N.
3 – Maggio 2004 – Tradizione Romana
Università di Podgorica
L’evizione nel diritto
medievale di Cattaro
Tra i medievalisti è generalmente accettata
l’opinione secondo cui il settore dei rapporti giuridici privati, nelle città
costiere medievali, si basava, in sostanza, sul diritto romano comunemente
accettato (ius commune)[1].Tale
diritto si era sviluppato in ambiti concettuali propri del diritto romano
classico e postclassico e, in seguito, fu sottoposto a integrazioni e
modifiche, in conformità con il cambiamento delle circostanze sociali degli
ambienti in cui già esisteva. Dall’esame della maggior parte dei diritti
statutari delle città costiere medievali, questa tesi è stata completamente
confermata. Tuttavia, esistono ancora prescrizioni giuridiche e procedure
abituali, in particolare delle città medievali sulla costa del Mar Adriatico,
non considerate oggetto d’esame. Lo spazio per tali ricerche certamente esiste
dal momento che gli statuti di queste città e le fonti archivistiche di quel
periodo, sono state conservate, anche se in modo frammentario e con un valore
qualitativamente diverso per i ricercatori giuridici. La quantità e la qualità
delle fonti della Cattaro medievale e dell’entroterra, finora conservate, tra
cui manoscritti e fogli stampati, ci danno la possibilità di verificare la
ricettività del diritto romano, sia dal punto di vista normativo, che
applicativo.
Lo scopo di questa relazione, che analizza
l’istituto dell'evizione nel diritto romano classico e postclassico per
compararne l’applicazione con le soluzioni statutarie e con le abituali
procedure giuridiche nella Cattaro medievale, è dimostrare in quale misura
siano presenti le soluzioni romane e in cosa ne differiscano. In breve, si
cerca di confermare e di completare, con nuovi dettagli, la tesi,
precedentemente presentata, sull'importante influsso del diritto romano sulla
formazione del diritto civile medievale, nel settore dei rapporti del diritto
privato.
È, pertanto necessario fare un confronto tra
l'istituto dell’evizione a Cattaro e l'omonimo istituto nell’ambito del diritto
della Serbia medievale. Questo potente stato dell'entroterra, di cui Cattaro
fece parte fino agli anni Settanta del XIV secolo, rimase esposto per lungo
tempo alle influenze giuridiche bizantine[2]. È dunque realistico aspettarsi che potesse
esercitare un notevole influsso sulla formazione del sistema giuridico di
Cattaro. Confrontando le soluzioni, nell’uno e nell'altro ambito giuridico,
verrà determinato questo eventuale influsso e, nel contempo, si cercherà di
stabilire quale posto abbia occupato il diritto romano rispetto ad altri
influssi giuridici in materia di evizione, nella Cattaro medievale. È altresì
necessario prendere in considerazione le soluzioni nei centri costieri italiani
dai quali, per via diretta e mediante comunicazioni quotidiane, arrivavano a
Cattaro gli echi dello ius commune.
Facendo questo tipo di confronto, è possibile stabilire le eventuali
responsabilità dell’acquirente nella Cattaro medievale, ricercando,
probabilmente, le soluzioni nel carattere particolare dello sviluppo universale
di quest’area giuridica.
Nel diritto
romano classico e postclassico, il venditore aveva l’obbligo di tutelare
l’acquirente dall'evizione, anche se non era di per sé responsabile dell'evizione
stessa. Vale a dire che, non essendo il venditore obbligato a trasmettere
all’acquirente la proprietà dei beni[3], bensì soltanto
l’incontrastato possesso di essi, non era, a priori, responsabile, nel caso in
cui un terzo si fosse presentato, in qualità di proprietario del bene o di
titolare di altri diritti reali. Il venditore rispondeva solo in caso di
perdita, nel corso di una causa giudiziaria, del bene acquistato, ossia nel
caso in cui un terzo, tramite una causa o un divieto, avesse sottratto il bene
all’acquirente che lo aveva in possesso[4].
Di tale
responsabilità si era già trattato nel vecchio diritto civile[5]. La garanzia di
evizione era legata ad una compravendita reale attraverso la mancipatio, con la quale si trasferiva,
immediatamente, all’acquirente, il diritto di proprietà sui beni. Se un terzo
intentava una causa per rivendicare la proprietà contro il mancipio accipiens, questi ne informava il mancipio dans (litem
denuntiare, auctorem laudare). Il
mancipio dans, in tal caso, si assumeva,
in prima persona, l’onere della causa oppure lo aiutava nella causa stessa (liti substituere). Nel caso in cui
l’alienante si rifiutava (auctoritatem
defugere) oppure non riusciva ad appianare la controversia, (auctoritas nomine vinci) l'acquirente, in
qualità di parte lesa, aveva il diritto, per actio auctoritatis[6], ad un
risarcimento pari al doppio dell’importo del prezzo d'acquisto[7]. Oltre alla mancipatio, ci si poteva accordare per
una garanzia particolare di evizione (satisdatio
secundum mancipium). La garanzia per il possesso e l’uso incontrastato dei
beni da parte dell’acquirente (rem habere
licere) consisteva in una sorta di accordo speciale[8] con cui il
venditore, in caso di evizione, si impegnava a pagare un importo pari al doppio
del prezzo (stipulatio duplae)[9].
Durante il
periodo classico, la scienza giuridica creò un sistema di evizione, secondo
cui, la responsabilità risultasse dal contratto stesso, senza specifiche e
ulteriori trattative[10]. Così, nel primo
secolo d.C., l’acquirente aveva diritto, per actio empti, di richiedere al venditore un pagamento
per un ammontare pari al doppio del prezzo d'acquisto[11]. Ulpiano,
citando il primo classico Narazio, presenta la possibilità di fare causa al
venditore, per actio empti, in caso
di vendita di uno schiavo appartenente ad altri[12]. I
giurisprudenti classici hanno risolto questo problema considerando l’evizione
un obbligo del venditore prescritto dal contratto stesso e, dunque, non previsto
da nessun altro accordo speciale. Ulpiano rileva che la responsabilità
dell'evizione è una cosa che, di solito, dovrebbe trarre origine dalla bona fides[13]. La responsabilità per evizione del venditore può essere
realizzata con actio doli[14]. In base a quanto afferma Giuliano,
nel quinto libro dei suoi Digesta,
risulta che l’acquirente, in caso di evizione, avesse diritto ad un compenso
per il totale dell’interesse. Pertanto, analizzando l'esempio della vendita di
una schiava di proprietà altrui, ha spiegato che il diritto dell’acquirente
risulterebbe dall'obbligo del venditore di risarcirlo di tutto ciò che ha perso
con la vendita, non avendogli, l’acquirente, assicurato l'uso incontrastato del
bene acquistato[15]. Simile risulta
la citazione di Paulus nel quinto libro delle Quaestiones, in cui
dichiara che l’acquirente, in caso di
evizione, ha diritto ad un compenso non soltanto sulla base del prezzo ma anche
dell'interesse totale dei beni, ossia al risarcimento dei danni[16], e quella nel quinto libro Ad Sabinum, in cui chiarisce qual è il
diritto dell’acquirente nel caso in cui oggetto dell’evizione fosse servitus prediorum oppure ususfructus[17].
L'obbligo
dell’acquirente è di informare il venditore della causa intentata (litis denuntiatio). Detta regola valeva
sia nel diritto classico[18] sia in quello
postclassico[19].
