiner, der für eine solche Reise befähigt wäre, oder den es auch nur
gelohnt hätte für eine solche Aufgabe zu erziehen. Haben Sie einen, der die
Reise machen will und den Sie als nach den verschiedenen Richtungen hin dafür
befähigt kennen, so könnte sich derselbe dann mit mir in Verbindung setzen. Ich
würde ihm gern einen Reiseplan entwerfen, die Scheden zurecht machen, ihm, was
ich noch für nöthig halte, im einzelnen bezeichnen, die Persönlichkeiten
angeben, an die er sich wenden müßte u. dergl. mehr»[360].
Come sappiamo il Mommsen fu irremovibile e lo Schmidt dové
partire per l'Africa: la sua morte prematura nel 1894 forse è legata a questa
totale devozione al maestro ed ai disagi dei lunghi viaggi.
Tra il mese di agosto e di ottobre 1882 ci restano quattro
lettere del Mommsen al Nissardi, a proposito delle nuove scoperte effettuate in
Sardegna: in particolare il diploma di un classiario ravennate venuto alla luce
a Fonni che si vorrebbe inserire negli Additamenta
al CIL, come comunicato da Ettore
Pais[361]:
un testo che fu poi pubblicato anche sulle Notizie
degli Scavi, come suggerito dal Mommsen che in alternativa proponeva il Bullettino dell’Instituto romano[362].
Il 10 settembre 1882 il Mommsen dava una serie di chiarimenti al Nissardi, per
agevolare l’edizione del testo ed evitare errori[363];
temi che tornano nelle lettere del 5 ottobre[364]
e del 28 ottobre 1882[365].
Nella prima si affrontava anche il tema del miliario di Augusto rinvenuto a
Fordongianus che il Mommsen giudicava irrimediabilmente un falso[366]:
«Quanto all’iscrizione di Fordungianus, è un affare serio… Ha tutto l’aspetto
di falsificazione moderna, eseguita probabilmente non sulla carta, ma sulla
pietra intessa. Ella deve fare insistenze per vedere l’originale. Se non viene fuori
o se, venendo fuori, mostra l’istessa forma dei caratteri e dei punti come la
copia, allora è indubbiamente falsa. Ma resta la possibilità che la pietra
offra ben altra cosa che la copia; allora, vedendola, ne giudicheremo. È un
caso grave e delicato; se mai è possibile, me ne dia al più presto un esatto
ragguaglio, ed in ogni caso, badi che Lei non v’inciampi né colla borsa né
colla reputazione.
La scatola che Lei mi mandò arrivò tutta sdrucita, e le impronte
tutte rotte ed in pezzi minuti, così che non sono buone a nulla e che non
occorre ritornarle. Del resto non è una grave perdita; sono tutti bolli comuni,
esaminati anche da me in casa Solaro. Le ritorno, come Lei chiese, i fogli
dell’Album»[367]. La
condanna del miliario di Fordongianus è ripetuta il 28 ottobre: «Amerò molto di
avere certezza della lapide di Fordungianos. La gelosia potrebbe ben essere
cattiveria»[368]. E
difatti il commento in CIL X,1
sarebbe stato ugualmente critico: «Miserunt
amici sardi. In lapide videtur ficta esse punctis triangulis, sed ad imas
litteras appositis elenmentis, nisi delineatio fallit, plane perversis»[369].
Eppure il giudizio del Mommsen appare eccessivo ed il miliario di Fordongianus
(il più antico tra quelli sardi) sarebbe stato rivalutato pochi anni dopo dallo
Ihm nell’Ephemerris Epigraphica VIII[370].
Nel 1883 venivano finalmente pubblicati i due tomi del decimo
volume del CIL; nel primo erano
presentate le quasi 400 falsae vel
alienae della Sardinia.
Soprattutto nel secondo e negli Additamenta
non mancano riferimenti ai difficili viaggi compiuti in Sardegna dal Mommsen e
dai suoi collaboratori. L’esame autoptico del Mommsen è di solito richiamato
con l’espressione recognovi oppure recognovimus, meno di frequente descripsimus; le interpretazioni dei
fac-simili compaiono con formule più precise tipo: descripsi ad delineationem Iohannis Schmidt. Per lo Schmidt c’è la
preoccupazione di indicare le scoperte e gli inediti: repperit et descripsit Schmidt, ancora repperit et descripsit ectypumque fecit Ioh. Schmidt; oppure
vengono utilizzate formule differenziate: recognovit
Schmidt oppure descripsit;
Schmidtius descripsit ut potuit tempestate impeditus; idem ecyptum dedit; ancora: ectypa habui, recognovit Schmidtius descriptam a Nissardio. Tra gli
aspetti più significativi segnalo l'amplissimo spazio dedicato all'instrumentum domesticum sardo. Negli Additamenta compaiono numerosi testi
trasmessi dal Crespi allo Schmidt da Sulci[371],
Grugua[372]; e
poi il diploma militare di Fonni studiato dal Nissardi[373].
I calchi del Vivanet risultano inviati direttamente al Mommsen o più spesso
attraverso Giuseppe Fiorelli, che si era tutelato pubblicando i testi
preliminarmente sulle “Notizie degli
scavi”[374]; il
Mommsen lamenta la cattiva qualità di alcuni calchi come nel caso di un
epitafio di Nuragus[375]:
Vivavetus misit exemplum sumptum ab homine imperitus. Altri calchi furono
inviati da Ettore Pais per le iscrizioni di Porto Torres[376],
Mores[377] e
Terranova[378],
per i miliari[379] e per l’instrumentum[380],
ma anche dal Tamponi per Terranova[381].
Abbiamo infine un’eco delle strabilianti scoperte di miliari
stradali effettuate nel retroterra di Olbia dall’ispettore Pietro Tamponi,
nominato socio corrispondente dell’Instituto romano[382]:
ci resta la copia (parziale) di una lettera spedita dal Mommsen il 30 (sic)
febbraio 1885 a Piero Tamponi da Charlottenburg per rallegrarsi «delle sue
meravigliose scoperte»: «se un rammarico mi resta – scriveva – è quello che non
sono venute in tempo per la grande raccolta, ma sarà una spinta di più per
aggiungervi un supplemento», significativi appaiono soprattutto i nomi dei
nuovi governatori nell’età Diocleziano, Massenzio e Valentiniano e insieme si
raccomanda una immediata pubblicazione sulle “Notizie degli Scavi”, in vista di una più accurata edizione per il
supplemento al CIL X in preparazione[383].
L’aggiornamento sardo al CIL doveva
essere pubblicato solo nel 1899 sull'VIII volume dell'Ephemeris Epigraphica dallo Ihm[384],
proprio per rispondere all’esigenza di presentare i numerosi e significativi
miliari stradali dei dintorni di Olbia scoperti dal Tamponi. Non mancano altri
testi e si segnalano alcuni calchi trasmessi al Mommsen dal Tamponi[385],
dal Vivanet[386] e
dal Pais, dopo la nomina di quest'ultimo a direttore del Museo di Cagliari[387].
LE CINQUE LETTERE
SPEDITE DA JOHANNES SCHMIDT A THEODOR MOMMSEN DALLA SARDEGNA
1.
DSB, Nl.
Mommsen, Schmidt, Johannes, Bl. 26/27, 6 aprile 1881.
Cagliari, Mittwoch d. 6. April 1881
Hochverehrter Herr
Professor,
an sich ist es angemessen, dass ich Ihnen
über den bisherigen Gang meiner Reise berichte, und aus einigen Gründen ist es
nöthig.
Ich bin heut vor 14 Tagen von Halle
abgereist, Freitag Abend in Florenz angekommen, habe dort Sonnabend früh
verschiedene Aufträge von Hülsen für C. VI erledigt, bin Sonntag nach Rom
gefahren und Mittwoch früh nach Civitavecchia gereist, von wo aus ich
Donnerstag Abend nach sehr übler Fahrt mit beinah 12 Stunden Verspätung in
Cagliari ankam. Freitag früh Besuche bei Crespi, dem Rettore dell’Università
(also dem Cerberus des Museums), dem commissario regio degli scavi etc., bei
dem ich durch Fiorelli angemeldet war; und bei Nissardi. Nachmittag machte ich
einiges in der Stadt ab; Sonnabend arbeitete ich im Mus; Sonntag bis Mittag, Nachmittag
einige Inschr. in der Stadt, Montag Museum bis Mittag, Nachmittag wieder
einiges in der Stadt. Dienstag Mus. beendet, Nachmittag einiges in der Stadt,
it. Lucifero, Bonaria u. S. Bartolomeus. Heute Pirri, Pauli, Pirri, einige städtische
Inschriften. - Morgen denke ich nach Pula zu reisen.
Das Museum ist bereits seit 3 Jahren
gänzlich geschlossen, weil die Universität mit dem governo eine questione
giuridica führt über die Oberaufsicht. Deshalb war das Arbeiten darin mit
Schwierigkeiten verknüpft, sofern die Schränke nur in Gegenwart des Rettore
selber zugänglich waren; und außerdem wusste niemand Bescheid. Die Steine habe
ich, so weit ich sie vorfand, alle revidiert. Wenn der Erfolg gering ist, so
ist das nicht meine Schuld und, denke ich, kein Nachtheil für die Sache. Es war
sehr zeitraubend, dass ich die Inschriften a) in den Scheden b) in den stamponi
für Cagliari c) in den stamponi für Sulci, Nora, u. ora inter Nora et Càlaris
aufsuchen musste. Von dem instrumentum hatte ich mir Auszüge gemacht, aber es
war nicht möglich, danach durchweg zu collationieren: es nahm dies - das
Aufsuchen - zu viel Zeit in Anspruch. Der rettore erklärte sich bereit mir
einen Monat lang täglich einige Stunden zu widmen, aber den ganzen Tag erlaube
es seine Zeit nicht. So habe ich alle Lampen abgeschrieben, die Ziegel
verglichen oder abgeschrieben, die signacula, Haarnadeln, Schellen, Gewichte
etc. so weit sie auffindbar waren,
verglichen oder abgeschrieben. Die Gefäße alle durchzusehen war unter den
angedeuteten Verhältnissen unmöglich. Sie werden wenig zufrieden sein mit den
geringen Nutzen, den ich so dem instrum. habe bringen können, aber da ich doch
endlich zu Ende kommen musste mit Cagliari, so war es wohl nicht anders zu
machen. Was Nissardi hat, collationiere ich morgen. - Ich hoffe, dass es Ihnen
nach Wunsch ist, dass ich Cagliari so viel Zeit gewidmet habe.
In der Inschrift 7577 [corr. 7587] steht LEG
XV VICT und nach meinem Bedünnen VIAE
AEMILIAE. Abklatsch bringe ich mit. -
Verzeihen Sie, dass ich Ihnen die Liste der
calchi von Niss. nicht zurückgeschickt habe: ich habe die Bemerkungen auf der
4.ten Seite Ihres Briefes erst auf der Reise entdeckt. Beim ersten Lesen
des Briefes irrte mich der Schluss auf Seite 2. Ich schicke sie mit der
nächsten Sendung.
Bull. Sardo vol. IX. u. X. hat Crespi trotz redlichen Bemühens nicht auftreiben können, sagt
aber, dass er Ihnen ja nach dem Brande sein eigenes Exemplar auch für
diese Bände geschickt habe.
Nach meinen bisherigen Informationen ist es
unmöglich nach Bastia zu gehen, weil ich 8 Tage dableiben müsste. Auf jeden
Fall habe ich aus Ihren Scheden in Leipzig kurze Notiz über die Inschriften in
der Bibliothek genommen. - Ihre Bestellung an Crespi habe ich ausgerichtet.
Von demselben lege ich eine (wahrscheinl.
unnütze) Copie einer Inschrift aus Africa nach von mir gemachten lucido bei;
ausserdem bemerke ich, dass zwei neue Inschriften aus Africa durch Mr. Gouin. nach Frankreich abgegangen sind;
unser Bemühen Abschriften davon zu haben, war vergeblich - Prof. Hübners Wünsche
habe ich nach Möglichkeit erfüllt.
Ich werde nun also alle Inschriften von
Sardinien neu zu revidieren suchen. So schnell, wie Sie meinten (alles in allem
14 Tage) wird es freilich nicht gehen; die Communicationen sind zu zeitraubend;
zudem hat doch Cagliari allein mit Umgegend schon so viel gekostet. - Indess da
ich einmal hier bin, darf es doch weder auf die paar Lire mehr noch auf meine
Zeit ankommen. Auf jeden Fall kostet ja die Sache so viel nicht: mit dem, was
Herr Nissardi (wie Prof. Henzen erzählte) für 17 calchi berechnet hat, hoffe
ich immer noch, den ganzen giro in Sardinien so ziemlich bestreiten zu können.
Den in den späten röm. Inschriften sich
schon ankündigenden, sardin. Dialekt verstehe ich natürlich nicht - es ist so
gut, als reiste man unter lauter Albanesen oder in der Türkei - aber die
Empfehlungen, die ich vom com[m]issario regio an die sindaci u. ispettori degli
scavi habe, sichern mich für alle Fälle. Ich bin heute auch ohne diese
Ressource zu Stande gekommen und habe keine Sorge.