La responsabilità
di evizione del venditore esisteva, come attestano le fonti del diritto
classico, non soltanto nel caso di beni sottoposti all’evizione stessa, ma
anche nei casi in cui non si era giunti alla loro perdita. Pomponio, nel libro
11 Ad Sabinum, critica uno dei primi
classici, Nerva, che aveva sottolineato l’impossibilità dell’acquirente di
chiedere al venditore un risarcimento degli interessi nel caso avesse
trattenuto il possesso dei beni. Accetta, invece, l'opinione di Celso secondo
cui il diritto dell’acquirente esiste in ogni caso, ma non in base ad un
contratto di compravendita, bensì in base ad un altro onere, quale potrebbe
essere, per esempio, il riacquisto di un bene dal vero proprietario[20].
Il diritto
dell’acquirente al risarcimento degli interessi, da parte del venditore,
esisteva quando l’acquirente rimaneva in possesso dei beni non soltanto per
onere, ma anche per fini di lucro. Così nelle Pauli Sententiae leggiamo che in caso di vendita di un terreno di
proprietà altrui, che in seguito è spettato, in beneficio, all’acquirente,
quest’ultimo ha diritto di intentare una causa, per actio empti, contro il venditore per il rimborso del prezzo
d'acquisto[21].
L’acquirente, per
actio empti utilis, ha il diritto di
chiedere al venditore il
risarcimento, per un ammontare pari al valore del danno subito, anche prima
dell'evizione dei beni, nel caso in cui il venditore, sebbene informato dei
fatti, gli abbia venduto un bene di proprietà altrui. Africano, nell’ottavo
libro delle sue Quaestiones, cita
questo caso e spiega quest'accusa, adducendo il motivo del danno subito
dall’acquirente per il fatto che non gli è stata trasmessa la proprietà, senza
considerare la circostanza incontestabile per cui il venditore è obbligato a
trasmettere all’acquirente soltanto il possesso del bene e non la proprietà. Il
venditore, secondo quanto affermato da Africano, è responsabile nei negozi
giuridici, in quanto spetta a lui far sì che non si proceda in mala fede, e nel
caso venda un bene come suo, pur sapendo che appartiene ad altri, ad un
acquirente che non era a conoscenza di tale circostanza, e in particolare se lo
vende a colui che aveva intenzione di privarsene o di darlo in pegno[22]. Questo obbligo non esiste soltanto nel
caso che l’acquirente sia a conoscenza che il bene venduto appartiene ad altri
o è vincolato. Nella costituzione di Diocleziano dell’anno 294, si fa
riferimento alla legge per cui il venditore, in tal caso, non è responsabile
nei confronti dell’acquirente se non nel caso in cui gli abbia promesso di
presentare una prova migliore per la controversia giuridica circa il possesso
del bene[23].
L’acquirente
poteva fermare il pagamento del prezzo intero o parziale, finché era in corso
contro di lui la causa circa la proprietà. Tali informazioni le leggiamo in
Pomponio, nel terzo libro dei Responsa[24], e le ritroviamo nei Fragmenta Vaticana[25] e nella
costituzione di Diocleziano, pubblicata a Sirmium nell’anno 294[26].
La non osservanza
del principio di responsabilità di evizione, nei suddetti casi, mostra il
tentativo di sviluppare la tesi dei classici circa l’aggravarsi della
responsabilità del venditore per l’affermazione del diritto di proprietà sul
bene venduto (non soltanto di possesso), che, ciò nonostante, era inammissibile
nel diritto romano. Un bel quadro della visione romana dell'obbligo del
venditore di assicurare il possesso incontrastato del bene all’acquirente, ce
lo presenta Paulus nel libro 32 del Ad edictum. Spiegando la differenza
tra scambio e compravendita, Paulus precisa quali sono gli obblighi delle parti
contraenti nella compravendita. L’acquirente non fa altro che facilitare il
versamento del denaro, cosa che, pertanto, lo rende responsabile della vendita;
il venditore, a causa dell’evizione, ha la responsabilità e l’obbligo di
consegnare il possesso del bene e di giustificarsi per aver imbrogliato; se poi
il bene non è soggetto a evizione, non si è debitori di niente[27].
La responsabilità
di evizione nella Cattaro medievale, era uno degli obblighi fondamentali del
venditore. Tale obbligo è prescritto all'inizio di XIV secolo[28] dalla
disposizione statutaria De defensoribus
rerum venditorum:
[cap. 271] Statuimus et ordinamus quod
quicumque venditor vendiderit domum, vel casale, vineas, agros, vel hortos, aut
aliquid stabile, teneatur per sacramentum defendere illud secundum iustitiam
super se, et omnia bona sua, et si illud per rationem absque fraude defendere non
peterit, reddat emptori pecuniam quam acceperit, et yperperos XV. pro
centenario per annum de lucro, ab illo tempore quo vendidit, usque ad illud,
quo reddit pecuniam, quam quidem pecuniam non possit querere nisi duplicatam,
et si emptor operatus fuerit aliquid in illo facto empto, venditor id est
defensor restituat ei tantum, quantum duo probi viri per Curiam electi
aestimaverint, et si emptor qui defensorem habuerit requistus fuerit per
aliquem de eo quod emerat, si per se ipsum responderit, et non vocaverit
defensorem, ut respondeat pro ipso, et aliquod damnum habuerit, tunc defensor
non teneatur in aliquo de damno, vel defensione illius facti ...[29].
Tale disposizione
aveva valore nell’arco di un anno. Scaduto il termine, nessuno ha il diritto di
chiedere alcunché al venditore[30].
Dalla disposizione statutaria emergono le seguenti conclusioni:
a)
dell’evizione si rispondeva sempre se oggetto del contratto era un bene
immobile;
b)
la responsabilità esisteva sempre a prescindere da un eventuale, precedente accordo
tra le parti;
c)
l’obbligo all’evizione da parte del venditore aveva le proprie scadenze. Aveva
durata di un anno dal giorno di pubblica dichiarazione di vendita;
d)
allo scadere di un anno, la responsabilità di evizione dell’acquirente si
estingueva. Gli obblighi del venditore nei confronti dell’acquirente non
esistevano più. Nessuno aveva diritto di infastidire l’acquirente circa
l’immobile acquistato, perché, allo scadere del termine, risultava essere il
“vero” proprietario del bene in questione;
e)
il venditore rispondeva all’acquirente non soltanto nel caso, per istanza,
venisse privato del bene, bensì anche per ogni fastidio a cui fosse soggetto
entro il suddetto termine;
f) nel caso si
intentasse una causa per il bene acquistato, il difensore e l’acquirente (defensor et emptor) avevano determinati
diritti ed obblighi, che dipendevano dalla scelta da parte dell’acquirente, tra
le soluzioni offerte dallo Statuto, sull’uso dell’immobile in questione;
g)
l'acquirente poteva informare della controversia il difensore. In tal caso, il
difensore era obbligato ad impegnarsi nella causa. Perdere la causa lo
obbligava alla restituzione del prezzo e del 15% in perperi dell'interesse
annuo, dal momento della vendita fino all’atto di rimborso del prezzo all’acquirente.
L'ammontare del compenso non poteva essere superiore al doppio del prezzo
pattuito;
h)
l’acquirente, insieme al difensore, poteva partecipare alla causa impegnandosi
a informare il venditore su tutto ciò che firmava e ritirava. In caso di perdita
della causa, il venditore aveva l’obbligo di risarcirgli il prezzo pagato o di
versare una cifra stabilita da parte di un estimatore ufficiale;
i)
nel caso l’acquirente non informasse il venditore della causa e agisse senza di
lui, cioè “si assumesse lui la causa” e la perdesse, non sussisterebbero
obblighi da parte del difensore circa il rimborso dei prezzi e il risarcimento
dei danni;
l) l’acquirente, qualora lo desiderasse, poteva portare
avanti la causa anche da solo, pur avendone informato il difensore, col rischio
di non aver diritto di reclamare nulla in caso di perdita della causa.
La regola
statutaria, circa la responsabilità di evizione dell’acquirente, dimostra che,
nella Cattaro medievale, tale responsabilità si basava su un concetto
esclusivamente romano. Come nel diritto romano, anche in quello di Cattaro
medievale, il venditore non era obbligato a trasferire all’acquirente la
proprietà dei beni, bensì soltanto il loro incontrastato possesso[31]. Il venditore,
pertanto, era il responsabile e aveva l’obbligo di tutelare l’acquirente solo
nel caso che un terzo, tramite una causa o un divieto, sottraesse
all’acquirente il possesso del bene[32]. L'obbligo
dell’acquirente era di informare il venditore che contro di lui era stata
intentata una causa[33].
Nonostante le somiglianze di base, nell’applicazione delle leggi del
diritto romano e di quello medievale di Cattaro, ci sono alcune differenze,
prima di tutto per quanto concerne la possibilità, da parte dell’acquirente, di
partecipare alla difesa dei suoi diritti in tribunale e, in secondo luogo,
anche riguardo ai termini di scadenza.
A
differenza del diritto romano, a Cattaro l’acquirente poteva prendere parte
alla controversia e giocare un ruolo attivo, impegnandosi da solo nella causa,
oppure partecipandovi insieme al venditore. Questa possibilità comportava anche
certi rischi per l’acquirente, perciò, probabilmente, si optava maggiormente
per la prima soluzione per cui il difensore, nelle vesti di mediatore,
partecipava alla causa. Questo caso è identico nel diritto romano, sia per
quanto riguarda gli obblighi del venditore, che per il compenso in caso di
perdita della causa. Per entrambi i diritti, l'ammontare del compenso non
poteva superare il doppio dell'importo. Solo in questo caso, le modalità relative
alla determinazione del compenso erano diverse.
A
differenza del diritto romano, la responsabilità di evizione del venditore a
Cattaro aveva precisi termini di scadenza. La precisazione dei termini di
durata di tale responsabilità, nel contesto dei rapporti generali
socioeconomici a Cattaro, è del tutto comprensibile. La maggiore circolazione
degli immobili, la necessità di sicurezza giuridica e il fatto che si trattava
di una città relativamente piccola in cui tutti si conoscevano - tutto ciò,
imponeva la necessità che, da un punto di vista giuridico, tutto fosse più
chiaro e sicuro in materia di immobili. D'altro canto, la necessità impellente
per il possesso degli immobili e per il loro uso, non permetteva scadenze più
lunghe, tali da consentire a coloro che avevano diritti in contesa su tali
immobili, di affermarli. Le città medievali costiere dovevano saper usare bene
il potenziale fondiario ed adeguare il loro regime giuridico, e il diritto in
generale, alle necessità del proprio sviluppo. In tal senso Cattaro seguiva la
prassi tipicamente medievale.
La responsabilità
di evizione del venditore, secondo quanto prescritto dallo Statuto, nella
prassi giuridica, veniva rispettata. Lo testimoniano i documenti notarili sulle
compravendite, nonché le cause intentate, proprio in materia di responsabilità
del venditore. Nei contratti di compravendita, questa responsabilità era
espressa mediante una formula generale per cui: securitatem et scalupniatem cum omnibus pertientiis et possesionibus
suis super me et omnia bona mea. In caso di sottrazione del bene, oppure
per un qualunque tipo di fastidio legato al bene acquistato, l’acquirente aveva
una garanzia doppia di rimborso dell’importo: una garanzia nella persona del
creditore, l’altra tramite un’assicurazione reale rappresentata dal suo
patrimonio.
I documenti di compravendita sulle cause, in cui le
parti si appellavano all'evizione, sono pochi. La maggior parte dei documenti
fa riferimento ad un preciso accordo circa la responsabilità di evizione del
venditore, cosa che si interpreta con il fatto che nella prassi le parti, anche
a prescindere dalla responsabilità statutaria del venditore, potevano pattuire
anche qualcosa in più “per motivi di sicurezza”. Questo non faceva che aggravare
l'obbligo statutario del venditore circa la responsabilità di evizione. Il
numero di documenti di tale contenuto, rispetto al numero delle compravendite
stipulate, è trascurabile. L’esiguo numero dei documenti e delle cause di tal
genere, in materia di evizione, dimostrano che le disposizioni statutarie,
circa l'obbligo del venditore di tutelare l’acquirente, venivano rispettate.
Una causa, datata 1332, ci offre alcuni dati dai quali si può
intravedere come si procedeva nella prassi in caso l’acquirente creasse dei
fastidi per un immobile comprato.
Nel documento era
indicato, tra l'altro, che i tutori comunali degli orfani avevano accusato
Gradislav Goni di essersi introdotto, di nascosto, nella casa del fu Vito
Pasija. L'accusato cita nella propria difesa di aver comprato la casa
dall'esecutore testamentario del fu Vito Pasija e fa riferimento ad un
documento di compravendita riportante la data del 15.04.1332[34]. Dato che non
era stato rispettato il termine prescritto dallo Statuto, in base al quale
l'eredità poteva essere venduta soltanto un anno dopo la morte del depositario,
il tribunale aveva annullato la vendita che, comunque, si era conclusa nel
rispetto di tutte le formalità indispensabili per stipulare un contratto,
consigliando all’acquirente di richiedere al venditore, per via giudiziaria, il
rimborso del prezzo d'acquisto ed il risarcimento delle spese sostenute per la
riparazione della casa: ...et etiam restituere
sibi illud, quod receperunt pro dicta venditione, quod iurauerit dictus
Gradislauus ab octuaginta perperis infra, et quod ... et si aliquid
expendiderit in laborerio dicte domus ... et carta venditionis et emptionis
dicte donus non valeat et sit nullius valoris …[35].
L’esempio qui
citato, sulla base delle fonti finora conservate, rappresenta un'eccezione. Che
nella prassi si procedesse in base a quanto prescritto dallo Statuto, ed
eccezionalmente al di fuori dei termini da esso previsti, a seconda delle
esigenze delle parti, è confermato anche dalla controversia nel corso di una
causa giudiziaria datata 1336. Protagonisti della causa erano la figlia del fu
Medos e Luka Sisoja «in quanto Luca aveva piantato, senza alcun diritto, i suoi
vigneti a Prcanj». L’accusato conferma «che la terra l'aveva comprata da Segije
Jakanjin e dunque era sua e che, pertanto, aveva ragione di aver fatto così».