Es muss sehr leicht sein in Sardinien neue
Inschriften zu finden, eine - freilich nur im Fragment - lief mir heute in die
Hände, zwei wurden mir auf’s genauste indiciert. Schwierige Inschriften, von
Nissardi abgeschrieben, sind doch eigentlich auch nur indiciert: das sah ich
heute schon. - Von Nissardi, der mich mit schlecht verhehltem rancore kommen
sah, da er - poveretto - seinen Ruhm (sic!)[388] durch mich bedroht glaubte, hoffe ich zu
bekommen, was er hat. Aber er hat nicht viel. Er hat nur wenig Abschriften von
edierten Inschriften: es wird kaum der Rede werth sein. Das Fieber, wenn er es
hat, wird er sich bei seinen Ausgrabungen in Fonni geholt haben. Ich habe mich
ganz freundlich zu ihm zu stellen und ihn wegen seiner Befürchtungen zu
beruhigen gesucht, kann nur nicht verhehlen, dass er mir als ein Typus der in
Italien oft vorkommenden Streber ohne Kenntnisse und ohne idealen Sinn -nur mit
vielen Phrasen erscheint-, der die Verbindung mit deutschen Gelehrten, zumal
mit Ihnen, nur als Leiter für seine Carriere ansieht. Und obgleich er ben
agiato ja vielleicht ricco ist, scheint er doch das Geschäft überall
wahrzunehmen. Dagegen ist Crespi, so wenig ihm die italienischen
Eigenthümlichkeiten fehlen, mir doch als eine noble ehrliche Seele erschienen,
und vor allen Dingen würde er Ihnen mit Freuden jeden Dienst zu leisten und
jedes Opfer zu bringen bereit sein - ohne jeden Gedanken wenigstens an
materiellen Vortheil. - Der com[m]issario regio, Herr Vivanet, überschüttet
mich mit Anerbietungen: für die Conservierung der sardin. Inschriften thut er,
so viel ich sehe, nichts. - Crespi hat die sardinischen Inschriften nur aus
gedruckten Büchern zusammengestellt: in Cagliari, Nora u. einigen and. Punkten
hat er selber copiert. - In einigen Beziehungen sind mir seine Mittheilungen
wichtig als Controlle für die Angaben Nissardis, der zuweilen gewesen zu sein
vorgiebt, wo er nicht gewesen ist. - Was ich Ihnen von dem instrum. schicken
kann, sende ich mit allem Material für Cagliari, Nora, Sulci so bald ich von
Nora zurückkomme - wahrscheinlich ist das erst Sonnabend
[389]früh möglich. - Die Karte von La Marmora
habe ich in Rom gekauft.
Mit aufrichtigster Hochachtung und
Ergebenheit
Johannes Schmidt.
2.
DSB, Nl.
Mommsen, Schmidt, Johannes, Bl. 28/29, zweiter Osterfeiertag.
Hochverehrter Herr
Professor,
gestern Abend und heute früh war ich in San
Sperato, gestern in Iglesias, zurückgekehrt von dem Tempel von Antas und von
St. Antioco, wo ich mehr als 10 - ich glaube 12 - neue Inschriften gefunden habe,
darunter die eine bilingue, von der ich Ihnen schon schrieb, zwei vollständig
erhaltene Grabinschriften und eine lange, neue phönikische. Es ist mir nicht
möglich, Ihnen die c. 25 neuen Inschriften, die ich gefunden habe gleich
mitzuschicken, weil sie in zu verschiedenen Notizbüchern und Scheden verstreut
sind und ich mir hier nicht Zeit nehmen will, da noch zu arbeiten ist. Sie
haben nur das instrum. schleunigst gewünscht - was ich daran habe thun können,
schicke ich Ihnen jetzt.
Im Museum konnte ich nicht mehr thun - die
Verhältnisse und die Zeit litten es nicht. Zurückgekehrt bin ich nach Cagliari
auf wenige Stunden, weil ich Nuragus, wohin ich jetzt gehen muss, doch nicht
mehr erreichen konnte, und weil mir eine Erwerbung (kürzlich!) des Herrn Gouin
von 370 Terracottagegenständen in St. Antioco bekannt geworden, ausserdem[390] eine neue Inschrift aus San Sperato als im
Besitz eines Cagliaritaners befindlich indiciert worden war. Herr Gouin ist auf
seiner miniera, die besagte Sammlung ist nach Paris gewandert. Die Inschrift
von San Sperato existiert nicht, wohl aber Goldsachen u. eine Terracottamaske
von dort. -
Der Fund der bilingue erregt hier Neid; wenn
Ihnen etwas daran liegt, dass sie, weil im deutschen Auftrag gefunden, von
deutscher Seite zuerst publiciert werde, so wollen Sie darüber disponieren.
Sonst wird sie wohl bestimmt von Vivanet an Fiorelli geschickt oder auch hier
veröffentlicht werden. Mir ist es selbstverständlich vollständig gleichgiltig.
Ich schicke Ihnen den besten Abklatsch in carta bagnata und alla secca, ein
Exemplar von beiden behalte ich zurück für alle Fälle. Die Abschrift der
lateinischen Inschrift schrieb[391] ich schon von St. Antioco aus; von der
phönikischen wird der Abklatsch alla secca das treuste Bild geben. Ausserdem
schicke ich einen Abklatsch der meines Wissens neuen, langen, phönikischen
Inschrift mit. - Die bilingue ist im cortile der casa Angius gefunden worden,
wo sie - capovolta - neben der Hausthür steht; eine schöne, große Basis von
Marmor oben Einsatzloch. Die Maße und alle weiteren Notizen kann ich jetzt
nicht geben, weil ich meinen Koffer nicht bei mir habe. Die phönik. findet sich
an der Ecke eines Hauses nicht weit von der piazza. Das Nähere kann ich erst
später geben. Die Basis mit der bilinguen[392] ist so gross, dass sie gewiss nicht
verschleppt worden ist, sondern da, wo man sie fand, war der Tempel. - Von
Iglesias ist mir noch einiges in Aussicht gestellt worden, wozu jetzt nicht zu
gelangen war; ebenso von St. Antioco.
Die settimana santa war natürlich auch manchmal
hinderlich.
Ich hoffe, dass es jetzt rüstig und rasch
weiter gehen soll: ausser S. Lussurgio will ich mir weitere Excursionen auf
Grund neuer Indicationen nicht mehr gestatten.
Mit aufrichtiger Verehrung in Eile
Ihr ergebenster Johannes Schmidt.
Cagliari,
zweiter Osterfeiertag.
3.
DSB, Nl.
Mommsen, Schmidt, Johannes, Bl. 30/31, 18 aprile 1881.
Dienstag d. 18. April
Hochverehrter Herr
Professor,
ich bin immer noch in Cagliari und es
scheint mir, dass mich ein guter Stern zurückgeführt hat: ich habe in Iglesias
auf der etwas forcierten Tour nach Antas oder vielleicht schon in Nora ein
Fieber gefangen, welches gestern zum Ausbruch kam. Das war zunächst wenig
erbaulich, ich habe eine sehr schlechte Nacht gehabt, aber der Arzt sagt, dass
das bald beseitigt sein würde. Ich bin froh, dass ich nicht bereits in Nuragus
oder Assolo bin, wohin ich heute gehen wollte. Ich schreibe, weil ich mich dazu
verpflichtet glaube. Nämlich natürlich fragte man mich hier, ob ich etwas Neues
gefunden hätte: wie konnte ich da sagen nein! Das wäre doch mehr als illegal
gewesen. So musste ich sagen dass ich die bilingue Inschrift und eine neue
phönikische gefunden hatte. Heute kam nun der commissario regio Vivanet zu mir,
elendete mich beinahe eine Stunde, obgleich ich immer kämpfen musste mit
Uebelkeit, und nachdem er erst schöne Theilnahmsphrasen gemacht, kam er dann
mit seinem Anliegen heraus. “Ich bin Còm[m]issario regio, eine solche
Entdeckung darf mir nicht verborgen bleiben; die Direzione generale würde
befremdet sein, wenn sie nicht durch mich davon erführe[”]. So ließ er sich den
lateinischen Text von mir aufschreiben und sagte, dass er es an Fior. schicken
würde, und vorher wird er mich umgehend calchi nehmen lassen. Auch bat er mich
ihm doch - von allem Neuen, was ich fände, Mittheilung zu machen, damit er es
an Fiorelli schicken könne, natürlich mit dem Hinzufügen, dass ich es gefunden
habe. An sich legen Sie ja keinen Werth auf Priorität der Publication
neugefundener Inschriften, und mit Recht, indess ich habe gehört, dass es Ihnen
doch nicht recht gewesen sei, dass Fiorelli Nissardis Funde vorher in den
notizie publiciert hat. So wollte ich wenigstens das Meinige thun, um Sie in
die Lage zu setzen, wenn Sie wollen, der Wiederholung dieses Falls vorzubeugen.
Allerdings habe ich auch Vivanet gesagt, ja, ich wollte ihm Copien schicken,
aber mit dem Beding, dass sie nicht vorweg publiciert werden dürften ohne Ihre
Zustimmung.
So lasse ich jetzt meinen Koffer von der
Bahn holen, und werde sehen, ob es mir möglich ist, noch heute alles zurecht zu
machen und an Sie abzusenden.
Ich habe mir bis jetzt in Ansehung des
sardin. Klimas etwas zu viel zugemuthet: paqei`n pavqo". Sie können überzeugt sein,
dass ich mich in Zukunft mehr in Acht nehmen und bestrebt sein werde, immer nicht
das Nächste sondern die Nothwendigkeit der Beendigung der Aufgabe im Auge zu
behalten.
Ich bin auch im Augenblick im Fieber, kann
darum die Sachen nicht so ordnen und zurechtmachen, wie ich wünschte. Ich
bedauere, dass ich Ihnen diese Arbeit überlassen muss. - Die sardinischen (im
Dialekt) Indicationen waren oft falsch gegeben; was ich thun konnte zur
Berichtigung, habe ich gethan. Es würde gut sein sie von einem Romanisten oder
von Crespi revidieren zu lassen. In sardin. Instrum. wäre auch noch viel zu
thun; die Sammlung Chessa ist jetzt in Sassari: ich copiere sie dort. Crespi
hat den besten Willen, aber diese Dinge kann er nicht copieren.
Nur ein Pacquet von Abklatschen schicke ich nicht
mit, weil sie zu sehr leiden würden. Viele Indicationen habe ich noch in meinem
Buch, auch interessante archeolog. Mittheilungen, aber ich kann sie jetzt nicht
durchsehen. Sie erlauben mir gewiss nach der Heimkehr mir das aus den Papieren
herauszusuchen, was für sie [sic!]
kein Interesse hat.
Sowie ich wieder unterwegs bin, werde ich
mir erlauben, Sie zu benachrichtigen.
Vivanet will die
phönik. Inschriften auch nach Paris schicken für das Corpus phönikischer
Inschriften. Die Doubletten der calchi der phönik. Inschriften erwartet Euting,
dem ich versprechen habe, auf neue phönik. Inschriften zu achten. Es sind nun
schon 4 dabei.- Ein Theil der Abklatsche für Pr. Hübner werde ich noch selbst
mitbringen.
Mit aufrichtiger Hochachtung bin ich
Ihr
ganz ergebenster
Johannes Schmidt
4.
DSB, Nl.
Mommsen, Schmidt, Johannes, Bl. 32/33, 20 aprile 1881
Mittwoch d. 20 April 1881
Hochverehrter Herr
Professor,
nichts freut mich mehr, als Ihnen mittheilen
zu können, dass ich morgen früh nach Nuragus abreisen werde. Ich bin zwar noch
nicht völlig hergestellt, hoffe aber, dass die heute noch zu ergreifenden
Mittel dazu führen werden. So habe ich dann doch nur zwei Tage verloren. Sie
werden sich gewundert haben über die Einfältigkeit, mit der ich die Zumuthungen
des Herrn Vivanet acceptiert habe. Aber ich war zu krank, um einen andern
Gedanken zu haben, als dass ich ihn bald los würde. Ich hätte ihn nicht
annehmen müssen, aber er war in meinem Zimmer, ehe ich mich dessen versah.
Uebrigens hätte ich ihm auf seine insolenten Zumuthungen doch nicht so zu
antworten vermocht, wie es sich gebührte, weil er mir zu viel Freundlichkeiten
oder Dienste erwiesen - vermutlich im Auftrag Fiorellis.
Die Italiener hier, auch Crespi gesteht das
von sich, halten eine scoperta wie die der bilinguen für eine magna gloria und
für beneidenswerth. Sie können überzeugt sein, dass Vivanet binnen wenigen
Tagen calchi davon wie von der anderen phönik. Inschrift sich verschafft haben
und darüber an Fiorelli berichten wird und ich glaube, dass Fiorelli nicht so
viel delicatezza haben wird - nach den Precedentien - sie nicht schleunigst zu
veröffentlichen.
Ich werde jetzt, nachdem ich abgereist bin,
an Vivanet schreiben, dass ich, als er bei mir gewesen, zu krank gewesen sei,
um die Zusage, die ich ihm gemacht, gehörig zu bedenken: die Inschriften, die
ich finde, seien nicht mein, sondern zugleich Ihr Eigenthum; ich bedaure daher,
ihm nicht eher eine Copie schicken zu können, ehe ich nicht Erlaubniss[393] dazu von Ihnen erhalten. Und die werden Sie
mir ja wohl entweder nicht oder so spät geben, dass Herr Vivanet die
Inschriften gedruckt erhalten u. an Fiorelli schicken kann. - Der Mann versteht
gar nichts und so ist er darauf angewiesen, sich auf solche Weise nach oben hin
Gunst zu erwerben. Auch in seinem Amt thut er offenbar nichts: das zu sagen
habe ich ein Recht, nachdem ich gesehen, wie die vor wenigen Jahren vorhandenen
Inschriften, die er zu sichern verpflichtet ist, in Cagliari selbst zu Grunde
gehen, geschweige in den paesi, und wie Herr Gouin ihm die neuen Funde unter
der Nase ausführt.
So bald ich wieder eine Serie neuer
Inschriften zusammen habe, lasse ich sie wieder an Sie abgehen. Es sollte mich
freuen wenn ich es wenigstens auf 50 brächte. Ueber Nissardis Reisen werde ich
Ihnen manches zu erzählen haben: er hat mir gestern Dinge erzählt und will mir
heute die betreffenden Briefe zeigen, aus denen hervorgehen würde, dass auch
Fiorelli Sie nicht mit ingenuità bedient. Crespi sagt,
Fiorelli sei Neapolitaner![394]
Es ist wirklich wohl
etwas dran an dem alten deutschen Glauben von der Falschheit der Welschen[395]. Die Verhältnisse hier zwischen Vivanet -
Crespi - Nissardi sind auch höchst niedlich.
Mit aufrichtiger Verehrung bin ich
Ihr
ganz ergebenster
Johannes Schmidt.
Meine Bemühungen, das Pacquet zu assicurieren,
waren vergeblich, weil die Post nur wirkliche valori zur Assicuration annimmt,
der commesso aber der Assicuranzgesellschaft hier sein Bureau geschlossen hatte
und auf’s Land gegangen war. Die Frucht 14tägiger Arbeit u. so vieler Kosten
nur auf die Sicherheit von 50 Liren zu schicken, trug ich Bedenken, so öffne
ich das [sic!] Pack und schicke nur
die Copien der neuen Inschriften, freilich sehr viel Fragmente, aber doch auch
eine wohl erhaltene.
Ich nehme vorher lucidi der Copien. Die
calchi kann ich nicht alle schicken; es wird sich daraus gewiss noch einiges
ergeben: zu einer vorläufigen Publicationen [sic!] genügen die Copien.
5.
DSB, Nl.
Mommsen, Schmidt, Johannes, Bl. 22/23, s.d. (22-23 aprile 1881)
Hochverehrter Herr
Professor,
es wird Ihnen interessant sein, diese Dinge
kennen zu lernen; auch entlastet es doch Nissardi etwas, der seine Arbeiten für
Sie freilich als Sarde gemacht hat; bequem u. ohne die nöthige Energie, aber
doch vielleicht nicht ohne alle guten Intentionen. Wenigstens wünschte ich nach
meinem Gefühl nicht, dass ihm wegen des geringen Erfolgs seiner Arbeiten u. der
hohen Kosten halber Tadel zuginge. Auch hat er ja sein Fieber in der Tasche.
Dass er das Interesse der amministrazione und mehr noch seiner eigenen Sammlung
zu stark - auf den deutsche Kosten - im Auge gehabt, wird wahr sein; Crespi
behauptet es bestimmt. Im ganzen mag er Nissardi vielleicht etwas zu hart
beurtheilen. Aber Vivanet ist, wie man hier sagt ein “Blondem”[396], ein mongolfiere, der nur Verachtung verdient.
Natürlich hat mir N. alle diese Mittheilungen vertraulich gemacht und in dem
Vertrauen, dass seine Oberen nichts davon erfahren, weil seine Stellung dann
bedroht wäre. Die meist officiellen Schreiben habe ich alle selbst gelesen.
Nissardi möchte sich Ihnen gegenüber etwas entlasten.
Im übrigen werde ich Ihnen mündlich erzählen
was Sie noch zu wissen wünschen.
J.S.
Eben sehe ich noch ein officielles
Schreiben, worin Niss. aufgefordert wird nach Iddini zu gehen, nahe bei
Fordongianus, in Wahrheit sehr weit davon entfernt, um Reste eines Bades
aufzunehmen; ebenso will Viv. ihn noch einmal nach Fonni schicken, eines
anderen Monuments halber, obgleich er dort nichts mehr zu thun hat. Auch soll
er Zeichnungen aufnehmen und Ansichten. Beide Aufträge, sagt N., habe er nicht
befolgt. Auch sagt er - ich habe den Brief vor mir - dass ihm V. einen Termin
steckte, bis zu welchem er zur Disposition des Königl. Commissariat[s] stehen
müsste.
Nissardi wandte sich, nachdem ihm Vivanet
durch eine lettera d’ufficio die Inschriften als Vorgesetzter
abgefordert hatte, an Pigorini, damit der Fiorelli bitte, nichts davon zu
veröffentlichen, weil es Mommsens Eigenthum sei. Darauf erfolgt eine Antwort
von Pigorini, dass Fiorelli ihm etwa so geantwortet habe:
“Al Nissardi potrei scrivere, che stia pur tranquillo, perché
nulla sarà pubblicato di ciò, che egli ha copiato per conto del Mommsen; ma che
da ora innanzi, avendo egli il dovere di servire il Governo che lo tiene a suoi
stipendi, non può assumere obblighi contrarii al suo ufficio, per il quale è
tenuto di dar subito comunicazione di quanto gli sia fatto di trovare.”
Jetzt schrieb Nissardi wieder an Pigorini
und legte ihm den Brief der Direzione generale vor, der ihn zu der Expedition für
Sie autorisiert. - Darauf empfieng er einen lobenden Brief von Fiorelli.
Übrigens war er beauftragt, zugleich
Zeichnungen von allen Monumenten, die er fände, auf der von Ihnen bezahlten
Reise zu nehmen. Auch hatte er den Auftrag Càbuabbis u. Carlo Forte noch für
die italienische Regierung zu bereisen mit dem Zusatz, dass er, falls er die
Expedition für Sie damit begönne, dann beides vereinen könnte u. sollte,
natürlich auf Ihre Kosten.
Mitten auf einer seiner Reisen rief ihn
Vivanet plötzlich durch offiziellen Brief nach Cagliari zurück und zwang ihn zu
Zeitverlust. (angeblich theils wegen der pergamene d’Arborea, theils weil er
nicht socio dell’Istit. geworden). Aber er Niss. schrieb ihm, dass er noch
nicht zurückkehren könnte.
Darauf bekam er die Erlaubniss dazu, auch
den Auftrag sich strict an folgenden [sic!]
Dispositionen zu halten:
1) zu thun was er kann für Sie, aber
zugleich das Interesse seiner amministrazione im Auge zu haben.
2) sein itinerario zu schicken, damit er
Vivanet ihm Auftrag geben könne, zugl. die Geschäfte der amministrazione zu
besorgen.
3) Alle 14 Tage soll er einen Rapport an
Vivanet schicken, über die Arbeit, die er gemacht, u. die Orte, die er besucht
hat.
4) Er soll alle Notizen über antike
Denkmäler sammeln, die das Ufficio archeol. interessieren können.
5) Copien von allen gefundenen, neuen
Inschriften soll er an Vivanet schicken, damit sie im Archiv des Comissariats
deponiert werden.
Officieller Brief.
In einem zweiten officiellen Brief vom 24.
Giugno schärft er noch einmal ein, jene Instructionen zu beobachten und fügt
Folgendes bei:
“Nel distendere poi il rapporto richiestole la prego nuovamente a
volermi indicare in scepiale [sic!]
modo quelle scoperte che ella crede nuove, e ciò per mettermi in grado dopo
averle esaminate, di informarne il Direttore Generale, il quale dev’essere
posto[397] per
mio mezzo a pieno giorno di tutto, prima di qualsivoglia altra persona.”
Auch den offic. Brief vom 30. Oct., der
Niss. nach Cagliari zurück ruft, ein Befehl, den er nicht befolgt hat,[398] habe ich mit eigenen Augen gesehen.
Diese ganze Darstellung besagter Vorgänge
ist aus den mir vorgelegten Briefen geschöpft.
* Con la
collaborazione di Rosanna Mara e Elena
Pittau.
Desidero ringraziare i proff. Manfred G. Schmidt e Volker Weber del Corpus Inscriptionum Latinarum e della
Berlin-Brandenburgische Akademie der Wissenschaften, la Dr. Ursula Winter della
Staatsbibliothek zu Berlin, la dott. Marie-Christine Henning della
Martin-Luther-Universität Halle-Wittenberg, il dott. Thomas Fröhlich, direttore della Biblioteca del Deutsches
Archaeologisches Institut Rom; la dott. Elena Pittau, per le diverse missioni
effettuate a Berlino e per la complessa trascrizione e traduzione delle
lettere; la prof.ssa Paola Ruggeri per i rapporti del Mommsen con Luigi Amedeo
e Piero Tamponi. Ringrazio inoltre Stefania Bagella, Giovanni Cadoni,
Giuseppina Fois, Sotera Fornaro, Giovanni Marginesu, Paolo Melis, Alberto
Moravetti, Giuseppe Piras, Antonello Sanna, Cinzia Vismara, Raimondo Zucca. La
raccolta preliminare delle lettere è di Rosanna Mara (vd. R. Mara, Theodor Mommsen e la storia della Sardegna attraverso i carteggi e le
testimonianze del tempo, tesi di laurea discussa nell'a.a. 1997-98 presso
la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Sassari, Relatori i proff.
Antonello Mattone e Attilio Mastino).
Abbreviazioni: ACC = Archivio Comunale Cagliari; ASC = Archivio
di Stato, Cagliari; ASUSS = Archivio storico dell’Università di Sassari; BAV =
Biblioteca Apostolica Vaticana; BPT = Biblioteca della Provincia, Torino; BRT =
Biblioteca Reale, Torino; BUC = Biblioteca Universitaria, Cagliari; DAI =
Deutsches Archäologisches Institut, Rom; DSB, Nl. Mommsen = Deutsche Staatsbibliothek, Berlin, Nachlass Mommsen; SOPR.SSNU = Archivio storico
della soprintendenza archeologica di Sassari e Nuoro.
[1] Su Alberto della Marmora (1789-1863), vd. R. Bonu, Scrittori sardi nati nel secolo XIX, con notizie storiche e letterarie
dell'epoca, II, Sassari 1961, 223 ss.
[2] Su Heinrich Freiherrn von
Maltzan (1826-1874), autore del Reise auf
der Insel Sardinien, Leipzig 1869, vd. L. Mannoni, Encicl. Ital., XXII, 1949, 52; Neue Deutsche Biographie [= NDB],
15, 1982, 742.
[3] Su Theodor Mommsen (1817-1903), vd. L. Wickert,
Theodor Mommsen: Eine Biographie, I-IV, Frankfurt am Main 1959-1980; St. Rebenich, Theodor Mommsen. Eine Biographie, München 2002.
[4] Su Heinrich Nissen (1839-1912), professore all’Università di
Strasburgo, vd. W. Unte, Nissen, Heinrich, in NDB,
19, 1999, 287 s. Vd. inoltre C.
Brusian, Geschichte der
classischen Philologie in Deutschland, II, München-Leipzig 1883, 907, 963
s., 967, 1136.
[5] Su Johannes Schmidt (1850-1894), vd. Wickert, Theodor Mommsen: Eine Biographie, cit., IV, 163 e nt. 32, 290 s.; Rebenich, Theodor Mommsen, cit.,
160, per il quale lo Schmidt non godeva della stima scientifica del Mommsen. Vd.
anche K. Crist, Römische Geschichte und deutsche
Geschichtwissenschaft, München 1982, 66 ss.; W. Weber, Priester der
Klio. Historisch-sozialwissenschaftliche Studien zu Herkunft und Karriere
deutscher Historicher und zur Geschichte der Geschichtswissenschaft, 1800-1979,
Frankfurt a.M.-Bern-New York 1984, 272 ss.
[6] Su Julius Euting (1839-1913), vd. NDB, 4, 1959,
690. Come è noto l’Euting, «dotto Professore bibliotecario di Tubinga» arrivò
in Sardegna nell’ottobre 1869 «collo scopo di studiare e copiare tutte le
iscrizioni fenicie»: negli ultimi giorni, «passando da Sassari a Porto Torres
per prender imbarco per Marsiglia», poté osservare con dolore una fase della
distruzione dell'acquedotto di Turris Libisonis. Egli poté raccontare allo
Spano le sue impressioni in una lettera successiva forse dei primi mesi del
1870: «quum ex urbe Sassari discederem,
juxta viam viros vidi qui antiquum aquae ductum Romanorum, barbarorum more in
latomiarum modum despoliantes, ferro et igne saxula deprompserunt, non sine
dolore!». Vd. G. Spano, Memoria sopra l’antica cattedrale di Ottana
e scoperte archeologiche fattesi in Sardegna in tutto l’anno 1870, Cagliari
1870, 31 nt. 1: dalle pagine del volume emerge la viva simpatia dello Spano per
«il dotto giovine Bibliotecario di Tubinga» e per la causa prussiana: «se pure
non sarà distratto dai suoi studj impugnando l'arma nel campo dell'atroce
guerra per difendere la patria dall'inqualificabile aggressione gallica».
[8] Vd. G. Spano, Scoperte archeologiche fattesi in Sardegna
in tutto l’anno 1875, Cagliari 1875, 23
ss.
[9] DSB, Nl. Mommsen, I, a. 1866, Heinrich Nissen: Bl. 26/27,
28, 29/30, 31, 33/34, 35/36, 37, 38; a. 1877, Giuseppe Fiorelli: Bl. 15, 16/17,
18, 19, 20; Vincenzo Crespi: Bl. 1/2, 5/6; Carlo Promis: Bl. 31; a. 1881,
Johannes Schmidt: Bl. 19, 20/21, 22/23, 24, 25, 26/27, 28/29, 30/31, 32/33,
34/35, 36, 37, 47/48, 368/369. Vd. anche 38, 41/42, 43, 44, 45, 50, 52, 53/54,
58, 60, 61, 62, 66/67, 68, 70, 71/72, 77/78; a. 1882: Bl. 80/81; a. 1883: Bl.
142.
[10] Lettere a Crespi a. 1877 conservate in originale nel Municipio
di Cagliari (ACC, fondo autografi, busta nr. 2, nr. 454-467), copiate il 22
gennaio 1912, vd. DSB, Nl. Mommsen, II nr. 455, Bl. 1, 2, 3. Vd. anche per l’a.
1881, nr. 455 Bl. 9, 10 r.
[12] Copia di una lettera a Filippo Nissardi a. 1877, in DSB, Nl. Mommsen, II
nr. 456, Bl. 1; a. 1881: nr. 456, Bl. 2, 3 r.