La querelante aveva obiettato a tale dichiarazione dell’accusato, precisando
«di non essere stata a Cattaro al momento dell'acquisto e dunque
impossibilitata a fare ricorso entro il termine previsto». L’accusato aveva
però contestato anche questa circostanza, allegando una prova–documento, in
base alla quale i rappresentanti della querelante si erano impegnati ad occuparsi,
durante la sua assenza, degli immobili che le appartenevano. Questi non avevano
sollevato alcuna obiezione «così la querelante non aveva alcun diritto di
rivendicazione, dal momento che erano scaduti tutti i termini previsti». Il
risultato della causa non c'è perché il Tribunale aveva rinviato a giudizio
l’emanazione della sentenza[36], tuttavia, per
arrivare ad una conclusione circa l'applicabilità della disposizione
statutaria, in materia di scadenza dei termini dei diritti su un immobile
venduto, gli elementi a nostra disposizione sono sufficienti. A favore della
tesi del rispetto dei termini statutari, allo scadere dei diritti, dati
chiarificatori ce li fornisce una causa intentata in data 15 aprile 1332. Nel
contestare alcune delle richieste della querelante, riguardo agli immobili di
cui era in possesso, l’accusato, nel difendersi, fa riferimento alle
disposizioni statutarie circa i termini entro i quali possono essere
rivendicati i diritti sugli immobili: ... statutum dicit, quod si quis viderit possidere factum suum per annum,
deinde postea nihil dicere possit ... et etiam quod si non fuisset in ciuitate
petitor ad duos annos postea possessorem non valeat molestare ...[37]. La sentenza
emessa dal tribunale era a favore dell’accusato, dal momento che, il suo aver
fatto riferimento alle disposizioni prescritte dallo Statuto, era un dato di
fatto.
Per un’ulteriore
spiegazione circa l'applicazione della responsabilità di evizione del venditore
e la sua durata che, in base a quanto prescritto dallo Statuto, si limita ad un
anno dalla vendita, dati interessanti ci vengono forniti da un documento,
datato 1335, nel quale, tra l'altro, si legge che: Marin Mekše di Cattaro,
dichiaro pubblicamente che il vigneto Gravosi che, il cittadino di Dubrovnik
Jakov de Sorgo ha comprato e pagato ad Andrija Zukara, procuratore di Maria,
moglie di Uglin Justinijan e di suo figlio Urso, a suo nome, a disposizione
degli eredi di Jakov. Gli eredi di Jakov ne possono disporre come reputano più
opportuno[38]. Nel documento
di compravendita che è stato stilato a Dubrovnik e poi pubblicato dal notaio
Ivan de Farnis, il 15 agosto 1327 si afferma se entro un certo periodo (aliquo tempore), alcune persone (per aliquam personam), o il Comune
stesso, prendono possesso del vigneto o di parte di esso, io Marin, mi impegno,
con gli eredi e successori del fu Jakov de Sorgo, a difenderli, pena tutti i
miei beni mobili e immobili, dovunque essi siano e ad accontentarli su tutto
ciò che riguarda il suddetto vigneto[39].
Nella prassi, come dimostra, del resto, anche questo caso, poteva
succedere che il Contratto prevedesse disposizioni diverse da quelle previste
dallo Statuto e che la responsabilità del venditore, per eventuali casi di
evizione, non avesse scadenze ben precise o che si facesse riferimento ai
fastidi a cui sarebbero potuti essere soggetti gli eredi dell’acquirente,
riguardo all'oggetto della vendita. Il venditore, pertanto, garantiva per tutti
quei fastidi da parte di singoli o di altri, da parte del comune di Cattaro che
si fosse impossessato del vigneto in questione, probabilmente in nome di
qualche “suo” più generale interesse.
Interessanti, da
questo punto di vista, risultano altri due documenti che risalgono alla fine del
1326. Nel documento stilato il 29 dicembre 1326, il venditore assicura
all’acquirente tutti i documenti inerenti l’acquisto della casa: de omnibus illis cartis, quas habeo super
eum occasione domus, quam vendidi sibi, promittens sibi ad maiorem sui cautelam
numquam eum molestare de tempore, qui ego debebem stare in domo predicta ...[40]. Con un
documento pubblico, l’acquirente si tutelava da qualsiasi evizione della casa
acquistata. Ciò si può interpretare con il fatto che l’acquirente o desiderava
avere, oltre all’assicurazione statutaria contro l’evizione, anche
l’assicurazione del venditore registrata nel documento, oppure, nel caso la
vendita fosse stata fatta senza seguire la procedura statutaria, l’acquirente
voleva proteggersi, con un documento stilato a parte, da eventuali cause
relative all’immobile in questione. Nel secondo documento, datato 15 dicembre
1326, si constata che le parti contraenti avevano concluso un accordo sullo
scambio del vigneto. Lo scambio (facio
cambium) sarebbe avvenuto a condizione che la parte lesa avesse il diritto,
in caso di sottrazione del proprio bene, di “tornare” nel suo vigneto: ... quod si aliquis subtraheret dictas vineam
et terram..., ipse... possit reuerti super dictam suam vineam ...[41]. È evidente che,
in questo caso, si voleva evitare il dibattimento giudiziario circa il vigneto
che, in seguito allo scambio, ora spettava ad una delle parti. Da un punto di
vista più generale, le parti contraenti malvolentieri entravano in causa. Era
molto più semplice tutelarsi, mediante un documento sul «diritto di possesso di un bene che una volta era tuo».
È importante,
altresì sottolineare che, in alcuni documenti sulla vendita degli immobili,
viene citato non soltanto il nome dell’attuale proprietario, bensì anche quello
del venditore e persino del proprietario precedente[42]. Molto
probabilmente tutto ciò era finalizzato a “proteggere” il venditore
coscienzioso dalla responsabilità di eventuali evizioni “ereditate” dal
proprietario precedente, in qualità di acquirente dell’immobile. Si tratta di
quei vizi giuridici di cui, oggettivamente, al momento della vendita, l’attuale
venditore non era a conoscenza. Lui non aveva fatto altro che trasmettere
all’acquirente lo stesso diritto di cui egli stesso godeva. Il venditore si
tutelava tempestivamente in tal senso, segnalando da chi aveva comprato
l’immobile, ossia da chi tale "vizio della cosa” sarebbe potuto arrivare.
A questo motivo, forse se ne può aggiungere anche un altro per spiegare la
necessità di indicare il proprietario precedente nel contratto di
compravendita, ossia il diritto, in base a quanto prescritto dallo Statuto di
Cattaro, del precedente venditore alla prelazione degli immobili[43].
La responsabilità di evizione del venditore esisteva già nel diritto medievale
serbo. Tale diritto è stato esaurientemente spiegato nella ‘Tapija’ di Prizren - un
documento di compravendita risalente all’inizio del XIV secolo. L’obbligo del
venditore di assicurare all’acquirente l’incontrastato possesso del bene
venduto e di tutelarlo da eventuali fastidi, in questo documento è stato
espresso con le parole: «Se qualcuno ha
da dire qualcosa (tra i parenti e confinanti) … Prvoslav deve pagare, mentre l’acquirente è libero»[44]. Da quanto sopra riportato, si evince
chiaramente che, in caso di controversia, il venditore era libero di
“assumersi” la causa. Tuttavia, soltanto in base ai dati forniti dalla ‘Tapija’ non si può sapere niente
sull’entità della responsabilità del venditore in caso di perdita della causa,
né sulle modalità di affermazione dei diritti dell’acquirente, pertanto, la ‘Tapija’ rappresenta soltanto un
documento sulla conclusione di compravendita. Per reperire i dati a noi
necessari, bisogna ripercorrere all’incontrario tutto il secolo.