[13] Sui numerosi corrispondenti italiani del Mommsen, vd. gli ultimi
epistolari pubblicati recentemente: ad es. M. Buonocore,
Theodor Mommsen e gli studi sul mondo
antico dalle sue lettere conservate nella biblioteca Apostolica Vaticana
(Pubblicazioni dell'Istituto di Diritto Romano e dei Diritti dell'Oriente
mediterraneo dell'Università di Roma “La Sapienza”, LXXIX), Napoli 2003 (11
corrispondenti, vd. ora A. Mastino,
in Epigraphica LXVI, 2004, in
c.d.s.); S. Rebenich, Giovanni Battista de Rossi und Theodor
Mommsen, in Lebendige Antike. Rezeptionen der Antike
in Politik, Kunst und Wissenschaft der Neuzeit. Kolloquium für Wolfgang Schiering, Mannheim 1995, 173 ss.; A. Cernecca, Theodor Mommsen e Tomaso Luciani. Carteggio inedito (1867-1890), in Atti Centro di
ricerche storiche, Rovigo, XXXII, 2002, 9-130. Vd. inoltre questi Atti del
Convegno sul tema Theodor Mommsen e
l’Italia (Roma 3-4 novembre 2003), “Atti Accademia Nazionale dei Lincei”,
in c.d.s., es. con gli articoli di Luigi Capogrossi su Ettore De Ruggiero, di
Arnaldo Marcone per i collaboratori italiani di Mommsen (tra gli altri Tomaso
Luciani e Giulio Gabrielli), di Antonio Giuliano per il rapporto con gli
archeologi e l’antiquaria italiana, di Marco Buonocore per la redazione di CIL IX. Infine è in preparazione il
volume di Atti del Congresso svoltosi a Berlino tra il 21 ed il 22 Novembre
2003 per i 150 anni del CIL (Archäogie und Epigraphik. Ein Dialog zum
150jährigen Bestehen des Corpus inscriptionum Latinarum), con numerosi
interventi, tra i quali quello di Angela Donati su Bartolomeo Borghesi, maestro
riconosciuto ed amato dal Mommsen, di Marco Buonocore, di Silvio Panciera, di
José Remesal Rodríguez, di Antonio Varone e di Silvia Orlandi. Vd. anche M. Maroni Lumbroso, Lettere di Giacomo Lumbroso a Mommsen, Firenze 1973; C. Ferone, Raffaele Garrucci nella corrispondenza di Th. Mommsen, F. Ritschl, E.
Gerhard, in RendNapoli, 62,
1989-90, 33 ss.; R. Palmieri, Epistolario Mommsen-Iannelli, 1873-1882,
in Il germanesimo culturale negli studi
di antichità del Mezzogiorno d’Italia nel secolo XIX, San Severo 1996; C. Bassi, Lettere inedite di Theodor Mommsen a corrispondenti trentini, in AttiVenezia, 155, 1996-97, 71 ss.
[14] Sul viaggio di Heinrich Nissen nel 1866, vd. DSB, Nl.
Mommsen, I, Nissen, Heinrich, nr.
26/27, 28, 29/30, 31, 33/34, 35/36, 37, 38. Sul viaggio del
1881 di Johannes Schmidt, vedi le lettere del Mommsen a Vincenzo Crespi in ACC,
fondo aut., busta nr. 2, nr. 467; le risposte sono in DSB, Nl. Mommsen, II nr. 455,
Bl. 9.10r. ed a Filippo Nissardi ibid.,
II nr. 456, Bl. 2.3r.
[18] Il concetto ricorre di frequente nelle lettere del Mommsen, come
in una al de Rossi del 1850: «Permetta che le riscriva nell'idioma Italiano che
non vorrei scordare affatto e me ne servo per l'esercizio mio se non pel suo
piacere», vd. ora Buonocore, Theodor Mommsen, cit., 75 nr. 14; vd. ibid., 74 nr. 13 sulla «poca pratica»
dell'italiano e la proposta di corrispondere in futuro nel «nostro idioma un
poco scabroso».
[19] DAI, s. Tamponi, 2/1885 (in realtà un’unica copia recente di una
lettera del Mommsen a Piero Tamponi del 30 (sic)
febbraio 1885.
[21] Su Carlo Baudi Di Vesme (1809-1877), tra l'altro Presidente
della Società Mineraria Monteponi di Iglesias alla quale si deve la costruzione
dell'approdo di Portovesme, vd. L.
Moscati, Carlo Baudi di Vesme e la
storiografia giuridica del suo tempo, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, 80, 1982, 493 ss.; vd.
anche M. Fubini Leuzzi, DBI,
7, 1970, 282 ss. Per l'amicizia col Mommsen (nominato socio straniero
dell'Accademia di Torino fin dal 1861) a partire dall'incontro del 1867 a casa
di Carlo Promis, vd. BUC, Carteggio Spano,
Autografi 48, n. 2418 del 21 novembre 1867; più importante l'incontro di due
anni dopo a casa del conte Sclopis, vd. DSB, Nl. Mommsen, 2 dicembre 1869, cfr. L.
Moscati, Il carteggio Hänel-Baudi
Di Vesme per l'edizione del Codice Teodosiano e del Breviario Alariciano,
Roma 1987, 90 s.
[22] DSB, Nl. Mommsen, 23 lettere del Baudi Di Vesme tra il 26
maggio 1869 ed il 9 agosto 1874, vd.
Moscati, Il carteggio Hänel-Baudi
Di Vesme, cit., 23 e ntt. 10-11.
[24] Su Giuseppe Fiorelli (1823-1896), vd. ora S. De Caro - G. Guzzo (edd.), Giuseppe Fiorelli nel centenario della morte,
Napoli 1999. La conoscenza col Mommsen precede il periodo in cui il Fiorelli aveva
diretto la Soprintendenza agli scavi di Pompei.
[25] Per la produzione di Vincenzo Crespi (morto nel 1892), vd. R. Ciasca, Bibliografia sarda, I, 1931, 508 ss.; per la polemica tra il
discusso direttore del museo di Cagliari Gaetano Cara e l’assistente Crespi,
vd. G. Lilliu, L’archeologo e i falsi bronzetti (I
Griot, 22), Cagliari 1998, 52 e 75 s. nt. 88. Vd. anche F. Floris, Bibliografia
storica della Sardegna, libri articoli, riviste, manoscritti dalle origini alla
fine del XX secolo, I, Cagliari 2001, 200.
[26] F. Loddo-Canepa, Un collaboratore di Teodoro Mommsen: Filippo
Nissardi, in Epigraphica XIII,
1951, 33 ss.
[29] Su Giovanni Spano (1803-1878), vd. Bonu, Scrittori sardi,
II, cit., 306 ss.; A. Mastino, Il “Bullettino Archeologico Sardo” e le
“Scoperte”: Giovanni Spano ed Ettore Pais, in Bullettino Archeologico Sardo - Scoperte Archeologiche, 1855-1884,
ristampa commentata a cura di A. Mastino
e P. Ruggeri, Nuoro 2000, 13-40.
[30] Su Ettore Pais (1856-1939), che si perfezionò a Berlino tra il
1881 ed il 1883 in storia antica «sotto la guida sapiente di Teodoro Mommsen»,
vd. Bonu, Scrittori sardi, II,
cit., 493 ss.; A. Mastino, Ettore Pais e la Sardegna romana, in Aspetti della storiografia di Ettore Pais,
a cura di L. Polverini, Napoli 2002, 249-300; Id.,
Il “Bullettino Archeologico Sardo” e le
“Scoperte”: Giovanni Spano ed Ettore Pais, cit., 36 ss. Vd. anche A. Mastino, P. Ruggeri, Ettore Pais senatore del Regno d'Italia
(1922-39), in Studi in onore di M.
Pittau, Sassari 1994, 119-164. Per i riferimenti al Pais nella
corrispondenza del Mommsen, vd. Buonocore,
Theodor Mommsen, cit., 218 nr. 113;
285 s. nr. 163. Infine, il rilevante ruolo di Ettore Pais per gli aggiornamenti
del CIL è già stato studiato da R.T. Ridley, In Collaboration with Theodor Mommsen: Ettore Pais and the Corpus
Inscriptionum Latinarum, in Klio
LXI, 1979, 497-506. «Alla venerata memoria di Teodoro Mommsen» il Pais avrebbe
dedicato la Storia della colonizzazione
di Roma antica, Roma 1923.
[31] Su Pietro Tamponi (1850-1898),
vd. P. Ruggeri, Presentazione, in P. Tamponi,
Silloge epigrafica Olbiense, Sassari
1895, rist. Milano 1999, III ss.; P. Ruggeri,
G. Kapatsoris, Pietro Tamponi (1850-1898), in Studi Sardi XXXIII, 2000, 99 ss.
[32] Su Luigi Amedeo (1848-1923), vd. P. Ruggeri, Un’opera poco
nota di un allievo di Ettore de Ruggiero. La Sardegna romana e l’antiquaria
dell’Ottocento in Luigi Amedeo, in Dal
mondo antico all’età contemporanea. Studi in onore di Manlio Brigaglia offerti
dal Dipartimento di storia dell’Università di Sassari, Roma 2001, 119 ss.;
per la data di morte, vd. F. Floris,
Bibliografia storica della Sardegna,
cit., 21.
[33] Su Gaetano Cara (1803-1877), vd. G. Lilliu, Un giallo del secolo XIX in Sardegna. Gli
idoli sardo fenici, in Studi Sardi
XXIII, 1973-74, 313 ss.; Id., L’archeologo e i falsi bronzetti, cit.,
27 ss. Per una sintesi sulla biografia, vd. Floris,
Bibliografia storica della Sardegna, cit., 136 s.
[34] Su Gavino Nino (1807-1886) e Salvatorangelo De Castro
(1817-1880), A. Mastino, P. Ruggeri,
I falsi epigrafici romani delle Carte
d'Arborea, in Le Carte d'Arborea.
Falsi e falsari nella Sardegna del XIX secolo, Atti del Convegno “Le Carte d'Arborea” (Oristano, 22-23 marzo 1996),
a cura di L. Marrocu, Cagliari 1997, 219 ss. In particolare sul de Castro, vd. Bonu, Scrittori sardi, II,
cit., 738 ss.
[37] Su Karl Baedeker (morto nel 1859) e sul figlio Friedrich, vd. E. Migliorini, in Encicl. ital. V, 1949, 850.
[45] DSB, Nl.
Mommsen, Schmidt, Johannes, Bl. 34/35, 8 maggio 1881, vd. infra nt. 286. Al Nissen si deve certamente il fac-simile di CIL X 7957 rinvenuta in quei giorni a
Portotorres (Proculus colonus), vedi
G. Spano, Memoria sopra l'antica città di Gurulis Vetus oggi Padria e scoperte
archeologiche fattesi nell'isola in tutto l'anno 1866, Cagliari 1867, 36.
[47] Su Johann Heinrich Wilhelm Henzen
(1816-1887), vd. H.-G. Kolbe, Wilhelm Henzen und das Institut auf dem
Kapitol. Eine Auswahl seiner Briefe an Eduard Gerhard, Mainz 1984. Ancora il 23 maggio 1881 il Mommsen avrebbe scritto al de Rossi:
«se volete le sarde, basta una parola all'Henzen» (Vd. Buonocore, Theodor
Mommsen, cit., 193 nr. 95).
[50] Vd. L. Zurli, Mora
litis: nota per una riedizione della
linea 19 della Tavola di Esterzili (CIL X 7852), in A. Mastino (cur.), La
Tavola di Esterzili, Il conflitto tra pastori e contadini nella Barbaria sarda,
Convegno di studi, Eterzili, 13 giugno 1992, Sassari 1993, 119 ss.
[53] BUC, Carteggio Spano,
autografi 48, nr. 2738, anche in DSB, Nl.
Mommsen, II, nr. 457, Spano, Giovannni, Bl. 2: 13 gennaio 1867.
[55] Concetti analoghi ricorrono ad esempio in una lettera a Giulio Minervini
del 1847, dove impegnava la sua «parola d'onore che nessuna copia della mia dissertazione uscirà prima ch'Ella abbia
pubblicata a grado suo la nuova iscrizione» (in Buonocore,
Theodor Mommsen, cit., 46 nr. 4). Vd.
anche la lettera del 29 gennaio 1863 al de Rossi: «Ella sa, che io non ho mai
fatto caso di esser il primo a pubblicare pezzi importanti» (ibid., 123 nr. 33).
[56] Th. Mommsen, Decret des Proconsuls von Sardinien L.
Helvius Agrippa vom J. 68 n. Chr., in
Hermes II, 1867, 102-127, vd. ora A. Boninu, Per una riedizione della Tavola di Esterzili (CIL X, 7852), in Mastino (cur.), La Tavola di Esterzili, cit.,
63 ss.
[57] G. Spano, Tavola di bronzo trovata in Esterzili
(Sardegna) con appendice di C. Baudi di Vesme, in Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino (estr.), serie
II, 25, 1867 (1871), 3-15. Per l'amicizia tra lo Spano ed il Baudi Di Vesme,
vd. ora Moscati, Il carteggio Hänel-Baudi Di Vesme, cit., 80 e nt. 313.
[58] R. Laboulaye, La tavola di bronzo di Esterzili, in Revue historique de droit français et
étranger, Parigi 1867, 10 ss.
[61] Per la cronologia, vd. ora Boninu, Per una riedizione della Tavola di
Esterzili, cit., 63 ss. e
soprattutto A. Mastino, Tabularium principis e tabularia provinciali nel processo contro i Galillenses della Barbaria sarda, in La Tavola di Esterzili, cit., 99 ss.
[65] BUC, Carteggio Spano,
Autografi 34, cfr. ora Moscati, Il carteggio Hänel-Baudi Di Vesme, cit., 91 s. nt. 374, con le principali
pubblicazioni del Baudi Di Vesme a difesa delle Carte d'Arborea. Sul ruolo del
Baudi Di Vesme, vd. R. Laconi, Le false Carte d'Arborea o del carattere
rivendicativo della storiografia sarda, in La Sardegna di ieri e di oggi. Scritti e discorsi sulla Sardegna
(1945-1967), a cura di U. Cardia, Cagliari 1988, 71.
[66] Vd. A. Mattone, Le Carte d’Arborea nella storiografia
europea dell’Ottocento, in Le Carte
d’Arborea, cit., 25 ss.
[69] A. Dove, De Sardinia insula contentioni inter
pontifices romanos atque imperatores materiam praebente, corsicanae quoque
historiae ratione hadibita, Berlin 1856, con l'appendice, 26-36, De membranis Arboreensibus.
[75] Vd. ibid., 85 s., in
particolare a proposito di DSB, Nl.
Mommsen: 10 agosto 1870, datata da Castelguelfo.
[76] DSB, Nl. Mommsen,
Baudi Di Vesme, 6 febbraio 1870, vd. Moscati,
Il carteggio Hänel-Baudi Di Vesme,
cit., 91 e nt. 369.
[77] CIL I2,364; XI 3078 e
7483 = ILS 3083. La polemica col
Garrucci (che escludeva la contemporaneità dei due testi, anche di fronte al
diverso avviso del Bormann e del Mommsen) è registrata in A. Degrassi, ILLRP I2, 128 s., nr. 192. Sui difficili rapporti tra Mommsen e
Raffaele Garrucci (1812-1885), vd. Wickert, Theodor Mommsen, cit., II, 139 s., 274,
276, 306 ss. e 313 ss.; Ferone, Raffaele Garrucci, cit., 33 ss. Una
bibliografia aggiornata è in Buonocore,
Theodor Mommsen, cit., 14 s. nt. 23 e
49 s. nt. 89. Per una temporanea riconciliazione del Mommsen col Garrucci, ibid., lettera nr. 7.
[82] I frequenti viaggi del Baudi Di Vesme ad Iglesias erano stati
già oggetto di ironia da parte dell'amico Gustav (Friedrich) Hänel, fin dal
1843: cave Sardiniam, ubi noxius aër et
hominum pecudumque lues. Recipe te in patriam teque Musis redde, quae Tibi
laetiores fructus ferrent, quam pestifera illa Sardinia, vd. Moscati, Il carteggio Hänel-Baudi Di Vesme, cit., 275.
[85] Su Rudolph Friedrich Motitz Haupt
(1808-1874), vd. C. Becker, Haupt, Rudolph Friedrich Motitz, in NDB, 8, 1969, 101 s.
[89] M. Haupt, Th. Mommsen,
Bericht über die Handschriften von Arborea, in Monatsbericht der Königlich. Preussischen Akademie der Wissenschaften
zu Berlin, Phil.-Hist. Klasse, Berlin 1870, 64-104; vd. la
traduzione italiana M. Haupt, Th. Mommsen,
Relazione sui Manoscritti d'Arborea,
in Archivio Storico Italiano XII,1,
1870, 243-280 (con la lettera del Baudi Di Vesme al Mommsen, 244 ss. e con l'Allegato A di F. Jaffé, 252-257; l'Allegato
B di A. Tobler, 257-266, l'Allegato C di A. Dove, 267-276 e l'Allegato
D di Th. Mommsen, 276-280).
[94] Probabilmente le Nuove
notizie intorno a Gherardo da Firenze ed Aldobrando da Siena ed osservazioni
intorno alla sincerità delle Carte d'Arborea, in Il propugnatore I, 1869, 1-18.
[97] Osservazioni intorno alla relazione
sulla sincerità dei manoscritti di Arborea, pubblicata negli atti della Reale
Accademia delle Scienze di Berlino, Torino 1870; vd. Anche in Archivio Storico Italiano XIII, 1870,
141-154 e XIV, 1871, 160-171.
[103] Il Ghivizzani in una lettera al Mommsen pubblicata sul
"Corriere" avrebbe addirittura ironizzato, attribuendo il suicidio
alla confutazione dei suoi errori fatta dal paleografo Pillitto: «il poverino
non se n'era accorto, onde finì col disperatamente uccidersi», cfr. G. Ghivizzani, Al prof. Teodoro Mommsen, in De
Castro, Il prof. Mommsen,
cit., 10.
[104] Per l’iscrizione del tempio della Fortuna a Porto Torres (CIL X 7946), vd. Mastino, Ruggeri, I
falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea, cit., 236.
[111] CIL III,1, 1058: «Vesmius meus, qui ectypum vidit partis exterioris solius non optimae
exceptum, haec inde enotavit …»; vd. anche III,2, 1958. Il diploma di Anela è ora in CIL
X 7891 e XVI 9.
[113] Certamente CIL X 770 =
XVI 7 = ILS 1988, del 68 d.C., da
Stabiae, conservato nel Museo Archeologico di Firenze.
[115] CIL X 7539, vd. poi AE 1971, 119 = ELSard. 583 B 13 = AE
1992, 867. Per il monumento, vd. R. Zucca,
Il tempio di Antas (Sardegna
archeologica, Guide e Itinerari, 11), Sassari 1989; vd. ora F.O. Hvidberg-Hansen, Osservazioni su Sardus Pater in Sardegna, in Analecta Romana Instituti Danici 20, 1992, 7-30.
[119] Una lettera del figlio primogenito Alessandro Baudi del 10
novembre 1899 è in DSB, Nl. Mommsen,
in risposta alla richiesta del Mommsen (trasmessa da Carlo Frati) di avere temporaneamente
l'apografo del manoscritto parigino del Codice Teodosiano (Cod. Par. Lat. 9643), vd. Moscati,
Il carteggio Hänel-Baudi Di Vesme,
cit., 23 s.
[122] Buonocore, Theodor Mommsen, cit., 61 nr. 8. Su
Giulio Minervini (1819-1891), vd. L.A.
Scatozza Höricht, Giulio Minervini,
in La cultura classica a Napoli
nell'Ottocento (Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia Classica
dell'Università degli studi di Napoli, 1), Napoli 1987, 847 ss.
[123] Buonocore, Theodor Mommsen, cit., 154 nt. 68, s.d.
(ma da riferire al 1877, per le notizie sulla prossima uscita di CIL V).
[127] Per la Grotta della Vipera, vd. CIL X 7563-7578 = IG XIV
607 = Kaibel 547 = CLE 1551 = R. Zucca, Il complesso epigrafico
rupestre della “Grotta delle Vipere”, in Rupes loquentes. Atti del Convegno internazionale di studio sulle
"Iscrizioni rupestri di età romana in Italia", Roma-Bomarzo
13-15.X.1989, a cura di L. Gasperini, Roma 1992, 503 ss., cfr. ora bibliografia in P. Cugusi, Carmina Latina Epigraphica provinciae Sardiniae (Testi e manuali
per l’insegnamento universitario del latino, 74), Bologna 2003, 105 ss. nr.
6.
[128] Vd. H. Wagner, Theodor Mommsen und Sizilien, in Studi in onore di Cesare Sanfilippo, I,
Milano 1982, 691 ss.
[130] Vd. Th. Mommsen, Viaggio in Italia 1844-45, introduz.,
traduz. e note di A. Verrecchia, Torino 1980.
[132] L'Avvenire di Sardegna.
Giornale politico internazionale organo della colonia italiana nella Tunisia,
anno VII, n. 245, 15 ottobre 1877, 2.
[134] L'Avvenire di Sardegna.
Giornale politico internazionale organo della colonia italiana nella Tunisia,
anno VII, n. 247, 17 ottobre 1877, 3.
[135] Posta d’oltretomba
(Lettera della magnifica donna Eleonora d’Arborea all’avvenente prof. Filippo
Vivanet), in L'Avvenire di Sardegna.
Giornale politico internazionale organo della colonia italiana nella Tunisia,
anno VII, n. 9, 21 ottobre 1877, 1.
[139] Vd. ora S. Cisci, Il culto dei martiri sardi in Sardegna in
età tardoantica e altomedioevale attraverso le testimonianze storiche ed
archeologiche, in Rivista di
Archeologia Cristiana 77, 2001, 371 ss.
[140] La bibliografia in proposito è ormai estremamente ampia: vd. ora
P. Ruggeri, D. Sanna, Mommsen e le iscrizioni latine della Sardegna: per una rivalutazione
delle falsae con tema africano,
in Sacer III, 3, 1996, 75-104; EAED., L'epigrafia paleocristiana della Sardegna: Theodor Mommsen e la
condanna delle "falsae", in Atti
Convegno «La Sardegna paleocristiana tra Eusebio e Gregorio Magno»,
Cagliari 10-12 ottobre 1996, Cagliari 1999, 405 ss. Sull'ipercriticismo di
Mommsen, vd. già E. Pais, Le infiltrazioni delle falsificazioni delle
così dette «Carte di Arborea» nella storia della Sardegna, in Storia della Sardegna e della Corsica
durante il dominio romano, Roma 1923, 670 (a proposito di CIL X 7930, Cuglieri).
[141] S. Esquirro,
Sanctuario de Caller y verdadera historia
de la invençión de lo cuerpos santos hallados en la dicha ciudad y su
arzobispado, Parte primera, Cagliari 1624.
[143] F.
Carmona, Alabanças
de lo santos de Sardeña por el doctor Iuan Francis Caromona sardo calaritano, compuestas
y ofresidas a honrra y gloria de Dios y de sus santos, año 1631.
[144] Vd. Buonocore, Theodor Mommsen, cit., 155 nr. 69, senza
data; vd. anche M. Ceresa, La Sardegna nei manoscritti della Biblioteca
Apostolica Vaticana, Cagliari [1990], 131 nr. X.
[145] Vd. D. Salvi, G. Stefani,
Riscoperta di alcune iscrizioni rinvenute
a Cagliari nel Seicento, in Epigraphica
50, 1988, 244-251: AE 1988, 629 a = CIL X 1218* (Furiosus), 629 b = CIL X
1106* (Agate), 630 = CIL X 1243* ([I]enatus), 631 = CIL X
1250*-1251* (Iohan[---]), 632 = CIL X 1313* ([---]), 633 = CIL X 1340*
(Pompeianus); vd. anche (a S.
Restituta) AE 1990, 445 = CIL X 1185* (Euguenius) e (nel palazzo arcivescovile) CIL X 1413*, cfr. Salvi,
Stefani, Riscoperta di alcune
iscrizioni, cit., 252 ss. Si aggiungano
i casi di Inbenia a Cuglieri (CIL X 1248* = AE 1991, 910, cfr. 1993, 851) e di Aurelia Florentia ad Olbia (CIL
X 1125* = AE 1990, 456). Per CIL X 1457* (pavimento musivo di Porto
Torres con quattro episcopi citati),
vd. S. Angiolillo, Mosaici antichi in Italia. Sardinia,
Roma 1981, 195. La bibliografia sull'argomento è ormai imponente: per tutti vd.
H. Solin, Ligoriana und Verwandtes. Zur Problematik
epigraphischer Fälschungen, in R.
Günther, St. Rebenich (cur.), E
fontibus aurire. Beiträge zur römischen Geschichte und zu ihren
Hilfsenwissenschaften (Studien zur Geschichte und Kultur des Altertums, 1. Monographien, 8), Padeborn-München-Wien-Zürich 1994, 336 e A. Mastino, La Sardegna cristiana in età tardo-antica, in La Sardegna paleocristiana tra Eusebio e Gregorio Magno, Atti del
Convegno nazionale Cagliari 10-13 ottobre 1996, a cura di A. Mastino, G. Sotgiu, N. Spaccapelo, Pontificia Facoltà
Teologica della Sardegna, Studi e ricerche di cultura religiosa, Nuova Serie, I, Cagliari 1999, 263 ss.
[146] Problematico esprimersi sull’autenticità delle iscrizioni
trasferite da Cagliari in Catalogna a Vilassar de Dalt nel corso del 1623,
nell’ultimo anno dell’episcopato di F. D’Esquivel: in proposito un contributo
molto innovativo è quello di M. Mayer,
Iscrizioni falsae tra Sardegna e Spagna, presentato al XIV Convegno de “L’Africa Romana” (Sassari dicembre 2000)
(non inserito negli Atti), che ha raccolto le immagini fotografiche di una
serie di epigrafi cagliaritane oggi perdute, vd. AA.VV., Vilassar y els Sants martirs, Vilassar de Dalt 1991, ed in
particolare gli articoli di A. Fàbrega i
Grau, Els sants màrtirs de
Vilassar de Dalt, 19 ss., con fotografia a p. 29 dell’autentica delle
reliquie tra gli altri di Marcellinus
(CIL X 1300*), Ioachim (CIL X 1249*), Subenia (CIL X 1391*), Illarionis puer
(CIL X 1247*), Emerenciana (CIL X
1178*), Ian(n)acis 1237, Ignes e Lucre[t]ia (CIL X 1247*),
oltre agli altri martiri - di cui conosciamo l’epigrafe marmorea più o meno
autentica - citati più avanti; P. Català
i Roca, F. Manunta, Relíquies
sardes venerades a Catalunya, 37 ss.; J.
Pons i Godàs, Els sants màrtirs i
el seu viatge, 57 ss. Per le fotografie delle iscrizioni trasferite a
Vilassar o forse addirittura incise a Cagliari in età spagnola unificando più
testi singoli, vd. X. Vilà Planas, La festa dels sants màrtirs, ibid., 154 (Iesmundus, Victoria e Floris,
CIL X 1244*), 155 (Timotheus, CIL X 1401*e, sulla stessa lastra, Erculianus, CIL X 1182* e
Agneta, CIL X 1108*).
[149] L'Avvenire di Sardegna.
Giornale politico internazionale organo della colonia italiana nella Tunisia,
anno VII, n. 251, 22 ottobre 1877, 3.
[150] L'Avvenire di Sardegna. Giornale
politico internazionale, organo della colonia italiana nella Tunisia, VII,
n. 253, 24 ottobre 1877, 2.
[151] Vd. G. Cara, Considerazioni sopra una fra le opinioni
emesse intorno all’origine ed all’uso dei nuraghi in Sardegna, Cagliari
1876.
[152] A. Cara, Questioni archeologiche, Lettera al can.
Giovanni Spano, Cagliari 1877. Vd. Bonu,
Scrittori sardi, II, cit., 325 nt.
29. Su Alberto Cara, vd. Floris, Bibliografia storica della Sardegna,
cit., 136.
[153] L'Avvenire di Sardegna. Giornale
politico internazionale, organo della colonia italiana nella Tunisia, VII,
n. 261, 22 ottobre 1877, 3.
[154] Cronaca di città, in La Stella di Sardegna III, 43 del 28
ottobre 1877, 204: «si rinchiuse nella nostra università per copiare alcune
iscrizioni e per esaminare alcuni manoscritti». Vd. anche vd. E. Costa, Sassari, a cura di E. Cadoni, Sassari 1992, 616 s.; G. Murtas, Salvator Angelo De Castro, Oristano 1987, 76.
[157] IG XIV, 611 = AE 1992, 900, cfr. ora G. Marginesu, Le iscrizioni greche della Sardegna: iscrizioni lapidarie e bronzee,
in L’Africa Romana, XIV, Sassari 2000, Roma 2002, 1819 ss.