Teodoro Taranovski, studioso di diritto
medievale serbo, sulla base di fonti archivistiche che fanno riferimento al
XIII secolo, con una solerte ricerca, ha potuto constatare che, in quel
periodo, si ci appellava alla responsabilità del venditore in caso il bene
venisse sottratto all’acquirente. In caso di perdita della causa, il venditore
era obbligato a risarcire all’acquirente il danno provocato dalla sottrazione
del bene acquistato. Tale compenso era pari al prezzo d’acquisto[45]. Sembra lecito affermare che, nel periodo
di pubblicazione della ‘Tapija’,
l’obbligo del venditore rimaneva immutato rispetto al XIII secolo.
Paragonando le leggi circa la responsabilità
di evizione del venditore, si può constatare che il diritto di Cattaro ed il
diritto medievale serbo avevano delle somiglianze. Nel diritto serbo che in
quello di Cattaro, l’obbligo di evizione esisteva sempre in caso di vendita di
un immobile. L’esistenza, invece, di numerosi elementi di diversità, nelle
soluzioni adottate, indica che l’influenza del diritto bizantino, sulla
creazione in Serbia di questa procedura, era certamente presente. Menzionato si
osserva rispetto al numero di persone dalle quali il venditore doveva “tutelare” l’acquirente, e rispetto
all’ammontare del rimborso da versare in tal caso.
La ‘Tapija’
di Prizren dava la possibilità ai comproprietari e confinanti di fare ricorso.
Così nel diritto medievale serbo di tale diritto godeva la maggior parte della
popolazione. Nella Serbia medievale, se qualcuno dei comproprietari o dei
confinanti, dopo la rinuncia al diritto di acquisto degli immobili, infastidiva
l’acquirente nell’usufrutto del bene acquistato, il venditore era obbligato a
risponderne[46], e il provvedimento consisteva nel
pagamento di una multa il cui ammontare doveva essere pari al prezzo d’acquisto[47]. Questa risulta essere una caratteristica
tipicamente bizantina in materia di evizione e trova la sua affermazione nel
primo articolo dell’una compilazione serba delle leggi bizantine, della
cosiddetta detta Legge dello zar
Giustiniano[48]. Invece, nella Cattaro medievale,
l’ammontare del compenso, in caso di sottrazione di un bene all’acquirente,
veniva stabilito secondo varie modalità, a partire dal rimborso del prezzo,
aumentato di un terzo, fino al prezzo in
duplum, in funzione di chi, nella causa in corso, aveva assunto “il ruolo cruciale” – se il venditore o
l’acquirente, oppure se entrambi avevano partecipato alla causa a parità di
diritti. Tali modalità non esistevano nel diritto medievale serbo, in quanto il
venditore era obbligato soltanto a rimborsare all’acquirente l’importo del
prezzo. L’esistenza di una vasta gamma di possibilità giuridiche, in materia di
evizione, nel diritto medievale di Cattaro, è completamente comprensibile.
Essendo Cattaro un centro di commercio ed economia marittima molto sviluppato,
poteva usufruire di tali possibilità grazie allo ius commune del diritto romano generalmente accettato. Esso,
infatti, rispetto al diritto classico o bizantino, era molto più ricco di
soluzioni concrete e più adatto ad essere messo in pratica, pertanto, era
entrato facilmente a far parte delle leggi statutarie relative alla questione
dell’evizione.
Nei diritti di gran parte delle città
italiane, già a partire dal XII secolo, era previsto l'obbligo, da parte del
venditore, di garantire all’acquirente la proprietà dei beni, e ciò significava
che il venditore era obbligato, all’uopo, ad assumersi la difesa
dell’acquirente in Tribunale[49]. Nel caso in cui il venditore avesse perso
la causa, il venditore doveva risarcire all’acquirente il danno subito. Al fine
di evitare cause di risarcimento danni, molto spesso – e talmente spesso che
era diventata quasi un'abitudine generale – le parti si accordavano stabilendo
che, in caso di sottrazione di un bene, venisse restituita all’acquirente la
somma versata, oltre al risarcimento dei danni, tenendo conto, naturalmente,
soprattutto dell’emendamento del bene nel periodo compreso tra il pagamento
della somma e il momento in cui il bene veniva ripreso, come testimonia, per
esempio, la prassi giuridica nella città medievale di Senigallia[50].
Nella regolamentazione statutaria in materia
di evizione nelle città italiane, potevano essere adottate anche soluzioni
differenti. Dallo statuto poteva essere prescritta la responsabilità di
evizione del venditore per cui, in caso di sottrazione della cosa
all’acquirente, si pagava una multa in
duplum. Questo tipo di
prescrizione è presente nello Statuto della città di Roma, in una delle sue
redazioni del dodicesimo secolo: In
promissionibus de evitione possit apponi poena dupli, secundum antiquam et
observatam urbis consuetudinem[51].
Tale prassi, parlando di evizione, era
presente anche in quelle città in cui lo Statuto non lo prevedeva. I documenti
notarili provenienti da molte città dell'Italia medievale lo confermano. La
multa in duplum, nel caso in cui l’acquirente fosse infastidito, era sottintesa e
dipendeva soltanto da come il notaio decideva di registrarla. Tale prescrizione
era presente, tra l'altro, anche nella città medievale di Milano, il che
testimonia che questa prassi, in materia di evizione, vigeva non soltanto nei
centri costieri dell'Italia medievale, bensì in tutta la penisola[52]. In alcuni statuti delle città italiane,
simili a quello di Cattaro medievale, veniva stabilita una multa fissa oppure
una rata di aliquota della multa, con una precisa scadenza, come testimonia,
per esempio, la città di Fano[53]. Nello Statuto della città di Milano, come
negli statuti di altre città vicine, al fine di assicurare il pagamento del
risarcimento in caso di evizione, era prescritta la necessità di tutelare anche
il garante: Ubi res imobilis venditur, -
si nihil convenit, semper fideiussor pro defensione, secundum consuetudinem n.
civitatis debet accedere. Et si fideiussor pro defensione se simpliciter
obligavit, perpetuo erit astrictus. - Sin autem dictum sit quod fideiussorem
quis pro defensione dabit, et nihil amplius, nostro iure non nisi de
controversiis quae infra quinquennium apparuerint se obligabit, licet debitor
omni tempore obligatus remaneat[54].
La responsabilità di evizione del venditore,
come a Cattaro, sottintendeva l'obbligo, per l’acquirente, di notificare la
causa intentata contro di lui. Col tempo questa era diventata una procedura
abituale, così che, l’obbligo dell’acquirente, anche senza un'indicazione
precisa, veniva sottinteso[55]. A differenza del diritto di Cattaro,
l’acquirente soggetto all'evizione, non era sempre obbligato a rivolgersi al
venditore da cui aveva ricevuto il bene, per il risarcimento del bene
sottratto. Poteva rivolgersi direttamente al primo venditore, se l'evizione era
stata una sua iniziativa. A motivazione di tale prassi, negli statuti, viene
addotto il fatto «che istanze specifiche,
accompagnano il passaggio di un bene dal precedente titolare al successore -
procuratore»[56].
L'evizione nella maggior parte degli
statuti, a differenza di quello di Cattaro, non era limitata da scadenze
precise. Così, nei numerosi statuti delle città italiane, si legge che il
procedimento di evizione poteva essere avviato «in omni tempore et ab omni
homine».