[159] Lo Sclavo (che vediamo impegnato a Sassari con l’Amedeo in
occasione della visita di Wolfgang Helbig del maggio 1875, cfr. Spano, Scoperte 1875, cit., 23
ss. e Mastino, Il “Bullettino Archeologico Sardo” e le
“Scoperte”, cit., 29) risulta designato Direttore in una lettera del
Direttore Generale Fiorelli al Rettore dell’Università di Sassari n. 3958 del
29 dicembre 1877 (in risposta ad una richiesta del 21 novembre), dunque di poco
successiva alla visita del Mommsen: già il Fiorelli aveva però sollevato il
problema dell’incompatibilità, dal momento che lo Sclavo risultava
contemporaneamente proprietario di una collezione privata (sullo stesso
argomento cfr. le lettere del Fiorelli nr. 9365 del 31 dicembre 1877, 1514 del
6 aprile 1878 e 6709 del 29 giugno). La nomina del Pais avvenne con decreto del
15 novembre 1878, come da nota 11573 del 3 dicembre 1878 indirizzata dal
Fiorelli al Rettore dell’Università; vd. anche la nota 11773 dell’11 dicembre
(ASUSS).
[160] Gli oggetti di antichità dovevano essere offerti dai cittadini
«a beneficio degli studiosi e per decoro della città» e dovevano essere
«esposti permanentemente in un museo annesso alla Regia Università di Sassari,
insieme con quelli esistenti nell’università stessa» ed a quelli che sarebbero
stati rinvenuti nei futuri scavi, vd.
Regio decreto che istituisce un Museo di Antichità nella Regia Università di
Sassari, n. 4413, 26 maggio 1878. Per il precedente Gabinetto Archeologico
(documentato dal 1835), vd. R. Pintus,
Ancora sulla storia dell’Università di
Sassari, in Sacer 2, 1995, 27 ss.
Vd. ora anche Fois, Storia dell’Università di Sassari, cit.,
75.
[161] Vd. il biglietto di invito per l’inaugurazione inviato in data
16 novembre 1880 da Ettore Pais «incaricato della Direzione», con l’annuncio di
un discorso introduttivo di Filippo Vivanet, facente funzioni di Regio
Commissario dei Musei e Scavi di antichità nell’Isola, cfr. A. Antona, V. Canalis, Passato e presente: storia del museo, in
AA.VV., Il museo Sanna in Sassari,
Sassari 1986, 13. Un’eco del successo della manifestazione è nella nota di
ringraziamento inviata dal Fiorelli al Rettore dell’Università di Sassari in
data 10 dicembre 1880 n. 9793 (ASUSS). Per l’edificio, vd. M. Porcu Gaias, Il palazzo dell’Università di Sassari e l’espansione edilizia
novecentesca, in AA.VV., Per una
storia dell’Università di Sassari, a cura di G. Fois e A. Mattone, in Annali di storia delle università italiane
6, 2002, 159 ss.
[162] CIL X 7951. In realtà il testo è riportato
nella Vida y Milagro de San Gavino, San
Proto y San Januario, patrones turritanos en que se da una breve noticia de los
santos que han florecido en el reyno de Sardeña. Dedicada a la Santa Iglesia del mismo
Reyno, scritta nel 1699 dal padre Simon Sotgio,
vd. ora P. Ruggeri, Tabular(ius) pertic(ae) Turr(is) et
Tarrh[o]s, in Atti Convegno Borghesi
su “I confini dell’epigrafia”, Bertinoro ottobre 2003, in c.d.s. («il
Mommsen non vide il manoscritto originale, ma si limitò semplicemente a registrare
la edizione di Giovanni Spano per il primo volume del Bullettino Archeologico Sardo del 1855, evidentemente convinto
dell’autenticità del ritrovamento»).
[164] Su Enrico Costa (1841-1909) vd. Bonu, Scrittori sardi, II, cit., 764 ss.; R. Pintus,
I distinti sassaresi, Sassari 2001,
167 ss.
[165] Vedi Costa, Sassari, cit., 616 s.: «Il 24 Ottobre
arrivava a Sassari l'illustre scienziato tedesco Teodoro Mommsen. Il 26 gli fu
offerto un pranzo dal direttore e redattori della Stella di Sardegna, Enrico
Costa, Salv. Angelo De Castro, Luigi Amedeo, Francesco Salis, Costantino
Casella, Salvatore Sechi Dettori, nonché l'Amministratore Sormani. Vi furono
molti brindisi. La dimane ripartì per Roma, donde scrisse ai redattori dello
stesso giornale una bella lettera in latino». Vd. anche Murtas, Salvator
Angelo De Castro, cit., 76. Per l’elenco dei presenti, vd. anche Solenne ricordanza, in La Stella di Sardegna III, 47, 4
novembre 1877, 221.
[166] Così A. Mattone, La città di Sassari e la sua Università, un
rapporto speculare, in AA.VV., Per
una storia dell’Università di Sassari, cit., 39.
[167] L’avvenire di Sardegna,
Giornale politico internazionale organo
della colonia italiana nella Tunisia, VII, nr. 260, I novembre 1877, 3.
[168] Su Giuseppe Manno (1786-1867), vd. Bonu, Scrittori sardi, II, cit., 195 ss.; A. Mastino, La Sardegna
dalle origini all'età vandalica nell'opera di Giuseppe Manno, in Atti Convegno Alghero
ottobre 2003, in c.d.s.
[169] S. Sechi-Dettori, A Teodoro Mommsen, in La Stella di Sardegna III, 43, 28
ottobre 1877, 207 s.
[171] «Ad
Theodorum Mommsenium. Desertis longum Sardois, inclite, terris / qui adveneris
valeas Sardus en ipse precor. / Tu veteris monumenta aevi obvoluta tenebris /
fac pateant turbae quae in sacra quaeque furit./ Promerito interea laudes persolvet
amica / insula ab adventu facta superba tui; / grataque Sardiniae Saceris non
ultima tellus / hunc referet faustum non oblitura diem. / Exprimet atque omen:
tardum quod vivat in aevum / Germanici Mommsen gloria docta soli», cfr. La Stella di
Sardegna III, 44, del 4 novembre 1877, 222, con la versione italiana: «O
famoso vegliardo, che vieni / alle sponde ignorate d'Ichnusa, / un saluto ti
volge la musa / che ragiona d'un sardo nel cor. / Tu ridesta degli anni che
furo, / dei miei padri le sante memorie, / alla turba ne svela le glorie / che
c'irride nel nostro dolor. / E, qual può, darà lode frattanto / al tuo nome, o
gentil, questa terra / che, fra l'ire d'gnobile guerra, / orgogliosa oggi è
fatta per te. / Né la donna del mio Logudoro / fia che taccia del dì fortunato
/ che ammirarti così le fu dato… / No, che ingrata cotanto non è. / Anzi lieto
l'augùro già scrive / d'Alemagna per l'inclito figlio / perché il servi
veggente Consiglio / a più tarda, lunghissima età. / Oh! Che il cor non illuda
la speme / che s'inspira ad eletto pensiero / ci hanno tolta ogni cosa - ma al
vero / Sardo core mentire non sa».
[172] «Poesia sarda. A Diadoru
Mommsen. O Mommsen, iscurt'a mie, / mancari ch'in facci'a tie / minore meda eo
sia. / Da-e tottu'ismentigada / fina da nois matessi, / sempre Sardign'est
istada. / Ma tue com'assunessi / faghe su giustu, per Deu! / Tòrral'a su logu
meu / sa fama chi l'han furadu, e des esser fentomadu / cant'est manna sa
Sardigna. / Has bidu? istella maligna / lughed subr'ë ips'ebbia: / tue sa
fam'iscroccada / torr'a sa patria mia. / Ma si che àtteros ses / chi non che
agatan che feras / e a sas proas non
cres; / in chent'e milli maneras / t'accuset sa cussienzia, / e i sa matessi
scientia / sempr'inimiga ti siat. / Ma no chi giustu ses tue; / ducas a
Sardigna mia / s'onore li restitue. / intende, Mommsen, a mie, / mancari ch'in
facci'a tie / cant'e nudda deo sia. / No nos giuttas ingannia, / E-i sa fama
orvidada / accans'a s'isula mia!». Su La
Stella di Sardegna III, 44, del 4 novembre, 223 si pubblicava anche la
versione italiana: «A Teodoro Mommsen. Ascoltami, o Mommsen, sebbene io di
fronte a te sia molto piccolo. / Da tutti, anche da noi stessi, fu sempre
dimenticata la Sardegna. / Ma ora, tu almeno sii giusto, per Iddio! Restituisci
al mio luogo la fama che gli fu rapita, e sarai ricordato per tutta la Sardegna
quant'essa è grande. / Hai veduto? maligno astro luce soltanto sopra di lei:
restituisci tu alla patria mia la scroccata fama. / Se però tu pur sei come
altri i quali qui non trovano che fiere,
e non credi alle prove; / la coscienza in cento e mille modi ti accusi, e la
stessa scienza ti sia nemica, sempre. / Ma no, che giusto sei tu; e perciò
restituisci alla mia Sardegna l'onore. / Odimi, o Mommsen, quantunque di fronte
a te io sia presso che nulla. / Non ci portare inganno e concedi tu la fama
dimenticata all'isola mia».
[173] Solenne ricordanza, in
La Stella di Sardegna III, 44, del 4
novembre 1877, 222, vd. Costa, Sassari, cit., 616 s. e Murtas, Salvator Angelo De Castro, cit., 76.
[175] Non "Liguria", come in Solenne ricordanza, in La
Stella di Sardegna III, nr. 44, del 4 novembre 1877, 222.
[176] CIL X 7587 = ILS 1402, vd. F. Porrà, Le terme Rufiane: una possibile identificazione nella Cagliari romana,
in Cultus splendore. Studi in onore di
Giovanna Sotgiu, a cura di A.M. Corda, Cagliari 2003, 1 ss. (estr.).
[179] La Stella di Sardegna III,
nr. 46, del 18 novembre 1877, 229. Il brano non è completamente originale: vd.
ad esempio «il giorno quod mihi supremum
tempus in urbe fuit» della lettera al de Rossi del 26 marzo 1875, in Buonocore, Theodor Mommsen, cit., 138 nr. 49.
[181] Testo in Loddo-Canepa,
Un collaboratore di Teodoro Mommsen,
cit., 43 s., Roma, I novembre 1877.
[184] Sul licenziamento del Crespi avvenuto qualche anno prima della visita
del Mommsen, nel 1874, come riportato dai giornali L’Avvenire di Sardegna e Il
Corriere di Sardegna del 2 maggio 1874, vd. il polemico intervento di G. Cara, Rettifica di alcune chiacchiere contenute nei giornali di Cagliari
L’avvenire di Sardegna ed Il Corriere di Sardegna, Cagliari 20 maggio 1874,
che attribuiva il licenziamento alle continue assenze del Crespi ed alla
denuncia di falsità per i bronzetti fenici acquistati dal Cara per conto del
Museo di Cagliari (vd. V. Crespi, Notizie sul Museo di antichità della Regia
Università di Cagliari, Cagliari 1872 ss.). Vd. anche il giudizio del
figlio Alberto Cara, pubblicato alla vigilia della morte del padre: Alcune osservazioni di Alberto Cara
sull’opera incompiuta “Il Museo di antichità di Cagliari” illustrato e
descritto dal Signor Vincenzo Crespi, I-II, Cagliari 1876.
[190] Mommsen e le Carte
d'Arborea, con allegata la Lettera di
Teodoro Mommsen all'Avvenire di Sardegna, in La Stella di Sardegna III, 47, 25 novembre 1877, 253 ss.
[191] Mommsen, Lettera di Teodoro Mommsen, cit., 253 ss., anche in De Castro, Il prof. Mommsen, cit., 13.
[192] Vd. Mommsen, Lettera di Teodoro Mommsen all'Avvenire di
Sardegna, in La Stella di Sardegna III,
47, 25 novembre 1877, 253 ss., anche Id.,
Al Signor Direttore dell’Avvenire di
Sardegna, in De-Castro, Il prof. Mommsen, cit., 14 s.
[194] S.A. De Castro, Lettera di S.A. De-Castro alla Stella di
Sardegna, in La Stella di Sardegna III,
47, 25 novembre 1877, 255 ss., anche in De-Castro,
Il prof. Mommsen, cit., 16 ss.
[195] S. Sechi-Dettori, Le Pergamente d’Arborea, all’illustre Cav.
S. Angelo De-Castro, in La Stella di
Sardegna III, 47, 25 novembre 1877, 315, anche in De-Castro, Il prof.
Mommsen, cit., 22 s.
[197] S.A. De Castro, Le Carte d’Arborea, al chiarissimo Signor S.
Sechi-Dettori, in La Stella di
Sardegna IV, 1, 6 gennaio 1878, 1 ss., anche in De Castro, Il prof.
Mommsen, cit., 24 ss.
[199] L. Amedeo, le Carte d’Arborea, Al Signor direttore
della Stella di Sardegna, in La
Stella di Sardegna IV, 4, 27 gennaio 1878, 37 ss., anche in De-Castro, Il prof. Mommsen, cit., 28 ss.
[200] CIL XI 6009, vd. Iscrizioni di Sentino, da lettera del sig.
conte B. Borghesi a G. Henzen, in Bullettino dell'Instituto di corrispondenza
archeologica per l'anno 1856, 1857, 141 s. nr. 3; cfr. ora Mastino, Ruggeri, I falsi epigrafici romani delle Carte d'Arborea, cit., 243 s.
[201] S.A. De-Castro, Le Carte d’Arborea. Risposta al prof. Luigi
Amedeo, in La Stella di Sardegna
IV, 6, 10 febbraio 1878, 67 ss., anche in De-Castro,
Il prof. Mommsen, cit., 34 ss.
[202] E. Pais, Nota a proposito delle Carte di Arborea,
in P. Tamponi, Silloge epigrafica Olbiense, cit., 103.
[203] Sul quale vd. Bonu,
Scrittori sardi, II, cit., 737-742.
Del resto, lo stesso De Castro non si nascondeva di essere lui stesso il
bersaglio principale, in quanto esplicitamente accusato di essere uno dei
falsari, che il Mommsen avrebbe voluto condannare nella decima bolgia dantesca:
vd. De-Castro, Il prof. Mommsen, cit., 4; ibid., 17 e 35; vd. anche la lettera del
1871 al De Gubernatis: «appartenendo anch'io alla congrega dei furfanti che ...
falsificarono le Carte d'Arborea» (Murtas,
Salvator Angelo De Castro, cit.,
211).
[204] Così già F. Loddo Canepa,
Dizionario archivistico della Sardegna,
in Archivio Storico Sardo XVII, 1929,
336, s.v. Carte d'Arborea. Di un
certo interesse la difesa dell'Ulargiu contro il Falchi ed il Garzia sulle
colonne de L'Unione Sarda, a. 1927, nr. 217, appunto a proposito
dell'episodio della confessione di uno dei due colpevoli di fronte al sacerdote
prof. Antioco Polla. Vd. ora Mastino,
Ruggeri, I falsi epigrafici romani
delle Carte d'Arborea, cit., 258 ss.
[205] Sulla questione vd. ora Mastino,
Ruggeri, I falsi epigrafici romani
delle Carte d'Arborea, cit., 267 nr. 2 (a proposito di CIL X 1476*).
[206] I. Pillito, Lettera del Cav. Ignazio Pillito al Cav.
S.A. de-Castro, in De Castro, Il prof. Mommsen, cit., 55 ss.
[207] Su Battista Mocci, vd. A. Mastino,
Uno studioso sardo dimenticato. Antonio
Mocci (1866-1923), in Studi Sardi
XXIII, 1974, 3 ss., a proposito dello zio Battista.
[208] CIL X 7917, vd. ora D.
Fishwick, Un sacerdotalis provinciae Sardiniae à Cornus (Sardaigne), in CRAI,
1997, 449 ss.
[216] V. Crespi, De Atiliae Pomptillae monumento calaritano,
in EE IV, Berlino 1880 [1881],
484-491.
[226] SOPR.SSNU, nota n. 5862 del 3 agosto 1880. Ringrazio la dott.ssa
Stefania Bagella per la segnalazione.
[227] Per l’acquisto della collezione Sclavo, vd. SOPR.SSNU, cartella
11, fascicolo 6, sottofascicolo 3.
[228] SOPR.SSNU, nota n. 140 del 12 agosto 1880, con una nota di
ricevuta del Fiorelli n. 7465 del 16 agosto 1880.
[229] Vd. Antona, Canalis,
Passato e presente: storia del museo,
cit., 15; vd. anche Ruggeri, Luigi Amedeo, cit., 145 ss.
[237] Vd. la relazione del Nissardi (mai citato) in G. Fiorelli, Fonni, in Notizie degli scavi,
1879, 350 ss.
[240] V. Crespi, Catalogo illustrato della raccolta di
antichità sarde del sig. Raimondo Chessa, Cagliari 1868.
[241] G. Spano, Iscrizioni figulinarie sarde raccolte e
illustrate, in Rivista Sarda,
1875, II, 264-324.
[248] ACC: s.d. (12 ottobre 1880?). Per l’iscrizione, vd. G. Spano, Iscrizioni latine, in BAS
VII, 1861, 157 = CIL X 7717.
[250] Rispettivamente CIL X
7884-7885 e 7888, vd. ora P. Ruggeri,
Austis: l’epitafio di Cn(aeus)
Coruncanius Faustinus, in Nuovo
Bullettino archeologico sardo IV, 1987-92, 166 nrr. 1, 2, 5, con
bibliografia precedente.
[261] Casa editrice musicale, fondata nel 1719 a Lipsia e tuttora esistente
a Wiesbaden: i due editori ebbero un ruolo importante durante gli anni del
Mommsen a Lipsia, vd. Rebenich, Theodor Mommsen, cit., 57-63.
[264] CIL X 7587 = ILS 1402 (nella lettera nr. 1 in Appendice erroneamente è indicato
il numero 7577), vd. Porrà, Le terme Rufiane, cit., 1 ss. (estr.).
[267] CIL X 7513 = CIS I 149 = ICO, Sard. Neo 5. Il Mommsen avrebbe segnalato il ruolo dello
Schmidt in modo chiaro: repperit et
descripsit ectypumque fecit Ioh. Schmidt. La prima notizia è in G. Fiorelli, S. Antioco, in Notizie degli
Scavi, 1881, 146 ss. (con la relazione del Vivanet, che precisa di aver
dato lui personalmente disposizioni al Sindaco di Sant’Antioco ed all’ingegnere
minerario Luigi Romby affinché indicassero allo Schmidt tutte le iscrizioni
presenti sul territorio).
[269] ICO Sard. Neo 6; la
prima edizione fu di J. Euting, vd. G.
Fiorelli, S. Antioco, in Notizie degli scavi, 1882, 302-305 (dove
è espressamente richiamato il ruolo dello Schmidt); vd. CIS I 152.
[270] Su Léon Gouin (1829-1888), vd. la sua Notice sur les mines de l’ile de Sardaigne
pour l’explication de la collection des Minerais envoyés à l’Exposition
Universelle de Paris pour 1867, Cagliari s.d. (ma 1868). Per una sintesi della biografia, vd. Floris, Bibliografia
storica della Sardegna, cit.,
304.
[272] Vd. Crespi, Catalogo illustrato della raccolta di
antichità sarde del sig. Raimondo Chessa, cit.
[277] Da questo momento i rapporti tra Mommsen e Nissardi dovettero
migliorare, come testimonia la corrispondenza successiva, ad esempio la lettera
inedita del Nissardi datata da Cagliari al 27 settembre 1882, che documenta una
cordialità rinnovata (DSB, Nl. Mommsen,
II, nr. 456, Nissardi, Filippo, nr. 3, 27 settembre 1882). Lo Henzen aveva
accolto un articolo del Nissardi corretto dal Mommsen ed i due potevano
discutere del testo del diploma di Caracalla dal nuraghe Dronnoro di Fonni («qui
le unisco i facsimili con le correzioni introdotte, verifichi se ho fatto bene
e mi risponda. Inoltre le voglio anche unire alcuni degli scarabocchi che ho
fatto. Ella chiuda un occhio agli errori che in essi avrò commesso e badi solo
a quel che ho sottolineato in bleu»), pubblicato negli additamenta di CIL X (al numero 8325), con la precisazione: et ectypum photographice exceptum misit Nissardius et aeris
delineationem optime factam. Una prima notizia è in G. Fiorelli, Fonni,
in Notizie degli scavi, 1882, 440 ss.
[278] Vd. A. Boninu, R. Zucca,
Ultimi studi su Bosa in età romana, in Annali
Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Cagliari XIII-L, 1992-94, 59
ss.; A. Mastino, Presentazione, in L'Archivio Storico del Comune di Bosa, Sezione I, Antico regime,
Inventario, a cura della Cooperativa “La Memoria Storica”, Cagliari 1995, 9
ss.
[279] ASUSS, nota n. 3144-314 del 4 aprile 1881: Filippo Vivanet
scriveva su carta intestata del R. Commissariato dei Musei e scavi di antichità
in Sardegna al Dottore Ettore Pais Incaricato della Direzione del R. Museo
antiquario di Sassari: «Esibitore della presente è il Dottore Giovanni Schmidt,
Privatodocente nella Università di Halle, il quale si è recato in Sardegna per
incarico del Chiariss.mo Mommsen onde compiere un ultimo lavoro di revisione
alle epigrafi romane, esistenti nell’Isola e che debbono far parte dell’opera
ponderosa del Corpus inscriptionum
latinarum. La S.V. avrà cura pertanto di prestare, in tutto che può
dipendere da Lei al predetto Signore, la maggior cooperazione possibile,
affinché egli possa portare a termine l’onorevole missione affidatagli
nell’interesse della civiltà e del sapere. Sicuro di farle con ciò anche cosa
sommamente gradevole, ponendola in relazione con una persona non meno dotta che
benevolente verso il nostro paese».
[281] CIL X,2, 829 = Th. Mommsen, Olbia (Terranova), in
Tamponi, Silloge epigrafica Olbiense, cit., 11 s. Un rapporto epistolare diretto
tra il Tamponi ed il Mommsen è comunque documentato per l’anno 1885 presso
l’Archivio del Deutsches Archaeologisches Institut Rom, a proposito delle
iscrizioni di Terranova all’indomani dell’uscita del CIL X.
[282] Su Heinrich Kiepert (1818-1899), vd. in Encicl. Ital., XX, 1949, 193; Deutsche Biographishe Enzyklopädie [= DBE], 5, 1997, 532.
[283] Certamente l’epitafio di Grevka, vd. SEG 38, 982 = ELSard. 648
s. nr. B175 e A. Corda, Le iscrizioni cristiane della Sardegna
anteriori al VII secolo, Città del Vaticano 1999, 45 e 73 s. nr. CAR034,
vd. ora G. Marginesu, Le iscrizioni greche cristiane della
Sardegna, in c.d.s.
[288] Vd. es. CIL X 7923, 7924, 7926, 7927, 7934, vd. A. Mastino, Cornus nella storia degli studi (con un catalogo delle iscrizioni
rinvenute nel territorio del comune di Cuglieri, Cagliari 1982 (2a ed.),
115 ss.
[291] CIL X 1481*, vd. Ruggeri, Presentazione, in Tamponi, Silloge epigrafica Olbiense, cit., VI ss.; Ruggeri, Kapatsoris, Pietro Tamponi, cit., 125.
[292] CIL VI 21714. La questione
non era ancora chiusa, tanto che il 26 giugno 1881 il Tamponi fu chiamato a
rispondere dello scandalo dal Direttore del R. Museo antiquario di Sassari
(Ettore Pais): il 3 luglio 1881 con nota n. 71 il Tamponi precisava che il
primitivo possessore della lastra in piombo [CIL X 1481*] fin dal mese di aprile era un anonimo napoletano, che
l’aveva ceduta per pochi spiccioli al calzolaio livornese Ranieri Maffei
domiciliato in Terranova; l’ispettore aveva dubitato dell’autenticità del
cimelio, ma aveva comunque trasmesso un fac-simile allo Schmidt: «tosto dunque
che mi fui ben assicurato trattarsi di una falsificazione, ne resi informato il
possessore, che mi promise non fare più calcolo di quella lastra, dolente sia
rimasto vittima dell’inganno per parte di uno sconosciuto, del quale ignora e
la residenza e il nome. Essendo il Maffei di esemplare condotta, ed incapace di
offrire a chicchessia quell’oggetto, non volli far caso di renderne informata
la Direzione di Roma e l’egregio prof. Vivanet. D’altronde non è questa la
prima lastra falsa che viene in Sardegna; avvisandomi persone degne di tutta
fede che l’anno scorso, trovandosi in Terranova molte migliaia di lavoranti
napolitani addetti ai lavori ferroviarj, si sono vedute due consimili lastre
che nessuno volle comprare». Segue la trascrizione della lettera inviata dallo
Schmidt al Tamponi il 19 maggio 1881, per noi perduta: «ora ho da parlare di
quella lastra di piombo. Ne ho spedito il facsimile al Mommsen, e quell’uomo,
sagace qual è, ha compreso subito, ciò che avrei dovuto comprendere subito
anch’io, che quella tavola e quella iscrizione che porta, è una falsificazione
moderna. Il modello che ha imitato il falsificatore è l’iscrizione genuina
comunicata dal Grutero, pag. 803, n° 2 [CIL
VI 21714]. La lastra è stata fusa; è un lavoro di getto, perciò le lettere ne
sono rilevate; invece gli antichi incidevano, intagliavano le lettere, sì in
pietra che in tavole di metallo. Non v’è dunque alcun dubbio che la lastra è
falsa. Forse essa proviene da Malta, dalla stessa fabbrica in cui furono fatte
due iscrizioni rassomiglianti [CIL X
1094*-1095*]» (SOPR.SSNU, Cartella 11, fascicolo 6). In un biglietto allegato,
indirizzato nella stessa data personalmente al Pais alla vigilia di un viaggio
a Terranova, il Tamponi (che scriveva su carta intestata del V(ice) Consulat
Hellénique) spiegava di essere completamente estraneo all’inganno: «Ha fatto
bene a tenermi parola di questa lastra di piombo posseduta dal calzolaio. Io la
rifiutai perché giudicata falsa dal Mommsen e da Schmidt. Del resto, se
si fosse trattata di roba buona, sarebbe stato mio desiderio di farne acquisto,
anche a prezzo alto, per farne un dono al Museo». Non va escluso che il
calzolaio Maffei abbia tentato di vendere la lastra anche al Pais per il Museo
di Sassari. Per i sospetti sul comportamento del Tamponi, vd. Ruggeri, Kapatsoris, Pietro Tamponi, cit., 125.
[294] Sulla quale vd. ora A.M.
Nieddu, La pittura paleocristiana
in Sardegna: nuove acquisizioni, in Rivista
di Archeologia Cristiana LXXII, 1996, 245 ss. (la pubblicazione da parte
del Vivanet risale solo al 1892, vd. Notizie
degli Scavi, 1892, 183 ss.).
[296] Su Placido Bettinali, appassionato cultore di antichità ed amico
di Enrico Costa, vd. Costa, Sassari, cit., I, 27 ss.
[299] A. Mastino, Ancora sull’artigianato popolare e sulla
«scuola» di Viddalba: le stele inscritte, in Studi in onore di Giovanna Sotgiu, a cura di A. Corda,
Cagliari-Sassari 2003, in c.d.s., a proposito di CIL X 7919 (calco di J. Schmidt; lettura di Th. Mommsen); G. Spano, Scoperte archeologiche fattesi in Sardegna in tutto l’anno 1871, con
appendice sugli oggetti sardi dell’esposizione italiana, Cagliari 1872, 8; A. Taramelli, Edizione archeologica della Carta d’Italia. Foglio 205, Capo Mannu.
Foglio 206, Macomer, Firenze 1935, 181 nr. 53 b; Mastino, Cornus, cit., 113 nr. 5.
[306] Loddo-Canepa, Un collaboratore di Teodoro Mommsen,
cit., 46, Halle, 19 maggio 1881 (la firma è erroneamente indicata: «Iohannes
Nunitz»).
[307] CIL X 7533 = CLE 919 = ILCV 1721, 2101, vd. ora Buonocore,
Theodor Mommsen, cit., 191 s. e n.
583.
[314] Su Georg Kaibel (1849-1901), filologo classico, vd. Encicl. Ital., XX, 1949, 81; NDB 11, 1977,
31 s.; DBE 5, 2001, 404; J.E. Sandys, A History of classical Scholarship, III, New York 1958, 154.