In materia di evizione di un bene, nelle
città italiane vigevano regole diverse. In alcuni statuti si cita soltanto, in
modo poco dettagliato, la responsabilità di evizione del venditore, mentre in
gran parte dei casi si precisano i diritti di cui godeva l’acquirente. Nello
Statuto della città di Satanbra, per esempio, oltre alla prescrizione degli
obblighi del venditore di restituire il bene in questione, come nel diritto di
Cattaro, si faceva riferimento anche ad altre modalità relative al risarcimento
all’acquirente per l’emendamento del bene sottratto[57]. In alcuni statuti, la responsabilità di
evizione, secondo precise modalità, veniva prevista soltanto per l’attuale
venditore degli immobili, mentre in altri si prevedeva l'esonero delle parti,
per mezzo di un contratto, dalla responsabilità di evizione. Così, nello
Statuto di Lucca, veniva prescritta la responsabilità di evizione per l'attuale
venditore del bene[58], come nella Cattaro medievale, mentre,
nello statuto di Livorno, veniva prescritto, per le parti contraenti e per i
loro successori, l’esonero dalla responsabilità di evizione: Se l’acquirente rem suam perdiderit et ad
publicum devolutam fuerit, et nobis pars curtis regie ipsam casam et rem
retulerit, ego vel mei heredes vobis et vestris heredibus ipsum suprascriptum
pretium reddere (non) debeamus; quia taliter inter nos convenit, ut ipsa casa
et rem da curte regis defendere vobis non debeamus.
In base ai regolamenti statutari ed alle
fonti notarili della Cattaro del secolo XIII e XIV, si può affermare, con
sicurezza, che il procedimento di evizione a Cattaro veniva applicato come nelle
città medievali italiane. Le regole del diritto romano comunemente accettato (ius commune) si erano integrate nella
regolamentazione di tale istituto, sia nel diritto di Cattaro che in quello
delle città italiane. Certe anomalie rispetto alle soluzioni classiche dello ius commune erano certo presenti nel
diritto di Cattaro soprattutto perché condizionate da alcune specificità nello
sviluppo storico e culturale di questa città e da alcune caratteristiche
tipicamente locali.
La regolamentazione statutaria, in materia
di evizione, nella prassi era rispettata in pieno, soprattutto tenendo conto
dell’esiguo numero di cause giudiziarie svoltesi sul tema dell'evizione.
Quanto alle responsabilità dell’acquirente
nella Cattaro medievale, esistono alcune somiglianze, anche se minime, col
diritto della Serbia medievale. Ciò è completamente comprensibile, visto che
Cattaro rimase nell'ambito dello stato serbo per ben due secoli, godendo di uno
status giuridico speciale. Tuttavia, nella trattazione del problema dell’evizione,
più che di influssi romani, in Serbia si può parlare di influsso bizantino,
cosa che non può essere allo stesso modo valida per il diritto medievale di
Cattaro.
L'evizione nella Cattaro medievale era
basata, in sostanza, su principi propri del diritto romano classico e di quello
postclassico. A Cattaro, come nelle altre città costiere, questi principi,
grazie allo ius commune, avevano
trovato terreno fertile per essere applicate e in seguito anche modificate. Il
concetto romano originario, così come la sostanza delle soluzioni classiche e
postclassiche, circa le responsabilità di evizione dell’acquirente, non erano
cambiati, nonostante le modifiche e le integrazioni attinte dallo ius commune. Il patrimonio giuridico
romano, in queste aree, aveva lasciato una forte impronta sulla
regolamentazione complessiva in materia di evizione, occupando sempre il primo
posto, rispetto a tutti gli altri influssi presenti, seppur con diversa
intensità, nei tempi passati.
[1] G. Astuti, I contratti obbligatori nella storia del diritto Italiano, parte
generale, Milano 1952; E. Besta,
Le obbligazioni nella storia del diritto
italiano, Padova 1936.
[2] Più
dettagliatamente a tal proposito vedi: Bujuklić,
Pravno uređenje srednjevekovne
budvanske komune (Assetto giuridico del comune medievale di Budva),
Nikšić 1988, 184; N.
Bogojević-Gluščević, Svojinski
odnosi u Kotoru u XIV vijeku (Rapporti di proprietà nella Cattaro del XIV
secolo), Nikšić 1988, 256; I.
Sindik, Komunalno uređenje
Kotora od druge polovine XII do početka XV stoljeća (Assetto
comunale di Cattaro dalla seconda metà del XII all’inizio del XV secolo), SAN,
Beograd 1950; St. Novaković,
Rimskovizantijsko pravo i narodni pravni
običaji (Diritto romano-bizantino e costumi giuridici del popolo), in Annuario di Nikola Čupić, IX,
Beograd 1887, 230-245; J. Ferluga,
Vizantijska uprava u Dalmaciji
(L’amministrazione bizantina in Dalmazia), SAN, Beograd 1957; N. Radojičić, Vizantinsko pravo u Dušanovu zakoniku (Diritto
bizantino nel Codice di Dušan), in Istorijski
časopis, Beograd 1951/2; N.
Radojičić, Vek i po
proučavanja Dušanova zakonodavstva (Un secolo e mezzo di studi sulla legislazione di Dušan), SAN, Beograd
1951; A. Solovjev, Značaj vizantijskog prava na Balkanu (Importanza
del diritto bizantino nei Balcani), in
Annuario di Nikola Čupića, Beograd 1928/37; A. Solovjev, Dušanov zakon kod Paštrovića (Il codice di Dušan presso i Paštrovići), in Arhiv za pravne i društvene nauke (Archivio per le scienze
giuridiche e sociali), Beograd 1933/44; L.
Urošević, Pravosuđe i
pisano pravo u srednjovekovnoj Srbiji (Giustizia e diritto scritto nella
Serbia medievale), Beograd 1939; St.O.
Ćorić, Postanak
domaćih kompilacija vizantijskog prava (Formazione delle compilazioni
locali del diritto bizantino), in Arhiv
za pravne i društvene nauke (Archivio per le scienze giuridiche e sociali),
Beograd 1909/4.
[3] D. 18.1.25.1 (Ulp. lib. 34 ad Sab.): Qui vendidit necesse non habet fundum
emptoris facere, ut cogitur qui fundum stipulanti spondidit.
[4] D. 11.1.19.2 (Ulp.
lib. 32 ad ed.): Et in primis
ipsam rem prestare venditiorem oportet, id est tradere: quare res, si quidem
dominus fuit venditor, facit et emptorem dominum, si non fuit, tantum
evictionis nomine venditorem obligat, si modo pretium est numeratum aut eo
nomine satisfactum.
[5] Sullo sviluppo
della responsabilità per l'evizione più dettagliatamente in Girard, Mélanges de droit Romain, II, Paris 1926, 5-305; M. Kaser, Das Ziel der actio empti nach Eviction, in Zeitschrift der Savigny Stiftung, Berlin 1934, 162-188; N.N. Reninio, Evizione e garanzia, Milano 1966, 172.
[6] Vedi: Girard, L’auctoritas et l’action auctoritatis, in Mélanges de droit Romain, II,
1923, 155-305; Delos, Contribution à l'étude sociologique de la
notion de actio auctoritatis en droit Romain, in Scritti Sturzo, II, 1953, 9-23.
[7] Pauli Sent. 2.17.1: Venditor si eius rei quam uendiderit dominus
non sit, pretio accepto auctoritatis manebit obnoxius...; 2.17.3: Res empta mancipatione et traditione
perfecta si euincatur, auctoritatis uenditor duplo tenus obligatur.