[318] Il collegamento dei Patulcienses
(?) di Cuglieri di CIL X 7933 (vd. Mastino, Cornus, cit., 118 nr.
16) con i Patulcenses Campani della
Tavola di Esterzili è stato già escluso da M. Pittau,
Lingua e civiltà di Sardegna, Cagliari
1970, 51 s. nt. 7.
[319] DSB, Nl. Mommsen,
Schmidt, Johannes, Bl. 50a, s.d., a proposito di CIL X 7833 b, 7835 l. 6, 7840, l. 2, 7852 (con un rimando
all’articolo dello Spano: «Ich besitze eine Separatpublication: “Tavola di bronzo trovata in Esterzili
illustr. da G. Spano con appendice di Carlo Baudi di Vesme, Torino, 1867”. (Spanos Abhldg: S. 1-15 - Appendice: S.
17-53 auch viele anderen sard. Inschr. enthaltend). Ist es Ihnen
unbekannt u. von Interesse, so schicke ich es»), 7871, 7873, 7875, 7933.
[324] Adolph Friedrich Rudorff (1803-1873), giurista, particolarmente interessato
ai problemi catastali, vd. C. Lachmann –
A. Rudorff, Gromatici veteres,
I, Berlino 1848. Per la biografia dello studioso, vd. E. Albertario, in
Encicl. Ital., XXX, 1949, 217; DBE 8, 1998, 442.
[326] Su Gustav Wilmanns (1845-1878), vd. C.
Bardt, Wilmanns, Gustav, in Allgemeine Deutsche Biographie, XLIII,
Leipzig 1898, 304 ss. Il giudizio espresso dal Mommsen il 12
agosto 1878 in una lettera al de Rossi non è del tutto positivo, se il Wilmanns
è ricordato come «un uomo di una fibra rara, di un coraggio grandissimo, ed un
ottimo viaggiatore», che però «non era né dotto né paziente», vd. Buonocore, Theodor Mommsen, cit., 158 nr. 73; il capitolo scritto dal Wilmanns
a proposito delle canabae della
Numidia, in CIL VIII, 283-285, gli
«pare immaginario e poco sodo».
[327] Th. Mommsen, in CIL VIII,1, V. Vd. anche la lettera al
de Rossi del 22 novembre 1880: «penso al povero Wilmanns, non perché credo che
l'Africa l'abbia ammazzato, ma so quanto ha dovuto subire», vd. Buonocore, Theodor Mommsen, cit., 182 s. nr. 87.
[332] CIL X 7845 = ILS 6107 e E. Usai, R. Zucca, Colonia
Iulia Augusta Uselis, in Studi Sardi
XXVI, 1981-85 (a. 1986), 327 ss.
[339] Vd. Buonocore, Theodor Mommsen, cit., 196 nr. 96; vd.
anche 197 nr. 97, per un'interruzione nella stampa.
[341] In tedesco: Geheimrath; carica politica abbastanza comune
coperta anche da Goethe a Weimar. Si veda J. u. W. Grimm, Deutsches Wörterbuch, Band IV, Leipzig
1899.
[344] Vd. G. Lilliu, Origine e storia del Museo Archeologico
Nazionale di Cagliari, in Il Museo
Archeologico Nazionale di Cagliari, a cura di V. Santoni, Sassari 1989, 11
ss.
[346] Vd. Mastino, Ruggeri,
Ettore Pais senatore del Regno d’Italia,
cit., 125; Mastino, Ettore Pais e la Sardegna romana, cit.,
259.
[347] Vd. E. Pais, Prima relazione intorno ai viaggi per la
compilazione dei “Supplementa Italica” al “Corpus Inscriptionum Latinarum, in Rendiconti
della R. Accademia dei Lincei, Classe di scienze morali storiche e filologiche,
serie V, vol. III, 1894, 929
ss.
[351] Vd. Mastino, Il “Bullettino Archeologico Sardo” e le
“Scoperte”, cit., 24: P. Ruggeri, Scoperte archeologiche 1874, in Africa
ipsa parens illa Sardiniae. Studi di storia antica e di epigrafia, Sassari 1999, 304.
[353] Su Ernest Renan (1823-1892), direttore del Corpus inscriptionum Semiticarum, vd. Dictionnaire des biographies, 5, 1994,
203. L’iscrizione neopunica è in ICO Sard. Neo 6, vd. G. Fiorelli,
S. Antioco, in Notizie degli scavi, 1882, 303 ss.
[355] Su Christian Friedrich August Dillmann
(1823-1824), vd. in Encicl. Ital., XII, 1949,
846; NDB 3, 1957, 721 s.
[357] Su Marie-Louis-Antoine-Gaston Boissièr
(1823-1908), vd. G. Corradi,
in Encicl. Ital., VII, 1949, 292.
[360] DSB, Nl. Mommsen,
Schmidt, Johannes, Bl. 368/369, s.d. Sulla necessità di proseguire la raccolta
africana dopo la morte del Willmanns e sul viaggio dello Schmidt, vd. già la
lettera dell’8 luglio 1881 all’Henzen, in Wickert, Theodor Mommsen: Eine Biographie,
cit., IV, 164 e nt. 32, 290 s.
[362] G. Fiorelli, Fonni, in NS, 1882, 440 s. Il diploma fu poi pubblicato anche in G. Nissardi, Frammento di tavola d’onesta missione, in Bullettino dell’Instituto di Corrispondenza archeologica, 1883, 1-6
(estr.). «Se Ella persiste nel proposito, di cui mi avvisò il comune amico
Pais, di pubblicare il nuovo diploma militare da Lei scoperto nel volume X del Corpus, la prego di farmene avere
quanto prima si può il calco e le notizie sul ritrovamento di esso; se non
l’avrò fra poco, bisogna che rimanga fuori. Né mi credo d’avere il diritto
d’inserirvi la parte da Lei comunicatami senza averne avuto da Lei il permesso
speciale. Se vorrà pubblicare sotto il suo nome il medesimo bronzo sia nelle Notizie del Fiorelli, sia nel Bullettino del nostro Istituto, quanto a
questo mi faccio forte di farlo stampare subito, così che la prima
pubblicazione, come a ragione resta sua. Se le piace ch’io faccia una revisione
del suo manoscritto facendovi entrare que’ cambiamenti che potranno parmi (sic) opportuni mi comandi liberamente»,
vd. Loddo-Canepa, Un collaboratore di Teodoro Mommsen,
cit., 47, 31 agosto 1882.
[363] «Parte in nota, parte sul foglio aggiunto troverà rilevati quei
punti, che nel suo discorso mi paiono richiedere un cambiamento. Aggiungo due
osservazioni: 1- Il prefetto della flotta Ravennate fra gli anni 214/217 ci è
pure noto come procuratore di tre imperatori, senza meno Severo, Antonino e
Geta. (dunque negli a. 209-211), da una iscrizione di Pettavia nella Stiria
stampata nel C.V. 4024, di questo tenore: I.o.m
pro salute Gongi Nestoriani procuratoris Auggg…… v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito). 2- Sapevamo, che ai
soldati della flotta gli anni del servizio sono stati aumentati da 26, quanti
si richiedevano all’epoca di Pio nell’a. 145, a 28, che fu il numero richiesto
sotto i Filippi nell’a. 247. Ora il nuovo diploma, seguendo il nuovo
regolamento posteriore, c’insegna, che questo cambiamento accadde fra gli anni
145 e 217. Così conferma la mia congettura, che fu introdotto da Severo. Si
serva liberamente di questa mia osservazione. Del resto l’avverto, che
l’Instituto certamente sarà lieto di pubblicare la vostra bella scoperta, ma
che questo giornale non ammette né dedicazioni di un articolo inseritovi, né
lunghi commentarj sopra cose generalmente note ed indubitate. Io le
consiglierei di mandare il suo manoscritto al Prof. Henzen dandogli il potere
di togliere e di aggiungere ciò che gli parrà opportuno. Senza questo potere la
Redazione del Bullettino non potrà ricevere il suo articolo troppo diffuso sopra
materie note a tutti né scevro d’errori, come pure è inevitabile nella penuria
di libri Cagliaritana. Se Ella segue il mio consiglio, non se ne pentirà.
Rimando subito il manoscritto, ritenendo per ora le fotografie. Mi risponda
subito sulla lezione del v. 8 delle pagine interne, e mi accenni, se debbo
tornare le fotografie, che se si può, volentieri serberei», vd. Loddo-Canepa, Un collaboratore di Teodoro Mommsen, cit., 47 s., Charlottenburg,
19 settembre 1882. Segue un post-scriptum: «Quanto riguarda la questione, se
sarà più conveniente per Lei di pubblicare il bronzo sugli atti dei Lincei,
vale a dire sulle Notizie del nostro
Fiorelli, o nel Bullettino dell’Instituto, Ella ne saprà giudicare meglio di
me; io però, se fosse affare mio, manderei prima una semplice copia delle
notizie, e darei la pubblicazione esatta del corredo delle annotazioni (che
sarebbero a mio avviso poche, restringendosi a quello che veramente occorre
notare) subito dopo nel Bullettino».
[364] «Le ritorno i disegni del diploma. Come ora stanno i
supplementi, parmi che siano buoni; solo in vece di AVRELIUS si potrebbe
mettere AVRELLIUS ben adatto a quest’epoca e che meglio riempisce lo spazio.
L’originale del bronzo non occorre; basta la copia e la fotografia, ed il
viaggio è sempre un poco pericoloso», vd. Loddo-Canepa,
Un collaboratore di Teodoro Mommsen,
cit., 48, Charlottenburg, 5 ottobre 1882.
[365] «L’ortografia Aurellius
per Caracalla è conosciuta a chiunque si occupi di questi studi; potrà citare
gli indici del Corpus vol. III 1114, vol. V 1158, vol. VIII 1044 e più
particolarmente i due diplomi n. XLVIII, XLIX del mio terzo volume. Pare anzi
che questa ortografia allora fosse la legittima, comunque si trovi più spesso
la solita anche per Caracalla» (sul problema vd. A. Degrassi, Aurellius,
in Athenaeum IX, 1921, 292 ss., ora
anche in Scritti varii di antichità,
I, Roma 1962, 467 ss.). E ancora: «Quanto alla pubblicazione del Diploma cosa
vuole che io le dica? Si rivolga al Fiorelli chiedendogli il permesso di
pubblicarlo nel Bullettino dell’Instituto; egli è libero di ogni gelosia, come
lo sa tutto il mondo e noi più di tutt’altro, ma se, anche nel suo proprio
interesse, non crederà meglio di accordarvelo, questo io non posso sapere.
Quanto alla monografia di cui lei parla, a dirvi la schietta verità vi vedo due
ostacoli: primo che il monumento comunque importante non è di un rilievo così
considerevole che meriti l’onore distinto di pubblicazione particolare; in
secondo luogo, Lei, che non è archeologo di professione e manca costì di
biblioteche ben fornite e di amici capaci, potrà assai facilmente inciampare in
qualche errore che poi sarebbe rilevato e biasimato. Per questa ragione Ella
farà meglio di servirsi sia dell’Henzen, sia del Bernabei; i quali pubblicando
il bronzo nel Bullettino ossia nelle Notizie dandole le lodi meritate, la
guarderanno di cadere in errori», vd. Loddo-Canepa,
Un collaboratore di Teodoro Mommsen,
cit., 48 s., Charlottenburg, 28 ottobre 1882.
[383] DAI, Tamponi, 2/1885. «Ella può esser certo che non abuserò dei
testi affidatimi; ma quanto all’interpretazione è affare lungo e difficile. Senza
calchi, con le sole copie riesce impossibile affatto, né sarà agevole anche coi
calchi in mano. Siccome V.S. si propone (come è giustissimo) di stampare nelle Notizie, io consiglierei di mandare i
calchi tutti a Roma al Prof. Henzen, di cui Essa, come ben sa, può fidarsi
interamente, e lui potrà studiarle e sorvegliare la stampa da farsi a Roma. Io
ho l’intenzione di dare e di far dare un supplemento al volume X, in cui questa
felicissima messe di colonne sarde farò bella mostra di sé, ma questo è affare
di anni, né al momento ho l’intenzione di ripubblicare questi cippi.
L’Instituto nostro (in cui mi piace salutarla come collega) non lo farà
neppure: una pubblicazione è bastante. Sarò sempre grato a Lei se vuol mandarmi
i calchi, che mi serviranno più tardi; ma adesso il tempo mi manca per
sobbarcarmi ad un lavoro che prevedo lungo e difficile. Le notizie nuove che si
raccoglieranno da questa scoperta, si restringeranno probabilmente ad un tale
numero di nuovi presidi sardi del terzo e quarto secolo, come in queste vi sono
Aurelius sotto Diocleziano [si tratta
di M. Aurelius Marcus di EE VIII 777-778], Cornelius Victor sotto Massenzio [si tratta in realtà di L. Cornelius Fortunatianus di EE VIII 779 e 752], P… Maximinus sotto Valentiniano [si tratta in realtà di Flavius Maximinus di EE VIII 781 b, del resto già in CIL X 8026], ecc. ecc.», vd. Meloni, L’amministrazione della Sardegna da Augusto all’invasione vandalica,
Roma 1958, 236 s. pros. 52, 241 s. pros.
55, 255 s. pros. 69.
[387] EE VIII 712. Per la
prosecuzione dei rapporti tra Mommsen e Pais, vd. ad esempio ancora la lettera
del 2 dicembre 1901, vd. Wickert,
Theodor Mommsen: Eine Biographie, cit., III, 670 s. nt. 228.
[390] Schmidt non usa quasi mai la “scharfes S” (ß) al posto della doppia
“S”. Non vi era ancora una normativa precisa. L’uso era a discrezione di chi
scriveva.
[392] Schmidt applica la desinenza del dativo plurale all’italianismo.
Altrove userà la desinenza non comune del genitivo femminile “en”, oppure bilinguis.
[396] Blondin? -> Stutzer (bellimbusto). Nel ms. questa parola è stata corretta in due punti dallo
Schmidt, il quale, forse, non l’ha mai vista scritta.