[8] Levy, Les
stipulations de garantie contre l'eviction dans la vente Romaine, in Revue historique, Paris 1954; Varro, Rerum rusticarum, libri III 2.10.5;
BRUNS, Fontes iuri romani antiqui, Leges et negotia, nn. 130, 131, 132,
133.
[9] Bruns, op.
cit., 329, n. 30; B. Eisner-M. Horvat, Rimsko pravo (Diritto romano),
Zagreb 1948, 426.
[10] In tal senso tra
i classici ci sono state anche divergenze di opinioni. Vedi: D. 19.1.11.8; D.
21.1.31.20; D. 21.2. 37pr.; D. 21.2.2; Pauli Sent. 2.17.2.
[11] Stipulatio duplae si presumeva se trattasse di beni
preziosi, il che esiste anche nel diritto di Giustiniano. Per altri beni, col
tempo si è formata una regola di evizione per il risarcimento dei danni. Vedi: D. Stojčević, Rimsko obligaciono pravo (Diritto romano
delle obbligazioni), Beograd 1964, 156.
[12] D. 19.1.11.8 (Ulp. lib. 32 ad ed.):
Idem Neratius, etiamsi alienum servum vendideris, furtis noxisque solutum
praestare te debere ab omnibus receptum ait et ex empto actionem esse, ut habere
licere emptori caveatur, sed et ut tradatur ei possessio.
[13] D. 21.1.31.20
(Ulp. lib. 1 ad ed. aed. curul.):
Quia adsidua est duplae stipulatio, incirco placuit etiam ex empto agi posse,
si duplam venditor mancipii non caveat: ea enim, quae sunt moris et
consuetudinis, in bonae fidei iudiciis debent venire.
[14] D. 4.3.37 (Ulp.
lib. 44 ad Sab.): Si vero
decipiendi emptoris causa dictum est, aeque sic habendum est, ut non nascatur
adversus dictum promissumve actio, sed de dolo actio.
[15] D. 21.2.8 (Iul.
lib. 15 dig.): Venditor hominis
emptori praestare debet, quanti eius interest hominem venditoris fuisse. Quare
sive partus ancillae sive hereditas, quam servus iussu emptoris adierit, evicta
fuerit, agi ex empto potest: si sicut obligatus est venditor, ut praestet
licere habere hominem quem vendidit, ita ea quoque quae per eum adquiri
potuerunt praestare debet emptori, ut habeat.
[16] D. 21.2.70
(Paul. lib. 5 quaest.): Evicta re
ex empto actio non ad pretium dumtaxat recipiendum, sed ad id quod interest
competit: ergo et, si minor esse coepit, damnum emptoris erit.
[17] D. 21.2.15.1 (Paul. lib. 5 ad Sab.): Si ususfructus evincatur, pro bonitate
fructuum aestimatio facienda est. Sed et si servitus evincatur quanti minoris
ob id predium est, lis aestimanda est.
[18] D. 21.2.53.1 (Paul. lib. 71 ad ed.): Si cum possit emptor auctori denuntiare, non
denuntiasset idemque victus fuisset, quoniam parum instructus esset, hoc ipso
videtur dolo fecisse et ex stipulatu agere non potest. C. 8.44.8: Emptor fundi,
nisi auctori aut heredi eius denuntiaverit, evicto praedio neque ex stipulatu
neque ex dupla neque ex empto actionem contra venditorem vel fideiussores eius
habet. Sed et si iudicio emptor non adfuit aut praesens per iniuriam iudicis
victus est absente auctore vel fideiussore, regressum adversus cum non habet. PP. VIII ID. DEC. ALEXANDRO A. CONS. (a. 222.).
[19] D. 21.2.74.2
(Herm. lib. 2 iuris epit.): Mota
quaestione interim non ad pretium restituendum, sed ad rem defendendam venditor
conveniri potest.
[20] D. 21.2.29pr. (Pomp.
lib. 11 ad Sab.): Si rem, quam
mihi alienam vendideras, a domino redemerim, falsum esse quod Nerva
respondisset posse te a me pretium consequi ex vendito agentem, quasi habere
mihi rem liceret, Celsus filius aiebat, quia nec bonae fidei conveniret et ego
ex alia causa rem haberem.
[21] Pauli Sent. 2.17.8: Fundum
alienum mihi vendidisti: postea idem ex causa lucrativa meus factus est:
competit mihi adversum te ad pretium recuperandum actio ex empto.
[22] D. 19.1.30.1
(Afr. lib. 8 quaest.): Si sciens
alienam rem ignoranti mihi vendideris, etiam prius quam evincatur utiliter me
ex empto acturum putavit in id, quanti mea intersit meam esse factam: quamvis
enim alioquin verum sit venditorem hactenus teneri, ut rem emptori habere
liceat, non etiam ut eius faciat, quia tamen dolum malum abesse praestare
debeat, teneri eum, qui sciens alienam, non suam ignoranti vendidit: id est
maxime, si manumissuro vel pignori daturo vendiderit.
[23] C. 8.44.27: Si fundum sciens alienum vel obligatium
compravit Athenocles nec quicquam de evictione convenit, quod eo nomine dedit,
contra iuris poscit rationem. Nam si ignorans, desiderio tuo iuris forma
negantis hoc reddi refragatur.
[24] D. 18.6.19.1
(Pap. lib. 3 resp.): Ante pretium solutum
dominii quastione mota pretium emptor solvere non cogetur, nisi fideiussores
idonei venditore eius evictionis offerantur.
[25] Fr. Vat. 12: ...tametsi maxime fideiussores evictionis
offerantur, cum ignorans possidere coeperit. Nam usucapio fructa complebitur
anticipata lite nec oportet evictionis securitatem praestari, cum in ipso
contractus limine dominii periculum immineat. Vedi: D. 18.6.19.1.
[26] C. 8.44.24: Si post perfectam venditionem ante pretium
numeratum rei venumdatae mota fuerit quaestio vel mancipia venumdata proclament
in libertatem, cum in ipso limine contractus immineat evictio, emptorem, si
satis ei non offeratur, ad totius vel residui pretii solutionem non compelli
iuris auctoritate monstratur. unde cum parte pretii numerata, domus quam emisti
tibi velut pignoris iure obligatae ne ad emptionem accederes, denuntiatum ab
aliquo proponas, iudex tibi quae ex emptione veniunt praestari providebit. S. VI. KAL. FEBR. SIRMI. CC. CONSS. (a.
294).
[27] D. 19.4.1pr.
(Paul. lib. 32 ad ed.): Emptor enim,
nisi nummos accipientis fecerit, tenetur ex vendito, venditori sufficit ob
evictionem se obligare possessionem tradere et purgari dolo malo, itaque, si
evicta res non sit, nihil debet: in permutatione vero si utrumque pretium est,
utriusque rem fieri oportet, si merx, neutrius.
[28] A differenza di
altre disposizioni che si occupano di compravendita, emanate a partire dal
1316, questa non è datata. La prassi giuridica conferma che si applicava
sicuramente nella prima metà del XIV secolo, ciò vuol dire che la sua
emanazione deve essere legata all'inizio di questo secolo.
[29] Statuta et leges civitatis Cathari apud Robertum Mietum, Venetiis 1616
(da qui in seguito segnato come Stat.
Cath.), [trad. ital.: Stabiliamo
e prescriviamo che colui che vende case, casette, vigne, terreni, frutteti
oppure altri beni immobili, è tenuto a difenderli pena tutti i suoi beni e la
sua persona. Se non riesce a difenderli, è tenuto a rimborsare il prezzo
all’acquirente, con il 15% dell'interesse annuo sul denaro, in perperi,
calcolando dal giorno in cui il bene è stato venduto, fino al momento in cui il
denaro è stato rimborsato. Tale somma non può essere superiore ad un ammontare
pari al doppio del prezzo d'acquisto. Se l’acquirente è coinvolto nella causa
insieme al venditore, colui chi risponde dell’evizione deve rimborsare il
prezzo in un unico ammontare, ossia deve restituire tanto quanto valutato da
persone affidabili del Comune, scelte dal Tribunale. Se l’acquirente, dotato di
un proprio difensore, viene interrogato circa il bene acquistato, e risponde
per iscritto senza appellarsi al difensore, impegnandosi nella causa, e di
conseguenza subendo un danno, allora il difensore non sarà obbligato a
risarcire il danno o qualsiasi altro bene all’acquirente].
[30] cap. 271 in fine: et haec defensio sit infra unum annum, sine autem ille qui quesierit fuerit extra civitatem, habeat terminum querendi, ut
alibi continentur post autem dictum terminum numquam in posterum querere
possit.
[34] A. Mayer, Monumenta Catrensia I, Kotorski spomenici,
vol. I, Prva knjiga kotorskih notara od god. 1326-1335 (Monumenti di
Cattaro, Libro primo dei notai di Cattaro, a. 1326-1335), JAZU, Zagreb 1951 (da qui in seguito segnata come SN I), isp. 990: ... Coram nobis iuratis iudicibus... venientes Nutius Gille,...
dixerunt aduersus dompnum Iacobum de Millolo, ... epitropos olim testamenti
filii condam Vite de Passi: "Vos vendidistis domum olim filii Vite de
Passi tamquam epitropi testamenti ipsius, quod facere non potuistis secundum
ormam statuti, quia non vendidistis infra annum, sicut continetur in statuto,
sed post. Unde volumus,
quod dicta domus reuertatur ad nos et venumdemini”. Qui presbiter Iacobus, ...
dixerunt: “Nos vendidimus secundum formam epitropie, si valet, placet nobis, si
non autem, non possumus ultra". Quare nos dicti iudices sic audientes et
videntes statutum super predictis diximus per sententiam, quod testamentum
dicti filii Vite de Passi restituant eisdem procuratoribus positis per comune. Qui
procuratores a modo exequantur testamentum predictum secundum tenorem ipsius,
et dicti presbiter Jacobus, Nycola et Petrus de dicto testamneto non intro
mittant se amplius ullo modo, et dictam domum procuratores comunis predicti
vendant et faciant secundum tenorem testamenti predicti.
[36] Monumenta Catarensia II, Kotorski spomenici (Monumenti di
Cattaro), vol. II, Druga knjiga kotorskih
notara (Secondo libro dei notai di Cattaro), anno 1329, 1332-1337, CANU i
JAZU, Zagreb 1981 (da qui in seguito segnato come SN II), doc. 1041: ... conquesta est Deia, filia condam
Medossi, per aduocatum suum aduersus Lucam Sysioye dicens sibi: “Plantasti
terras meas de Parcana violenter; volo ergo, quod exeas, emendes dampnum et
venumderis”. Qui Lucas respondens per aduocatum suum dixit: “Dictas terras ego
emi secure a Sergio Jacagne. Nolo uictare in questione extranea”. Qui Sergius ibidem stans dixit: “Non
respondeo tibi, quia vendi (di) et plantaui et transiuit michi tempus, secundum
statutum”. Que Deia dixit:
“Non est michi preiudicium tempus, quia ego habeo cartam preteritorum iudicum,
quod respondeas michi ad istam curiam; et etiam ego non fui in Cataro, quando
plantasti”. Qui Sergius dicebat: “Non curo, si non fuisti Catari. Sufficit
michi, quod fuerunt illi, quibus dedisti factum tuum despodestando te de eo.
Nam tu dedisti totum factum tuum Iunio Basilii et Matheo Jacagne, qui, quando
plantaui et operaui res predictas, erant presentes in Catharo et numquam contradixerunt,
ut de dicta alienatione facti tui patet per cartam”. Et ostendit quandam cartam
notarii incisam, in qua continebatur, quod Deia dederat factum suum de Catharo
Junio et Mathe predictis ...
[38] SN II, doc.
1159: Ego Marinus Mechsce de Catharo
confiteor et facio manifestum, quod vineas de Grauossi, quam emit Iacobus de
Sorgo de Rafgusio ... suis soluta per Iacobum predictum est libera et absoluta
filiorum dicti Iacobi de Sorgo, et quod ipsi possint facere de dicta vinea et
pertinentiis suis omne eorum velle ...
[39] obligo me et omnia bona mea stabilia et mobilia,
ubicumque esset satisfacere et conseruare indempnus eiusdem vinee heredes
condam Iacobi predicti et eius successores.
[42] SN I, doc. 237:
... quandam vineam meam, quam emi Jurgio
in Gradece ... qua fuit vinea ... quam emit a Paulo ...; SN II, isp. 1363,
13. XI 1336: ... Ego Triphon Sciti vendo
Matheo Iacagne partem meam et partem Angeli, fratris mei, casalis olim illorum
de Cernecha ...
[44] Estratto dalla ‘Tapija’ di Prizren (Izvod iz Prizrenske tapije). Testo pubblicato da A. Solovjev, Odabrani spomenici srpskog prava (Fonti
scelte del diritto serbo), Beograd 1920, 26.
[45] T. Taranovski, Istorija srpskog
prava u Nemanjičkoj državi (Storia del diritto serbo nello stato dei Nemanjići), lib. III, (Istorija građanskog prava (Storia
del dirtitto civile), Beograd 1935, 109.
[47] A. Solovjev, Ugovor o kupovini i prodaji u
srednjovekovnoj Srbiij (Contratto d’acquisto e di vendita nella Serbia
medievale), in Arhiv za pravne i
društvene nauke (Archivio per scienze giuridiche e sociali), libro XV,
6/1927, 443.
[50] C. Senigal. 79; Il
venditore promette per sé ed eredi, di defensare rem omni in tempore et ab omni
homine; quod si minime defensare potuerimus duplis et melioratis suprascriptis
rebus, quales in tempore fuerint, sub extimatione vobis restituere promittimus;
Comp. con: A. Pertile, Storia del diritto
italiano IV, Storia del diritto privato, 558.
[52] Cons. Mediol. 9: Obligantur
autem venditores - de evictione, ad interesse tantum, licet in instrumento
venditionis fuerit insertum sub poena duplici, sicut - plerumque inseri solet.
- Unde (sed) si specialiter hoc actum fuerit, ut duplum praestetur, et inde
quadia data est, sive stipulatio ad hoc fuerit inserta, recte poena dupli praestabitu. Compar. con A. Pertile, op. cit., 559.
[53] Reg. Farf., 839, solidus
100; 842, de auro bono libr. 5;
844, libras 2 a.; 1053; Compar con A. Pertile, 559.
[57] C. Satanbr. 79. Il venditore promette per sè ed eredi, di
defensare rem omni in tempore et ab omni homine: quod si minime defensare potuerimus duplis et melioratis suprascriptis
rebus, quales in tempore fuerint, sub extimatione
vobis restituere promittimus. Compar.
con A. Pertile, op. cit., 558.